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società sportive INCLUSIVE della Regione Veneto

BOB CLUB CORTINA A.S.D.

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Il Presidente Gianfranco Rezzadore ci presenta l’attività del Bob Club Cortina A.S.D.

Da quanti anni è nata la vostra società?

«La società Bob Club Cortina è nata nel 1948. Per quanto riguarda il parabob è da 5 anni che ci occupiamo di questa attività».

E come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«Su idea del presidente Ferriani Ivo della IBSF (Federazione Internazionale di Bob e Skeleton) è nato il progetto di fare un’attività dedicata al mondo della disabilità. Da allora è stato organizzato un circuito di Coppa del Mondo e Mondiali: noi ci siamo subito aggregati.».

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

Gli obiettivi sono molto legati alla possibilità che il para-bob diventi uno sport paralimpico di MilanoCortina 2026. Noi stiamo lavorando da anni con delle risorse locali: una ONLUS, “The Game Never Ends”; contributi dei bandi del comune di Cortina d’Ampezzo; con aiuti della Federazione Italiana Sport Invernali Paralimpici (FISIP).”

Quanti tesserati contate all’interno della vostra società?

Parlando di para-bob noi abbiamo 5 atleti tesserati: la squadra è composta da 1 ragazza e 4 ragazzi, dal 2000 al ‘75. Lo staff è composto da un capo allenatore, Loris Ottaviani, che segue gli atleti nelle trasferte, poi tecnici e volontari. Come Bob Club Cortina abbiamo 54 tesserati. ”

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

“Abbiamo un ragazzo di Cortina che ha avuto un incidente giocando a Hockey. Alcuni ragazzi sono arrivati tramite la federazione, mentre altri grazie al passaparola.”

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

“Quelle organizzative: la prima difficoltà è trovare alberghi e ristoranti accessibili per poter ospitare i ragazzi. La seconda è economica, perché comunque il fatto di doverci sempre trasferire all’estero ci costa parecchio. Il resto viene tutto organizzato molto bene dalla nostra società: l’organizzazione interna è ottimale.”

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

“A livello personale per tutti noi è di poter lavorare con loro: sono dei ragazzi incredibili che affrontano la loro disabilità con leggerezza. È un mondo molto bello per i tecnici e i volontari da seguire. Torniamo da ogni trasferta con un valore aggiunto.”

Avete un motto?

“A dire il vero non ci abbiamo mai pensato, però questa è una bella proposta per il futuro.”

Obiettivi per il futuro?

“A lungo termine il futuro è legato soprattutto al fatto che questo sport diventi paralimpico. Se questo accade abbiamo degli appoggi per poter organizzare una squadra che possa arrivare a podio alle Olimpiadi. Sicuramente l’obiettivo è MilanoCortina 2026.”

BASKIN RONCAGLIA

L’allenatrice Maria Sole Peron ci presenta l’attività del Baskin Roncaglia

Da quanti anni è nata la vostra società?

«La società di basket ha un’esperienza di 40 anni, dal 1981. Noi come baskin nasciamo all’interno di Basket Roncaglia. Siamo una società relativamente giovane, come d’altronde anche questo sport.»

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«Noi abbiamo scelto di nascere e di costruire questo percorso all’interno di una società di basket: la volontà era di integrare la realtà del baskin con quella già esistente del basket».

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

«Il primo obiettivo era farci conoscere e creare la squadra. Nel baskin la difficoltà è creare una squadra omogenea: ci sono ruoli legati a difficoltà motorie, intellettive, emotive (ruoli 1, 2 e 3); ruoli con ragazzi che non hanno difficoltà ma sono neofiti (4) e ragazzi che hanno praticato ad alti livelli (5). L’altro è cercare di crescere continuamente, mettendosi sempre in gioco».

Quanti tesserati contate all’interno della vostra società?

«Come tesserati siamo più di 20 (di cui 19 atleti), anche se potremmo contare su qualche numero in più se non fosse per la situazione attuale di Covid-19».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Abbiamo creato degli eventi molto conviviali al campetto. Da lì poi è partito il passaparola. Abbiamo anche partecipato noi a degli eventi organizzati da altre società e abbiamo fatto anche promozione sui social. Ora stiamo cercando ragazzi per i ruoli 4 e 5».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«Penso non ci siano particolari difficoltà rispetto a quelle in altri contesti sportivi. Se si hanno la mente ed il cuore aperti si riesce a superare qualsiasi tipo di iniziale ostacolo. Alla fine quelli che portano di più a casa siamo noi. A livello di sport, avendo un’eterogeneità di tesserati (sia di età che di sesso), le difficoltà oggettive sono quelle di tenere la motivazione alta di tutti e di riuscire a farci migliorare tutti insieme»

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«Le soddisfazioni arrivano da tutti. Quando siamo stati chiusi per il lockdown i ragazzi sono quelli che ne hanno risentito di più: alcuni hanno avuto delle regressioni in maniera importante. Ma penso che anche noi non vedendoli ne abbiamo risentito. Quando arriviamo in palestra abbiamo un abbraccio che ci accoglie».

Avete un motto?

«Prima delle partite facciamo un urlo: “uno, due, tre: Baskin Roncaglia olè”. Poi abbiamo avuto un modo particolare di salutarci nato dai problemi dovuti alla pandemia: per salutarci ci strofinavamo i sederi!».

Obiettivi per il futuro?

«Gli obiettivi principali sono ricostruire una squadra equilibrata, mantenere quello che si è creato e crescere insieme».

A.S.D. CANOE ROVIGO

l’acqua, forse dovuto alle tragedie che sono ancora presenti nell’immaginario collettivo. C’è molta difficoltà all’approccio iniziale, però una volta vinto le cose vanno in discesa.»

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«Cito un aneddoto: è arrivato un ragazzo di 25 anni che non aveva mai praticato sport perché in carrozzina e con disabilità agli arti superiori. La nostra direttrice sportiva e allenatrice, Aneta Andziak, non ci ha dormito la notte fino ad inventarsi un modo per tenere la pagaia tramite delle chiusure a velcro. La faccia di questo ragazzo e dei suoi familiari non so descriverla, ma solo parlandone vengono i brividi. È molto di più quello che riceviamo di quello che diamo».

Avete un motto?

«Sport, Benessere e Ambiente. Però potremmo farne uno più aggressivo, chissà. Lanceremo un concorso».

Obiettivi per il futuro?

«ll mio obiettivo è quello di avvicinare quanto più il mondo della canoa alla società civile per ottenere un maggior coinvolgimento. Per fare ciò servono sicuramente degli aiuti anche finanziari, ma i progetti di sicuro non mancano»

Il Presidente Andrea Donzelli ci presenta l’attività dell’A.S.D. Canoe Rovigo

Da quanti anni è nata la vostra società?

«La nostra società nasce nel 2009, però eredita tutta la storia della società precedente. A Rovigo la canoa è praticata dal 1980».

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«Questo si deve alla prima società: è stata creata da un disabile, Sandro Siciliato. Per cui non siamo noi che abbiamo trattato i disabili, ma il disabile che ha trattato tutti i nuovi adepti. Per noi la disabilità è una cosa assolutamente normale: l’abbiamo nel DNA».

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

«L’obiettivo generale è la pratica della canoa in senso più inclusivo possibile».

Quanti tesserati contate?

«Generalmente all’anno abbiamo circa 100 ragazzi. Bisogna comunque considerare che la canoa è uno sport stagionale. Attualmente abbiamo una squadra con 8 ragazzi che presentano disabilità. Mentre una squadra di 8 ragazzini può essere seguita da un istruttore, nella canoa paralimpica il rapporto è 1:1».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Facciamo un’attività nelle scuole di Rovigo: coinvolgiamo circa 1500 bambini all’anno. Però è molto difficile attecchire verso i giovani disabili che non hanno mai praticato: sono loro per primi che devono vincere una propria paura a fare delle attività fuori di casa».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«La relazione con l’acqua. Abbiamo una sorta di timore reverenziale verso

A.S.D. GRUPPO SPORTIVO DINAMIS

Il segretario Giambattista Bianchin ci presenta l’attività dell’ A.S.D. Gruppo Sportivo Dinamis.

Da quanti anni è nata la vostra società?

«Tra un anno compiremo i nostri primi sessant’anni: la società è infatti nata nel 1963».

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«In quegli anni lo sport era quello che si faceva in oratorio, senza regole e senza tante istituzioni che regolassero tutto. Il cappellano di quell’epoca fece un discorso all’attuale presidente, che aveva 17 anni, per far qualcosa per i giovani che non fosse solo il calcio e gli altri sport “predominanti”. Quindi ci siamo associati ad un ente di promozione sportiva: il CSI. All’interno di questo centro sportivo si faceva tennistavolo, atletica, pallavolo e pattinaggio a rotelle».

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

«L’obiettivo era fare sport per tutti. Dove chi non era primo o secondo doveva riuscire a fare attività sportiva comunque».

Quanti tesserati contate?

«Attualmente tra i vari sport abbiamo 150 tesserati, mentre prima del Covid-19 ne avevamo 250. Di questi 150 circa un terzo sono di tennistavolo. Di atleti disabili purtroppo ne abbiamo avuti pochi».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Abbiamo dei contatti con l’oratorio quando si fa il Grest: noi mettiamo a disposizione la nostra sede con quattro tavoli non essendo distante. Poi una domenica all’anno viene organizzata la Giornata dello Sport. Anche in questo modo riusciamo a raccogliere adesioni. Con le elementari collaboriamo portando un tavolo nelle varie scuole del nostro paese. Mentre con la scuola media, vicina alla nostra società, prima della pandemia collaboravamo con i laboratori scolastici di tutte le classi».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«Uno dei problemi è che gli atleti portatori di disabilità dovrebbero confrontarsi con ragazzi che siano nelle stesse condizioni, mentre spesso non è così. Anche perché ci sono diverse classi di disabilità: 5 in carrozzina e 5 in piedi; poi ci sono anche le disabilità intellettive relazionali».

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«Le soddisfazioni le abbiamo quando dei ragazzi che non hanno mai giocato riescono, grazie all’allenamento, a migliorarsi anche contro le varie difficoltà».

Avete un motto?

«Il nostro motto sarebbe quello del CSI: Lo Sport per tutti. Nel 1973 abbiamo iniziato a fare corse non competitive e il nome di questa corsa è anche un motto: “Co’ Rivo Rivo”. Vi è una filosofia nel dire che non è che se arrivo dopo non ho fatto nulla, ma “quando arrivo, arrivo” e la prossima volta andrà meglio.”

Obiettivi per il futuro?

«L’obiettivo di sempre è raggiungere risultati senza mai ‘scartare’ nessuno»

A.S.D. COMPAGNIA DEL PRAELLO

Il presidente Diego Alfaré ci presente l’attività dell’A.S.D. Compagnia del Praello

Da quanti anni è nata la vostra società?

«La società ha sei anni di vita, ma causa Covid-19 per ora siamo inattivi. L’idea è sicuramente quella di ripartire appena ci saranno le condizioni, anche gemellandoci con un’altra associazione».

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«Il progetto disabilità è un’idea che io ho sempre avuto in mente, sin da quando mi sono specializzato tecnico per diversamente abili con FITArco (Federazione Italiana Tiro con l’Arco). Mi sono diplomato e grazie ad un’amica sono stato messo in contatto con persone che avevano molto a cuore il lato sportivo della disabilità».

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

«L’obiettivo non era fare tiro con l’arco, ma far si che le persone tornassero a vivere: sentirsi come gli altri e parte di qualcosa. L’importante è l’inclusione e far tornare il sorriso in faccia a questi ragazzi».

Per quanto riguarda i tesserati: quanti ragazzi contate all’interno della vostra società?

«Di ragazzi con disabilità visiva siamo arrivati ad averne 5 contemporaneamente. Con disabilità fisiche altri 4/5. Per quanto riguarda l’età abbiamo avuto anche un signore di 70 che, dopo soli 6 mesi di allenamento, ha vinto una medaglia d’oro in una gara. Il tiro con l’arco lo possono fare tutti».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Quando abbiamo iniziato è stato tutto merito di Letizia, l’amica che mi ha messo in contatto con molte persone. Per farci conoscere frequentiamo anche le scuole».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«La maggiore difficoltà è trovare una palestra che abbia gli spazi idonei. Significa avere, almeno nel campo di tiro, un bagno per diversamente abili e l’acqua corrente con la possibilità di lavarsi. Un’altra difficoltà è quella economica: il tiro con l’arco è uno sport molto costoso. Una freccia viene a costare una media di 20 euro, e colpire il muro vuol dire buttarla».

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«Una grande soddisfazione è quando ai campionati italiani abbiamo mandato una squadra a podio: una 50enne, una 30enne e una 40enne disabile. Nessuno si è accorto che una delle tre era una ragazza disabile.”

Avete un motto?

«Si. “Moriremo tutti!” (ride, ndr)».

Obiettivi per il futuro?

«Provare a ripartire oppure entrare in gemellaggio e affiliarci ad un’altra associazione che possa ospitare le disabilità. L’obiettivo è ricominciare, e io vorrei tanto ricominciare includendo anche le disabilità intellettive relazionali».

A.S.D. OLYMPIC TEAKWONDO VERONA

Il Maestro Miriam Selvaggio e l’istruttore Elia De Chiara ci presentano l’attività dell’ Olympic Taekwondo Verona.

Da quanti anni è nata la vostra società?

«Come data ufficiale la nostra società è nata nel 1994, da quando è entrata a far parte della FITA (Federazione Italiana Taekwondo). Però come società era già pre-esistente da diversi anni».

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«Il Maestro Salvatore Selvaggio, fondatore di questa società, è stato il primo a portare il taekwondo a Verona. Il discorso del parataekwondo si è sviluppato negli ultimi anni, perché anche la federazione si è aperta a questa realtà. Da Tokyo 2020 siamo ufficialmente entrati come sport paralimpico».

prefissati?

«L’obiettivo principale era ed è quello della passione, di diffondere la bellezza e la disciplina che può insegnare il taekwondo».

Quanti tesserati contate?

«Ora siamo intorno agli 80 iscritti ma prima della pandemia eravamo circa 125. Come atleti paralimpici abbiamo il problema che molti non hanno il green pass: in alcuni casi il vaccino non è possibile».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Abbiamo sempre aderito al progetto di “Più Sport, Più Scuola”: da qui sono arrivati molti bambini con disabilità. Abbiamo girato tante scuole e sempre partecipato alla “Giornata dello Sport”. Quello che facciamo maggiormente è farci conoscere di persona. Un altro canale che utilizziamo tanto sono i nostri profili social, Instagram e Facebook».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«Dipende dalla disabilità: da noi i ragazzi sono sempre stati inseriti all’interno di un gruppo di normodotati perché riteniamo che l’inclusione sia uno degli obiettivi principali. Dove c’è inclusione c’è crescita. Ovviamente i ragazzi con disabilità vengono seguiti in maniera specifica: ci sono più istruttori a seconda della disabilità e delle necessità del ragazzo».

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«La soddisfazione più grande è quando si sentono accettati e vengono volentieri a fare attività. Nel caso di atleti autistici la soddisfazione più grande è stata quando, con la logopedia, avevano iniziato a pronunciare il nostro nome e quello del nostro sport. Sono piccole ma grandi soddisfazioni».

Avete un motto?

«In realtà non abbiamo un motto ma più un rito scaramantico tra noi coach: fare sempre la stessa cosa, mettere la bottiglia d’acqua nello stesso posto o l’asciugamano attaccato alla sedia».

Obiettivi per il futuro?

«Adesso con la ripartenza l’obiettivo che ci poniamo è quello di portare i ragazzi a più gare possibili e di fare bene ai campionati italiani».

Quali sono gli obiettivi che vi siete

X-FIGHTER TEAM

questo mondo, perché lavorando con i nostri due ragazzi stiamo scoprendo sempre dinamiche e cose nuove. Per noi sarà una novità, motivante ed incentivante».

Il tecnico della nazionale italiana paraclimbing Jenny Lavarda ci presenta l’attività dell’ X-FIGHTER TEAM

Da quanti anni è nata la vostra associazione?

«La nostra associazione è nata nel 2005, a Colceresa. Da quest’anno siamo a Thiene dove abbiamo anche la nostra sala boulder».

Come è nata la società e l’idea di far partire un progetto così?

«È nata dall’iniziativa di mio padre Moreno Lavarda che ha deciso di creare questa associazione per rispondere alla molta richiesta di quelle zone»

Quali sono gli obiettivi che vi siete prefissati?

«Noi abbiamo sempre avuto l’obiettivo di invogliare la gente e far conoscere il climbing, essendo uno sport minore. L’obiettivo era incentivare questo sport, oltre ai risultati agonistici.».

Quanti tesserati contate?

«Essendo noi un’associazione sportiva dilettantistica abbiamo circa 70 tesserati: alla nostra sala boulder possono però accedere solo gli associati. Due di questi tesserati sono ragazzi con disabilità: uno è già un atleta della Nazionale; l’altro partecipa a gare a livello nazionale».

Come fate ad entrare in contatto con nuovi ragazzi?

«Con questi due ragazzi è stato un po’ un caso: il settore del paraclimbing non era molto conosciuto, si sta sviluppando negli ultimi 2/3 anni. Ora questi due atleti sono un veicolo di traino per tutti gli altri ragazzi».

Nel vostro sport quali sono le maggiori difficoltà che riscontrate?

«Non ci sono grandi difficoltà, piuttosto attenzioni diverse. Per me tra poco sarà la prima occasione con la Nazionale di para-climbing: sono molto curiosa di poter lavorare in

Quali sono le soddisfazioni più grandi che vi danno i ragazzi?

«Vederli arrivare che non credono in loro stessi fino ad arrivare a far parte della Nazionale è una soddisfazione enorme. Per loro è la realizzazione di un sogno, per noi è una grandissima soddisfazione che loro siano contenti di loro stessi».

Avete un motto?

«No, non lo abbiamo, però io dico sempre che l’importante è dare il sempre il massimo. Poi il risultato sarà una conseguenza».

Obiettivi per il futuro?

«Come associazione cerchiamo di portare avanti un gruppo di ragazzini, anno per anno. Il nostro obiettivo sarebbe vederli arrivare alle gare internazionali. Inoltre ci piacerebbe fare un evento para-climbing nella nostra sala boulder e cercare di portare avanti un progetto così. È bello vedere dei ragazzi che con le loro difficoltà riescono nella realizzazione dei loro sogni».

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