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GREENWASHING E MARKETING ETICO

Rischi e benefici di una comunicazione ingannevole oppure onesta e trasparente di Manuela

Barbieri

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Pennellate di verde per dare un’immagine ingannevolmente positiva di sé sotto il profilo dell’impatto ambientale e catturare così l’attenzione dei consumatori più sensibili a queste tematiche. Enfatizzando vantaggi per la salute del pianeta, delle persone o delle società forvianti o poco verificabili o attendibili, se non addirittura falsi. Strategie di comunicazione o di marketing, se così si possono chiamare, “studiate” per promuovere la presunta responsabilità di un brand o di un prodotto, ma che in realtà non fanno altro che danneggiare l’immagine e la reputazione delle aziende. È il cosiddetto greenwashing, sempre più protagonista nelle aule di tribunale. In Italia, la prima sentenza in tale materia risale al 25 novembre 2021, quando il Tribunale di Gorizia ha accolto con ordinanza cautelare per “ambientalismo di facciata” il ricorso d’urgenza presentato dalla società Alcantara nei confronti dell’azienda friulana Miko. I messaggi pubblicitari che Alcantara ha definito ingannevoli riguardano la composizione e la derivazione del tessuto venduto dal competitor, l’utilizzo di coloranti naturali, la riciclabilità e la dichiarazione di riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO 2 dell’80%. Nell’ordinanza, il Tribunale di Gorizia cita l’articolo 12 del Codice di autodisciplina della comunicazione commerciale, secondo cui “la comunicazione commerciale che dichiari o evochi benefici di carattere ambientale o ecologico deve basarsi su dati veritieri, pertinenti e scientificamente verificabili”. Su come contestare un caso di presunto greenwashing, vi rimandiamo al box sotto.

Come Contestare Un Caso Di Presunto Greenwashing

1. Facendo denuncia all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato – AGCM (agcm.it)

2. Instaurando un giudizio civile (come nel caso della sentenza di Gorizia)

3. Segnalando il caso all’Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria – IAP (iap.it), al quale le aziende si possono rivolgere anche per chiedere un parere preventivo sul messaggio da comunicare

I Sette Peccati Del Greenwashing

MENTIRE comunicazione di informazioni false

IL MINORE DEI MALI affermazione magari vera ma che rischia di distrarre il consumatore dai maggiori impatti ambientali della categoria nel suo complesso

Irrilevanza

dichiarazioni anche veritiere, ma di scarsa o nulla importanza per i consumatori

COMPROMESSO NASCOSTO affermazioni veritiere che omettono altre informazioni che sarebbero rilevanti sull’impatto ambientale di tali prodotti

ASSENZA DI PROVE affermazioni che non possono essere sostenute da chiare evidenze e da certificazioni credibili di terza parte

VAGHEZZA affermazioni poco chiare o talmente ampie che il loro significato reale viene frainteso dal consumatore

ADOZIONI DI FALSE ETICHETTE comunicazioni che utilizzano parole, immagini o espressioni che danno l’impressione che esita una certificazione

Fonte: ul.com

66% dei consumatori preferisce prodotti derivanti da una filiera sostenibile che tenga in considerazione l’impatto sull’ambiente

75% dei millennial preferisce prodotti provenienti da una filiera sostenibile

Le Variabili Che Incidono Sul Consenso E Sulle Scelte Di Consumo Degli Stakeholder

Prezzo del prodotto

Qualità e prestazioni

Visibilità delle caratteristiche ambientali del prodotto e dell’impegno dell’azienda

Immagine aziendale

Informazione ambientale

Garanzie e certificazioni

Prossimità degli effetti ambientali rispetto al consumatore

Sono del 30 marzo 2022, invece, le proposte di aggiornamento presentate dalla Commissione Europea riguardanti i diritti dei consumatori e le pratiche commerciali sleali che hanno l’obiettivo di garantire ai consumatori di compiere scelte d’acquisto sostenibili e contrastare così il greenwashing. Per saperne di più e approfondire l’argomento, vi invitiamo a visitare il sito ufficiale dell’Unione Europea inquadrando il QR code. Se da una parte c’è chi abusa di queste pennellate di verde, dall’altra c’è anche chi, fortunatamente, preferisce muoversi in “modo pulito” basando la propria comunicazione su campagne oneste e trasparenti, in grado cioè di provare con dati quanto affermato. Se implementato nel modo corretto, il marketing etico può essere uno strumento per aumentare i profitti: si stima che il 60% dei consumatori è disposto infatti a pagare un prezzo maggiore per un prodotto responsabile. Abbiamo approfondito l’argomento con il team CSR di Green Media Lab, agenzia di Milano che accompagna le aziende nel proprio percorso di Corporate Social Responsibility.

RISCHI DEL GREENWASHING

Conseguenze legali

Rischi di essere perseguiti legalmente per non aver seguito le norme di riferimento.

Danni reputazionali Rischi di danneggiare l’immagine dell’azienda.

Perdita di credibilità

Rischi di perdere l’affidabilità agli occhi delle parti interessate.

BENEFICI DI UNA COMUNICAZIONE ETICA E TRASPARENTE

Etica

Introdurre un nuovo modello di business che potrebbe ispirare anche altre realtà.

Affidabilità

Aumento della fiducia degli stakeholder nel prodotto e nell’azienda

Educazione

Educare il consumatore finale attraverso una comunicazione trasparente.

E INVECE IL GREENHUSHING COS’È?

Quando le aziende annunciano un obiettivo climatico ma poi non intendono rendere pubblici i propri impegni a favore del raggiungimento di essi e i risultati ottenuti, si parla di “greenhushing”. Secondo il rapporto “Net Zero and Beyond” della società di consulenza South Pole, numerose aziende sembrano attente al clima, ma una su quattro non intende parlarne. Ciò limita la condivisione delle conoscenze e porta alla perdita di opportunità di collaborazione tra settori industriali.

Un Lusso Responsabile

Focalizzata sul futuro del pianeta, delle persone e sull’innovazione Vilebrequin, brand leader dei costumi da bagno luxury, con il suo primo beach club lancia un nuovo concept: l’arte della spiaggia

di Valeria Oneto

Impegnato per l’ambiente e la salvaguardia del pianeta, collezionista d’arte, amante dei viaggi. Roland Herlory da 10 anni è ceo di Vilebrequin. Il brand francese di beachwear, leader nel mondo dei costumi da bagno di lusso, continua il suo cammino costante tra ricerca e innovazione, sotto la sua guida lungimirante. Con progetti unici, come quello con The Woolmark Company: una capsule di boxer da mare realizzati in lana Merino, naturale, riciclabile, water-friendly. Ispirato dalle tecniche sartoriali. Al contempo la maison francese ha deciso di puntare sul lifestyle, abbracciando lo stile della Riviera, con il suo primo beach club, Vilebrequin La Plage - storico stabilimento L’Ondine, sulla Croisette di Cannes. Un luogo accogliente, caleidoscopio di colori e fantasie tipiche del brand, dove ospitare famiglie e bambini in un clima di libertà e felicità. Roland Herlory ci ha raccontato con entusiasmo del brand e dei suoi progetti futuri, ricchi di responsabilità.

Come nasce Vilebrequin? Qual è il suo stile?

Vilebrequin nasce nel 1971 da una storia d’amore. Fred Prysquel, il founder, era un giornalista di Formula 1 che decise di sedurre Yvette sulla spiaggia di Saint-Tropez. Negli Anni Settanta i costumi da bagno non avevano un grande appeal. Così Prysquel decise di creare il suo, mixando l’ispirazione dei boxer dei surfisti californiani con il tessuto Wax proveniente dall’Africa. Fu un successo immediato: non solo la donna si innamorò di lui, ma tutte le celebrità tropéziennes vollero lo stesso boxer. La coppia è rimasta insieme tutta la vita, gestendo uniti l’attività, partita proprio dal negozio di lei nella località della Côte d’Azur. La storia del brand è singolare: un marchio nato da un bisogno d’amore e non di business. Sarà per questo che è così unico. Lo stile Vilebrequin è un equilibrio perfetto tra l’essere attraenti e comodi. Per essere seducenti bisogna innanzitutto sentirsi a proprio agio. Il marchio incarna tutto lo spirito degli Anni ‘70 a Saint-Tropez: gioia, spensieratezza, divertimento, fantasia con tutta l’eleganza tipica della Costa Azzurra.

Cosa differenzia i boxer da mare di lusso del brand francese da quelli dei suoi competitor? Indubbiamente le differenze in termini di qualità e resa sono grandi. Caratteristiche da sempre in cima alle nostre priorità. Scegliamo filati di qualità e componenti di alta gamma, i migliori fornitori, perlopiù italiani, soprattutto per la ricamatura, per la quale hanno un know-how speciale. I nostri costumi da bagno sono resistenti e riparabili, caratteristiche essenziali per un prodotto di lusso. L’essenza di Vilebrequin è coltivare il perfetto equilibrio tra divertimento ed eleganza. Il taglio classico viene sempre bilanciato dalle fantasie ironiche delle nostre stampe.

Come si è evoluto nel tempo il costume da bagno?

Quali caratteristiche oggi sono imprescindibili?

Si è evoluto moltissimo. I nostri costumi devono essere resistenti, belli, attraenti, quickdry, confortevoli anche da bagnati, ma al contempo sempre eleganti. Un tempo utilizzavamo tessuti naturali come il cotone, poi siamo passati a quelli sintetici per la loro capacità di asciugarsi più velocemente e di adattarsi alle prestazioni. Ora, ad esempio, con il progetto Woolmark, siamo tornati alle fibre naturali come la lana, ma in modo tecnologico. Fibre naturali ma con prestazioni che garantiscono le tecnicità di quelle sintetiche.

Cosa significa per Vilebrequin essere responsabile?

Qualsiasi cosa facciamo ci chiediamo se possiamo farlo in modo responsabile. In questo settore, è nostra responsabilità fare qualcosa di buono per il pianeta ogni volta che possiamo, cercando di lasciare un mondo migliore alle generazioni future. È nostro dovere di cittadini e anche il nostro metodo.

Oggi il 92% della nostra produzione totale è completamente sostenibile. Utilizziamo tessuti organici e riciclati, inoltre crediamo nella realizzazione di prodotti duraturi, resistenti e riparabili. Da usare e tenere con sé il più a lungo possibile.

In che modo i diversi luoghi in cui ha vissuto e viaggiato hanno ispirato lei e il suo lavoro in azienda?

Vivo a Saint Barth nei Caraibi. Abitando su un’isola, ovviamente vicino alla spiaggia, posso provare in prima persona “l’art de vivre” di Vilebrequin e ho tratto spesso ispirazione osservando le persone in vacanza. Ma l’illuminazione arriva anche visitando i negozi, ascoltando le richieste e i bisogni dei clienti.

Quali sono le questioni più impegnative per il ceo di un’azienda internazionale come G-III Apparel Group?

La parte sostenibile della nostra produzione è sicuramente una di queste. La considero una responsabilità personale. Ma

Sopra: il costume Vilebrequin è frutto di esperienza e originalità perfettamente riconoscibile

A fianco: un total look della collezione PE 23, camicia e boxer da mare, con stampa all-over anche il modo in cui trattiamo le persone che lavorano con noi e le modalità di relazione con i nostri fornitori. Questioni generali legate alla responsabilità sociale d’impresa, che cerchiamo di soddisfare con le azioni promosse dalla Fondazione Vilebrequin. Essere sempre innovativi e creativi è un’altra nostra sfida. Senza cadere nella routine, cercare sempre di crescere, di elevarsi. È uno stato mentale.

Molte sono le collaborazioni, anche artistiche, che vanta nel curriculum Vilebrequin. Quale fu la prima e quali quelle future?

Le collaborazioni sono un modo per estendere il territorio naturale di un marchio, bisogna trovare uno spazio comune tra i due mondi. Essere creativi, portando contaminazioni esterne in un nuovo mondo, per creare progetti nuovi. Abbiamo lavorato con il fotografo Massimo Vitali, un vero e proprio “etnologo” della plage. È stato un grande onore perché è un maestro della vita in spiaggia. Le prossime partnership sono con il duo artistico Deux Femmes Noires e per la seconda volta con Kenny Scharf.

Che rapporto ha Vilebrequin, ma anche il suo ceo, con l’arte?

Sono un collezionista d’arte, quindi ho un rapporto personale di trent’anni con l’arte. Portarla nel mondo della moda non è sempre facile, ci deve essere una vera e propria coerenza. Sono due dimensioni che si fondono e cercano di trovare uno spazio e un mondo comune. È la bellezza di un’avventura umana.

Grazie a ricerca e innovazione avete realizzato un progetto singolare assieme a The Woolmark Company: ce lo racconta?

Riuscire a innovare riportando le fibre naturali nel mondo dei costumi da bagno è una conquista. A mio avviso la lana declinata al costume da bagno è la fibra più confortevole, la più elegante. Adoro questo progetto.

Cosa vi ha spinto a realizzare Vilebrequin La Plage?

Cosa significa per il brand?

Significa molto per il marchio perché è la naturale estensione della sua storia. Dopo oltre 50 anni di produzione di costumi da bagno, ora ci occupiamo dello scenario: la spiaggia. Siamo assolutamente nel nostro territorio dell’arte di vivere in spiaggia. Quella sulla Croisette di Cannes è la prima, ma puntiamo ad aprire 12 beach club in tutto il mondo, in luoghi bellissimi, dove si incontrano fantasia, eleganza e buon cibo. Un luogo dove la famiglia e i bambini sono i benvenuti, per vivere l’atmosfera della St. Tropez degli Anni ‘70, lo spirito di libertà e leggerezza che sa di felicità.

Il 92% della collezione del brand, di cui il 100% dei costumi è responsabile. Quali sono i tessuti, parlando di innovazione ed eco-ricerca, che oggi vengono declinati sulle diverse collezioni?

I materiali responsabili sono di due tipi: filati riciclati e fibre naturali. I tessuti riciclati utilizzati per i costumi da bagno provengono da tappeti e reti da pesca riciclate, bottiglie di plastica. Il fornitore di questi prodotti ha sede a Torino e in Spagna, dove i pescatori raccolgono le reti abbandonate. Ogni costume da bagno che utilizza questi filati riciclati corrisponde a 200 grammi di rifiuti plastici raccolti dal mare, trasformati. Il lino, naturale e sostenibile, è utilizzato per camicie, bermuda, cappelli. La sua pianta è a basso impatto, e non necessita di acqua per crescere. Il lino è termoregolatore, fresco d’estate e caldo d’inverno, risposta perfetta al cambiamento climatico. Utilizziamo anche cotone organico, lana come fibra naturale, bambù e pelle ricostituita per le borse. Tutti materiali riciclati e circolari.

Può parlarci del progetto, che uscirà a giugno, pensato con One Ocean Foundation per la salvaguardia dei coralli?

È un bellissimo programma promosso dall’Unesco, che ha lo scopo di proteggere l’ambiente. Collaboriamo con il fotografo Alexis Rosenfeld, specializzato in scatti subacquei di profondità, che è in grado di immortalare straordinari coralli che danno vita a una stampa speciale estremamente fedele alla qualità dell’immagine. Parte del ricavato della vendita di questi costumi da bagno viene devoluto alla One Ocean Foundation.

Quali sono le strategie future, in termini di vendita e comunicazione, che Vilebrequin adotterà per consolidare la propria identità?

Per quel che concerne la distribuzione sono previste nuove aperture di negozi nelle migliori destinazioni turistiche di tutto il mondo, per promuovere il nostro know-how e il nostro approccio sostenibile ai costumi da bagno. Grande attenzione anche al progetto dei beach club. Abbiamo grandi progetti in Cina e in Asia. E inoltre supporteremo le vendite attraverso i canali digitali.

Come si è concluso, in termini di fatturato, l’anno 2022? Previsioni per il 2023?

Il 2022 è stato un anno da record, il migliore di sempre. Nel 2023 contiamo di fare ancora meglio. C’è spazio crescere in Asia e in America Latina.

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