Stadium n. 10/2000

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editoriale

Nonc'è dubbio. Viviamo in un mondo di "venditori", più che di produttori e promotori, e nessuno, soprattutto in Italia, sa esserlo più e meglio degli imprenditori del grande calcio professionistico. Alla prova dei mercati, infatti, si continua a verificare che l'abbondanza di calcio dei grandi Club, essendo spettacolo puro, premia più di qualsiasi altro sport. Questa ferrea legge del mercato è probabilmente una delle ragioni che stanno portando alla sconfitta dello sport di base.

In uno degli ultimi incontri di preparazione del Giubileo degli Sportivi mi sono trovato seduto allo stesso tavolo con Franco Carraro, che era lì nella sua qualità di presidente della Lega Calcio professionistica. Si trattava di fare un lavoro comune per la riuscita di un evento che non apparteneva né al calcio né al CSI, ma all'intero mondo dello sport. È stato subito evidente che Carraro non era troppo contento di confrontarsi con le proposte del CSI. Probabilmente, per quanto si poteva ricavare da alcuni atteggiamenti, non riusciva a capire cosa ci stesse a fare lì la nostra Associazione, visto che il Giubileo degli Sportivi era posto sotto l'egida, oltre che del Comitato Centrale del Giubileo, del CONI e della Lega Calcio. Dimenticando che il CSI costituisce per la Chiesa la realtà sportiva di riferimento. In fondo siamo abituati a quel pizzico di superficialità con cui il mondo del grande sport guarda chi abita nei piani bassi della "casa sportiva".

Ciò che suonava meno bene, meno accettabile, era il tono spazientito. Chi è stato presidente di Federazione, presidente del CONI e Ministro dello sport non può ignorare il contributo che il CSI ha dato, per quasi un secolo, allo sviluppo dello sport italiano.

Dovrebbe anche sapere che il nostro sport, nella sua interezza, dal vertice alla base, vive un momento difficilissimo, tra vuoti legislativi, crisi di finanziamento, cambio della domanda e impoverimento degli ideali. E che dunque non è più tempo di spaccature né di ignoranze, nel senso di mancanza di cognizione.

Il momento richiede un generale e comune rimboccarsi di maniche, più concertazione, più collaborazione per ridare dignità e valore allo sport dilettantistico affinché ciascuno dia il suo meglio per uscire dalla tempesta. L'impressione, però, è che proprio nelle alte sfere qualcuno stenti a prenderne atto.

Leggiamo che dopo la spaccatura tra calcio e resto delle federazioni, e poi tra calcio ricco e calcio povero, ora è in atto la corsa ad un'ulteriore frammentazione tra club ricchissimi e club ricchi. Non

c'è un disegno, non c'è un progetto, c'è solo un andare avanti cercando di acquisire sempre più soldi e potere.

Ma proprio il calcio fornisce indicazioni sui rischi di questo generale "Si salvi chi può". La babele multietnica di certi squadroni calcistici ha raggiunto limiti e costi insopportabili. Ed ora si vorrebbe rivalutare il giocatore nostrano, quello che nasce nei campetti di periferia o all'ombra di un campanile, come è avvenuto per i Rivera o più recentemente per i Toldo e i Signori. E ci si sta accorgendo che il calcio di base è sul punto di scomparire, perché troppo a lungo è stato sacrificato a vantaggio delle manie di grandezza di pochi.

Molti presidentissimi stanno prendendo atto, e pensiamo che Carraro sia tra loro, che non c'è vertice se non c'è base, e che una migliore distribuzione delle risorse e delle responsabilità è un'operazione a vincere e non a perdere.

Se si vuole combinare qualcosa di buono con lo sport nel nostro paese, bisogna smettere di pensare che esiste uno sport di serie A, uno di serie B ed un altro di serie C: tutto è strettamente interconnesso; se muore uno, si ammala l'altro.

Ciò che maggiormente mi ha colpito, quando poi ho chiesto chiarimenti a Carraro sui toni poco affabili usati nei nostri confronti, in quella riunione, è che questi "grandi" dello sport continuano a considerare l'attività del CSI "quella solita attività parrocchiale, poco seria e sempre ostile all'agonismo…".

Il CSI di oggi, evidentemente, non è sufficientemente noto, forse anche per colpa sua.

Dovremmo concludere, salomonicamente, che il torto e la ragione sono equamente divisi tra lo sport professionistico e quello dilettantistico e di base. Giudizi, condanne e indifferenze reciproche mettono in luce alcune radici del problema: c'è poca comunicazione, poco dialogo, poco confronto e soprattutto poca stima tra le "parti" che compongono l'intero sistema sportivo nazionale. E c'è poca voglia di aprirsi alla comprensione di chi, semplicemente, vive di un'idealità dello sport diversa ma pur sempre legittima perché mette al primo posto l'atleta e non solo i suoi risultati tecnici.

La verità è semplice: non è più tempo di demonizzazioni. Né in un senso né nell'altro. Bisognerebbe lavorare, invece, con lo stesso spirito che animò Giovanni XXIII nel dialogo tra Est e Ovest: cerchiamo ciò che ci unisce e toglieremo spazio a ciò che ci divide. In tempo di Giubileo degli Sportivi ci sembra l'appello più giusto.

Edio Costantini

Coloratissimo,

semplice e divertente, "Crea con Leo il Giubileo" è uno strumento realizzato dal Centro Sportivo Italiano per partecipare anche ai più piccoli i valori ed i significati del Grande Giubileo del 2000.

Attraverso una serie di schede che raccontano, spiegano e suggeriscono, i bambini e le bambine sono guidati in un percorso ludico tra storia, gesti e simboli per comprendere che cos'è un Anno Santo.

Acondurli

per mano, facendo da cicerone, è un personaggio inedito: il gatto-amico Leo, dall'aria sorniona e festante, che li invita a giochi in cui, in gruppo e a squadre, si suona il jôbel, si dà l'annuncio gioioso del Giubileo, ci si veste da pellegrini, si attraversa la Porta Santa.

E attraverso la "Porta" del Giubileo i bambini sono introdotti alla sperimentazione di valori importanti come la gioia, l'amore verso gli altri, il perdono.

Purnella sua essenzialità, "Crea con Leo il Giubileo" costituisce una proposta innovativa dal punto di vista educativodidattico. Pensato per i bambini, è rivolto ad insegnanti, educatori e catechisti, cui suggerisce contenuti e attività ludicocreative che usano una pluralità di linguaggi espressivi.

MENSILE DEL CENTRO SPORTIVO ITALIANO

DIRETTORE RESPONSABILE

Edio Costantini

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Chiara Panciroli Crea Con Leo iL GiubiLeo 1999, pagg. 32, £ 10.000

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Cognome e Nome Indirizzo

Esultiamo, allora, diciamo pure che abbiamo vinto...

Numero 10 ottobre 2000

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servizi

06Quel che resta di un’Olimpiade di Alberto Caprotti

08TotOlimpia di Giampiero Spirito

10Sydney 2000 - Paraolimpiade di Danilo Vico

11Da Sydney a Roma di Tito Della Torre

18Campioni nello sport, campioni nella vita di Rosangela Petillo

29Il Rap del Trap di Bruno Longhi

30Stadium sport in tour

42Sport, perché? di Andrea De Pascalis

44Sport per tutti: un passo avanti di Andrea De Pascalis

vitacsi

04Luigi Gedda

13In campo per il Giubileo di Alessandro Cappelli

16Francesco Toldo di Felice Alborghetti

28Tutti i record di Malta di Manuel Zenobi

30Stadium sport in tour

38Ai blocchi di partenza di Renato Picciolo

40Da campione a Parroco di Giancarlo La Vella

45Preti in campo di Vittorio Peri

46La via del tutto eccezionale di Daniele Perini

47C’è Parma in palio di Nicoletta Fogolla

dossier

20Giovanni Paolo II, Papa sportivo agli sportivi di Santino Spartà

rubriche

34Uno sport alla volta: I 4 salti dell’atletica di Renato Marino

49Parole di sport: Sudditanza di Claudio Arrigoni

50Formare: Promotori associativi di Michele Marchetti

52Salute: le qualità fisiche del saltatore di Sergio Cameli

54Comunicare di Marco Pigliacampo

56Area marketing: di sport in spot di David Ciaralli

58Tutto leggi a cura di Francesco Tramaglino

61Allo specchio di Vittorio Peri

63Planning

64Il racconto di Edio Costantini

Luigi Gedda

Gedda è stato per molti decenni una figura di spicco del movimento cattolico italiano, e il suo impegno in questo campo è stato ampiamente ricordato da giornali e televisioni all'indomani della scomparsa, avvenuta alle soglie dei cent'anni di età. Ma non un solo rigo è stato speso per ricordare l'impegno di Gedda nel campo dello sport durante gli anni difficili della ricostruzione post-bellica.

Gedda fondò il CSI nella tarda primavera del 1944, non appena Roma fu libera dall'occupazione nazista, insieme a pochi altri dirigenti dell'Azione Cattolica. L'Italia era divisa in due, non c'erano campi di gioco, non c'erano attrezzi, non c'erano nemmeno i giovani. Il CSI nacque per ridare vita all'esperienza della FASCI, la Federazione Associazioni Sportive Cattoliche Italiane, fondata nel 1906 e costretta a sciogliersi nel 1927 in osservanza alle leggi fasciste.

E qui subentrò un primo merito di Gedda. Accantonò il nome FASCI e ne scelse uno nuovo, Centro Sportivo Italiano, per sottolineare che si voleva fare qualcosa di diverso dalla FASCI, perché diversi erano i tempi. Se la FASCI, infatti, coagulava sotto la sua bandiera soltanto le società

sportive cattoliche, il CSI nacque come associazione che, pur proclamando l'ispirazione cristiana, era aperta a chiunque. La FASCI aveva operato in tempi di rigida contrapposizione tra Chiesa e Stato monarchico laico-liberale, il CSI nasceva mentre si andava formando una nazione nuova, fondata sui princìpi della democrazia e del pluralismo.

A Gedda dirigente sportivo va dato atto di una seconda grande intuizione: la necessità che nell'Italia repubblicana lo sport nascesse libero e pluralista. Si veniva dall'esperienza fascista, che aveva fagocitato tutto lo sport nazionale, inquadrandolo a livello giovanile nell'Opera Nazionale Balilla, e inventando il CONI quale federazione delle federazioni, di fatto organo accentratore e controllore di tutto lo sport italiano.

Gedda sognava un'organizzazione sportiva sul modello delle grandi democrazie, senza meccanismi centralizzati e affidato al libero associazionismo. Perciò lui e il CSI dovettero presto fare i conti con un CONI che, dopo essere stato posto in liquidazione dal Comitato di Liberazione Nazionale, era riuscito a sopravvivere e a riproporsi con le stesse funzioni anteguerra di unico e massimo organo di rife-

rimento del nostro sistema sportivo. Ad un certo punto il presidente del CONI, l'avvocato Giulio Onesti, si fece ispiratore di una proposta di legge che riconosceva quale unico sport quello organizzato dalle società federali. Gedda rispose a sua volta con una serie di proposte di legge integrate, chiamate "Carta dello sport Italiano", con cui si distingueva tra lo sport olimpico, lo sport scolastico, la sport educativo e quello del tempo libero di tutti i cittadini. Il primo era compito del CONI, il secondo della Scuola, il terzo delle associazioni come il CSI, il quarto delle associazioni dopolavoristiche e di tempo libero. La sortita di Gedda ebbe il merito di fare accantonare il progetto Onesti. In qualche modo le due parti vennero poi ad un accordo di collaborazione.

La terza intuizione sportiva di Gedda riguarda la scuola. Egli riteneva che, affinché lo sport avesse in Italia un avvenire, nelle scuole si doveva passare dall'insegnamento dell'educazione fisica, peraltro carente, al lancio sistematico di attività sportive, con tornei di calcio, atletica e di tutti gli altri sport più popolari. Fu per questo motivo che il CSI si fece, fin dal 1945, promotore nelle scuole dei "Campionati studenteschi" che per oltre vent'anni furono il perno dell'attività sportiva scolastica.

Da cattolico, Gedda pensava anche che si dovesse evangelizzare il mondo del grande sport. Fu così che il CSI si trovò a partecipare - anche se in modo poco più che simbolico - al Giro d'Italia con una propria squadra, mentre nella sua sede nazionale sfilavano fior di campioni che venivano a fare atto di fedeltà agli ideali etici dello sport cristianamente inteso.

Nel 1955 il CSI, con Gedda alla testa, fu solennemente ricevuto in San Pietro per il decennale di fondazione. In quell'occasione Pio XII pronunciò un discorso sullo sport rimasto memorabile, che influenzò non poco il successivo sviluppo dello sport italiano. Non era la prima volta che Papa Pacelli si interessava ai problemi dello sport, ma non è sbagliato pensare che alcuni dei passaggi di quel discorso

IL SALUTO DI GEDDA

Vi auguro di passare dal ricordo di un passato glorioso al programma di un avvenire radioso, per il quale desidero lasciarvi, come fratello maggiore, tre consegne: la prima è che il nostro sia sempre uno sport "vissuto", vale a dire praticato e non semplicemente tifato. Il tifo è una necessità psicologica ma può anche degenerare in uno spettacolo demagogico e controproducente, rappresentato da un’assemblea vociante che può arrivare a compiere atti di violenza. Il vero sport è invece quello vissuto in prima persona. La seconda consegna è che quello del CSI sia uno sport "del cuore", e cioè uno sport in cui si ama colui con il quale si compete. Il confronto fra atleti o squadre, proprio dello sport, dev'essere vissuto con stima e rispetto per l'avversario che non è mai un nemico, ma un amico al quale si riserva la stretta di mano al termine della gara.

Infine, il nostro sport dev'essere nella sua pienezza e nel suo splendore uno sport dell'anima. Ogni attività sportiva costa tensione, fatica e dolore che noi dobbiamo unire alle tensioni, alle fatiche e ai dolori di Cristo Gesù, affinché la nostra possa essere una nuova evangelizzazione di questo mondo che ha in sé i germi del Duemila.

Arrivederci al Duemilaquattro, carissimi amici del Centro Sportivo Italiano, quando celebreremo i 60 anni della nostra Associazione.

abbiano avuto la fonte di ispirazione nel rapporto di collaborazione e di stima che legava il Pontefice a Luigi Gedda. Una storia efficace dello sport italiano nell'ultimo dopoguerra attende ancora di essere scritta. Il giorno in cui finalmente qualcuno dovesse accingersi a quest'impresa, non dovrebbe fare a meno di dedicare un lungo capitolo all'opera di Luigi Gedda, per approfondire gli aspetti che qui abbiamo appena accennati. Si tratta certamente di fatti ormai lontani dalla mente dei tanti giovani soci del CSI. Ma certo rimane impresso in questa circostanza un ricordo: Roma, Stadio dei Marmi, festa del 50º del CSI. Ad un certo punto di quella tiepida notte romana, la musica e le esibizioni tacquero e la platea si trovò ammutolita ad ammirare sul palco quel grande vecchio, Luigi Gedda, che non aveva voluto mancare all'appuntamento con il cinquantennio della sua creatura sportiva. E proprio il saluto che Gedda indirizzò al CSI in quella circostanza riproponiamo qui a lato come un estremo saluto d'affetto rivolto all'Associazione dal suo fondatore.

Sopra: Pio XII riceve il saluto di Luigi Gedda e Giulio Onesti in occasione del decennale del CSI. Nella pagina precedente: Pio XII benedice la bandiera dell’Associazione.

NEL RICORDO

Non tutti sanno che il prof. Luigi Gedda ha fondato anche il Centro Sportivo Italiano. La sua sensibilità di laico impegnato, ma anche il grande amore per le persone, e per i giovani in particolare, lo hanno portato ad intuire forme di aggregazione che hanno attraversato il secolo che si è chiuso.

La sua scomparsa è stata ricordata da diverse angolature, sottolineando l'impegno straordinario nei momenti più delicati della storia italiana.

A noi piace ricordarlo come il padre fondatore, ma anche e soprattutto come il papà buono e affettuoso che circa dieci anni fa ci ha ripreso per mano, proiettandoci verso una nuova fondazione.

L'inizio degli anni '90 vedevano un CSI logoro e affaticato, alla ricerca di un passato che lo aiutasse a trovare strade nuove per il suo futuro. Il nonno Luigi, con la sua infinita pazienza e con il grande amore per Cristo ha saputo indicarci la strada da seguire.

Sono ancora vivi in me e in tanti amici del CSI gli incontri serali in cui Luigi ci aiutava a meditare la Parola, unendo la sapienza antica e la sua profonda carica umana e spirituale.

Mi piace ricordarlo nei momenti più intimi, quando dispensava consigli o quando sentiva il bisogno di commentare le vicende politiche del nostro Paese, sempre informato com'era di quanto accadeva.

Sento ancora forte l'emozione di quel giorno del 1994, quando giunse allo Stadio dei Marmi per salutare le migliaia di soci del CSI riuniti per festeggiare il cinquantennio di fondazione dell'Associazione. Ritirandosi ci disse: "Costruite percorsi di santità".

Il suo sogno era il rilancio, soprattutto tra le giovani generazioni, della Società Operaia, l'Associazione alla quale è rimasto più legato fino alla fine. E così non ha mai smesso di cercare operai da avviare all'esperienza getsemanica.

Mi mancheranno le sue lettere bimestrali, ma soprattutto mi mancherà la sua presenza, che in tanti momenti mi ha incoraggiato e sostenuto, aiutandomi a impegnarmi a fondo per ricostruire il CSI.

Lui non ha mai smesso di seminare, e i frutti, ne sono certo, saranno ancora molti.

Donato R. Mosella

Quel che resta di un’Olimpiade

Quel che resta di un'Olimpiade è una domanda che brucia e una lezione che resta. Quel che resta di Sydney è il desiderio forte di un'occasione da non sprecare ma insieme anche la sensazione strana di chi si trova in tasca un patrimonio grande e non sa che farsene. Perché una medaglia è niente senza futuro e il futuro è nulla se le medaglie non si sotterrano. Non per dimenticarle ma per far crescere qualcosa. La lezione della Grande Sorella Olimpia è qui, sotto gli occhi di tutti: un tesoro di gioventù sportiva, così diversa dal modello di quell'irritante e svaccato Fratello televisivo che di Grande ha solo la noia, l'inconcludenza e la nullità di ideali di quel manipolo di reclusi. No, non è quella l'Italia che ci rappresenta. Ma paradossalmente non è neppure l'Italia dei podi di Sydney quella che fotografa lo stato dello sport italiano, vincente dove mai ha investito e deludente dove ha mezzi, sostanza

e attenzione da vendere. Ecco perché la grande illusione australiana non ha celebrato il trionfo azzurro. Semmai ha confermato il valore dell'artigianato, la superiorità di chi piccolo era e piccolo resta, di chi sullo sport ha investito se stesso senza attendersi regali dall'alto. Quel che resta dell'Olimpiade allora è la superiorità modesta e silenziosa di tanti tecnici di provincia, di tanti atleti dimenticati che non si sono arresi all'evidenza di un sistema che non aveva spazio e tempo per loro. Quel che resta è il trionfo dei singoli, prezioso pulviscolo ancora brillante di una galassia di stelle spente. Quel che resta è la faccia soddisfatta di Gianni Petrucci che prima di salutare Sydney ha composto il suo numero: tredici-otto-tredici. Non è una telefonata di soccorso, perché dopo i risultati alle Olimpiadi lo sport azzurro non ne ha bisogno. È invece il numero di medaglie dell'Italia, in ori, argenti e bronzi: una meno di Atlanta, ma

pari in oro. Abbastanza per lanciare il suo messaggio al governo: «Non possiamo essere lasciati soli». Verrebbe da dire: e perché no? Verrebbe da chiedersi con quale prospettiva il CONI pretende aiuto se l'Italia che vince è proprio quella che ha stretto la cinghia. È una provocazione, certo, e per questo va presa. Ma è una provocazione che vive sull'esperienza, sui fatti, sul confronto sempre più stridente con lo sport di base abbandonato a se stesso e boccheggiante ma mai domo. Quello sport di base che a Sydney c'era idealmente, nelle braccia, nelle gambe e soprattutto nel cervello di tanti illustri sconosciuti capaci di costruirsi da soli la loro fortuna.

Perché adesso, a luci spente e sottovoce magari per non irritare chi con l'Olimpiade si è riempito la bocca, è doveroso ricordare che l'Italia ha vinto tanto certo, ma esattamente dove non doveva, dove la nostra cultura e la nostra consuetudine non ci portano mai. Ha sbalordito nel nuoto, e per trovare una piscina nelle nostre città bisogna consultare le Pagine Gialle; ha trovato un oro nel ciclismo su pista e in quello di arrampicata, discipline che sui giornali vanno normalmente dopo gli annunci economici. Si è esaltata nella scherma femminilequesto sì sport di tradizione italica - ma una candida Vezzali, fresca di podio, ha sinceramente ammesso che tornata a casa avrebbe trovato decine di persone pronte a chiederle come funziona quello strano gioco dalle regole quasi incomprensibili. Più di metà del bottino azzurro arriva dall'acqua, ma metà degli italiani sono anche probabilmente convinti che il kajak sia solo la barca degli indiani. Ci ha sorpreso il wind-surf, che

Foto Bartolozzi

Di fianco: l’equipaggio del 4 di coppia esultante dopo la conquista dell’oro. In basso: Deborah Gelisio, argento nel tiro a volo double trap. Nella pagina precedente: Alessandra Sensini, oro nella classe mistral.

si pratica con quelle che da Fregene a Varazze i nostri coatti da spiaggia continuano a chiamare "tavole da stiro". Siamo tornati grandi nel canottaggio, passione che notoriamente coinvolge un italiano su un milione. In compenso ci ha sorriso lo judo, sport al quale tutte le tv captabili sul nostro territorio messe insieme dedicano più o meno 20 secondi d'attenzione ogni millennio. È questa l'Italia che ha vinto, l'Italia che non c'è, quella che non ha la nostra faccia da calcio, pronta invece a ricacciarsi nel campionato appena iniziato fino alle orecchie, stravolta com'è da questa fastidiosa, lunga astinenza. Esultiamo allora, diciamo pure che “abbiamo” vinto, appropriamoci di successi che dovrebbero farci arrossire. Perché appartengono solo a chi li ha ottenuti. Non a noi che a lanciare il martello non ci siamo mai andati. Eppure siamo d'argento. Come con l'arco, altra consuetudine

tipica dei pellerossa, non di chi normalmente lavora in banca. Giustamente noi giochiamo a tennis, perché fa chic, specie se lo fai nell'intervallo di mezzogiorno, e il tennis azzurro a Sydney ha fatto da comparsa. Mandiamo i nostri figli a giocare a calcetto perché d'inverno almeno stanno al coperto e non si ammalano, ma il calcetto all'Olimpiade ancora non l'hanno inventato. Scelte condivisibili, ci mancherebbe. Anche perchè il resto non ci piace e non ci diverte, ma se un certo Pellielo vince la medaglia di bronzo nel tiro a volo, è davvero un pezzo d'Italia che è andata sul podio? E i vari Devoti, Giovi-

nazzo, Pierantozzi: chi sono, da dove vengono, perchè devono essere gli eroi di un giorno se poi siamo sicuri di dimenticarli, di accantonarli per quattro anni almeno? Virtualmente prima potenza mondiale nella scherma, terza nel nuoto, tra le prime sette in assoluto in un medagliere che stravolge le classifiche economiche e sociali regalando agli azzurri la soddisfazione di guardare dall'alto Paesi come Inghilterra e Giappone, e rinnova l'eterna sfida con la Francia che ci sta davanti appena di un gradino. Troppo poco per vantarsene, perché sempre e solo di sport si tratta, ma abbastanza per trarne una lezione. Quella di non sprecare tutto adesso, quella di ricordare che se a tanto siamo (sono) arrivati è solo perché esiste una base che non molla, un esercito di dilettanti sempre al fronte, anche se i soldi non ci sono, anche se chi comanda finge di dimenticarsi di loro che non urlano, non sgomitano e se si fanno sentire usano ancora l'arma inconsueta della correttezza. Quel che resta di un'Olimpiade insomma è un sistema sport che aspetta delle risposte perché anche nelle ristrettezze come italiani siamo abituati a non farci mancare nulla. Il colpo di genio, o almeno il guizzo in più, è stato quello di evitare il vittimismo e di capitalizzare la tradizione e il prezioso prodotto umano a disposizione. In questo abbiamo pochi rivali al mondo. Sarebbe ora che qualcuno se lo ricordi.

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Bartolozzi
Foto Bartolozzi

TotOlimpia

Resistiamo alle tentazioni di stilare anche noi classifiche di merito sulle prestazioni degli azzurri ai Giochi Olimpici di Sydney. Di affermare se sia stata migliore la performance dei nuotatori, per la prima volta sul podio più alto o degli schermidori giunti alla vetta delle cento medaglie nella storia delle Olimpiadi. Di sicuro però possiamo dire con orgoglio che l'Italia ha disputato un'ottima XXVII Olimpiade. Le 34 medaglie in totale pongono il nostro Paese al settimo posto. Il G7 dello sport mondiale vede in testa gli Stati Uniti, seguiti nell'ordine da Russia, Cina, Australia, Germania, Francia e appunto l'Italia. Tredici medaglie d'oro, otto d'argento e tredici di bronzo il bilancio concreto da raffrontare con il passato e che farà da riferimento con il futuro. Sul domani dello sport italiano si addensano però nubi provocate dalla crisi finanziaria e dalla nuova riforma. Le federazioni dovranno provvedere da sole alla gran parte del fabbisogno. Probabilmente è giu-

sto non campare solo sui proventi delle schedine (sempre meno!) ma grosse incognite nascono sin d'ora sull'opportunità da parte di eventuali sponsor di sostenere discipline che riscuotono scarsissima audience. La selezione sarà spietata, a scapito della diffusione e dell'accesso alle varie discipline. Un passaggio delicato da gestire con intelligenza. Ricordiamo che al di là delle 360 presenze azzurre sono andate in medaglia 12 discipline: arco, atletica, pugilato, canoa (sprint e slalom), canottaggio, ciclismo (pista e mountain bike), judo, nuoto, pallavolo, scherma, tiro a volo e vela. E se il divario tra donne e uomini è quasi insignificante visti i sei ori femminili rispetto ai sette maschili, netta è risultata la differenza di risultati tra gli sport individuali e quelli di squadra. I più conclamati, tipo calcio e pallacanestro, entrambi campioni d'Europa, sono naufragati tra presunzioni e poca concretezza. La pallanuoto ha perso la testa, in tutti i sensi, nella sfida dei quarti

con l'Ungheria, tanto è vero che il tecnico Ratko Rudic è stato squalificato per un anno. Torna delusa anche la nazionale di pallavolo, tri-campione del mondo in carica e incapace ancora una volta di conquistare l'oro nella manifestazione più prestigiosa. Un bronzo di consolazione per salvare la faccia.

Diverso il rendimento negli sport individuali più duri e più emarginati durante la stagione, dai mass media. Dal judo alla scherma, dall'arco al tiro a volo, alla mountain bike e quindi canoa e canottaggio. Successi difficili fondati sull'impegno personale. Stabilire una graduatoria nella conquista delle medaglie è sempre antipatico ma al di là di chi concede percentuali altissime fino al 90% o di chi si ferma al 60% emerge una preminenza netta dell'atleta. E non potrebbe essere altrimenti. Anche se poi ti accorgi che la sala di scherma di Jesi dopo la medaglia d'oro di Giovanna Trillini nel 1992 ha prodotto anche l'oro nel fioretto indivi-

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Bartolozzi

duale del 2000 con Valentina Vezzali. E ancora la dinastia degli Abbagnale che prosegue con Agostino (quattro di coppia nel canottaggio), alla sua terza medaglia d'oro olimpica con tre equipaggi diversi. Senza dimenticare il contributo fondamentale delle Fiamme Gialle nel canottaggio e nella canoa (ma anche nel nuoto con Fioravanti e nell'atletica con Vizzoni) con il centro remiero di Sabaudia che ospita anche i ragazzi dai 12 anni in su.

Ma un’olimpiade è un'olimpiade soprattutto per i personaggi. Tanti hanno riempito le pagine dei giornali durante il periodo di Sydney. Chi non ricorda il salto mortale di Pino Maddaloni, appena vinta la medaglia d'oro nel judo? E le sue lacrime nel momento della premiazione? Qui oltre all'impegno personale emerge quello familiare. Una vera dinastia, con il papà Gianni istruttore e i fratelli Marco, 16 anni e Laura, 20 anni, in rampa, anzi tatami di lancio. Oggi poliziotto di Stato, Pino ha imparato a 5 anni i primi movimenti. Il padre gestisce a Napoli una palestra dal nome profetico: Star Judo Club. Centocinquanta metri quadrati di sudore e sacrificio, due milioni di spese di affitto e gestione, sessanta iscritti, alcuni dei quali praticano il judo gratis perché le loro famiglie non possono permettersi l'iscrizione. Chi conosce Giuseppe lo descrive come un bravo ragazzo, molto educato. È fidanzato con la medaglia di bronzo, Ylenia Scapin, già medagliata ad Atlanta '96. Dal tatami alla pedana, un altro personaggio forse totalmente diverso dal judoka. Paolo Milanoli, lo schermidore milanese, un po' guascone che l'anno scorso parlò di duelli, cappa e appunto… spada ancora in vigore e nell'individuale ha litigato con il compagno di squadra Angelo Mazzoni, poi battuto. Milanoli si è distinto

Di fianco: Massimiliano Rosolino, medaglia d’oro nei 200 misti, argento nei 400 stile libero e bronzo nei 200 stile libero.

In basso: Josefa Idem, medaglia d’oro nel k1 500. Nella pagina precedente: un’azione di Giovanna Trillini, oro nel fioretto a squadre e bronzo nell’individuale.

anche dopo le olimpiadi per aver dichiarato di volersi giocare la medaglia d'oro al casinò.

Figli e fidanzate in medaglia ma non solo. L'oro ha premiato anche una mamma. Josefa Idem, ultima azzurra a salire sul podio più alto in questi Giochi. Vincitrice della gara del K1 500m a 36 anni, quinta olimpiade nel curriculum. E il figlio Janek ad attenderla alle premiazioni, orgoglioso di quell'oro vinto "dalla mia mamma". Josefa da tedesca è diventata italiana per aver sposato Guglielmo Guerrini. E la frase gridata dopo la vittoria deve far riflettere. La Idem ha detto: "Non voglio essere ringraziata per quello che ho fatto ma voglio essere adottata dagli italiani". Fatemi sentire una di voi, ha supplicato Josefa. Un impegno meno arduo rispetto alla conquista di una medaglia olimpica.

I Giochi di Sydney hanno stilato una classifica per nazioni ma hanno anche miscelato razze. Un keniota è diventato danese, una saltatrice inglese è ora italiana, un'astista russa è australiana e si allena a Formia. E così via. La pelle scura è spesso sintomo di affermazione e anche nazioni bianchissime si avvalgono del cambio di nazionalità. Ma nell'apice di questo mix si è verificato un fatto inatteso. La vittoria di un velocista bianco nei 200 m, vent'anni dopo Mennea, vent'otto dopo Valery Borzov e ben quaranta dopo Berruti. Proprio il grande Livio, vincitore dei 200 m a Roma '60 ha così commentato l'affermazione del greco Kostantinos Kenteris, finito davanti al reclamizzato Ato Boldon e compagnia: "Finalmente un uomo bianco di fronte a tutti. È una piccola rivalsa di tutto un continente" - ha detto Berruti nel corso della trasmissione di Sat 2000 "Sportivamente - speciale Sydney". E soprattutto la caduta di un muro, di un alibi che ha sorretto spesso i nostri atleti di diverse generazioni. L'invincibilità dei neri nella velocità o nel basket non esiste più. Anche se i peggiori nell'affrontare il dream team statunitense sono stati gli azzurri del basket, sconfitti pesantemente di 32 punti. Deludente la compagine campione d'Europa, anche se ha offerto all'Italia il simbolo delle olimpiadi, nelle intenzioni del presi-

dente del CONI, Gianni Petrucci. Ci riferiamo a Carlton Myers, portabandiera, capitano dei cestiti, italianissimo e di colore. Un invito alla multirazzialità. Raccolto giusto nel periodo dei Giochi. A tre giorni dalla conclusione di Sydney 2000, a Viterbo, durante una partita di calcio è stato esposto lo striscione razzista "vergogna per Myers portabandiera". A dimostrazione che ancora tante medaglie dovranno essere vinte per fare dell'Italia un Paese civile e di cultura sportiva.

Infine il doping. Ritirata la medaglia d'oro alla rumena Andreea Raducan, vincitrice nel concorso generale della ginnastica, perché colpevole di essersi curata un raffredore con un prodotto contenente efedrina. Tutta colpa del suo medico, poi squalificato che non aveva inserito la medicina nel certificato da consegnare prima della gara. Tutto qui? Forse no. Sydney 2000 rimane comunque l'olimpiade dello sport pulito. Fino a test antidoping contrario…

Foto Bartolozzi
Foto Bartolozzi

Di Sydney-2000 si è già scritto tutto in queste prime pagine: si è detto dei bilanci, di quel che resta dei cinque cerchi olimpici, delle medaglie e dei medagliati, dei campioni, di Loro di Sydney, dei personaggi, delle storie… E a me che è stato chiesto di scrivere una quinta pagina olimpica per "Stadium", cosa rimane da raccontare?

Mah! Magari discutere sugli psicologi australiani che pare abbiano dovuto fare gli straordinari per risollevare i canguri dalla depressione del dopOlimpiade. O forse stravolgere i canoni, dire che il dopo-Sydney è ancora a Sydney, togliere dal copione la parola Fine e far cominciare un'altra Olimpiade, magari poco pubblicizzata, chiamandola ad esempio "Paraolimpiade", con un suffisso che arricchisca per qualche giorno il conclamato spirito olimpico e, perché no, anche il medagliere azzurro.

Diciamolo allora che a Sydney i cinque cerchi "quadrano" ancora e che dal 18 fino al 29 di questo mese ci sono ancora 4000 atleti, provenienti da 125 paesi diversi, pronti a scendere in campo. Sono 6 le categorie dei disabili (amputati, celebrolesi, disabili mentali, ipo e non vedenti, carrozzina e "les autres", termine franceselingua ufficiale del CIO - con cui vengono indicati i portatori di handicap che non rientrano nei sistemi di classificazione tradizionali); 18 le discipline, di cui 14 in comune con quelli olimpici: atletica, bocce, calcio, ciclismo, goalball, judo, nuoto, pallacanestro, pallavolo, scherma, sport equestri, tennistavolo, sollevamento

pesi, tennis, tiro con l'arco, tiro a segno, rugby e vela. Questi ultimi due, che ad Atlanta erano solamente dimostrativi, sono entrati per la prima volta nel programma ufficiale delle Paraolimpiadi 2000. Tutte le gare, eccetto il ciclismo, la vela, l'equitazione ed il tiro a segno si disputeranno al parco Olimpico di Sydney. Qualche curiosità e qualche nome nuovo: il jack, il pallino delle bocce fatte di cuoio, o il g oal bal l, specialità in cui, tra il silenzio degli

spettatori nei 14 minuti di gara, gli atleti non vedenti ed ipovedenti coperti da una mascherina in modo da assicurare perfetta parità, si sfidano tre contro tre sdraiati a terra, facendo rotolare una palla, con all'interno un campanello sonoro, cercando di far gol in una porta larga quanto la superficie del campo. O la tradizione dell'atletica e delle corse in carrozzina che ebbero inizio nel 1952 presso l'ospedale di Stoke Mandeville, riservate ai reduci della

guerra mondiale: per anni i 60 metri di strada che separavano l'ospedale dal rifugio dell'elicottero divennero la distanza standard per le competizioni in carrozzina.

La squadra italiana vola a Sydney, forte degli 11 ori e delle 45 medaglie complessive conquistate negli Stati Uniti. Tra loro c'è chi come Alvise De Vidi (oro ad Atlanta nei 400 ed 800 m d'atletica), Maurizio Nalin (oro '96 nel pentathlon) che sarà il nostro portabandiera nella sfilata, Aldo Manganaro (oro nei 100 m), o come Mariella Bertini (oro spada), tenteranno di bissare il successo di Atlanta. Così come Claudio Costa e Giancarlo Galli nel ciclismo o Sandra Truccolo e Paola Fantato nel tiro con l'arco. Soprattutto quest'ultima vorrà vendicare la delusione di Atlanta, quando in semifinale, la sua freccia colpì l'orologio del tabellone luminoso segnapunti, a causa del vento che le fece scivolare il braccio. Mancherà invece l'eroe americano, il plurimedagliato del nuoto Luca Pancalli, ora ritiratosi, ma comunque sono molte le speranze azzurre di portare a casa altre medaglie. Fabrizio Macchi, l'amicone di Alberto Tomba, punta deciso all'oro, dopo aver stabilito di recente il record dell'ora nel ciclismo. Anche se in carrozzina, seppure con la fettuccia della medaglia diversa dagli olimpionici di settembre, fosse il mese di gare la sola differenza, accentuata dal silenzio mediatico, saranno sempre ori, argenti e bronzi. Anche se qui il vero valore non sta certo nei metalli pregiati.

di Danilo Vico

Il direttore dell’Ufficio per lo Sport della CEI racconta

Da Sydney a Roma

Neanche il tempo di ammainare la bandiera delle Olimpiadi di Sydney e il mondo dello sport si prepara ad un altro grande evento, il Giubileo degli Sportivi, questa volta grande non sul piano dei numeri e delle dimensioni, ma del significato che può assumere. In verità, il Giubileo degli Sportivi è stato preparato in modo soft, senza trombe e fanfare. Ma la notizia ha fatto ugualmente la sua strada, suscitando attese e attenzione tra gli atleti di tutto il mondo. Anche a Sydney, come conferma mons. Carlo Mazza, direttore dell'Ufficio nazionale della CEI per la pastorale del tempo libero, turismo e sport, appena rientrato dall'Australia:

«Gli atleti erano molto informati sugli avvenimenti dell'Anno Santo e manifestavano apertamente il desiderio di partecipare al Giubileo degli Sportivi. Molti avevano assistito in televisione alla Giornata Mondiale della Gioventù, rimanendone colpiti. In loro c'era il desiderio, o la speranza, di vivere un momento analogo, altrettanto intenso, nell'incontro con il Santo Padre».

All'origine di questa tensione, secondo mons. Mazza, è il bisogno, forse non sempre cosciente, di dare un volto nuovo, più sincero, allo sport del terzo millennio. «Anche nel mondo dello sport - dicec'è una domanda dilagante di trascendente. A volte è in apnea, sottopelle, ma investe un po' tutti: atleti, allenatori, dirigenti. Il Giubileo è invocato come momento di grande purificazione. C'è coscienza

che il loro mondo ha raggiunto dei limiti, ed ora ha bisogno di essere reinventato, purificato da tante ambiguità».

Il Giubileo è percorso di pentimento e di conversione. È possibile che sia così per il mondo dello sport? Mons. Mazza ne è sicuro: «Gli sportivi di Sydney sembravano consapevoli che il Giubileo ci richiama all'esame di coscienza. Lo vivono come un passaggio epocale e sperano che possa essere tale anche per loro. Hanno ben chiari i "peccati" dello sport occidentale e sentono quasi il bisogno di essere sottoposti ad un "battesimo" per una vita nuova.

C'è una voglia diffusa di invocare dal Santo Padre un perdono, un'indulgenza, per vivere un momento di grande grazia e rimettere lo sport al ser-

Ho visto tanti campioni desiderosi di un esame di coscienza
»

vizio dell'uomo». Ma non c'è solo lo sport di Sydney, degli inni nazionali, dei record inseguiti per una vita. Ci sono anche lo sport di base e lo sport per tutti. Cosa comunica loro il Giubileo?

«Lo sport di vertice - risponde il direttore dell'Ufficio per la pastorale del tempo libero, turismo e sport - ha ormai le sue regole, i suoi tempi e le sue contraddizioni, in un pro-

cesso che è irreversibile. Ma non va demonizzato, va aiutato a non perdersi. Lo sport di base ha appunto il compito, la missione, di fare profezia, vivendo intensamente valori e ideali per trasmetterli allo sport di vertice. Quest'ultimo continuerà a sopravvivere come attività di senso finché alla sua base ci sarà chi lavora e si sacrifica nella consapevolezza che lo sport serve per la vita, perché, ad esempio, può aiutare tanti ragazzi e tanti giovani a raggiungere la consapevolezza della propria dignità umana».

L'Ufficio di mons. Mazza ha preparato il Giubileo degli Sportivi pubblicando un sussidio, Glorificate Dio nel vostro corpo, che è stato distribuito

anche a Sydney. Come è stato accolto il documento?

«Il suo messaggio centralerisponde mons. Mazza - è che l'attività sportiva può e deve fare emergere la dimensione del corpo come traccia plastica di Dio. Non pochi atleti, in Australia, sono rimasti profondamente colpiti da questo aspetto della spiritualità del corpo, dall'idea che nella perfezione del loro gesto tecnico si esprimesse il progetto di Dio. Il canoista Antonio Rossi ha confessato in televisione che, dopo aver preso coscienza di questa verità, si è sentito come liberato, e invogliato a dare ancor più il meglio di se stesso. La sua gara vittoriosa è stata anche tensione a cercare in sé la presenza creatrice di Dio».

Con il patrocinio di:

Ministero della Pubblica Istruzione

Regione Lazio

Provincia di Roma

Comune di Roma

PROGRAMMA

LUNEDI 23 ottobre 2000

ore 18.00-23.00 Sport by night: tornei notturni di calcio a 5, basket 3x3, volley 4x4, soccer jam (calcio 3x3)

MARTEDI 24 ottobre 2000

ore 09.00 Inizio attività sportiva

ore 10.00 Inaugurazione villaggio

ore 11.30 Talk show "Sport for Africa"

ore 15.00 Prontosoccorsogioco

Attività ludico motoria per bambini

ore 18.00-23.00 Sport by night

MERCOLEDI 25 ottobre 2000

ore 09.30 Inizio attività sportiva

ore 11.30 "Vivere da campione", interviste a campioni dello sport mondiale

ore 15.00 Prontosoccorsogioco

ore 18.30 Talk show "Dai campi di periferia ad Atene: una politica per lo sport giovanile"

ore 18.00-23.00 Sport by night

GIOVEDI 26 ottobre 2000

ore 09.30 Inizio attività sportiva

ore 11.30 Talk show "Sport a scuola: sospeso con obbligo di frequenza"

ore 15.00 Prontosoccorsogioco

ore 15.30 Premio Tevere Regata di canottaggio

ore 18.00-23.00 Sport by night

VENERDI 27 ottobre 2000

ore 09.30 Inizio attività sportiva

ore 11.30 Talk show “www.sportfuture.com I media e lo sport di base”

ore 15.00 Prontosoccorsogioco

ore 18.30 Talk show "Mister parroco, educare i giovani negli oratori"

ore 18.00-23.00 Sport by night

SABATO 28 ottobre 2000

ore 09.30 Inizio attività sportiva

ore 10.00 Aula Paolo VI

Convegno internazionale

"Nel tempo del Giubileo: il volto e l'anima dello sport"

ore 15.00 Prontosoccorsogioco

ore 16.00 Pellegrinaggio alla Porta Santa

ore 18.00 Aula Paolo VI - Sport in festa: "Campioni nello sport e nella vita"

ore 20.00 Una notte da campioni: sei ore non stop di sport e musica per il Giubileo

Incontri con personaggi del mondo dello spettacolo, dello sport, della cultura

Assegnazione del premio "Discobolo d'oro CSI" al merito sportivo

DOMENICA 29 ottobre 2000

ore 09.30 Giubileo degli Sportivi (Stadio Olimpico)

di Alessandro Cappelli

Roma 23/29 ottobre 2000

Area Castel Sant’Angelo

Il Giubileo degli sportivi dell'anno 2000 è oramai arrivato e con ogni probabilità sarà uno splendido momento di dialogo con i giovani. Una giornata per trasmettere messaggi di pace e di solidarietà, per stimolare incontri di popoli e culture diverse.

E proprio per rendere indelebile questo momento, il Centro Sportivo Italiano ha deciso di organizzare a Roma, dal pomeriggio del 23 alla notte del 28 ottobre, un evento unico, una settimana di sport e cultura dal titolo "In campo per il Giubileo".

L'evento sarà finalizzato a promuovere presso la popolazione, in particolare quella giovanile, il valore di un'attività sportiva vissuta in forma libera e gioiosa e nello stesso tempo a sensibilizzare i partecipanti ai valori etici che possono derivare da una pratica dello sport correttamente intesa.

Non a caso per la manifestazione è stata scelta una tra le aree più belle e suggestive della capitale, nel cuore del centro storico a due passi dalla "Città del Vaticano": l'area di Castel Sant'Angelo.

E così come Castel Sant’Angelo è legato materialmente a S. Pietro attraverso il percorso pedonale sopraelevato, il Passetto di Borgo, allo stesso modo il CSI vuole costruire un legame ipotetico tra la città laica, storica, sportiva e la città custode della fede, fulcro e cuore della cristianità, e indicare attraverso questo legame e percorso simbolico la via della riconciliazione giubilare.

La denominazione di "Villaggio dello Sport", come luogo della manifestazione, intende sottolineare che la proposta CSI si caratterizza in modo differente rispetto a quanto potrà organizzare il resto del mondo dello sport. "Villaggio" assume significato di "oasi", di comunità che vive secondo regole proprie, di centro di aggregazione attorno ad un'attività che si snoda in una serie di gesti atletici e ricreativi, di sport che vanno dai più tradizionali e conosciuti ai più moderni ed innovativi, il tutto permeato da uno spirito di festa e divertimento.

Festa e divertimento che saranno indiscussi protagonisti soprattutto il sabato sera (dopo che nella mattinata via della Conciliazione avrà ospitato altri campi sportivi del CSI), quando a chiudere il Villaggio e passare il testimone al Giubileo nello Stadio Olimpico sarà una non stop di sei ore. Trecentosessanta minuti durante i quali saranno coinvolti personaggi dello sport, della musica e della cultura, in grado di trasmettere ai giovani l'importanza dello sport dei valori.

PROGETTO ED INIZIATIVE

L'ATTIVITÀ SPORTIVA

L'allestimento del villaggio:

• campi da calcetto 3 vs. 3 e 5 vs. 5

• campi da Fun-ball (mini tennis)

• campi da mini volley

• campi da basket 3 vs. 3

• Percorso Mountain bike con ostacoli naturali e ponte

• Struttura Half-Pipe per esibizioni acrobatiche di pattini e skateboard

• Parete Free-Climbing per arrampicate

• Area Spinning

• Area Thunder Goal per la misurazione della velocità del tiro

• Area Atletica leggera

CONVEGNI

1. "Sport for Africa", il rapporto tra nord e sud del mondo visto dalla prospettiva dello sport, attraverso la presentazione di una gara di solidarietà per la realizzazione di strutture sportive in Camerun.

2. "Viv ere da camp io ne", il pensiero del Papa e di famosi atleti sui valori dello sport. La presentazione di una preziosa raccolta, realizzata con la partecipazione di Yuri Chechi e Manuela Di Centa che in veste di giornalisti hanno intervistato i maggiori esponenti delle varie discipline dello sport mondiale.

3. "Dai camp i di pe riferi a ad Ate ne: una politica per l o sport giovani le", obiettivo del dibattito sarà quello di individuare le linee di lavoro di una politica in grado di incrementare lo sviluppo dello sport di base, e formare i possibili prossimi campioni olimpici.

4 . " S p o r t a sc u o l a : so s p e s o c o n o b bl i g o d i f r e qu e n z a ", l'educazione fisica non è tenuta nella giusta considerazione e passa, troppo spesso, come una disciplina di secondo piano, nonostante l'impegno e la professionalità dei docenti; mancano strutture, mezzi, idee… Il convegno si prefigge l'obiettivo di individuare nuovi modelli di sport per i giovani.

5 " w w w s p o r t f u t u r e c o m I m e d i a e l o s p o r t d i b a s e " con la partecipazione dei principali attori impegnati, per riflettere sulla difficoltà dei mass media a raccontare lo sport di vertice e lo sport di base.

6 " M i s t e r p a r r o c o : e d u c a r e i g i o v a n i n e g l i o r a t o r i " , con la partecipazione degli operatori parrocchiali e dei catechisti, un incontro per la pastorale della comunità.

PREMIO "TEVERE"

Il CSI in collaborazione con i più prestigiosi Circoli sportivi di Roma, organizzerà un pomeriggio dedicato alla disciplina del canottaggio.

Nella giornata di giovedì 26 ottobre sfileranno, dopo una breve esibizione nel tratto di Tevere adiacente Castel Sant'Angelo, le squadre di giovani e giovanissimi canottieri dei Circoli romani.

SOLIDARIETÀ

SPORT FOR AFRICA

Tra i temi forti del Giubileo ci sono anche quelli della "remissione dei debiti", della "restituzione delle terre" e del ripristino della giustizia sociale, in riferimento ai Paesi del Terzo Mondo.

Il Centro Sportivo Italiano ritiene che, in occasione del Giubileo, anche lo sport debba guardare alle periferie del mondo, interpellando la propria coscienza, per ripristinare per quanto possibile una giustizia per lo sport. Stiamo imponendo ai paesi in via di sviluppo il modello del nostro sport spettacolo, che non è ciò di cui hanno bisogno i loro popoli.

Ai Paesi più poveri, l'Occidente ruba bambini e giovani, attraendoli con il miraggio di diventare campioni, ed impone un modello sportivo distorto, che invece di proporsi come motore di aggregazione e di educazione tra i giovani, insegue la ricerca, la selezione e l'addestramento del campione.

Il CSI ne è consapevole, al punto di avere avviato in Africa, grazie a propri operatori volontari, programmi per formare in loco dirigenti e tecnici, per far nascere società sportive, per trasformare spazi abbandonati in impianti di base, per abituare ragazzi e genitori all'idea di una pratica sportiva svolta gioiosamente e con continuità.

Ora, in occasione del Giubileo degli Sportivi, propone un'iniziativa di solidarietà esemplare, che mostri uno dei tanti modi in cui si può venire incontro ai bisogni sportivi del Terzo Mondo.

Il paese prescelto come destinatario dell'intervento è il Camerun. In base alle esigenze degli operatori CSI che sono stati laggiù, si è pensato di realizzare uno di questi due gesti:

a) acquisto di un terreno da bonificare e mettere a disposizione di una parrocchia presente all'interno della foresta, e sul quale poter allestire una struttura polisportiva;

b) costruire una struttura sportiva in un centro di accoglienza per bambini abbandonati.

A seconda della somma raccolta, si realizzerà l'una o l'altra delle due iniziative, o entrambe.

Il versamento può essere effettuato sul c/c 51000/00 aperto presso il Credito Italiano, Agenzia nº 15, Cod ABI 02008, CAB 03215, intestato a Centro Sportivo Italiano, indicando come causale: "Camerun"

p o d i o .

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l u o g o p o c o d o p o l a c o n c l u s i o n e d e l l e O l i m p i a d i d i

S y d n e y , i l C e n t r o S p o r t i v o I t a l i a n o h a d e c i s o d i

a s s e g n a r e i l s u o p r e m i o p i ù i m p o r t a n t e ( " I l d i s c o -

b o l o d ' o r o " ) a d a t l e t i d e l l a s p e d i z i o n e a z z u r r a c h e

i n A u s t r a l i a s i s i a n o s e g n a l a t i p e r a v e r i n c a r n a t o

p a r t i c o l a r i v a l o r i u m a n i , a p r e s c i n d e r e d a i r i s u l t a t i

s p o r t i v i .

I l D i s c o b o l o s a r à a s s e g n a t o a g l i a t l e t i c h e p i ù d i

t u t t i a v r a n n o d i m o s t r a t o d i :

• s a p e r v i n c e r e

• s a p e r a c c e t t a r e l a s c o n f i t t a

• c o n c e p i r e l o s p o r t c o m e a m i c i z i a

• a v e r e r i s p e t t o p e r l ' a v v e r s a r i o

• a v e r e s p i r i t o d i g r u p p o

A d e c i d e r e i v i n c i t o r i , u n o p e r o g n i c a t e g o r i a d i

v a l o r i , n o n s a r à i l C e n t r o S p o r t i v o I t a l i a n o , m a

s a r a n n o g l i s t e s s i s p o r t i v i d i t u t t a I t a l i a , c h e

p o t r a n n o e s p r i m e r e l a l o r o o p i n i o n e c o n i l v o t o ,

c o l l e g a n d o s i v i a i n t e r n e t a l s i t o w w w . c s i - n e t . i t / v i l -

l a g g i o L a c e r i m o n i a d i p r e m i a z i o n e a v v e r r à

a p p u n t o a R o m a , n e l c o r s o d e l l a m a n i f e s t a z i o n e

d e l 2 8 o t t o b r e L e n o m i n a t i o n s o n o l e s e g u e n t i :

S a p e r v i n c e r e

• V a l e n t i n a V e z z a l i ( s c h e r m a )

• G i r o l a m o G i o v i n a z z o ( j u d o )

• M a s s i m i l i a n o R o s o l in o ( n u o t o )

• G i o v a n n i P e l l i e l o ( t i r o a l p i a t t e l l o )

• P a o l a P e z z o ( m o u n t a i n b i k e )

S a p e r a c c e t t a r e l a s c o n f i t t a

• M a u r i z i a C a c c i a t o r i ( p a l l a v o l o )

• A n d r e a L o n g o ( a t l e t i c a l e g g e r a )

• C r i s t i a n o Z a n e t t i ( c a l c i o )

• F r a n c e s c o P o s t i g l i o n e ( p a l l a n u o t o )

• C a r l o M o r n a t i ( c a n o t t a g g i o )

C o n c e p i r e l o s p o r t c o m e a m i c i z i a

• D o m e n i c o F i o r a v a n t i - D a v i d e R u m m o l o ( n u o t o )

• N i c o l a V i z z o n i - L o r i s P a o l u z z i ( m a r t e l l o )

• F i o n a M a y ( a t l e t i c a l e g g er a )

• A n d r e a G i a n i , M a r c o M e o n i , P a s q u a l e G r a v i n a

( p a l l a v o l o )

R i s p e t t o p e r l ’ a v v e r s a r i o

• A l e s s a n d r a S e n s i n i ( w i n d s u r f )

• E m a n u e l a P i e r a n t o z z i ( j u d o )

• P a o l o V i d o z ( p u g i l a t o )

S p i r i t o d i g r u p p o

• A l f r e d o R o t a - M a u r i z i o R a n d a z z o - A n g e l o M a z z o -

n i - P a o l o M i l a n o l i ( s c h e r m a )

• M a t t e o B i s i a n i - I l a r i o D i B u ò - M i c h e l e F r a n g i l l i ( t i r o c o n l ' a r c o )

• A g o s t i n o A b b a g n a l e - R o s s a n o G a l t a r o s s a - S i m o n e

R a i n e r i - A l e s s i o S a r t o r i ( c a n o t t a g g i o )

• A n t o n i o R o s s i - B e n i a m i n o B o n o m i ( K a y a k s p r i n t

K 2 1 0 0 0 m )

Francesco Toldo

Il nome di Francesco Toldo è oggi uno dei più conosciuti nel calcio italiano e mondiale, come testimoniato dai titoli dei quotidiani d'ogni parte del globo. Dopo gli strepitosi interventi compiuti in Olanda nel corso dell'ultimo Europeo, il portierone azzurro -

storici i suoi rigori parati proprio contro gli orange nella semifinaleè ormai famoso ovunque. Forse, però, non tutti conoscono gli albori (peraltro non da portiere) della carriera del calciatore patavino, nato anch'egli, come tanti altri campioni, nel CSI.

A che età hai cominciato a giocare a calcio? Ed in quale squadra?

Avevo 8 o 9 anni e le mie prime squadre, dai pulcini fino agli esordienti e ai giovanissimi, sono state quelle dell'U.S.M.A. (unione sportiva Maria Ausiliatrice) di Caselle di Verrazzano (PD). Ho giocato nel CSI fino a 12 anni. Eravamo un bel gruppo; ricordo molti 10-0 o 15-0 in nostro favore.

L'inviolabilità della porta non era però merito tuo non è vero?

Già, proprio così: non giocavo mica in porta in quel periodo! Fino ai 15-16 anni ho sempre fatto il terzino, il mediano, perfino il centravanti, ma mai il portiere. Giocavo quasi sempre con il numero 2 o il 3; qualche volta mi toccava il 9… finchè un giorno, Gianfranco Pedron, il mio allenatore d'allora, mi si è avvicinato coi guanti dicendomi: vai tu in porta!

Come mai ?

È buffo a raccontarsi. Era una sera in cui al solito allenamento delle cinque nevicava; c'erano venti centimetri di neve sul campo e nessuno voleva andare in porta a congelarsi. Fu allora che Franco mi disse di andare tra i pali "tu che non hai tanta voglia di correre" e in effetti in quell'epoca non ne avevo tanta… Ero grassottello fisicamente ed anche un po' pigro. Mi sono messo in porta e da quella volta lì non mi sono più spostato.

Raccontaci allora qualche emozione quando giocavi in mezzo al campo, magari qualche tuo gol?

Di gol non ne facevo molti, perché comunque giocavo in difesa. Sono stato molto fortunato. Ad esempio se mi avesse preso il Padova, quando feci il provino da terzino destro, chissà dove sarei adesso… Comunque di indelebile rimane il gol che realizzai in una finale di un torneo tra paesi in cui finimmo ai rigori. Quella volta fui capace di segnarlo il rigore… e, impazzito dalla gioia, mi sono tolto la maglietta, proprio come fanno adesso i miei colleghi.

Foto G. Sposito

Sempre in difesa, dunque. Ma caratter mente tendi ad essere uno che attacc che si difende?

Sono stato sempre un tipo mansueto, tranquillo, quindi portato casomai a difendermi, ma soprattutto ad evitare gli scontri, i litigi.

Segnare un rigore emoziona come pararlo? Psicologicamente ti è servito essere dalla parte di chi calcia?

Chi sa parare i rigori dovrebbe saperli anche tirare, perché parare un rigore significa mettersi nella testa di chi tira. Dal dischetto occorre avere sicurezza nei propri mezzi sia per calciare che per parare.

p dici sui simulatori?

L'istantanea degli ultimi Europei rimarrà quella di una marea arancione sugli spalti e a turno un olandese dagli undici metri a infrangersi contro uno scoglio azzurro, tanto piccolo quanto solido e inaffondabile Lo scoglio eri tu Cosa ti ha aiutato? z

Avevi stregato anche chi seguiva la partita in TV. Come hai detto "pure se ne avessero calciati a oltranza, li avrei parati tutti".

Non sono assolutamente presuntuoso. Lì, si parla di sottile psicologia: il mio merito è stato soprattutto quello di aver tolto sicurezza agli avversari, che uno ad uno hanno sbagliato o tirato fuori.

Quale valore rigoroso deve passare nello sport?

A tutti i livelli l'onestà. Deve essere un principio che ti contraddistingue per tutta la vita. Poi direi sicuramente la famiglia che ti accompagna sempre. Un ragazzoad esempio - quando sta bene in famiglia, di conseguenza porta serenità anche sul campo e nello spogliatoio. Ai livelli raggiunti oggi dal calcio, rimane però sempre più difficile parlare di livello umano. Questi discorsi si possono fare finché non subentrano grossi interessi. Quando sopraggiungono non c'è valore che tenga purtroppo. Vince sempre l'interesse.

Da un po' di anni gli arbitri stanno molto più attenti alle simulazioni ed il fenomeno fortunatamente va scemando. Ritengo infatti che sia tra i comportamenti più disonesti che si possano vedere in campo, sia per i compagni, che per il pubblico. Vedo però che compare sempre meno questa presunta furbizia ed invece emerge una correttezza di fondo, che poi rappresenta la cultura di una nazione. Infatti se giochi in Inghilterra e cadi senza essere toccato, sei fischiato dall'inizio alla fine. Non viene tollerato. Qui in Italia non è ancora così, ma ultimamente stiamo molto migliorando.

Dal CSI alla serie A, cosa ti ha cambiato? Il solo fatto che adesso il calcio per me è un lavoro, un mestiere, al pari di molti altri, al di là dello stipendio. Il mio spirito sportivo è lo stesso. Come pure l'impegno. Forse in un lavoro come il mio è difficile mantenere gli stessi valori che si hanno in uno "normale", a causa dei troppi interessi. Comunque l'importante è lavorare bene e trovare il giusto equilibrio. Se lo trovi, non si hanno problemi, ma altrimenti se ti lasci trasportare dai grandi interessi, rischi di perdere i valori della vita, che sono proprio quelli che ho imparato da piccolo.

Si parla spesso di extracomunitari, di un calcio multietnico e dunque anche con diverse religioni: come viene vissuto

quest'aspetto? Ci si confronta ul tema religioso? Sorgono mai blemi?

Quando arrivai alla Fiorentina era appena andato via Mazinho (uno dei brasiliani "atleti di Cristo" ndr) e i miei compagni mi riferivano che comunicava molto la sua fede cristiana. A parte ciò, nella mia esperienza, non ho mai constatato grossi problemi, almeno finora. Soprattutto perché si rispettano le idee ed il credo d'ognuno. Anche non condividendole si rispettano, perché alla fine hanno sempre lo stesso scopo. Uno straniero trova sicuramente più difficoltà nei cibi e nell'adattarsi all'alimentazione mediterranea.

Dal Centro Sportivo alla Nazionale Quali consigli ti senti di dare ai giovani atleti?

Prendere qualsiasi sport come un gioco, senza pensare né al guadagno, né a diventare per forza un atleta famoso. Ci sono delle tappe nella vita d'ogni giocatore e di ogni persona. Credo molto nel destino. Se un ragazzo è destinato a diventare un calciatore, ci saranno le coincidenze che lo faranno esplodere senza troppe pressioni. L'unico consiglio che mi sento di dare ai ragazzi è di sorridere, divertendosi a giocare a pallone. Liberi mentalmente. E di divertirsi, perché è un gioco. Mi piacerebbe poi vedere più gesti d'amicizia in campo, tipo consolare i compagni e gli avversari dopo un errore. Capita di sbagliare. Occorre stare sempre vicini al compagno che sbaglia.

Progetto editoriale “Vivere da campione”

Campioni nello sport, campioni nella vita

Forza, potenza muscolare, tecnica. Ma anche lealtà, correttezza, sacrificio, impegno. Queste sono le doti che fanno di uno sportivo un vero campione anche nella vita, e che uniscono alle qualità fisiche, che spesse volte sono innate, qualità che forgiano il carattere e il temperamento. Lo sport quindi diventa veicolo di crescita umana e di formazione, non soltanto palestra per allenare il corpo.

Con l'obiettivo di evidenziare i valori legati alla pratica sportiva è nato "Vivere da campione" un progetto multimediale ideato da III Millennio in collaborazione con la Libreria Editrice Vaticana. Ma la vera novità è la presenza, cara a tutti gli sportivi, del Santo Padre Giovanni Paolo II. Il Papa, infatti, che più volte ha avuto occasione di sottolineare i suoi trascorsi di sportivo, ha spesso ribadito l'importanza di praticare un'attività fisica che esalta la persona e crea legami indissolubili tra colleghi o compagni di squadra. Di qui

anche l'idea di dedicare al Papa un Inno, "Padre Bianco", cantato dagli atleti che hanno preso parte a questo progetto. Vivere da campione comprende una serie di prodotti coordinati III Millennio: un CD-Rom con le interviste audio-video agli atleti, i discorsi del Papa, la storia del CONI, del CSI, delle federazioni; un libro con tutti i testi dei discorsi del Papa e delle interviste agli atleti, foto inedite del Pontefice; un cd musicale che raggruppa brani sullo sport scritti da autori italiani ed interpretati dalle voci dei componenti della Schola Cantorum. III Millennio ha coinvolto una quarantina di atleti italiani, in una carrellata di volti e testimonianze di chi ha dedicato tutta la vita allo sport e li ha affiancati ai discorsi che il Santo Padre ha tenuto in questi 22 anni di Pontificato quando ha incontrato gli uomini e le donne che hanno fatto grande lo sport italiano. Vivere da campione passa in rassegna la vita di questi atleti seguendo un percorso che tocca

alcuni temi fondamentali per chi pratica sport, con due ciceroni di eccezione quali Manuela Di Centa, tre volte medaglia d'oro nello sci di fondo e Yuri Chechi, pluridecorato nella specialità degli anelli.

Ci sono poi le testimonianze di Massimo Giovannelli (rugby), Alessandro De Pol (basket), Daniele Masala (pentathlon), Girolamo Giovinazzo (judo), Patrizio Oliva (pugilato), ragazzi vivaci che hanno cominciato la loro avventura sportiva trasformando un'eccessiva esuberanza in

voglia di competizione, in sfida verso traguardi sempre nuovi.

Un percorso che passa anche attraverso anni difficili di allenamenti, sudore, fatica e mille dubbi sulle scelte da fare. E molti sacrifici come racconta Fiona May, primatista di salto triplo, giamaicana di nascita, inglese per parte di padre e arrivata in Italia, in un ambiente dove non conosceva nessuno se non suo marito, non una parola d'italiano, e dove il diver-

so colore della pelle creava distacco e diffidenza superati solo dopo le prime vittorie. Oppure la voglia di superare una timidezza innata, come racconta Alessandro Abbrio, grande talento cestistico, che parla del suo carattere chiuso ed introverso, o Paolo Trapanese, olimpionico di pallanuoto, che cambiò addirittura città per continuare ad allenarsi, o Matteo Bisiani, giovane promessa del tiro con l'Arco, cresciuto lontano da casa. Sacrifici e rinunce comuni un po' a tutti gli atleti nei primi anni della loro attività,

quando il confine tra sport dilettantistico e attività professionistica diventa sottile, e si impara così a superare lo scoglio di una vita lontano dalla famiglia e dagli affetti, che restano un elemento basilare nella formazione umana e punti fermi per affrontare qualunque sforzo. Lo testimoniano Paolo Bertolucci, gloria del tennis nazionale, o Fabio Ianni, campione di sci nautico, o Gustavo Thoeni, grande sciatore azzurro. Racconti di vita che ci mostrano dei grandi campioni in tutta la loro valenza umana come Ylenia Scapin, campionessa del judo, o Alberto Tomba, leggenda dello slalom.

Ma proprio quei sacrifici e quelle rinunce, che inevitabilmente pongono un giovane atleta di fronte a delle scelte importanti e difficili, soprattutto quando si è giovani, stranamente non pesano, perché ogni atleta ha inseguito il sogno che coltivava sin da ragazzino, come Giacomo Agostini, insuperato campione di motociclismo, o Nino Benvenuti che aveva già il pugilato nel DNA. Senza dimenticare nomi come Costantino Rocca, re dei campi da golf, o Beatrice Palazzi, 8 volte campionessa del mondo di pattinaggio a rotelle in coppia con Patrick Venerucci, che "adora il sudore, la fatica, gli allenamenti, le gare". Rinunce che non pesano perché c'è un obiettivo più alto da raggiungere, come raccontano Pietro Genga per il tiro a Volo, o Claudia Fortuna (tennistavolo), che resistono ad allenamenti massacranti anche parecchie ore al giorno. Ciascuno degli atleti di Vivere da campione rifarebbe daccapo tutte le esperienze che lo hanno portato a raggiungere i massimi riconoscimenti e dalle quali ha tratto insegnamenti per la vita. Ne sono la prova la gioia che si prova quando l'amicizia nata tra i colleghi o i compagni di squadra porta a condividere le emozioni forti di una vittoria come dicono Antonio Rossi, campione di canoa, o Sandro Cuomo, olimpionico di spada, o Davide Tizzano, per il canottaggio, o ancora Duccio Bartalucci, campione di sport equestri, o Francesco de Angelis, lo skipper che ha fatto sognare l'Italia. Quando, poi, i sogni diventano realtà, diventano la vita di tutti i giorni, aumenta il senso di responsabilità verso chi vuole emulare il proprio idolo, verso coloro che si affidano agli insegnamenti di chi è stato campione. Allora diventa necessario trasmettere insieme all'amore e alla dedizione per lo sport che si è scelto, anche un corretto rapporto col mondo esterno e con la tentazione dei facili guadagni, che stordiscono e allontanano dalla mèta vera che è quella del successo nella vita, perché - come dice Sara Simeoni, prima donna ad avere saltato oltre i 2 metri"oltre lo sport ci sono tante altre cose che

danno soddisfazione".

Molti campioni, infatti, smessa l'attività agonistica, hanno intrapreso quella di istruttore, come Dante d'Alessandro per le bocce, o Klaus Dibiasi nei tuffi, o Pierpaolo Giuliani campione di Hockey su prato, o Ratko Rudic, che è ancora in attività con la pallanuoto. Un passaggio di testimone tra i campioni e i giovani che si arricchisce di contenuti oltre alle tecniche, perché tutti questi atleti sono l'esempio di chi ha saputo con la volontà tenere testa a tutti i momenti di sconforto che pure capitano, e lo testimoniano le tantissime storie positive, negative o di squadra raccolte in questo progetto. Perché la vita ha un sapore diverso, pieno, quando si pratica sport a qualunque età, come testimonia Arnaldo Ninchi, passato dai fasti della nazionale di pallacanestro degli anni '50 a quelli del tennistavolo di oggi.

«Lo sport diventa un modo per combattere la violenza fuori e dentro gli stadidice Gigi Buffon, portiere della nazionale di calcio - e quello che ci preme è lanciare messaggi positivi». Rappresentare la propria nazione nei più prestigiosi incontri internazionali sportivi diventa, allora, sinonimo di solidarietà e di condivisione, per abbattere tutte le barriere politiche e raggiungere attraverso lo sport obiettivi che in altri contesti risultano più difficili. L'apporto degli atleti di Vivere da campione è significativo in quanto sottolinea un concetto più ampio che si ritrova spesso nelle parole del Papa: la fratellanza. Un messaggio di pace che è sempre legato al rispetto delle regole, come dicono Marco Riganti e Antonio Gioffredi campioni off-shore, o Sara Simeoni oro nel salto in alto e consente scambi tra i popoli come testimoniano Adriano Panatta, mito del tennis, e Pasquale Gravina, 3 volte campione del mondo di pallavolo. La presenza del Papa Giovanni Paolo II, che ancora conserva nell'armadio gli sci da fondo, le scarpe da montagna o quelle per passeggiare sulle sue amate montagne, emerge forte dai ricordi di chi come Vittorio Adorni, leggenda del ciclismo tricolore, lo ha incontrato personalmente, o nelle parole di Enzo Majorca, il primo uomo a violare il mare in apnea oltre i 100 metri, che racconta di come nelle profondità marine abbia trovato il trascendente.

Un viaggio, dunque, attraverso tutti gli sport rappresentati dal CONI con le sue Federazioni e dal CSI con i suoi organi locali, che hanno voluto sostenere l'intero progetto, che ha toccato con mano come il binomio sport e religione sia quantomai valido per tutte quelle implicazioni di serietà, concentrazione, dedizione che fanno di tanti sportivi dei veri campioni.

Inno al Papa

Padre Bianco

La finestra aperta sulla grande piazza e la gente da ogni parte sta arrivando come un gregge che conosce il suo pastore aspetta un sogno per farsi guidare

Come un volo di colombe su nel cielo Lui si affaccia a passo lento ma sicuro benedice lentamente con la mano e la sua voce ancora arriverà lontano

Padre Bianco nel tuo candido cuore c'è l'amore per l'intera umanità c'è la bellezza di chi sa capire di chi ascolterà

Padre Bianco sei un raggio di sole nella vita di chi soffre e sta male le tue parole non hanno colore non hanno frontiere

Hai portato in ogni angolo del mondo la speranza e la parola del Signore hai parlato con i ricchi ed i potenti hai sofferto per le guerre ed il terrore

Sei un padre premuroso che consola e per tutti hai un sorriso e una parola benedici lentamente con la mano e la tua voce ancora arriverà lontano

Padre Bianco nel tuo candido cuore c'è l'amore per l'intera umanità c'è la bellezza di chi sa capire di chi ascolterà

Padre Bianco sei un raggio di sole nella vita di chi soffre e sta male le tue parole non hanno colore non hanno frontiere

Incredibile ma vero. Giovanni Paolo II conserva nel guardaroba sci da discesa e sci da fondo, ormai in disuso per una caduta; scarponi da montagna, rispolverati ogni volta che intende scalare altitudini appenniniche o alpine; mentre impegna scarpe da footing o da ginnastica per le passeggiate nei boschi durante le vacanze.

E non si sorprenderà chi crede che nell'armadio papale odorano di naftalina costumi da bagno, giacche a vento, occhiali a specchio, copricapo, calzettoni, pullover. Del resto Karol Wojtyla fin da giovane aveva praticato lo sci, il nuoto, il calcio. A riguardo, un suo compagno, Zbigniew Silkowski ricorda che spesso incon-

1946, comincia a lavorare come vicario nella chiesa di San Floriano, nel centro della rinascimentale Cracovia. Il novello sacerdote intuisce che tra i mezzi di apostolato per i suoi parrocchiani, non doveva mettere in un angolo una seppur minima forma di dilettantismo sportivo. E così fonda l'associazione "Srodowisko" (ambiente), affinché i giovani vengano facilitati, tramite la natura, nel sentire Dio. Allora comincia ad effettuare escursioni in montagna, a piedi, e ad organizzare settimane sciistiche. Con il gruppo si arrampica gioiosamente sulle montagne: nel Beskid Zywiecki, sul Leskowirec, nelle Gorce a Turbaci, a Gorc, che sfaccettano incantevoli mutamenti a seconda delle

GIOVANNI PAOLO II, PAPA SPORTIVO, AGLI SPORTIVI

trava Karol lungo le rive della Skava, il fiume dove andava a fare il bagno in gruppo. Il futuro Papa "con lunghe possenti bracciate aveva ragione della rapida corrente del fiume montano. Si immergeva per poi tornare alla superficie sbuffando acqua, abituato a quell'elemento come una foca. In seguito, ebbi occasione di osservare Karol durante gli avvenimenti di canottaggio, tuffarsi immancabilmente in acqua senza curarsi dell'ora mattutina, poca adatta al bagno. Non mi meraviglio dunque quando sento che Giovanni Paolo II, durante le vacanze a Castel Gandolfo, dispone di una piscina coperta, nella quale rigenera le proprie forze; questa abitudine la porta con sé da Wadowice. È uno dei segreti della sua perdurante vigoria fisica" (Quando Karol aveva diciott'anni, Edizioni Paoline, Milano, 1992).

Trascorreva le ore di svago giocando al calcio, ci fa sapere un suo amico biografo (M. Malinski, Le radici di Papa Wojtyla, Borla, Roma, 1980). Volentieri stava in porta su un campo improvvisato: nel cortile o davanti alla chiesa. E un compagno di scuola, Antonio Bohdanowicz ricorda che Lolek, come era allora chiamato Karol, giocava le partite a pallone in porta sullo spiazzo dietro i binari della stazione. Questo divertimento gli era permesso il sabato e la domenica. Gli sci e la canoa divennero una grande passione permanente di Lolek solo dopo la guerra. Un altro suo compagno, Jan Kus, ricorda: "Non so come facesse ma trovava sempre il tempo per tutto: per la preghiera, per lo studio, per lo sport".

Il 4 maggio 1938 è dichiarato maturo con il voto di ottimo anche nelle attività sportive. Difatti "era un autentico sportivo, giocava a pallone, a pallacanestro, amava moltissimo le lunghe escursioni nella natura", così ci confida un suo coetaneo, Tadeusz Kwiatkowski. Tre anni dopo essere stato ordinato prete nel

stagioni, del sole, del cielo. Oppure naviga con le canoe sui laghi Masuri, dove il remare impegna intelligenza e muscoli e dove vien raggiunto dalla nomina a vescovo il 4 luglio 1958, mentre diventa più divertente lasciarsi trasportare dalla corrente dei fiumi. Un anno dopo, alla richiesta degli argomenti da non trascurare in vista del Concilio, consiglia "l'opportunità per i sacerdoti di avere un contatto più stretto con tutti gli aspetti della vita dell'uomo nel mondo, compreso lo sport". È facilitato così nel captare panorami di favola, fecondi per la vita interiore e ad immergersi in un silenzio inedito, increspato dal pudico fluire delle acque. Durante le pause del Concilio Vaticano II, aperto l'11 ottobre 1962, il vescovo Wojtyla si rifugia nel piccolo santuario mariano della Mentorella, situato tra i Monti Prenestini. Da questo luogo di raccoglimento, va spesso a sciare sul Terminillo, senza tenere conto delle condizioni del tempo.

Nominato cardinale il 28 Giugno 1967, continua a fare le escursioni nei monti Bieszczaduy e Tatry o va in canoa lungo i laghi Czarana e Brdal. Da sommo pontefice, si è fatta costruire a Castel Gandolfo una piscina. Si allenava per una esigenza fisica, in quanto da giovane, era stato affetto da mononucleosi. Nel 1984 si è portato sull'Adamello in provincia di Trento. Ha prescelto la sommità della pista Crozzon di Lares per discendere con gli sci, fermandosi spesso in quella bianca solitudine per gustare estasiato la silenziosa trascendenza di Dio. Ha praticato questo sport, con grande benessere fisico e spirituale, fino al 1993, anno in cui dovette smettere di sciare per una caduta. E fino quando è stato sorretto dalle forze non si è stancato di svolgere un'attività dinamica in mezzo alla natura. La considera l'alfabeto malioso della Bellezza divina, dove il Papa stesso ed ogni atleta temprano il corpo e slanciano lo spirito verso l'unico Artista.

di Santino Spartà

Atleti del CSI rendono omaggio al Santo Padre in occasione della Festa nazionale Giocasport del 1992.

È cresciuto in una terra, "fitta di betulle e di querce", si paragona ad un "giovane crinale rocciosi dei Tatra", la più alta catena montuosa dei Carpazi in Polonia. Ringrazia il Signore con un prefazio di lode, perché può "tuffare il volto nell'azzurro", perché può godere della "primavera echeggiante di gotica nostalgia", per essere stato avvolto "in un'onda d'estasi".

Scorge la Presenza Divina, come in ogni autentico sportivo, nella curva infinita dell'universo, "in cui convergono le vie stellari"; percepisce il suo alito nell'affresco palpitante del creato, dove sente "in quel silenzio… il chinarsi di Dio"; la invoca ardentemente affinché continui a restare attecchita "nell'infinito come fiore assetato di caldo sole".

Rimane emblematica quella battuta, data ad uno dei 1500 giornalisti radunati nell'Aula delle Benedizioni per la prima udienza il 21 ottobre 1978, che gli aveva chiesto: "Santità, andrà a sciare?" Rispose: "Non me lo permetteranno". Ma Giovanni Paolo II non ha perduto l'occasione per recarsi sulla neve, finché ha potuto, senza sminuire il carisma spirituale dinanzi ai fedeli. Anzi.

Invece ha provocato malessere, fastidio, malumore, in certi ambienti ipocriti della Chiesa. Chissà quanti cardinali siano rimasti trepidanti, disorientati, sbigottiti e certamente molti prelati hanno continuato ad essere tentennanti, sbalorditi, sconvolti. Papa Wojtyla aveva previsto tutta questa avversione. L'ha confidato all'allora pre-

sidente Pertini: "Grideranno allo scandalo!" Ha seppellito, però, tra i ghiacciai della Lobbia Alta, censure, irritazione, recriminazioni, con anticonvenzionalismo e semplicità dichiarando: "L'attività sportiva è importante per ogni uomo."

Del resto, Sisto V (1585-1590) aveva cavalcato a lungo nella propria villa di Montalto, dove era entrato per farsi francescano e

Leone X (1513-1521) esercitava l'arte venatoria al castello della Magliana o nella tenuta di caccia a Viterbo, mentre Pio XI (19221939) da prete anche se non da pontefice, aveva scalato il Cervino e il Monte Rosa.

Continuando la tradizione di interessamento della Chiesa per l'ambiente dello sport, il Santo Padre

ricevendo i dirigenti, i tecnici e i giocatori di una squadra di calcio, sottolinea che l'agonismo sportivo, pur così nobile, non deve essere fine a se stesso, ma subordinato alle esigenze più nobili dello spirito.

Raccomanda di essere bravi sportivi, ma anche bravi cittadini nella vita familiare e sociale e soprattutto bravi cristiani, che sanno dare

Nella foto in basso: un momento del Giubileo degli sportivi svoltosi a Roma nel 1984

un senso superiore alla vita. Secondo Giovanni Paolo II l'attività atletica, se svolta secondo giusti criteri, tende a sviluppare nell'organismo forza, destrezza, resistenza ed armonia di modi. Favorisce contemporaneamente la crescita delle stesse energie interiori, diventando scuola di lealtà, di coraggio, di sopportazione, di risolutezza, di fratellanza. Il Papa resta pienamente convinto che lo sport armonizza le doti fisiche con quelle spirituali; esalta le virtù umane, come la lealtà, la generosità e la creatività, che si intrecciano con lo spirito di sacrificio, col dominio di se stessi, con la temperanza, in vista di una completa formazione della persona, aperta così ai più ampi orizzonti della trascendenza e della fede.

Lo sport, anche sotto l'aspetto di educazione fisica, trova nella Chiesa, sostegno per tutto quello che

comporta di buono e di sano. La Chiesa, infatti, non può non incoraggiare tutto ciò che serve allo sviluppo armonioso del corpo umano, giustamente considerato il capolavoro di tutta la creazione. Per questo la Chiesa non cessa di raccomandare la valorizzazione di questo strumento meraviglioso, mediante una appropriata educazione fisica. Essa, mentre da una parte fa evitare le deviazioni del culto del corpo, dall'altra allena e il corpo e lo spirito allo sforzo, al coraggio e alla cortesia, in una parola al "fair-play".

Il calcio, oltre ad essere una nobile attività umana, capace di dare entusiasmo a milioni di persone per la carica fondamentale di divertimento nel senso più pieno e positivo del termine, può e deve assumere una dimensione cristiana, quando contribuisce alla elevazione interiore degli atleti stessi.

Questo avviene se esso viene praticato e vissuto non per semplici ed esclusive finalità competitive e lucrative, portate talvolta alla esasperazione ed alla violenza, ma per quegli ideali di universalismo, di correttezza, che debbono stare alla base di ogni forma sportiva. I giocatori devono essere sempre degni della stima degli sportivi. Difatti "i tifosi" apprezzano nel giocatore il talento, che li ha entusiasmati; ma il loro pensiero va anche all'uomo, alla persona, ai suoi meriti morali e ai suoi valori; e così con l'onestà, con il senso del dovere possono contribuire alla formazione della società e specialmente dei giovani.

Ogni sportivo deve sapere affrontare con dignità i momenti impegnativi delle partite per essere poi in grado di conseguire quelle vittorie superiori che valgono per l'eternità.

Nella pagina precedente: Il Santo Padre riceve una delegazione della FICEP nel 1994, in occasione della 57ª assemblea della federazione internazionale.

Il corpo deve essere subordinato allo spirito, che dà luce, respiro ed energia alla vita.

Una vera mèta degli sportivi deve essere una nuova civiltà dell'amore.

San Paolo, che aveva conosciuto il mondo dello sport del suo tempo, nella prima Lettera ai Corinzi, a quei cristiani che vivevano nell'ambiente greco, scrive: "Non sapete che nelle corse allo stadio tutti corrono ma uno solo conquista il premio? Correte anche voi in modo da conquistarlo!"

Ecco l'Apostolo delle genti, il quale per portare il messaggio di Cristo a tutti i popoli ha attinto concetti, immagini, terminologie, modi espressivi, dati filosofici e letterari non solo dalla tradizione giudaica ma anche dalla cultura ellenica. Non ha esitato a mettere lo sport tra i valori che gli servivano come punti di appoggio e di riferimento per il dialogo con gli uomini del suo tempo.

Ha riconosciuto, pertanto, la fondamentale validità dello sport, considerato non soltanto come termine di paragone per illustrare un superiore ideale etico ed ascetico, ma anche, nella sua intrinseca realtà di coefficiente, per la formazione dell'uomo e di componente della sua cultura e della sua civiltà. Lo sport è gioia di vivere, gioco, festa, e come tale va valorizzato e forse riscattato, oggi, dagli eccessi del tecnicismo e del professionismo, mediante il recupero della sua gratuità, della sua capacità di stringere vincoli d'amicizia, di favorire il dialogo e l'apertura degli uni

verso gli altri, come espressione della ricchezza dell'essere, ben più valida e apprezzabile dell'avere e quindi ben al di sopra delle dure leggi della produzione e del consumo e di ogni altra considerazione puramente utilitaristica ed edonistica della vita.

Bisogna trarre dallo sport gli stimoli per una maturazione umana e cristiana.

Le qualità umane e civili non possono restare fini a se stesse, ma devono formare come una pedana per salire su un piano superiore: per superare ogni atteggiamento frivolo che conduce verso un'esistenza grigia e priva di ideali; per non lasciarsi impigliare in quei piaceri che avviliscono e degradano. L'esercizio fisico dello sport richiami alla mente le belle parole di San Paolo ai cristiani di Corinto: "Glorificate e portate Dio nei vostri corpi".

Quello che si fa negli allenamenti per mettere il corpo sempre più in grado di rendere il massimo nelle competizioni sportive, la Chiesa lo richiede su un piano più elevato per la crescita spirituale.

Infatti tutta la vita cristiana è come una corsa, come una gara, ma non per la conquista di una corona corruttibile, come dice ancora San Paolo, bensì per la conquista di una corona immarcescibile.

Il papa si preoccupa che i medici aiutino gli atleti a rimanere sempre uomini. Difatti il loro impegno li porta ad avere cura del calciatore, il quale, prima di essere un individuo dotato di potenza di muscoli e di prontezza di riflessi, è una per-

sona umana. Al loro impegno si pongono complesse problematiche, che vanno dal campo traumatologico a quello cardiologico, biochimico, riabilitativo.

Il loro compito, però, non si esaurisce entro la branca della terapia, per allargarsi a quella più ampia dell'attività di prevenzione. Essi sono custodi degli uomini affidati alle loro cure, difensori del loro equilibrio psicofisico, cooperatori del loro armonico sviluppo. In breve, educatori dell'uomo.

Di qui, per loro, l'ulteriore impegno a evitare le facili degenerazioni e i possibili travisamenti nelle nobili finalità delle competizioni sportive. L'uomo che è il soggetto della loro attività professionale, è anche un atleta, per di più giovane. Egli si trova ad agire nella cornice di uno stadio gremito, che può esaltare o deprimere. Questa situazione è fortemente condizionante, con pericolo di strumentalizzazione. Di qui le difficoltà di ordine psicologico che essi sono chiamati a superare.

Medici ed atleti debbono di continuo affrontare la preoccupazione di non deludere le esigenze delle rispettive Società e le attese del grande pubblico, che richiede prestazioni di alto gradimento. Gli atleti, divenuti idoli delle folle, sono tanto più esposti e vulnerabili quanto più sono giovani, e possono essere travolti dalla tentazione di subordinare alla notorietà, la fondamentale esigenza di restare persone.

L'uomo può venire sacrificato all'atleta. È appunto qui, che l'impegno di mettere in valore la libertà della

loro professione, che investe direttamente il rapporto medicinamorale, si colora di una nuova nobiltà e riveste carattere di una missione.

Lo sport non può non vincolare i popoli ben disposti. Già fin dal tempo delle prime gare olimpiche dell'antica Grecia, lo sport contribuiva ad alimentare l'amor di patria, a mantenere vivi i legami dei cittadini lontani con la propria terra.

Ed oggi, divenuto fenomeno diffuso a respiro internazionale, esso per le frequenti occasioni di incontrare popoli di stirpe diversa, è un coefficiente di amicizia senza frontiere, di convivenza al di là delle lingue, di armonia in nome dei valori comuni, un elemento sicuro di pacificazione universale.

Giovanni Paolo II, ricordandosi nostalgicamente delle scalate ai monti della sua Polonia, rivolge parole toccanti ai delegati del Club Alpino Italiano: "Se è vero che l'attività sportiva, sviluppando e perfe-

zionando le potenzialità fisiche e psichiche dell'uomo, contribuisce ad una maggiore maturazione della personalità, ciò vale in modo particolare per coloro che praticano l'alpinismo e lo vivono nel rispetto degli ideali che esso suscita ed alimenta.

La montagna esige, in chi la pratica, delle rigorose virtù: severa disciplina e padronanza di sé, prudenza, spirito di sacrificio e di dedizione.

Per questo si può dire che lo sport alpino forma il carattere. Non sarebbe possibile, infatti, affrontare disinteressatamente le fatiche della vita sui monti, se le forze fisiche e muscolari a ciò necessarie, non fossero sostenute da una tenace volontà e da una intelligente passione per il bello.

A contatto con le bellezze dei monti, di fronte alla spettacolare grandezza delle cime, dei nevai, degli immensi panorami, l'uomo rientra in se stesso e scopre che la bellezza dell'universo, non splende solo nella cornice meravigliosa del

cielo esteriore, ma raggiunge il cielo interiore, quello dell'anima, che si lascia illuminare e cerca di dare un senso alla vita.

Lo sport sarà la festa della solidarietà tra i popoli, se terrà lontani i pericoli che lo insidiano, quali la ricerca ossessiva del guadagno e la commercializzazione di quasi ogni suo aspetto, la spettacolarizzazione eccessiva e l'esasperazione agonistica e tecnicistica, il ricorso al doping e altre forme di frode. Solo recuperando efficacemente il suo compito e le sue potenzialità di educazione e di socializzazione, lo sport può svolgere un ruolo di significativo rilievo e concorrere, per la sua parte, a sostenere le speranze che muovono i cuori degli uomini, specialmente dei giovani, in questo scorcio di secolo che si apre sul terzo Millennio cristiano.

Lo sport quando non si trasforma in mito, è un fattore importante di educazione morale e sociale, a livello sia personale sia comunitario.

Ideato da Chiara Panciroli

Hanno collaborato: Alessandro Cappelli e Claudia Alessi

Illustrazioni di Claudia Alessi £. 25.000

Un gioco a carattere sportivo-educativo per bambini e ragazzi, da fare in squadra - anche coinvolgendo gli adulti - in famiglia, a scuola, in parrocchia.

Un modo diverso per scoprire il Giubileo del 2000, i suoi significati ed i suoi valori. Un incontro tra i "segni" del Giubileo e quelli dello sport, che prepara all'appuntamento del 29 ottobre 2000 con il Giubileo degli Sportivi.

Una proposta articolata, in cui confluiscono ludicità, movimento ed i più diversi linguaggi espressivi.

Affinché il Grande Giubileo, come auspica Giovanni Paolo II, parli a tutti di gioia e sia occasione "di un giubilo che si manifesta all'esterno".

CONTRASSEGNO n. ...............

Società unipersonale del Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma Tel. 06/6867941 Fax 06/68802940

Sito internet: http://www.csi-net.it Email: aranblu@csi-net.it

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Tutti i record di Malta

Avete mai assistito ad una partita di pallavolo durata più di una settimana? Se la domanda vi sembra strana vuol dire che allora non vi è mai capitato di passare per Malta in periodo estivo. Ormai da quindici anni, infatti, nel piccolo stato insulare al confine tra Europa ed Africa, il Movimento Culturale Kerygma dei padri Domenicani organizza la Maratona di Pallavolo di Malta. L'edizione di quest'anno si è tenuta tra il 29 luglio e il 7 agosto, scopo dichiarato dei 48 ragazzi partecipanti divisi in sei squadre era di battere il record iscritto nei Guinness dei Primati di 220 ore di gara di pallavolo senza interruzioni, ottenuto il 18 agosto di un anno fa durante l'edizione precedente della maratona. Si trattava di un progetto coraggioso e ambizioso che celava, però, motivi ben più nobili: l'intero ricavato dei soldi raccolti nel corso della gara sarebbe stato devoluto per scopi filantropici a 132 bambini portatori di handicap ospiti della Casa della Provvidenza di Malta.

«Tutto nacque quando conobbi Don Michele - spiega Padre Charles, Direttore Generale del Movimento Kerygma - si tratta di un sacerdote diocesano e consulente ecclesiastico dell'Azione Cattolica maltese, che 35 anni fa creò questa "Casa autogestita" per bambini disabili che non vive di risorse pubbliche ma della solidarietà dei cittadini di Malta. Ben presto mi resi conto delle difficoltà a cui ogni giorno deve far fronte una struttura così grande (150 dipendenti e un costo di circa 4 miliardi all'anno, ndr), mi chiesi come aiutarli e così nacque la prima Maratona, nel 1986».

Una grande avventura, quindi, nata dal connubio tra sport e solidarietà, tra valori umani e i veri valori sportivi, a cui il CSI, che da decenni si è fatto portavoce di questi princìpi, non poteva mancare. Tanti sono stati gli enti e i personaggi che, sensibili all'appello dei padri Domenicani, non sono voluti mancare per dare il loro supporto al progetto, come ad esempio il Comitato Olimpico Internazionale, la Federazione Internazionale di

Pallavolo e la Lega Italiana Pallavolo Maschile Serie A. Da segnalare, inoltre, la presenza della società inglese di calcio Manchester United con il suo allenatore Sir Alex Ferguson e vari calciatori come David Beckham e Robby Keane (ora attaccante dell'Inter).

Il Centro Sportivo Italiano, presente col suo presidente Edio Costantini, ha dimostrato la collaborazione fraterna che si sta sviluppando col Movimento, naturale vista la comunione di intenti e idee, dando il suo attivo sostegno fornendo il tappeto su cui si è svolta tutta la gara. Ma a proposito di gara, torniamo al gesto sportivo in sé: sarebbero riusciti i nostri 48 eroi, alternandosi sul campo e sfidando l'afa e i gradi dell'estate mediterranea, nella loro impresa? Il fischio d'inizio è stato dato nel tardo pomeriggio di sabato 29 luglio alle ore 18 e già fin dalle prime battute è divenuto chiaro che quest'anno tanti record sarebbero stati battuti, innanzi tutto il numero dei volontari: sono stati ben più di mille quelli che, tra addetti alla cucina, medici e atleti, hanno collaborato alla realizzazione di questa impresa.

È stato da record, poi, il numero delle persone che hanno assistito alla gara sostenendo i giocatori col loro tifo: nella passata stagione erano stati più di 61.000 e già quello fu considerato un numero eccezionale. Ebbene, quest'anno sono stati più di 71.000! Ed infine il risultato più importante, l'anno scorso vennero raccolti trecento milioni da dare in beneficenza, quest'anno i soldi raccolti hanno raggiunto la ragguardevole cifra di ben 500.000.000 di lire.

Nel frattempo la gara andava avanti finché, dopo dieci giorni consecutivi di battute, schiacciate e muri a rete, alle ore 23 di lunedì 7 agosto la gara si è conclusa: il cronometro segnava 221 ore! Il vecchio record era stato battuto di un'ora, la manifestazione è stato un successo su tutti i fronti, Padre Charles è felicissimo: «È stata una grande festa del vero valore dello sport, una festa della vitalità dello sport dei giovani ma soprattutto è stato un inno alla vita, cantato dai giovani forti e meno forti».

L'appuntamento, per tutti, è stato già rinnovato per l'anno prossimo per una nuova sfida, obiettivo: quota 222.

di Bruno Longhi

Il classico Trapattoni va sempre di moda

Il Rap del Trap

Quella di Giovanni Trapattoni da Cusano Milanino è una storia lunga sessantuno anni che somiglia tanto ad una favola. Una favola il cui finale sarà sicuramente lieto, come lieti sono i momenti che il Trap riesce a far trascorrere a tutti coloro che si imbattono, anche casualmente, nel suo mondo. Cinquant'anni dedicati al calcio, mezzo secolo sotto le bandiere di Milan, Juventus, Inter, Bayern, Cagliari e Fiorentina, prima d'approdare a quel ruolo di Commissario Tecnico della Nazionale che pare fatto proprio su misura per lui. Un rischio calcolato, il suo. Per la prima volta, quest'estate, aveva trascorso nell'eremo vacanziero di Talamone il mese di luglio. Non era mai successo prima, da quando il calcio professionistico lo aveva coinvolto a tempo pieno. Sarebbe potuto approdare all'Inter (forse) se Baggio non avesse segnato quei due gol nello spareggio Champion's League di Verona con il Parma. Probabilmente, se le cose fossero andate in altro modo, ora non sarebbe l'allenatore azzurro, ma (ancora) nerazzurro. Moratti, che al momento della nomina a presidente dell'Inter non aveva voluto ingaggiarlo nonostante molti ne avessero caldeggiato il ritorno ad Appiano Gentile, negli ultimi tempi si era ricreduto. Quello stesso Trap, considerato cinque anni fa "una minestra riscaldata", era diventato non più di sei fa agli occhi del presidente la figura ideale del manager cui affidare non solo una squadra ma anche gli equilibri di un'intera società. È andata in altro modo e la Nazionale ci ha guadagnato, eccome. La sua giovialità, la sua disponibilità, la sua umiltà hanno contagiato l'ambiente azzurro. Le facce tristi, i mugugni di qualche mese fa si sono dissolti come neve al sole. Al comando della truppa c'è un uomo vero, un padre, un marito, un nonno, che sa troppo cose della vita per ritenere il calcio la più importante di tutte. Una barzelletta, una delle mille metafore imparate chissà dove, uno strafalcione detto al momento giusto, servono per sdrammatizzare qualsiasi situazio-

ne, per far sorridere persino i più musoni. Il suo repertorio è ricchissimo di aneddoti. Ricordate la celeberrima "Non dire gatto finché non l'hai nel sacco…"? Oppure quello sfogo in tedesco indirizzato ai vari Strunz, Basler e School che fece sorridere mezza Europa? Momenti di grande intensità, e - se vogliamo - di involontaria comicità. In Germania, anche grazie a quella sgrammaticata filastrocca che ispirò un disco Rap ("Il Rap del Trap"), è ancora amatissimo. I tifosi lo hanno apprezzato sul piano della simpatia e dei risultati, Kalle Rummenigge non perde mai occasione per elogiarne pubblicamente la grande professionalità. La sua forza è l'umiltà. A differenza di quasi tutti coloro che si genuflettono solo davanti ai potenti, il Trap ama soprattutto mettere a loro agio i più deboli, coloro che hanno meno "forza contrattuale". I giovani cronisti lo amano perché lui sa farli sentire importanti come le prime firme. I calciatori meno celebrati pure, perché li tratta né più né meno come i "big" della pedata. Le riserve non si sentono tali, perché per loro c'è sempre una parolina in più, una frase di incoraggiamento. Si autodefinisce "un classico che non va mai giù di moda". Ed è perciò che

non si addentra mai in sterili ed inutili lotte di filosofia calcistica. Basti pensare al suo rapporto con Arrigo Sacchi. Una scintilla e potrebbe divagare un incendio, visto che i due sono agli antipodi per ciò che concerne la filosofia pallonara. Ma tra loro non accade mai nulla, perché si stimano e si apprezzano, perché per entrambi l'uomo viene prima di ogni altra cosa.

"Non è importante vincere - dice spesso, facendo rivoltare nella tomba il barone De Coubertin - ma è indispensabile!" E fedele a questo suo motto, la Nazionale, dopo le prime tre gare di qualificazione, vede avvicinarsi sempre più l'obiettivo finale.

"I chilometri che ci separano dal Giappone - sussurra ammiccando - sono ora molto meno di diecimila. Vediamo di far sì che il motore non abbia a guastarsi sul più bello". E su quest'altra metafora saluta e se ne va, in compagnia di Donna Paola, sua moglie, ovvero la signora Trapattoni, raggiante più che mai. "Finalmente, dopo tanti anni, avremo il tempo per quella Luna di Miele che non abbiamo fatto mai" - ci confida sorridendo. E la vita può ricominciare così anche a 61 anni.

Stadium sport in tour

SSi è conclusa a Bologna l'avventura 2000 di Wind-Stadium sport in tour, durata più di cinque mesi. Sull'arco gonfiabile azzurro, divenuto il simbolo della manifestazione, la scritta Traguardo, dopo una estenuante tournée, che ha visto regalare sport ogni settimana su una piazza o su una spiaggia diversa. Dunque l'immaginaria porta d'accesso al free-sport prêt-à-porter si sgonfia in attesa della prossima primavera, quando tornerà in passerella a far sfilare nuovi sport, e l'allegria del gioco più divertente: quello dello stare assieme, al fianco della propria città. L'edizione 2000 saluta le sue 20 tappe (11 piazze e 9 spiagge), in ognuna delle quali la musica, lo spettacolo ed il divertimento hanno "costretto" migliaia di cittadini ad avvicinarsi allo sport nei luoghi della quotidianità o della vacanza.

Cervia

L'ultima tappa marittima del Tour di Stadium è stata infatti a Cervia (RA), dove, il 2 e il 3 settembre in un ampio spazio di spiaggia antistante il lungomare, a pochi metri dal famoso Grand Hotel, è stato allestito il villaggio con tutte le sue strutture sportive.

Nonostante si fosse ormai un po' "fuori stagione" l'affluenza

di pubblico è stata notevole: solamente allo stand del CSI si sono presentate oltre 300 persone in due giorni per ritirare una copia del nostro giornale o per chiedere informazioni sulla associazione e le sue attività invernali.

Accanto alla sua gustosissima piadina romagnola Cervia ha offerto al pubblico la bellissima novità del beach-rugby,

che pur avendo in contemporanea la "concorrenza" degli sport tradizionali e molto giocati come il racchettone, il beach-volley per grandi e piccoli ed il beach-soccer, ha trovato molto seguito nell'arenile adriatico.

Nello spazio autogestito dalla società Rugby Club Alfonsine di Ravenna si sono svolte inizialmente alcune gare dimostrative giocate dai giovani atleti della squadra, accompagnate per microfono dal commento di uno speaker che spiegava al folto pubblico, assiepato attorno al campo, le regole di una disciplina ancora non molto diffusa in zona.

Successivamente il coinvolgimento dei bagnanti in costume: erano in molti ad indossare una casacca e a scendere in campo partecipando direttamente alle azioni.

Alla fine un successone per una disciplina molto spettacolare che ben si adatta al fondo sabbioso, sviluppando il gioco per lo più in aria e non a terra.

Così, dalla mischia balneare fuoriusciva da Cervia l'ultima mèta dello sport in tour al mare. La palla ovale era lanciata lungo l'Adriatico verso Pescara.

Pescara

Dopo la lunga parentesi estiva, che ha visto regalare sport dal Tirreno all'Adriatico, lungo le più rinomate località balneari della nostra penisola, nel mese di settembre Stadium ha concluso il suo itinerario-beach, ritornando a sostare nelle piazze. Pescara l'attendeva nella sua bomboniera, Piazza Salotto. Il 9 e il 10 settembre, percorrendo un breve tratto di Corso Umberto, la si scopriva completamente trasformata. Aveva nuove tinte la pavimentazione, colorata dei campi che il Centro Sportivo aveva disteso a terra. Come al solito il calcetto suscita il maggior richiamo tra i giovani, tra i quali molti orgogliosamente ostentavano la maglia dell'undici abruzzese. Entusiasmo alle stelle attorno alla rampa della Roces, dove i funamboli dei pattini in linea e delle bmx hanno strabiliato il gran numero di passanti. Sull'halfpipe gli acrobati dei roller si sono dati il cambio fino a notte fonda. Nel bagno di folla, di musica, il gusto sportivo si fondeva con quello dei molti gelati consumati sotto il solleone. Lungo il Corso che porta al mare era poi forte il

rumore degli scooter della Gilera, che ai molti ragazzi, immediatamente vestiti con le tute speciali da gara, con la protezione sulla schiena, ha fatto provare i suoi due ruote,

con lo scopo di educarli alla sicurezza stradale, alla stabilità in sella e alla regolarità tra i birilli. Due bellissimi giorni, un successo che Pescara difficilmente dimenticherà.

Reggio Emilia

La fermata successiva della carovana di Stadium è sulla Via Emilia, uscita Reggio. Si veste a festa il capoluogo reggiano, da sempre centro di grande spessore sportivo. Piazza Martiri VII luglio, Piazza Prampolini, Piazza della Vittoria, il cuore della cittadina emiliana, sono state teatro d'un susseguirsi d'iniziative suggestive. In mattinata la maratonina nei Giardini Pubblici, ed i giochi d'animazione aperti a tutti i bambini dalla materna alla scuola media. Finalmente un momento di libertà per colorare ed abitare i giardinetti cittadini. Nel pomeriggio, mentre l'half-pipe (minirampa) era presa d'assedio dai molti appassionati di questa specialità, proseguivano il programma le arti marziali, il calcio, il basket, lo spinning, il volley, il tennis e la ginnastica. Ampio risalto inoltre agli atleti disabili dell' hockey e del basket in carrozzina, capaci di entusiasmare i molti presenti con le loro esibizioni. Appassionante il tor-

neo di weelchair tra la CocoLoco di Padova, i Blue Devils di Genova ed i padroni di casa della Folgore. E ancora in pista i baby-ciclisti e le bambine della ginnastica artistica, puntuali, dopo le loro esibizioni, a tuffarsi sotto la pioggia di gadgets regalati dagli sponsor. In serata tutti in piazza per il concerto del gruppo Zero positivo "energia allo stato brado", ottimamente diretti da Carlo Pastori, dinnanzi ad una nutrita folla, da cui si distinguevano i 600 Papa-boys che in precedenza erano stati salutati dal vescovo della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla Adriano Caprioli.

Pisa

In Toscana i tir di "Wind-Stadium sport in tour" sono tornati - sabato 23 e domenica 24 settembre - nelle più belle e suggestive piazze del centro storico di Pisa. Centinaia di atleti, nel fine settimana, si sono dati appuntamento nelle piazze dei Cavalieri e Buonamici e in Largo Ciro Menotti, per partecipare alle attività proposte dal Centro Sportivo italiano: volley, mini-volley, basket, mini-basket, calcio, calcio a cinque e calcio tre per

tre, hockey su prato, spinning, tennistavolo, calcio balilla, skate in line, arti marziali, disco - gym ed orienteering. Inoltre tanti animatori a far divertire i più piccoli con i giochi di gruppo, il percorso a ostacoli ed un mini-bowling, ottimamente organizzato.

Ma l'autentica novità è stata il madball, richiestissimo dai ragazzi che ruotavano intorno a piazza Cavalieri e seguito da due operatori del Csi di Firenze. È uno sport un po' matto, come si evince già dal nome:

si gioca in un impianto di basket e si deve far canestro, con un pallone ovale. Il richiamo al rugby lo si trova anche in alcune regole, una tra tutte la possibilità di "far mischia" intorno alla palla. Di più: in mezzo al campo, una rete… da pallavolo… palla in alto, ragazzi sotto la rete, ed il divertimento ne guadagna! In via Ulisse Dini gli stands ed i gazebo della 46esima Brigata Aerea, dei Vigili del Fuoco e della Croce Rossa. Righelli e magliette ai parteci-

panti sono stati donati la mattina del sabato ai ragazzi delle scuole. Sabato sera lo spettacolo della Brigata dei Dottori "Lo Zibardone" di Giancarlo Peluso e la presenza di suor Paola, collaboratrice di "Quelli che il calcio".

Verona L'arancio e il blu che hanno unito nel lungo viaggio il CSI e la Wind, sponsor principale della manifestazione, avevano lasciano poi la torre di Pisa per visitare un altro monu-

Nella pagina precedente in alto: sport in tour a Pisa davanti alla “Normale”; in basso: festa mancata a Verona causa acqua, tanta acqua...

In questa pagina: un momento dello sport in tour a Reggio Emilia.

mento della nostra bella penisola: l'Arena di Verona. Le premesse perché nel capoluogo scaligero, sabato 30 settembre e domenica 1 ottobre , la manifestazione si svolgesse con successo, c'erano tutte. Ma erano altri, purtroppo, i colori del cielo. Il maltempo e la pioggia battente hanno condizionato infatti fortemente la tappa veneta, rovinando la festa accuratamente preparata.

Le adesioni al CSI locale erano piovute anch'esse massicciamente; davanti la Basilica di S. Zeno era stato allestito tutto in modo funzionale e nello stesso tempo scenico, ma il temporale non ha concesso tregua e speranza ai partecipanti, costringendoli alla resa. Nel giorno di sabato oltre 1000 studenti avrebbero partecipato alle varie attività sportive e nonostante la piog-

gia insistente, la domenica mattina, si sono comunque radunati molti ciclisti in Piazza S. Zeno per disputare la "biciclettata" per i quartieri veronesi, che giocoforza è stata soppressa. Resta l'amaro in bocca per l'occasione persa, soprattutto per i molti cittadini veronesi pronti in scarpe da ginnastica e sotto l'ombrello a scendere in campo in ogni momento. Ma solo Romeo e Giulietta in quei due giorni sono scampati all'acquazzone!

Bologna

L'ottobrata di Stadium è proseguita a Bologna, degna padrona di casa del finale di questo lungo tour. Moltissime le attività promosse dal CSI felsineo nella settimana conclusiva. Dopo aver festeggiato degnamente S. Petronio, il patrono cittadino, giovedì il primo appuntamento è stato il

convegno "Oltre la siepe - lo sport per diversabili", un tema molto attuale in vista delle Paraolimpiadi in corso di svolgimento a Sydney. Poi Piazza Maggiore e Piazza Galvani, sotto lo sguardo delle torri gemelle, in tuta e scarpe ginniche, hanno assistito ai vari tornei di calcio a 5, basket 3x3, tennis-tavolo, pallavolo, scherma, minitennis e alle novità del cicloturismo e delle immersioni (idrobike), grazie alle due piscine impiantate nel mezzo della piazza. Una Piazza Grande veramente, di sport, entusiasmo e di solidarietà. Stadium ha infatti aderito alla "Giornata dei Risvegli", promossa dall'associazione "Gli amici di Luca" con il patrocinio del Rotary Club e del Lions Club; un' iniziativa di solidarietà verso il progetto della "Casa dei Risvegli Luca De Nigris", che sorgerà a

Bologna nel 2001, in ricordo di questo ragazzo morto a 15 anni, dopo essersi "risvegliato" proprio il 7 ottobre da un coma durato 240 giorni. Toccante il volo dei palloncini con i messaggi dei bambini delle scuole per aiutare chi è in coma. Ricco di nomi il torneo di calcetto, nel quale si sono sfidate otto squadre. In campo le rapprentative dei sacerdoti, dell'Atletico Van Goof (vittoriosa), degli arbitri, dei giornalisti, del Rotary, del Lions e quelle dei consiglieri comunali. Immancabile, specie a Bologna, una rappresentativa degli attori-cantanti. In serata tutti al Teatro Arena del Sole per lo spettacolo di Alessandro Bergonzoni, testimonial anch'egli di questa intensa giornata in cui con le sue parole "un fine giustifica sicuramente i mezzi più vari". Arrivederci, a presto Stadium!

I 4 salti dell’atletica

La disciplina dell'atletica leggera, considerata la "regina dello sport olimpico", comprende i gesti base che l'uomo sin dalla sua evoluzione compie. Lo sport moderno si avvale di questa ampia gamma del movimento umano che l'atletica leggera raggruppa in quattro grandi settori:

•le corsa di velocità sul piano e con ostacoli

•la corsa e la marcia di durata

•i lanci

•i salti

In questo numero affronteremo l'analisi dei salti iniziando dalla loro classificazione.

Il settore salti si distingue in due gruppi di specialità:

• SALTI IN ESTENSIONE

Salto in lungo

Salto triplo

• SALTI IN ELEVAZIONE

Salto in alto

Salto con l'asta

Accostando la dinamica del salto in lungo e del salto con l'asta ad un salto di un fosso più o meno ampio, scopriamo come l'origine dei salti dell'atletica leggera contemporanea presenti analogie con l'evoluzione dell'uomo. Considerazioni tecniche attuali evidenziano l'esigenza fondamentale per un saltatore, ovvero la proiezione del centro di gravità del corpo umano (cdg) al di sopra di una asticella (salto in alto, salto con l'asta) o il più lontano possibile (salto in lungo e triplo).

A contrapporsi al gesto tecnico è la forza di gravità.

La velocità e la forza espresse dall'atleta, saranno le capacità fisiche che, miscelate fra loro, permetteranno di effettuare i gesti di salto contro questa forza opponente per proiettare il cdg più in alto o il più in lontano possibile.

Le doti di coordinazione generale, di destrezza e di acrobatica, assumono, in questo settore, un maggior valore rispetto alle altre specialità atletiche.

leggera

LE FASI DEL SALTO

Pur con delle differenziazioni, tutte e quattro le specialità di salto prevedono fasi che vanno dall'approccio all'effettuazione ed alla chiusura del gesto. Tecnicamente il salto si suddivide in quattro fasi:

•RINCORSA

•STACCO

•VOLO

•ATTERRAGGIO

La Rincorsa

Consiste in una fase di approccio allo stacco, durante la quale il corpo subisce continue e sempre più intense sollecitazioni di spinta.

È questa una fase di accelerazione dove si raggiunge una alta velocità; per tutti i salti, comunque, si intende una alta e controllabile velocità, difatti il raggiungimento della velocità ottimale, permetterà un buon controllo del gesto tecnico nelle fasi successive.

Lo Stacco

Rappresenta il momento in cui viene sprigionata a terra la massima forza nell'unità di tempo.

Il mix di velocità, acquisita con la rincorsa, e la forza espressa a terra, risulterà determinante ai fini della prestazione tecnica. È questa una fase delicata, in quanto le posizioni assunte dal corpo al momento dello stacco permetteranno di descrivere parabole ottimali del cdg che, relativamente al salto (ad es. in lungo od in alto) favoriranno la proiezione o l'innalzamento dello stesso.

Il Volo

Considerando che, dallo stacco, la parabola del salto ovvero la proiezione del cdg, per leggi fisiche, non potrà subire variazioni, questa fase ha come unico scopo quello di mantenere gli equilibri sino alla fase successiva. Per questo motivo, in ognuno dei quattro salti l'atleta svolgerà compiti specifici.

L'Atterraggio

Questa fase riveste grande importanza solo nei salti in estensione (lungo e triplo), difatti in queste specialità compare una fase accessoria detta "chiusura", durante la quale il corpo dell'atleta si chiude a libretto, per favorire il maggior avanzamento possibile dei piedi.

I SALTI IN ESTENSIONE

SALTO IN LUNGO

È questa una specialità "istintiva" con la quale i giovani hanno facilità a misurarsi, in quanto la velocità di corsa gioca un ruolo fondamentale. Nei principianti il risultato dipende prevalentemente dalla rincorsa e spesso lo stacco è il momento di abbandono del terreno in quanto la forza di spinta non viene adeguatamente esaltata. Il saltatore in lungo è dotato di una ottima velocità di base e di una buona forza veloce, e l'allenamento sarà teso alla cura di queste due capacità nonché all'acquisizioni del ritmo di corsa.

Le fasi ed i gesti

Rincorsa: una buona distribuzione ritmica della corsa, consentirà una progressione continua sino allo stacco.

Stacco: allineamento verticale delle spalle con il piede di spinta al suolo.

Volo: il busto eretto favorirà l'oscillazione degli arti superiori ed il compimento di passi armonici degli arti inferiori finalizzati all'equilibrio in volo.

At te ra gg i o: il corpo si chiude a libretto per favorire l'avanzamento dei piedi e per impedire cadute all'indietro che danneggerebbero il salto in sede di misurazione.

SALTO TRIPLO

Questa specialità prevede una dinamica complessa con succedersi di stacchi e di voli. Gli anglosassoni definiscono questo gesto la successione di un balzo-passosalto (hop-step-jump) vediamo il perché.

Le fasi ed i gesti

R i n c o r s a : strutturata, per lunghezza e ritmo, come nel salto in lungo ma la si effettua a velocità inferiore.

S tacco per il balzo: avviene con un piede, ne segue un volo.

2 º s t a c c o p e r i l p a s s o : avviene con lo stesso piede del 1º stacco, ne segue un volo.

3º stacco per il salto: con il piede opposto ai primi 2 stacchi.

Fase di volo finale ed atterraggio.

Rispetto al "lunghista", il "triplista", è un atleta maggiormente dotato di forza ed anche il suo allenamento sarà caratterizzato da elementi ed esercitazioni tesi al suo sviluppo.

È una specialità che deve essere affrontata con un ampio bagaglio di esercitazioni tecniche e ritmiche atte al rispetto dei tempi di salto e mirate a scongiurare l'insorgenza di traumi favoriti dai violenti impatti con il suolo. È in relazione a quanto appena detto, che il triplo risulta essere una fra le "specialità traumatiche" dell'atletica leggera

I SALTI IN ELEVAZIONE

SALTO IN ALTO

È la specialità, la cui tecnica esecutiva ha subito negli ultimi 30 anni la maggiore evoluzione.

Il connubio fra tecnica e fisica ha contribuito a codificare un gesto come il salto in alto sile Fosbury (Dick Fosbury medaglia d'oro alle Olimpadi di Città del Messico 1968), che vede fasi ormai appartenenti al bagaglio tecnico anche del principiante.

Lo studio delle proiezioni del cdg applicato all'atletica ha avuto un decisivo impulso dal '68 ad oggi, si è tuttora al lavoro per rendere ancora più esaltante il confronto con la forza di gravità, è comunque certo che lo stile Fosbury abbia modificato anche l'approccio dei biotipi a questa specialità.

Un buon saltatore oltre che essere ovviamente alto, presenterà preferibilmente un vantaggioso rapporto arti infe rio -

ri/busto ed indirizzerà il suo allenamento verso lo sviluppo della velocità e della forza veloce.

Le fasi ed i gesti

Rincorsa: dapprima rettilinea, poi curvilinea con alcuni passi percorsi in curva (da 4 a 6), durante i quali il corpo dell'atleta, inclinato verso l'interno della curva stessa, contrasta la forza centrifuga.

Stacco: il corpo si raddrizza e quindi cede alla forza centrifuga, contemporaneamente la spinta dell’ultimo appoggio a terra farà acquisire una componente verticale al cdg, la parabola che ne deriverà rappresenterà la risultante delle due forze applicate.

Volo: il punto di origine del volo (stacco) ed il punto di atterraggio, in buon salto, dovranno essere più vicini possibile, lo sviluppo della parabola dovrà esaltare la quota dell'apice di salto. Il volo non

richiede particolarità tecniche rilevanti in quanto ciò che avviene anche nella fase di svincolo sull'asticella, deriva dalla bontà delle fase precedente.

SALTO CON L'ASTA

Poche specialità, negli ultimi 15 anni, hanno avuto pari crescita prestativa come il salto con l'asta; lo studio su nuovi materiali da utilizzare nella costruzione di aste sempre più leggere, più resistenti ed al tempo stesso dotate di elasticità, ha contribuito ad innalzare la media dei risultati in tutte le categorie.

All'uso di nuove aste è corrisposta una tecnica di esecuzione del gesto più complessa ed anche la tipologia dell'atleta che pratica questa specialità ha acquistato fisionomie specifiche.

L'"astista" deve essere dotato di una buona capacità di correre ad alte velocità, deve aver sviluppato un'adeguata forza del segmento tronco ed in particolare del cingolo scapolo-omerale.

Il suo bagaglio tecnico deve necessariamente contenere esperienze specifiche di acrobatica mutuate dalla ginnastica artistica. Non è retorico affermare che, l'astista, più di altri, deve avere uno sviluppato senso del coraggio.

Da qualche anno, la specialità è riconosciuta anche a livello femminile.

Le fasi ed i gesti

Rincorsa: corsa in progressione con asta trasportata verticalmente.

I m b u c a t a : le braccia vengono distese verso l'alto, la punta dell'asta viene imbucata nella cassetta, inizia la flessione dell'asta.

S t a c c o : spinta al suolo con il corpo in atteggiamento del tutto simile allo stacco del salto in lungo.

Volo: determinanti in questa fase la serie di azioni che vengono compiute per valicare l'asticella "raccolta-infilata-tiratarovesciata", azioni queste, mutuate dalla ginnastica artistica.

Atterraggio: l'atleta cade sui sacconi dorsalmente.

Ai blocchi di partenza!

Le attività sviluppate nello scorso quadriennio hanno permesso al Centro Sportivo Italiano di ridefinire con maggior chiarezza i metodi ed i criteri di attuazione del proprio progetto sportivo, cercando prima di tutto di rispondere ai bisogni, spesso impliciti ed inespressi, di una realtà di base sempre in fermento e alla continua ricerca di nuove frontiere da esplorare.

Il Sistema sportivo del CSI sarà caratterizzato sempre più da due tipi di proposte: una a carattere continuativo, articolata a livello provinciale, regionale e nazionale (dimensione verticale), attraverso cui il CSI esprime la sua potenzialità educativa con una attività fortemente strutturata dal punto di vista tecnico-organizzativo (pensiamo ad esempio al circuito dei campionati e dei tornei della Joy Cup che hanno un proseguimento ai diversi gradi associativi); l'altra (dimensione orizzontale) finalizzata in modo più specifico all'animazione del territorio, con la promozione di "nuove" discipline sportive, col coinvolgimento di altre agenzie educative e, soprattutto, intessendo idonei rapporti con le istituzioni locali e favorendo una maggiore incisività sociale. Così, l'azione congiunta delle società sportive e del comitato provinciale sarà certamente in grado di dare risposte efficaci ai bisogni dei ragazzi, dei giovani, degli adulti e degli anziani. L'essere parte del Sistema sportivo CSI vuol dire, quindi, condividere il progetto globale, senza limitarsi a cogliere soltanto l'una o l'altra dimensione.

Queste le manifestazioni nazionali previste per l'anno 2001.

3° Gran Premio nazionale di Sci - 1° Gran premio nazionale di Tennistavolo (Sappada, 22/25 febbraio 2001)

Il primo degli appuntamenti nazionali di rilievo si apre sulle nevi bellunesi ed è rappresentato dal 3º Gran Premio nazionale di Sci. L'edizione 2001 ricalcherà per grandi linee la formula dello scorso anno, ripresentando al via sia gli sciatori pro-

vetti, che si contenderanno il Trofeo Runners, sia quelli tecnicamente meno qualificati, che si batteranno per aggiudicarsi il Trofeo Sleepers. Ma la vera novità sarà rappresentata dallo snow board, disciplina che quest'anno incoronerà per la prima volta i suoi vincitori. Nella stessa cornice prenderà il via anche il 1º Gran Premio nazionale di Tennistavolo, un'occasione importante per rivitalizzare uno degli sport più tradizionali del CSI che l'Associazione intende rilanciare.

Gran Premio nazionale di Corsa campestre (30 marzo - 1 aprile)

Particolare rilevanza riveste la corsa campestre, nella sua realizzazione più alta rappresentata dall'annuale Gran Premio nazionale che evidenzia la spiccata tendenza ad una concezione diffusa di pratica sportiva, dove la scommessa è proprio quella di far correre insieme giovani e meno giovani in un momento di forte spirito agonistico e associativo.

Joy Cup (Paestum 1-3 giugno; Cesenatico 2024 giugno 2001)

È la grande scommessa del CSI, nata dalla necessità di consolidare il circuito delle manifestazioni regionali e nazionali attraverso forme di svolgimento in grado di collegare i due livelli tra di loro e di creare uno sbocco nazionale alle varie attività. Il rilancio di una fase nazionale successiva a quelle regionali e provinciali che riprendeva, innovandola, l'idea del più classico campionato, ha confermato la maturità di un'Associazione che non ha avuto paura di confrontarsi con il rigore organizzativo, proprio perché l'iniziativa era sorretta da tutte le innovazioni che erano state sperimentate e introdotte con successo negli anni più recenti e con larga condivisione di tutti.

La presa di coscienza che le attività sportive erano spesso carenti di spirito associativo, e in qualche caso non rivelavano nessun richiamo all'Associazione, limitandosi ad essere vissute come un puro

servizio, ha messo in luce l'esigenza di assicurare maggiore attenzione agli aspetti qualitativi dell'attività sportiva, anche sul piano tecnico.

La manifestazione, dopo un biennio di sperimentazione e di verifica, diviene da quest'anno l'attività ufficiale del Centro Sportivo Italiano attuando, in tal modo, le decisioni del Consiglio nazionale che l'ha ritenuta in grado di sintetizzare qualità tecnica e dinamiche associative. Per questo motivo la Joy Cup è divenuta l'attività simbolo della dimensione verticale del nuovo sistema sportivo CSI.

Le quattro discipline di squadra (calcio a 11, calcio a 5, pallavolo, pallacanestro) e le ben 8 individuali (atletica leggera, nuoto, karate, judo, ciclismo su strada, ginnastica artistica e ginnastica aerobica, campestre), danno un'idea delle dimensioni del grande contenitore chiamato Joy Cup.

Accanto alla tradizionale classifica tecnica, sarà stilata anche una graduatoria

redatta sulla base della Coppa "Fair Play", dove importanti in questo caso saranno la lealtà e la correttezza sul campo. Gli "ingredienti educativi" interni alla Joy Cup portano a colmare quel gap che sembra esservi appunto, tra la pratica sportiva e la formazione dei dirigenti. Lo sport che affonda le sue radici nella formazione, se compreso, innesterà certamente un circolo virtuoso che si autoalimenterà creando una vera e propria "cultura" di base dello sport, attualmente inesistente.

Stadium: lo sport incontra la piazzaStadium sport in tour (aprile - ottobre 2001)

La dimensione orizzontale del sistema sportivo CSI, quella in senso più ampio, più vicina alla dimensione della festa, trova in "Stadium lo sport incontra la piazza" e, nella nuova veste di "Stadium sport in tour" la sua più completa realizzazione. Il free sport, si è rivelato un mezzo potente per far conoscere a tutti le proposte sportivo-educative del Centro Sportivo Italiano. La capacità d'incontrare le realtà territoriali e di offrire un modello di sport libero e accessibile a tutti sono alla base della sua diffusione.

Al contrario del tradizionale modo di concepire lo sport, visto come un'attività spesa in un tempo e in un luogo separati della vita quotidiana, "Stadium: lo sport incontra la piazza" tende ad aggregare le persone facendo della pratica sportiva un collante che unisce la gente della comunità in cui si svolge, mettendo così in luce le potenzialità educative e socializzanti dello sport.

Con "Stadium: lo sport incontra la piazza" si vuole far riscoprire il senso della gratuità dello sport e rispondere alle esigenze di tutte le fasce d'età, dai ragazzi ai giovani agli anziani sportivi e non. È una proposta di animazione sul territorio, un modo immediato e semplice per animare con lo sport una festa di quartiere o di un paese.

Ancora una volta spettacoli, momenti di confronto e dibattito sui temi più attuali del mondo dello sport e della società faranno da cornice alla kermesse sportiva.

Trofeo Polisportivo Giovanile - Festa nazionale Giocasport (Acqui Terme, 28 aprile - 1 maggio 2001)

Con il Trofeo Polisportivo GiovanileFesta nazionale Giocasport si entra in una logica orizzontale dello sport che si diffonde sul territorio a macchia d'olio. Il Giocasport, progetto sportivo-educativo fiore all'occhiello del CSI, è nato anche per rispondere in modo concreto ai bisogni dei ragazzi che vivono lo sport, con lo scopo di prevenire forme di disadattamento sociale che purtroppo molto spesso oggi rappresentano una vera emergenza preadolescenziale.

È su questa scia di una polisportività con forte valenza educativa che il Consiglio nazionale ha espresso le prospettive di sviluppo del Giocasport, trasformando il progetto da sporadico momento di festa, ad un'attività polisportiva vera e propria, realizzata in modo continuativo su tutto il territorio nazionale. Sull'onda di tutto ciò il Trofeo Polisportivo Giovanile - Festa nazionale Giocasport, giunto alla sua seconda edizione, rappresenta un momento forte di festa e di crescita per tutti i ragazzi.

Campionato nazionale di Wheelchair

Hockey (novembre - giugno)

L'attenzione e l'impegno verso i più deboli, sempre nella prospettiva di offrire uno sport veramente aperto a tutti ha portato il CSI ad organizzare da sei anni il Campionato nazionale di Wheelchair Hockey in collaborazione con la Wheelchair Hockey League.

Come è possibile notare le due dimensioni, quella orizzontale e quella verticale si intersecano e si completano a vicenda per offrire a tutti i praticanti, in ogni ambito di intervento, la più vasta gamma di proposte, adattabile a tutte le fasce d'età. La peculiarità del Sistema sportivo CSI, diverso dai consueti sistemi in cui prevalgono esclusivamente classifiche e risultati, non trascura affatto gli aspetti tecnici fondamentali che sono alla base di ogni attività sportiva.

di Giancarlo La Vella

Padre Fidelis Anunini ex portiere della nazionale Nigeriana

da Campione a parroco

Nella piccola chiesa di Pianola, una frazione a pochi chilometri dall'Aquila, la messa vespertina sta per concludersi. Nell'atto del congedo il giovane parroco e Consulente Ecclesiastico del CSI L’Aquila, Padre Fidelis Anunini, proiettato dalla Nigeria nel bel mezzo degli Appennini abruzzesi da un disegno che non ci è dato comprendere razionalmente, allarga le braccia in una chiesa che sembra fin troppo esigua a contenerlo. Qualche chilo in più, ma la struttura e l'altezza d'atleta è ancora la stessa di quando Fidelis difendeva, allargando allo stesso modo le braccia, la porta della

nazionale di calcio della Nigeria. Poi la svolta: diventare sacerdote, una chiamata alla quale non si può rispondere negativamente. Ma con il suo sì al Signore, Padre Fidelis non ha certo dovuto appendere le scarpette al chiodo. Domani è già giornata di allenamenti e Catechismo con i ragazzi della parrocchia.

Padre Fidelis, prima di scegliere il sacerdozio, era un calciatore di belle promesse Che cosa ricorda di quel periodo? Già da bambino il calcio mi coinvolgeva molto. Ho cominciato a giocare a pallone, come succede per tanti ragazzi, con i miei

amici. Ritengo di aver fatto una bella carriera e sarei potuto andare anche più avanti, ma quando la voce di Dio chiama, non torna a Dio senza risposta e la mia risposta è stata quella di servire il Signore. Però devo dire che anche come sacerdote mi sento una sorta di allenatore di una squadra a volte stanca e demotivata e tocca a me trasmettere entusiasmo, allenare i miei fedeli ai valori della vita. Tutto ciò che era prima aggressività, ambizione, impazienza, ha lasciato il posto alla gioia di vivere lo sport, la fede e la vita. Secondo me l'attività agonistica raggiunge i valori del Cristianesimo

quando si riesce a costituire un gruppo, una squadra dove c'è comprensione reciproca e attenzione all'esigenza altrui. Quando posso gioco anch'io; non mi sento ancora in pensione, anzi è un modo per tenermi maggiormente in contatto con i ragazzi, organizzando il loro tempo libero con tornei e partite. Più faccio questo e più mi sento pienamente ministro di fede, anche utilizzando l'attività sportiva. E questo, proprio come avviene per un trainer, è un lavoro impegnativo.

Come era Fidelis quando vestiva la maglia della Nazionale della Nigeria?

Erano gli anni '80 ed ero portiere della Under 21 e, nonostante davanti a me avessi un futuro roseo da calciatore, avvertivo un disagio, mi mancava qualcosa. La scelta che ho fatto successivamente non mi impedisce, però, entrare in campo, da giocatore o da arbitro, con i miei ragazzi, perché sono ancora in forma e molto appassionato di calcio. Ora però, e questo è l'aspetto più profondamente nuovo, sono un punto di riferimento agonistico e morale per chi gioca con me. E i risultati ci sono perché vinciamo sempre i tornei a cui partecipiamo.

Riesce sempre ad essere un arbitro severo ed imparziale?

Severo no, diciamo abbastanza giusto. La difficoltà è quella di far comprendere che anche le spinte o gli sgambetti fanno parte del gioco e non serve quindi prendersela con gli altri e con l'arbitro. Nelle mie partite il cartellino giallo o rosso scatta anche quando a volte volano parole grosse. Anche questo è un servizio che, dietro le quinte, sento di dovere ai piccoli dell'Oratorio.

Si sente particolarmente vicino ai valori espressi nel Giubileo degli sportivi?

Lo sport può essere senz'altro considerato un momento di vita cristiana. San

Paolo dice: "Non sapete che nelle corse allo stadio tutti gareggiano, ma uno solo conquista il premio?". E poi aggiunge: "Correte anche voi in modo da conquistarlo". Quindi l'attività agonistica, oltre ad essere un modo in cui esprimere il nostro essere cristiani, può essere anche considerata espressione di autentica spiritualità, una via verso la santità. È per questo che la Chiesa è presente in essa, proprio perché fa parte della sua vita. Lo sportivo che pratica in modo cristiano lo sport è consapevole di essere immerso in una realtà, per così dire, sacra. Una realtà che ha una disciplina, delle regole, e che può veramente condurre alla santità. E poi uno degli aspetti più evidenti per coloro che partecipano al Giubileo degli sportivi è la celebrazione di un rito che si esplica attraverso l'amicizia e il sentirsi uniti agli altri e al Papa.

È possibile conciliare questi aspetti con la competizione che è una delle caratteristiche di ogni gara?

Certo. A proposito voglio citare quanto era scritto nel bellissimo manifesto del Giubileo degli sportivi del 1984: "Lo sport è gioia di vivere, desiderio di esprimersi in libertà per realizzare compiutamente se stessi attraverso l'impegno personale, l'incontro e il confronto con gli altri, il rapporto con la natura e l'ambiente sociale. Esso è fattore di maturazione umana e di educazione morale e sociale".

Insomma è un importante contributo al vivere civile, proprio perché con lo sport tutti non si scontrano, ma si incontrano e si ritrovano, allo stesso tempo, a vivere anche la Fede. Nel mio ministero sacerdotale, e come sportivo, sento molto forte la responsabilità di ripristinare i veri valori dello sport che troppo spesso oggi sono dimenticati.

Il Giubileo è soprattutto riconciliazione Che cosa vuol dire per il movimento

sportivo questa parola?

Significa ripartire dal giusto modo di vivere l'attività agonistica, cercando di essere prima di tutto in armonia con se stessi e, soprattutto, percorrere la strada della conversione rispetto a quei modi errati di interpretare lo sport, che troppo spesso portano alla crisi dell'uomo. È importante riconoscersi come fratelli, perché in fondo non conta il numero di medaglie conquistate, ma conta, invece, la persona umana e il valore che si dà ad essa. Proprio per questo gli atleti, prima che come competitori, devono rispettarsi come persone. La rivalità e la conflittualità lasciano quindi il passo all'apprezzamento dell'altro. Io dico spesso ai miei ragazzi che anche quando si perde una partita di calcio ci si può invece considerare vincitori. La vera vittoria, in caso di sconfitta, è infatti il riuscire a riconoscere i propri limiti. Allora la riconciliazione vuol dire considerare in modo nuovo e fraterno l'avversario. Solo così lo sport può diventare esempio, anche nella vita di tutti i giorni, ed essere strumento di coesione sociale.

Padre Fidelis, si sono da poco concluse le Olimpiadi di Sydney, massimo palcoscenico dello sport mondiale C'è ancora qualcosa di positivo in queste grandi manifestazioni?

Qualcosa di buono in qualche modo c'è sempre, ovunque ci siano degli atleti che gareggiano. Ho viste poco queste Olimpiadi a causa della differenza di orario. Ho seguito soprattutto la squadra della Nigeria, medaglia d'oro uscente, che purtroppo è stata eliminata dal Cile. Penso che Sydney sia stato un punto di incontro tra gli sportivi di tutto il mondo. Ognuno ha avuto modo di stringere amicizie con gli altri facendo conoscere le particolarità e l'identità del proprio Paese. Anche questo è un modo di percorrere la difficile strada verso la pace e la fratellanza.

Sportivamente rispondono

Sport, perché?

Il 29 ottobre 2000 si celebra il Giubileo degli Sportivi. L'appuntamento chiude idealmente un lungo ciclo di 100 anni, in cui lo sport si è evoluto da utopia olimpica propugnata da un piccolo gruppo di idealisti, De Coubertin ed i suoi amici, per svilupparsi via via fino a diventare un fenomeno tra i più rilevanti dell'epoca moderna.

Sui modi in cui si è realizzato questo cammino, la maniera in cui le società hanno influito sullo sviluppo dello sport e lo sport ha influito sullo sviluppo delle società, esistono tantissimi studi. Ma oggi, giunti al termine del secolo e sollecitati dalla ricorrenza giubilare, vale la pena porre forse una domanda più semplice: "Sport, perché?".

Cosa ci attendiamo dallo sport nella società di domani? Come vorremmo che fosse? Quali significati pensiamo che potrebbe assumere? Quali speranze e quali paure ci confida?

Sono domande che si pongono alla radice stessa di questo strano fenomeno che coinvolge ormai centinaia di milioni di praticanti, che è capace di commuovere in una sola volta miliardi di spettatori, che è al centro delle attenzioni e delle raccomandazioni dei governi e delle istituzioni internazionali, ma che non manca di contraddizioni, che si sviluppa sempre più in tante forme diverse ed anche contrastanti, che denuncia talvolta forme preoccupanti di disagio e di inquinamento.

Troppe volte abbiamo l'impressione che lo sport vada per la sua strada senza troppo riflettere su certe questioni fondanti, e che nella storia della sua affermazione si siano perse tante chance per dare un contributo maggiore allo sviluppo della società. Quasi fosse un mondo a parte, mentre è tutt'altro. Cercare, allora, le risposte a domande come quelle di cui sopra è importante, anche se non è facile. Abbiamo pensato di coinvolgere Stadium nel tentativo, andando a porre i quesiti a personaggi di primo piano del mondo dello sport, ma anche del mondo della cultura e della politica. Un lavoro lungo, considerata la difficoltà di riuscire a parlare con persone che hanno alla loro porta fitte schiere di intervistatori.

Mario Pescante, membro CIO

Perché è benessere fisico. Perché aiuta i giovani a forgiare il carattere. Insegna a perdere, poiché nello sport le sconfitte fanno parte delle regole del gioco, ma quando si perde avendo fatto il proprio dovere, essendosi impegnati al limite delle proprie possibilità non c'è da recriminare: ha vinto il migliore.

Sport perché insegna a vincere e cioè a non esaltarsi oltre misura e a rispettare gli avversari sconfitti. Insegna a saper perdere e a vincere nello sport come nella vita.

Sport perché vuol dire cercare di migliorare se stessi, allenandosi, preparandosi, sacrificandosi: nello sport come nella vita.

Sport perché è tolleranza, è fratellanza, amicizia.

Sport perché è abbattimento delle barriere geografiche, politiche, razziali.

Sport perché è disciplina, controllo degli istinti, rispetto delle regole, rispetto dei giochi: nello sport come vorremmo fosse nella vita di tutti i giorni.

Sport perché è eguaglianza, democrazia, rispetto dei valori.

Sport perché le sue idealità sono alla base di una serena e pacifica convivenza.

Sport perché è antidoto di tanti malesseri che attanagliano la nostra gioventù.

Sport perché è motivazione, voglia di cimentarsi, di migliorarsi.

Sport perché è vita.

Raffaele Pagnozzi, segretario generale CONI

Lo sport è un modo di vivere, in assoluto. Essere uno sportivo, fare dello sport è un modo tutto diverso di vivere la vita. Non solo per il fatto di avere l'opportunità di occupare il tempo libero o di fare anche un'attività che arricchisce professionalmente. Io credo che chi pratica sport nel vero senso della parola lo faccia perché come uomo, come donna come persona ha un diverso modo di atteggiarsi nei confronti della vita.

Un modo di vivere una vita, come scuola, come palestra fisica, come palestra morale. Tra chi fa sport e chi non lo pratica, al di là di chi non può farlo perché gli è impedito da mille fattori, penso che ci sia una fondamentale differenza. Chi sceglie di far sport è diverso da chi sceglie di non fare sport. Hanno un modo d'atteggiarsi nei confronti della vita, anche spiritualmente, nettamente differente.

Lo sport deve poi essere possibile a tutti nei modi e nelle forme che sono confacenti all'età, al fisico, allo stato di salute di ogni persona. Non si deve enfatizzare il discorso dello sport per quello, per questo o per quell'altro: è questo il modo di settorializzare una parola, sport, che di per sé appartiene a tutti.

Roberto Cipriani, professore Ordinario di Sociologia - Università Roma Tre Se sono diventato sociologo devo molto allo sport, che in modo attivo ho praticato per metà dei miei anni di vita, in sette diverse discipline ed in pratica in tutti i ruoli possibili (da atleta ad arbitro, da allenatore a dirigente). Dalla pratica dello sport ho imparato soprattutto ad avere il senso dell'organizzazione, l'abitudine a formulare previsioni, a calcolare i tempi, a risolvere conflitti di ogni genere, in particolare a conoscere le persone. Ho incontrato personaggi meravigliosi, mitici in qualche caso per la loro passione, dedizione, consuetudine al sacrificio, generosità senza limiti anche nelle situazioni più drammatiche. Fare sport per me è procurarsi e procurare gioia, è esercizio di vita di gruppo, è sperimentazione concreta

dei disagi e degli imprevisti. Tutto ciò abitua a non rassegnarsi, a continuare a lottare, a non rinunciare mai. Non è detto che i perdenti nello sport rimangano tali nella vita. Anzi le sofferenze sopportate sono un allenamento adeguato per le contrarietà della vita extrasportiva. A chi chiede "Perché lo sport" forse non darei nessuna risposta motivata, direi semplicemente: "Prova a praticarlo e capirai il perché dello sport". Il mio rammarico maggiore è di non avere ora molto tempo a disposizione per continuare a fare quello che per me è stato quasi una ragione di vita.

Luca Serianni, titolare della cattedra di Storia della lingua italiana l'Università "La Sapienza" Sport è parola di origine inglese che si diffonde in italiano nel corso dell'800 per indicare attività agonistiche o di svago tipiche della Gran Bretagna, come le corse dei cavalli o la caccia in gruppo. A sua volta l'inglese aveva tratto sport dal francese antico desport, una forma che, nella variante déport, era già passata nell'italiano medievale come diporto. Ancora oggi la navigazione da diporto non è altro che quella praticata come sport, non come attività lavorativa o militare. E diportare, tradotto letteralmente con "andare girando" sottolinea l'aspetto dello sport come intrattenimento, svago e passatempo. L'aggettivo sportivo e l'avverbio sportivamente si usano anche al di fuori dell'agonismo con una connotazione fortemente positiva che fa riferimento alla lealtà e alla correttezza considerate tipiche degli atleti in gara. Accettare sportivamente una sconfitta dovrebbe valere non solo nel calcio o nel nuoto ma anche in una competizione elettorale o in una gara d'appalto. Peccato che in situazioni del genere non ci sia molto spazio per gli sportivi.

Darwin Pastorin, direttore Stream TV Lo sport è metafora della vita, saggezza e libertà. Lo sport va coltivato con passione, con amore, nel mito di una sfida eterna dell'uomo con l'uomo. Il mio pensiero

è rivolto, soprattutto, ai genitori: care mamme e cari papà, insegnate ai vostri figli la pulizia e la morale della pratica sportiva, non costringeteli a correre, calciare, saltare per aumentare il loro (e vostro) conto in banca, non create dei «mostri» senza ideali e senza cuore. Lasciamo ai nostri figli la libertà della scelta: non esiste soltanto il totem-calcio. Noi giornalisti abbiamo, infine, il dovere di combattere il doping e tutte le pratiche illecite: dobbiamo denunciare, educare, indicare la retta via, dare - in ogni nostro momento - il buon esempio. Dobbiamo riportare lo sport alla sua natura di bellezza e salute: per salvare i nostri figli, e noi stessi. Per costruire una nuova, avvolgente e coinvolgente Casa dello Sport. Una Casa dello Sport dove a dominare è la correttezza, la tolleranza, la lealtà e l'onestà. I giovani di oggi sono i garanti di questo sogno.

Claudio Arrigoni, direttore Tele+ sport

Dare un significato oggi alla parola "sport" non è possibile. Troppe le implicazioni che contiene. C'è uno sport che è fatto di passione e uno che è fatto di interesse. È inutile nasconderlo. E sono due sport molto diversi fra loro. Antitetici, a volte. Non è negativo uno e positivo l'altro. Entrambi sono portatori di valori. Entrambi contengono storie di uomini e donne che sanno guardare "oltre" lo sport. Entrambi sono splendidi da vivere e da raccontare. A patto, però, che si sappia. Si sappia che un incontro di calcio di serie A non è uguale a una partita dell'oratorio; che una gara dei cento metri all'Olimpiade non è la medesima della corsa a scuola nell'ora di ginnastica; che l'arbitro professionista o semi tale che vediamo nei palazzi dello sport non deve ricevere sputi come quel papà o quel ragazzo che si mette un fischietto in bocca in un campetto di periferia solo perché se non c'è un arbitro non si gioca; che… Mille casi si potrebbero fare. Quei due sport vanno a braccetto solo se siamo capaci di distinguerli e di imparare che l'uno non è l'esempio dell'altro. Mai.

Documento programmatico del CONI

Sport per tutti un passo avanti

Sport per tutti, si torna a parlarne. Mentre tutto tace in merito alla più volte rinviata Conferenza nazionale dello sport, il CONI ha fatto un piccolo passo avanti sulla via della costituzione del nuovo Comitato Nazionale Sport per Tutti.

Negli ultimi mesi c'erano state diverse riunioni delle componenti sportive per capire come si poteva procedere nella creazione del Comitato. E subito erano emerse tensioni e divisioni. A far discutere, soprattutto, la posizione del Comitato quale organo del CONI, cosa prevista dal nuovo statuto dell'Ente. Una posizione che per talune associazioni di sport per tutti suonava come subordinazione al Foro Italico, e dunque si chiedeva la separazione netta tra sport per tutti e sport agonistico.

Il CSI ha intrapreso una strada di mediazione: prendere una direzione diversa da quella già prevista dallo Statuto CONI, e voluta dal Governo, avrebbe significato un salto nel buio, tanto più alla vigilia di incerte elezioni politiche; mettersi supinamente sotto l'egida del CONI, senza sapere prima cosa questi intendesse fare dello sport per tutti, sarebbe stata un'imprudenza. Di qui una richiesta: sviluppare un documento programmatico sull'attività del Comitato, oltre ad una bozza di regolamento.

Il CONI, elaborando documenti e proposte delle parti, l'8 settembre ha prodotto un'ipotesi di documento su "Lo sport per tutti". Una "carta" - bisogna riconosceremoderna e equilibrata, che tra l'altro accoglie molto di quanto suggerito dal CSI in proposito.

Quali le novità? Vediamo di darne conto in pochissime parole. Nei vari documenti nazionali sin qui prodotti, e nelle stesso disegno di legge sulle società dilettantistiche e gli enti di promozione - lo sport per tutti è un'attività vaga, che sconta, a livello di principio, l'ambiguità della dicitura suggerita dal CIO: lo sport per tutti "raccoglie tutti i tipi di sport, ad eccezione dello sport di alto livello" e il compito di promuoverlo è di tutti i soggetti. Una dicitura, questa, tanto generica da fare smarrire la specificità delle funzioni di federazioni, enti di promozione ed enti territoriali. Una "carta" che nasce nella confusione dei termini non è mai una buona "carta".

Ora, invece, lo sport per tutti incontra questa definizione: "comprende tutte le forme di pratica sportiva che si prefiggono quale scopo principale la cura della salute, l'educazione, la ricreazione, il rapporto con l'ambiente, la solidarietà, la socializzazione ed anche, nei giovani, la preparazione all'agonismo. Esso trova la sua connotazione principale nell'assenza di intenti spettacolari e di superamento di limiti assoluti".

Passa, dunque l'idea, che il CSI ha sostenuto fortemente nell'ultimo Congresso nazionale, a Fiuggi, di uno sport per tutti che si incrocia sempre più con le politiche sociali: collaborando con la scuola; lavorando anche per le minoranze e le aree del disagio; entrando nei piani sanitari e in quelli per i minori; perseguendo obiettivi come l'inclusione e la coesione sociale.

Il Comitato sport per tutti non persegue solo obiettivi numerici (l'aumento dei

praticanti) ma fa dello sport il mezzo per diffondere cultura, educazione, etica, insomma valori. Ed entrando in sfere di interesse proprie del nuovo Welfare State. Sembra quasi che a parlare sia il CSI, e non il CONI.

Il documento spazza via un'altra ambiguità delle precedenti diciture: federazioni, enti e regioni lavorano insieme nel Comitato Sport per Tutti, ma senza che ciò intacchi le rispettive autonomie. Il Comitato decide politiche generali, fornisce indirizzi applicativi, fa ricerca e formazione ma assolutamente non decide per tutti e sulla testa di tutti.

Una questione, questa, di non poco conto, se si considera che le Regioni e gli Enti locali tendono a chiamarsi fuori dal Comitato proprio nel timore di non potere liberamente scegliere un domani la propria linea di politica sportiva.

La "carta" dell'8 settembre fa del Comitato la "casa" dello sport per tutti, dove i vari soggetti si ritrovano per trovare sinergie su programmi e iniziative, per studiare problemi e trovare soluzioni da suggerire.

Sul documento, questo almeno è l'intenzione, si continuerà a lavorare per affinarlo. Cosa ne scaturirà alla fine, è difficile prevedere: troppo grandi sono le incertezze date da una legislatura che volge al termine e da un CONI alle prese con problemi di sopravvivenza economica. Ma quand'anche ci dovesse essere uno stop, domani, al momento di mettere finalmente mano alla riforma sportiva, lo sport per tutti non ripartirebbe da zero, potendo contare su una piattaforma di partenza condivisa da tutti.

L’annuale incontro dei consulenti ecclesiastici regionali CSI si è tenuto quest'anno presso la Domus Mariae di Roma il 14 e 15 dello scorso settembre. La partecipazione è stata più numerosa del solito (mancavano solo quattro regioni), e soprattutto vivace e propositiva. E tutti hanno espresso vivo apprezzamento per la partecipazione del presidente nazionale Costantini a gran parte dell'incontro.

Aprendo i lavori, egli ha posto in rilievo due particolari aspetti della vita associativa. Il primo riguarda l'identità del CSI come libera associazione, laicale ed ecclesiale insieme, impegnata nella promozione della persona, attraverso l'attività sportiva, un'attività efficace, soprattutto se compiuta non in modo episodico, ma continuativo. Tale "promozione" o "educazione integrale" non è tuttavia generica nel CSI, perché deve essere illuminata dalla ispirazione cristiana, cioè dai valori evangelici che costituiscono l'orizzonte entro cui va situata ogni proposta associativa. A tal proposito è stato opportunamente ricordato il Concilio, per il quale "solo alla luce del verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo". La proposta educativa in senso cristiano va rivolta a tutti, nel pieno rispetto sia del metodo educativo sia della libertà delle coscienze dei singoli associati.

L'altro aspetto toccato nell'introduzione del

Incontro consulenti ecclesiastici

Preti in campo

Presidente riguarda l'azione del sacerdote all'interno di questa cornice associativa. "Voi - ha detto - siete chiamati ad essere ministri di comunione in quella parte di Chiesa che è il CSI e corresponsabili dell'azione educativa insieme a tutti gli altri dirigenti dell'ambito sia politico-associativo sia tecnico-sportivo. L'associazione, inoltre, si attende dai propri consulenti la fatica della mediazione per attenuare tensioni e prevenire conflittualità, e un costante sostegno perché possa sempre più radicarsi nelle parrocchie e negli oratori, tradizionali luoghi del suo vigoroso sviluppo".

È stata poi illustrata la mozione approvata dall'assemblea generale di Fiuggi circa i rapporti tra il CSI e le Chiese locali, "una mozione che impegna l'intera Associazione a rivitalizzare i legami Associativi con le Chiese locali, specie con le parrocchie, che appaiono specie in alcune regioni assai labili". L'argomento non poteva non appassionare i consulenti, e perciò tutti, e a più riprese, hanno presentato esperienze e proposte. Ne ricordiamo sinteticamente alcune, pur con il rischio di inevitabili omissioni.

• "Il CSI dovrebbe individuare strumenti e tempi per preparare i propri consulenti ecclesiastici; nei vari corsi dell'associazione l'aspetto più specificamente spirituale della formazione va posto entro il progetto globale, e i momenti liturgici non debbono apparire

come giustapposti alle altre attività" (L. Romizi, Umbria);

• "anche i consulenti necessitano di formazione specifica in ambito sportivo" (G. D'Ambrosio, Benevento);

• "le società sportive marginali alla vita ecclesiale costituiscono preziose opportunità pastorali per l'incontro con i cosiddetti lontani" (P. Sambo, FriuliVenezia Giulia);

• "necessitano più frequenti incontri per rimotivare e qualificare l'azione pastorale dei consulenti" (V. Torresani, Trentino-Alto Adige);

• "manca, in genere, lo stimolo da parte delle commissioni per la pastorale del tempo libero, del turismo e dello sport; in alcune, anzi, esse sono del tutto assenti" (R. Melani, Toscana);

• "nella modulistica delle società sportive non è prevista la presenza del consulente; è opportuno che, durante le manifestazioni nazionali, in ogni struttura ricettiva vi sia la presenza missionaria di un sacerdote; la presenza dei consulenti nel CSI non dev'essere un problema del consulente nazionale, ma di tutta l'Associazione" (E. Mondini, Lombardia);

• "è opportuna una maggiore collaborazione in ambito formativo tra CSI e AC" (R. Zorzolo, Macerata);

• "la spiritualità è una componente essenziale della formazione dei dirigenti CSI" (GB. Caviglia, Liguria);

• "precisare bene i diversi ruoli dei sacerdoti e dei laici" (A. Fidelis, L'Aquila). Altri interventi circa

l'istituzione della "commissione CSI e Parrocchia", approvata dall'assemblea di Fiuggi:

• "inizialmente, è sufficiente una commissione nazionale, e solo in un secondo tempo costituire commissioni regionali; da escludere senz'altro quelle a livello provinciale" (L. Meacci, Toscana);

• "la commissione nazionale dovrebbe in via sperimentale proporre progetti concreti di sviluppo del raccordo CSIparrocchia a tre diocesi pilota; poi, verificare e procedere secondo le indicazioni ricevute; e, soprattutto, non produca altri documenti" (C. Pontiroli, Emilia-Romagna);

• "è necessario far meglio conoscere alle parrocchie ciò che il CSI fa e propone" (A. Festa, Puglia);

• "inserire il CSI nelle attività parrocchiali già esistenti" (G. Pippia, Sardegna).

Al termine dei lavori è stato deciso di programmare due incontri annuali per i consulenti regionali: uno in primavera, dopo la domenica in albis; l'altro nella seconda decade di settembre. Inoltre sarà opportuno programmare, ogni due anni, un incontro per tutti gli altri sacerdoti che operano nei comitati territoriali. È stato infine espresso parere favorevole alla richiesta del Consulente nazionale di poter avere due consulenti regionali, uno per il Nord e l'altro per il CentroSud, come diretti collaboratori nelle molteplici attività associative.

Intervista a Alessandro Bergonzoni

La via del tutto eccezionale

Il 7 ottobre è stata una giornata davvero ricca per Bologna. Tante le iniziative che si sono concentrate in Piazza Grande. Stadium sport in tour parallelamente alla Giornata dei Risvegli, hanno portato in piazza migliaia di persone che hanno partecipato alle diverse attività. Molti spettatori, ma anche molti attori in scena. Presente Abatantuono in rappresentanza della formazione attori-cantanti, che aveva tra le sue fila anche Mengoli, Mingardi, Marco Morandi, Malandrino e Veronica e i Datura, c'era pure Alessandro Bergonzoni, scrittore, attore, testimonial per l'occasione della campagna in aiuto delle famiglie che vivono nel dramma del coma. Lo abbiamo avvicinato per parlare di sport. Divertita e divertente, come nel suo stile, la sua risposta.

«Sicuramente sport è una proiezione di sportina o di sportello - esordisce così il visionario ed iperbolico bolognese. - Sia nel caso di sportina tiene un sacco di discipline, sia nel caso di sportello ti apre orizzonti nuovi. Io sono abbastanza lontano dallo sport come tifoso, perché odio il tifo e soprattutto odio il calcio. Il tifo passivo e lo sport passivo mi "glassa", se si può osare questo termine dolciario. Mi piace invece lo sport fatto, non al ritmo ed all'esasperazione che tutti dicono della nobilitazione dell'uomo, della meraviglia e della giustizia, della pulizia. Lo trovo molto divertente da un punto di vista del gioco, di fantastico e di immaginario da muovere, da portare nel corpo, da applicare a tutto quello che non è soltanto mentale. Quindi quel poco che io ho fatto, che è legato all'automobilismo (corre in Ferrari Challenge ndr) ed il tennis che io faccio una volta alla settimana, o il pattinaggio su ghiaccio che è uno degli sport che ho amato di più da bambino lo faccio solo per puro divertimento, senza terzi, quarti, quinti o secondi fini. Reputo che quando lo sport diventa malattia, fino ad arrivare ad essere uno sfogo per una vita o per una gara diventa quasi negativo. Una malattia che porta all'atrofizzazione, non certo ad una liberazione. Ho notato, ad esempio, che anche le Olimpiadi, nei

suoi stati e nei suoi stadi, sono divenute anch'esse malate. L'Olimpiade porta a un notevole sciovinismo, ad un patriottismo di bassa lega; mi piacerebbe che anche lì lo sport venga amato in quanto benessere fisico e non in quanto superiorità di una nazione su un'altra, o di un medagliere su un altro, di un atleta di una certa nazionalità superiore. Addirittura siamo arrivati a parlare di atleti neri, atleti bianchi, atleti africani. Questo non mi allieta, non mi diverte e lo reputo socioculturalmente negativo. Non sono di quella squadra di pensiero che pensa che lo sport unisce in questo senso. Secondo me diventa strumentale e forse un avvenimento esageratamente parlato».

E lo sport nel futuro?

Oltre al lancio con l'arcobaleno, la corsa nei sacchi di cemento, allo slalom tra i dolori, al lancio del martello e anche dell'incudine, al concetto della partita di football da soli, anche senza palla, o alla pallavolo volando veramente, non c'è altro da aspettarsi.

Allora sport uguale gioco, magari anche di parole?

Certo, io in automobilismo non corro certo per vincere, a parte le mie capacità ridotte. Corro perché colori, sapori, odori e rumori fanno un sensazionalismo ed un piacere quasi tattile, più che tattico. Molti si mettono a ridere perché mi dicono

"guarda che chiunque faccia sport privato o pubblico lo fa sempre per vincere". Ed io vorrei sfatare questo concetto, ma non per arrivare a dire che "l'importante non è vincere, ma ritirare il premio", ma l'importante, la dominante è la passionalità che ci metti dentro. Io non lo sento l'agonismo e non ne voglio fare una colpa eccessiva agli altri, però certamente io per lo sport non passo per la porta. Ecco! Ho davanti gli occhi questa manifestazione Stadium. Allora per il CSI ne direi una grossa: sicuramente voi non fate solo sport, ma c'è un concetto diverso dietro; anziché pallamano direi che fate pallaumano, invece di rapporti di agonismo li chiamerei rapporti di umanismo. A questo punto voi fate qualcosa in più. Quindi non siamo legati più all'atletico, al fisico, al dinamico, ma entriamo più nel filosofico, cioè alla motivazione per quello che fate… e allora la musica cambia. Non voglio svilire dicendo che è meno sport, ma anzi ribadire che non è solo sport.

Infine lo provochiamo chiedendogli: Se lo sport incontra la piazza e poi la piazza si scontra con lo sport: che succede? Succede chiaramente che per fortuna riusciamo a fare una strada, una via che definirei "la via del tutto eccezionale" per poter portare alla gente anche non solo sport ma vedere e giocare insieme quello che di solito è visto e giocato o per terzi o con una esasperazione malata.

di Nicoletta Fogolla

XVI edizione del Palio organizzato dal CSI

C’è Parma in palio

Tra il rullar dei tamburi e il fragore delle spade è andato in scena con successo uno spaccato d'epoca medievale. La XVI edizione del Palio di Parma, tenutasi nel centro storico cittadino sabato 23 e domenica 24 settembre, ha registrato come sempre il "tutto esaurito". Gli appuntamenti in programma in piazza Duomo nel pomeriggio di sabato hanno avuto una buona affluenza di pubblico. Il pienone nel clou della rievocazione storica, la domenica. Quest'anno il Palio, organizzato dal CSI e dal Comune di Parma con la sponsorizzazione di Banca Monte Parma, ha presentato alcune novità fra cui il concorso di pittura dei drappi e quello per la miglior vetrina a tema, realizzato in collaborazione con l'Ascom (Associazione commercianti). In via Mazzini, "cuore" commerciale parmense e "tempio" dello shopping emiliano, c'è stata la disputa delle corse per l'assegnazione del Palio dello

Scarlatto (o degli uomini) e del Panno verde (o delle donne). Intorno ovunque strade invase dalle bancarelle del mercatino medievale. Sabato pomeriggio il compito di aprire la manifestazione è toccato al Gruppo sbandieratori di Montagnana. Nel frattempo i figuranti, avvolti in suggestivi costumi d'impronta medievale, si aggiravano fra il pubblico incuriosito ed estasiato da tanto sfarzo. E nell'aria sono risuonate le dolci note di strumenti antichi quali la cornamusa, la ghironda e la bombarda dell'Era Tempus, che hanno accompagnato le danze storiche. Leggiadria di passi e grazia di movimenti hanno caratterizzato l'esibizione del gruppo di danze medievali e rinascimentali Omnia Praeclara Rara del CSI di Parma.

Dal soave al fragoroso: la piazza ha poi ospitato i combattimenti a colpi di spada, sferrati da soldati con indosso pesanti armature. Mentre

davanti al Battistero, il Gruppo Margheritino di Calerno ha proposto un quadro "vivente" d'epoca, rappresentante gli antichi mestieri. Figure quali la tessitrice, la filatrice, il conciatore di pelli, il venditore di spezie, attorniati da mendicanti e viandanti. Una dama in costume ha invece offerto ai passanti, marmellate, torte, focacce, preparate con ricette d'origine medievale. Il falconiere Marco Cavozza ha liberato i suoi falchi mentre giullari e giocolieri hanno intrattenuto i presenti con battute e lanci di birilli.

Il momento solenne di sabato 23 è arrivato con la benedizione dei drappi in Duomo, preceduta dall'esibizione dei Cantori del mattino di Noceto. La rievocazione storica è proseguita nella suggestiva cornice di Palazzo Sanvitale, per l'ormai consolidata Cena dei capitani. L'affollato convivio, caratterizzato da un menu d'ispirazione medievale, ha visto i Capitani delle 5 Porte di Parma (Santa Croce, San Barnaba, San Michele, Porta Nuova, San Francesco), i cui atleti hanno disputato in seguito le gare per il Palio) lanciare scommesse e promesse verbali, dileggiando gli avversari. Uno dopo l'altro sono stati riproposti tutti gli intrattenimenti del pomeriggio.

I riflettori sul Palio di Parma, spenti a tarda ora, si sono riaccesi domenica, quando per le vie del centro hanno sfilato figuranti, templari, alfieri, giullari, menestrelli, sbandieratori ed il re e la regina dei nasoni di Soragna. Pian piano si è giunti al momento clou

della giornata, rappresentato dalle corse per la disputa del Palio ed il Palio asinorum, che ha rischiato di essere soppresso a causa delle proteste ambientaliste. Ad applaudire gli atleti, tra il bagno di folla, c'erano anche il sindaco di Parma Elvio Ubaldi e il direttore delle carceri Silvio Di Gregorio, nelle vesti di starter. Per la cronaca triplo successo per Porta San Michele. La tradizione del Palio si perde nella notte dei tempi. Basti pensare che le prime notizie in merito sono riferite dal Chronicon Parmense relativamente all'anno 1314. Inizialmente la manifestazione si teneva il 15 agosto, in occasione della festività dell'Assunta, che Parma aveva eletta a patrona. Dopo diversi anni in cui la rievocazione ha vissuto un lungo periodo di oblio, nel 1978 il Centro Sportivo Italiano di Parma l'ha riproposta, attenendosi ad appositi studi in materia. Attualmente il Palio è dedicato alla Madonna della Pace e si corre annualmente.

C’è una parola che spesso ha rimbalzato negli ultimi mesi di cronache sportive: sudditanza. Il riferimento era quasi solo a un settore: quello arbitrale. Invece noi andiamo controcorrente, stanchi di polemiche inutili e sterili su chi un direttore di gara intendeva facilitare e chi no. Allora andiamo a parlare di sudditanza, ma per parlare di atleti. Il risultato di un evento sportivo, in alcuni casi, può modificarsi proprio perché vi è, nei confronti dell'antagonista, il rischio che si possa pensare di essere inferiori. Come sempre, prendiamo una parola e rendiamola viva attraverso dei fatti.

C'era una tennista che era considerata fra le migliori di tutti i tempi. Aveva vinto con tutte. Ma non riusciva a battere un'atleta che non poteva certo dire di essere alla sua altezza. Monica Seles, però, con Martina Hingins ha quasi sempre dovuto inchinare la testa: sette sconfitte in otto incontri, solo una volta, in un torneo minore, a Montreal, Monica non uscì dal campo delusa. Erano i suoi anni d'oro, ma con la Hingins non c'era nulla da fare.

Sempre il tennis ci porta un altro esempio. C'è stato un tennista svedese che ha messo la sua firma su un periodo. Bjorn Borg è stato il migliore di tutti negli anni '70, imbattibile, capace di vincere i più importanti tornei come un robot, di inginocchiarsi cinque volte sull'erba di Wimbledon, di essere considerato un robot che non poteva essere scalfito dalle emozioni. Doveva esserlo soprattutto per Vitas Gerulaitis, che contro di lui, pur arrivando a giocarsi tornei straordinari, non ha mai avuto nemmeno la più minima possibilità: dodici incontri e undici sconfitte per Gerulaitis, che praticamente ogni volta che scendeva in campo contro Bjorn partiva sconfitto. Ebbe una serie di nove sconfitte di fila. Pensate quel giorno, al terzo turno di Wimbledon, cosa pensò Gerulaitis quando si trovò di nuovo di fronte lo svedese che nei precedenti otto incontri non gli aveva lasciato che pochi giochi. Vitas partiva sconfitto e lo sapeva. Anche per questo gli era ancora più difficile vincere. Non c'è solo la sudditanza nei confronti degli avversari. Stiamo nel tennis. Ci sono due sorelle che stanno facendo la fortuna di quello femminile. Si chiamano Venus e Serena, di cognome fanno Williams e girano insieme per il mondo gio-

cando a tennis. A Serena, la più giovane, è capitato di dover vendicare la sorella, sconfitta in turni precedenti, battendo chi l'aveva battuta. Eppure nei confronti diretti non ci sono possibilità per Serena: sempre sconfitta da Venus, la maggiore, anche se il talento e la forza fisica sembrano stare dalla parte della sorella più piccola. Inconsciamente, Serena con Venus si lascia forse andare, o forse Venus conosce bene i punti deboli della sorella. Ma, a quei livelli, propendiamo molto più per la prima ipotesi. La sudditanza non esiste solo negli sport individuali. Magari può sembrare strano, ma si può riscontrare anche negli sport di squadra. La pallavolo è stata per l'Italia una miniera di soddisfazioni in questi ultimi anni. Tranne l'oro olimpico, sfiorato ma mai raggiunto, la nostra Nazionale ha vinto tutto. Dall'88 al '96 non ci sono state squadre che ci hanno messo i bastoni fra le ruote. Anche l'Olanda, grande formazione di quel periodo, si doveva inchinare. Sempre, tranne che proprio alle Olimpiadi. Se incontravamo gli arancioni quando la manifestazione era contrassegnata dai cinque cerchi, non c'era speranza di uscire vincitori. Cosa che ci è costata l'unico trofeo che manca e che sembra davvero irraggiungibile.

Nel calcio gli esempi potrebbero essere moltissimi. Uno dei più divertenti riguarda il portiere di Vicenza, Sampdoria e Bologna Piero Battara. Quando era alla

Samp, era la bestia nera del Napoli. Addirittura, a Napoli, con la maglia blucerchiata, non ha mai perso. In una stagione, arrivò a parare al San Paolo trentadue tiri, uno ogni tre minuti. Fra gli stessi giocatori del Napoli era diventato quasi leggenda. Se c'era lui non si segnava. I tifosi partenopei, quando arrivava allo stadio napoletano, usavano tutti gli scongiuri di cui sono capaci. Arrivarono a urlare al presidente Ferlaino: "O lo compri o lo uccidiamo".

Nello sport di squadra la sudditanza può anche venire da un campo. Se si gioca lì non si vince: quante volte, anche nei tornei fra oratori, abbiamo sentito questa frase. La dicono anche in serie A. Se il Bari gioca a Parma, un giocatore che ne conosce in qualche modo la storia non pensa che si possa vincere: non è mai successo. Stessa cosa, sempre per i baresi, a Torino con la Juve o all'Olimpico con la Roma. Così come per l'Inter: mai una vittoria al Tardini, solo sconfitte o pareggi. In quanti casi, in così tanti anni di storia e partite, ci sono stati momenti che i valori in campo non erano molto diversi, eppure sul risultato influivano probabilmente altri fattori. Insomma, è troppo facile quando si parla di sudditanza limitarla all'arbitro. Sarebbe giusto che anche gli atleti facessero un esame di coscienza. E dessero meno colpe di una sconfitta all'esterno senza sapere "guardarsi dentro" e trovare, magari, la causa in se stessi.

di Claudio Arrigoni

Promotori associativi

Il mondo dello sport ha bisogno di nuove professionalità. Credo che siano in molti a condividere una simile affermazione: gestori di impianti, progettisti, responsabili dei diritti di immagine, responsabili marketing… stanno iniziando a popolare i consigli direttivi delle società sportive, degli organismi periferici e centrali delle associazioni sportive. Si tratta di figure professionali per le quali occorrono specifici percorsi di formazione.

Una seconda premessa che va tenuta presente riguarda il persistere di zone, soprattutto al centro-sud della penisola, in cui la promozione sportiva stenta a decollare. Esistono dei territori in cui è possibile ampliare e qualificare la proposta e i servizi sportivi attraverso una strategia ben delineata e l'intervento di operatori specializzati.

In queste zone si rileva una crisi che si evidenzia nei numeri (pochi tesserati e società sportive), ma che si traduce soprattutto nella difficoltà di proporre attività sportiva continuativa per i ragazzi. La conseguenza è che troppo spesso l'attività si esaurisce in iniziative, anche belle e di impatto, ma episodiche, estemporanee e incapaci di dar vita ad un percorso educativo.

Una nuova professionalità

Senza alcun dubbio, occorre individuare una strategia di rilancio che, grazie al contributo di figure professionali preparate e motivate, riesca a rivitalizzare la presenza dell'Associazione in alcune regioni e province.

In questa prospettiva, è stata individuata la necessità di una nuova professionalità al servizio dello sport: il promotore associativo. E la SNAD, la Scuola Nazionale Dirigenti del Centro Sportivo Italiano, dedica proprio a questa nuova figura il suo primo intervento di formazione permanente.

Il promotore associativo è definito come un operatore, opportunamente formato, il quale ha il compito di promuovere e di

sviluppare la proposta sportivo-educativa del Centro Sportivo Italiano nelle zone in cui la presenza dell'Associazione risulta di scarso rilievo.

Il primo corso di formazione per aspiranti promotori associativi inizierà il 23

novembre 2000. Il corso si prefigge l'obiettivo di formare figure altamente qualificate in grado di:

• rilanci are ci rc uiti d i attivi tà sportiv a e d i f o r m a z i o n e Prima di tutto, le cose

Disegno: Nevio De Zolt

necessarie. I promotori associativi dovranno cioè favorire lo sviluppo del circuito della Joy Cup, quale attività ufficiale del Centro Sportivo Italiano, sostenendolo con la contemporanea proposta di corsi di formazione di primo livello per dirigenti sportivi e arbitri;

• p r o m u o v e r e l a n a s c i t a d i n u o v e s o c i e t à s p o r t i v e La società sportiva deve restare il vero nucleo centrale del Centro Sportivo Italiano; promuovere società sportive significa promuovere l'ispirazione, il patrimonio e la storia del CSI;

vo;

• c o s t r u i r e r a p p o r t i d i c o n f r o n t o e d i dialog o con gli enti locali, la chiesa locale, gli enti di promozione sportiva, le associazioni di comune ispirazione…. Una delle carenze maggiori delle strutture periferiche è quella di non dedicare abbastanza, in termini di risorse umane e di tempo, alle relazioni con le istituzioni, le associazioni, ecc., che vanno a rappresentare le altre agenzie presenti sul territorio. Il promotore associativo deve anche poter essere un punto di riferimento costante che sia in grado di collegare il CSI con le altre realtà associative esistenti. Occorre prendere coscienza che per essere efficaci davvero su un territorio bisogna progettare le sinergie e che da soli si rischia di rimanere fuori dal circuito e dalle dinamiche della società civile;

• potenzia re e rio rganizzare la vita d elle strutture te rritoriali in cui opera Il promotore associativo può giocare un ruolo importante anche sul versante organizzativo. Poter contare su un punto di riferimento costante dovrebbe favorire un salto di qualità da parte dei comitati territoriali e regionali nella qualità dei servizi offerti alle società sportive, agli atleti, agli allenatori, ecc. La buona organizzazione è infatti un dato irrinunciabile se si vuole promuovere uno sport educati-

v is ib i li tà a l l'A ss oc i az io n e. Il promotore associativo deve anche sostenere e favorire eventi sportivi che diano maggiore visibilità al Centro Sportivo Italiano. Si tratta della necessità di comunicare cosa e come si fa. Molte volte, infatti, grandi iniziative non ottengono la meritata eco e ciò equivale a disperdere il patrimonio e lo sforzo di tanti operatori.

Requisiti necessari al promotore associativo Innanzitutto, un aspirante promotore associativo deve essere innamorato dello sport. La passione per lo sport deve animare il suo lavoro, deve caratterizzare ogni sua scelta.

In secondo luogo, il promotore associativo è convinto di poter incidere sulla realtà sociale e sportiva in cui andrà ad agire. La promozione dello sport per tutti non è mai neutrale, indifferente rispetto alla realtà in cui viene proposta, ma ne trasforma le dinamiche proporzionalmente all'impatto che riesce ad avere sui destinatari e i protagonisti dell'attività sportiva.

Il promotore associativo pensa e agisce nella certezza che uno sport educativo, seriamente organizzato, ben promosso può umanizzare le persone, aiutarle a vivere in una dimensione di amicizia e di condivisione. Proprio per questo, l'o-

peratore associativo deve essere profondamente motivato sotto il profilo dei valori umani e cristiani, incarnati nell'azione di ogni giorno. La sua professionalità, infatti, viene formata per divenire subito disponibilità verso gli altri, specialmente verso coloro che agiscono nelle zone più marginali, periferiche, laddove lo sport fatica ad essere apprezzato, praticato; gustato e digerito. La sua azione capillare sul territorio si traduce in gesti chiari e semplici, ma profondamente significativi, in quanto compiuti proprio in quelle aree geografiche che hanno sete di sport. E allora, non resta che preparare i bicchieri!

PERCORSI FORMATIVI

2000-2001

L'emergere di nuovi bisogni e di una maggiore qualificazione dei servizi sportivi, richiede al CSI di formare operatori sempre più competenti e specializzati. Nel corso dell'anno sportivo 2000/2001, il Coordinamento nazionale della formazione porterà a definizione i percorsi formativi per: •operatori sportivi per disabili; •operatori sportivi per la terza età; •animatori sportivi in parrocchia; •operatori di strada; •istruttori, giudici di danza sportiva; •progettisti; •operatori della comunicazione. Si tratta di percorsi già avviati in via sperimentale o che rispondono all'emergere di nuove discipline e/o attività sportive. Nei prossimi mesi, verranno predisposti i programmi dei singoli percorsi per ciascun livello, in maniera tale da completare il sistema formativo CSI. Infine, nel mese di luglio 2001 si terranno tutti i corsi relativi. Ulteriori informazioni saranno disponibili sul sito www.csi-net.it.

Le qualità fisiche del saltatore

Il salto è uno dei gesti sportivi più complessi a causa delle capacità neuro sensoriali coinvolte nella sua realizzazione e delle peculiari caratteristiche sia muscolari che neurologiche che debbono essere presenti fin dalla nascita nel "saltatore".

Ricordiamo che la muscolatura dell'uomo è composta da due grandi famiglie di fibre: le fibre di tipo I cosiddette rosse (dette anche lente) che sono quelle necessarie per lo svolgimento delle attività di resistenza a causa della loro elevata capacità di produrre lavoro in condizioni aerobiche e le fibre II o bianche che sono più grandi, sviluppano una elevata forza esplosiva e velocità e prendono energia dalla fosfocreatina. Mentre le prime possono lavorare per molto tempo pur non sviluppando grande potenza, le seconde producono grande forza ma hanno anche un'alta capacità di affaticamento.

Le caratteristiche muscolari del saltatore, quindi, si indirizzano verso una composizione muscolare caratterizzata da un'elevata percentuale di fibre bianche a rapida contrazione. Tali proprietà strutturali e funzionali consentono al muscolo scheletrico di sviluppare un'alta forza esplosiva e massimale. Molti studi hanno definitivamente dimostrato che gli atleti che possiedono elevata velocità e potenza e bassa resistenza, hanno una distribuzione di fibre muscolari tale da far prevalere notevolmente la percentuale di quelle rapide per oltre il 70%, rispetto a quelle cosiddette lente. Non è ancora chiaro

quanto queste fibre siano modificabili e allenabili, tuttavia vi sono diverse dimostrazioni che indicano come un allenamento molto intenso di resistenza possa trasformare la muscolatura rapida in muscolatura lenta (con il progredire dell'età tale fenomeno avviene naturalmente), mentre molto meno evidente appare il passaggio da fibre rosse a fibre bianche e quindi più ridotti appaiono i margini di allenabilità della velocità e della potenza. In parte la capacità di saltare può essere migliorata, anche se per raggiungere grandi risultati è necessario che nel codice genetico siano presenti particolari condizioni muscolari specifiche accennate in precedenza e caratteristiche di integrazione neuronale senza le quali è meglio scegliere un altro sport. Queste condizioni, peraltro, rappresentano il presupposto scientifico per organizzare e razionalizzare l'allenamento di forza degli atleti.

La valutazione della forza nel salto

Attraverso la valutazione della capacità di un determinato gesto sportivo, si è in grado di capire quali siano le qualità fisiologiche del muscolo scheletrico. Esse possono essere misurate in laboratorio o sul campo. La forza massimale può essere valutata mediante un dinamomentro. Si tratta di uno strumento che stima la forza massima muscolare durante un'azione isometrica. Tuttavia una delle caratteristiche fondamentali per il salto riguarda la forza veloce

degli arti inferiori che può essere indagata mediante test che utilizzino parametri meccanici come l'altezza o la lunghezza di un salto. In questi casi vengono utilizzate azioni che coinvolgono tutti i sistemi interessati nella prestazione vera e propria come quello muscolare, nervoso ed energetico. Le metodiche per la

misurazione della potenza dei muscoli estensori della coscia, prevedono il salto su particolari pedane chiamate dinamometriche. Tali test, a seconda del tipo di salto proposto, permettono di valutare anche la velocità di salto e la capacità di immagazzinamento e restituzione dell'energia elastica del muscolo. Le nuove ricer-

che indicano che, eseguendo una serie di salti, attraverso questi strumenti è possibile misurare anche l'affaticamento del muscolo. Vi sono, tuttavia, anche test che possono esser effettuati sul campo per misurare sia la forza esplosiva degli arti inferiori che la coordinazione con gli arti superiori come il toccare un punto di

riferimento con le mani durante un salto.

L'allenamento ai salti e prevenzione degli infortuni Il primo elemento è il miglioramento della forza muscolare. Le proposte di allenamento prevedono l'utilizzazione di strumenti che potenziano la forza degli estensori e dei flessori della coscia. È importante che l'incremento di forza non venga visto esclusivamente in termini di risultato sportivo. Infatti va considerato che il mancato rispetto di condizioni cinetiche corrette nella esecuzione e nella proposizione dei carichi di lavoro, può alterare o usurare le articolazioni ed essere causa di infortuni e lesioni anche importanti. Non deve essere mai trascurata la proporzione tra muscolatura agonista ed antagonista, sia delle gambe che della colonna vertebrale, evitando squilibri muscolari che possono aggravare gli eccessi cui va già incontro l'organismo svolgendo questi sport.

Per un efficace allenamento muscolare alla forza va sempre ricordato che è imprescindibile il collegamento potenziamento - allungamento muscolare - rilassamento muscolare. Soltanto migliorando l'insieme di queste capacità è possibile assicurare un rendimento elevato prevenendo danni attivi e passivi a lungo termine sul muscolo e sulle articolazioni. Tali risultati saranno più evidenti se tecnici e medici che lavorano sui saltatori, conoscono alla perfezione la biomeccanica e l'anatomia del movimento.

Tutto il senso del Network

Inquesta rubrica abbiamo sottolineato più volte l'importanza di un atteggiamento favorevole all'innovazione continua delle modalità di comunicazione, al fine di raggiungere all'interno del CSI una facilità d'interazione da cui l'associazione può trarre solo vantaggio. Oggi, che già molti dei Comitati CSI diffusi lungo la penisola dispongono di un sito Internet, occorre avviare un vero e proprio progetto di qualificazione dei processi comunicativi, che cominci dal diffuso convincimento di poter essere parte di un network e finisca per utilizzare al meglio tutte le proprietà dialogiche e interrelazionali della

coinvolto di superare ostacoli e problemi imprevisti con relativa facilità. Sinteticamente, e tecnicamente, la Rete permette l'interconnessione tra tutte le "macchine" a multimedialità digitale dell'Associazione, tra tutti i sistemi - in teoria non solo i computer - che condividono la possibilità di connettersi al cyberspazio. Tale interconnessione fisica, mediante rete telefonica, implica pure il contatto tra le memorie elettroniche di cui le "macchine" dispongono, e quindi - potenzialmente - la messa in comune di tutte le informazioni registrate e immagazzinate. Perciò, il net-

parte di un unico "iperdocumento", accessibile da qualsiasi punto del network. Questa grande memoria comune può rappresentare probabilmente il primo imperfetto abbozzo di una "cultura" esplicita dell’Associazione, un insieme di testi, artefatti e oggetti virtuali che viene continuamente letto, consultato, guardato, commentato, ma anche alimentato, accresciuto e modificato da chi ne partecipa. La gran cosa, infatti, è che ad ogni individuo connesso al network può essere permesso di condividere il possesso e la proprietà di questo ipertesto: egli non ha solo la possibilità di accedervi attraverso la lettura e la fruizione, ma addirittura di contribuire alla composizione stessa, allo sviluppo, alla modifica, alla crescita di un "iperdocumento" che - in fin dei conti - può fornire la visione più completa possibile dell'Associazione.

Tutto il senso del network sta in questa considerazione: con Internet nasce uno strumento dalle grandi capacità relazionali, che va compreso, gestito e utilizzato in modo da renderle evidenti, facili e disponibili per tutti, affinché ognuno, come Bruce Sterling parafrasando Galileo, possa dire: "Datemi una connessione fissa, e vi solleverò il mondo!".

Rete. È evidente che il senso del cambiamento è segnato, ma ciò che maggiormente ci sta a cuore è la possibilità di far crescere all'interno dell'Associazione un progetto di cambiamento condiviso, che permetta al processo di transizione di essere omogeneo e ad ogni Comitato

work che si crea può essere considerato come il ritrovo virtuale di una immensa memoria comune, un luogo senza spazio né tempo ma continuamente presente, aggiornato, arricchito, partecipato: area di comunicazione per antonomasia. Anche perché il contatto fra le memorie delle macchine è un contatto fra le memorie degli individui che si trovano davanti ai loro schermi. Tutti i testi, tutte le immagini, tutti i suoni registrati possono virtualmente far

Per restare al passo coi tempi e crescere insieme alla società in cui si trova ad operare, una grande organizzazione come il CSI deve riuscire a far sue le innovazioni; specialmente quando il loro sviluppo, come in questo caso, favorisce la diffusione di una cultura relazionale nuova, collaborativa e basata sullo scambio reciproco.

Non per caso, da questo numero la rubrica "Comunicare" comincia un utilissimo servizio di "alfabetizzazione informatica", con un box mensilmente aggiornato che raccoglie le cosiddette FAQ (Frequently Asked Questions), cioè le domande più frequenti riguardo la comunicazione multimediale, Internet e i tools della Rete.

Oramai la Presidenza nazionale del Centro Sportivo Italiano si muove a suo agio nello "spazio cibernetico" composto da bit al secondo e algoritmi digitali. L'ennesima conferma viene dalla creazione dello spazio web, all'interno del sito CSI-NET.IT, interamente dedicato all'evento del 2000 che più di ogni altro coinvolge l'anima e il corpo della nostra associazione: il Giubileo degli Sportivi. Sviluppate nel breve volgere di 48 ore dai nostri competenti e creativi web master, le pagine in questione indicano la strada migliore che il CSI può percorrere per arrivare lontano, e raggiungere le mète che si prefigge. Il sito del Giubileo degli Sportivi, infatti, non è solo una piacevole "vetrina" della manifestazione, con tanto di immagini "cliccabili" in movimento e l'avvicinamento virtuale tra Basilica di San Pietro e Stadio Olimpico, ma anche un utilissimo strumento di comunicazione gestionale. On line, infatti, si trova anche il modulo di iscrizione al Giubileo degli Sportivi, che tutti i comitati locali e i tesserati CSI possono direttamente compilare e inviare "in tempo reale". La cosa non è di poco conto, perché permette una gestione automatica e affidabile delle iscrizioni, la creazione di un data base facilmente consultabile esoprattutto - un grande risparmio: di materiale, e di tempo. Insomma, grazie al CSI il Giubileo degli Sportivi entra nell'era digitale… dalla migliore corsia.

FAQ (FREQUENTLY ASKED QUESTIONS)

I DOMINI

Cos'é un dominio?

Un dominio è il nome che identifica in maniera inequivocabile una persona, un'azienda o un'organizzazione su Internet. Il nostro domino, ad esempio, è "CSI-NET.IT". Il dominio si compone principalmente di due parti, separate da un punto. La prima parte è il nome vero e proprio, mentre la seconda è una sigla che può indicare un'area geografica oppure il tipo di attività svolta. Ad esempio: .it sta per Italia, .de per Germania, .com per attività commerciale, ecc.

Quanto tempo ci v uole per registrare un dominio it?

Ci vogliono mediamente 3-4 settimane dal giorno in cui la Registration Authority italiana riceve la Lettera di Assunzione Responsabilità. Bisogna dire che la Registration Authority italiana esamina le Lettere di Assunzione Responsabilità in ordine di arrivo. Questo significa che il periodo impiegato per la registrazione del dominio può variare in base al numero delle richieste in attesa nel momento in cui arriva la Lettera.

È a m m es s o q u al s i a si t i p o di c a ra t t er e p e r i l nome di un dominio?

No, ci sono alcune regole da rispettare. Ecco le più importanti:

-non può contenere caratteri accentati;

-non può contenere simboli di punteggiatura o di altro tipo;

-deve avere una lunghezza minima di 3 caratteri e massima di 23 (estensione esclusa);

-non può né cominciare né finire con un trattino ("-"), anche se i trattini sono ammessi al suo interno. In pratica, il nome del tuo dominio potrà contenere tutte le lettere dell'alfabeto, i numeri dallo 0 (zero) al 9 (nove) ed il trattino ("-").

Quanti domini posso registrare a mio nome?

I privati cittadini residenti in un Paese dell'Unione Europea possono registrare un solo dominio .it, mentre chi ha un numero di Partita IVA (aziende, società, liberi professionisti, ecc.) può registrarne senza limitazioni. Per i domini .com, .org e .net non è prevista invece alcuna limitazione, nemmeno per i singoli privati cittadini.

Ho già un dominio .c om (.net/.org), posso registrare un dominio it?

Sì, è possibile. Resta valido il limite di un solo dominio .it per i privati cittadini.

di Sport in spot

Ian Thorpe, tre ori e due argenti nelle ultime olimpiadi di Sydney, sale sul blocchetto di partenza della Aquatic centre. Distoglie per un momento lo sguardo dalla corsia che gli si stende piatta di fronte, e si accorge che come avversari ha un gruppo di agguerritissime foche. Imperturbabile ma consapevole della velocità che questi mammiferi marini possono raggiungere nel loro elemento naturale, l'australiano decide di indossare la sua famosa muta integrale a pelle di squalo, e alle dolcissime e baffute foche polari, a questo punto, non resta che ritirarsi dalla gara.

Ovviamente, quello che vi abbiamo appena descritto non è un episodio olimpico realmente accaduto, nello scenario della velocissima piscina australiana, bensì lo spot televisivo di una celebre marca d'abbigliamento sportivo. È noto d'altra parte come le Olimpiadi abbiano il potere di plasmare centinaia di piccoli Re Mida. Tutti i campioni che riescono ad agguantare una medaglia d'oro acquistano, infatti, automaticamente, il mitologico potere di trasformare ciò che toccano nello stesso nobile metallo che cinge il loro collo. Così l'Olympic Aid, un ente umanitario che finanzia attività sportive per bambini poveri in Australia e nei campi profughi di tutto il mondo, ha organizzato un'asta ufficiale on-line dei cimeli di questi ultimi Giochi Olimpici: alla fine il pezzo più prezioso è risultato essere proprio il costume da squalo del nuotatore australiano, per il quale si è arrivati ad offrire 120 milioni di lire. Il remo di Antonio Rossi valeva invece "solo" 900.000 lire, il suo body 250.000, e le scarpe di Fiona May 800.000.

Dal 1994 le aste olimpiche hanno raccolto più di 31 milioni di dollari americani. Pertanto chi riesce a salire sul gradino più alto di un podio olimpico si trasforma, per incanto, in una fabbrica di quattrini. Benedetti per le iniziative solidali, un po' meno per altro. Gli autori televisivi, infatti, gli stilisti, gli agenti di comunicazione, le aziende di cosmetici, fanno la fila, anzi si azzuffano, agli "Arrivi" degli aeroporti italiani per assicurarsi un'opzione sull'immagine dei nuovi eroi. Il bell'Antonio delle canoe sarà ancora

per quattro anni protagonista dei palinsesti di Rai e Mediaset, naturalmente in cambio di gettoni di presenza più pesanti dell'oro. La fiorettista Diana Bianchedi è già stata contattata per partecipare al cast di personaggi che si sfideranno a "Quote", il nuovo programma sulle scommesse sportive di Italia 1. Anche per la bellissima Maurizia Cacciatori, la migliore alzatrice del volley italiano, sono arrivate centinaia d'offerte per la cessione dei diritti d'immagine, nonostante la debacle della nazionale di pallavolo. La consacrazione al di fuori degli ambiti sportivi per la capitana ventiseienne non è solo frutto di una strategia di marketing, ma di una inequivocabile prova dell'appeal che suscitano le donne che praticano sport. È la doppia carriera delle fanciulle dei cinque cerchi e dello sport in generale. Tutte grinta, muscoli, ed agonismo quando devono misurare i propri limiti in una competizione sportiva. Tutte sorrisi e sguardi seducenti quando devono incrementare il pro-

prio conto in banca con copertine di giornali e clip televisivi. Mia Hamm, bomber della nazionale USA di calcio, è osannata dagli sponsor come fosse un'eroina. Anna Kounikova, Serena e Venus Williams, Martina Hingis, se dovessero accontentarsi delle borse che vincono con i tornei di tennis, sarebbero delle "povere" miliardarie. Con la gestione della propria immagine arrivano invece ad avere, a non più di 20 anni, gli stessi guadagni di una Star di Hollywood. Ma non tutti i plubbicitari sono disposti a scommettere sul potere comunicativo dello sport applicato agli spot. Valeria Monti, amministratore delegato della Lolita Italia, ad esempio, ritiene che gli atleti e le atlete siano più adatti per campagne sociali "noprofit". E così torniamo al discorso delle aste di beneficenza, delle campagne pubblicitarie contro le mine antiuomo, delle partite amichevoli per la pace nel mondo. Ma i casi concreti alla fine si contano sulle dita di una mano. Forse Ronaldo quando ha

cifre sono relative a questa stagione e sono espresse in miliardi (fonte Italia Oggi). Il trattino indica che gli sponsor forniscono solo il materiale tecnico.

visitato i terremotati in Umbria non portava cappellini griffati e la sua compassione verso quella gente era spontanea, non costruita. Ma il vero campione, quello da spot ha sempre come un’ombra lo spietato manager, con la calcolatrice in mano e i contratti sotto il braccio. Si spiega a questo punto perché il binomio spot&sport faccia sempre più la rima. Un beniamino come Roberto Baggio, qualche anno fa, era finito a muggire per una ditta casearia. Il ct della nazionale, il vecchio Trap, quando non fischia dalla panchina, sbatte la mano su una lavatrice, di fronte ad una squadra d'impaurite casalinghe. Walter Zenga dalla porta di calcio è passato al "porta a porta" conducendo televendite su piccole emittenti private locali. Alberto Tomba era arrivato ad ossigenarsi i capelli, mentre si fingeva un automa per la Barilla. Barrichello prima di ogni GP ci ricorda che grazie alle sue scarpe, quando scende dalla macchina, non prende la scossa (che ci sembra essere il massimo rischio che corre un pilota di Formula 1!?). Il povero Rubens, d'altronde, deve pure

arrotondare in qualche modo il proprio stipendio, dal momento che il suo compagno Schumacher, fresco campione del mondo, pur prendendo 40 mld l'anno dalla Ferrari, arriva fino a 90 con il suo personale merchandising.

I Fratelli Inzaghi mangiano invece solo yogurt, dalla mattina alla sera. Ma Pippo quest'anno ha trovato anche il modo di schiaffare la sua faccetta furba sulla copertina di Fifa 2001, il simulatore di calcio più venduto al mondo. Potere dei Goal. Il bomber juventino succede a Maldini, Montella e Vieri, testimonial degli anni passati. E a proposito di Bobo, il centravanti dell'Inter era apparso, l'estate scorsa, su tutti i cartelloni pubblicitari d'Italia, disteso, senza veli, come Paolina Borghese, con il titolo aureo di mister 90 miliardi, i soldi spesi da Moratti per strapparlo alla Lazio. Il calciatore rappresentava se stesso come il prodotto più costoso al mondo, in quel momento. D'altra parte nel calcio l'ingaggio di un giocatore è sempre diviso in due capitoli ben distinti fra loro. Ronaldo costa x per scen-

dere in campo, ed y per la gestione della sua immagine. E così se la Pirelli, sponsor ufficiale dell'Inter, vuole rappresentare "il fenomeno" come il Gesù Cristo di San Paolo du Brasil, con la gomma da pioggia sotto la pianta del piede, non basteranno certo i dieci miliardi l'anno che paga a Moratti per portare la scritta sulle maglie. Servono altri soldi, e tanti. Ecco pronta allora la solita multinazionale americana, che paga all'Inter altri 20 miliardi l'anno per griffare con un baffo le casacche nerazzurre, contribuendo a pagare lo stipendio del Fenomeno.

Con questa chiave di lettura non ci sorprenderebbe scoprire che Sergio Cragnotti, un altro volpone dell'alta finanza, compra soltanto campioni argentini, più per l'esigenza di sfondare il mercato sudamericano con la sua azienda partner, che per una reale passione verso le magie di Veron e compagni. Ma qui entrerebbe in gioco la variabile borsistica, finanziaria e l'equazione sport=spot diverrebbe ancor più complicata.

APPUNTI PER UNA RIFORMA TRIBUTARIA DEL NON PROFIT:

I CONSULENTI FISCALI AL FORUM DEL III SETTORE

Roma, 12 settembre 2000, Piazza di Pietra: le porte del Forum permanente del III settore si spalancano ai consulenti fiscali di enti ed associazioni. Ordine del giorno: collaborare ad un progetto di riforma del sistema tributario degli enti non commerciali, utilizzando l'organismo di rappresentanza del III settore per proporne i contenuti alle istituzioni incaricate della funzione legislativa: Parlamento e Regioni.

I lavori iniziano all'insegna delle migliori sedute di brainstorming; la domanda è: a tre anni circa dalla grande riforma del settore, avviata con il D. Lgs. 460/1997, e a seguito dell'intervento di leggi, leggine e finanziarie che hanno inciso non poco sul carico fiscale e previdenziale addossato agli organismi non profit, cosa resta da fare per realizzare finalmente una normativa tributaria chiara, organica e coerente con quelle finalità di interesse collettivo che il legislatore approva e riconosce ma che, nei fatti, spesso ignora?

Si procede, apparentemente, senza un filo conduttore: IVA, IRPEG, IRAP, contributo previdenziale sulle collaborazioni coordinate e continuative, finché l'attenzione non si concentra definitivamente sulle ultime due voci. Cosa hanno in comune il contributo INPS 13% e l'IRAP? Prima facie nulla se non che entrambe gravano su una delle principali voci di costo degli enti senza finalità di lucro: le risorse umane. È noto, infatti, come le organizzazioni non profit siano strutture di tipo labour intensive, nel senso che il principale input del loro processo produttivo è il lavoro umano. Rispetto al settore industriale ed agricolo, pertanto, dove l'impiego dell'automazione e della meccanizzazione sono largamente prevalenti, il terzo settore (che in questo ha affinità con il comparto dei servizi commerciali e dell'artigianato) è fortemente inciso dalle imposte e dai contributi relativi al lavoro, sia esso dipendente che atipico. Per gli enti che svolgono solo attività istituzionale l'imposta regionale sulle attività produttive, ad esempio, grava nella misura del 4,25% dell'intero costo relativo alle collaborazioni e al lavoro dipendente (inclu-

si anche gli oneri previdenziali e assicurativi). Questa aliquota, se comparata con quelle relative ad altri settori produttivi, evidenzia che, in fatto di IRAP, il legislatore non ha certo mosso la "leva fiscale" con gli enti non commerciali, equiparandone il trattamento a quello della generalità delle imprese con fini di lucro. Altri settori, come banche ed assicurazioni, scontano il 5,4% ma nel 2003 pagheranno l'imposta con l'aliquota ordinaria del 4,25%; di contro il settore agricolo e ittico gode dell'aliquota agevolata del 2,3% che nel 2003 diventerà del 3,75%.

Ulteriori argomenti: istituita nel 1997, l'IRAP ha sostituito tutta una serie di tributi con la clausola che le modificazioni in questione avrebbero dovuto lasciare inalterata la pressione fiscale ricadente sui soggetti passivi. Formalmente così è stato; nella sostanza, tuttavia, è accaduto che mentre il contributo al servizio sanitario nazionale sui collaboratori coordinati e continuativi era prima a carico dei medesimi, l'IRAP (che ha sostituito il contributo in questione) è ora a carico degli enti.

La tutela previdenziale e sanitaria dei collaboratori (cosa sacrosanta) è stata, insomma, retrocessa, per intero e senza troppi complimenti, agli enti che ricorrono ai servizi dei lavoratori parasubordinati senza considerazione del fatto che questi organismi rendono alla collettività beni e servizi di interesse comune, sovente in sostituzione della mano pubblica per cui un sistema di agevolazioni tributarie funge, di fatto, da strumento di finanziamento e promozione (principio già alla base del D. Lgs 460/1997).

Sulla base di queste considerazioni i consulenti presenti all'incontro hanno delineato alcune prospettive di riforma dell'imposizione IRAP: da un lato si potrebbe, ad esempio, profilare un’ipotesi di riduzione dell'aliquota, allineandola, eventualmente, a quella di altri settori agevolati (vedi pesca); dall'altro intervenire sulla base imponibile, riducendola, ad esempio, dall'attuale 100% dell'intero costo del lavoro dipendente e atipico alla misura del 70-50%, ciò beninteso per la sola parte istituzionale dell'attività,

essendo quella commerciale soggetta all'ordinaria imposizione riservata alle imprese.

Altri interventi hanno interessato, infine, la questione più generale della tassazione IRPEG dei proventi commerciali degli enti non profit e la trasformazione dei redditi dei collaboratori in redditi assimilati al lavoro dipendente. Sul primo punto si è osservato che l'assoggettamento a IRPEG dei redditi derivanti da svolgimento delle attività commerciali, ha un fondamento quantomeno vacillante. L'argomento è che negli organismi senza finalità di lucro tanto i proventi commerciali quanto i proventi istituzionali sono diretti al finanziamento della medesima attività che, trascurando i casi perversi, è senza finalità di lucro e sovente di interesse pubblico. Se perciò l'esclusione da imposta delle entrate istituzionali si giustifica con il fatto che essa è diretta a finanziare gli scopi associativi dell'ente altrettanto deve dirsi per le risicate entrate commerciali; in altri termini l'attenzione del fisco dovrebbe spostarsi dal mezzo al fine, dagli strumenti utilizzati per procacciare le risorse finanziarie all'utilizzo che si fa di queste. Ad evitare che tutte le organizzazioni non profit diventino, di fatto, delle imprese opererebbero comunque le clausole antielusive contenute nel Decreto 460 e il timore di perdere la qualifica di ente non commerciale.

Per quanto riguarda, infine, i collaboratori si è osservato come l'assimilazione ai redditi di lavoro dipendente comporti, per un verso ulteriori e notevoli carichi fiscali in capo agli enti e, dall'altro, un non semplice fardello di adempimenti da osservare. Se, infatti, la gestione del collaboratore è relativamente semplice e può essere svolta agevolmente anche da personale non tecnico, cedolini, buste paga e CUD, al contrario richiedono, di norma, l'intervento del consulente esterno, ossia, costi in più da sostenere.

L'incontro si è concluso con un augurio che è anche un impegno reciproco: far sì che la riunione del 12 settembre non resti un episodio ma diventi l'inizio di una intensa e proficua collaborazione su temi di interesse comune.

domande & risposte

Una società organizz a una manifestazione ludico-sportiva con presenza di cantanti e gruppi musicali. È dovuta l'imposta sugli intrattenimenti?

Si, è dovuta. Il D.Lgs 60 del 1999, sopprimendo l'imposta sugli spettacoli e istituendo l'imposta sugli intrattenimenti, ha previsto, infatti, che il tributo in questione è dovuto da qualsiasi soggetto organizzi eventi a carattere musicale, con esecuzioni o trattenimenti danzanti di qualsiasi genere. L'imposta sconta l'aliquota del 16% da calcolarsi sui biglietti d'ingresso o sulle quote contributive speciali pagate dai soci per l'accesso alla manifestazione. Qualora la società destini almeno i due terzi del ricavato in beneficenza, a favore di una onlus o di un ente pubblico, l'imposta è ridotta alla metà. In tal caso è necessario, tuttavia, comunicare preventivamente alla SIAE il carattere benefico della manifestazione. L'imposta sugli intrattenimenti non è dovuta, invece, nel caso di manifestazioni di natura esclusivamente sportiva.

Qual è il limite massimo delle spese rimborsabili senza giustificativi?

In tema di rimborsi spese gli enti non profit possono beneficiare di una particolare disposizione in base alla quale i pagamenti di importo inferiore a lire 50.000 non sono soggetti a ritenuta d'acconto. Di fatto tali emolumenti possono essere utilizzati per sollevare i collaboratori dagli oneri che hanno subito per conto dell'associazione ma dei quali non esiste giustificativo (costi telefonici, scontrini smarriti di piccolo importo, ecc.). Si ritiene, tuttavia, che il ricorso al rimborso delle piccole spese non documentate debba essere episodico in quanto la reiterazione indiscriminata e arbitraria di questa prassi può giustificare il dubbio che l'ente frazioni i compensi dovuti ai collaboratori in pagamenti di importo inferiore a lire 50.000 onde eludere la normativa in tema di ritenuta d'acconto o, se applicabile, quella in materia di compensi per attività sportiva dilettantistica (legge 133/1999 e relativo decreto attuativo).

Su quali documenti è n ecessario apporre la marca da bollo da lire 2.500?

La marca da bollo da lire 2.500 si applica, di norma, su tutti i documenti in cui sono riportati importi superiori alle 150.000 lire (ricevute, rimborsi spese, estratti conto, parcelle mediche o sanitarie, ecc.) non soggetti all'applicazione dell'imposta sul valore aggiunto. Non la si applica, pertanto, sulle fatture mentre deve essere apposta sulle ricevute dei collaboratori e sui rimborsi spese, sebbene a carico dei medesimi (e non a carico dell'ente come sovente accade nella prassi).

La marca non si appone, invece, sulle ricevute rilasciate dalle associazioni sportive qualificate ai propri iscritti o tesserati, per le quote di tesseramento e per i contributi speciali, in quanto questi documenti sono esenti da bollo in modo assoluto.

Non sempre la razionalità è... ragionevole

Il campionato di calcio appena iniziato navigherà probabilmente in acque agitate, visto che perfino le amichevoli estive hanno registrato duri scontri in campo e polemiche ben sopra le righe. In prima pagina, nei mesi estivi, hanno tenuto banco gli acquisti plurimiliardari dei giocatori. Ne sono rimasti scandalizzato perfino gli addetti ai lavori. Ed è tutto dire. "Questo fiume di denaro - ha scritto uno di loro - non fa ricco il calcio, ma gonfia in termini smisurati e immorali i guadagni dei giocatori e dei loro procuratori".

Nero su… rosa, l'ha messo in prima pagina il direttore del maggiore quotidiano sportivo nazionale.

Siamo dunque davanti a situazioni immorali. Finalmente. Era da tempo che aspettavo di leggere, in un giornale sportivo, una sferzata sulla mercificazione del mondo calcistico ove è offeso il buon senso, oltre che la coscienza morale media, che pure - oggiha maniche tutt'altro che strette.

Il giro scandaloso di denaro non riguarda però

solo il calcio, ma anche altri sport. Basti pensare all'automobilismo.

Riguarda, anzi, molti ambiti della vita sociale se è vero, come tutti sappiamo, che non pochi privilegiati percepiscono mensilmente pensioni di decine e decine di milioni.

Si dice che non c'è niente da fare, perché queste sono le regole del mercato. Ora, se questo è vero io non lo so; ma so che non può essere il mercato a dettare le regole della vita sociale. Legittimità non significa necessariamente moralità. Anche la pena di morte è legittima, da parecchie parti; ma non per questo è lecita. E nessuna regola del mercato può giustificare guadagni mensili a nove zeri, cifre che la stragrande parte dei lavoratori riesce sì e no a guadagnare con un'intera vita lavorativa.

All'inizio dello scorso campionato suscitò scalpore una lettera, pubblicata da Famiglia Cristiana, di un anonimo calciatore che dichiarava di aver venduto una importante partita: "il giro dei soldi - diceva - ha ucciso tutto, e io ne sono rimasto vittima". Anche il settimanale americano

Time ha detto qualcosa di simile pubblicando tempo fa una copertina con l'immagine di un pallone e un titolo scioccante: "Il suicidio del calcio". Forse non accadrà che i troppi soldi uccideranno lo sport; ma è certo che possono uccidere gli sportivi.

Di fronte al commercio dei giocatori i più sembrano restare indifferenti; non hanno niente da eccepire. Molti, anzi, dicono che va bene così: ognuno va pagato per quello che vale; e uno vale per quello che produce. Il ragionamento, sotto il profilo commerciale, non fa una grinza. Talis pagatio qualis cantatio, diceva un vecchio adagio in latino maccheronico. Chi più dà, più deve ricevere. Eppure, non sempre ciò che è razionale, è anche ragionevole. Il discorso è razionale, coerente con la compravendita degli oggetti; ma non è ragionevole, per la semplice ragione che le persone non sono cose da comprare o da vendere. Non sono oggetti, ma soggetti. Sono le cose che hanno valore strumentale, valgono cioè per i servizi

che rendono. Ma gli uomini e le donne hanno un valore in se stessi, al di là di ciò che riescono a fare. Valgono non perché servono, ma perché sono. I vecchi o i disabili, che non producono nulla, non meritano forse, contro ogni criterio puramente commerciale, tutte le cure e le attenzioni dovute a ogni essere umano?

La denuncia della mercificazione degli atleti non è di ordine moralistico, ma teologico. Si fonda sulla natura stessa dell'uomo che ha origine divina, come insegna la Bibbia nel racconto della creazione: "Facciamo l'uomo: sia simile a noi, sia la nostra immagine (…) Dio creò l'uomo simile a sé".

Nei territori da loro conquistati, gli antichi re e imperatori innalzavano statue che li rappresentassero. Anche Dio ha messo qui in terra le sue immagini: siamo noi, uomini e donne. Con una dignità inviolabile, dal concepimento alla morte naturale; e tutti uguali nell'essere e nell'agire. Sono davvero beati quelli che, dopo Dio, considerano ogni persona come Dio.

di Vittorio Peri

Bologna - 8 dicembre

25ª Camminata Staffetta Fiaccolata di San Luca

Come ogni anno nel giorno dell'Immacolata, il Centro Sportivo Italiano felsineo rende omaggio alla Beata Vergine di San Luca con la celebre camminata-staffetta seguita da una suggestiva fiaccolata. Giunta al traguardo delle nozze d'argento saranno in migliaia gli sportivi bolognesi che renderanno omaggio alla Beata Vergine, eletta protettrice degli sportivi. Sul colle "della Guardia" ci sarà chi di corsa, chi al passo raggiungerà il suggestivo Santuario per la Santa Messa delle ore 11.00.

Due i percorsi: uno di 3 km seguendo il porticato più lungo d'Europa, l'altro più impegnativo di 8. Durante il percorso saranno allestiti dei punti ristoro e all'arrivo un gadget ricordo per tutti.

DICEMBRE

30-11/2-12 Roma

Stage Promotori associativi

7 Chieti

Ludobus 2000

8 Bologna

25ª Camminata-staffetta-fiaccolata di S. Luca

8/10 Assisi

Convention dei Presidenti provinciali

16 Roma

Esame abilitazione Promotori associativi

23/26 Roma

NOVEMBRE

Corsi nazionali CSI “Sport a Scuola”

23/26 Eindhoven

Campionati FICEP di Gannastica artistica

23/25 Roma

Stage Promotori associativi

Chieti - 7 dicembre Ludobus 2000

Parte dal Palasport di Chieti il progetto regionale Ludobus, una ludoteca itinerante che attraverserà nei mesi l'intera provincia teatina, fino a ritornare nel capoluogo abruzzese per il gran finale del 26 maggio 2001. La manifestazione farà tappa a Vasto, Francavilla, Gissi, Atessa, Casola, Guardiagrele, Fossacesia, San Salvo. In ogni piazza un pieno di divertimento con il basket, la pallavolo, il calcetto ed il free-sport.

E lo struzzo finì in pentola

Apro un giornale sportivo qualunque di un giorno qualunque e leggo i titoli: Schumi vince il titolo di formula 1, il Trap rigenera la nazionale di calcio, si comprano e si vendono campioni di ogni sport, si licenziano allenatori, si fanno conferenze sul doping. L'impressione è quella di un grande deja-vu: a parte i nomi dei personaggi, che cambiano, le storie sono sempre quelle, le stesse di uno, dieci o venti anni fa, quasi che lo sport non abbia subìto e non subisca alcun cambiamento. Di cambiamenti nel mondo dello sport ne stanno avvenendo tanti, anche a ritmo serrato… ma si fa finta di non vederli… e facendo finta di niente non si lavora per guidare il cambiamento. Non vorrei che facessimo tutti la fine dello struzzo.

Giorni fa sono andato in un ipermercato e subito dopo l'area carrelli un cartello invitava all'assaggio, diceva: grande promozione, carne di struzzo… Ho chiesto informazioni. Stanno mettendo in piedi grandi allevamenti di struzzo per farne… fettine. Ai tempi di mia nonna agli struzzi si toglievano le penne per ornare i cappellini e gli abiti delle signore… E adesso, dopo le piume e dopo le uova è toccato alla carne…

Ma come ha fatto una fine simile un animale così simpatico, protagonista di favolette e cartoni animati?

Per secoli sullo struzzo sono girati due luoghi comuni: davanti ad una situazione di allarme, metteva la testa sotto la sabbia; per pigrizia non covava le sue uova ma le lasciava covare al sole, e andava come andava.

Insomma, un animale così poco impegnato a badare ai fatti suoi non poteva che finire in pentola. Ecco perché l'atteggiamento dell'associazionismo dello sport dilettantistico odierno mi fa pensare allo struzzo: incalza il doping? Gli interessi economici hanno la meglio sui valori? L'importante è far finta di non vedere. Ma se problemi ci sono, non sarebbe bene guidare l'evoluzione? Neanche per niente: l'associazionismo sportivo di base non riesce a giocarsi la grande partita dello sport per tutti e lascia che sia il sole a covare le sue uova. Quando mancano il coraggio della concertazione e l'impegno di uno sforzo comune per ridare dignità allo sport di base si fa una brutta fine…

Qualcuno dirà: sono tutte calunnie, è un luogo comune… non è vero che i dirigenti, a tutti i livelli, dello sport italiano non conoscano i problemi e i malanni del sistema sportivo nazionale e che nessuno li voglia affrontare.

Appunto. Anche dello struzzo non è vero che abbia quei difetti. Solo che a forza di ritenerlo un animale così sprovveduto, qualcuno ha finito col metterlo in pentola.

Con il patrocinio di:
Ministero della Pubblica Istruzione
Regione Lazio
Provincia di Roma
Comune di Roma

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