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L'OPINIONE Sport dintorni

di Giorgio Vincenzi Foto: Calciosociale

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Calciosociale, il calcio come non lo abbiamo mai conosciuto

Quante volte abbiamo letto sulla stampa o sentito alla televisione da grandi esperti che il mondo del calcio avrebbe bisogno di “una regolata”, specie nel settore giovanile. Ora immaginate che qualcuno sia passato dalle parole ai fatti e abbia trasformato lo sport più amato al mondo in una grande “palestra” di educazione civica per i bambini e adulti. Questo qualcuno è Massimo Vallati che in un quartiere situato nella periferia sud-ovest di Roma, Corviale, ha dato vita nel 2005 al Calciosociale (www.calciosociale.it), un modo diverso di intendere l’attività sportiva, basato sulla rivisitazione delle regole del calcio finalizzate a favorire la cura delle relazioni, preferendole alla semplice competizione. E le partite non si giocano solo in campo, ma anche fuori.

Le regole.

Nei tanti tornei che il Calciosociale programma durante l’intera stagione calcistica non ci sono squadre con i nomi dei vari quartieri o cose simili, ma bensì legati alla vita sociale. Questo serve per far riflettere i singoli e la squadra. Il tema scelto nell’ultimo torneo era la salvaguardia dell’ambiente attraverso donne e uomini che si sono impegnati in tal senso. C’era una squadra, per esempio, che portava il nome del capitano di marina Natale De Grazia ucciso per le sue indagini sul traffico di rifiuti tossici e radioattivi. Un educatore, sempre presente in ogni squadra, aveva il compito di spiegare ai ragazzi ciò che aveva fatto De Grazia e li invitava a riflettere su ciò che anche loro avrebbero potuto fare sul tema della salvaguardia della natura. E come dice Vallati “Non c’è solo la partita da vincere, ma anche la battaglia, in questo caso, della difesa dell’ambiente”. La regola base del Calciosociale, poi, prevede che le squadre debbano avere tutte le stesse potenzialità di vittoria. Per rendere concreto questo principio prima del campionato si fanno delle partite amichevoli e si danno delle valutazioni, coefficienti, da uno a dieci a tutti i giocatori. Una volta fatto ciò, le squadre verranno formate tenendo presente che la somma dei coefficienti dei giocatori deve essere uguale per tutte. In questo modo tutte hanno la stessa probabilità di vittoria e non come accade comunemente nel calcio che conosciamo dove vince chi ha tra gli undici il maggior numero di fuoriclasse. Ancora. Non esiste l’arbitro, ma la corresponsabilità. I giocatori per riprendere la partita devono decidere insieme se è stato commesso un fallo oppure no. Le squadre sono miste, maschi e femmine assieme, e vi è anche la presenza di ragazzi diversamente abili. Ogni giocatore non può segnare più di tre goal a partita. Ogni squadra ha 12 componenti e non esiste la panchina, tutti sono titolari. Si gioca in 8 e i partecipanti fanno cambi ogni 10 minuti. Il calcio di rigore lo batte il giocatore con il coefficiente meno alto.

I riconoscimenti.

L’idea di Vallati ha trovato sostenitori anche in altre parti d’Italia (Modica, Empoli, Torino, Milano, Quartu S.Elena), ma anche all’estero: Inghilterra, Germania, Ungheria. Non mancano neppure i riconoscimenti da parte delle istituzioni. Vallati è stato chiamato nel 2012 al Parlamento europeo per raccontare questa esperienza all’avanguardia in fatto d’integrazione e nel 2014 il Calciosociale è stato riconosciuto dal governo italiano come Best practice per lo sport e l’inclusione sociale.

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