editoriale
Nonè un grande calciatore, né un attore, né un divo della canzone. Non è giovane e aitante, anzi si muove a fatica, sotto il peso degli anni. Non urla slogan e facili promesse, piuttosto parla a bassa voce mentre gira il mondo chiedendo perdono e invocando la pace. Ma ciò nonostante, ad ogni occasione raduna folle come nessun altro ed incolla milioni di persone davanti alla televisione. Stiamo parlando, logicamente, di Karol Wojtyla, il Papa della quotidianità, che spinge tutti a guardare avanti e a cercare risposte alla domanda di fondo di ogni persona: verso chi andare, chi seguire, a chi affidare la propria vita.
Continua ad affascinare moltitudini di giovani con frasi semplici e dirette, come a Tor Vergata, dove, parafrasando un'espressione di S. Caterina da Siena, ha detto: "Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo!".
Come altre di Papa Wojtyla, è questa una frase su cui riflettere, una grande provocazione che oltrepassa il mondo giovanile e tocca ciascuno di noi. Il suo intento è quello di richiamarci alla necessità di una scelta, dell'uscire dalla routine, dall'abitudine, dalla mediocrità, dall'inerzia per "osare" di più.
Ci accade troppo spesso di sentirci "arrivati", di accontentarci di quello che possiamo fare, convinti di avere tutto il possibile e altrettanto certi che non vale la pena mettere a rischio ciò che già si è raggiunto per cercare l'impossibile.
Accade anche a noi del CSI. Siamo persone normali, gente che non ha grandi pretese… Brava gente che aiuta "se può", a patto di non rimetterci troppo e di non doversi minimamente esporre al giudizio del comune buon senso. Ci arrendiamo facilmente ad una sorte di mediocrità felice, alla quale siamo un po' tutti attaccati. Anche se in certi giorni la coscienza si impenna e ci fa vedere, come in brevissimo scatto di flash, che abitiamo zone di vita - familiari, associative, parrocchiali, sociali - prive di sogni, povere di coraggio, dove non abbiamo speso tutto ciò che potevamo dare. Ma sono solo attimi, che la voglia di crogiolarci nella sicurezza delle abitudini ci fa respingere quasi con fastidio. Salvo poi, quando leggiamo fatti strazianti di malessere giovanile, star lì a dirci: come è potuto accadere, visto che tutto
andava così bene? Di chi la colpa, visto che io la mia parte l'ho fatta?
A Tor Vergata Giovanni Paolo II ci ha detto ancora una volta che dobbiamo fare di più per i giovani, che dobbiamo lottare, avere coraggio, metterci in gioco, uscendo dalle abitudini e dalle attese di comodo per andare a cercarli i giovani, tutti i giovani, perché in loro, e solo in loro, c'è un'energia straordinaria che, se incoraggiata e "innescata", può cambiare la faccia del mondo.
Tutta la comunità cristiana è chiamata a giocare questa "grande partita" con i giovani, così come la comunità civile e lo stesso mondo dello sport.
Ma con i giovani devi giocare a carte scoperte, senza trucchi e ipocrisie, altrimenti li perdi. La domanda è: il mondo dello sport può permetterselo questo lusso?
Se pensiamo agli eccessi, alle avidità, agli egoismi che inficiano il fenomeno sportivo ai suoi diversi livelli, nessuno escluso (e mettiamoci anche il CSI), la risposta è che qualcosa dobbiamo cercare di cambiare se vogliamo riconquistare l'attenzione e la stima delle fasce giovanili. "Riconquistare" perché è innegabile, cifre alla mano, che i giovani si stanno allontanando dallo sport, e al massimo lo considerano un effimero diversivo.
Cambiare come? Tra breve arriva il Giubileo degli sportivi. Sarebbe bello se, nell'occasione, il frenetico mondo dello sport accantonasse per 48 ore la sua frenesia e si fermasse a riflettere sulla sua raggiunta incapacità di toccare nel profondo il cuore dei giovani. Con amore di verità e spirito di conversione, come si addice ad una ricorrenza giubilare.
Ricordiamo le parole di Giovanni Paolo II: "Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco al mondo". La nostra mèta è limpida: mettere tutti i giovani in condizioni di tirare fuori il meglio di sé, di realizzarsi come persone in grado appunto di "mettere fuoco al mondo". Se tradisce questa sua vocazione, lo sport diventa una povera kermesse, un battere la grancassa sul nulla, l'ennesimo cattivo maestro di cui i giovani non hanno bisogno.
MENSILE DEL CENTRO SPORTIVO ITALIANO
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Numero 8/9
agosto/settembre 2000
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«Decidersi da “giovani” e partire per l’avventura del “donarsi” è il modo più giovane per andare incontro alla vita.
La giovinezza non è un’età ma una stagione del cuore »
servizi
04Ancora la chiamno olimpiade di Alberto Caprotti
06Nel CONI tutto lo sport di Giampiero Spirito
10«Cosa siete venuti a cercare?» Speciale GMG 2000
17Si sogna e si suda di Bruno Longhi
20Momenti di sport di Marco Pigliacampo
21Ma il cinema non è lo sport di Alessandro Rampietti
30Pillole di Olimpiadi di Alessandro Cappelli
32Un nuovo sport: lavorare di Candido Cimino
40Con lo sport si può di Danilo Vico
56Pagaia e faretra di Danilo Vico
vitacsi
08Che successo...! di Nando Chioni
18Paolo Borghi di Felice Alborghetti
38Animare suonando di Danilo VIco
39“Ciclone” Friuli di Paola Zelanda
42Stadium sport in tour di Felice Alborghetti
47Intenzionalmente interregionale di Manuel Zenobi
51sentinelle nello sport di Massimo Achini
dossier
24Giubileo degli sportivi di Andrea De Pascalis
rubriche
34Uno sport alla volta: Calcio di Stefano Faletti e Marco Marazzi
49Parole di sport: Sogno di Claudio Arrigoni
50Formare: Scuola permanente di Michele Marchetti
52Salute: il calcio di Sergio Cameli
54Comunicare di Marco Pigliacampo
58Tutto leggi a cura di Francesco Tramaglino
61Allo specchio: “Abbiate premura dei giovaniì” di Tito Della Torre
62Planning
64Il racconto di Edio Costantini
di Alberto Caprotti
Per medaglia o per passione: lo sport a due velocità
Ancora la chiamano Olimpiade
saranno anche questo, ma da lontano quei cinque cerchi si scorgono appena, intrecciati come sono in una speranza di pace e di purezza che non è più nemmeno un’illusione. Eppure per tutta l’estate hanno provato a stupirci con effetti speciali perché sbandierare l’olimpismo è la tattica preferita e obbligata che ogni quattro anni diventa regola. Ma il risultato è una patina fragile stesa sulla corazza indelebile di un sistema che sopravvive a se stesso soprattutto per produrre denaro e vendere bugie. L’Italia ha scelto un portabandiera nero, splendido esempio di svolta, ma la domenica ulula e fischia dietro agli atleti di colore del nostro campionato, mirabile esempio di coerenza. Cuba ha monopolizzato le polemiche della vigilia rifiutando il permesso ad una saltatrice di gareggiare con i colori di un’altra nazione «per salvaguardare il rispetto delle regole olimpiche» tacendo sul fatto che nel frattempo decine di atleti ogni anno fuggono da quel che resta dell’oscurante regime di Castro. Sydney invece si vanta della «meravigliosa organizzazione» moderna ed ecologica dei suoi Giochi, mentre le fondamenta dello stadio Olimpico si reggono su un’enorme discarica e gli aborigeni australiani fuggono lontano, esiliati dal razzismo sgomitante di chi deve dar vita al megaraduno e non ha tempo né voglia per rispettare i diritti dei più deboli. Storie già sentite, situazioni già vissute ovunque. Inevitabili forse ma tali almeno da impedire di stendere il lenzuolo bianco della fratellanza e dello spirito universale dello sport che tutti unisce e tutti pacifica. Le Olimpiadi numero 27 della storia poi saranno per forza la più grande parata dei tempi moderni, supereranno Atlanta nei numeri, nella grandiosità e nel narcisismo e tutti saremo lì a stupircene, dimenticando che Atlanta fece lo stesso nei confronti di Barcellona e Barcellona surclassò Seul in una perenne moltiplicazione di gigantismo che non corrisponde assolutamente alla crescita vera dello sport, quadriennio dopo quadriennio sempre più ingobbito sotto problemi antichi che non riesce a risolvere.
Nessuno si illude che debbano essere tre settimane di Giochi ad eliminare il doping sempre più sofisticato dei nostri tempi, nessuno pretende che il trionfo «sponsorizzante» del business si plachi proprio in occasione della festa suprema dei mercanti dell’agonismo, ma un minimo di sincerità quella occorre ritrovarla. Per eliminare almeno una volta per tutte quella scomoda parola che unita al mito di Olimpia stride da anni e fa venire l’orticaria: il dilettantismo. Non cercatelo a Sydney perché non lo troverete, nemmeno nascosto nelle pieghe delle piccole-grandi imprese di atleti che diventano tali solo una volta ogni quattro anni, nemmeno nei muscoli sottili di chi si presenterà in quelle discipline strane e dimenticate, nemmeno nei nomi sconosciuti di quegli eroi minimi che saliranno sul podio e guadagneranno i titoli dei giornali prima di tornare nell’anonimato. I Giochi, da Barcellona in poi, almeno questa ipocrisia l’hanno persa rinunciando all’imbarazzo di dover spacciare per colombe candide le facce anonime di tanti protagonisti. Chi arriva a gareggiare alle Olimpiadi è comunque il prodotto di una selezione rischiosa e spietata, sia che faccia parte del plurimiliardario squadrone del «Dream Team» americano di basket sia che tiri al piattello o spari con una pistola di precisione. È un professionista che lavora a tempo pieno, corteggiato dagli sponsor, cicatrizzato dall’impegno dell’allenamento: solo la fama e lo stipendio cambiano perché le discipline povere, povere restano. Ma lo sport di vertice non può sfuggire alle regole della concorrenza e a Sydney non si arriva sul podio dopo aver trascorso una vita a lavorare in banca o a insegnare letteratura in una scuola.
Lo sport a due velocità, quello di chi punta alle medaglie - con sacrificio a volte disinteressato certo, ma stravolto dall’ammaestramento quotidiano, dalle diete studiate al computer e da un agonismo comunque fuori dal normale - e quello di chi suda ancora solo per passione e per far crescere la propria identità prima
è mai né mai potrà essere uguale per tutti.
Il traguardo, quello poi resta estremamente incerto. L’ennesima Olimpiade della fratellanza nasce con la solita pretesa di inventare una tregua mondiale mentre intorno la battaglia di ogni giorno prosegue, tra tensioni etniche, guerre dimenticate, conflitti religiosi. I cinque cerchi di Sydney si intrecciano sotto la perenne minaccia di azioni terroristiche mentre il suono sordo della bomba che squassò la finta pace di Atlanta rimbomba ancora nelle orecchie di chi c’era e non dimenticherà l’orrenda assurdità di quello schiaffo. Altro che olimpismo allora, lo sport unisce e resta un’oasi solo per chi la cerca veramente e vive per crearla. Non a Sydney, non in tre settimane di esasperazione, non in mezzo a squadre che sfileranno variopinte e ordinate mentre un mostruoso servizio di sicurezza guarderà loro le spalle. Non è questa la
sede per cambiare lo sport e il mondo, non può esserlo in mezzo a duecento e più bandiere diverse e nessuna bandiera bianca. Quella dovrebbe esistere, una sola, lontana dal cerchio del Nord e quello del Sud, dal cerchio della fame e da quello dello spreco, il cerchio della civiltà e quello dell’arroganza. Chiedere uno sforzo simile allo sport e solo allo sport è sin troppo, pretendere rivoluzioni di questo genere da chi corre in maglietta e pantaloncini non è nemmeno onesto. Chi continua a farlo ogni giorno con entusiasmo e disinteresse non deve andare fino a Sydney per dimostrarlo. Per questo può permettersi di godersi lo spettacolo di un’altra Olimpiade senza simboli e con qualche promessa appena. Andiamo a divertirci, proviamo ad applaudire chi salta, gioca e si batte senza sentirci complici né colpevoli. Niente di più, niente di meno. Nient’altro.
Intervista a Gianni Petrucci presidente del Comitato Olimpico Nazionale
«Nel CONI tutto lo sport»
“Lo sport sociale rimane nel CONI". Spazza via tutti i dubbi Gianni Petrucci, alla vigilia della partenza per le Olimpiadi di Sydney. Il presidente del CONI ci riceve di buon mattino, nel suo studio, al primo piano del palazzo H del Foro Italico e regala certezze al vasto movimento dello sport di base. «Il Comitato dello sport per tutti si farà e comprenderà gli enti di promozione che sono la più bella novità della riforma dello sport», assicura il massimo dirigente nazionale che riconosce al CSI un ruolo fondamentale. «Sono particolarmente legato al Centro Sportivo Italiano - racconta Petrucci -. Le mie prime esperienze sportive calcistiche sono legate, infatti, proprio al CSI. Da ragazzo andavo a
giocare al Sacro Cuore, a via Marsala a Roma. Ma non è per questo fatto che mi è caro e che il CONI guarda con simpatia a questo ente. Il CSI si è guadagnato la stima del mondo sportivo per ciò che ha fatto e che sta facendo. Oggi c'è un nuovo presidente, Costantini, che è partito molto bene. Non posso dimenticare Mosella che è stato un gran presidente e che sta ben lavorando per il Giubileo, non solo degli sportivi».
Proprio nell'attività iniziale della nuova presidenza riconosciuta da Petrucci si evidenzia una volontà di collaborazione per l'unitarietà dello sport. E allora cosa si sente di chiedere, il presidente del CONI, all'ente di promozione più diffuso sul territorio?
Non dobbiamo chiedere qualcosa di particolare al CSI e agli Enti. Sono loro che stanno facendo molto. Vorrei che fosse chiara una cosa: oggi le federazioni hanno altri compiti, non possono pensare di coprire l'ampio spazio degli enti di promozione che svolgono benissimo la loro funzione sociale, nella quale il CSI è all'avanguardia.
Qualcuno però vorrebbe portare gli enti fuori del CONI
Non scherziamo, lo sport sociale è dentro, sotto tutti i punti di vista. Prima bisognava avere la legge, oggi abbiamo una normativa. Qualcuno magari è scontento, definisce palliativi alcune iniziative, io dico invece che bisogna approfittare della legge nella maniera più intelligente.
Allora finalmente si farà il comitato sport per tutti?
Certo che si farà, con tutti i 13 enti all'interno. Ci sono state delle discussioni ma alla fine è prevalso il buon senso di non lasciare fuori nessuno.
Tranne le regioni che non vogliono farne parte.
Non dò loro torto. Le regioni sono nevralgiche nel funzionamento non solo dello sport ma del Paese. Riaffermo che siamo disponibili a collaborare.
A che punto è la riforma dello sport?
È una questione in discussione. Il decreto Melandri è stato applicato. La bella novità sono gli enti di promozione sportiva, oltre al diritto di voto per atleti e tecnici. Rimangono dei punti da chiarire e l'occasione sarà fornita, non so quando, dalla Conferenza nazionale dello sport.
Ma si svolgerà mai questa Conferenza, continuamente rinviata?
Deve convocarla il ministro vigilante Melandri. Io credo che si farà.
Con il peso di 500 miliardi che il Governo ha concesso al CONI.
Chiariamo che il Governo ha il dovere di aiutare i cittadini a praticare lo sport. Acca-
Di fianco: il presidente della Repubblica Ciampi consegna a Carlton Myers la bandiera italiana per i Giochi Olimpici. Nella pagina precedente: Ciampi riceve da Petrucci il modello della fiaccola olimpica.
de in tutte le parti del mondo. Non deve sostenere le attività sportive per simpatia o carineria… Il rapporto 50/50 tra il CONI e lo Stato è saltato. La nostra porzione si è notevolmente ridotta.
Colpa anche vostra se l'organizzazione sportiva è diventata povera?
Innanzitutto c'è stata una concorrenza di altri giochi dovuta al fatto che lo Stato ha deciso di rifondersi e finanziarsi con lotto e lotterie. Il totocalcio e il totip hanno dovuto così subire pesanti concorrenze. Probabilmente anche noi abbiamo fatto degli errori ma non in proporzione così grossa da determinare l'attuale minor introito. E poi voglio ricordare che il minor introito per le casse del CONI è anche un minor introito per lo Stato. Il sistema attuato finora e invidiato in tutto il mondo di autofinanziamento dello sport italiano funziona e lo voglio difendere. Però ha bisogno di ritocchi.
L'accordo con l'Enel che avrebbe risollevato le finanze del CONI sembrava fatto ed è invece fallito Sono pronte alternative? Dobbiamo aprire un'asta pubblica per acquisire partner nella gestione dei concorsi. Abbiamo raggiunto un'intesa con il ministro vigilante sulle pratiche da sbrigare per accelerare i tempi.
«Il CSI si è guadagnato la stima del mondo sportivo»
Un impulso a tutto il movimento può arrivare dai risultati degli azzurri ai Giochi Olimpici. Con dieci medaglie d'oro può dirsi chiaramente soddisfatto… Non parlo di medaglie. Non è una medaglia
in più o in meno che ti fa dire che una nazione è brava e merita rispetto. Molte volte sono sfuggiti per un soffio ori, argenti e bronzi. L'Italia non è stata campione d'Europa di calcio per venti secondi. Quando ero presidente al basket non andammo in semifinale con gli Stati Uniti per un canestro sbagliato di Myers all'ultimo secondo. Certo chi vince alla fine ha sempre ragione ma anche i buoni piazzamenti sono risultati positivi.
A proposito di Myers, il nostro portabandiera, secondo le critiche avrebbe dovuto aprire la sfilata azzurra a Sydney un atleta con più allori, tipo Andrea Gardini, capitano della nazionale di pallavolo pluricampione d'Europa e del mondo, oppure Antonio Rossi che ad Atlanta conquistò due medaglie d'oro nella canoa. Non riesco a capire perché questa scelta abbia suscitato dispiaceri ed entusiasmi. Non stanno scritti da nessuna parte, nelle regole del CONI e tantomeno dello Stato, i criteri per scegliere il portabandiera. O che si debba aver partecipato o vinto a più olimpiadi. Abbiamo cambiato una tradizione che magari i miei successori modificheranno
ancora. Myers è capitano della nazionale di basket campione d'Europa, nessuno può discutere la sua bravura. È italiano ed ha solo la pelle di colore diversa dalla nostra che non guasta certo in questo periodo multietnico e multirazziale. Una scelta demagogica? Non credo. Il presidente della repubblica Ciampi l'ha condivisa e anche la maggior parte degli italiani si sono mostrati favorevoli.
A meno di un mese dalla fine delle Olimpiadi ci sarà il Giubileo degli sportivi. Quale sarà l'impegno del CONI?
Il 29 ottobre allo stadio Olimpico di Roma, il Papa celebrerà la Santa Messa. L'avvenimento sarà preceduto da un simposio internazionale sugli argomenti di carattere religioso-sportivo. Stiamo seguendo il programma con Mons. Sepe ed il CONI, in collaborazione con la Lega calcio di A e B e l'A.S.Roma, sta organizzando una partita di calcio amichevole tra la nazionale italiana ed una selezione di "all stars" internazionali. Una manifestazione importante alla presenza del Sommo Pontefice. Inoltre stiamo cercando di far gareggiare allo stadio Olimpico i finalisti dei 100 m di Sydney 2000.
di Nando Chioni
Convention degli arbitri e giudici di gara
Che
successo...!
CChi l'avrebbe detto? A dare il "fischio d'inizio" della 1ª Convention nazionale a loro dedicata sono stati contemporaneamente gli oltre 460 arbitri e giudici di gara che gremivano la sala del Palazzo del Turismo di Riccione. Un numero di presenze che ha stupito tutti, andando decisamente al di là di ogni attesa. Non bisogna dimenticare, infatti, che questa Convention è stata "pensata" in giugno e che il programma è arrivato alla periferia solo nello scorso mese di luglio. Un numero di presenze, dunque, che testimonia il desiderio degli Arbitri di sentirsi
parte viva ed attiva dell'Associazione e che da solo vale più di mille discorsi. "Questo consiglio nazionale - ha spiegato in apertura il vicepresidente nazionale Achini - è stato eletto quattro mesi fa e si è ritrovato subito ad avere a che fare con numerosi impegni sportivi, formativi, associativi e politici. Per questo ha avuto coraggio nel decidere che questa iniziativa andava realizzata ed andava realizzata subito. Così come ha avuto coraggio ciascuno di voi, decidendo di non lasciarsi scappare questa occasione nella speranza di vivere una tappa importante della vita del CSI".
A dare contenuto alla Convention sono stati due giorni di lavori intensi, ritmati, senza mai un attimo di noia e con la sala sempre gremita dai partecipanti (il che accade raramente...).
In apertura, nella mattinata di sabato, subito un "piatto forte" con una tavola rotonda alla quale hanno partecipato l'arbitro internazionale di calcio Fiorenzo Treossi, l'arbitro internazionale di basket (ora a riposo) Maurizio Martolini, il responsabile del settore tecnico della FIPAV Benito Montesi e Fabio Pizzul, giornalista, nel ruolo di moderatore e conduttore.
Nella pagina precedente: Da sinistra,il vicepresidente nazionale Massimo Achini, l’arbitro internazionale di basket Maurizio MArtolini, il responsabile del settore tecnico della FIPAV Benito Montesi, l’arbitro internazonale di calcio Fiorenzo Treossi, il Coordinatore nazionale dell’Attività Sportiva Renato Picciolo, il giornalista Fabio Pizzul
Due ore di "botta e risposta con tantissime domande da parte degli arbitri CSI. Impossibile riassumere tutto quello che è emerso nel corso di un dibattito che resterà a lungo nella memoria e nel cuore dei presenti.
Una nota, invece, per sottolineare quello che, sinceramente, non ci aspettavamo. Che dire di un Montesi che dichiara con orgoglio di aver iniziato ad arbitrare nel CSI? E di un Martolini che con la sua sim-
patia sottolinea più volte il fatto che gli arbitri del CSI devono essere orgogliosi di essere tali e infischiarsene di chi li considera "di serie B"? Ed ancora che dire di un Treossi che ha semplicemente incantato con la sua cordialità ma anche con il suo forte e autentico spirito educativo?
Il pomeriggio, invece, abbiamo deciso di "giocarcelo in casa".
È stato così il Coordinatore Tecnico nazionale Renato Picciolo a spiegare le grandi novità del "sistema arbitrale del CSI" con particolare attenzione al come e perché si è deciso di arrivare all'ufficializzazione degli Albi regionali e nazionali.
In pratica, a partire da questa stagione sportiva, nella direzione di "partite da arbitrare per tutti ma a misura di ciascuno" i DDG che saranno utilizzati per le gare regionali e nazionali dovranno ricevere un'abilitazione e frequentare stage collegiali di aggiornamento.
Anche qui ampio dibattito, interrotto solo dall'atteso intervento del Presidente nazionale Edio Costantini che ha sottolineato le motivazioni che devono animare il cuore di ogni operatore del CSI, arbitro compreso.
"Questa Convention - ha ricordato inoltre il presidente - non vuole essere una tappa isolata. Diventerà un appuntamento fisso per il prossimo quadriennio e vi dico con chiarezza che l'anno prossimo vogliamo superare le 1500 presenze".
Da record anche la partecipazione alla Santa Messa, celebrata dal consulente ecclesiastico nazionale mons. Vittorio Peri. Ed infine serata libera utilizzata dai più per conoscere "colleghi" di altri Comitati, per scambiarsi esperienze e per stringere amicizie destinate a durare nel tempo.
La mattinata della domenica si è invece aperta con la presentazione del Day Arbitro. Una iniziativa ambiziosa che può essere sintetizzata in due proposte: una grande campagna nazionale di comunicazione per cercare nuovi arbitri ed un week-end nel quale tutti gli arbitri del CSI rinunciano alla loro diaria per dare vita ad un grande progetto di solidarietà.
Successivamente il Coordinatore della Formazione Michele Marchetti ha fornito
utili indicazioni su come questo settore si metterà al servizio delle esigenze dei Gruppi Arbitrali provinciali. Una novità su tutte. La Presidenza nazionale sta pensando alla realizzazione di alcuni CD-Rom ed il primo sarà proprio dedicato interamente alla figura dell'arbitro.
Tutti sono tornati a casa da Riccione con grande entusiasmo e con alcune consapevolezze. C'è la volontà da parte dell'Associazione di valorizzare fortemente il servizio arbitrale; c'è la volontà da parte degli arbitri e giudici di gara di sentirsi parte viva dell'Associazione, di confrontarsi e di crescere insieme; c'è nella nostra classe arbitrale una grande maturità educativa. Una maturità che consente di cercare insieme nuovi percorsi per qualificare sempre meglio questo importantissimo ruolo. Ci sono tante cose da fare e c'è già all'orizzonte la 2ª Convention nazionale ad attenderci.
«Cosa siete venuti a cercare?»
Sette giorni indimenticabili che hanno testimoniato al mondo di che cosa sono capaci oggi i giovani.
Sette giorni intensi, tutti diversi ma "momenti irripetibili" di un'unica grande esperienza. Li ripercorriamo attraverso le immagini che vi proponiamo in queste pagine.
Sono immagini che parlano da sole e che raccontano parte di quello che è accaduto a Roma: dall'accoglienza del lunedì a San Giovanni in Laterano ed in Piazza San Pietro al pellegrinaggio in via della Conciliazione attraverso la Porta Santa sin dentro la Basilica; dal momento della riconciliazione al Circo Massimo alla Via Crucis dall'Ara Coeli al Colosseo. E le notti tra musica, teatro, meditazione prima di tornare a dormire in parrocchie, scuole, palestre e famiglie. Ed infine Tor Vergata, le due lunghe marce di andata e ritorno, la Veglia e la Santa Messa con il Santo Padre in splendida forma.
Sappiamo bene che racchiudere tutto questo in poche pagine è praticamente impossibile. Ma le foto e le parole del Papa che abbiamo scelto sono sufficienti per testimoniare le emozioni indimenticabili che hanno accompagnato quei giorni.
«Cari amici, vedo in voi le “sentinelle del mattino” in quest’alba del terzo millennio»
«Se sarete quello che dovete essere, metterete fuoco in tutto il mondo»
«Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti»
«Al termine di questa Giornata Mondiale, guardando a voi, ai vostri giovani volti, al vostro entusiasmo sincero, voglio esprimere, dal profondo del cuore, un grazie sentito a Dio per il dono della giovinezza, che per mezzo vostro permane nella Chiesa e nel mondo. (...) Tornando a casa, non disperdetevi. Confermate ed approfondite la vostra adesione alla comunità cristiana a cui appartenete. (...) Guardo con fiducia a questa nuova umanità che si prepara anche per mezzo vostro, guardo a questa Chiesa perennemente ringiovanita dallo Spirito di Cristo e che oggi si rallegra dei vostri propositi e del vostro impegno»
di Bruno Longhi
Quando il calcio va in vacanza
Si sogna e si suda
Il sole batte a picco sugli ombrelloni che nascondono la spiaggia. Il mare è una tavola blu. È tempo di vacanze. Di relax. E di parole regalate al vento. Si parla, si progetta, si sogna. Nelle infinite chiacchierate sulla battigia il calcio tiene banco.
Incredibile ma vero, si vendono più quotidiani sportivi di questi tempi che le squadre sono ancora ai box e la stagione agonistica è solo materia per pronostici e previsioni.
È un dato, se vogliamo, inquietante: perché la gente legge di più quando ci sarebbe meno da leggere?
La spiegazione più banale è che essendo in vacanza il lettore ha più tempo a disposizione. La riflessione più ponderata ci induce invece a credere che "la fabbrica dei sogni" (tali sono i giornali sportivi d'estate) è più apprezzata degli scritti relativi al calcio giocato. Insomma: le chiacchiere fanno "audience", i fatti molto meno.
Ciò significa o significherebbe che quello del calcio è un pubblico di tifosi-sognatori, non di sportivi. E che quindi è più che attendibile quel teorema secondo il quale la partita non è affatto un evento che produce spettacolo ma il pretesto per chiacchiere e polemiche, per anticipazioni e previsioni.
C'è chi sogna e suda pensando a Rivaldo. C'è chi suda e sogna pensando a... Paramatti. È il caso dei componenti l'Equipe Romagna, i cosiddetti disoccupati del calcio che a Milano Marittima si allenano duramente nella speranza di ritrovare un ingaggio e di ripercorrere le orme di Michele Paramatti che cinque estati fa era uno di loro e che oggi - dopo un lustro con la maglia del Bolognaha nel cassetto un "triennale" con la Juventus di 7 miliardi netti complessivi.
È anche questa una "fabbrica di sogni" e se vogliamo è anche la faccia meno luccicante della medaglia
del pallone. È un po' la metafora della vita: per uno che ce la fa tanti sono quelli che faticano a tirare fino alla fine del mese. Si suda e si sogna. Si sogna e si suda.
Chi invece si limita a crogiolarsi nella propria certezza, sono i presidenti delle squadre di calcio. Tutti convinti di avere speso bene i loro miliardi. Tutti convinti che sarà questo l'anno buono. Alla fine i conti - come la storia insegna - torneran-
no ad uno soltanto e gli altri si ritroveranno con un insuccesso in più, un deficit più corposo e una lunga lista di campioni senza valore da stipendiare controvoglia. Non è nostra intenzione - sia chiaro - criticare chi spende per rafforzare la propria squadra. Cerchiamo soltanto di censurare l'operato di chi investe a "capocchia", rincorrendo la propria astrusa fantasia senza il rispetto di un sano e valido progetto. E di presidenti così, purtroppo, ce ne sono tanti. Convinti di essere più competenti dei loro manager, dei loro allenatori, trattano i giocatori direttamente coi procuratori creando all'interno della società sconquassi di ordine tecnico, gestionale ed economico.
Anche questi, a modo loro sognano: di essere più bravi dei loro collaboratori, di dimostrarsi competenti, di non essere solamente dei ricchi scemi.
Ma alla fine soltanto l'organizzazione e la programmazione saranno vincenti.
Un'ultima considerazione: la Juventus ha investito molto sui giovani italiani come Zanchi, Maresca, Brighi, Massimiliano Vieri. Che sia questa una controtendenza atta a fare... tendenza? Auguriamoci che sia così perché ritornare al made in Italy non può non giovare all'intero movimento calcistico e alla nazionale del Trap. Una squadra italiana deve avere una chiara connotazione italiana sebbene impreziosita da campioni veri come Ronaldo, Zidane, Schevchenko, Batistuta, Veron, tanto per fare alcuni esempi.
Gli altri "carneadi" che nulla aggiungono al nostro calcio, e che tolgono molto spazio ai nostri giovani, beh... meglio lasciarli a casa loro. Bosman o non Bosman.
Intanto il sole batte a picco sugli ombrelloni che nascondono la spiaggia, il mare è una tavola blu. È tempo di vacanze, di relax, di sogni...
di Felice Alborghetti
Nati nel CSI
Paolo Borghi
Sono tante le possibili carte da giocare, raffiguranti atleti, dirigenti e tecnici "battezzati" dal Centro Sportivo Italiano. Dopo aver pescato nei mesi scorsi calciatori, allenatori, ciclisti, cestisti, ed averli giocati con disinvoltura, questa volta abbiamo trovato non un doppione, ma una carta doppia, nel mazzo dei Nati nel CSI: un autentico jolly. Paolo Borghi, prima atleta e poi dirigente, prima azzurro nella pallavolo, poi un lungo trascorso dietro le scrivanie del CONI, di cui è stato uno dei massimi dirigenti.
Quali sono i ricordi, i suoi trascorsi nel CSI , i suoi primi passi da atleta. Qual è stata la sua prima società?
La Robur di Ravenna, che faceva attività col CSI e contemporaneamente aveva una squadra di serie A, dove giocavo anch'io, che vinse ben 5 titoli italiani. Nel 1950, quando ci fu la sfilata a Roma davanti al Papa, venimmo con la tuta dell'Italia tutti noi atleti del CSI che eravamo in nazionale: dovevamo essere un po' i testimoni per i giovani. Ho continuato a giocare a pallavolo fino al 1952, quando ho dovuto smettere l'attività, a causa di un grave infortunio al ginocchio. Ho quindi cominciato a fare il dirigente sportivo, prima nello stesso CSI, dove divenni presidente provinciale a Ravenna. Favorii anche la nascita del comitato zonale di Faenza, perché allora la provincia di Ravenna era unica, mentre a Faenza c'era come tuttora una grandissima attività, e quindi creai anche una zona autonoma.
I suoi allenatori, qualche nome?
Sicuramente Costa, nome molto noto nell'ambito della pallavolo nazionale. Il nostro era un ricreatorio arcivescovile, dove si recitava, cantava e giocava. Erano in centinaia i ragazzi che passavano di lì, poi pian piano i più bravi emergevano. Però non è che uscissero, continuavano a fare attività all'interno, sempre gratis, s'intende. Perciò con una squadra molto affiatata siamo arrivati a vincere il titolo italiano e il nostro allenatore nel CSI era Angelo Costa, anch'egli iscritto nell'albo dell'associazione.
A che età è arrivata la maglia azzurra? Avevo 20 anni, nel 1949, in occasione del primo campionato mondiale di pallavolo che si svolse a Praga: una grandissima emozione. Ho sempre detto che quell'ambiente del CSI oltre a formare degli sportivi formava degli uomini, perché indubbiamente se vai a vedere tutti coloro che
vi sono passati, vedi che sono diventati massimi esponenti, grandi dirigenti sportivi. Adesso mi batto con la Diocesi perché si ripristini questo ricreatorio che non funziona più. La sede del Centro Sportivo Italiano è dentro questo ricreatorio, in qualche sua stanza, però in una situazione piuttosto statica, mentre avrei piacere che fosse ripristinato il vecchio ricreatorio, proprio come era, cioè un punto di riferimento giornaliero per tanti giovani che si avviavano allo sport.
Ma i valori educativi, ad esempio quelli tipici del CSI, si vanno perdendo anch'essi un po', come i ricreatori?
No. Non credo si vadano perdendo. Ho seguito sempre tutti i vari congressi, c'è stato sempre un grande impegno. Nella mia lunga carriera da dirigente del CONI sono stato sempre in stretto contatto con il Centro Sportivo, essendo a capo della Promozione Sportiva. Quando ero in quel servizio facemmo una convenzione con tutte le carceri d'Italia per fare delle attività per i carcerati. Andammo a Rebibbia, a S. Vittore… dappertutto. Ricordo ancora i primi corsi per i tecnici.
Quanti anni ha trascorso al CONI in quest'area della Promozione Sportiva?
Dal 1973 al 1993, un ventennio in cui il CONI ha avuto sempre ottimi rapporti con gli enti di promozione sportiva, sui finanziamenti, sui riconoscimenti, su tutto. Era il periodo in cui sbocciarono i Centri Giovanili e fiorirono i Giochi della Gioventù. Mi sono sempre sentito vicino al CSI, mi sono sempre ritenuto uno di loro. Ho perfino il distintivo d'oro del CSI, di cui vado ben orgoglioso.
Cosa ne pensa del nuovo statuto del CONI?
Non so quali frutti darà, per quanto riguarda gli Enti di Promozione. Costituisce questo nuovo settore autonomo di sport per tutti di cui faranno parte oltre agli enti di Promozione anche quelli locali e la Scuola e dovrà curare tutta l'attività promozionale. Non so però adesso come
Di fianco: Polo Borghi oggi.
Nella pagina precedente:
Campionati Mondiali del 1949 a Praga. Borghi è il secondo in alto da sinistra.
verrà gestita la crisi economica. Prima c'era l'articolo che affermava che al CONI era demandato il compito di riconoscere questi Enti, che poi si sono moltiplicati a dismisura anche senza una giustificazione. Un tempo avevano quest'estrazione anche abbastanza politica, poi con l'entrata in vigore della legge sul finanziamento ai partiti politici si sono un po' modificati, e adesso poi sono completamente fuori da questo discorso.
Cosa cambierà secondo lei nei rapporti tra Federazioni e Enti di Promozione? Non cambierà niente, però se continua questa crisi le Federazioni dovranno sempre più ritirarsi sotto l'aspetto dello sport agonistico, quindi non so se questo nuovo organismo avrà i mezzi e i finanziamenti per portare avanti il discorso della promozione.
Cosa c'è dietro l'etichetta "sport per tutti"? Quella cosa che ha sempre predicato il CSI: uno sport a misura d'uomo, cioè adatto a tutti, che non guarda tanto il risultato agonistico quanto la possibilità dello sport di contribuire alla formazione dei giovani.
Qual è lo stato d'animo di uno sportivo di fronte ad un evento come il Giubileo?
Io ho organizzato l'ultimo Giubileo, quello straordinario del 1983 e seguivo l'impostazione nuova. Mi sembrava una cosa molto importante. Da uomo di sport è stata sicuramente un'esperienza interessante e ricca di emozioni. Spero che l'imminente Giubileo degli Sportivi sappia trasmettere ancora una volta questo grande messaggio di vitalità cristiana e sportiva.
Quali sono stati i suoi successi più importanti?
La soddisfazione fu prima come atleta e poi come dirigente perché la Promozione Sportiva è nata qui al Foro Italico, dal 1973 in avanti, poi dopo nella Federazione Pallavolo dove durante la mia Presidenza ho vinto il titolo Mondiale e il titolo Europeo.
Quindi si può prendere spunto dal mondo della pallavolo affermando che il CONI, il CSI e gli Enti di Promozione Sportiva giocano sullo stesso campo, divisi sì da una rete, ma nella condizione di potersi passare liberamente la palla ? Sì, però con la raccomandazione che gli Enti di Promozione Sportiva ritornino soprattutto al discorso della promozione e non dell'agonismo perché non è che l'agonismo faccia tanto bene, se poi viene estremizzato.
In molte parti i rapporti Federazione-Enti sono conflittuali perché lavorano sullo stesso materiale; invece dovrebbe essere un materiale diversissimo: da una parte i giovani e gli anziani, dall'altra parte i grossi elementi che fanno dell'attività agonistica in cui ci sono di mezzo sponsor, finanziamenti e tante altre cose.
Lei è vicepresidente degli "Azzurri d'Italia", l'associazione che racchiude coloro che hanno dato lustro alla nostra nazione. A proposito della maglia azzurra, non trova strano che in queste nuove strategie di marketing ci sia la possibilità di vedere la maglia un po' in mano a tutti? Per fare sport ci vogliono molti finanziamenti e il CONI adesso è in forte crisi perché non ne ha più: lo sport ad alto livello non si fa senza finanziamenti. Fino ad ora sono venuti dai concorsi pronostici, però tutti sono stati obbligati ad andare a cercare gli sponsor, e quindi ognuno è anche soggetto agli sponsor stessi, anche se il CONIsta facendo sforzi enormi per mantenere la maglia pulita.
E il futuro per il CONI?
Speriamo che trovino un sistema per uscire dall'attuale crisi economica perché ne soffre tutto il mondo sportivo, compresi gli Enti di Promozione che hanno molti meno soldi e che possa essere rilanciata con il concorso di tutti l'azione di promozione sportiva. A questo peraltro dovrebbe provvedere il Comitato Nazionale Sport per Tutti, la cui istituzione è ora formalmente prevista dal nuovo statuto del CONI.
Momenti di sport
La straordinaria rovesciata di Pelè in "Fuga per la vittoria", i commoventi ralenti podistici di "Momenti di gloria", l'urlo di Rocky alla fine del match: "Adriana!!", sono scene memorabili che in tutto il mondo hanno suscitato intense emozioni. Sono scene di sport entrate di diritto nella storia del cinema, e che fanno parte della nostra storia personale, visto che le ricordiamo volentieri e con il sorriso sulle labbra. La "settima arte" ha raccontato spesso affascinanti storie di sport, soffermandosi ora sulle gioie del successo, ora sulle fatiche della preparazione o sul dolore delle sconfitte: elementi ideali per riempire lo schermo (il "grande schermo") di forti emozioni. Tutti, o quasi, ricordiamo "F u g a p e r l a vittoria", con l'interminabile partita di calcio, organizzata per pura propaganda nazista, tra una selezione tedesca e una squadra di prigionieri alleati. Nonostante la Resistenza abbia progettato la loro fuga durante la partita, i prigionieri preferiscono rimanere in campo per conquistare un eroico pareggio, siglato da un goal in rovesciata di Pelè che strappa l'applauso persino al generale tedesco. Anche se ambientato nella Parigi occupata del '43, rappresenta il più classico dei film americani sullo sport, dove ai protagonisti, ai "buoni", è sufficiente una grande volontà per battere i "cattivi", e qui infatti risulta determinante la straordinaria generosità di chi (Stallone) non capisce ancora la differenza tra calcio e rugby. Gli stessi livelli di coinvolgimento sono raggiunti da "Momenti di gloria", che racconta l'avventura olimpica del 1924 di due podisti britannici. Eric, religiosissimo, corre per la gloria del Signore, mentre Harold, ebreo, corre contro il pregiudizio della società protestante. Probabilmente un po' superficiale, giudicato da qualche critico come un film "dal facile sentimentalismo unanimista, leccato e patriottico", rimane senza dubbio come uno dei film sportivi più commoventi, tanto da vincere anch'esso la propria gara: Oscar come miglior film del 1981.
Ma aldilà delle scene spettacolari, aldilà
delle commosse lacrime che abbiamo versato per partecipazione, occorre dire che molti film sportivi altro non sono che film d'azione. Non si nota troppa differenza (il protagonista è sempre Tom Cruise) tra "Mission impossible" e " G i o r n i d i tuono", dove le scene di corsa automobilistica sono spettacolari scene d'azione, e tutto concorre a veicolare il deleterio messaggio che vincere è più importante che partecipare. Si tratta di un concetto tipico del cinema sportivo hollywoodiano, sempre tacito ma piuttosto evidente, che ritorna in molti film "di cassetta". "Voglia di vincere", ad esempio, è il classico film dalla solita morale trita, in cui il giovane protagonista capisce che nella vita si può vincere anche senza barare. Descrive perfettamente la grande superficialità e la forte ipocrisia di questo tipo di film, che
forma un vero e proprio genere, e che si può sintetizzare come storie di "sport nel cinema". Ciò che più ci interessano sono le storie (molto meno numerose) di "cinema nello sport", dove la macchina da presa entra davvero nella realtà del mondo sportivo per raccontarne episodi, personaggi, situazioni nascoste o controproducenti. Eppure non mancano esempi importanti. In "To ro s ca te n at o ", Martin Scorsese denuncia la violenza che segna i rapporti personali nel mondo della boxe, più fuori che dentro il ring, e che causa le pulsioni autodistruttive del protagonista, uno straordinario Robert De Niro, Oscar come miglior attore, ingrassato di oltre trenta chili per interpretare Jack La Motta da vecchio.
"I mastini del Dallas", di Ted Kotcheff, è una cruda denuncia del cinismo che domina lo sport professionistico, raccontando di un campione di football, interpretato da Nick Nolte, che, dopo essere stato spremuto dalla squadra, nel momento di una crisi psicologica viene relegato, solitario, in panchina.
Potremmo ricordare altri film di "cinema nello sport", o tentativi in tal senso. Compreso "Jerry Maguire", in cui il procuratore sportivo Tom Cruise (ancora lui…) impara quanto sia difficile conciliare amore e lavoro, denaro ed etica, amicizia e carriera. I dilemmi moralistici sono importanti, eppure non incrinano il tipico lieto fine hollywoodiano, specchio acritico e irritante del facile ottimismo che emerge dalla confusione dell'era contemporanea.
Preferiamo concludere ricordando "L 'uom o d e i s o g n i " , il film nel quale Kevin Kostner costruisce un campo da baseball dove riuscirà a giocare con grandi campioni del passato e ritrovare suo padre morto, con il quale aveva avuto un rapporto conflittuale: si tratta di un elogio dei sogni che rivendica la forza della fantasia di fronte alle ferree leggi del profitto e del mercato, anche come modo per ritrovare quella fiducia in se stessi che altrimenti si rischia di perdere definitivamente.
Ma il cinema non è lo sport
Un ragazzo palleggia su un campo da calcio senz'erba nell'assolata periferia di una grande città. D'un tratto, da fondo campo scatta in avanti palla al piede. Avanza nella sua corsa solitaria lungo il campo da gioco quando, sulla sinistra accanto alle panchine, un uomo in impermeabile si avvicina alla rete che delimita lo spazio. Il ragazzo è ormai al limite dell'area avversaria, si sente partire un tiro: il pallone finisce sotto l'incrocio dei pali. È l'inizio di "Ultimo Minuto" un film di Pupi Avati in cui Diego Abatantuono, l'uomo con l'impermeabile, è un talent scout cinico e disincantato, che vede nel ragazzo che si allena solitario nient'altro che un talento da trasformare in guadagni milionari.
La scena raccontata è una bella metafora visiva del mondo del calcio, e forse dello sport in generale. C'è il talento, la passione, il gioco, la fatica. C'è uno spazio, il campo da gioco, sorta di palcoscenico, dove ogni volta avviene l'azione, si ripete il rito, l'emozione passa attraverso il movimento. E intorno si avvicina il sistema, il potere economico con le sue regole, che codifica e riduce a prodotto la vitalità del genio sportivo.
Parlare dei rapporti che intercorrono oggi fra cinema e sport non è semplice, dovendo rapportarsi con un mondo dove tutti i mezzi che producono spettacolo sono strettamente correlati, sfruttando ognuno le risorse dell'altro nel rispetto delle stesse regole economiche. Lo sport di oggi passa tutto attraverso mezzi di comunicazione di massa simili al cinema, primo tra tutti la televisione, che rivoluziona l'evento a seconda dei suoi interessi. Negli Stati Uniti, che rimangono l'avanguardia delle trasformazioni che poi toccano il nostro paese, le partite di pallacanestro hanno time out imposti dalla pubblicità, così come nel football americano a due minuti dalla fine i consigli per gli acquisti partono quasi automaticamente. Così una partita dura tre o quattro ore con una ventina di minuti di gioco effettivo. La spettacolarizzazione e la dilatazione dei tempi assicurati dalla riproducibi-
lità tecnica hanno reso cinema e sport strutture appartenenti alla stessa categoria.
Il cinema è, come è stato detto, "l'unica vera arte del nostro secolo" perché nasce da una rivoluzione tecnologica, riprodurre il movimento, e sfrutta tutte le tecni-
che artistiche precedenti, dalla musica alla letteratura, rendendole necessariamente più superficiali. Non solo, essendo mezzo di trasmissione di una cultura di massa non si fonda su contenuti propri ma ha bisogno di altri contenuti, di altre culture. È una cultura che si basa su altre, che lentamente erode, trasformandone i contenuti in messaggi immediati e adatti alla massa di spettatori, inglobando così le altre realtà nella necessità di offrire sempre nuovo materiale spendibile, vivendo di piccole rivoluzioni.
Lo sport, come ogni altra nobile costruzione dell'uomo, rimane invischiato in questo leviatano culturale, diventando quell'enorme apparato economico creatore di spettacolo che ha bisogno di miti spettacolari da sfruttare e da moltiplicare all'infinito, finché spremuta anche l'ultima goccia ne crea un altro e il gioco continua.
Se consideriamo la situazione in questo modo, consci delle evidenti semplificazioni, difficilmente potremmo considerare il cinema un mezzo adatto a trasmettere il valore etico dell'attività sportiva, e ancora meno riusciremmo ad immaginare un cinema che si metta al servizio dello sport. Più naturale il contrario. Solitamente, ciò che ha interessato è stata la
possibilità di utilizzare un richiamo forte ed un palcoscenico riconoscibile (il ring o il campo) su cui raccontare "altre" storie. Lo sport offre al cinema un sistema di racconto già codificato, di cui il pubblico conosce le regole e i valori (ecco la difficoltà per noi europei di comprendere i film sul baseball o sul football americano). Una struttura su cui innestare storie di perdenti (come in "Boxe" e "Colpo Vincente" - entrambi con Gene Hackman - o di riscossa sociale da grande vincente, come la serie dei "Rocky"). Lo sport diventa un espediente narrativo per raccontare e trasmettere storie che raggiungono facilmente il pubblico. Nel cinema americano questo ha generalmente significato l'esaltazione dell'individualismo, del self made man che percorre il sogno americano, come in un western dove la frontiera è il campo avversario. Per questo diventa particolare ed importante l'esperienza di "Ultimo Minuto" che, al di là degli evidenti limiti formali, racconta una storia in ambito sportivo dimostrando il
massimo rispetto per l'origine del gioco. Nel raccontare "lo sporco mondo" del calcio di provincia, con i suoi intrighi e le sue piccole corruzioni, specchio di quelle ben più grandi, Avati decide di non mostrarci le azioni di gioco. Non sfrutta le possibilità offerte dal mezzo per spettacolarizzare la sacralità e la purezza dell'atto, la bellezza estetica del gesto atletico, come se inquadrandolo potesse snaturalizzarlo. Non a caso, la partita che termina il film è risolta mostrando i volti, gli spalti, mai l'azione. Una contraddizione importante: un mezzo come il cinema, che nel movimento trova la sua ragion d'essere, rinuncia alla possibilità di mostrare il dipanarsi dell'azione.
In "Mery per sempre" di Marco Risi, è il senso di aggregazione e la libertà di gioco insiti nell'attività sportiva a risolvere una sequenza. Recuperando un'intuizione dell'Antonioni di "Blow Up", Risi riprende i
ragazzi del carcere minorile di Palermo che continuano a giocare a calcio, con tanto di vivaci commenti alle azioni, anche dopo che le guardie hanno sequestrato il pallone.
Ma al di là di questi tentativi, è lo sfruttamento della spettacolarità il nodo centrale della questione. "It's all entertaiment!" dice il pugile (poi cantante) Jack La Motta - De Niro in "Toro Scatenato" di Martin Scorsese. È la presa di coscienza che tra il mondo dello sport e quello dello spettacolo non c'è più differenza: sentimenti ed emozioni sono esposti ed in vendita al miglior acquirente. Nel film, infatti, gli incontri di box sono rallentati e dilatati, distorti fino all'esagerazione. Rispetto ad Avati, la scelta di Scorsese è opposta: se per rispetto non si può rappresentare lo sport, allora, invece di nasconderlo, lo si amplifica all'infinito. Ma, attenzione, questo è proprio quello che succede nella realtà mediata: "La televisione ha rovinato tutto. Per far posto agli spot, uno scontro dura tre ore" commenta Oliver Stone, telecronista televisivo nel suo "Ogni maledetta domenica".
Alla fine rimane che cinema e sport si incontrano nel movimento. Alimento e forma di espressione per entrambi, mezzo e risultante del gesto atletico, fondamento ontologico dell'espressione cinematografica. Prima e al di là di ogni considerazione etica o economica, sfruttamento o esaltazione, è il ritmo di corse, lanci, tiri, salti, di corpi che si scontrano e sudano a sancire questo matrimonio. Un ring offre un palcoscenico circoscritto, un uomo, l'avversario, ed un mondo che li circonda. È una metafora della vita in movimento. Godard diceva: la fotografia è la vita. Il cinema è la vita 24 volte al secondo.
di Andrea De Pascalis
Quali orizzonti per il Giubileo degli sportivi?
Il calendario del Giubileo del 2000 fissa per il 29 ottobre il Giubileo degli sportivi. In realtà, l'ultima domenica di ottobre dovrebbe essere solo il punto di arrivo ufficiale di una settimana che il mondo dello sport, in tutte le sue componenti, in Italia e nel resto del mondo, dovrebbe dedicare all'evento giubilare in segno di partecipazione e di condivisione.
Man mano che la data si approssima, si comincia a leggere qualche commento infastidito sui giornali più attenti: cosa c'entra lo sport con il Giubileo? Cosa ha a che fare con un avvenimento di così grande spiritualità un fenomeno tanto profondamente terreno, per di più ormai fortemente orientato ad essere spettacolo a tinte forti?
Gli argomenti su cui interpellare la propria coscienza e fare gesti concreti di rinnovamento, non mancano. In questo contesto esploriamo alcuni semplici piste, le stesse su cui dovrebbero lanciarsi gli esperti che prenderanno parte al Simposio internazionale "Nel tempo del giubileo: il volto e l'anima dello sport" organizzato dal CSI il 28 ottobre.
Cosa può chiedere il Giubileo allo sport
Le grandi potenzialità del fenomeno sportivo lo rendono oggetto di grande attenzione da parte della Chiesa quale strumento per la promozione dell'uomo, di tutto l'uomo e di tutti gli uomini, e fattore rilevante per la costruzione di una società più umana.
il grAnde SABAtO dellO SPOrt
Sono obiezioni che nascono dalla disattenzione. Nella lettera apostolica Tertio Millennio Adveniente Giovanni Paolo II ha invitato chiaramente tutti i segmenti della cristianità a partecipare, ciascuno a suo modo, allo svolgimento del Giubileo: "(La Chiesa) invita tutti alla gioia e si sforza di creare le condizioni affinché le energie salvifiche possano essere comunicate a ciascuno" (TMA, 16).
In questo passaggio, come in altri della Lettera Apostolica, è implicita anche la risposta al timore che alcuni esprimono: che il Giubileo degli sportivi sia solo kermesse, una pur corretta e apprezzabile manifestazione di gioia che però non reca in sé alcun seme di particolare grazia.
Il Giubileo è cammino di conversione e di remissione delle colpe, è l'occasione ottima affinché i cristiani si pongano "umilmente davanti al Signore per interrogarsi sulle responsabilità che anch'essi hanno nei confronti dei mali del nostro tempo", poiché "L'epoca attuale, infatti, accanto a molte luci presenta anche non poche ombre" (TMA, 36).
Sulle responsabilità dello sport il magistero della Chiesa si è espresso più volte, richiamando l'attenzione sulle derive disumanizzanti che inquinano il fenomeno sportivo, sui rischi che le esasperazioni della commercializzazione conducano allo smarrimento etico e allo schiacciamento della dignità della persona umana.
Con quale spirito, allora, il mondo dello sport dovrebbe presentarsi all'appuntamento del 29 ottobre? Dopo quale percorso di riflessione e di conversione?
Proprio questa potenziale attitudine a comunicare valori, e ad educare i giovani, deve rendere i credenti e gli uomini di buona volontà particolarmente critici ed esigenti nei confronti dello sport odierno.
È qui la chiave della presa di coscienza generale cui il Giubileo invita il mondo dello sport: esso ha fatto il possibile per sviluppare ed incarnare questa sua attitudine, o si è lasciato andare alla tentazione di tradirla, inseguendo interessi talvolta agli antipodi?
Può lo sport impegnarsi a correggere la rotta, in un anelito di conversione che da un lato lo porti a non accettare ed a contrastare ogni suo aspetto deviante e contrario allo sviluppo pieno della persona, dall'altro lo metta nelle condizioni di sforzarsi per suggerire e incoraggiare nuovi modi di essere che abbiano al centro l'interesse per la formazione della persona e per la costruzione di una società più serena e solidale?
C'è una mèta lontana all'orizzonte, che la ricorrenza giubilare, invitando ciascuno ad un percorso di revisione e conversione, ci pone nella condizione di individuare: il fenomeno sportivo può contribuire ad edificare quella "civiltà dell'amore", fondata sui valori universali di pace, solidarietà, giustizia e libertà, che il Pontefice ha indicato tante volte come risposta alla crisi di civiltà odierna?
I volti dello sport: il fenomeno e il suo tempo
Una riflessione attenta dovrebbe partire da una considerazione: oggi non esiste lo sport, ma gli sport, nel senso che il fenomeno sportivo si frammenta in tante forme diverse che, pur richiamandosi a regole tecni-
che identiche, si sviluppano con prassi e significati differenti.
Una presa di coscienza del valore e del significato, in positivo e in negativo, che il fenomeno sportivo riveste nella società contemporanea, dovrebbe distinguere almeno tra:
•lo sport come spettacolo; •lo sport come pratica agonistica; •lo sport come attività di tempo libero. Ognuno di questi tre aspetti reca con sé le sue particolari responsabilità ed è portatore di particolari speranze. Le responsabilità, o se si vuole le inadempienze, di un'associazione come il CSI sono per forza di cosa differenti rispetto a quelle di una grande organizzazione dello sport di vertice. Così come sono diversi i mezzi, le possibilità di incidere sullo sviluppo della società.
È anche vero, però, che per non disperdersi in mille pieghe lontane dal senso del Giubileo, la presa di coscienza, l'analisi delle responsabilità, dovrebbero coagularsi sempre intorno ad una serena valutazione dei segnali di evoluzione e/o involuzione dei diversi segmenti dello sport in riferimento al rapporto tra sport e promozione umana.
L'anima dello sport: il valore di uno sport che si converte
Semplicisticamente si dice che, per partecipare del valore salvifico del Giubileo, il pellegrino che giunge a Roma per il Giubileo deve confessarsi e quindi varcare la Porta Santa. Nel suo senso pieno, ciò sta a significare che il cristiano compie un percorso (pellegrinaggio) che lo conduce, attraverso la consapevolezza del peccato, alla conversione e alla riconciliazione con Dio.
Questo percorso è lo stesso che devono compiere tanto le singole persone quanto le comunità, ci ha ricordato Giovanni Paolo II nella Tertio Millennio Adveniente. Perciò anche la comunità dello sport è tenuta allo stesso percorso, pur con i distinguo di cui si è detto circa le specificità dei diversi mondi dello sport.
In che modo - dopo aver preso atto ed essersi pentito di errori, infedeltà, incoerenze, ritardi - il mondo dello sport può collocarsi in un'ottica di conversione ed essere effettivamente essere "segno di speranza"?
Le prime e più semplici, ma forse per questo più efficaci, risposte sono suggerite dai significati stessi che il Giubileo,
qualsiasi Giubileo e non solo quello del 2000, porta in sé.
Il grande sabato
Tra i tanti libri e contributi che si sono sforzati di riassumere i significati più autentici del Giubileo, straordinario per semplicità ed efficacia, è "Giubileo. Il grande sabato" di Gianfranco Ravasi, al quale rubiamo alcuni spunti cercando di trasporli nello specifico dell'areopago dello sport.
Il suono del corno che apre il Giubileo connota l'inizio di un tempo speciale, i cui "segni" sono il riposo della terra, la remissione dei debiti, la liberazione degli schiavi, il perdono, la riconciliazione/conversione…
Cogliere fino in fondo la valenza di questi segni, apre piste insospettabili anche per lo sport, senza forzature, quasi per derivazione spontanea. Ecco qualche esempio.
•Il riposo della terra. La terra è l'anima dell'uomo. Lo sport non può impadronirsene in modo intensivo (lo sport che si impadronisce della Domenica, del Giorno del Signore). Né tanto meno può perseguire lo sfruttamento economico intensivo dello sportivo. È
In queste pagine: due momenti del Giubileo Internazionale degli Sportivi svoltosi a Roma il 12 aprile 1984.
un segno che ci parla dello sport come spazio di gratuità.
•La remissione dei debiti. Riguarda i "poveri" e i "bisognosi" dello sport, coloro che non sono ricchi di talenti e di opportunità, e che perciò sono tenuti ai margini del sistema: dai disabili agli anziani, dagli immigrati ai carcerati. È un segno che ci invita ad uno sport che divida equamente le sue "ricchezze".
•La restituzione delle terre. Le proprietà alienate o vendute dello sport: la gioia, il gioco, lo stare e il fare insieme, il corretto e felice rapporto con il corpo… Il tema è quello dello sport come terra "franca" su cui realizzare la "civiltà dell'amore" cui fa riferimento il Santo Padre.
•La liberazione degli schiavi. Gli schiavi dello sport sono tanti, alcuni reali e altri metaforici: dai bambini che cuciono palloni alle vittime del doping, dai giovani "incatenati" dal vincolo sportivo ai milioni di persone condizionati dal parossismo dello sport mediatico… Il tema è quello di uno sport che restituisca libertà ai suoi figli e diventi occasione di libertà per tutti
•Il perdono. Ci sono sportivi che hanno sbagliato: per doping, per ricerca del denaro, per ambizione smodata.
Spesso non sono nemmeno i più responsabili del degrado dello sport. Nella difesa di principio di una purezza che spesso è solo teorica, il governo dello sport fa di loro altrettanti "dannati della terra", emarginati cui è negato ogni dialogo. Il segno da dare è quello di un perdono vero, non solo amministrativo (amnistia dalle squalifiche).
•Riconciliazione/conversione. Non sempre è vero che lo sport unisce. Il tifo, ad esempio, divide, talvolta fino ad uccidere. Il segno da dare è quello del superamento delle fazioni e delle contrapposizioni, per uno sport che inviti all'amicizia, alla pace, all'integrazione tra le persone e tra i popoli.
Dall'utopia alla storia
Come sempre in questi casi, sulle questioni di principio è facile concordare. Più difficile è trovare il modo di accomunarsi in iniziative concrete.
Fare diventare storia le utopie del Giubileo è possibile, anche nello sport. Ed è questo in fondo - indicare una strada praticabile, dare il buon esempio - il senso riposto di quanto il CSI intende organizzare il 28 ottobre, a latere del Simposio di cui si è detto. Vediamo di che si tratta.
Tra i temi forti del Giubileo, come già
sottolineato, ci sono quelli della remissione dei debiti e della restituzione delle terre.
"Nello spirito del Libro del Levitico (25,828), i cristiani dovranno farsi voce di tutti i poveri del mondo, proponendo il Giubileo come un tempo opportuno per pensare, tra l'altro, ad una consistente riduzione, se non proprio al totale condono, del debito internazionale, che pesa sul destino di molte Nazioni". (Tertio Millennio Adveniente, 51)
Il Giubileo parla anche di giustizia, di una giustizia sociale da ripristinare per restituire l'eguaglianza tra i figli di Dio TMA, 13). E, infatti, dai paesi del Terzo Mondo giunge, in occasione del 2000, la richiesta di interventi che non siano solo di condono di qualche debito, ma rimuovano le cause strutturali del divario tra Paesi ricchi e poveri: "C'è bisogno di giustizia - dicono - non di carità".
Il Centro Sportivo Italiano ritiene che anche lo sport debba guardare, in occasione del Giubileo, alle periferie del mondo, interpellando la propria coscienza, per ripristinare per quanto possibile una giustizia che non c'è.
Stiamo imponendo ai paesi in via di sviluppo il modello del nostro sport spettacolo, che non è ciò di cui hanno bisogno i loro popoli.
Il Premio discobolo CSI
La Chiesa segue con grande attenzione l'evolversi del fenomeno sportivo nella società contemporanea, e non manca di sottolineare i rischi e le insidie che allo sport derivano da certe esasperazioni.
"Quando l'uomo organizza lo sport per il guadagno, tende allo spettacolo; quando in funzione dei trofei, mira alla vittoria; quando in funzione educativa, pensa alla persona" si dice nella nota pastorale Sport e vita cristiana dei vescovi italiani.
Per l'uomo lo sport non è un fine né un semplice mezzo, ma è, o dovrebbe essere, un valore, un fattore di civiltà.
Tra i problemi dell'attuale modello sportivo c'è l'esaltazione smodata del vincitore e la rimozione dall'attenzione collettiva di chi non è salito sul podio.
Le Olimpiadi sono lo specchio di questa visione distorta. Perciò, considerando che il Giubileo degli sportivi ha luogo poco dopo la conclusione delle Olimpiadi di Sydney, il Centro Sportivo Italiano ha deciso di assegnare il suo premio più importante "Il discobolo d'oro" ad atleti della spedizione azzurra che in Australia si siano segnalati per aver incarnato particolari valori umani,
Si creano tante aberrazioni:
•rubiamo bambini e giovani, attraendoli con il miraggio di diventare campioni;
•facciamo nascere un associazionismo sportivo distorto, che invece di proporsi come motore di aggregazione e di educazione tra i giovani, insegue la ricerca, la selezione e l'addestramento del campione;
•facciamo chiudere ai bisognosi dello sport le porte dei pochi impianti disponibili, perché siano riservati alle strategie dei nostri talent scout;
•stiamo facendo scomparire i giochi di movimento tradizionali, per convertire la gente al monopolio delle poche discipline dello sport spettacolo.
Su tutto c'è il nostro egoismo, per cui siamo pronti a festeggiare e ingaggiare la giovane promessa di colore, ma ci disinteressiamo delle condizioni di sottosviluppo in cui vive lo sport in quei Paesi lontani.
Sono problemi di cui il CSI è consapevole da alcuni anni, al punto di avere avviato in Africa, grazie a propri operatori volontari, programmi per formare dirigenti e tecnici, per far nascere società sportive, per trasformare spazi abbandonati in impianti di base, per abituare ragazzi e genitori all'idea di una pratica sportiva svolta gioiosamente e con continuità.
Di qui le due iniziative forti che il CSI ha inserito nel programma del 28 ottobre intorno a Castel S. Angelo, entrambe ispirate al concetto di uno sport che voglia ripristinare una propria giustizia nei confronti dei Paesi del 3° Mondo: •un meeting-incontro sul tema "Stop alla colonizzazione sportiva del 3º Mondo", con la partecipazione di rappresentanti dello sport africano (campioni come Milla o Weah, ma anche dirigenti volontari del giovane sport di
a prescindere dai risultati sportivi.
Il Discobolo sarà assegnato agli atleti che più di tutti avranno dimostrato di:
• saper vincere
• saper accettare la sconfitta
• concepire lo sport come amicizia
• avere rispetto per l'avversario
• vivere lo sport come gioia
• vivere lo sport come festa
• avere spirito di gruppo
• avere rispetto per se stesso e il proprio corpo
• non farsi dominare dalla ricerca del successo
A decidere i vincitori, uno per ogni categoria di valori, non sarà il centro Sportivo Italiano, ma gli stessi sportivi di tutta Italia, che potranno esprimere la loro opinione con il voto, anche collegandosi via internet con un portale prefissato.
La cerimonia di premiazione avverrà appunto a Roma, nel corso della manifestazione del 28 ottobre.
base africano), di rappresentati dello sport europeo e di rappresentanti delle istituzioni (sia il Parlamento europeo che quello italiano stanno legiferando per limitare/impedire lo sfruttamento sportivo del 3° Mondo);
•un'iniziativa di solidarietà che sia esemplare, mirando a fornire una scuola di un Paese africano di un impianto polisportivo progettato ad hoc, quale segnale del tipo di impiantistica da realizzare in loco e progettotipo, completo ma economico, da mettere a disposizione delle istituzioni locali.
Nella conclusione del "Grande sabato" Ravasi rimarca più volte la necessità di tenere alti gli ideali giubilari anche oltre il
Giubileo, perché certi temi che essi propongono non possono trasformarsi da utopia a storia nell'arco di un anno. Dobbiamo farne la nostra stella polare di orientamento per tutti gli anni a venire, per sperare di cambiare le cose. Così è anche per le idee forti su cui si cercherà di coagulare l'attenzione del mondo dello sport nell'ultima settimana di ottobre.
Poi dovrà necessariamente venire il tempo dei piccoli gesti, dei piccoli-grandi progetti ripetuti e ribaditi più e più volte come occasioni per smuovere le coscienze. Il "Grande sabato" non può che nascere come concatenazione di tanti "piccoli sabati" segnati dalla straordinarietà.
di Alessandro Cappelli
Aspettando Sydney 2000
Pillole di Olimpiadi
Da Atene 1896 a Sidney 2000. Centoquattro anni di sfide, di record, di storia. Dai rami d'ulivo con cui veniva cinto il vincitore ai premi da capogiro in danaro. Dalle centinaia di colombi fatti volare in cielo ai fuochi d'artificio. Dalle gare riservate ai soli uomini a quelle aperte a tutti.
Anche i mezzi di comunicazione hanno sempre accompagnato le gare olimpiche fino a diventare più importanti delle gare stesse. Oggi sembra che l'euforia del gioco sia passata e conti sempre più cercare la vittoria ad ogni costo e con ogni mezzo per garantire audience e business. Per questo le nostre pillole di Olimpiadi non sono medicinali, ma semplici flash-back, aneddoti di sport e di vita, relativi alle lontane edizioni dei giochi sportivi più affascinanti del mondo. Quando l'uomo, l'agonismo ed i veri valori erano gli unici protagonisti.
La FeDe
Grazie al film "Momenti di Gloria", sono in tanti a conoscere la storia del velocista scozzese Eric Liddel, che alle olimpiadi di Parigi del 1924, dopo aver vinto l'oro sui 400 metri, rinunciò a correre la finale dei cento, in quanto era contrario ai suoi princìpi religiosi gareggiare di domenica.
Analoga ma meno nota è la vicenda di Forrest Smithson ai giochi di Londra del 1908. Anch'egli per ragioni religiose voleva disertare la finale dei 110 ostacoli in quanto prevista di
domenica. Si lasciò convincere ma solo a condizione di poter correre tenendo una Bibbia nella mano destra. E fu così che Forrest vinse l'oro e stabilì il nuovo record mondiale con 15 secondi netti.
La reGIna DeLLe
SpeCIaLItà oLImpIChe
Il vero eroe dell'Olimpiade di Londra del 1908 fu Dorando Pietri, l'italiano vincitore della maratona che fu subito squalificato perché soccorso a pochi metri dal traguardo. La vicenda
commosse il mondo intero al punto che la regina Alessandra lo premiò come vincitore morale e Pierre de Coubertin - in quella circostanza - lanciò il motto: "L'importante dei Giochi non è vincere ma partecipare, così come nella vita l'importante non è trionfare ma lottare" come recitava il sermone di un vescovo americano.
Anche a St. Louis, quattro anni prima, nel 1904, la maratona destò grande curiosità. Si racconta, infatti, che al vincitore era stato promesso un bacio della bellissima Alice Roosevelt, figlia del presidente degli Stati Uniti. Ma la maratona ebbe un altro clamoroso colpo di scena: il vincitore, il cow-boy Fred Lorz, dopo aver ricevuto il premio confessò di essersi fatto accompagnare per gran parte della maratona da un carro e venne squalificato, così il secondo, Thomas Hicks - giunto al traguardo stravolto ed ansimante - fu riconosciuto vincitore della maratona. Soltanto dopo si venne a sapere che era stato aiutato da un dottore con delle
sostanze stimolanti. Fu la prima volta che si parlò di doping alle Olimpiadi.
SentIero
LuCente
Il pellerossa Jim Thorpe, proveniente dalla tribù Algonquin, detto Wa-Tho-Huch ("Sentiero Lucente" nella lingua pellerossa), è stato uno dei più grandi e sfortunati atleti che abbiano mai gareggiato nei giochi olimpici. A soli ventitré anni partecipò alla quinta edizione dei giochi, tenutasi a Stoccolma nel 1912, ottenendo la medaglia d'oro sia nel pentathlon che nel decathlon. Un risultato incredibile, un campione tra i più forti che lo sport abbia mai visto, ma con un destino beffardo in agguato che lo portò alla squalifica dalle Olimpiadi e alla riconsegna delle medaglie ottenute. Tutto perché pochi anni prima delle Olimpiadi aveva giocato a baseball percependo un povero stipendio, circa 60 dollari al mese, che gli servivano per mantenere la famiglia. Thorpe, che era stato premiato dal re Gustavo V di Svezia con le parole "Signore sono ammirato. Lei è il più grande atleta del mondo", fu costretto all'umiliazione di riconsegnare le medaglie al CIO.
In seguito divenne un giocatore professionista ma non gli rimasero molti soldi al momento del ritiro, ed il ricordo forte di quella sconfitta immeritata lo portò alla disperazione. Fu ritrovato morto in una roulotte il 28 marzo 1953. I suoi figli tuttavia non si arresero ed il 18 gennaio 1983, a Los Angeles, il presidente del CIO riabilitò Jim Thorpe e riconsegnò le medaglie alla famiglia.
A lui venne dedicato anche un film interpretato da Burt Lancaster: "Il gigante dello stadio".
Le CurIoSItà
Fatto del tutto simpatico è il debutto italiano alla gara di pallanuoto delle olimpiadi di Anversa del 1920, nella quale gli atleti, essendo costretti a gareggiare nelle freddissime acque del porto, al termine di un primo tempo terminato in parità, si rifiutarono di tuffarsi per terminare la partita.
A Parigi, nell'Olimpiade del '24, il torneo di calcio riscosse dal pubblico molti assensi. La selezione italiana viene oggi ricordata non tanto per la finale raggiunta e poi persa contro l'Uruguay, ma per il gran tiro che un giocatore azzurro sferrò verso la porta del Lussemburgo in una delle prime gare e che staccò totalmente la lingua al portiere.
La tenaCIa
Alle Olimpiadi di Parigi del 1900, Ray Ewry commosse gli spettatori: poliomielitico, riuscì a superare l'handicap ed a vincere le tre gare di salto da fermo: il lungo, l'alto e il triplo.
A Los Angeles nel 1932, invece, ci fu un'atleta così speciale che riuscì a vincere insieme alla sua squadra il torneo di pallanuoto con solamente una gamba. Un'impresa apparentemente impossibile, ma che il grande Ungherese Oliver Halassy riuscì a realizzare grazie alla sua tenacia e alla voglia di arrivare.
IL mIto
James Cleveland Owens, "lampo d'ebano", detto Jesse per via della pronuncia delle sue iniziali (Jay Si), prima di diventare il più grande personaggio sportivo del XX secolo, nonché simbolo dell'atletica e delle Olimpiadi, fece il lustrascarpe, il fattorino, il giardiniere, lo strillone e il gelataio. La sua storia all'inizio non è dissimile da quella di milioni di ragazzi neri del periodo della Depressione. Miseria e povertà, arrangiarsi per trovare da vivere. Diventò campione di atletica quasi per caso: perché non aveva i soldi per comprarsi le divise e le attrezzature per gli altri sport. Secondo il suo allenatore, Larry Snider, sarebbe divenuto il numero uno in qualunque disciplina si fosse cimentato. Il suo cruccio, infatti, fu quello di non averlo mai allenato per il salto in alto. Owens viene ricordato anche come simbolo dell'uguaglianza: le quattro medaglie d'oro sparate in faccia a Hitler durante l'Olimpiade di Berlino del '36 resteranno un'immagine indelebile del Novecento. Anche se non è vero, come si racconta, che il furher si rifiutò di stringergli la mano. L'unico atleta, infatti, a cui Hitler non strinse la mano fu l'americano di colore Cornelius Johnson vincitore del salto in alto. Si dice che la gara finì in tarda sera e che il capo del nazismo se ne era
Di fianco: Jim Thorpe durante la gara del salto con l’asta alle Olimpiadi di Stoccolma del 1912. Sotto: Ray Ewry, l’americano vincitore delle gare di salto nelle gare olimpiche di Parigi nel 1900. Nella pagina precedente: Dorando Pietri all’arrivo della maratona dell’edizione londinese delle Olimpiadi del 1908.
andato da tempo adducendo "motivi di governo". Forse veri, forse no.
La proteSta
Uno dei fatti più clamorosi avvenuti nel corso di una Olimpiade, accadde il 17 ottobre del 1968 a Città del Messico, quando Tommie Smith e John Carlos, rispettivamente primo e terzo nei 200 metri, salirono sul podio a piedi nudi sollevando il pugno alzato ed abbassando la testa quando venne sollevata la bandiera americana, in segno di protesta verso i bianchi americani che consideravano i neri come "animali, buoni unicamente per correre più velocemente oppure per saltare più in alto o più in lungo" come disse Smith. Ventiquattro ore dopo anche Lee Evans, Larry James e Ron Freeman, primo, secondo e terzo nella gara dei 400 metri, salirono sul podio a piedi nudi, con il pugno alzato e con il basco
scuro delle "Pantere nere", suscitando questa volta l'ira degli organizzatori e di Pyton Jordan responsabile della squadra atletica che minaccia ritorsioni. Gli atleti vennero poi sospesi dalla Federazione americana.
La FIaCCoLa
Il viaggio della torcia olimpica di Sydney 2000 sarà il più lungo nella storia delle olimpiadi: il suo tragitto coprirà infatti 27.000 chilometri e saranno ben 10.000 i tedofori che parteciperanno a questo grande evento. Un percorso scelto per fare in modo che l'85% della popolazione australiana possa essere al massimo ad un'ora di macchina dal suo percorso. Durante il suo viaggio la torcia viaggerà anche in surf, in treno, su un aereo della Royal Flying Doctor Service, i famosi dottori volanti australiani, e verrà perfino trasportata su un cammello.
Un nuovo sport: lavorare
L’Italia è una Repubblica fondata sullo sport, più che sul lavoro. La tesi, per quanto provocatoria, viene confermata dai numeri di un sistema sportivo definito da cifre da capogiro, eppure ancora caratterizzato dal volontarismo, dalla spontaneità, dall'approssimazione.
Secondo il rapporto annuale del CONI, risultano operanti nel nostro paese più di 80.000 società sportive, attorno alle quali ruotano circa 600.000 dirigenti, 160.000 tecnici e 110.000 ufficiali di gara, masoprattutto - la bellezza di 54.000 miliardi di fatturato all'anno, di cui ben 33.000 del solo settore dilettantistico, e almeno 2.500 miliardi versati annualmente dagli sponsor.
Se è vero che i club più prestigiosi del paese possono contare su una platea internazionale praticamente sterminata (basti pensare che gli ultimi mondiali di calcio hanno registrato qualcosa come 37 miliardi di telespettatori), è anche vero che a rendere un'idea reale della popolarità italiana della materia può essere solo l'ISTAT, che valuta in addirittura 34 milioni il numero dei cittadini che vivono attivamente la pratica sportiva, ad ogni diverso livello, agonistico e non agonistico.
Sempre di più, in effetti, lo sport è innanzitutto pratica sportiva. Si tratta di una domanda in aumento progressivo già da parecchi anni, anche in termini di spazi e di attrezzature, ma ancora oggi la risposta che permette a questa domanda di non rimanere inevasa viene soprattutto da associazioni non profit e
società sportive che sono dirette, con tanta passione ma poca preparazione professionale, da un volontariato vivamente attivo, che opera sostituendosi alle carenze dell'intervento pubblico. Si tratta di un imponente esercito di 800.000 benemeriti che dedicano, spesso "regalano", allo sport 150 milioni di ore di lavoro all'anno.
È un dato che fa pensare, che conferma come la maggior parte delle persone considerino lo sport uno dei più importanti fenomeni della vita sociale dei nostri tempi, un momento di aggregazione per una migliore qualità della vita, un reale momento di crescita e di emancipazione. Ma proprio una considerazione così positiva dello sport, se accettata e condivisa, deve andare oltre la semplice idea di attività sociale, per diventare un diritto civile per i cittadini e un dovere per le istituzioni, che hanno l'obbligo di favorire lo sport "sano" in una realtà percorsa da moltissimi interessi.
Oggi, finalmente, oltre che essere sempre più un mondo che alimenta appetiti, lo sport comincia ad ospitare e sviluppare forme di organizzazione aziendale. Lo sport si sta evolvendo come ambito professionale, con l'introduzione di elementi applicativi che provengono da contesti come quello della gestione aziendale, delle regole amministrative e che, di fatto, stanno imponendo una nuova concezione gestionale delle società sportive, anche non profit. Secondo le stime di Nomisma, lo sport genera occupazione, anzi, è
uno dei pochi settori che negli ultimi anni non ha risentito della crisi e ha continuato a espandersi creando posti di lavoro.
Subendo l'evolversi del contesto economico, sociale e cul-
turale, lo sport, oltre ad essere diventato un business di livello internazionale, sta prendendo coscienza della necessità di disporre a tutti i livelli di operatori sempre più preparati. Perché al di là del
pianeta professionista, esiste il vasto mondo delle società dilettantistiche e amatoriali, che comunque esprime interessi, polarizza investimenti, intrattiene contatti con gli sponsor, ha una sua forma di pubblicizzazione attraverso i media locali e regionali. Di conseguenza, il modello di gestione della società sportiva legato al puro volontariato, alla semplice buona volontà del dirigente sportivo, si rivela inadeguato alle nuove esigenze. "Spesso ci troviamo di fronte a dirigenti in balia di se stessi, della propria passione, della propria inventiva - confessa il prof. Franco Ascani, docente universitario in Legislazione e Management dello
sport -. Invece, la formazione, l'aggiornamento e la tutela del dirigente e dell'organizzatore sportivo costituiscono la base indispensabile per lo svolgimento e l'ottimale esito di ogni manifestazione sportiva, che va intesa come un'impresa a contatto del mercato".
La necessaria evoluzione del ruolo del dirigente sportivo si può comprendere tenendo conto del grande numero di elementi che oggi complicano il suo ruolo: la maggiore complessità organizzativa, la grande variabilità dei compiti e dei contesti operativi, la diversificazione della pratica sportiva e dei praticanti, la burocratizzazione delle organizzazioni sportive basate sul volontaria-
I CORSI UNIVERSITARI
•Corso di perfezionamento in Marketing dello Sport, ISEF Roma
•Corso di perfezionamento in Direzione e gestione degli impianti sportivi, ISEF Roma
•Corso di perfezionamento in Sport e Management, ISEF Napoli
•Corso di perfezionamento in Management dello Sport, ISEF Firenze
•Master in Management delle Organizzazioni Sportive, Università di San Marino
•Corso Postlaurea in Diritto ed Economia dello Sport, Università di Teramo
•Scuola in Management dello Sport, LUISS Roma
to, le problematiche legislative e giuridiche che regolano l'attività e determinano le responsabilità, la spettacolarizzazione dei fenomeni sportivi, lo sviluppo dei nuovi media, la necessaria conoscenza di nozioni di marketing sportivo, la gestione delle risorse umane, dei rapporti con i tecnici e i collaboratori, la gestione strategica della società sportiva.
Non è un caso che sempre più spesso fra i dirigenti, in aggiunta alle figure tradizionali come quelle del Presidente, del Segretario e dell'Amministratore, si possono trovare altre figure dirigenziali quali il General Manager, il Direttore
Sportivo, il Direttore Marketing e figure professionali di varia natura, come il responsabile dei problemi economico-finanziari, il responsabile della manutenzione degli impianti, il responsabile alla comunicazione, responsabili amministrativi, del marketing, addetti stampa, medici, psicologi, e altre figure ancora.
Le Università si stanno preparando a rispondere a queste esigenze, ma la sfida riguarda innanzitutto l'associazionismo sportivo: il suo futuro dipende in gran parte dalla preparazione di nuovi quadri e nuove professionalità di cui lo sport ha sempre più bisogno.
LE NUOVE PROFESSIONI
brand manager content provider consulenti di organizzazione/gestione consulenti di pubbliche relazioni consulenti nella ricerca delle sponsorizzazioni direttori finanziari direttori marketing esperti di comunicazione esperti di fund raising esperti di match analysis esperti di new media gestori di banche dati gestori di complessi polisportivi gestori di operazioni di licensing organizzatori di eventi sportivi e fieristici project manager progettisti di formazione programmatori di computer responsabili della formazione sviluppatori Web
Stefano Faletti e Marco Marazzi
Calcio e
Calcio, parola magica ma soprattutto evocativa di gesta ed imprese custodite gelosamente nella memoria dei singoli e della collettività: i mondiali del 1982, le innumerevoli e ricorrenti sfide della massima serie, il recente Europeo. Ma in cosa si sostanzia realmente questo sport, lo sport per antonomasia, il più praticato, amato, discusso dagli italiani? Difficile dirlo, non basta comunque affermare che il calcio coincide semplicemente con le singole percezioni, men che meno con la percezione più diffusa: lo sport dei campioni, dei divi, della mitologia dei nostri anni. Accanto al calcio professionistico, che indubbiamente è lavoro, business, squadra-azienda, e sulla cui natura pochi dubbi sono rimasti, vi è un calcio dilettantistico che molto si avvicina a quello professionistico; scendendo verso la base troviamo il calcio amatoriale, che emerge prepotentemente con attività di tornei e campionati nelle quali, pur mantenendo caratteristiche di agonismo e impegno elevati, la scelta del "gusto di giocare a pallone" e stare in compagnia prevale sulle altre motivazioni. C'è poi il calcio giovanile, nel quale, società professionistiche, dilettantistiche ed amatoriali si cimentano con sforzi ed obiettivi spesso totalmente differenti. Anche il calcio femminile è una realtà che sta guadagnando spazio, luce e dignità ad una velocità impensabile fino a pochi anni orsono. Ed infine, ultimi solo in ordine di citazione, il calcio a sette ed il calcio a 5 o calcetto, che sta vivendo un vero e proprio boom di iscritti. Le dimensioni ridotte dei campi, l'ubicazione spesso al coperto, la velocità delle giocate e dei capovolgimenti di fronte, il numero elevato di gol ed altri fattori ancora lo hanno portato a conquistarsi uno spazio ampio e ben definito nel panorama calcistico. Il calcio a sette, che in alcune zone viene trasformato a sei o a nove giocatori, sembra quasi figlio del bisogno di muoversi e giocare anzitutto al di là degli spazi ridotti. Ed il CSI ha promosso con decisione questo calcio atipico perché luogo privilegiato per lo
sport di base, dove oltretutto i bimbi ed i ragazzi muovono i primi passi da calciatori in spazi più consoni alle loro capacità ed all'età, favorendone un migliore apprendimento dei gesti motori. Calcio e dintorni… dintorni degni di attenzione almeno quanto il calcio stesso.
Calcio scommessa
Non è un errore di stampa, comunque niente a che fare con il più noto calcioscommesse, episodio triste e controverso dei primi anni '80 che ancora oggi lascia dubbi e perplessità sull'esito di alcune partite di serie A. È la scommessa educativa del CSI, la grossa sfida dei nostri giorni. Affiancare il teatrino di provincia del giornalismospazzatura, sia televisivo che cartaceo, con una cultura che promuova altri modi di pensare e porsi rispetto ai problemi, e che possa favorire la crescita delle nuove generazioni. Gli operatori di società sportiva, soci o dirigenti o allenatori che siano, devono essere i primi a crederci: il calcio nella sua completezza di disciplina che si rivolge allo sviluppo cognitivo, sociale, emotivo, motorio del giovane è strumento privilegiato di crescita per il singolo ed anche per la collettività. Costruire uno sportivo sano attraverso uno sport valido, è gettare la base per un futuro di grande respiro dove l'orientamento ai valori sportivi (fairplay, sacrificio, spirito di collaborazione, agonismo, solo per citarne alcuni) rientra nel più ampio contenitore dell'idea cristiana di uomo e di sua presenza nel mondo. Difficile e impegnativo.
Veicolare valori invece di trasmettere semplici messaggi verbali, che spesso possono essere aforismi vuoti od inflazionati, è scommessa e sfida al contempo. Mostrare il valore del fairplay testimoniandolo con azioni concrete sul campo, vivere gli avversari come tali e non come nemici soprattutto nei momenti in cui sembrerebbero esserlo, vivere la partita come momento ludico e gioioso e non come episodio bellico, sono solo alcuni spunti che possono trasformare il calcio
in grande occasione per fare qualcosa di importante. Ma la grande occasione non è solo per i destinatari ultimi e principali del servizio calcio: l'occasione è per tutta la società sportiva ed il gruppo di adulti che si muove attorno alla squadra di calcio. Perché proprio questa disciplina?
Per le caratteristiche del gioco o meglio, per sfruttare bene alcune peculiarità che lo contraddistinguono, commisurandole ai giovani. Ad esempio:
• è uno sport di contatto, quindi richiede un'elevata gestione dell'emotività anche per i continui scontri con gli avversari;
• è uno sport di situazione, quindi richiede un'elaborazione continua di strategie per prevedere l'azione successiva e risolvere i problemi;
• è uno sport collettivo, quindi richiede la sinergia di più individui per un risultato che è "sopra" ai singoli. Scommessa, sfida, cultura, orientamento ai valori e quanto altro ancora oltre il semplice rincorrere un pallone.
La scuola per il Mister SNES, ossia Scuola Nazionale Educatori Sportivi, articolata per livelli, con la possibilità di essere istituita dai Comitati provinciali, regionali e, nella sua massima espressione, dal centro nazionale.
Per un impegno così grande il Mister ha bisogno assoluto di supporto, informazione, formazione, confronto. La scuola del CSI fornisce questo prezioso contributo. Dicevamo articolata per livelli, più precisamente tre e dopo essere divenuto educatore sportivo (la qualifica dell’allenatore CSI) di terzo livello la possibilità di conseguire una ulteriore specializzazione, cioè divenire Formatore di tecnici. I tre livelli hanno programmi ben distinti
dintorni
e suddivisi per aree; l'educatore sportivo della disciplina calcio si confronta con le problematiche di ordine tecnico, tattico, atletico, metodologico, medico, psicologico e di regolamento arbitrale. Una formazione completa ed approfondita sempre orientata nella direzione dello sport di servizio dell'uomo, che non esula dalla ricerca di una specificità di intervento in ambito sportivo, dove significato particolare viene dato a strumenti tecnici propri del calcio.
Calciatori si nasce e si diventa
La semplicità con cui si attua il gioco del calcio, dà la possibilità a tutti di praticarlo: basta un pallone di qualsiasi dimensione, due sassi per delimitare la porta ed uno spazio di qualsiasi tipo di superficie. Il difficile è poi colpire la palla per mandarla dove si vuole, dosare la forza per fare un passaggio…, infatti il giocatore di calcio deve essere dotato di un bagaglio motorio assai ampio che gli consenta di poter esprimere azioni muscolari quali scatti, salti, corse prolungate, tuffi…, movimenti che esprimono un alto grado di agilità e destrezza. Oltre a ciò deve essere in possesso di ottime capacità tattiche, ovvero deve saper interpretare la situazione in atto, saper decodificare per anticipare ciò che accade e ciò che verosimilmente accadrà. Anche il patrimonio tecnico dovrà comprendere tutti i fondamentali del gioco del calcio, che, supportati da una buona motricità, permettano di esprimere l'azione più peculiare del gioco stesso: il dominio del pallone, quella caratteristica che consente espressioni qualitativamente elevate e complesse delle giocate.
Tutto ciò è raggiungibile attraverso doti già innate (solo per pochi fortunati) o
attraverso un percorso formativo che porterà all'acquisizione di capacità che realizzano il calciatore.
Improvvisare? No, grazie È quindi importante la realizzazione di una programmazione accurata da parte dell'allenatore che comprenda lo sviluppo di tecnica, tattica, preparazione fisica, preparazione psicologica. È importante sottolineare che la programmazione dell'iter formativo del calciatore si realizza attraverso una sequenza di fasi progressive. Lo sviluppo di una fase prepara lo sviluppo della successiva. Se una particolare funzione non viene realizzata, all'interno di una determinata fase, vengono a mancare le condizioni per un suo ulteriore sviluppo nella fase successiva. Possiamo delineare cinque grandi fasi di sviluppo, ognuna delle quali presenta obiettivi e modalità di attuazione particolari: • 6/10 anni SVILUPPO DELLE CAPACITÀ PSICOMOTORIE E DELLA FORMAZIONE GENERALE attraverso lo sviluppo degli schemi motori e la ricerca della sensibilità dei gesti utilizzando attività e giochi di grande movimento, imitativi, derivati e propedeutici del calcio, facendo largo uso della palla, promuovendo apprendimenti di carattere generale, trasferibili anche in altri sport, con obiettivo il raggiungimento del fine comune (collaborazione, socializzazione) e la conoscenza e padronanza del proprio corpo;
• 11/13 anni AVVIAMENTO SPORTIVO E PERIODO DELLA PREPARAZIONE SPECIFICA INIZIALE, sviluppando e ricercando obiettivi che realizzino il perfezionamento e la padronanza del gesto, assimilando gli elementi fondamentali della tecnica, nell'ottica del confronto con l'avversario, mantenendo però il gioco ancora come elemento determinante dell'apprendimento. Obiettivi da perseguire sono la polivalenza e la multilateralità, lo sviluppo delle capacità condizionali, il perfezionamento degli schemi motori di base;
• 14/16 anni SPECIALIZZAZIONE, con l'attenzione rivolta alla scelta del ruolo
dell'atleta, all'acquisizione di abilità tecnico-tattiche, all'incremento delle capacità condizionali;
• 17/18 anni PERFEZIONAMENTO SPORTIVO che pone come obiettivi principali il perfezionamento delle abilità tecnico-tattiche, la prestazione in gara e lo sviluppo selettivo delle capacità condizionali;
• oltre i 18 anni GRANDE FORMA, con obiettivo la ricerca della massima prestazione in gara.
Nella stesura della programmazione devono svilupparsi gli obiettivi che si vogliono raggiungere, e che possiamo dividere in:
• generali: si riferiscono alle capacità e alle abilità che stanno alla base della costruzione di qualsiasi prestazione sportiva;
• specifici primari: si riferiscono alle abilità tecnico-tattiche calcistiche;
• specifici secondari: si riferiscono alle capacità motorie.
Se gli obiettivi tecnico-tattici quali l'acquisizione dei fondamentali calcistici o il sistema di gioco da applicare sono di facile riscontrabilità, bisogna anche realizzare percorsi per sviluppare tutti quegli obiettivi che riguardano l’area socio-relazionale ed affettiva del calciatore (bambino o adulto che sia).
Determinante è anche la scelta degli strumenti che servono a realizzare gli obiettivi, ma soprattutto devono dare la possibilità al calciatore di esprimere la sua personalità. Quindi, quale strumento migliore del gioco? Poiché attraverso il gioco è possibile sviluppare, migliorare, comprendere la tecnica, la tattica ed anche la parte atletica; tutto ciò comporta solo la volontà di conoscere, formulare e preparare esercitazioni adeguate all'età e al grado di conoscenze tecnico-tattiche degli allievi, alla situazione ed alla realtà locale per poter sviluppare al meglio il calciatore che è in ognuno di noi.
Preparazione fisica
In una partita di campionato professioni-
stico, su 90' di gioco si contano, in media, 60' di gioco effettivo.
I giocatori, in relazione al ruolo svolto, si impegnano in corse e spostamenti, percorrendo circa 3 km di marcia e 7 km di corsa di cui il 60% di corsa lenta aerobica, il 25% di corsa ad andatura media ed il 15% di corsa ad alta intensità (scatti con accelerazioni su distanze comprese fra i 5 e i 30 m; solo il 5% degli scatti e su distanze superiori ai 50 m). È ciò che fa rappresentare il calcio come un esercizio intermittente di alta intensità, con pause largamente variabili, un'attività metabolica di tipo misto, dove i processi energetici aerobici ed anaerobici vengono sollecitati in maniera alternata.
Da questa analisi si deduce che la preparazione fisica deve essere mirata allo sviluppo di:
• resistenza alle ripetizioni di sprint (resistenza breve);
• forza esplosiva;
• resistenza aerobica (utile alla rapida ricostruzione delle riserve energetiche di cui si deve fare uso).
Preparazione tecnica
La tecnica nel calcio si può riassumere come il possesso dei fondamentali, cioè di quei gesti motori che consentano il trattamento efficace della palla per poter svolgere il gioco in modo funzionale. Il tiro, il passaggio, lo stop, il colpo di testa, la conduzione, la finta ed il dribbling, la tecnica del portiere, la rimessa laterale, il contrasto: questi i fondamentali del gioco del calcio.
Ma come possono diventare strumento educativo dei semplici gesti motori? Consideriamo, ad esempio, l'arresto della palla (o stop); si può sviluppare semplicemente come miglioramento del gesto tecnico finalizzato alla corretta esecuzione, oppure anche come strumento di crescita personale. Invitare allo stop della palla è richiedere assunzione di responsabilità nell'azione di gioco, disponibilità al confronto con l'errore, che a volte può essere addirittura plateale perché lo stop è spesso un movimento difficile, eseguito in situazioni di tensione, deve cioè sussistere la volontà di accettare e confrontarsi con i propri limiti, è disponibilità all'interazione comunicativa, causata dall'eventuale insofferenza dei propri compagni, dell'allenatore o addirittura di chi guarda la partita, in seguito all'errore. Tutti i fondamentali della tecnica calcistica si prestano a questa lettura; il passaggio, ad esempio, è strumento formidabile per lavorare sulla collaborazione, sul decentrare da sé per considerare l'altro una risorsa per giungere alla soluzione di un problema, per costruire una rete comunicativa di passaggi, essenza del
dialogo calcistico. Allo stesso tempo il colpo di testa spesso è più prova di coraggio che di tempismo.
Sviluppare la tecnica, come per la tattica, può essere anche un modo per promuovere l'evoluzione di aspetti del carattere e del comportamento.
Preparazione tattica
La tattica è la capacità di ogni singolo giocatore di applicare le proprie conoscenze tecniche alla situazione al fine di raggiungere l'obiettivo preposto dalla strategia (che è la scelta di un comportamento
finalizzato al risultato e viene definita PRIMA della gara).
Essendo il calcio un gioco collettivo se ne deduce che la tattica è la capacità di collaborare per raggiungere il fine comune, concetto di collaborazione che si realizza in fase d'attacco con il movimento di smarcamento per ricevere la palla ed in fase difensiva con il raddoppio di marcatura per il recupero della palla. Collaborare significa anche condividere e mettere a disposizione della squadra le proprie conoscenze e capacità tecniche, evidenziando le potenzialità individuali ma allo
stesso tempo mostrando ed accettando i propri limiti. Ciò significa assumere un ruolo.
Distinguiamo quattro ruoli fondamentali: il portiere, coraggioso, con grande senso della posizione in relazione alla palla, con personalità e inclinazione al comando, fisicamente molto dotato; il difensore, temporeggiatore, con senso della posizione rispetto all'avversario, buon colpitore; il centrocampista, ragionatore o incontrista, ottimo senso della posizione in relazione alla palla, ai compagni e agli avversari, buona tecnica di tiro e passaggio,
fisicamente resistente; l'attaccante, opportunista, senso della posizione in relazione alla porta avversaria, buona tecnica di tiro, fisicamente veloce e rapido. La scelta del ruolo non deve avvenire solo sulla base delle caratteristiche morfologiche e prestative dell'allievo, ma deve anche considerare le capacità caratteriali dell'individuo, deve ciò avvenire cercando di sviluppare tutte le potenzialità della personalità del calciatore. Soprattutto nei campionati giovanili il ruolo non deve essere un freno alla vitalità motoria del ragazzo, imprigionandolo
in schemi o limitandone l'azione e, quindi, la partecipazione al gioco stesso. Ultimo elemento essenziale della tattica è l'organizzazione, che viene impartita dall'allenatore, al fine di coordinare le azioni e l'efficacia delle capacità del collettivo. L'organizzazione ha anche una funzione fondamentale nell'efficacia dello sviluppo della seduta d'allenamento. La seduta d'allenamento deve perciò essere strutturata secondo una progressività di impegno fisico e psichico per favorire l'apprendimento degli obiettivi che l'allenatore vuole sviluppare. Essa è composta da una fase iniziale, il riscaldamento, che ha il compito di preparare l'organismo ai carichi successivi; da esercitazioni analitiche, nelle quali, in assenza dell'avversario, il calciatore può concentrarsi esclusivamente sul gesto tecnico o motorio; da situazioni di gioco, in cui in presenza dell'avversario ma senza alternanza fra attacco e difesa, l'allievo risolve situazioni motorie che ritroverà in gara; da giochi a tema, in cui, con alternanza fra attacco e difesa e con particolari obiettivi, il giocatore applica le proprie conoscenze tecnico-tattiche; dal gioco, in cui l'allenatore verifica il proprio operato, ossia verifica se gli obiettivi che voleva sviluppare sono stati recepiti.
La partita: mèta finale?
La partita è il momento in cui il giocatore realizza le proprie potenzialità.
In base alle categorie, la partita può durate: annicalcio a 11calcio a 7calcio a 5 8/1240'
12/1460'40'
16/1780'60'
dopo i 1790'60'50'
I giocatori che vi partecipano devono rispettare un regolamento composto da 17 regole, fatte osservare da un arbitro e due guardalinee.
Obiettivo del gioco è realizzare più reti dell'avversario.
Ma può essere solo questa la nostra mèta?
Riteniamo utile evidenziare che, soprattutto in ambito giovanile, la partita deve essere considerata un ulteriore, anche se speciale, allenamento, dove verificare i miglioramenti ed applicare le nuove conoscenze; il momento per imparare il significato di vittoria e sconfitta, che devono essere vissuti senza eccessivi trionfalismi o drammi. In generale la partita deve essere vissuta come momento di incontro (non solo per i giocatori ma anche per i tifosi), con agonismo ma non antagonismo, deve essere il momento mas simo educativo, deve cioè essere punto di partenza per la nuova progettualità.
di Danilo Vico
Napoli: corsi di chitarra per aggregare i ragazzi
Animare suonando
Una musica può fare… cantava
Max Gazzè al suo debutto al Festival di Sanremo dello scorso anno. "Una musica può fare rumore, amare soltanto parole, una musica può fare parlare soltanto d'amore" era scritto nel ritornello di quella bella canzone. Se la musica può fare così tanto, perché allora non sfruttarne questi aspetti, questi pregi e queste virtù. Detto e fatto: ci ha pensato il CSI di Napoli. Sulla scia del
associazioni (come il CSI) ed altre persone. Fare di questi giovani, a volte emarginati, dei protagonisti. Come? Regalando loro una chitarra, la possibilità di imparare questo antico strumento a sei corde, insieme ai propri coetanei. Il progetto si chiama "Animare suonando", realizzato dal CSI partenopeo, in collaborazione con il 94º servizio alle politiche per i minori dell'Assessorato alla Dignità del Comune di Napoli. L'obiettivo è quello di aggrega-
comunale, verranno smistate nei tre centri di riunione:
•quello in cui si concentreranno i ragazzi di Soccavo, Pianura e del quartiere Fuorigrotta;
•quello per i ragazzi delle zone Ponticelli-Barra-S. Giovanni; •la sede del CSI, situata nella zona centrale della città, dove si ritroveranno per suonare gli scugnizzi dei quartieri spagnoli (Stella-
“Ciclone” Friuli
Da diversi anni il Comitato CSI di Pordenone e quello Regionale è impegnato nella campagna di sensibilizzazione e diffusione dello sport come supporto riabilitativo e come veicolo d'inserimento sociale.
Che l'attività fisico-sportiva costituisca un elemento di benessere generale, fisico e mentale è assodato; vale doppiamente per le persone con qualche tipo di disabilità fisica. Lo sport quindi, sotto l'aspetto terapeutico, sottolinea il diritto del disabile a praticare varie discipline sportive onde riacquistare fiducia nelle proprie capacità e migliorarle, ritrovando il gusto del competere e di raggiungere traguardi sempre più significativi.
In Italia l'attività sportiva dei disabili è purtroppo considerata come un fenomeno d'eccezione ed il risultato agonistico, a volte pari o superiore al normodotato, viene scarsamente rilevato dai massmedia e dal CONIstesso.
I disabili sono considerati "atleti di serie B" così come sembrano essere le Paraolimpiadi, menzionate solo per episodi che suscitano "curiosità" negli sportivi. Il portatore di handicap viceversa desidera sempre più "scendere in campo" e cimentarsi in nuove discipline sportive, effettuare nuovi incontri ed incrementare il proprio bagaglio culturale, socializzare, allargare i propri orizzonti e le proprie esperienze di vita.
In Friuli, la collaborazione della Socie tà sportiva di di -
sabili "Basket e non solo" ha messo a frutto diverse iniziative miranti alla ricerca di nuove strade per aggregare atleti disabili.
Un motore propulsore di questa società è il prof. Claudio Bardini, allenatore di basket: per molti è stato appunto questo il primo sport praticato. Successivamente si sono cimentati nel nuoto, nel tennistavolo, nello sci, nel karting, nel tennis, nella vela e nel ciclone.
Quest'ultima disciplina è stata introdotta da Giovanni Angeli di Castions di Zoppola (PN), grande appassionato di bicicletta. Ha iniziato l'attività facendo il maratoneta su una carrozzina spinta a mano, ma la sua grande passione restava la bicicletta. Cominciò allora a modificare la propria carrozzina fino a costruirsi da solo il ciclone, una carrozzina dinamica con agganciata sul davanti una parte di bicicletta coi "pedali" spinti con le mani. Dotato di cambio con rapporti, il ciclone è un mezzo col quale si possono raggiungere anche velocità interessanti (35/40 km/orari).
La FISD, a differenza di altre federazioni europee, non riconosce, come disciplina federale, quest'attività e di conseguenza Angeli non può, col suo ciclone, partecipare a competizioni Europee.
La Società Sportiva "Basket e non solo" insieme al Comitato CSI di Pordenone, al Comune di Zoppola e col patrocinio della FISD friulana hanno orga-
nizzato il 2 settembre il "1º Giro del Friuli in Handy Bike" affinché la federazione riconosca in forma ufficiale questa disciplina, sempre più in espansione, e permetta agli atleti di competere in tutta Europa.
Quest'avvenimento ha monopolizzato un’intera cittadina che si è riversata sulla strada ad applaudire i 30 atleti presenti provenienti dall'Alto Adige, da Varese, Bergamo, Milano, Pisa, Firenze, Padova, Ferrara, Torino, Udine e Pordenone. Nella stessa giornata si sono inoltre raccolti dei fondi da destinare alla famiglia di un giovane arbitro di 20 anni, in coma da tre anni: un elemento di solidarietà tra sportivi, che sanno cosa vuol dire la sofferenza, a comprova di come lo sport unisca altissimi valori sotto la propria bandiera.
Presenti alle premiazioni le maggiori autorità locali, molto soddisfatte per l'ottima riuscita ed il successo della manifestazione. Il bel tempo, il pranzo offerto dagli organizzatori a tutti i partecipanti, il calore del pubblico, la gioia nel sentire che il prossimo anno questa disciplina sarà finalmente riconosciuta dalla FISD, hanno reso felici tutti gli atleti presenti, che hanno visto concretizzarsi il loro sogno iniziale di partecipare a competizioni europee. E il saluto finale è stato un arrivederci al prossimo anno, in occasione del 2º Giro del Friuli sul ciclone.
di Danilo Vico
Conferenza europea “Sport contro droga”
Con lo Sport si può
Si è svolta al Foro Italico in Roma la Conferenza Europea "Sport contro Droga", organizzata dal Comitato Italiano "Sport contro Droga", che da cinque anni si batte per una presenza attiva dello sport come antidoto all'uso di stupefacenti. Nel Salone del CONI, alla presenza delle maggiori istituzioni internazionali specializzate in materia, a dare il benvenuto c'erano il presidente del Comitato Adriano Ossicini ed il vice presidente Ignazio Pirastu, che ha aperto i lavori, mostrando alla platea una fotografia. Raffigurava 22 ragazzi del Tagikistan, paese sovietico in cui la droga viene usata per
reclutare guerriglieri, scampati da tale destino grazie alla costruzione di una palestra di kick-boxing, disciplina assai diffusa in questo paese, in cui si sono realizzati. "È chiaro il significato - sostiene soddisfatto il senatore - di questi ragazzi che hanno scelto sport contro droga spontaneamente". Dopo aver introdotto, lodandolo vivamente, l'opuscolo Io non calo la mia vita, un "piccolo capolavoro" informativo, l'intervento è poi proseguito sul tema fondamentale della prevenzione primaria. Una prevenzione mirata a colmare il disagio iniziale, prima che la droga entri in azione: "La prevenzione salva il giovane dal primo passo verso la droga, sbarra la porta che si può aprire ad un destino terribile. Lo sport ha una capacità fondamentale: sottrae il ragazzo alla solitudine, è un divertimento. Lo sport può rimuovere precocemente le cause di vulnerabilità; può dare fiducia. Oc corre che lo si utilizzi come un ve ro vaccino". Pirastu ha poi concluso facendo cenno all'indifferenza ed al silenzio dei massmedia sul fenomeno della tossicodipendenza, quanto a informazione e prevenzione. E il Presidente della RAI, Roberto Zaccaria presente nella giornata d'apertura, chiamato in causa, ha indicato effettivamente come un dovere della TV pubblica proporre i valori positivi delle manifestazioni sportive, elencando quattro obblighi dei media nel favorire la lotta contro la droga: a) fornire una profonda conoscenza
del fenomeno in tutta la sua gravità; b) conoscere le azioni e le politiche preventive dei singoli Stati nel traffico di stupefacenti; c) illustrare e favorire linee politiche sempre più solidali e convergenti nella lotta alla criminalità; d) proporre valori e modelli di comportamento positivi. Altrettanto significativo l'intervento del Procuratore Antimafia Pier Luigi Vigna, che ha chiesto maggiori spazi per lo sport all'interno delle strutture carcerarie, sottolineando come "lo sport crea solidarietà e antagonismo, cioè collaborazione, contrariamente invece all'isolamento ed al mondo degli zombie nel quale vivono i drogati".
Sono stati inoltre affrontati i temi della Scuola, vista come sede fondamentale della prevenzione, con la senatrice Carla Rocchi e dell'abuso di droghe con Alberto Bradanini, direttore dell'UNICRI. Particolarmente interessanti gli interventi del Presidente del Comitato Italiano Sport contro Droga, sen. Adriano Ossicini e del Prof. Luigi Cancrini, consulente del Ministero degli Affari Sociali sui problemi della tossicodipendenza. Trattandosi di sport e droga, non poteva mancare un accenno al doping, su cui i due hanno espresso differenti pareri. Nel suo intervento il Prof. Ossicini, psicologo e psicoterapeuta dell'infanzia ha infatti subito tenuto a precisare una netta distinzione tra droga e doping. "È fondamentale chiarirla, non soltanto a livello operativo, ma a livello della genesi motivazionale, della base psicologica, della profonda base istintuale di questi meccanismi, perché il meccanismo che sta alla base del doping è esattamente il contrario del meccanismo alla base della droga. Il doping è un elemento per cui c'è un'aggressività verso l'altro, un bisogno di vincere anche non avendo la forza per riuscirci; c'è, in sostanza, quella che noi chiamiamo l'aggressività umana collegata ad un obiettivo esterno; la droga invece è un'aggressione di se stessi. In un caso c'è un elemento eterodistruttivo, nel senso più generale del termine, un tentativo di aggredire la realtà, di trasformarla, ma nella droga il
meccanismo è totalmente contrario: è uno strumento di autodistruzione. Il doping, pure da noi combattibile e combattuto, non ha niente a che fare con il meccanismo psicologico della droga". Nell'intervento del Prof. Cancrini un'altra chiave di lettura: "La somiglianza nella modalità di assunzione tra certi tipi di droga con quella del doping è molto alta. Si prendono sostanze molto simili e con lo stesso intento: sia per trascorrere tutta una notte in discoteca senza fermarsi, ballando fino alle 7 della mattina, sia per fare una gara ciclistica. Il principio è lo stesso: è il non sentire fame, fatica, è il tenere artificialmente alto il tono, la risposta dell'organismo, con in più una voglia di divertirsi. Nella pratica sportiva dopata il divertimento diventa poco, è più eventualmente indiretto, il piacere di vincere, mentre qui siamo in qualche cosa che è un tentativo di consumare, nelle migliori condizioni soggettive possibili, il massimo possibile di divertimento". Il suo discorso è a più ampio raggio. "Il panorama della diffusione delle droghe è completamente cambiato - prosegue - ci sono nuove droghe e questa tematica, molto chiara tra i giovani e tra gli operatori, mi sembra scarsamente diffusa dai giornali e dalle televisioni. Il mercato delle droghe non è più essenzialmente di eroina e cocaina. Ci sono oggi nuove droghe, droghe di disegno, droghe di sintesi, derivate vagamente dalle anfetamine, in parte provenienti dalle farmacie e da piccoli laboratori dell'est-europeo. Vengono commercializzate come ecstasy, ma dietro questo nome vi sono tantissime diverse sostanze da perseguire. Il grande problema è quello del consumo, non della tossicomania. Un gran numero di adolescenti non è dipendente, infatti ne fa uso sporadico nei momenti del tempo libero e del divertimento. Bisogna rivedere allora l'organizzazione del tempo libero: in che posizione si pone il ragazzo con la pratica sportiva? Mi pare che molti istruttori si preoccupino solamente di dotare bambini dai 6 anni in su dei ‘fondamentali’, per verificare se poi alcuni di loro possano continuare in
uno sport che sostanzialmente è agonismo. Secondo me la pratica sportiva dovrebbe essere finalizzata parzialmente alla competizione, al vincere, e immediatamente alla ricerca di un'armonia corpomente. Purtroppo certe lezioni ricercano solo la prestazione, l'armonia ben poco. Coloro che organizzano la pratica sportiva, se vogliono davvero dare un contributo alla prevenzione all'uso delle droghe, debbono riuscire a ridare allo sport questa finalità".
Qualche poltrona più in là c'è seduto Donato Mosella, che spesso annuisce a queste affermazioni. Arrivato il suo turno l'ex presidente del CSI, ribadisce l'efficacia educativa dello sport. "La droga non entra nella vita di una persona come un fulmine a ciel sereno, ma come un seme, che attecchisce in un terreno a lungo preparato - cita il Membro del Comitato Centrale del Giubileo -. Il problema non è nella droga, ma nella malattia dello spirito che a lei conduce ed il rischio sta nella
debolezza del nostro sistema educativo. La pratica sportiva funziona contro la droga se promuove esperienze di vita, basate sull'accoglienza, sull'educazione alla libertà e all'amore. Le speranze di successo passano attraverso una pratica sportiva in un gruppo, in una comunità che educa. Gruppi che non devono essere per pochi giovani campioni, ma per molti, compresi quelli che non hanno determinate qualità".
In ultimo gli obiettivi futuri del Comitato Sport contro Droga. Trascorso il "Decennio delle Nazioni Unite contro la droga", come erano stati proclamati dall'ONU gli anni dal 1991 al 2000, si punta adesso su tre grandi progetti: 1) l'approfondimento della base scientifica; 2) l'elaborazione di un programma sport contro droga da attuare nelle scuole; 3) l'istituzione di un Comitato Europeo, con il compito di far promuovere in ogni nazione europea il Comitato Nazionale Sport contro Droga (www.sportagainstdrugs.org).
SPORT IN TOUR
Avevamo lasciato lo sport in tour di Stadium a Torino, nell'ultimo appuntamento in piazza, prima di tuffarci in mare, per una lunga parentesi estiva che ha visto regalare sport dal Tirreno all'Adriatico, lungo le più rinomate località balneari della nostra penisola. Ovunque un successo di pubblico, entusiasta dell'iniziativa, specie dei suoi essenziali attributi, quali la gratuità dell'evento, la libertà nel praticare ogni tipo di sport e la grande forza aggregante tra persone sconosciute, divenute in un istante squadra. Amicizia, partecipazione e divertimento. Musica e festa a braccetto. Protagonista lo sport, rigorosamente in formato beach. Su ogni spiaggia reti, biglie, bici, racchettoni, barche, palloni, mescolati tra gli ombrelloni e le sdraio, umidi di mare, sudati di sportività. Uno spettacolo pure cromatico; sullo sfondo azzurro-mare, un trionfo d'arancio e blu, che nei colori ben sancivano il sodalizio tra il Centro Sportivo Italiano e la Wind, la compagnia telefonica, sponsor ufficiale della manifestazione. Raccontiamola tappa per tappa questa calda e ricca estate di Wind-Beach Stadium.
San Benedetto del Tronto È il 7 luglio, quando l'arco di Stadium si gonfia sul lungomare sambenedettese. Un aperitivo per i molti piatti offerti in spiaggia. A due passi dalla pista ciclabile ci sono i giochi organizzati dalla C iquibum: una gioia per i bambini che si divertono con il jumping, su cui, perfettamente protetti da una imbragatura, si muovono verticalmente ad elastico sospesi in aria. A fianco i lottatori che si sfidano a colpi di clava di gommapiuma e plastica, il tutto con la difficoltà ed il divertimento
aggiuntivo dell'acqua che li schizza. Più a riva ci sono i gruppi dei più piccini, che, guidati dalle esperte animatrici del CSI locale, hanno deliziato i genitori ed i tanti bagnanti sopraggiunti con i loro balli, come la danza del Minuè, le staffette ed i mille giochi creati appositamente per loro. Contemporaneamente entravano nel vivo i tornei di calcio, di pallavolo e di racchettoni. Nel pomeriggio del sabato il via alle pedalate sullo spinning, il successo dell'estate. Gocciole di sudore fino a tarda sera: nonostante si fati-
chi molto è continuo il ricambio sulle biciclette. Gli ultimi finiscono di pedalare che è ormai buio, giusto in tempo per partecipare alla festa in spiaggia. Si balla latino-americano con Nico ed il suo gruppo di ballerine. Più tardi sono le ragazze della Wind ad intrattenere i passanti ballando le hit più calde dell'estate, proseguendo la festa fino a notte fonda.
Rimini
Una settimana dopo ci spostiamo qualche chilometro più a nord, dove facciamo tappa nel paradiso del divertimento giovanile, in una parola Rimini.
Come prevedibile in questa cittadina romagnola tradizionalmente legata alla pallacanestro, è stata proprio l'arancia a spicchi a calamitare l'attenzione sui canestri di Sta-
dium. Ospiti dei bagni 3, 4 e 5 del lungomare riminese, teatro di tutta la manifestazione, molti giocatori di serie A. Assente il beniamino di casa Carlton Mayers, impegnato con la Nazionale nella preparazione alle Olimpiadi, c'era comunque Ruggeri come spettatore, mentre in campo accendevano il 3 contro 3 i vari Morri, Righetti, Angeli, tutti atleti della squadra locale, quest'anno promossa in serie A. Non solo basket, comunque; entrava nel vivo
infatti la Gilera-Cup di beachvolley e c'erano anche i giochi tradizionali, come ad esempio la pista delle biglie su spiaggia a far sorridere i bambini. La sera poi grande successo per la megafesta latina svoltasi nella discoteca del "Symbol" a S. Marino: dopo un pomeriggio di sport erano circa 500 i ragazzi scesi in pista.
Fregene
La settimana seguente siamo invece sul litorale tirrenico di Fregene, a due passi dalla
capitale. Le strutture sportive di Stadium ridisegnano l'arenile dello stabilimento "La Vela", assai frequentato dai giovani romani nel week-end. Sembrano sorpresi, incuriositi, felici di poter godersi una giornata al mare in una maniera diversa. Ci si abbronza al sole. Ci si rinfresca un pò all'ombra dei tanti stand che seguono il tour.
C'è Radio 101 che diffonde la musica nell'intero arco della giornata, dando ritmo ai tornei, c'è la Gilera che schiera al fianco dei campi da beach-volley un sestetto di scooter e motocicli di tutto rispetto e anch'esso dal cuore sportivo. Filano veloci in acqua, invece, senza benzina, i due bellissimi Tom 28 della Wind-Cup, due imbarcazioni (scafi di 8,5 metri) create appositamente per regatare nei match-races. Sulla scia di Luna Rossa sono parecchi gli appassionati e molti i neofiti della vela che prenotano un giro in barca. Non si trova così facilmente un'altra occasione di assaporare il mare in barca a vela, potendo addirittura provare le manovre, imparate seguendo De Angelis e Cayard alla TV, e lì segnalate appunto dagli esperti skipper della WindCup.
Sabaudia
Sette giorni dopo, sempre sul lungomare laziale, siamo in provincia di Latina, a Torre Paola, vicino Sabaudia. Il mare è mosso e stavolta le vele arancio-blu delle imbarcazioni Wind non possono gonfiarsi. Vanno invece a ruota libera i tornei in spiaggia. La novità sulla spiaggia pontina è l'acquagym: ginnastica e movimenti di tonificazione eseguiti in mare a ritmo di musica. L'istruttore detta i tempi e gli esercizi dal bagnasciuga. Soddisfacente la partecipazione: a turno sono circa una cinquantina a bagnarsi fino ai fianchi, in particolare le ragazze. Si finisce con un grande salto sotto gli stands degli sponsor che regalano a chi ha partecipato centinaia di gadgets: magliette, berrettini, freesbee gonfiabili, portacellulari colorati, fino agli orologi o alle radioline messe a disposizione dalla Wind, per coloro che rispondono alle tante divertenti provocazioni che provengono dal palco. Molto riuscita nel pomeriggio l'iniziativa dell'happy-hour: fette d'anguria e birra a volontà per tutti. Il gusto è quello dello stare insieme, ballando ed il sapore di fare festa anche in costume.
Jesolo Nel primo week-end d'agosto si torna sulla sponda adriatica, esattamente a Jesolo. Lì vicino, a Treporti abita Daniele Scarpa, che, saputo del passaggio di Stadium, ha voluto esserci in prima persona, con la sua canoa. Così, dopo aver il primo centro sportivo di
canoa polinesiana, inaugurato in collaborazione con il CSI in un elegante yacht club del Cavallino, è sceso in acqua con le bellissime outrigger, in compagnia dell'olimpionica Stefania Truccolo e da altri amici. Erano in dieci le canoe mossesi lungo il canale che porta alla spiaggia del faro, laddove aveva fatto tappa la carovana di Stadium. Il loro sbarco a riva ha suscitato interesse e grande entusiasmo nei tanti ragazzi, che affollavano la spiaggia e nei più piccoli, che hanno immediatamente preso d'assalto il dragon boat, targato CSI. Divertente e significativo vedere tanti bambini, per lo più tedeschi in vacanza insieme agli italiani, remare assieme a ritmo del tamburino che non sapeva in effetti in che lingua dettare il tempo. Le sorprese di giornata non erano però finite così: c'era ancora il gonfalone dei pirati che, ancoratosi a due passi da Stadium, ha ravvivato con la musica e con gli animatori a bordo la ciurma, per lo
più composta dai più piccoli, calatisi subito nei panni di corsari con tanto di tatuaggi, spade e scrigno del tesoro, custodito dal mitico pappagallo.
Viareggio
A Ferragosto è arrivato invece il Carnevale di Stadium. Siamo infatti a Viareggio, dove il carro del CSI riesce a "mascherare" la spiaggia in una palestra polisportiva; travestendo magicamente i bagnanti in mille atleti, pronti a gareggiare nei tantissimi tornei formato "beach". Tornano a issarsi le vele della Wind e a regatare i suoi scafi, molto apprezzati dal pubblico. A turno, a gruppi di 4 salgono sulle bellissime imbarcazioni per cominciare i match-races, sempre sotto l'occhio vigile della Guardia Costiera. Chi manovra in mare e chi pedala a terra sulle bike dello spinning. Molto apprezzata inoltre la campagna di sensibilizzazione e di informazione rivolta ai giovanissimi sugli effetti ed i
rischi delle varie droghe "Io non calo la mia vita", a cura del Dipartimento degli Affari Sociali, che ha affiancato la manifestazione sportiva su tutto il territorio. Ma la vera novità in Versilia è stata la lunga sosta di Stadium: dai 3 giorni previsti si è passati ai 5, così da festeggiare insieme ai moltissimi amici il Ferragosto.
Lignano
Velocemente si corre in Friuli, dove dal 18 al 20 Agosto Lignano Sabbiadoro aspetta il passaggio del "Beach-Stadium". Grande il successo sia di partecipazione che di spettatori presso la Arena-Beach, una struttura ideale per gli sport estivi, con tanto di gradinate. All'interno giocano il basket, il volley 4x4 ed il calcio a 5. A fianco si susseguono i tornei di volley 2x2, calcetto bimbi, calcetto 3x3 e tennis. Tutto esaurito nelle iscrizioni. Momenti particolari sono stati vissuti con gli atleti disabili in carrozzina che hanno provato
la canoa polinesiana al fianco del solito Daniele Scarpa, richiestissimo da parte dei tanti giovani presenti. Poi alle premiazioni, gli atleti in carrozzina della società "Basket e non solo" hanno invitato tutti i ragazzi ad amare e rispettare la vita senza sprecarla alla ricerca di inutili e dannosi momenti di sballo, cercando invece soddisfazione e una realizzazione attraverso lo sport e l'aggregazione. Presenti le massime autorità del posto: l'assessore comunale allo sport Massimo Brini, il presidente della APT locale Mario Manera; l'assessore regionale allo sport Maurizio Salvador; l'onorevole Manlio Collarini. Il vicesindaco e il presidente dell'APT nell'esprimere la loro soddisfazione, hanno invitato "Stadium" a Lignano anche per l'anno venturo.
Cagliari
Non poteva mancare certamente nel Giro d'Italia di Stadium il mare della Sardegna. Nell'ultima fine settimana d'agosto salpiamo allora verso l'i-
sola, approdando a Cagliari. L'immenso arenile della "Sesta Fermata del Poetto" ha ospitato le diverse strutture gonfiabili. Travolgente la partecipazione del pubblico assie-
pato nella "spiaggia dei Centomila". Pur non toccando tale cifra il pienone sardo ha costretto gli organizzatori al sorteggio, tante erano le adesioni all'iniziativa. Campi al completo. Prese d'assalto le varie pedane dell'aerobica, dello step e dei balli di gruppo. Grande il successo dei giochi guidati per i bambini, per lo spinning e l'acquagym. Novità assoluta per Stadium le attività subacquee e le escursioni in barca a vela, catamarano e windsurf, coordinate dalla Wind e dagli operatori cagliaritani del CSI. La temperatura bollente (circa 37° al giorno) non ha affatto infiacchito l'entusiasmo ed il calore degli sportivi accorsi. Venerdì e sabato sul parco principale si sono poi esibiti 8 complessini di giovani cagliaritani, suonando fino alla mezzanotte davanti ad un folto gruppo di appassionati. Musica e sport assieme con Stadium.
di Manuel Zenobi
Scuola interregionale SNAD-SNES
Intenzionalmente interregionale
Ha appena spento la sua seconda candelina ma ha già raggiunto la completa maturità. La Scuola interregionale SNAD-SNES del Centro Italia, tenutasi a Roccaporena dal 21 al 30 luglio, abbandonati ormai tutti i dubbi, le incertezze e le difficoltà tipici di ogni inizio, sembra essere decisamente decollata, tanto più che si è vista consolidare nelle sue basi con l'ingresso, quest'anno, anche della regione Lazio. Ma quali sono gli scopi, le motivazioni, gli obiettivi alla base dell'organizzazione di questo corso "figlio" della Scuola Nazionale Educatori Sportivi? "L'intenzionalità educativaviene spiegato nel Patto Associativo - promuove e sostiene l'azione associativa in ogni settore". Qualsiasi progetto, quindi, anche il più semplice, è valido solo se ispirato da una intenzionalità educativa che attinge alle motivazioni di fondo dell'Associazione. Il CSI non si limita a fornire servizi, ma propone attività che abbiano valore formativo. Di conseguenza tutti gli operatori del CSI devono considerarsi educatori sportivi, adoperandosi per fare educazione nello sport e attraverso lo sport. Ma con il termine "educatore sportivo" non intendiamo unicamente gli allenatori, arbitri, animatori e tutte quelle figure che conducono sul campo le attività ludico-motorie; esso ha un significato più vasto che va a coinvolgere anche gli stessi dirigenti di società sportive o di Comitati, essendo essi i primi responsabili della realizzazione dei fini educativi dell'Associazione.
Chiaro che in questa veste devono agire in modo adeguato. L'esperienza realizzata fino ad oggi dal CSI, infatti, e la stessa evoluzione delle società impongono un modello formativo che prenda le distanze da un metodo di lavoro empirico, episodico e settoriale. Occorre un modello sistematico, ben definito, che assicuri ordine, organicità, uniformità di impostazione ed efficacia nei risultati. Proprio con questo fine, per insegnare questo sistema, questo metodo, è nata la Scuola Nazionale Educatori Sportivi di cui la Scuola Interregionale non è altro che la cellula più piccola. Come dicevamo l'edizione di quest'anno, svoltasi per la seconda volta a Roccaporena, paese natale di Santa Rita da Cascia, è stata un successo. Vi hanno preso parte 80 corsisti provenienti dal Molise (che ha fatto la parte del leone con ben 25 "studenti") e in ordine Umbria (con 19 corsisti), Marche (17), Lazio (11) e
Abruzzo (8). I corsi attivati, che hanno visto nel corpo docente la presenza del Coordinatore Nazionale Michele Marchetti, sono stati 5: animatori Fantathlon di primo livello (con 26 partecipanti), animatori Fantathlon di secondo livello (con 7 partecipanti), allenatori di Pallavolo di primo livello (con 15 corsisti), allenatori di Calcio di secondo livello (6 gli "aspiranti") e arbitri di secondo livello (qui invece i corsisti sono stati 26).
Insieme ai corsi SNES (Scuola Nazionale Educatori Sportivi) si sono svolti, nell'ultimo week-end di luglio, due corsi SNAD (Scuola Nazionale Dirigenti) per un totale di 32 corsisti: 16 giunti dalle Marche, 12 dall'Abruzzo, 3 dall'Umbria e uno dal Molise.
I corsi si dividevano in: Dirigente di primo livello, con 11 partecipanti, e Dirigente di secondo livello, con 21 partecipanti.
Un momento lieto è stato anche la visita del Presidente
Nazionale del Centro Sportivo Italiano Edio Costantini, che ha portato il suo caloroso saluto ai tanti corsisti convenuti. L'intervento del Presidente ha costituito, inoltre, un forte ed importante momento formativo. Costantini ha ricordato quali sono i valori attorno ai quali è nata la Scuola Interregionale: condivisione, solidarietà e fraternità, enfatizzando in particolar modo su quest'ultima, indicandola come elemento qualificante dei rapporti tra i diversi ruoli associativi in luogo dei personalismi e degli interessi economici e di parte. Infine, nel pomeriggio del sabato, i Presidenti dei Comitati Regionali hanno colto l'occasione per rincontrarsi rinsaldando la loro sintonia nel progetto interregionale.
Si lascia quindi il corso con una fiducia ed un entusiasmo che rafforzano la convinzione di aver trovato la giusta strada da percorrere per la crescita del CSI nelle Regioni dell'"Interregionale".
parole di sport
Nello sport c'è spazio per sognare. Il sogno, anzi, diventa spesso condizione imprescindibile per poter avere il massimo impegno. L'oziosa domanda di Marzullo, trasferita allo sport, ha dunque un senso: i sogni aiutano davvero a giocare e a fare sport. È successo a tutti, per cercare di spingersi a fare sempre meglio, di arrivare a pensare l'irraggiungibile. Sono i sogni dei piccoli e dei grandi, sono i sogni grandi e piccoli, sono i sogni di coloro che hanno obiettivi alla loro portata o quelli di chi non riuscirà mai a raggiungere ciò che ricerca. Senza, però, si perdono due emozioni: quella della conquista e quella della ricerca. Il sogno è nello sport professionistico e in quello di base, fra i ragazzini dell'oratorio o dei giardini e i super atleti zeppi di anabolizzanti e di droghe. Non se ne può prescindere. In particolare nello sport.
Ci credeva nel sogno, che poi è rimasto tale, un uomo con 30 ettari di terreno da coltivare e l'amore per il calcio a Brescello, dove Don Camillo e Peppone hanno insegnato quanto contano le passioni. Romeo Azzali è l'anima tecnica (anche se le solite assurde norme non tengono conto di esperienza e saggezza) di una squadra miracolo e a quel sogno ci credeva: arrivare in serie B per il Brescello sarebbe stato ancora più clamoroso che per l'Alzano o il Castel di Sangro. Invece niente: Azzali è sempre in mezzo ai suoi pioppi e alla sua natura insieme a quel sogno che non abbandonerà.
Il sogno è dei piccoli, di quelli che poi, alla fine, spesso lo confondono con la realtà. Il sogno era quello di Ilaria, classe 1990, terzino destro e grande talento della U.S. San Fermo di Rozzano. Il sogno si chiama Inter, squadra per la quale è diventata testimonial di "Intercampus", ma è destinato a non venire coronato. Ma il sogno si chiamava anche calcio, perché per una bimba sembra sempre sia uno sport lontano. E così eccola con i ragazzi, più brava di loro, destinata a lasciare fra non molto la sua squadra e suoi amici per un'altra formazione. Il sogno rimane quella con i colori nerazzurri.
Lo hanno chiamato "il palleggiatore". Con la palla ci sa davvero fare. È un giocoliere, più che un calciatore. Ma anche lui aveva un sogno: quello di giocare in una grande squadra. Nel particolare, quella
squadra era il Parma. Così scelse un modo singolare per coronare questo suo sogno: per ore, anzi giorni, si è messo a palleggiare davanti al campo di allenamento della squadra di Malesani. Voleva essere notato. È sicuro di essere bravo almeno quanto quelli che giocano in serie A. Vuole una possibilità. "Invece di comprare giocatori da 60 miliardi, io sono gratis. Basta che mi diano da mangiare, che cosa costa provarmi?". Proposta assolutamente legittima, ma neanche mai presa in considerazione. Una mamma sognava di andare per la quinta volta all'Olimpiade. Un sogno che è costato parecchia fatica a Margherita Zalaffi, ma che alla fine è riuscita a farlo diventare realtà. Sarà in Australia, la schermitrice azzurra che già ha provato la gioia della vittoria e delle medaglie. Così è entrata nella storia dello sport italiano e adesso il sogno continua, anzi si è ingigantito cercando il podio nella manifestazione più prestigiosa.
Altro sogno che si è avverato è quello di Marla Runyan: sarà a Sydney, a correre con i suoi grandi occhialoni neri, quelli che le servono per proteggere occhi che non l'hanno aiutata a vedere, colpiti da una malattia degenerativa della retina. Non vede gli avversari, non vede la linea del traguardo, riesce a malapena a distinguere la linea della pista grazie a una vernice catarifrangente. Sarà a Sydney a correre il mezzofondo con quelli che problemi di vista non hanno, si è qualificata ai Trials americani, una vera e propria Olimpiade prima dell'Olimpiade. Per Marla era questo il grande sogno, lei che aveva dominato le Paraolimpiadi, i Giochi riservati agli atleti disabili. "Spero solo di abbattere qualche record, così la gente smetterà di parlare dei miei occhi...", ha detto.
E invece è giusto che se ne parli. Anche questo serve a dare speranza. E a far nascere altri sogni. Quelli che servono a tutti quelli che vogliono fare sport.
di Michele Marchetti
Scuola permanente
Chiunque abbia seguito lo sforzo progettuale che ha animato il CSI in questo scorcio del Novecento, ha notato come l’impegno rivolto alla formazione degli educatori sportivi si sia intrecciato fortemente con quello della promozione dell’attività sportiva. Uno sforzo notevole che ha voluto rimettere in gioco tre modelli culturali di notevole interesse: la progettualità sportiva, ovviamente, la promozione di educatori sportivi competenti e profondamente motivati sul piano umano e su quello dei valori e della fede, l’identità e il senso di appartenenza e infine la memoria storica. Anche se, di volta in volta, bisognerà decidere cosa è più opportuno ricordare e cosa è più opportuno dimenticare, quali connessioni identitarie è meglio riattivare e quali è meglio lasciar cadere nella dimenticanza. E ogni volta alla saggezza si chiede una risposta differente.
Questo significa che non è più possibile lasciare i dirigenti e le figure tecniche dell’Associazione in balia di se stessi, della propria passione, della propria inventiva, senza ricordare che la formazione e l'aggiornamento costituiscono la base indispensabile per lo svolgimento e per il conseguente ottimale esito di ogni manifestazione sportiva. Il futuro dell'associazionismo, il futuro del Centro Sportivo Italiano, dipende dalla preparazione dei quadri, nuove professionalità di cui lo sport ha sempre più bisogno. In questa prospettiva, è stata istituita la scuola di formazione permanente per dirigenti sportivi, curata dalla Scuola Nazionale Dirigenti.
La Scuola di formazione permanente prevede interventi mirati di formazione per ruoli, con un'anzianità associativa inferiore ai 10 anni. Nei prossimi mesi, il coordinamento nazionale della formazione procederà al censimento dei
quadri associativi, per costituire, entro febbraio 2001 la banca dati dei dirigenti
CSI. Subito dopo saranno avviati i percorsi formativi.
Quattro saranno i moduli comuni a tutti i ruoli:
•strategie associative - Marketing associativo;
•lavorare in team;
•comunicazione dentro e fuori l'associazione;
•la progettazione associativa.
A questi moduli sarà affiancato un modu-
lo specifico per ogni singolo ruolo associativo.
Ogni anno ciascun dirigente interessato sarà invitato a partecipare a due week end fino a giungere alla convention nazionale dei quadri associativi, prevista per l'a.s. 2003/2004, la quale dovrà anche rilanciare i progetti e le prospettive future. In questo modo, la Presidenza nazionale intende promuovere un percorso formativo continuativo per oltre 1000 nuovi dirigenti.
Nello stesso tempo, sarà dato il via ad un ciclo di seminari avente come obiettivo la qualificazione dei dirigenti sul versante organizzativo e manageriale. Si tratta di un percorso maggiormente "tecnico", mirato, costituito da cinque moduli: a) organizzazione e management: dall'organizzazione delle società sportive alla pianificazione dei centri estivi, delle vacanze sport e dei grandi eventi sportivi, alla gestione degli impianti; b) marketing e comunicazione: dal merchandising e sponsorizzazioni all'uso delle tecnologie multimediali per la promozione di eventi sportivi; c) diritto sportivo e amministrazione: dal diritto tributario a quello del lavoro nel mondo dello sport; d) sociologia dello sport: dall'evoluzione del sistema sportivo italiano, al ruolo delle federazioni, degli enti di promozione sportiva e degli enti locali; e) contabilità, bilancio, amministrazione: dalle scritture contabili alla nuova normativa fiscale delle associazioni sportive. A partire dal mese di novembre, quindi, tutti i dirigenti sportivi interessati potranno iscriversi ai seminari, che saranno condotti da docenti universitari e da esperti del settore. L'iscrizione potrà avvenire compilando l'apposito modulo elettronico che sarà disponibile sul sito www.csi-net.it con tutte le informazioni relative ai programmi dettagliati e ai docenti.
di Massimo Achini
Loreto: Campo Scuola per Giovani Dirigenti
Sentinelle dello sport
“Basta che siate Giovani perché io Vi ami assai..."
Uno degli ingredienti del grande successo del primo Campo Scuola per Giovani Dirigenti è stata proprio quella semplicità tanto cara a Don Bosco.
Da un lato la forza della semplicità della Presidenza nazionale che, contro ogni previsione, ha creduto in questa iniziativa: un campo Scuola che mancava da qualche anno nella Programmazione nazionale; un Campo Scuola in pieno Agosto, in una data non proprio felice a ridosso della GMG; un Campo Scuola "impegnativo", rivolto a tutti quei giovani che nella Società Sportiva o nel Comitato "sono già Dirigenti" ed avvertono la responsabilità ed il desiderio di svolgere meglio questo prezioso ruolo.
Dall'altra la forza della semplicità dei Giovani… che con entusiasmo, a partire dalla metà di Luglio, hanno fatto pervenire in Presidenza nazionale tantissime adesioni… dicendo semplicemente "Ok, ci stò... Ho voglia di impegnarmi e di saperne di più..." È nata così l'esperienza di Loreto... Sei giorni che i 100 partecipanti provenienti da tutta Italia (molti di più rispetto alle previsioni) hanno caratterizzato con il loro entusiasmo, la loro vitalità... ma anche con la loro curiosità e la loro disponibilità a mettersi in discussione ed a crescere all'interno dell'Associazione.
Decisamente indovinato il "taglio" previsto dal Coordinatore della Formazione... Nien-
te lezioni frontali ma un susseguirsi vivace di "tavole rotonde", "laboratori", "confronti di esperienze" per mettere a fuoco le dinamiche fondamentali di un ruolo, quello di Dirigente, tanto complesso quanto ancora oggi poco valorizzato.
Le mattine sono volate via confrontandosi su tematiche impegnative.
Cento anni e non sentirli... ripercorrendo con l'aiuto di Vittorio Ferrero e di don Gianni Gherardi la storia della nostra Associazione; da Bosman ad Helsinki: L'Europa e lo sport ragionando su luci ed ombre dello sport di oggi grazie alle preziose testimonianze di Massimo Di Luigi (campione ed allenatore Nazionale Italiana Karate) e di Cristian Laraia (Giocatore serie A pallavolo); Una Società sportiva CSI che cosa fa... entrando invece nel vissuto della cellula della nostra Associazione con l'aiuto di Massimo Pizzoli (CSI Bologna) e di Enrico Pellino (CSI Campania) che hanno spiegato come funzionano 2 Società sportive del loro territorio. I pomeriggi invece "tutti protagonisti" negli attivissimi laboratori condotti da Antonella Conti (Dinamiche di gruppo), Eugenio Imperatori (Tematiche associative) e Roberto Di Stefano (Motricità...).
Attesissimo, sabato mattina, è stato l'intervento del Presidente nazionale che per oltre 2 ore si è intrattenuto con i giovani confrontandosi a ruota libera su varie tematiche che riguardano l'Associazione. Infiniti gli spunti di riflessione
in un dibattito dove a colpire è stata, ancora una volta, la maturità di questi ragazzi... "Questa esperienza è la prima tappa di un cammino che ci accompagnerà nei prossimi anni - ha spiegato in uno dei suoi passaggi - Costantini. Il Campo Scuola per giovani Dirigenti sarà uno dei momenti centrali di un grande progetto di formazione permanente che stiamo mettendo a punto in questi mesi. Per questo Vi prometto che continueremo a seguirvi ed a convocarvi offrendo anche a tanti altri giovani la possibilità di vivere esperienze come questa".
Domenica mattina, invece, è stato Sua Eccellenza Mons.
sieduto la celebrazione della Santa Messa, a scaldare il cuore di tutti con toccanti riflessioni.
Che cosa è rimasto al termine di questo primo Campo Scuola per Giovani Dirigenti?
Da Loreto è tornato a casa un CSI convinto di aver intrapreso una strada "lunga, giusta e faticosa..." Una strada fatta da 2 sentieri che si sovrappongono... Da un lato quello di valorizzare il ruolo dei Dirigenti, dall'altro quello di non rinunciare mai alla fatica di offrire ai giovani la possibilità di essere protagonisti della vita del CSI.
Sono tornati a casa (cioè nei loro Comitati e nelle loro Società sportive) 100 giovani
Uno sport per tutte le il calcio
Il calcio è "lo" sport per eccellenza in Italia. Si tratta di un'attività di squadra praticata all'aria aperta che consente di vivere in maniera positiva l'aspetto ludico del gioco ed insegna a rispettare le regole del vivere comune, ciò lo rende particolarmente adatto ai bambini.
Un pò di fisiologia
La difficoltà di tracciare con precisione il profilo fisiologico del calciatore ha provocato molte difficoltà di studio da parte di fisiologi e medici. Molti scienziati in questi ultimi anni hanno effettuato una grande quantità di ricerche con lo scopo di capire sempre meglio in che modo gli appa-
rati dell'organismo coinvolti maggiormente possono essere allenati per migliorare la performance, e come la preparazione fisico psicologica può influire su di essa. Questo sport, infatti, negli ultimi anni ha subito una serie di modificazioni tecnico tattiche che hanno condizionato sempre più anche la preparazione degli atleti.
Il calcio è uno sport di situazione a carattere aerobico anaerobico alternato. Il calciatore deve pertanto possedere sia una buona attività aerobica che una notevole capacità di resistere per lungo tempo a velocità massimali, durante le quali spesso vengono richiesti i gesti tecnici più importanti.
L'alternanza tra gli scatti e la corsa lenta rappresenta quindi la maggiore difficoltà per chi si trovi a dover curare la preparazione di una squadra di calcio.
Dal punto di vista funzionale, infatti, un calciatore deve incrementare progressivamente la resistenza alla velocità. Ciò risulterà particolarmente importante in una partita di calcio poiché, al di là degli aspetti tecnici, questa capacità fisica spesso determina la differenza tra un calciatore e l'altro. I test che vengono effettuati per monitorare tali miglioramenti, sono di diverso tipo. Uno dei più moderni per la valutazione sul campo della capacità aerobica
del calciatore è rappresentato dal test di Mognoni che consiste nel far correre l'atleta a una velocità costante per 6 minuti al termine del quale viene effettuata la misurazione dell'acido lattico. Attraverso una formula specifica, verrà così misurata la soglia anaerobica, il punto cioè al di là del quale il nostro organismo entra in debito di ossigeno.
Per misurare la resistenza veloce, sono ancora in voga i cosiddetti test a navetta, brevi test di velocità a tempo. Nell'alto livello vengono altresì misurati i rapporti tra forza e velocità che forniscono ulteriori parametri per valutare il calciatore e che possono esse-
le stagioni:
re allenati per migliorarne la performance.
Per quanto riguarda l'apparato cardiorespiratorio, oggi sappiamo che gli adattamenti del cuore e dei grandi vasi all'allenamento sistematico al gioco del calcio sono molteplici ed importanti: il cuore, infatti, si ingrandisce e si ispessisce migliorando la propria capacità di espellere sangue ad ogni contrazione, i vasi diventano più grandi ed elastici riuscendo quindi ad accogliere la maggior quantità di sangue richiesta dai muscoli. La novità che deriva dagli ultimi studi da noi condotti, indica che tali adattamenti cominciano fin dall'età prepuberale nei bambini che si allenano alme-
no due volte la settimana, addirittura incrementando queste caratteristiche oltre l'adolescenza.
Il calcio a tavola
Un consiglio per tutti i calciatori che debbano prima lavorare o andare a scuola e poi allenarsi: mangiare un piatto di pasta senza condimenti grassi, evitando il classico panino o soltanto un gelato o un frutto come unico alimento. Il carburante del calciatore è rappresentato dal glicogeno, sostanza presente nei muscoli e nel fegato che viene consumata durante l'attività fisica, Nel calcio il dispendio energetico è notevole, per cui la quota di glicogeno viene particolarmente intaccata. Il glicogeno viene ripristinato attraverso i carboidrati, che come sappiamo, sono il costituente principale di pasta e riso. È per tale motivo che è necessario evitare di andare in debito di carburante durante un allenamento. Dal punto di vista qualitativo e quantitativo, un piatto di pasta accompagnato da prosciutto crudo e un frutto o un pezzetto di crostata di frutta rappresentano l'alimentazione migliore che consente peraltro la performance migliore. Da evitare assolutamente una partita o un allenamento senza aver mangiato o mangiando troppo poco.
Durante l'attività fisica bisogna bere molto e può essere consigliata l'assunzione di bevande saline e zuccherate per non rischiare di rimanere disidratati e a secco di carburante.
Traumi e calcio
Il calcio è uno sport di contatto, per cui frequentemente è
possibile che il calciatore vada incontro a traumi più o meno gravi. I più frequenti sono quelli muscolari che spesso non sono conseguenza di un contatto con un altro calciatore, ma derivano da gesti tecnici innaturali. Essi comportano una rottura più o meno marcata di fibre muscolari, in particolare l'allungamento muscolare eccessivo durante un gesto tecnico può provocare una lesione muscolare di entità variabile. Si può andare dalla semplice contrattura, alla distrazione di 1º grado, fino allo stiramento o allo strappo muscolare. La differenza nell'entità della lesione è data dalla percentuale di fibre rotte che è progressivamente maggiore. Nel caso dello strappo muscolare, in qualche caso è addirittura necessario ricorrere all'intervento chirurgico per ricucire il muscolo lesionato. In questi casi il recupero può essere molto lungo. Per prevenire questo tipo di traumi va sempre raccomandato un buon riscaldamento preceduto da una adeguata fase di stretching.
Il contatto tra calciatori provoca frequentemente contusioni a carico di strutture ossee, muscolari o articolari in qualche caso particolarmente dolorose e complesse. La più temibile evenienza che può verificarsi è il trauma cranico che purtroppo non è molto raro: la ricerca della palla senza tener conto dell'avversario comporta contatti anche molto violenti nonché fortuiti. Purtroppo in questi casi vanno escluse patologie anche gravi per cui è sempre prudente togliere l'atleta dal campo e sottoporlo ad accertamenti approfonditi. Le contusioni da contatto quando siano interessate altre zone dell'organismo vanno invece valutate caso per caso. A volte, infatti, traumi importanti non comportano alcun danno, mentre altri apparentemente innocenti nascondono una frattura. Le lesioni acute più frequenti nel calcio sono tuttavia le distorsioni, in particolare del ginocchio e
della caviglia. La dinamica che porta alla distorsione non è sempre legata ad un trauma, a volte un movimento in allungamento e rotazione di queste articolazioni fanno si che la gamba venga poggiata male. Ciò comporta una sofferenza delle strutture articolari interessate, in particolare dei legamenti. Quante volte siamo venuti a conoscenza di lesioni del menisco e/o del legamento crociato anteriore del ginocchio di nostri amici o calciatori famosi. Si tratta di strutture presenti all'interno dell'articolazione del ginocchio che quando lesionate vanno attentamente esaminate in quanto la ripresa atletica può essere condizionata dalla effettuazione di un intervento chirurgico oppure in altri casi può essere sufficiente una riabilitazione fisioterapica. Per quanto riguarda la distorsione della caviglia, quale calciatore può dire di non averne sofferto! I terreni spesso sconnessi, sono i responsabili di un appoggio innaturale in eversione del collo piede che determina il trauma. Altre volte è il contatto stesso con un altro calciatore che provoca tale lesione. In questi casi il periodo di riabilitazione è molto variabile, da qualche giorno a qualche settimana. Per quanto riguarda le lesioni croniche, la patologia tipica del calciatore è la pubalgia. Si tratta di una infiammazione dell'inserzione dei muscoli adduttori sul bacino e deriva da una eccessiva sollecitazione di questa muscolatura nei confronti dell'antagonista. È molto difficile da curare perché spesso le terapie sono inefficaci, l'unica che si è rivelata realmente utile è il riposo.
A qualsiasi livello, comunque il calcio resta affascinante e qualche acciacco di troppo viene benevolmente accettato dagli appassionati, anche se spesso qualche piccolo accorgimento preventivo (alimentazione adeguata, attrezzature idonee, buona preparazione etc.) contribuirebbe notevolmente a ridurre i rischi ad esso connessi.
LE PORTE dello sport in rete
All’inizio non c’era neanche il World Wide Web, che – badate bene –non fa rima con Internet, ma è il tentativo ( forse riuscito) di mettere ordine in una Grande Rete che si srotolava paratatticamente come un immenso testo composto solo da coordinate. Con il “ WWW” venne la registrazione dei “domini”, gli indirizzi, secondo uno schema standard elaborato non negli States, come molti credono, ma all’Università di Ginevra (si sa, gli svizzeri sono precisi). A quel punto, Internet ha cominciato ad espandersi in maniera inarrestabile, prima attirando l’attenzione degli appassionati e degli intellettuali, poi quella del grande pubblico. Infine, l’attenzione delle aziende, che hanno scoperto nella Rete un enorme mercato caratterizzato dalla compresenza di grandi risorse informative e un numero infinito di potenziali clienti.
In realtà, per un certo numero di anni il Web è rimasto prigioniero della sua stessa natura anarcoide: chi si collegava finiva molto spesso per girovagare inutilmente alla ricerca di ciò che lo soddisfacesse. Poi alcune società hanno scoperto la strada più facile per trasformare Internet in un business: l’uovo di Colombo si chiama “porta d’accesso”.
Quando vi connettete avrete sicuramente una pagina iniziale da cui partite, a cui il vostro browser fa riferimento, che ovviamente potete scegliere. Ecco, i cosiddetti p o r t a l i sono quei siti che vorrebbero
diventare la vostra pagina iniziale, il vostro primo sguardo su Internet ogni volta che vi collegate. E, infatti, un portale come si deve offre tutta una serie di servizi gratuiti: casella di posta elettronica, spazio personale, messaggeria SMS, e molto altro ancora. Solitamente è anche dotato di un “motore di ricerca”, anche se non tutti i portali hanno intenzione di fornirvi un servizio generale di orientamento in Rete. Quelli che svolgono questo servizio sono i portali di prima generazione, che gli addetti ai lavori distinguono definendoli “portali di tipo orizzontale”. L’orizzontalità viene dalla generalità del servizio, dal fatto, cioè, di poter partire da lì per spaziare verso ogni coordinata alla ricerca di qualsiasi argomento che interessa e che in Rete viene trattato.
Il “portale verticale”, invece, il v o r t a l secondo lo slang della Rete, è la pagina iniziale di persone che hanno interessi specifici, di settore. Ad esempio, il professionista quotidianamente interessato al mercato finanziario o al trading on line, probabilmente punterà la propria pagina iniziale su un sito specialistico, che –però – oltre alle informazioni tecniche gli offra tutti i servizi di tipo generale che deve offrire un portale. È evidente, poi, che per ambire ad essere un portale, un sito debba essere aggiornato molto spesso, almeno quotidianamente, se non due volte al giorno (se mi collego tutti i giorni, cosa vado a fare ogni volta allo stesso indirizzo sapendo già cosa vi tro-
verò?). Perché la differenza principale e sostanziale tra un sito specialistico e un portale (anzi, un “vortale”) è che il secondo si prefigge di essere non solo spazio di informazione più o meno specializzata, ma anche e soprattutto un vero e proprio accesso privilegiato alle risorse
informative della Rete riservato alla comunità che lo riconosce come suo spazio d’incontro.
Oggi il successo dei portali verticali è il fenomeno più rappresentativo di Internet, insieme all’enorme diffusione dei Forum e le Chat per la discussione in tempo reale. In realtà, sono due facce della stessa medaglia: gli strumenti di discussione telematica permettono ai membri di una comunità di confrontarsi sui temi loro più cari, che possono essere i temi fondamentali su cui un portale sviluppa servizi vari proprio per permettere ad una community di crescere all’interno delle sue pagine.
Esistono portali di informazione finanziaria, tecnica, scientifica, portali di musica, cinema, spettacoli, argomenti frivoli e seriosi. Sicuramente uno degli argomenti più attraenti è lo sport. Da anni nascono e crescono una miriade di siti sportivi, alcuni ufficiali, molti altri sviluppati da amatori e tifosi.
Oggi esistono parecchi portali di sport. Il più noto, soprattutto per via della campagna pubblicitaria in televisione, è Sp ortal.
Si trattadi un portale internazionale, anzi
transnazionale, visto che non si accontenta di rivolgersi in inglese ad un generico pubblico di sportivi connessi ad Internet, come fanno molti siti americani, ma ha sviluppato numerose edizioni in varie lingue (quella italiana è raggiungibile al dominio www sp or ta l i t), ognuna delle quali si concentra sugli interessi principali e i tratti caratteristici dello sportivo cui si rivolgono.
La parte italiana, come si può immaginare, dedica ampio spazio al calcio, anche se un portale che si rispetti deve necessariamente fare da orientamento e accesso alle risorse informative riguardanti lo sport a 360° gradi. E Sportal, infatti, ospita sezioni su tutti i tipi di sport diffusi e praticati in Italia. Da non perdere la sezione dedicata alla Formula Uno: accattivante e spettacolare.
Tra i portali di respiro internazionale vanno segnalati s p o r t l i v e c o m e s p o r tc a l . c o . u k . Il primo è statunitense e si concentra soprattutto su american football, basket e hockey, ma contiene una divertente sezione interattiva in cui si discute su chi possa essere “il campione di tutti gli sport”. Inutile dire degli straordinari consensi registrati per Michael Jordan. Il secondo è uno spazio britannico, come si intuisce dall’estensione del dominio (UK sta per United Kingdom, Regno Unito), ben fatto e ordinato, in cui gli appassionati possono trovare notizie interessanti su sport altrove poco trattati, come rugby, golf, ippica, e altro ancora. Tra i siti inglesi, gli appassionati di sport che intendono costruire uno spazio web o una newsletter dovrebbero annotarsi l’indirizzo www allsport uk: non si tratta di un portale, in realtà, ma di uno stupendo archivio fotografico sullo sport, composto da oltre 500.000 digital pictures comodamente scaricabili, previo pagamento di un abbonamento.
Limitandoci all’ambito italiano, uno dei portali sportivi meglio sviluppati è sportce n te r i t, da non confondere con sp o rtcenter com, che invece ospita l’ennesimo sito americano su basket e football.
Il primo, che non è la parte italiana dell’altro ma proprio un altro sito, è cosa tutta nostrana: largo spazio al calcio (anzi, al calciomercato), a Ferrari e motociclette, al ciclismo. Insieme a sportal.it, che è meno fantasioso ma più autorevole, sportcenter.it è probabilmente il migliore portale sportivo italiano, non solo perché in grado di offrire una panoramica completa ed esauriente sul mondo dello sport, ma anche perché oltre a news, approfondimenti, forum e sondaggi, offre un mix di servizi studiati per gli appassionati più competenti e curiosi: esposizione e vendita on line di prodotti sportivi, prenotazione di biglietti per i grandi eventi, possibilità di seguire veri e propri corsi di formazione a distanza sulle regole e le tecniche di allenamento. Oltretutto, non viene gestito con il semplice scopo di fornire informazioni, ma cercando di fare community: ogni utente che si registra, che lo punta come pagina iniziale, fa parte di una comunità di appassionati pronta a condividere, confrontarsi e mettere alla prova il proprio livello di competenza. Da mettere in evidenza che – unico fra i portali - ospita due sezioni dedicate allo sport per tutti, riservate alle attività del CSI e dell’UISP. Altri portali italiani sullo sport sono c a n a l e s p o r t . i t , che è ancora in via di sviluppo ma “promette bene”; s p or tvi llage it, molto bello graficamente ma non aggiornato con la necessaria frequenza (fa sempre un brutto effetto trovare notizie datate…); datas port it, che invece viene continuamente aggiornato ma più che di un portale si tratta di una – come si presenta – “Agenzia Giornalistica Multimediale sullo Sport”.
Infine, occorre ricordare agli sportivi che frequentano la Rete l’indirizzo www raisp ort ra i i t, dove la Testata Giornalistica Sportiva della Rai cura uno spazio pieno zeppo di file multimediali Mpeg e altre amenità del genere per comodamente gustarsi sullo schermo del computer i gol più belli del campionato, i sorpassi della Ferrari, l’arrivo in volata del gruppo, tutti i momenti più emozionanti che lo sport continuamente ci offre.
Quando lo Sport è Community
La Rete si sta muovendo sempre più velocemente in una direzione, quella del libero scambio di opinioni tra gli utenti, della possibilità di esporre liberamente il proprio pensiero, di discuterlo con gli altri, di controbattere alle loro tesi. Anche i siti che si occupano di sport registrano un successo oltre le aspettative proprio quando lasciano libero spazio a chi li frequenta, permettendo loro di discutere in maniera più o meno tecnica di sport. Cheinsieme alla musica - è probabilmente il più forte argomento e motivo di aggregazione in Internet. Esistono molti siti noti che non offrono nulla di speciale, se non la semplice possibilità di condividere opinioni e manifestarle ad altri, eppure registrano un successo travolgente. L'uovo di Colombo è offrire il Bar Sport, anche se in una nuova versione: un Bar Sport digitale, virtualmente infinito, con illimitate possibilità d'accesso e una gran libertà d'espressione. Oltretutto, si tratta di un "luogo" di incontro e conversazione sempre a portata di mano, a casa come in ufficio, addirittura - volendo - in viaggio o dalla spiaggia. Tutto ciò dimostra che, nonostante gi allarmismi esagerati di qualche anno fa, non è vero che Internet disgrega la società e le relazioni personali che crescono al suo interno. Non è vero che chi resta imprigionato nelle sue maglie perde contatto con la realtà sociale: semplicemente stiamo assistendo alla crescita prepotente di un nuovo fenomeno di aggregazione e interazione sociale, che - badate bene - non si sostituisce alle interazioni faccia a faccia, ma risponde ad un altro livello alla gran voglia di comunicare e mettersi in relazione che continuamente cresce, anche grazie a questi nuovi strumenti di comunicazione. Ecco perché il Centro Sportivo Italiano punta con decisione sui new media. A cominciare dallo spazio Web, che la Presidenza nazionale del CSI sta attrezzando proprio in direzione di una maggiore possibilità di interazione con i propri utenti. In effetti, oltre ad essere una risorsa fondamentale per la gestione della comunicazione interna, (già da un po' di tempo i Comitati CSI sparsi per la penisola possono ricevere la modulistica in tempo reale e iscriversi on line ai campus e agli eventi proposti dalla Presidenza), il sito Internet può essere un luogo di incontro e scambio per tutti coloro che si interessano di sport per tutti. Gli strumenti di interazione possono essere molti, a cominciare dai sondaggi, che già si stanno sperimentando, fino ai Forum di discussione, alle Chat line, e via dicendo. Il tutto per preparare il primo portale dello sport per tutti.
di Danilo Vico
Intervista a Sandra Truccolo campionessa paraolimpica di tiro con l’arco
Pagaia e faretra
Il 5 agosto, in concomitanza con la tappa veneta a Jesolo di Stadium è stato inaugurato nella vicinissima darsena di Cavallino il primo canoa-club del CSI. Nonostante un violento temporale estivo, erano molti i presenti accorsi per vedere le bellissime canoe polinesiane outrigger. Accanto al padrone di casa, il campione olimpico Daniele Scarpa, primo sostenitore di questa iniziativa, c'erano altri esponenti della canoa azzurra, due dirigenti del CSI veneto e Sandra Truccolo, campionessa olimpica di tiro con l'arco, più volte in acqua con il team di Daniele Scarpa, coraggiosamente in canoa, per nulla limitata dalla sua carrozzina e dall'essere atleta disabile. Sandra in breve ci ha raccontato la sua esperienza sportiva, di arciere-canoista: «La mia attività sportiva nel tiro con l'arco è cominciata subito dopo aver avuto l'incidente nel 1988; ho iniziato così per gioco, per continuare a fare qualcosa che mi piaceva. Ci riuscivo bene. Dopo 2 anni sono andata a fare i Mondiali in Inghilterra. Ho vinto una medaglia d'oro ed una d'argento e da lì è partita la mia vera vita agonistica e devo dire sempre con ottimi successi, perché alle Olimpiadi di Atlanta ho riconfermato un altro oro a squadre ed un argento individuale. L'anno scorso in Nuova Zelanda un oro a squadre e quest'anno… speriamo bene».
Hai già in tasca il biglietto per Sidney?
Sì, partirò il 9 o il 10 ottobre. Sono già arrivati i borsoni con le divise della Nazionale e tutto l'occorrente, e ti confesso che ho provato nuovamente una forte emozione. Pensavo che la seconda volta fosse diverso. Avevo già provato grande gioia quando mi arrivò la borsa per Atlanta; ed invece quando ieri ha bussato il corriere con due pacchi per me ed ho scoperto che era l'abbigliamento per le Olimpiadi, ho provato ancora una sensazione bellissima, veramente!
Obiettivo medaglia, ovviamente? Magari. Anche se sono diverse, ma almeno ce le danno…
Diverse?
Sì, le medaglie olimpiche, quelle che ha
Daniele ad esempio, sono diverse rispetto alle nostre, ma non è tanto la diversità della medaglia a non convincermi anzi quelle di Atlanta dietro avevano anche la scritta in BRAIL, simbolica; in realtà non mi è piaciuto il nastro, e non è cosa da poco perché le medaglie olimpiche avevano un bel nastro con su scritto "Atlanta", mentre a noi è toccata un'anonima fettuccia di cotone viola. Mi è sembrato un risparmio inutile.
Almeno la divisa azzurra che ti è arrivata è uguale per tutti, o forse anche lì fanno differenze? In effetti la Paraolimpiade - mi sembra - discrimini parecchio l'atleta disabile? Infatti è certamente così. Lo sport secondo me dovrebbe essere integrante, e non discriminante come lo sono le Paraolimpiadi. Una Olimpiade minore, quasi invisibile rispetto a quella dei cosiddetti "normodotati"… dico "cosiddetti normodotati" perché tra i "normali" e gli "anormali" in realtà bisognerebbe vedere chi lo è davvero, o cosa s'intende per normalità. Io me lo chiedo sempre. Secondo me sarebbe bello che facessero le gare per i normodotati e parallelamente quelle per i disabili: invece le Paraolimpiadi si fanno dopo quindici giorni, e non ne parlano né la stampa né la TV, se non con qualche flash. Aggiungo che sarebbe oltretutto giusto che all'interno di ogni federazione ci fosse un suo settore disabili e non come adesso una sola federazione disabili comprendente tutti gli sport.
Abile e disabile divisi da un filo molto labile. Avrai certamente saputo di quell'atleta non vedente che correrà a Sydney gare di velocità in atletica Dopo aver corso nelle Paraolimpiadi si è qualificata anche per le Olimpiadi Cosa ne pensi?
Penso che non è nemmeno la prima ad esserci riuscita. La prima, lo dico con orgoglio, è stata la mia compagna di squadra di tiro con l'arco Paola Fantato che ha gareggiato alle Olimpiadi di Atlanta e quindici giorni dopo ha partecipato alle Paraolimpiadi. Il tiro con l'arco fino a poco tempo fa era l'unico sport in cui per i disabili c'era la possibilità di essere veramente competitivi: adesso non posso più dire che sia l'unico
perché ad esempio anche nell'atletica si può. I risultati dell'atleta non vedente lo dimostrano. In realtà non è corretto definirla "non vedente" in quanto credo che lei riesca a vedere qualcosa, ma comunque il suo handicap rispetto alle avversarie normovedenti rimane evidente.
Questo fatto dimostra che l'agonismo e lo sport, come dicevi prima, debbano essere soprattutto integrazione.
Sì, ho usato proprio questo termine “integrazione”: io lo sport lo vedo esattamente così, mi piace fare sport con tutti e non essere costretta a farlo solo con gli atleti disabili. Sono convinta che prima o poi arriveremo a pensarla tutti così, solo che ora forse i tempi non sono ancora maturi.
In quest'anno 2000, c'è in programma anche il Giubileo degli Sportivi: quali sono le emozioni, la gioia di uno sportivo in occasione di un evento così speciale?
Mi piacerebbe che proprio nel Giubileo degli Sportivi queste differenze e queste idee di diversità venissero eliminate del tutto, cancellate: sarebbe proprio l'occasione ideale. So però che per adesso tutto ciò rimane un sogno, perché non è ancora attualizzabile, almeno non a 360° come intendo io.
Sandra Truccolo
Nata a Mestre il 25/09/64
Categoria: paraplegica (W2)
Società sportiva: Polisporiva Bresciana Ha Sport: tiro con l'arco
Specialità: Olympic round individuale e a squadre
Risultati agonistici
1994Campionati Mondiali di Stoke Mandeville (Gran Bretagna): conquista l’oro nella prova di squadra e argento in quella individuale.
È un sogno da continuare a rincorrere sempre e comunque.
Certo, ne sono profondamente convinta.
Parlami invece della canoa Quali difficoltà hai incontrato?
Sì, avevo questo desiderio di andare in canoa, però avevo anche un po' paura perché io non ho lo stesso equilibrio delle persone normali. Invece con questa canoa polinesiana, che ha il bilanciere laterale ed è molto stabile, ho fatto rovesciare la canoa di proposito per essere sicura di potermi rialzare, anche da sola, ed è andata bene perché sono riuscita non solo a raddrizzare la canoa ma anche a risalirci sopra. Da quel momento vado più tranquilla, sempre accompagnata da Daniele, il quale però poi mi distanzia anche se cerco di stargli dietro.
1995Campionati Europei di Parigi (Francia): conquista il bronzo nella prova a squadre
1996Paraolimpiadi di Atlanta (USA): conquista l’oro nella prova a squadre e l’argento nell’individuale.
1997Campionati Europei di Foligno (Italia): conquista l’oro nella prova a squadre.
1998Campionati Mondiali di Aylesbury (Inghilterra): conquista l’oro nella prova a squadre.
1999Campionati Mondilai di Christchurch (Nuova Zelanda): conquista l’oro nella prova a squadre.
2000Campionati Italiani: vince l’argento individuale.
Come il discorso va sulla canoa non può che avvicinarsi Daniele Scarpa, a cui chiediamo:
Questa canoa polinesiana è davvero inaffondabile, allora Beh, inaffondabile… diciamo innanzitutto che questa canoa è molto stabile, e questo la rende particolarmente pratica per chi, come Sandra, è portatore di handicap e con questa canoa si trova in condizioni ideali per poter pagaiare. Sandra è potuta così passare dalle acque calme ad affrontare le onde del mare e credo che sia stata un'emozione molto forte. A Punta Rossa, a Savona ha partecipato ad alcune gare insieme al mio team e non si è classificata neanche per ultima come tempo; siamo usciti in mare al Circeo, a Sabaudia, e devo dire che mi sorprende perché è migliorata molto tecnicamente. Secondo me l'outrigger, a prescindere dalle diverse lesioni di ognuno è pro-
prio il mezzo ideale per far avvicinare anche l'atleta disabile a questo sport.
Tu Sandra riesci a trovare un po' di tempo anche per la canoa dunque?
Certo, un po' di tempo per la canoa lo trovo sempre, anche se è meno di quello che dedico al tiro con l'arco, perché la canoa resta per me un divertimento e anche un buon allenamento muscolare, invece di andare in palestra a volte mi alleno in canoa.
Daniele, tu porti Sandra come esempio di tenacia, di forza?
Certamente. Spesso molte persone sono titubanti all'idea di provare nuove esperienze, invece Sandra ha molto coraggio e desiderio di fare.
Gli risponde lei: ho molto coraggio perché ho un maestro d'eccezione di cui mi fido completamente.
ADEMPIMENTI AI FINI IVA DELLE ASSOCIAZIONI SPORTIVE DILETTANTISTICHE IN REGIME FORFETARIO: LA TENUTA DEL PROSPETTO DI CUI AL D.M. 11-2-1997
Prima della riforma tributaria le associazioni sportive in regime forfetario assolvevano gli obblighi relativi al versamento dell'imposta sul valore aggiunto con il tradizionale sistema della distinta d'incasso che consentiva di liquidare il tributo all'amministrazione finanziaria per il tramite della SIAE. Venuta meno tale previsione, per effetto della nuova normativa relativa alle imposte sugli spettacoli (L. 60 del 26/2/1999 e D.P.R. 544 del 30/12/1999), le società in regime 398 devono provvedere alla liquidazione trimestrale dell'IVA direttamente all'erario, con versamento da effettuare a mezzo del modello F24 entro il giorno 16 del secondo mese successivo al trimestre di riferimento (per il secondo trimestre, quindi, la scadenza ultima è il 16 agosto).
La nuova disciplina, lungi dal costituire una semplice variazione del soggetto incaricato di riscuotere il tributo, ha comportato, tuttavia, un ulteriore adempimento prima sconosciuto al mondo delle associazioni sportive: l'annotazione mensile dei proventi nell'apposito prospetto di cui al D.M. 11/2/1997 opportunamente modificato: questo numero di Tuttoleggi è dedicato alla relativa compilazione.
Prima di procedere con le istruzioni è opportuno che il lettore si doti del modello in esame, acquistabile presso i negozi specializzati chiedendo del prospetto in uso per i contribuenti in regime "supersemplificato" e facendo riferimento, comunque, al D.M. 11/2/1997.
Tale prospetto, che deve essere compilato nella parte che riguarda i dati identificativi del contribuente e, quindi, vidimato a cura dell'Ufficio del Registro o dell'Ufficio delle Entrate, è organizzato come una tabella con righe e colonne (quadro A).
Le righe riportano i dodici mesi dell'anno e, per ciascun mese, la distinzio-
ne tra corrispettivi e acquisti: poiché le associazioni in regime 398 determinano l'IVA e imposte sui redditi in maniera forfetaria, la voce acquisti va barrata e sostituita con la dizione "IVA detraibile forfetariamente".
Le colonne sono organizzate per aliquota IVA in modo da consentire al contribuente di iscrivere separatamente i proventi gravati dall'aliquota ordinaria del 20% (sponsorizzazioni, pubblicità, cessioni di gadget, magliette, ecc.) da quelli soggetti ad aliquote speciali come, ad esempio, i corrispettivi per l'entrata a manifestazioni, gare, ecc. o per la vendita di alimenti e bevande (10% in entrambi i casi). Poiché la detrazione varia in ragione dell'operazione effettuata è opportuno che il contribuente predisponga una colonna per le operazioni al 20% con detrazione del 10% (sponsorizzazioni) un'altra per le operazioni al 20% con detrazione del 33,33% (cessioni dei diritti televisivi e radiofonici), un'altra ancora per le operazioni al 10% con detrazione del 50%, ecc.
A questo punto il contribuente deve procedere all'iscrizione entro il giorno 15 di ogni mese dei proventi (distinti per aliquota e per percentuale di detrazione come detto) conseguiti nel mese precedente. Se, ad esempio, nel mese di gennaio sono state fatturate complessive lire 1.000.000 + Iva (20%) per sponsorizzazioni e incassate complessive lire 1.100.000 (IVA 10% compresa) per cessione alimenti e bevande l'associazione provvederà a iscrivere, entro il 15 febbraio, nella riga di gennaio, l'imponibile di lire 1.000.000 tra i corrispettivi al 20% e, accanto, la relativa IVA di lire 200.000 e l'imponibile di 1.000.000 tra i corrispettivi al 10% con la relativa IVA di lire 100.000. Nella casella delle detrazioni segneremo, quindi, lire 20.000 (10% di 200.000 lire) per le sponsorizzazioni e lire 50.000 (50% di lire 100.000) per la somministrazione alimenti. Nella
colonna dei totali andremo, quindi, a inserire la somma degli imponibili del mese (lire 2.000.000) e la somma della relativa IVA percepita (lire 300.000) con, immediatamente in basso, quella delle detrazioni ammesse (lire 70.000).
Non finisce qui: la nuova normativa prescrive, infatti, che anche i proventi estranei all'applicazione del tributo debbano essere registrati nel prospetto con la stessa cadenza mensile: quote associative, corrispettivi per attività destinate ai soli soci, proventi fino a cento milioni derivanti da non più di due manifestazioni all'anno e le altre entrate istituzionali vanno riportate, per l'importo complessivo del mese, nella colonna "operazioni non rilevanti ai fini IVA", ovviamente senza scomputo dell'IVA e senza detrazione essendo escluse dal tributo. Nell'ultima colonna si calcola, infine, il totale generale del mese di riferimento, pari alla somma dell'imponibile IVA (lire 2.000.000) e delle entrate istituzionali (es. 5.000.000 di lire nel mese di gennaio) per un importo complessivo di lire 7.000.000.
L'ultima parte del quadro A è dedicato alla liquidazione IVA e agli estremi per il relativo versamento ed è anche esso ripartito in mesi: nel mese di gennaio l'IVA per cessioni o prestazioni, restando all'esempio riportato in questa pagina, è pari a lire 300.000 e la detrazione forfetaria pari a lire 70.000. Il debito, quindi, è di lire 230.000 e va sommato con i debiti maturati nei due mesi successivi (con il regime forfetario la posizione nei confronti dell'erario è sempre debitoria). Entro il 16 maggio, per il primo trimestre, si dovrà procedere, quindi, al versamento dell'imposta con relativa annotazione della data in cui tale versamento è stato effettuato (che deve coincidere con quella riportata dalla banca o dalle Poste sul modello F24) e degli estremi dell'istituto o dell'agenzia postale che ha curato la riscossione del tributo.
domande & risposte
Le associazioni sportive che hanno optato per la legge 398 del 1991 possono applicare, ai fini IvA, l'abbattimento for fetario delle copie spedite qualora realizzino pubblicazioni editoriali?
Le associazioni sportive in regime 398, per l'espressa disposizione dell'art.6 D.Lgs 313/1997, applicano obbligatoriamente il sistema delle copie effettivamente vendute ossia computano l'IvAda versare all'erario solo sulle vendite andate a buon fine. Il sistema della resa forfetaria che è, al contrario, il sistema base per gli editori organizzati in forma d'impresa, consente di considerare come vendute e, quindi, imponibili ai fini IvA, solo il 40% delle copie spedite (resa forfetaria del 60%) e ciò anche se di fatto i resi sono inferiori (o viceversa superiori) a detta percentuale.
L'esclusione dal beneficio in esame, nel caso delle associazioni in regime 398, è da addebitarsi, probabilmente, al fatto che queste sono già destinatarie di un particolare e favorevole regime di determinazione forfetaria dell'IvA(quello, per l'appunto, previsto dalla legge 398 del 1991) che prescinde, tuttavia, dall'esercizio dell'attività editoriale.
Un'associazione sportiva che intenda realizz are una rivista da distribuir e prevalentemen te ai pr opri associati è obbligata all'apertura della partita IvA?
Ai sensi dell'art.111 comma 3 del T.U.I.R. le associazioni sportive dilettantistiche, il cui statuto e la cui organizzazione rispondano ai requisiti previsti dal D.Lgv 460/1997, possono cedere verso specifico corrispettivo le proprie pubblicazioni sia agli associati che a terzi (purché prevalentemente agli associati) senza che l'operazione configuri attività commerciale. Pertanto non è obbligatoria l'apertura della partita IvA. Ovviamente ciò comporta l'indetraibilità dell'IvAassolta sugli acquisti dei fattori produttivi necessari per la produzione della rivista.
Qu al è il trattamento fiscale dei rimborsi spese documentate sostenute da un professionista nell'eserciz io della propria abitu ale attività?
Un professionista, nell'esercizio della propria attività abituale, può produrre almeno due tipi di richiesta per rimborso spese documentate: la prima tipologia riguarda le spese anticipate in nome e per conto dell'associazione quali, ad esempio, le marche da bollo, i ciceroni, ed altri oneri fatturati da terzi a carico dell'associazione stessa (anche se pagati anticipatamente dal professionista) connessi, in generale, allo svolgimento di pratiche per conto del cliente. Tali oneri sono esclusi dall'applicazione dell'IvA ai sensi dell'art. 15 del D.P.R. 633/1972 e non soggetti a ritenuta d'acconto. Diversamente i rimborsi spese per svolgimento dell'attività fuori dal territorio comunale (viaggio, pasti, pernottamenti, ecc.) ancorché documentati, sono secondo l'interpretazione ministeriale (R.M. n.20/e del 20-3-1998), soggetti sia ad IvA che a ritenuta d'acconto e pertanto devono anche essere fatturati. L'applicazione di tale interpretazione ministeriale comporta, nel caso delle associazioni, una notevole lievitazione dei costi del rimborso che verrebbe incrementato del duplice onere relativo alla ritenuta (20%) e all'IvA (20%), quest'ultima indetraibile per le associazioni che svolgono solo attività istituzionale.
«Abbiate premura dei giovani»
Ad una settimana di distanza dalla conclusione della XV Giornata Mondiale della Gioventù, Giovanni Paolo II è tornato ad esprimere attenzione e preoccupazione per i giovani, questa volta pensando a coloro che alla GMG non c’erano perché ai margini della Chiesa e della società. Chiaro ed accorato il suo appello a tutta la comunità cristiana perché non si limiti ad aspettare i giovani, ma li vada a cercare ovunque essi siano.
“Le urgenze pastorali certamente sono molteplici, am quella giovanile è la più evidente e pressante, perché nei giovani avanza il futuro e si annuncia il volto della Chiesa e della società del nuovo millennio. Il mondo giovanile presenta indubbiamente dei problemi, nasconde anche in sé un immenso potenziale di bene. La Giornata Mondiale della Gioventù che abbiamo celebrato pochi giorni or sono, è stata una splendida conferma di quanto sia giusto confidare nelle nuove generazioni ed offrire loro opportunità positive, perché incontrino Cristo e lo seguano
generosamente. Investite, dunque, valide energie pastorali a favore della gioventù, promuovendo lughi di aggregazione dove i giovani, dopo aver ricevuto la prima iniziazione cristiana, possano sviluppare in un gioioso clima comunitario i valori autentici della vita umana e cristiana... Abbiate premura anche dei tanti giovani, che non frequentano la comunità ecclesiale e che si riuniscono sulle strade e nelle piazze, esposti a rischi e pericoli. La Chiesa non può ignorare o sottovalutare questo crescente fenomeno giovanile! Occorre che operatori pastorali particolarmente preparati si accostino ad essi, aprano loro orizzonti che stimolino il loro interesse e la loro naturale generosità e gradatamente li accompagnino ad accogliere la persona di Gesù Cristo”. È la cosiddetta “pastorale del muretto”, che molte realtà acclesiali vanno sviluppando da ann. Tra di esse c’è il CSI, con i suoi
programmi “on the road”, la formazione per operatori di strada e tanti progetti che è ormai ingiusto chiamare sperimentali.
Tuttavia Giovanni Paolo II sprona a fare di più, a non tralasciare occasioni per occuparsi di giovani “lontani”, Senza spirito di crociata, senza voglia di conquista di spazi e di gruppi, animati unicamente dalla preoccupazione di portare loro una parola di speranza, una prospettiva di vita. Con umiltà, ma anche con cognizione dei problemi e dei metodi (“operatori pastorali particolarmente preparati...”), perché
l’universo giovanile è cangiante quanto altri mai.
Per il CSI l’appello del Papa suona da un lato come elemento di legittima soddisfazione per l’essere stati tra i primi nel mondo dello sport ad essersi lanciati su questo percorso; dall’altro va recepito come un monito sulla necessità di non arrendersi alle difficoltà, destinando, lì dove occorre, un maggior numero di risorse umane e progettuali da mettere al servizio dei giovani che, altrimenti, rischiano di smarrirsi
Prato - 14 Settembre
27ª Traversata notturna
Un prosciutto al vincitore. Spalle, salami e mortadelle ai primi 30 classificati. Si presenta così, genuina e saporita, la 27ª "Traversata notturna" di Prato, corsa podistica semicompetitiva di 12 km su strada. La gara, che apre ufficialmente la stagione sportiva del CSI locale, prenderà il via alle ore 21 dallo stadio di Prato, per snodarsi poi lungo le vie del centro storico. Attesi circa 700 partecipanti al via, tra cui molti atleti disabili.
Todi - 7 Ottobre
Gimkana ciclistica CSI 2000
Dopo i due concentramenti svoltisi al Trasimeno (località S. Feliciano di Magione e Castiglione del Lago), come tradizione da 10 anni a questa parte, l'epilogo del campionato regionale umbro di Gimkana avrà luogo sabato 7 ottobre nei pressi di Todi, esattamente a Pontecuti, pittoresco paesino lungo le rive del Tevere. Riservata a bambini e bambine dai 5 anni in su, la gimkana, corsa in bici ostacolata da coni di plastica, sbarre, ponticelli su cui salire, canestri da realizzare, vedrà la finale svolgersi in due manches, a partire dalle ore 22. Subito dopo divertimento e ballo per grandi e piccini presso il dancing "Due Mari".
SETTEMBrE
30-9/1-10 verona Stadium sport in tour
7 Todi Gimkana ciclistica CSI 2000
7/8 Bologna Stadium sport in tour
22 Martina Franca Spinning Marathon
25/29 Modena Staffetta del Giubileo Modena-Roma
23/29 Roma villaggio CSI Castel S. Angelo
28/29 Roma Giubileo degli sportivi
9/10 Riccione
Convention nazionale
degli Arbitri e Giudici di gara del CSI
9/10 Pescara
Stadium sport in tour
14 Prato
27ª Traversata notturna
14/15 Roma
Incontro consulenti regionali CSI
16 Roma
Incontro delle presidenze regionali CSI
16/17 Reggio Emilia
Stadium sport in tour
17 Cava de’ Tirreni
39ª Podistica internazionale “S. Lorenzo”
23/24 Pisa
Stadium sport in tour
Cava de’ Tirreni - 17 Settembre
39ª Podistica internazionale
Sempre "di corsa" a Cava de' Tirreni. L'appuntamento settembrino con l'attività podistica cavese è di quelli storici, tradizionali, cresciuto di pari passo con la frazione che lo ospita: S. Lorenzo di Cava. Giunta ad un metro dal suo quarantennale, è rimasto intatto il fascino di questa corsa (circa 8 Km attraverso i saliscendi nel verde della valle Metelliana), che va arricchendosi nelle oltre 250 iscrizioni di atleti di livello nazionale e internazionale. Da 23 anni inoltre la gara si fregia della "medaglia d'argento", messa in palio dal Presidente della Repubblica. Il prezioso premio, come ogni anno, andrà custodito dalla società d'appartenenza del vincitore.
Ogni giorno nasce un pollo
Un vecchio proverbio americano insegna che ogni giorno nascono diversi "sucker", polli, e chi vuole diventare ricco non deve fare altro che trovarli e spennarli. È una verità che banchieri e agenti di borsa conoscono da sempre e che un elettricista in pensione di un piccolo paese dell'Illinois ha deciso di collaudare personalmente truffando diversi polli ripescando la più classica e antica delle truffe: la piramide, come la chiamano gli esperti.
La genialità, si fa per dire, dell'elettricista americano è stata quella di avere sposato il vecchio trucco della piramide con il nuovo mondo della globalizzazione elettronica. Aperto un sito finanziario in Internet, gli ha dato un nome biblico ed ha annunciato la sua semplice e interessante proposta: per ogni cento dollari versati ci sarebbe stato un ritorno di 2.500 dollari al mese. I primi polli attratti dallo sfrigolio della padella, hanno incominciato a spedire soldi al paese dei balocchi… tutti presi dall'ingordigia e dalla stupidità di fare soldi senza sforzo… Il resto non è difficile da immaginare.
Esistono polli nello sport? Mi viene da pensare subito agli "spennati" dalle Olimpiadi, truffati ed imbrogliati da una competizione che sotto sotto è costretta talvolta ad ubbidire a meri giochi politici.
La particolarità di questo pollaio è che in generale chi rimane spiumato il più delle volte neanche se ne accorge. C'è chi diventa una "piuma" con estenuanti diete dimagranti, a furia di barrette ipocaloriche e tutto un logorarsi di fitness, tapis-roulant, cyclettes. O, al contrario, per l'eccesso opposto, chi diventa un "gallone", palestrato, ipermuscoloso, goloso di anabolizzanti e iperenergetici integratori. Né gli uni né gli altri si rendono conto di non essere "sportivi" ma solo clienti cui spremere denari e risorse di vita. Tutti polli, galli o galline, uomini o donne, fedeli alla sola necessità dell'apparire.
Tra i pollastri di allevamento va ormai annoverato anche il tifoso. Qui non si gioca più sull'illusione della conquista della salute e
della bellezza, ma sui sentimenti facili. Chi potrà mai abbandonare la beneamata squadra del cuore? Abbonamenti, allora, pagati con assegni circolari; prelazioni, solo se possessori di carte di credito. Il pollo crede di pagare con i suoi soldi l'ingaggio dell'asso brasilero di turno, e non sa che parte dei suoi faticati soldi prendono la via più breve per le tasche di maneggioni internazionali, compari e comparuzzi del grande circo, e a volte finiscono, grazie a complesse partite di giro, nelle robuste casse di banche alle Seychelles. "Non sarò mica un pollo… non mi farò mica infinocchiare…" pensa qualche fanatico pulcino e rinuncia ad andare allo stadio. Ma il gallostipite, furbastro e dalla cresta parabolica, lo zabaione te lo serve davanti alla televisione. Ti nutre di mala-sportività telecomandata, di replay, rallenti, di mitragliate di spot che cercano di convincerti a comprare il crudo e il cotto, il tutto dispensato a piene mani fino ad immobilizzarti sul divano.
Ma anche lui, il pollo da salotto, si illude: non è un tifoso spremuto, è uno sportivo vincente. Certo che fa sport: guida alla vittoria sul pc la Ferrari grazie ad apposito software, calcia il tavolino di fronte, boxa con l'amico d'aperitivo, fa canestro nel portacenere… Una realtà virtuale che supera il sogno. Come stupirsi allora che quasi nessuno, tra i polli, abbia più voglia di sognare qualcosa di diverso. Continuano a sognare solo gli allevatori di polli. Che sognano altri polli: quelli delle maglie e dei gadget che arrivano dalla Cina a prezzi da cessione del quinto, delle scommesse legalizzate, del gioco che ancora non c'è ma presto ti farà diventare un nababbo.
E poi c'è chi dice che lo sport non è più un gioco. Pensateci bene, è vero l'opposto: è tutto un gioco. Ma perché, forse è vietato giocare? Per carità, basta non rimetterci le penne!
di Edio Costantini