Stadium n. 11-12/2000

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editoriale

Staper chiudersi un altro anno. La domanda che un po' tutti si fanno in questo periodo è: "Cosa abbiamo concluso nell'anno trascorso?

E dove stiamo andando?". Se lo chiedono non solo le singole persone, ma anche tanti ambienti del sociale: il mondo dello sport, la politica, la scuola, gli stessi mercati finanziari.

E ognuno dà la risposta che può. In tempi tanto confusi, c'è chi azzarda l'ipotesi che abbiamo toccato il fondo del pozzo, che siamo arrivati al capolinea… Qualche buon cristiano dice che "solo Dio ci può salvare".

Che fare? A chi affidarsi? Qui, purtroppo, non si tratta di affidarsi a qualcuno, o fare qualcosa di particolare, o correggere qualche dettaglio. Si impone un nuovo modo di pensare, di parlare e di agire, che abbia come suo principio l'accoglienza della "persona umana". Non c'è via di scampo: la prima conquista che dobbiamo conseguire è abbandonare l'utopia del mercato come idolo a cui obbedire ciecamente, ma occorre "farsi carico dell'altro" non come "cliente" ma come "dono" al cui servizio mettere il nostro tempo, l'intelligenza, il cuore.

"Dove stiamo andando?" è una domanda alla moda in ambito sportivo non solo perché siamo vicini alla fine dell'anno. Quando questo numero di Stadium arriverà ai lettori, forse un altro grande mistero di fine millennio sarà stato sciolto. Parlo della Conferenza nazionale dello sport, annunciata, molto in sordina, per il 19 e 20 dicembre. Mentre scrivo, mancano appena due settimane, e dell'evento non si sa nulla: se si farà davvero, e con quali interlocutori, con quale ordine del giorno, con quali presupposti.

Di tutti i modi possibili di fare fallire la Conferenza, questo lasciarla andare alla deriva nell'indifferenza e nell'incertezza mi sembra il peggiore. Chissà quando si ripresenterà l'occasione di mettere intorno ad un tavolo tutti i soggetti promotori dello sport per fare funzionare meglio questo comparto della vita nazionale, che muove milioni di persone e migliaia di miliardi di fatturato, ma cammina con scarpe vecchie più di cinquant'anni.

Il Giubileo degli Sportivi, di cui si parla ampiamente in queste pagine, ci ha regalato appuntamenti emozionanti e qualche serio elemento di riflessione. Giovanni Paolo II ha detto chiaramente, davanti alle massime autorità dello sport internazionale, che lo sport del terzo millennio non può essere solo questo frenetico agitar di bandiere e luccicar di medaglie, un intreccio che si colloca a metà tra l'affarismo e la retorica. Al centro c'è la persona umana, ed uno sport che voglia avere senso si deve mettere al suo servizio senza condizioni. Insomma, ci ha suggerito implicitamente il Pontefice, la strada giusta è quella dello sport sociale.

Il 2000 che si chiude è stato un anno importante per il Centro Sportivo Italiano. E' stato un anno vincente. E non solo per la mole di attività svolta ma

per come è riuscito a tenere la testa fuori dall'acqua in un periodo in cui gran parte dello sport italiano stava affogando.

Tuttavia c'è ancora molto da fare. Penso, appunto, alla situazione generale dello sport italiano, dalla quale non si può prescindere, penso ai tanti problemi irrisolti delle nostre strutture periferiche, alle timide richieste di tante società sportive che non riescono a svolgere efficacemente il loro compito per precarietà finanziaria. Penso ai piccoli e grandi egoismi che creano conflittualità. E poi quella voglia matta di sostituire il vecchio e logoro vestito di arlecchino con uno più di moda. Il CSI indossa ancora vestiti troppo diversi da caso a caso, da zona a zona: qui ha un look griffato, lì è casual, altrove è nudo. Se ad est usa il computer, ad ovest si affida ancora al pallottoliere.

E' arrivato il momento di dare un colpo all'acceleratore, sviluppando nuove attività di "frontiera" dentro ai circuiti tradizionali di attività sportiva, rafforzando la partecipazione delle società sportive e degli organismi territoriali del CSI alla vita sociale, cooperando con le istituzioni locali, sviluppando un sistema di responsabilità condivise e di interazione tra Comitati territoriali, regionali e Presidenza nazionale sul terreno della programmazione, della gestione delle risorse. Tutto questo perché l'Associazione deve continuare a crescere nella qualità dei progetti sportivi. I numeri - delle società sportive, dei tesserati e delle attività - tengono anche meglio del previsto, ma ognuno di noi, dopo essersi guardato intorno con coscienza, sa dentro di sé che ci sono ulteriori margini di crescita.

Occorre fare di più e meglio perché il CSI svolga efficacemente il suo ruolo nello sviluppo civile del Paese. Più slancio missionario, più coraggio e lungimiranza, più entusiasmo e più pazienza: sono gli ingredienti necessari per continuare a muovere le coscienze di quell'esercito di volontari che ha fatto e continua a fare del CSI una grande associazione sportiva.

Una particolare attenzione va rivolta alle esigenze delle nuove generazioni. Non c'è più una voce che indichi loro una meta, un orientamento, un senso. Offrire loro "ragioni di vita" anche attraverso la pratica dell'attività sportiva è un compito al quale il CSI non può e non deve sottrarsi, e che può svolgere anche valorizzando i luoghi informali della strada, della piazza…

Saremo buoni allenatori, dirigenti, uomini di sport se riusciremo a trasmettere ai nostri atleti il senso della vita anche e soprattutto attraverso la proposta di uno sport "pulito".

A tutti gli atleti, i dirigenti e gli operatori dell'associazione, ed ai loro familiari, rivolgo gli auguri miei, della presidenza e del consiglio nazionali per un sereno Natale e un felice anno nuovo.

Buon Natale

«S ignore G esù Cri sto, a iuta questi a tl et i ad essere t uoi a mici e t est imoni d el t uo amore.

A iutal i a porre nel l'ascesi p ersonal e lo st esso imp eg no che met tono n el lo sport ; aiuta li a reali zzare un 'armonica e coerente un ità d i corpo e di a nima .

Possa no essere, per qua nti l i a mmirano, val idi model li da i mit are. A iutal i ad essere s emp re a tl et i dell o spi ri to, per ot tenere il tuo i nesti mabile p remio: una corona ch e non a ppas sisce e che dura i n eterno». Giovanni Paolo II

MENSILE DEL CENTRO SPORTIVO ITALIANO

DIRETTORE RESPONSABILE

Edio Costantini

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Numero 11/12 novembre/dicembre 2000

«Di me si dovrà dire non solo che era Papa, ma anche che sciava, che andava in canoa...»

servizi

04Auguri

Giovanni Paolo II 12

06Dall’Australia una lezione di civiltà di Fernando Mascanzoni

54Importare baby-calciatori diventa più difficile di Tito della Torre

56Sport, perché? di Felice Alborghetti

58Quella palla poco tonda di Federico Pasquali

64Calcio... nel pallone di Bruno Longhi

giubileodeglisportivi

30Il volto e l’anima dello sport

34Campioni nello sport, campioni nella vita di Ilaria Capulli

40Un’onda difficile da dimenticare di Alberto Caprotti

42E i “grandi” sempre in prima fila... di Rita Salerno

44Il Papa allo stadio di mons. Carlo Mazza

50Sbatti il Giubileo in prima pagina di Giancarlo Lavella

51Da Modena all’Olimpico di Paolo Seghedoni

villaggiodellosport

15Pianeta sport chiama terra di David Ciaralli

21Dai campi di periferia ad Atene di Rosita Farinosi

23Mister parroco?

24La promozione è dietro l’angolo

25Lo sport nello sviluppo del Terzo Mondo

27Non di solo calcio vive lo sport

29Sacchi di sportività di Danilo Vico

vitacsi

10Chi vincerà la Joy Cup?

12Giacomo Crosa di Felice Alborghetti

52Una ginnastica tutta d’oro di Micaela Tirinzoni

dossier

36Manifesto dello sport per il terzo millennio

rubriche

60Uno sport alla volta: La pallavolo di Beppe Basso

65Parole di sport: Coscienza di Claudio Arrigoni

66Formare: Pronti al via di Michele Marchetti

68Salute: Aspetti medici della pallavolo di Sergio Cameli

70Comunicare di Marco Pigliacampo

73Area marketing: La carica dei 160.000 di Alessandro Cappelli

74Tutto leggi a cura di Francesco Tramaglino

77Allo specchio di Vittorio Peri

79Planning

80Il racconto di Edio Costantini

Molti lo hanno festeggiato con un anno di anticipo. Ma ora eccolo, arriva per davvero il terzo millennio. Ci aspetta dietro l'angolo della notte di San Silvestro, porta temporale simbolica che ci invita a guardare al futuro con occhi nuovi.

Mai come questa volta viene voglia di rispolverare le antiche tradizioni del 31 dicembre: buttare giù da una finestra - per carità, anch'essa simbolica - le cose che non servono più; sparare qualche botto in aria per tenere lontana la sfortuna; augurarsi il meglio per il tempo che verrà.

Stadium ha qualche motivo in più per fare festa: scavalca un secolo che ha percorso quasi per intero, dal 1906 in poi, partecipando con slancio e con passione alla costruzione dello sport in Italia. Con una tradizione così grande alle spalle, è inevitabile che faccia un po' di baldoria alla maniera antica, tra cocci, petardi e auguri.

Da chi cominciare? Forse dal CIO, massimo organismo dello sport mondiale. Strana assemblea, dove siedono magnati e teste

coronate, ma neanche un atleta fresco d'attività. Che sbandiera De Coubertin, ma ha venduto le olimpiadi alle multinazionali e ai grandi network. Gli auguriamo che, risvegliato da un petardo più forte degli altri, il 31 dicembre il nobile consesso si decida a buttar via la retorica del tempo che fu, per scendere giù dal monte Olimpo e tuffarsi in una modernità fatta non solo di affari.

Auguri al figlio italiano del CIO, quel Comitato Olimpico Nazionale Italiano che se la passa davvero male dopo tanti decenni di potere incontrastato e di agi spensierati. Vorremmo che lasciasse nel vecchio millennio le nostalgie per una restaurazione impossibile, zavorra che lo fa temporeggiare su ogni proposta di riforma. Gli auguriamo di riuscire a partorire infine l'erede del totocalcio, e di lì muoversi per ritrovare un ruolo e una capacità di progettazione a favore di tutto lo sport italiano.

Gli auguri non vorremmo farli alla Lega calcio professionisti, visto che ormai ciò che propone e commercia sembra essere tutto

fuorché sport. Ma come essere così cattivi in un'occasione tanto speciale? Speriamo almeno che l'egoismo che la Lega si porta dentro, che le ha fatto rinnegare il principio di mutualità tra sport e sport, e poi tra calcio ricco e calcio povero, quell'egoismo allevato dall'avidità si riveli troppo grande per portarlo oltre la soglia di S. Silvestro.

Neanche al Parlamento vorremmo fare gli auguri. È passata un'altra legislatura e la legge-quadro dello sport non si è vista. Troppo presi a discutere della metafisica della politica, deputati e senatori non si sono accorti che lo sport di base è diventato una cosa troppo importante per lasciarlo nel vuoto legislativo. Ora arrivano le elezioni. Vinca il migliore, come nello sport. Ma ci auguriamo che gli uni e gli altri portino nella borsa, oltre il 2000, un progetto di riforma dello sport degno di un paese civile.

Auguri al Ministro con delega allo sport, Giovanna Melandri. Non sappiamo se l'anno nuovo le confermerà l'incarico. La ringra-

Auguri

Auguri

ziamo per quanto ha fatto, che è comunque più di quanto abbiano fatto i suoi predecessori. Anche se avremmo voluto un po' di confusione in meno e un po' di progettualità in più. Le auguriamo di non smarrirsi nella prospettiva del mandato che scade, per sfruttare al meglio i mesi che ci separano dalle elezioni. Magari facendo approvare la legge sulle società dilettantistiche.

Auguri alle Regioni, che rifiutano il Comitato Sport per tutti rivendicando indipendenza dal CONI per promuovere meglio lo sport sul territorio, anche se poi non riescono a mettersi d'accordo su come fare. I malfidati dicono che abbiano abbandonato la barca del Foro Italico, dopo esserci andati a pesca (di danari) fino a pochi anni fa, perché ora vogliono pescare a strascico nel bilancio dello Stato e che la promozione dello sport sia solo una scusa. Se la tentazione c'è, l'auspicio è che la gettino via l'ultimo dell'anno come la più indegna delle ferraglie.

Ai professionisti dello sport auguriamo ciò che ha già augurato il Papa allo Stadio

Olimpico: di ritrovare un cuore, di rifiutarsi di diventare i gladiatori senz'anima dell'arena satellitare, in un cammino che li porta a tradire sempre più di frequente la propria e l'altrui umanità e dignità. E gli auguriamo di brindare, la notte di San Silvestro, a spumante e champagne, buttando dalla finestra pillole e pozioni. Nel nuovo anno, secolo e millennio speriamo portino nei thermos e nelle borracce soltanto la consapevolezza della responsabilità morale che li accompagna nei confronti dei giovani fans.

Auguri, davvero tanti, a chi lo sport lo organizza da volontario e a chi lo pratica da dilettante. Che buttino dalla finestra lo sconforto per essere i "figli di un dio minore" nel sistema sportivo e legislativo italiano, e si portino dietro la consapevolezza di essere loro e soltanto loro a gonfiare i numeri della pratica sportiva italiana, a fabbricare campioni, a fare dello sport ancora un gioco e un divertimento.

Auguri rapidi, ma non per questo meno sentiti, a quanti altri animano il mondo del

nostro sport: alle società sportive, che sono tante ma dovrebbero essere anche di più; agli insegnanti di educazione fisica, affinché trovino nuove motivazioni nella trasformazione in docenti di scienze motorie; a quei parroci che allo sport riconoscono diritto di cittadinanza, affinché convincano i loro "colleghi" che ancora non riescono a farlo; agli operatori dei media, affinché buttino via la tentazione di sostituirsi ai protagonisti dello spettacolo e, tiratisi via dai riflettori, tornino a fare informazione ponderata e oggettiva.

Auguri infine al CSI, a coloro che ne hanno costruito la storia e a quelli che lo faranno in futuro. A questi ultimi è impossibile suggerire le cose cattive da buttare e quelle buone da portarsi dietro. Stranamente sono abituati a fare proprio il contrario: a buttarsi dietro le spalle le cose buone già fatte, per ricominciare da zero e venire a capo delle cose sbagliate. Il 31 dicembre la loro festa sarà la più bella: loro, almeno, la porta del terzo millennio potranno varcarla con passo leggero.

Dall’Australia una lezione di civiltà

Quasi 110mila spettatori per salutare una Paraolimpiade che se ne stava andando, altrettanti dodici giorni prima per dare il benvenuto a quello che, in molti, speravano diventasse il nuovo simbolo dei Giochi per atleti disabili. Ha vinto Sydney, ha trionfato un'idea, ha letteralmente spopolato la convinzione che anche un portatore di handicap, quando chiamato a competere in gare di altissimo livello, può dare spettacolo, entusiasmare un'intera nazione, convincere il mondo intero che lo sport è davvero uno e uno solo. Se fossimo al termine di un match di pugilato, potremmo dire che la città australiana, che ha ospitato l'undicesima edizione delle Paraolimpiadi

dall'11 al 29 ottobre scorso, ha vinto per kot dopo pochi secondi del primo round. Barcellona ha dunque una degna erede. Quello che nel 1992 sembrava un successo irripetibile, con la città catalana in festa per un avvenimento atteso per anni, si è puntualmente ripetuto a distanza di otto anni e circa 20mila chilometri più in là.

Chiusa la negativa esperienza statunitense, con Atlanta che rappresentava la classica buccia di banana per Olimpiadi e Paraolimpiadi, con Sydney si è ripreso un cammino entusiasmante. L'appuntamento australiano è stato di quelli abbacinanti per l'intero movimento. E lo dicono i numeri, che difficilmente mentono: i

4000 atleti, le 125 nazioni partecipanti, i 10mila volontari, le 18 discipline in programma, le 550 medaglie d'oro assegnate rappresentano il nuovo record di questa kermesse, cancellando definitivamente, negli occhi di tutti, le immagini di un'Atlanta stanca e insofferente, in disarmo e quasi desiderosa di liberarsi al più presto del fardello di un'Olimpiade e della successiva Paraolimpiade. E mettono nei guai Atene, che dovrà mostrare qualcosa di veramente stupefacente per regalare qualche brivido in più.

Difficile immaginare un impatto migliore di una metropoli e della sua popolazione con i Giochi Paraolimpici. L'entusiasmo della cerimonia d'apertura, la disponibilità

delle migliaia di volontari, la straordinaria organizzazione messa in mostra anche per le Paraolimpiadi ha riscosso consensi e applausi convinti da tutti. Viabilità, mezzi di trasporto, accessibilità agli impianti, partecipazione sono state le armi vincenti. Un numero soltanto per definire il successo dei Paralympics Games di Sydney: i biglietti venduti sono stati la quasi totalità, circa 650mila, un vero trionfo se si considera, tanto per prendere in esame la solita Atlanta, la quasi assoluta assenza del pubblico (con eccezione del nuoto) nella capitale della Georgia: "L'accoglienza della città ai Giochi Paraolimpici si è rivelata ineccepibile - ammette Antonio Vérnole, presidente della Federazione Italiana Sport Disabilima quello che mi ha maggiormente stupito è stato il rapporto della gente di Sydney con le paraolimpiadi, con gli atleti disabili. Invece di essere indignati per una città che ancora stava vivendo intasamenti e traffico per un appuntamento doppio, tutti si sono dimostrati di una disponibilità unica verso i ragazzi, gli atleti, i campioni delle Paraolimpiadi. Si tratta di un segnale importante, che tutte le altre nazioni, Italia compresa, dovrebbero afferrare al volo".

Inesistente o quasi il problema delle barriere architettoniche: "Per chi, come me, che da anni combatte battaglie intense perché nei vecchi e nuovi impianti italiani non esistano barriere che impediscano al disabile di fare sport, Sydney è la città ideale. Attraversamenti pedonali segnati a terra per i non vedenti con bip sonoro progressivo con il sopraggiungere del segnale rosso, bagni pronti ad accogliere tutti, impianti accessibili e perfettamente idonei ad ospitare una manifestazione come questa, senza alcun aggiustamento successivo. Ogni particolare era stato curato alla perfezione, a dimostrazione che in Australia esiste un profondo rispetto per la disabilità, una conoscenza del problema totale, una cultura che non ha paura di affrontare la diversità. E il modo che usano per affrontarla è il migliore. In Italia si è fatto molto, ma parecchia strada deve ancora essere percorsa. Peccato che Roma non abbia avuto la possibilità, nel 2004, di ospitare i Giochi. In questi anni saremmo riusciti a far capire ai cittadini e agli sportivi in genere che un disabile che fa sport è bello da vedere".

Un capitolo a parte merita la questione tecnica. A Sydney, se ancora ce ne fosse

A lato: Lorenzo Ricci.

In basso: Sandra Truccolo. Nella pagina precedente: Paola Fantato.

bisogno, è emersa chiaramente una crescita esponenziale del valore delle competizioni e dei singoli protagonisti, che hanno raggiunto limiti impensabili soltanto qualche anno fa. Al velodromo del ciclismo, tanto per fare un esempio, praticamente in ogni prova veniva demolito il limite paraolimpico o mondiale e non soltanto per una pista dalle caratteristiche straordinarie e dichiaratamente idonee alla performance. Si sono visti in gara veri professionisti, atleti che hanno preparato con cura (spesso insieme a personaggi di spicco) l'appuntamento nella terra dei canguri. Brian Frasure, uno degli atleti di punta della squadra statunitense di atletica leggera (poi sorpreso al controllo antidoping, altro fenomeno emerso in questi Giochi in maniera preoccupante), aveva lavorato per mesi con Marion Jones, la velocista campione olimpica a stelle e strisce, per preparare le gare veloci su pista a Sydney. Troy

Foto
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Sachs, cestista australiano, già protagonista ad Atlanta nel '96, quattro anni nel campionato di basket in carrozzina statunitense e prossimo ad arrivare in Italia con la squadra di Cantù, è stato per mesi l'atleta simbolo di questi giochi, girando l'intera nazione in lungo e largo per presentare la Paraolimpiade. Ma senza perdere di vista parquet e palla a spicchi, visto che si tratta di un fuoriclasse di valore assoluto.

Proprio l'Australia si è dimostrata la nazione più brava a recepire le sollecitazione dei campi di gara. In quattro anni, è balzata in testa al medagliere per nazioni, conquistando la leadership mondiale con 63 medaglie d'oro e circa 150 complessive. A farle compagnia Gran Bretagna e Spagna, due nazioni europee, sugli altri gradini del podio. Per l'Italia, dopo l'irripetibile risultato di Atlanta e le 45 medaglie totali, al termine delle undici giornate di gare gli Azzurri hanno portato a casa 9 ori, 8 argenti e 10 bronzi, che le sono valsi la diciottesima posizione finale, lontano dal record di quattro anni prima, ma difficilmente migliorabile visti i valori in campo: "Credo che la nostra squadra abbia raggiunto un traguardo impensabile alla vigilia - aggiunge il presidente Vérnole - il livello tecnico delle gare di Sydney è stato assolutamente fuori da ogni previsione. Le tecniche di spinta della carrozzina, la qualità del gesto atletico, la grande competitività che tutte le nazioni hanno mostrato in ognuna delle discipline, hanno creato i presupposti per i quali le 27 medaglie totali siano diventate un grande traguardo. Mi sono trovato spesso a rimanere a bocca aperta di fronte a risultati impensabili solo dieci anni fa. La finale dei 100 piani tra atleti amputati, con tre statunitensi e un australiano tutti

A lato: Paolo D’Agostini. In basso: Oscar De Pellegrin. Nella pagina seguente: Alvise De Vidi

di poco sopra gli 11 secondi, hanno segnato un'epoca, una svolta importante. Questa rassegna paraolimpica è davvero diventata una vetrina straordinaria, il miglior veicolo pubblicitario possibile, da mostrare ad un disabile che voglia fare sport. In Italia ci attende un periodo di lavoro duro. Servono giovani motivati, ragazzi che vogliano fare sport. La RAI ha mostrato immagini straordinarie, fornito una documentazione preziosissima. Dobbiamo muoverci sul solco lasciato dagli altri paesi europei. Ma in fretta. Quattro anni, quelli che ci separano da Atene, passano in un batter d'occhio".

L'Italia ha chiuso le Paraolimpiadi di Sydney alla diciottesima posizione del medagliere. Ma ha messo in mostra campioni di caratura mondiale. Straordinaria la prestazione globale di Alvise De Vidi, 34enne tetraplegico trevigiano che ha vinto tre medaglie d'oro (800, 1500 e maratona), un argento (400) e un bronzo (200). Grande conferma di Paola Fantato nell'arco, con il successo individuale e quello di squadra insieme a Sandra Truc-

colo e Anna Menconi. D'oro anche l'arco maschile a squadre, con Oscar De Pellegrin (per lui anche un bronzo nell'individuale), Giuseppe Gabelli e Salvatore Carrubba. Grande esordio per il velocista non vedente Lorenzo Ricci, sul gradino più alto del podio nei 100 piani e oro anche nella 4x100 insieme a Aldo Manganaro (bronzo nei 100 ipovedenti), Matteo Tassetti e Mauro Porpora. Incredibile, infine, la prestazione di Pierangelo Vignati, 29 anni amputato, al velodromo del ciclismo di Dunc Gray, primo nella prova di inseguimento. Ma meritano una segnalazione particolare anche l'argento di Paolo D'Agostini, 49 anni, nel pentathlon per tetraplegici, come le due piazze d'onore di Luca Mazzone nei 50 e 200 sl per paraplegici. È sfuggito ancora una volta l'oro a Andrea Pellegrini nella scherma, ma il campione romano ha comunque conquistato un argento e due bronzi tra fioretto, individuale, e spada, individuale e squadre, quest'ultima insieme a Gerardo Mari, Alberto Serafini e Soriano Ceccanti. Una conferma per

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Maria Ligorio, non vedente, nei 200 piani, con un argento importante, e altrettanto esaltante l'argento di Maurizio Nalin nel getto del peso, dopo il quarto (deludente) posto del pentathlon, dove era campione paraolimpico in carica. Di grande importanza il bronzo di Francesca Porcellato nei 100 piani in carrozzina, a dodici anni dalla prima medaglia paraolimpica. Tre medaglie per la coppia Silvana Valente (non vedente) e la guida Fabrizio Di Somma nel ciclismo: argento nell'inseguimento e bronzo nel chilometro su pista, ancora terzi nella prova su strada. Un bronzo è arrivato anche grazie alla coppia Claudio Costa (non vedente) e Serenella Bortolotto, questa volta nella velocità tandem sprint su pista. Chiusura con Carlo Durante, 54 anni, alla sua terza paraolimpiade: suo il terzo gradino del podio nella maratona per non vedenti.

Alvise De Vidi 5 gare, 5 medaglie

Il più tranquillo era proprio lui, l'uomo che deve vincere due volte. Appena tagliato il traguardo, dopo una rincorsa lunga 200 metri per agguantare lo statunitense Dodson, si era subito diretto ad abbracciare la mamma, Maria Teresa, per la prima volta accanto in una Paraolimpiade, sistemata in tribuna con un tricolore in mano insieme ad Enrico, l'amico del cuore che era stato con lui anche ad Atlanta quattro anni prima. "Sei stato bravissimo", gli aveva sussurrato affettuosamente la mamma in un orecchio, tirandogli un bacio sulla guancia. Alvise si era lasciato andare per un momento, con gli occhi appena lucidi per l'emozione, dopo un 800 fatto di rincorse e di suspance, vissuto nell'incertezza fino al traguardo. Era il momento della festa per Alvise De Vidi, 34enne trevigiano più duro dell'acciaio, un momento che si sarebbe ripetuto altre due volte in pochi giorni, visto che il campione paraolimpico ha vinto, oltre a quello degli 800, anche l'oro nei 1500 e nella maratona, senza dimenticare l'argento nei 400 e il bronzo nei 200. Una festa che si è concretizzata anche al ritorno a casa, con amici e familiari tutti stretti intorno al loro campione: «Ero stanco morto, la fatica si faceva sentire, ma i complimenti fanno sempre piacere - ammette - è stata una Paraolimpiade pesante, con un grande numero di gare disputate in meno di dieci giorni. Avevo bisogno di riposo per smaltire una manifestazione che, nei miei confronti, si è rivelata prodiga di risultati».

La gara della svolta, quella che avrebbe aperto un ciclo è stata la vittoria sugli 800, la prova preferita di Alvise. Mai visto l'atleta dell'Aspea Padova così contento per una vittoria. A mente fredda è quasi piacevole ripercorrere quei momenti: «Mi ero tolto un macigno dallo stomaco», racconta a distanza di tempo. «Ad Atlanta ero uno sconosciuto o quasi, e i successi su 400 e 800, oltre alla seconda piazza nei 1500, erano arrivati a sorpresa. Ma a Sydney, ero per tutti l'uomo da battere, quello da tenere d'occhio per tutta la gara. Tutta questa attesa pesava e molto. Sentivo la responsabilità di vincere ad ogni costo, anche se nessuno mi aveva messo pressione addosso. L'Italia, inoltre, non aveva ancora vinto una medaglia d'oro. Sommando il tutto, facevo fatica quasi a respirare. Quella vittoria ha reso tutto più facile».

Una confessione in piena regola, vanificata poi dalla decisione della giuria di ripetere la gara degli 800, quella che avrebbe aperto una strada lastricata d'oro. «Ero decisamente più tranquillo rispetto alla prima prova. Dopo la gara, mi avevano subito avvertito che, probabilmente, avremmo dovuto correre di nuovo. Ma ormai avevo liberato la testa, sapevo di poter fare bene comunque. Del resto, non ero nuovo ad esperienze del genere. Ad Atlanta, su quei 1500 ripetuti, c'erano state alcune circostanze che mi avevano disturbato: la pioggia battente e la gara corsa dopo poche ore. L'australiano Blattman seppe precedermi e mi accontentai dell'argento. A Sydney ho invece riposato la notte tranquillamente. Ero più nervoso nella prima corsa: la mattina mi ero svegliato alle 4,30 per la tensione e la gara era alle 18. Ma non ho mai pensato che potesse finire come ad Atlanta». Un grazie a molte persone. «Mamma, allenatore, gli amici sponsor: sono in tanti a meritare questa medaglia». Il futuro ancora avvolto dall'incertezza: «È presto per pensare ad una nuova avventura. Ho 34 anni e non so se avrò voglia di fare sacrifici come in questi quattro anni che hanno preceduto Sydney. Ora fatemi godere queste medaglie. Credo di meritare anche qualche ora di sonno…».

Foto Archivio FISD

Chi vincerà la Joy

"Che bello sarebbe arrivare alla fase nazionale della Joy Cup".

Questo è il sogno di tutti quelli che quest'anno partecipano all'attività CSI. Come realizzarlo?

Vediamo insieme il "percorso" che porterà circa 4000 atleti nella prossima primavera a disputare le finali nazionali delle varie discipline. Si tratta di un percorso chiaro, semplice e ricco di significati.

Una fase provinciale, che si svolge in tutti i Comitati d'Italia e che è iniziata nei mesi scorsi.

Quest'anno, infatti, la fase provinciale "Joy Cup" coincide per gli sport di squadra con i Campionati provinciali e per gli sport individuali con i circuiti e le manifestazioni provinciali.

In pratica significa che tutti quelli che oggi stanno giocando nel CSI (nelle categorie interessate) sono di fatto iscritti alla Joy Cup e, di conseguenza, hanno la possibilità di vivere le fasi successive. Una fase regionale, alla quale si qualificheranno, in ogni categoria, due squadre per ogni Comitato provinciale: la vincente del campionato e la vincente di una speciale ed oggettiva "Classifica Fair Play". Ogni regione accenderà i motori della "macchina organizzativa" della fase regionale già da gennaio e così questa primavera assisteremo a fasi regionali o interregionali, diverse tra di loro, ma una più bella dell'altra. Quel che è certo è che in tutta Italia la "fase regionale" non si ridurrà mai ad una semplice partita tra squadre di Comitati diversi. Chi avrà la fortuna di viverla parteciperà ad una manifestazione di buon livello tecnico ma anche di elevato livello associativo… Su questo non c'è dubbio!

Alla fase nazionale, infine, accederanno le vincenti delle fasi regionali o interregionali!

Una fase nazionale che è stata "suddivisa" in due appuntamenti: a Paestum per gli sport individuali ed a Cesenatico per gli sport di squadra. Una fase nazionale che sarà ricca di novità e che si preannuncia entusiasmante.

E, mentre sono in corso le fasi provinciali, c’è chi fa già i pronostici su chi vincerà la Joy Cup del 2001. Oggi, però, c’è una sola certezza!

A vincere saranno tutte le squadre del CSI.

Grande entusiasmo intorno ad una manifestazione che riscuote sempre più successo.

Grande entusiasmo intorno ad una manifestazione che riscuote sempre più successo.

Joy Cup?

La Joy Cup è, infatti, prima di ogni altra cosa una scommessa ed una testimonianza.

La scommessa è quella di dimostrare con i fatti che la nostra associazione ha maturità per coniugare nel modo migliore buon livello tecnico e buona organizzazione con forti valori umani e cristiani.

Le scorse edizioni della Joy Cup lo hanno affermato con chiarezza e senza ombra di dubbio.

Le scommesse educative, però, non si trasformano mai in certezze. Vanno rigiocate con entusiasmo giorno per giorno ed è per questo che tutte le squadre che partecipano ai campionati provinciali (e quindi alla Joy Cup) sono chiamate ad assumersi una grande responsabilità.

Dicevamo che questa manifestazione è anche una testimonianza.

Una testimonianza semplice e forte al tempo stesso.

Che cosa differenzia la Joy Cup da un "tradizionale" campionato nazionale"?

La risposta a questa domanda non si può cercare solo nelle formule organizzative e nei regolamenti.

A "fare la differenza" saranno ancora una volta le persone. Saranno i dirigenti di tutte le squadre che scenderanno in campo a dover "preparare i loro giocatori", a testimoniare di saper "cercare di vincere con coerenza", a fare di ogni gara (anche di quelle che contano) un incontro gioioso e fraterno.

A "giocare per vincere" questa grande partita sono chiamate davvero tutte le squadre che in questi mesi partecipano ai campionati provinciali.

Dall’alto: Viviana Ballardini, Klaus Dibiasi, Girolamo Giovinazzo, Réne Higuita
Nella pagina precedente: Sandro Cuomo, Cristiano Lupatelli

Giacomo Crosa

Èquasi Natale ed è tempo di infiocchettare l'albero molto fruttifero dei

Nati nel CSI. Sotto la punta dell'abete stiamo sistemando, tra palline dorate e stelle filanti, i nomi e le testimonianze dei tanti campioni, sbocciati nell'associazione. Un presepe vivente, polisportivo, fatto non di belle statuine, ma di uomini che hanno voluto raccontarci la loro esperienza giovanile. Ecco allora sul muschio sempre verde, giocare i calciatori; c'è il canestro e il selciato per chi corre. Manca giusto un pezzettino di tartan adibito per l'atletica leggera, un materasso e un'asticella così da far saltare su un Giacomo Crosa ancora molto caldo e concentrato.

«Il CSI è stato per me un compagno di viaggio di un'esperienza felice. Ho gareggiato nella mia carriera solo con una società: l'Italsider di Genova.- esordisce fiero della sua fedeltà il biondo saltatoreRicordo benissimo i campionati CSI ed il titolo italiano vinto a Macerata, all'età di 18 anni. Conservo con cura la medaglia d'oro dentro uno scrigno di legno, molto carino e poi l'articolo con la mia foto su uno "Stadium" oramai d'epoca. Ero giovincello, ma il piacevole ricordo è sicuramente ben presente. Il primo titolo con la dizione di campione italiano non si dimentica mai».

Chi era il suo allenatore, come lo ricorda?

In quel frangente era Oneto, ma frequentavo anche l'allenatore dei mezzofondisti Michele Autuoro, uno dei grandi filosofi, di grande cultura. I rapporti che si avevano con gli allenatori una volta erano di grande passionalità, completamente diversi da quelli di adesso. Senza fare confronti, visti i mutamenti di tutta l'organizzazione sportiva nel tempo, a cominciare dalle trasferte, allora molto più sacrificate, dove però si aveva tempo per instaurare un rapporto molto più semplice, sereno, molto meno complicato: si andava in campo, ti allenavi; c'erano battute e qualche buona parola, poi la gara.

C'è un bell'aneddoto di quei tempi?

La riconoscenza che ebbi nei confronti del presidente della mia società, Morando, il quale, quando saltai per la prima volta i 2 metri a La Spezia, mi regalò diecimilalire (un bel gruzzoletto, all'epoca). Nonostante mi cercassero diverse altre società più blasonate, dopo quel gesto non cambiai più.

Quanto ampio è stato il salto dal CSI, all'Olimpiade? Cosa cambia?

Ogni centimetro in più fa parte dell'evoluzione e della crescita di ogni atleta. Le emozioni dei risultati sono però le stesse. Quando sei alla scoperta del tuo valore, vincere il campionato CSI è come fare il

Giacomo Crosa al Campionato nazionale

CSI di ateltica leggera di Macerata del 1965. Conquista il titolo italiano CSI di salto in alto con m 1,97.

primato italiano. È tutto proporzionato al momento, e all'età, anche la soddisfazione: a livello emozionale il diploma all'Olimpiade vale quanto il primo salto sui 2 metri.

Cosa le ha insegnato lo sport?

Io ho imparato a convivere con gli errori. Nel salto poi è ancor più facile: puoi sbagliare, ma devi subito dimenticare e ricominciare da capo. Poi la concentrazione, che è un elemento che io mi ritrovo anche nella vita di tutti i giorni: più l'impegno è stimolante, più riesco a lavorare al meglio e viceversa. Lo sport, insomma, può insegnare a sbagliare.

Sport, scuola di vita Come si diventa "campioni" nella vita?

È un errore ricorrente quello di creare un binomio campioni nello sport e nella vita. I campioni nello sport spesso nella vita non lo sono affatto, anzi sono dei pessimi esempi. È una grande mistificazione! Il campione sportivo deve essere un esempio per quello che fa sul campo, o in palestra, o in pista. Tu non vinci, non sei un campione se non hai quella capacità di allenarti, di concentrarti, di fare un gesto tecnico perfetto, o quasi. Mi sembra molto ipocrita sfruttare i campioni sportivi, come esempi di vita. Il 60% e forse più non lo sono. Ce ne sono invece di pochi, che andrebbero imitati, su cui però il sistema dell'informazione non si sofferma…

Però, tra testate, pugni ecc questi presunti campioni rischiano di non esserlo nemmeno in fatto di sportività? Non credo debba esserci questa correlazione. Lo sport è in quanto tale, non attraverso i suoi campioni. Questi ultimi non sono per forza la migliore interpretazione dello sport. Le testate, le gomitate sono esempi di una cattiva interpretazione del fatto sportivo. Per un giovane calciatore, Zidane resta un esempio dal punto di vista tecnico, da imitare soltanto per quello che fa con il pallone. Poi sul lato del comportamento non lo è, e la TV

va sempre più smascherando questa ipocrisia di fondo.

Il valore dell'amicizia in uno sport individuale come il salto in alto Qual è la sua esperienza?

Spesso le grandi amicizie nascono dai grandi odi. Ad esempio io ero nemico giurato con i saltatori francesi. In gara non ci si perdonava nulla; come potevamo ci davamo fastidio, sempre correttamente. Ricordo sguardi di fuoco, vere frecciate, anche in allenamento, come a Città del Messico. Nemici giurati, ma fuori dalla pedana grandi amici. Una amicizia che deriva forse dal grande rispetto che si ha per l'avversario. Del resto il salto in alto è anche questo.

Quali altri valori veicola lo sport?

Lo sport è un grande strumento pedagogico. È il modo migliore per conoscersi dentro. È come guardarsi allo specchio: lo specchio non ti perdona nulla. Di vantaggio lo sport ti concede la possibilità di sbagliare, perché ti offre sempre una seconda chance. La vita magari non te la dà. Lo sport ti dà l'esatto tuo valore: primo secondo, terzo… Ed è importante pedagogicamente: siccome è difficile accettare se stessi, lo sport ti abitua a confrontarti con gli altri e a conoscere il valore ed i limiti personali.

Sport di base e di vertice. Quanta la distanza tra le due asticelle?

Lo sport è solo agonistico. Chi gioca in parrocchia o in campionati minori ha la stessa carica di chi va all'Olimpiade. L'unica distinzione che farei è tra i professionisti e i dilettanti, o meglio tra chi

prende soldi e no dall'attività sportiva. Cambiano le pressioni, ma dal punto di vista della partecipazione emotiva, è lo stesso. L'esordio di un ragazzino nel campionato "cadetti" di basket è stressante come quello che lo fa in serie A. Oppure tornando sul tartan, ricordo che mi allenavo con un ragazzino, poco dotato fisicamente, che non aveva nulla del saltatore, ma che amava moltissimo il salto in alto. La sua intelligenza era d'esempio per me. Lui non puntava a fare il record italiano alle Olimpiadi, come riuscì a me, ma allenava la mente, pur saltando solo un metro e quaranta.

Si è parlato di abbattere ogni record all'inizio di questo nuovo millennio Quanto è importante raggiungere un record?

I record sono un ammennicolo, un'appendice statistica allo sport. Del record non m'è mai interessato nulla. Io tengo di più al 6º posto olimpico e al diploma d'onore che ad aver realizzato tre volte il record italiano. Nel salto in alto non contano solo le misure. L'esempio di quel ragazzino è fondamentale: non si staccava da terra, ma trascorreva ore sul campo, perché era il suo esercizio fisico e mentale.

Ma allora, si può ancora solamente partecipare, senza primeggiare?

Purtroppo è opinione corrente che conta solo vincere. A me piace più partecipare. Altrimenti, dal momento che sono pochi quelli che riescono a vincere, sarebbe un mondo di frustrati o di falliti. Siccome in carriera io ho vinto e ho perso, e quando perdevo non mi sentivo affatto un fallito, io mi diverto anche a partecipare.

Con il patrocinio di:

Ministero della Pubblica Istruzione

Regione Lazio

Provincia di Roma

Comune di Roma

Provveditorato agli studi di Roma

Sotto i bastioni di Castel Sant'Angelo, il Centro Sportivo Italiano ha tenuto banco, nella settimana antecedente il Giubileo degli Sportivi, con la manifestazione "In campo per il Giubileo: il Villaggio dello sport". Mettendo in campo un impegno organizzativo notevole, motivato da un duplice e lodevole intento: sottolineare il valore dello sport di base in un contesto, quello del Giubileo degli Sportivi, in cui rischiava di essere schiacciato dal presenzialismo dello sport di vertice; preparare l'evento del 29 ottobre con una serie di riflessioni su temi sportivi. Indirizzato in modo particolare ai giovani, agli studenti delle scuole di ogni grado, il programma del Villaggio ha proposto, oltre ad alcuni talk-show, e a momenti di musica e di festa, la possibilità di "assaggiare" in forma libera e spensierata un bel mucchietto di sport.

Pianeta sport chiama terra

Diario di bordo, data astrale 23 ottobre 2000. L'astronave CSI ha costruito una stazione orbitante, un'immensa piattaforma sovrastata da una cupola trasparente ed ancorata all'atmosfera terrestre. Dalla base di Via della Conciliazione n° 1, nella sala operativa si stanno apprestando le ultime operazioni di lancio. Il countdown è iniziato. Il Ministro per i rapporti con il parlamento, la senatrice Patrizia Toia, ha l'onore e la responsabilità di dare il via all'operazione Villaggio dello Sport.

Di fronte ai monitor rimangono impietriti per l'emozione del momento l'Assessore allo Sport del Comune di Roma Riccardo Milana, il Prof. Giampaolo D'Andrea, sottosegretario ai Beni Culturali, mons. Carlo Mazza, Direttore Ufficio CEI per la pastorale del turismo, tempo libero e sport, ed il

presidente del Centro Sportivo Italiano Edio Costantini. Sulla grand'astronave sono imbarcati migliaia di ragazzi e ragazze, allenatori, professori d'educazione fisica, 200 volontari, e un gruppo non precisato di curiosi.

La cupola rende il titanico complesso orbitante molto simile ad una serra, o meglio, ad una di quelle basi subacquee dei libri di Jules Vèrne, ma la struttura portante è quella di un vascello pirata di fine settecento, e sul cassero di poppa, dove spicca il gran timone e le bandiere del CSI, dell'Unione Europea e del Vaticano, è stato ricostruito fedelmente il complesso di Castel Sant'Angelo. Tutti gli organi d'informazione del mondo non fanno altro che parlare di questa missione, che deciderà probabilmente le sorti del pianeta sportivo.

Lo scopo della spedizione, com'è stato spie-

gato in una conferenza stampa tenutasi pochi giorni prima del lancio, è quello di mandare nello spazio sconosciuto una rappresentativa dello Sport di Base Terrestre per cercare di recuperare i valori sportivi, per incontrare la dimensione parallela dello Sport di Vertice e per confrontarsi sui temi della pace, del divertimento e della spensieratezza. Una missione di recupero, dunque, che si concluderà con l'atterraggio della sonda CSI nello Stadio Olimpico di Roma, il giorno del Giubileo degli Sportivi, di fronte al Santo Padre, per la consegna del messaggio dello Sport Universale.

La Grande Arca, costruita dai volontari del Centro Sportivo Italiano, contiene esempi delle attività sportive più praticate dai nostri ragazzi. Sotto la cupola di cristallo, sulla superficie della stazione sono stati allestiti campi da calcetto 3 vs. 3 e 5 vs. 5,

A lato: il ministro Patrizia Toia dà il fischio d’inizio alle attività del Villaggio. Nella pagina accanto: mons. Crescenzio Sepe, Segretario Generale del Grande Giubileo dell’anno 2000. Suor Paola discute della sua Lazio con Arrigo Sacchi.

campi da Fun-ball (mini tennis), campi da mini volley, campi da basket 3 vs. 3, un percorso Mountain bike con ostacoli naturali e ponte, una struttura Half-Pipe per esibizioni acrobatiche di pattini e skateboard, una parete Free-Climbing per arrampicate, un'area Fitness con ampio spazio per lo Spinning interamente organizzata e gestita dalla Dabliù, un'area Thunder Goal per la misurazione della velocità del tiro ed infine un'area per l'atletica leggera.

Per rendere il viaggio nello spazio profondo meno lungo e faticoso sono stati poi organizzati a bordo, nell'area convegni, dotata di trecento posti a sedere, ben sei talk show, che permetteranno approfondimenti sportivo-culturali riguardanti il terzo mondo, la politica sportiva, la scuola, il futuro della

comunicazione e l'educazione negli oratori. Tutto è pronto dunque per spedire questo micromondo sportivo nelle galassie lontane, per rintracciare i dispersi valori dello Sport, per incontrarsi con culture e popoli diversi, per riscoprirci tutti un po' bambini, per sognare di essere campioni giocando per un giorno insieme a loro e per ricordare ai campioni che anche loro un tempo erano come noi.

Spazio, Ultima Frontiera. La Piattaforma

del Centro Sportivo è lanciata verso l'infinito. La missione è partita. Tutti gli strumenti di bordo dicono che il divertimento è ai massimi livelli. È emozionante per chi vi parla, indossare una tuta spaziale e passeggiare sull'esterno della cupola, all'ombra di Castel Sant'Angelo, ed osservare gli Stand bianchi e i campi da gioco colorati di verde, arancione e di blu, ascoltare nel silenzio siderale il rumore dei palloni che rimbalzano e le grida di gioia e partecipazione degli

Foto A. Criscuoli

oltre 8000 giovani delle scuole romane, che per 1000 ore hanno giocato come dei pazzi, senza l'assillo del risultato o della vittoria, ma solo per muoversi e confrontarsi con se stessi e gli altri. Un Villaggio come questo potrebbe essere costruito in ogni angolo del nostro pianeta. Dalla piattaforma in orbita,

tutti i continenti sembrano uguali e vicini. Nell'Arca del Centro Sportivo non esistono differenze. Tutti i componenti a bordo hanno un unico comune denominatore: sono Sportivi e Terrestri. Oliver, uno splendido ragazzino di 13 anni, proveniente dall'Angola dice di sentirsi in paradiso: «Niente scuola, professori che invece di interrogarti ti passano la palla, i miei amici intorno, il torneo di calcetto, mi sembra un sogno, vorrei non finisse mai». Astronavi d'ambasciatori di pianeti diversi dal mondo dell'amatorialità, attraccano in continuazione per incontrare la cultura del divertimento. Lo Sport professionistico abbandona la propria dimensione per immergersi nel Villaggio terrestre. Ecco

che Eusebio Di Francesco, centrocampista della Roma e della Nazionale di Trapattoni, decide di tirare di fioretto con i piccoli di una scuola di scherma romana. «Signori, a voi» - dice l'allenatore. Parata, affondo, toucher. Niente moviole per una volta. Di Francesco si diverte e basta. Poco più in là

Arrigo Sacchi osserva da lontano il cavallo Varenne trottare nella zona riservata alle mountain bike. Suor Paola nel frattempo è scesa da una piccola navicella con tutti i bimbi della sua scuola. Ron ed Idris si confrontano sul tema dello Sport nel continente nero.

Foto A. Criscuoli

A lato: il presidente del CONI Gianni Petrucci fra mons. Mazza e Edio Costantini. Nella pagina accanto: in alto Bruno Pizzul commenta un incontro di calcio a cinque; al centro il cantante Ron con Idris; in basso il sindaco di Roma Francesco Rutelli con il cardinale Ersilio Tonini.

Il Centro Sportivo ha costruito un'arca anche in Camerun ed ora si cerca di esportare il modello nel resto dell'Africa. Alcuni ragazzini che stavano giocando a basket si precipitano verso lo show man proveniente dal mondo della televisione, uno dei pianeti più misteriosi dell'universo, per gridargli il loro «Forza Juve». Idris li ringrazia chiamandoli "fratelli". Sacchi è sommerso di fogli di carta. L'autografo è un'usanza conosciuta anche nello spazio. Tutto d'un tratto ci sembra di sentire in diffusione la voce di Bruno Pizzul. Infatti, il

noto telecronista è poggiato su un muretto con un mi crofono a filo per fare il commento

della partita tra l'Atletico Van Goof e la nazionale Frati. Tofoli, Fortunato e Decio, campioni d'Italia con la Piaggio Roma Volley, sotto l'occhio attento del loro coach

Franco Bertoli, si esibiscono con la racchetta del Fun-ball. 15 a 0… 15 pari, 30 - 15 per Tofoli. Paolino non si ritrova a fare tanti punti alla volta. Di solito nella pallavolo per

arrivare a 25 ci vogliono una ventina di minuti buoni. Andrea Niccolai, giocatore di basket dell'ADR Roma, non si avventura in sport sconosciuti e si diverte ai tiri liberi sotto canestro. Sulla panchina, vicino alla borsa e al giacchino della tuta è poggiata la Super Coppa di Lega vinta ad inizio stagione dalla squadra romana. L'ha portata con

se come dono del pianeta pallacanestro al Villaggio CSI. Sul palco, nel cuore della stazione spaziale, Teo Mammucari e Toni Santagata, portano una testimonianza del mondo dello spettacolo. Un pianeta diverso da quello dello Sport ma che troppe volte nella dimensione parallela del professionismo viene confuso con lo Sport stesso. Il nostro viaggio nelle galassie prosegue con una premiazione agli abitanti della Stella Sydney. Il CSI premia con il discobolo d'oro tutti gli azzurri che hanno partecipato alle ultime Olimpiadi. Giovanni Pellielo, medaglia di bronzo di tiro al piattello, Andrea Longo (atletica leggera - 800m), Diana Bianchedi (oro nel fioretto), Carlo Mornati (argento nel canottaggio), Rossano Galtarossa ed Alessio Sartori (oro nel canottaggio) e Max Rosolino (campionissimo di nuoto), incontrano i loro giovani fans che con la luce negli occhi sperano un gior-

no di poterli imitare, sfilando, come hanno fatto loro, in una cerimonia d'apertura, magari ad Atene nel 2004. Il momento è molto emozionante ma viene interrotto da un boato proveniente dal campo di calcio a 5. Rene Higuita, il mitico portiere della nazionale colombiana, che nei Mondiali del '90, tentò di dribblare, fuori area, con i piedi, il camerunese Roger Milla, beccando un goal rimasto nella storia, sta sfidando in una partitella tra ragazzi il giovane secondo portiere della Roma, Cristiano Lupatelli. Higuita è qui con l'attuale c.t. della nazionale del suo paese Louis Garcia, e non si fa pregare, dopo aver indossato le scarpe giuste (prima, infatti, stava calciando con i mocassini), ad eseguire la sua celeberrima parata dello scorpione. Garcia è seduto su una panchina ad ammirare Castel Sant'Angelo, ci chiede la formazione della nazionale Italiana e poi, dopo un sospirone, ci confida di temere un po' la prossima partita contro il Brasile di Rivaldo, con una tale calma e spensieratezza, come se parlasse a vecchi amici del prossimo incontro di tresette.

L'incontro ufficiale con la galassia politica avviene attraverso lo sbarco in pompa magna del sindaco Francesco Rutelli. Il nuovo leader del centro sinistra, respirando l'atmosfera amichevole e spensierata del villaggio, ha subito svestito gli abiti dell'ufficialità per raccontare ai presenti le sue passioni calcistiche. Tutto questo mentre i Pizzettari del gruppo di gara siciliano in esibizione acrobatica con le loro pizze, divertivano i passanti e le Fiamme Gialle di Karate insegnavano i princìpi dell'autodifesa e del rispetto. Ma lasciamo andare la piattaforma libera nello spazio senza l'assillo di questa nostra cronaca.

"Il Villaggio dello Sport" è un'avventura appena iniziata e non basterebbe una vita terrestre per poterla raccontare. La sonda del CSI atterrata domenica 29 in pieno Stadio Olimpico conteneva il messaggio di questo mondo sportivo così atipico e lontano, l'incontro tra professionismo, politica, amatorialità, spettacolo, scuola, sociale e religione: «Lo Sport è il linguaggio universale che ci unisce e ci fa volare in mondi e realtà fantastiche. Fare sport significa giocare e per giocare bisogna tornare un po' bambini».

…Passo e chiudo

Ungioco a carattere sportivo-educativo per bambini e ragazzi, da fare in squadra - anche coinvolgendo gli adulti - in famiglia, a scuola, in parrocchia.

Un modo diverso per scoprire il Giubileo del 2000, i suoi significati ed i suoi valori.

Un incontro tra i "segni" del Giubileo e quelli dello sport, che prepara all'appuntamento del 29 ottobre 2000 con il Giubileo degli Sportivi.

Una proposta articolata, in cui confluiscono ludicità, movimento ed i più diversi linguaggi espressivi.

Affinché il Grande Giubileo, come auspica Giovanni Paolo II, parli a tutti di gioia e sia occasione "di un giubilo che si manifesta all'esterno".

oloratissimo, semplice e divertente, "Crea con leo il Giubileo" è uno strumento realizzato dal Centro Sportivo Italiano per partecipare anche ai più piccoli i valori ed i significati del Grande Giubileo del 2000. Attraverso una serie di schede che raccontano, spiegano e suggeriscono, i bambini e le bambine sono guidati in un percorso ludico tra storia, gesti e simboli per comprendere che cos'è un Anno Santo.

Pensato per i bambini, è rivolto ad insegnanti, educatori e catechisti, cui suggerisce contenuti e attività ludicocreative che usano una pluralità di linguaggi espressivi.

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Una politica per lo sport giovanile

Dai campi di periferia ad Atene

Un viaggio possibile suggerito dal convegno "Dai campi di periferia ad Atene: una politica per lo sport giovanile". Proposte a confronto per una reale formazione umana attraverso lo sport.

Due realtà in apparenza contrapposte, due "fratelli" nati dalla stessa madre, ma tenuti distanti l'uno dall'altro solo per interessi di mercato e mancanza di pro fonde riflessioni: può esserci un dialogo tra sport di base e sport di vertice? Ci si può avvicinare per scambiarsi le reciproche ricchezze? La risposta è sì. È con fervida consapevolezza che il CSI ha lanciato questo messaggio durante i giorni che hanno preceduto il Giubileo degli sportivi. Il Presidente Edio

Costantini ha più volte sottolineato il legame tra le due realtà e la necessità di ricordare al grande sport, quello in primo piano, le proprie origini, senza le quali non potrebbe esistere. Senza demonizzare l'apparato sportivo alla ribalta è comunque necessario chiedergli un atto di umiltà per non dimenticare chi, dal "basso", vuole sostegno e validi esempi.

Simonetta Avalle, allenatrice di pallavolo in serie A, presente al convegno, ha dato una preziosa testimonianza rac-

contando dei suoi esordi in un campo parrocchiale nella periferia romana di Tor Sapienza fino ai vertici attuali. Il suo percorso è stato sempre sostenuto da una forte "carica del cuore", così ha definito la passione per la propria scelta ed ha introdotto il tema della formazione dei ragazzi, a loro volta possibili formatori. Non è sufficiente, infatti, fermarsi ai soli traguardi atletici, l'allenamento vero è quello alla vita e a non perdere mai di vista il valore umano completo. Divertimento e confronto, amicizia, dialogo e sicuramente salute. Ecco quindi che «l'investimento sullo sport è un investimento sociale di grande portata», come ha affermato l'Assessore Milana del Comune di Roma, fiero nel riconoscere che l'Italia è comunque una grande nazione sportiva. I risultati ottenuti alle ultime Olimpiadi lo confermano, però c'è ancora molto da fare affinché le istituzioni di governo introducano con più efficacia strutture sportive sia nelle scuole che in tutto il territorio. Ben venga quindi l'associazionismo sportivo supportato dagli enti locali, vero veicolo di uno sport per tutti.

Monsignor Carlo Mazza, Direttore Ufficio CEI per la pastorale del turismo, tempo libero e sport, nei suoi interventi ha ben interpretato i diversi bisogni e le difficoltà del mondo sportivo. Il rapporto difficile che sussiste tra norma, come patto sociale e "cuore", come intento più puro di nutrire i valori da trasmettere si deve risolvere con un concreto progetto di sport. I

punti individuati per rafforzare gli intenti contemplano il principio di sussidiarietà, volto ad incrementare l'attività sportiva in tutti i soggetti, singoli e collettivi, per un fine di bene comune. Un principio che può essere messo in pratica soprattutto grazie all'associazionismo sportivo, che nella nostra cultura, è il motore dell'attività fisica ed infine una vera e propria cultura dello sport trasmessa dalla scuola. Lo sviluppo dei giovani preoccupa la Chiesa ed il cammino da percorrere comincia dalla volontà di capire i ragazzi. Riflettere sull'abbandono frequente della pratica sportiva pone in evidenza la necessità di riprendere delle iniziative aggreganti. Un ulteriore obiettivo sta nel raffinare l'umanità sportiva. «Lo sport ha bisogno di uno scambio di umanità. Se ci fosse maggiore qualità e valore dei rapporti umani, avremmo creato una propedeutica dello sport». Con queste parole Monsignor Mazza, che per ben 4 olimpiadi ha accompagnato i nostri atleti, ci ricorda l'importanza che riveste anche l'educazione ed il rispetto nello scambio verbale tra "addetti ai lavori" di tutti i livelli. Troppe volte si assiste infatti a scontri accesi manifestati in maniera sconveniente o a linguaggi che offendono la sensibilità.

«Lo scopo del Giubileo è far crescere l'umanità» - dice concludendo Mazza - e, quindi, ogni sforzo per migliorare l'ambiente sportivo deve partire dal miglioramento di se stessi, affinché il viaggio ideale verso Atene non sia solo un'inutile Odissea.

I quaderni su CD-Rom

4 4

1 1

Lo sport in parrocchia un momento necessario per la pastorale della comunità

2 2

Le età bambini, ragazzi, giovani, adulti, anziani: ad ognuno il suo sport.

3 3

Le attività proposte per oltre 20 discipline sportive

Impianti e attrezzature quali spazi e per quali sport; norme e procedure per realizzarli

CD-ROM multimediale per Windows 95 o superiore

5 5

6 6

Operatori operatori parrocchiali per allenare, animare, arbitrare, amministrare, comunicare

7 7

La società sportiva i ruoli, lo statuto e i momenti di vita associativa

Manifestazioni gli adempimenti, i regolamenti e i materiali per organizzare lo sport

8 8

Il Centro Sportivo Italiano le proposte del Centro Sportivo Italiano

editore Società unipersonale del Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 00193 Roma

Tel. 06/6867941 fax 06/68802940

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Per riportare lo sport in parrocchia

Mister parroco?

C’era una volta l'oratorio…". Po treb bero iniziare da questo punto milioni di storie: le storie di vita vissuta di tante generazioni.

Colorito agglomerato di varia umanità accorsa a umanissimi richiami, educata e seguita su un percorso spirituale con l'impegno missionario di tanti religiosi e di tanti laici che vivevano la parrocchia come una parte importante della propria esistenza. Un punto di riferimento e di incontro per stare insieme nel quale il tempo non scorreva mai invano. Catechismo e preghiera integrati allo svago, al gioco, alle molteplici iniziative di gruppo. Aperto ad accogliere tutti senza distinzione, ad educare alla vita e pronto a restituire al mondo gente migliore. Tutto questo era l'oratorio. Tutto questo può ancora essere. Se ne è parlato nell'ultimo convegno alla vigilia del Giubileo degli sportivi. "Mister parroco, educare i giovani negli oratori" è stato un valido spunto di riflessione per ricordare quanto lo sport sia importante nella sua fun-

zione di richiamo e collante della comunità parrocchiale. Ben lo sa il CSI, attivo nell'ambito fin dall'inizio del secolo scorso ed ora più che mai impegnato a rafforzarne la sua presenza dopo un periodo di "svalutazione" seguito al Concilio Vaticano. La presenza organizzata dell'attività sportiva all'interno delle parrocchie è un obiettivo sul quale le diocesi devono investire più risorse.

La lucida analisi ci viene offerta da Monsignor Vittorio Peri, consulente ecclesiastico del CSI, che suggerisce l'istituzione di una commissione per incrementare tale presenza.

"In parrocchia si ha a cuore la vita, la persona intera. Lo sport rappresenta una palestra di vita che sviluppa sia la dimensione individuale che quella di gruppo", aggiunge Don Massimiliano Sabbadini,

il consulente ecclesiastico milanese, direttore della FOM (Fondazione Oratori Milanesi) che fornisce anche un dato incoraggiante riguardo alle attività svolte nella diocesi milanese: ben il 90% delle parrocchie promuove attività sportive. Dunque l'esperienza diffusa crede nei fini educativi di tale scelta e fa sì che parrocchia e sport siano "un felice binomio perché si sposa bene nell'idealità".

Con un contagioso entusiasmo, Don Davide Solano, parroco a San Cesareo, ci ha testimoniato, durante il dibattito, il personale impegno verso i "suoi" ragazzi. Il sacerdote colombiano ha espresso con fervore la convinzione che lo sport sia uno strumento educativo fondamentale per i giovani che lo praticano e, non ultimo, se ciò avviene in ambito parrocchiale, un modo per avvicinarli alla fede e seguirli nella crescita spiri-

testimonianza del suo modo di vivere questi due aspetti. Ad esempio, con la sua squadra partecipa alla celebrazione eucaristica prima di ogni partita. È un modo di manifestare la volontà di nutrire lo spirito oltre che di coltivare la forma fisica. La stessa necessità che avverte il nostro atleta Giovanni Pellielo, bronzo alle olimpiadi nel tiro a volo, per il quale le culture religiosa e sportiva sono state parte integrante della formazione. Sport e parrocchia rappresentano due realtà che si integrano perfettamente e che in sinergia tra loro non possono che rafforzare i valori fondamentali da trasmettere per raggiungere gli obiettivi più ambiti. Ora più che mai hanno bisogno l'uno dell'altro anche per colmare i vuoti lasciati da passate rispettive mancanze ma soprattutto per tornare ad attirare l'attenzione dei giovani, così spesso soli e senza

La promozione è dietro l’angolo

Lo sport interroga la scuola e chiede nuovi spa zi. Cronaca di un dibattito per individuare nuovi modelli di sport per i giovani.

Lo "Sport a scuola: sospeso con obbligo di frequenza", questo il titolo, garbatamente provocatorio, che il CSI ha assegnato al convegno del 26 ottobre scorso. Binomio inscindibile quello di sport e scuola nelle rispettive più varie sfaccettature ed è su

grande forza propulsiva a beneficio innegabile della pratica sportiva. Solidarietà, amicizia, competizione fondata sulla capacità, correttezza: questi alcuni dei più importanti valori trasmessi dallo sport che contribuiscono a formare sul piano umano gli uomini e le donne del domani, che vanno oltre i traguardi delle imprese agonistiche, che bisogna coltivare fin da piccoli. Un ruolo decisivo lo giocano gli insegnanti di educazione fisica che, con la loro professionalità, oltre alla tecnica, devono

gnor Zani e il Prof. Mancuso ricorda che "tutte le discipline si devono organizzare per educare alla vita", sono quindi strumenti per raggiungere obiettivi comuni.

L'idea è, insomma, quella che l'aula scolastica sia su un vasto territorio in cui la scuola, pur mantenendo un ruolo centrale, si nutra di altre risorse che concorrono a medesimi obiettivi di formazione. Ecco il senso dei crediti formativi: non più materie di "serie A" o di "serie B", ma percorsi diversi e coordinati tra loro. Se tali intenti vengono meno, il rischio che corre lo sport di base è quello di diventare solo un grande affare economico.

questo tema centrale che si sono snodati gli interventi di tutti i partecipanti, non a caso scelti tra i più alti rappresentanti delle istituzioni e del mondo sportivo.

Il Provveditore agli studi Prof. Paolo Norcia ha sottolineato l'importanza del coordinamento delle attività delle scuole che, nell'ottica dell'attuale autonomia, rappresentano una

poter comunicare il "desiderio di vivere e di progettare un futuro", come suggerisce il Prof. Roberto Tasciotti. Da qui la necessità di un patto formativo tra scuola e associazioni esterne unite dall'intento comune di formazione globale dei ragazzi. "Al centro c'è l'alunno. Portiamo avanti un'idea di scuola della persona e per la persona", esorta Monsi-

Scongiurare questo pericolo è il messaggio che arriva da Andrea Niccolai, giocatore professionista di basket nella squadra ADR Roma, che individua nel modello di scuola americana un bell'esempio di sana pratica sportiva, davvero libera dai compromessi del "mercato" e motivo di orgoglio per gli studenti. Senza imporre modelli d'oltreoceano, sviluppati in una cultura profondamente diversa dalla nostra, possiamo comunque operare e migliorare nel nostro ambito che, da radici antiche, ha fruttato molti meriti.

Per dare concretezza agli obiettivi fissati occorre però creare nuove strutture ed

adeguare quelle esistenti soprattutto al sud del nostro paese. Nonostante si stiano facendo dei passi avanti in questo senso, la strada da percorrere è ancora lunga. "Ottima" è stata invece definita la preparazione atletica anche in ambito scolastico per Klaus Dibiasi, plurimedagliato olimpico nella specialità tuffi, nato e cresciuto a... Bolzano. Dibiasi, con la professionalità indiscussa nel suo settore - allenatore e consigliere federale della FIN - e nel ruolo padre di una figlia di 8 anni, ha sottolineato l'importanza del nuoto per i bambini già dalla più tenera età. Oltre che un'ottima e completa attività fisica, rappresenta infatti anche un "diritto e difesa" per chiunque.

Un futuro di sportivi modello dunque? Perché no, se per sport intendiamo anche la teoria, ovvero acquisiamo una cultura sportiva in senso lato e la consapevolezza che esso sia, prima di tutto, un investimento su se stessi. "Mente sana in corpo sano": non è un caso se questo monito sopravvive intatto da secoli. Facciamola dunque per vincere, per salute, per vanità o per gioco ma non rinunciamo all'attività fisica anche perché non ci sono alibi stando a quel che ci assicurano due campioni presenti alla manifestazione: per tutti, cresciuti o no e con qualsiasi forma fisica ci sono per fortuna degli sport a portata di mano... in tutti i sensi. Quali? La scherma e le bocce, come ci assicurano i professionisti delle rispettive specialità Sandro Cuomo e Dante D'Alessandro.

Dalla “colonizzazione” alla solidarietà

Lo sport nello sviluppo del Terzo Mondo

"Sport for Africa": luci ed ombre del rapporto tra sport e paesi in via di sviluppo e mondo occidentale messe a fuoco dal convegno di apertura al Villaggio dello Sport.

Giustizia, pace e fratellanza tra tutti i popoli del mondo sono i difficili ma possibili traguardi a cui anche l'ambito sportivo può dare un contributo concreto. Il CSI, forte della propria esperienza e in linea con i valori autentici insiti nello sport, ha avviato da oltre 5 anni dei progetti in Africa per la formazione professionale e la realizzazione di società sportive. Questa la sfida lanciata nella convinzione che non sia giusto imporre ai paesi in via di sviluppo il modello occidentale dello sport spettacolo.

Nel primo dei convegni proposti al Villaggio di Castel Sant'Angelo è stata presentata un'iniziativa esemplare per dimostrare uno dei tanti modi in cui si può andare incontro

ai bisogni sportivi del Terzo Mondo. Il paese destinatario dell'intervento è il Camerun e il progetto è quello di acquistare un terreno sul quale allestire una struttura polisportiva per metterla a disposizione di una parrocchia; costruire inoltre una struttura sportiva in un centro di accoglienza per bambini abbandonati.

Solidarietà, quindi, e comunione di intenti tra chi vuole realizzare una vera "civiltà dell'amore", come ci ha invitato a fare il Papa.

Ognuno di noi, nel rispettivo ambito, può concretamente concorrere a questo progetto meraviglioso a patto di "riconoscere e sviluppare i doni che Dio ci ha dato". Il messaggio arriva dal cantante Ron, presente all'incontro per testimoniare come anche con la musica si possano lanciare i semi di una società più giusta e rispettosa. "Dobbiamo volere che tutti possano emergere ma questa è una parola pericolosa: non dobbiamo farci travolgere dal mondo e dalla ricerca esasperata

di tante situazioni personali, sia per chi prende a modello falsi idoli, sia per chi sfrutta il prossimo calpestandone la dignità.

Ciò accade anche nello sport. È frequente, infatti, la pratica di alcune società sportive di "rubare" bambini e giovani dei Paesi più poveri attraendoli con il miraggio di diventare dei campioni per poi abbandonarli ad un destino incerto. Una testimonianza diretta ci è giunta da Alen, giovane camerunense portato in Italia nel 1998 con queste prospettive. Ma lo sport è tutt'altro. La sua forza non si esaurisce nell'addestramento del campione, bensì nel proporsi come motore di aggregazione e di educazione tra i giovani. Le istituzioni devono intervenire efficacemente per garantire strutture adeguate, distribuite in tutto il territorio e politiche mirate al corretto svolgimento delle attività fisiche fin dai primi anni di scuola. E ancora, giustizia tra Paesi del nord e del sud del mondo, remissione dei debiti: tutti temi che sembrano essere lontani dalla nostra portata.

Invece la politica non può fare a meno dei cittadini, "la storia siamo noi" (come cita una nota canzone) sembra essere la sintesi più appropriata per l'intervento della senatrice Patrizia Toia, Ministro per i rapporti con il Parlamento: "dalla globalizzazione non possiamo prendere solo il meglio, abbiamo anche delle responsabilità da affrontare e se la politica gioca un ruolo determinante è indispensabile educare ad essa e sceglierla con passione".

Drammatica la realtà tradotta in cifre per paesi come l'Angola: 10 mila mine antiuomo minacciano tutto il territorio devastato dalla guerra civile. L'On. Giovanni Bianchi ci offre uno spunto di riflessione per comprendere la difficoltà di attuazione di qualsiasi iniziativa in un paese dove sarà lungo il processo di pace. Eppure è evidente il contributo che potranno dare progetti come quelli del CSI: territori bonificati e attrezzati ad accogliere giovani che attraverso la pratica sportiva impareranno ad assaporare i valori del gioco, dell'amicizia e del ri spetto. Gli stessi valori che trasmette con la competenza del professionista e l'amore per la vocazione al sacerdozio Padre Fidelis Anunini, nigeriano, parroco nella diocesi dell'Aquila ed ex portiere della nazionale del proprio paese. Altro ospite presente all'incontro è stato Joseph Atangana, Presidente del Centro Sportivo Camerunese, attivo sostenitore di un progetto educativo e formativo attraverso lo sport.

Ed infine l'intervento di Idris Sanneh, noto commentatore sportivo, che, in quanto africano, ha ringraziato la Chiesa cattolica per il sostegno nel suo continente a tante iniziative utili attuate senza chiedere nulla in cambio. Nell'ottica sportiva, l'Africa ha bisogno della nostra parte migliore, quella più autenticamente vicina ai valori universali che uniscono tutti i popoli per far germogliare, nel rispetto della propria storia e cultura, le grandi potenzialità di cui è dotata.

Mass media e sport

Non di solo calcio vive lo sport

Il grande potere mediatico può mostrare o nascondere, prendere o lasciare, esaltare o comprimere ciò che vuole. Antico dilemma quello di capire se siamo manipolati o artefici noi stessi di un'informazione parziale e conformista. Sta di fatto che, nell'ottica dello sport, a rimetterci è sempre il più debole, se per debolezza intendiamo solo uno scarso traino economico. Ecco quindi soccombere ad una legge spietata lo sport di base e gli "altri" sport diversi dal grande calcio.

e da cui è lecito pretendere di vedere ogni espressione agonistica. Ci ha fornito inoltre alcune cifre: 1.250.000 tesserati dimostrano che la pallavolo è il secondo sport praticato e seguito in Italia; ciò nonostante 1 miliardo e mezzo di diritti televisivi, contro i 1.000 miliardi del calcio, mostrano l'enorme "gap" creato dal volume di "affari". Uno spazio nuovo è rappresentato da internet, potente mezzo democratico dal quale scegliere ciò che più interessa. La Lega Volley attraverso di esso tra-

di nuova formazione e cultura la cui introduzione è già in atto nelle scuole: 2.100 miliardi stanziati nel '98 per dotare gli istituti scolastici di un laboratorio di informatica. Ma torniamo allo sport. Comunicazione e visibilità portano denaro al mondo sportivo che se da una parte può beneficiare di un salto di qualità, dall'altro può rischiare di perdere gli obiettivi originari e soprattutto il contatto con lo sport di base. In questa "strumentalizzazione reciproca", il rischio che l'atleta venga

Analisi, critiche, proposte e riflessioni su nuove realtà hanno dato vita al convegno dal titolo "www.sportfu ture.com - I media e lo sport di base". Numerosi gli atleti che hanno partecipato all'incontro. Franco Bertoli, allenatore della nazionale volley e medaglia di bronzo alle olimpiadi di Los Angeles, ha apertamente criticato l'egemonia della televisione ed in particolare della RAI a cui paghiamo un canone

smette continua informazione e collegamenti in diretta con i campi di gioco. Un canale di comunicazione, questo, che può colmare gli spazi anche tra sport di base e sport di vertice.

Dunque internet, "strumento democratico", sicuramente, ma anche "poco popolare", come precisa l'On. Domenico Volpini della commissione sport alla Camera dei Deputati. Anche qui è una questione

"macinato", prosegue l'On. Volpini, è alto. La conseguenza più drammatica dell'esasperazione dei meccanismi in atto ad altissimi vertici è il fenomeno del doping, ovvero della distruzione dell'atleta. C'è in atto una severa inchiesta parlamentare per condannare tale fenomeno e per tutelare i giovani che troppo spesso si trovano in balia delle società alla ricerca dell'affare più che dello sport.

Se è vero che ci ricordiamo di tante discipline solo alle olimpiadi, è pur vero che "l'ombra" nella quale si muovono le tutela in qualche modo dalle distorsioni più dannose. Giovanni Pellielo, bronzo a Sydney nel tiro a volo, ci ha mostrato uno dei volti più "puliti" dello sport di vertice. Una fusione esemplare tra valori umani e meriti professionali che rende merito alla categoria. Il campione vercellese ha confermato di non avere ambizione di immagine e di riuscire ancora a divertirsi pur mantenendosi ai massimi livelli.

Un messaggio semplice e importante il suo, così come quello di Danilo Palmucci, campione internazionale di triathlon, che ha sottolineato la prerogativa della sua specialità: vertice e base convergono e convivono serenamente. Nella gara chiamata "Iron Man", un'impegnativa prova di corsa, nuoto e ciclismo, ad esempio, partecipano ben 2.000 persone ed ognuno prende la sua collocazione in classifica. "È un falso messaggio che il triathlon non sia per tutti", dice Palmucci, ci sono infatti diverse combinazioni e difficoltà per ogni livello di approccio.

Non facciamone una questione di "buoni e cattivi", impariamo però a guardare oltre a ciò che più facilmente colpisce la nostra attenzione, oltre alle sole regole di un mercato che non ha motivo di esistere se vengono meno le fondamenta di uno sport sano. Lo sport di base, in particolare, ha bisogno di spazio per un dialogo costruttivo.

Sacchi di sportività

Diffondere la cultura della sconfitta e dello spettacolo, tagliare i legami con le frange violente del tifo, rispettare i bilanci. È questo il messaggio lanciato da Arrigo Sacchi per "cambiare il cuore dello sport di domani". L'ex c.t. azzurro, applauditissimo ospite al Villaggio dello Sport di Castel Sant'Angelo ai ragazzi presenti ha dato la sua testimonianza di tecnico e di uomo controcorrente. «Sono contento di essere qui per parlare di etica, altruismo e generosità, perché sono tutti aspetti fondamentali degli sport di squadra. Nello sport spettacolarizzato di oggi si esalta molto l'individualità, ma in realtà il vero leader dev'essere il gruppo, la squadra - ha continuato il tecnico di Fusignano -. Purtroppo per capire questo ci vuole un equilibrio ed una maturità che non tanti giocatori oggi hanno». «Naturalmenteha poi tenuto a precisare - parlo del calcio, perché è questo lo sport che conosco e non voglio trasmettere superficialità in un paese in cui questa dilaga». L'ex tecnico del superMilan, che ha dominato la scena calcistica europea a cavallo tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90, non ha disdegnato altre critiche sull'attuale mondo pallonaro. «Spesso è colpa anche di noi allenatori, preparatori e dirigenti che, con l'obiettivo di vincere non inculchiamo i giusti valori. L'allenatore a volte disattende il suo ruolo, che dovrebbe essere quello di maestro di vita e non solo di calcio. Bisogna imparare ad avere una cultura della sconfitta. È giusto che vinca il migliore, sempre. Non bisogna però cercare di vincere ad ogni costo, ma cercare di esprimere il gioco migliore. In culture più sviluppate della nostra si pensa che una vittoria raggiunta senza merito non è una vera vittoria. Non è così

da noi, dove si cerca con sotterfugi di raggiungere quello che sul campo non ci siamo conquistati. Noi che siamo un popolo di esteti, ce ne dimentichiamo nel calcio e nello sport in genere. Dobbiamo invece tutti trasmettere un messaggio più positivo alle nuove generazioni, che

vanno educate meglio della nostra, con più valori, con un giusto concetto della vittoria e della sconfitta. Solo così lo sport potrà crescere».

In effetti l'educazione sportiva ed il comportamento dei giocatori sono stati sempre un tema assai caro all'Arrigo nazionale, che oltre a predicare quel 4-4-2 totale,

che lo ha reso famoso ovunque, si è sempre dimostrato un'integralista sulla condotta disciplinare. «Cosa significa lo sport? Rispondo anch'io "Mens sana in corpore sano", quindi uno sport che fa bene al corpo ed alla mente, fa bene allo spirito ed al fisico, e ciò credo sia fondamentale. Gli sport di squadra poi mettono in contatto ed aggregano persone, diverse. Ti insegnano a pensare non solo individualmente, ma anche collettivamente. È l'alternativa perfetta per combattere l'egoismo e per incrementare la generosità, l'altruismo e il piacere di stare insieme agli altri. Tutti questi valori cristiani molto positivi. Mi sono sempre battuto affinché i miei ragazzi siano prima di tutto educati. Noi del calcio non siamo affatto un grande esempio di etica e non dobbiamo essere troppo presi d'esempio». Gli chiediamo in ultimo qualche bell'esempio di vera cultura sportiva nella sua lunghissima esperienza e ci risponde «Di esempi costruttivi nella mia carriera ne ricordo pochi: uno quando allenavo in serie C il Rimini. Giocavamo a Treviso ed il nostro centravanti segnò all'ultimo minuto un gol importantissimo, che fu immediatamente annullato perché l'arbitro ci concesse un rigore. Ricordo questo attaccante fare i salti di gioia perché il rigore l'avrebbe battuto un suo compagno in corsa nella classifica cannonieri. Dimostrò quindi molto altruismo ed anche molta fiducia nell'amico che infatti non sbagliò e vinse il titolo dei bomber. Ricordo poi Weah, in una partita che noi giocavamo fuori casa, dove a fine partita ci tirarono di tutto, verso la panchina. Lui aveva un giubbone ed istintivamente corse a coprirmi. Un gesto di vero sport e di grande generosità».

Foto A. Criscuoli

ilvoltoe l’anima dello sport

Tra gli appuntamenti principali del Giubileo degli Sportivi c'era sicuramente il simposio Nel tempo del Giubileo, il volto e l'anima dello sport. Il convegno ha raccolto a sé nella mattinata del sabato, migliaia di sportivi, di cui l'anima (tanto per restare in tema) era ben riconoscibile e rappresentata dal Centro Sportivo Italiano, che ha quindi saputo rispondere degnamente alla richiesta del Comitato centrale per il Giubileo di organizzare l'evento.

Erano oltre seimila le tute e i vessilli del CSI che andavano compattandosi all'interno della sala Nervi, man mano che sopraggiungevano gli oltre 80 pullmann, partiti nella notte da ogni parte d'Italia per raggiungere Roma ed assistere all'incontro che ha segnato l'apertura della due giorni giubilare. La ricorrenza dell'anno 2000 ha costituito la degna occasione per riflettere su alcuni temi principali, quali il volto dello sport, che oggi agli occhi di miliardi di persone è quello diffuso dai media e l'anima dello sport, i suoi valori al di là della sua immagine.

Quattro i relatori, chiamati a rispondere a questi interrogativi e a testimoniare il significato e la rilevanza che il fenomeno sportivo riveste nella società contemporanea: Candido Cannavò, direttore della Gazzetta dello Sport, in Italia in assoluto il quotidiano più letto, invitato dunque a mostrare il ritratto dello sport e della comunicazione sportiva; Sara Simeoni a spiegare lo sport dall'osservatorio di chi lo pratica; Vincenzo Cappelletti, direttore scientifico dell'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, a darne un profilo sociologico; e Dick Wijte, presidente della FICEP, a evidenziare il distinguo cattolico sull'attualità dei fenomeni sportivi.

Nel parterre ospiti illustri come il presidente del Centro Sportivo Camerunense, Atangana «Per i giovani lo sport è una passione: per molti, vivere è giocare, perché non hanno altre possibilità di esprimersi»; il direttore di Tuttosport, Xavier Jacobelli «Io credo che lo sport sia ancora in grado di lanciare messaggi importanti di solidarietà che vadano oltre il mero significato agonistico e tecnico delle competizioni sportive»; il direttore del Corriere dello Sport, Mario Sconcerti «Io credo che lo sport rappresenti l'uomo, nella sua semplicità più grande, nella sua essenzialità. Credo che essere semplici rappresenti un messaggio molto vicino alla cristianità e non è un caso che proprio il movimento cristiano sia stato quello che, per primo, si è impossessato dello sport, per primo al mondo».

Ha inizio davvero la tavola rotonda, quando Monsignor Sepe, padrone di casa, dà il benvenuto a tutti. «Si tratta di un Palazzetto dello Spirito che accoglie il Palazzetto dello Sport, per un abbraccio e per vivere insieme questo momento profondamente umano, sociale, spirituale… Come sapete, il Papa è stato un grande sportivo del corpo e, oggi, lo sta dimostrando anche dello spirito. Mi ha raccontato, qualche giorno fa, a pranzo, un episodio che vorrei raccontare. Normalmente, ognuno di noi ha un ricordo, forse il più antico dell'infanzia. Bene, il primo ricordo della sua infanzia è questo: lui aveva un fratello che è diventato medico e che, poi, è morto; ebbene, un giorno, a casa, mentre giocavano tutti e due con il pallone, il fratello ha dato un calcio al pallone che è andato a finire sulla testa del Papa, il quale, come capita a tutti noi, ha sentito un po' di dolore. Bene, il primo ricordo del Papa è proprio questa partita a pallone che lui ha fatto con il fratello, nella sua casa natale. Questo, per dire come, anche la sportività di questo Papa è qualche cosa che fa parte della sua identità umana, morale e spirituale».

Seduti accanto a Sepe il presidente del CIO Samaranch e quello del CONI Petrucci. Il primo ha tenuto a rimarcare la fratellanza, la solidarietà e lo spirito pacifico fra tutti i popoli del mondo, che hanno animato le recenti Olimpiadi: «Lo sport può raggiungere, ciò che al mondo politico costa molto. Sydney non è stato soltanto un successo per lo sport, ma anche per la solidarietà in tutto il mondo: abbiamo visto, con emozione, il giorno dell'apertura dei Giochi Olimpici, che le squadre della Corea del Nord e della Corea del Sud marciavano insieme, sotto la bandiera della penisola coreana; anche la squadra della Bosnia Erzegovina, questo Paese tanto diviso, le tre comunità Serbia, Croazia e anche la Bosnia, dove gli atleti marciavano insieme e a capo della squadra c'erano i ministri dello Sport, delle tre diverse comunità. E alla fine, anche atleti di Timor partecipavano ai Giochi sotto la bandiera olimpica».

Il n° 1 dello sport italiano, invece, ricordando anch'egli il grande valore spirituale ("i risultati dell'anima"), che ha supportato la spedizione azzurra in Australia ha voluto menzionare Giovenale«Pregare, affinché il benessere fisico sia vivificato dalla salute dell'anima» e ha proseguito: «Il Giubileo proietta la luce del cristianesimo sul fenomeno sportivo come non mai e ne deve esaltare i valori positivi. Per il cristianesimo, lo sport si basa sulla dignità

Aula Paolo VI
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Osservatore Romano

della persona che costituisce il fine e il metro di valore e di giudizio di ogni attività sportiva».

Applausi per tutti, uno sguardo al tavolo dei relatori, ma occhi rivolti ben oltre, verso quella porta laterale, dalla quale si attende l'arrivo del Santo Padre. Che non tarda. Giovanni Paolo II saluta la folla dell'aula Paolo VI, tutta in piedi a scandire il suo nome, a osannare il proprio beniamino, il proprio campione, in un clima da stadio.

E dopo i saluti, il discorso del Papa, breve quanto ricco di significato, segna l'anima degli spettatori, come un gol da vero fuoriclasse.

"Gio-va-nni-Pao-lo" cantano entusiasti in coro i ragazzi del CSI adunati in sala, accompagnando con rapidi batti di mano l'uscita di scena del Santo Padre. Se ne va il campione. Restano i tifosi. Prosegue lo sport negli interventi dei quattro relatori, ma la partita della mattina a quel punto era ormai vinta.

Il discorso del Papa

Il tema che avete scelto, per la vostra riflessione porta l'attenzione sulla natura ed i fini della pratica sportiva, in questo nostro tempo, caratterizzato da molteplici ed importanti mutamenti sociali. Lo sport è sicuramente uno dei fenomeni rilevanti che, con un linguaggio, da tutti comprensibile, può comunicare valori molto profondi, può essere veicolo di alti ideali umani e spirituali, quando è praticato nel pieno rispetto delle regole, ma può anche venir meno, nel suo autentico scopo, quando fa spazio ad altri interessi che ignorano la centralità della persona umana. Il tema parla di volto e di anima dello sport, in effetti l'attività sportiva pone in luce, oltre alle ricche possibilità fisiche dell'uomo, anche le sue capacità intellettualiespirituali.Nonèmerapotenza fisica ed efficienza muscolare, ma ha anche un'anima e deve mostrare il suo volto integrale. Ecco perché il vero atleta non deve lasciarsi travolgere dall'ossessione della perfezione fisica, né lasciarsi soggiogare dalle due leggi della produzione e del consumo o da considerazioni puramente utilitaristiche ed edonistiche. Le potenzialità del fenomeno sportivo, lo rendono strumento significativo, per lo sviluppo globale della persona e fattore quanto mai utile, per la costruzione di una società più a misura dell'uomo, il senso di fratellanza, la magnanimità, l'onestà e il rispetto del corpo. Virtù indubbiamente indispensabili ad ogni uomo atleta, contribuiscono all'edificazione di una società civile, dove all'antagonismo si sostituisca l'agonismo, dove allo scontro, si preferisca l'incontro e, alla contrapposizione astiosa, il confronto leale. Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo, può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri. Non sono purtroppo pochi e, forse, si vanno facendo più evidenti, i segni di un disagio che, talvolta, mette in

discussione gli stessi valori etici, fondanti la pratica sportiva. Accanto ad uno sport che aiuta la persona, ce n'è un altro che la danneggia; accanto ad uno sport che esalta il corpo,cen'èunaltrochelomortifica,lotradisce; accanto ad uno sport che persegue nobili ideali, ce n'è un altro che rincorre soltanto il profitto; accanto a uno sport che unisce, ce n'è un altro che divide. Il mio augurio è che questo Giubileo dello sport sia occasione per tutti, cari responsabili, dirigenti, appassionati di sport ed atleti, di trovare un nuovo slancio creativo e propulsivo, attraverso una pratica sportiva che sappia conciliare, con spirito costruttivo, le complesse esigenze, sollecitate dai cambiamenti culturali e sociali in atto, con quelle immutabili dell'essere umano. Permettetemi ancora una considerazione. Lo sport, mentre favorisce la robustezza fisica e tempra il carattere, non deve mai distrarre dai doveri spirituali, quanti lo praticano e lo apprezzano. Sarebbe, come se si corresse, secondo quanto scrive S. Paolo, solo per una corona corruttibile, dimenticando che, mai, i cristiani possono perdere di vista quella incorruttibile. La dimensione spirituale deve essere coltivata ed armonizzata, con le varie attività di svago, tra le quali si inserisceanchelosport.Iritmidellasocietà moderna e di alcune società agonistiche potrebbero, talvolta, far dimenticare al cristiano la necessità di partecipare all'Assemblea liturgica, nel giorno del Signore. Le esigenze del giusto e meritato svago non possono, però, portare detrimento all'obbligo del fedele di santificare la festa, al contrario, nel giorno del Signore, l'attività sportiva va inserita in un contesto di serena distensione che favorisca lo stare insieme e di crescere nella comunione, specialmente familiare. Formulo, di cuore, fervidi auguri, per questo vostro incontro e, mentre invoco, su voi, la protezione di Maria, assicuro il mio ricordo nella preghiera, per tutti voi e, volentieri, vi benedico! Grazie!

Foto A. Criscuoli

Campioni nellosport, campioni nella vita

Èil pomeriggio di sabato 28 ottobre. Piazza S. Pietro trabocca di gente. Migliaia di pellegrini, sportivi venuti da ogni parte d'Italia per segnare ciascuno personalmente il proprio "gol": varcare cioè la Porta Santa, che significa Giubileo. Tra la folla molti campioni.

René Higuita, il portiere colombiano ce la fa; passa il soglio di S. Pietro, dopo essersi fatto il segno della croce. Altri, il Trap, Rosolino, Di Centa non riescono nella calca generale. Si riabbracceranno più tardi nell'aula Paolo VI, dove ad attenderli c'è un tripudio di gente venuta per l'ultimo appuntamento organizzato

dal CSI. Ragazzi in visibilio nel vedere così da vicino i loro beniamini, i protagonisti dello sport. "Campioni nello sport e nella vita" è il tema del meeting in Sala Nervi. Troppe volte non ci si riesce. Stavolta sul palco a testimoniare il loro esempio salgono i primattori di ogni disciplina; sport ricchi e meno, tutti rappresentati. Ogni campione ha una parola buona, dopo un attento esame di coscienza. Ci sono molti medagliati reduci da Sydney, quelli che meglio hanno saputo trasparire valori umani, come l'accettazione della sconfitta, il rispetto dell'av-

versario, lo spirito di gruppo e di amicizia. Più tardi saranno premiati col discobolo d'oro al merito CSI. A fare gli "onori di casa" un entusiasta Giampiero Galeazzi coadiuvato da Alessandra Canale. Sviluppiamo allora, per chi non c'era, il rullino degli scatti di chi invece era presente su quella tribuna allestita dal CSI: ecco i provini di Trapattoni, il trio d'attacco romanista, Totti-Montella-Delvecchio, mezza difesa laziale, Nesta-PancaroNegro. C'è Di Biagio assieme ad Albertini. C'è il signore degli anelli Yuri Chechi, la judoka Scapin e il pugile Vidoz. Come in un ideale album fotografico, ecco le "istantanee" più significative di quell'indimenticabile giornata.

En z o M a i o r c a : "Il mio sport, grazie al mare, mi ha insegnato ad essere microcosmo fatto a immagine e somiglianza della Luce immensa e che pertanto ha il dovere di tendere sempre verso la luce. Mi ha insegnato la lotta, l'umiltà, la carità, la speranza e la fede. Il merito non è stato mio ma dello sport che ho praticato e soprattutto del mare che è una scuola tutta particolare, una scuola che non ha soffitto, per soffitto ha il cielo, una scuola che non ha pareti, per pareti ha il vento, una scuola che non ha banchi, perché per banchi ha le onde".

Manu ela Di Centa (a proposito del nuovo ruolo di conduttrice televisiva): "Ci sono delle stagioni diverse nella vita. Io ho avuto delle esperienze meravigliose nello sport che mi hanno formata non solo nel fisico ma soprattutto che mi hanno insegnato a convivere con le difficoltà della vita e a mettercela tutta per superarle. Un'altra stagione della mia vita è stata l'esperienza su Rai 3 che è stata durissima però ho tenuto duro fino in fondo. Questo me lo ha insegnato lo sport. Soltanto resistendo ti rendi conto di quale valore hanno le cose che stai facendo".

Ca rl o Mo r n a ti, canottiere, (a proposito della medaglia d'argento a Sydney e del canottaggio in cui non scorrono contratti miliardari): "Lo so che il canottaggio è uno di quegli sport, tra virgolette, minori, però sono scelte, lo sappiamo in partenza

quindi dà tantissime soddisfazioni come penso ogni disciplina olimpica e rifarei tutto, sì, rifarei tutte le gare che ho fatto, veramente, inchinandomi alla forza degli avversari perché di più non si poteva fare".

Di an a B ia n ch e d i, campionessa olimpica di fioretto: "Io ho detto subito che la gioia più grande me l'hanno data le parole delle mie compagne, oltre alle stoccate che hanno messo per farci vincere la medaglia, quando mi sono corse incontro e mi hanno detto che erano felici per me. Sentire queste cose da persone con le quali lavori tutti i giorni e con le quali magari hai anche dei periodi di tensione, è veramente la cosa più grande".

Yuri Chech i: "Io ritengo che sia sempre più una società individualista, tutta la tecnologia, la telematica che ci viene propo-

nellosport, vita

Qui di fianco: il gruppo musicale Schola Cantorum insieme agli atleti che hanno inciso un CD musicale con brani sullo sport, nell’ambito del progetto multimediale ideato da III Millennio. La realizzazione dell’iniziativa all’aula Paolo VI è stata possibile anche grazie alla collaborazione tra CSI e la III Millennio con don Giuseppe Moscati.

sta, ci fa diventare sempre più soli. Lo sport è una cosa, invece, che riesce in qualche modo a farci stare insieme. Fare le cose con passione credo che sia una cosa ideale per avere successo ma il messaggio che con molta serenità vorrei dare è quello di divertirsi. Lo sport è, comunque e soprattutto, divertimento e per questo mi auguro che molti tra voi, giovani e meno giovani, si avvicinino con divertimento, slancio e passione al mondo sportivo".

Massimiliano Rosolino: "Ogni sera faccio la mia preghiera ma, in particolare, prima della gara ho pregato il Signore che mi desse tutte le energie necessarie per dare il massimo e dimostrare al mondo intero quanto valessi".

Andrea L ongo, sesto negli ottocento atletica leggera alle ultime olimpiadi: "…Lo

sport, qualche volta, non lo consiglio: ad altissimi livelli ti può portare qualche scottatura. In tutti questi ragazzi mi rivedo qualche anno fa, è molto emozionante tutto questo ambiente. Per me è bellissimo e penso che, in questi giorni, i veri valori che a volte la nostra società si dimentica, saranno rinfrescati e auguro a questi ragazzi di fare una grandissima esperienza di vita che servirà anche per il futuro".

E infine Ivan Cordoba, difensore dell'Inter: "La prima cosa nella mia famiglia è credere in Dio e poi lottare sempre con forza per tutte le cose che uno ha voglia di vincere, anche perché sono cose che rimangono per i nostri figli… La partita di domani è molto importante: per la prima volta e forse l'ultima giocherò una partita per Dio".

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MAnifeSTo Dello SPorT Per il Terzo Millennio

Lo hanno chiamato "Manifesto dello sport per il terzo millennio" quasi a distinguerlo dall'altro Manifesto, quello presentato a Giovanni Paolo II in occasione del Giubileo degli Sportivi del 1984. Un documento, quello di 16 anni fa, che, dopo aver richiamato le potenziali finalità di promozione umana e sociale dello sport, impegnava i praticanti, le organizzazioni sportive, le istituzioni di governo e i mezzi di informazione all'impegno per la salvaguardia e la diffusione di uno sport orientato ai valori umani.

Non si può dire che quel Manifesto abbia trovato grande attuazione. Giovanni Paolo II non ha mancato di ricordarlo nel corso dell'omelia pronunciata all'Olimpico: "Occorre essere disposti a chiedere perdono per quanto nel mondo dello sport si è fatto o si è omesso, in contrasto con gli impegni assunti nel precedente Giubileo...". Le omissioni sono quelle che hanno portato il fenomeno sportivo, negli ultimi 15 anni, ad un ulteriore degradarsi sul piano etico, ad una sua diffusa perdita di senso che costituisce indebolimento, se non tradimento, delle sue funzioni educative e sociali.

Il nuovo Manifesto non fa "mea culpa" espliciti, ma di fatto denuncia alcuni motivi di degrado ("…l'apparire di fenomeni nuovi che mettono in causa l'etica ed i principi dello sport"), come la corsa al guadagno, lo sfruttamento dei giovani talenti, il doping, la colonizzazione sportiva del Terzo Mondo. Di qui una presa di impegno più netta e precisa, messa in coda al documento, con una mezza dozzina di "condizioni" cui vincolare il modo di vivere, promuovere ed organizzare la pratica sportiva. Avrà miglior sorte il "Manifesto dello sport per il terzo millennio" rispetto al suo predecessore del 1984? La risposta dipende da tutti noi. Difficilmente quegli impegni saranno rispettati se non ci sarà un atteggiamento vigile e propositivo di chi, nel mondo dello sport, in quegli impegni si riconosce. Dopo un paio di giorni il clamore della "domenica col papa" si era già spento nei media. Nessun approfondimento critico c'è stato sul Manifesto e sulle parole stesse indirizzate dal Pontefice al mondo dello sport. Ma quelle parole ci sono state, e nessuno può cancellarle. Richiamarle sovente alla memoria e farne la bussola per una correzione di rotta dipende solo da noi.

Lo sport è uno dei fenomeni rilevanti del nostro tempo. Coinvolge innumerevoli persone in ogni paese del mondo, e si sviluppa ogni giorno di più. Praticato direttamente o vissuto come spettacolo, se opportunamente orientato, costituisce una grande risorsa a disposizione della persona umana e della collettività, poiché è in grado di svolgere importanti funzioni:

- ludica , in quanto si propone come mezzo per sprigionare creatività, gioia, gratuità nella fruizione del tempo libero, sia individuale che collettiva;

- culturale, poiché contribuisce ad una più approfondita conoscenza delle persone, del territorio e dell'ambiente naturale;

- sanitaria, poiché concorre a preservare e migliorare la salute di ogni persona;

- educativa, perché favorisce un'equilibrata formazione individuale e lo sviluppo umano a qualsiasi età

- sociale , in quanto intende promuovere una società più solidale, lottare contro l'intolleranza, il razzismo e la violenza, operare per l'integrazione degli "esclusi";

- etico-spirituale, perché, nel perseguire i valori morali, vuole contribuire allo sviluppo integrale della persona umana;

- religiosa , perché, sviluppando appieno le potenzialità della persona, aiuta ad apprezzare sempre più la vita, che per i credenti è dono di Dio.

Lo sport sa parlare alle persone con un linguaggio semplice, per dire cose importanti:

- che occorre impegnarsi a fondo per realizzare le proprie mète ed aspirazioni, senza tuttavia cadere nel culto della perfezione fisica;

- che bisogna prendere coscienza dei propri limiti e capacità;

- che si deve resistere alla tentazione di arrendersi alle prime difficoltà;

- che la vittoria e la sconfitta fanno parte della vita e quindi bisogna saper vincere senza ambizione, prepotenza e umiliazione dell'avversario, e bisogna saper accettare la sconfitta con la consapevolezza che non si tratta di un dramma irreparabile e che la vera vittoria ciascuno la ottiene dando il meglio di se stesso; - che qualunque competizione deve svolgersi nell'osservanza delle regole, nel rispetto degli altri e senza esasperazioni.

Noi crediamo che oggi le funzioni e le potenzialità del lo sport debbano essere salvaguardate e rafforzate, a fronte dell'apparire di fenomeni nuovi che mettono in causa l'etica ed i principi dello sport.

Lo sport non può diventare elemento ulteriore di divisione tra ricchi e poveri, né la corsa al guadagno e alla vittoria possono privare lo sport dei suoi valori morali. La ricerca e l'addestramento di nuovi talenti tra i minori non può avvenire nella violazione dei diritti fondamentali dei fanciulli e dei ragazzi: diritto al gioco, all'istruzione, ad una vita serena in ambito familiare.

Non è lecito alterare la natura dello sport ricorrendo a prodotti, pratiche e comportamenti che attentano alla salute dell'atleta e falsano il risultato in maniera sleale e ingiusta.

Né lo sport dev'essere appannaggio dei soli paesi ricchi e questi non devono imporre il loro modello sportivo ai popoli economicamente meno sviluppati, né si devono usare le periferie del mondo come riserve per lo sfruttamento di giovani promesse.

Noi vogliamo uno sport che:

- abbia come centro e riferimento costante la dignità della persona umana, e la salvaguardia della sua integrità fisica e morale; - consenta la scoperta di ideali e l'esperienza di valori che migliorino la qualità della vita personale e sociale;

- si sviluppi in modo da conservare sempre, anche nelle sue espressioni agonistiche più alte, quando costituisce carriera e professione, il carattere di confronto leale e gioioso, di incontro amichevole e aperto alla comprensione e alla collaborazione;

- si esprima in forme armonicamente rispettose dei bisogni e delle possibilità psicofisiche di ciascuno, anche in rapporto alle differenti età, senza escludere o emarginare i più deboli e i più poveri, come gli anziani o i diversamente abili;

- cooperi efficacemente ad affermare una cultura della pace, dell'avvicinamento tra i popoli e del dialogo tra le nazioni.

Noi, a nome di atleti, dirigenti e tecnici del movimento olimpico, qui riuniti in occasione del "Giubileo degli Sportivi" del 29 ottobre 2000, ci impegniamo affinché lo sport sia promosso, organizzato e vissuto in modo da:

- essere, soprattutto per i bambini, i ragazzi ed i giovani, scuola di democrazia, partecipazione e solidarietà;

- contrastare ogni forma di discriminazione, intolleranza e violenza, contribuendo ad abbattere i pregiudizi e sconfiggere forme degenerate di nazionalismo;

- rifiutare ogni forma di esasperazione e di sfruttamento, e qualsiasi pratica che possa subordinare la persona umana agli interessi economici e alla ricerca dei risultati; - rispettare e valorizzare l'ambiente.

Ai Governi nazionali, alle istituzioni internazionali, al movimento olimpico e a tutte le organizzazioni sportive chiediamo di far proprio questo Manifesto, impegnandosi a divulgarlo e a realizzarne le aspirazioni, facendone la base per lo sviluppo dello sport del Terzo Millennio.

Un’onda difficile da dimenticare

Bisognava scomodare un Papa per riuscirci, ma il risultato statistico è comunque notevole: nessun ferito, nemmeno un coro razzista, zero espulsi, voglia di tifare contro: non pervenuta, terreno in buone condizioni, ventilazione inapprezzabile, spalti gremiti. Domenica non è sempre domenica. O almeno non è sempre la stessa. Occorrerà aggiornare il calendario, cerchiare di rosso quel 29 ottobre scivolato via come un torrentello in secca sulla coscienza di molti. Ma per chi sa che l'acqua è vita, il Giubileo degli sportivi è stato un mare in tempesta, un'onda che sarà difficile dimenticare.

Lo sport che vogliamo è quello di uno stadio che sa solo fare festa perché solo per questo si riempie. Quello che dimentica la musica e si alza in piedi per cantare l'inno di Mameli, dimostrando che la fede e la storia corrono sempre insieme. È questa la domenica che vogliamo, grondante di speranza e di certezze. Quella di chi non vuole vincitori e vinti se il prezzo da pagare è quello di lasciare dei feriti sull'erba e dei magistrati al lavoro. Quella di chi a certi valori crede a prescindere, senza che debba chiamare un Papa per ogni partita per garantirsi un vigile a centrocampo davanti al quale abbassare la testa e ritrovare un po' di educazione e di misura. Ci daranno degli illusi, sorrideranno sotto i baffi quelli che la sanno lunga, gli ipocriti in servizio permanente effettivo: vederli sfilare in cima alla scala bianca, mischiati a gente vera che allo sport pulito ha dedicato la propria vita, in effetti faceva prudere le mani. Si sono inchinati esattamente come gli altri, hanno abbassato gli occhi come gli altri, sono stati perdonati e benedetti come tutti. Li ho fregati anche stavolta, avranno pensato, allontanandosi dal Papa e da uno stadio che pur grande che sia non poteva contenere la loro vergogna. Ma proprio questo è stato il loro errore. Perché domenica 29 ottobre ha segnato un confine, un punto di non ritorno.

La retorica e le favole le lasciamo volentieri agli altri: sarebbe bello credere che basti un giorno di riflessione comune e di celebrazione candida per dire che lo sport cambierà. Non cambierà purtroppo, o almeno non subito. Ma chi è uscito dall'Olimpico con gli occhi pieni di un sentimento nuovo, una convinzione almeno l'ha avuta: è cambiata la gente, siamo cambiati noi. Noi che ci siamo turati il naso, continuando a pensare che chi picchia sugli spalti "è sempre una minoranza", che il doping esiste "ma sono tanti anche quelli che lo rifiutano", che abbiamo perdonato chi ha trasformato i muscoli in macchine da soldi solo perché "in fondo poi ci fanno divertire". Siamo cambiati, nel senso che la tolleranza è finita, che abbiamo stampato le foto di chi si è inginocchiato davanti al Papa, di chi ha letto i bei messaggi di speranza, di chi ha giocato una partita

"condizionato dalla splendida presenza di un insolito spettatore", di chi ha fatto a gara per non mancare. Belle frasi, grandi afflati, tutti buoni, tutti perfetti. Ma abbiamo le foto e quelle sventoleremo loro in faccia in futuro se e quando sbaglieranno ancora, se e quando continueranno a tradire lo sport come se nulla fosse.

Nemmeno questo basterà forse per la grande rivoluzione morale che servirebbe, ma la grande novità è una consapevolezza diversa da parte di chi guarda, di chi paga il biglietto, di chi è stufo di sentire meravigliosi intendimenti mentre tutto funziona esattamente come prima.

La benzina insomma è finita, si è esaurito il carburante che ha sempre permesso ai distruttori dello sport di funzionare a pieno regime. Quella benzina - spiace dirlo - eravamo noi, complici disgustati ma comunque complici di un sistema sbagliato. Noi con il nostro fatalista disimpegno, noi che abbiamo gridato agli scandali, certo, alzando però le spalle delusi quando poi nessuno pagava. Noi che abbiamo offerto altri modelli, altri ideali, ma siamo anche andati di corsa a comprarci quattro decoder digitali per non perdere "l'altro" sport, quello che ci nausea ma al quale non sappiamo rinunciare. Noi che abbiamo foraggiato le campagne acquisti miliardarie continuando ad andare allo stadio. Noi che crediamo in uno sport diverso ma ci arrendiamo di fronte all'evidenza solo perché è più grande e potente.

Ma la forza nuova arriva da più in alto. Lo abbiamo capito solo adesso, forse perché avevamo bisogno di tempo e di parentesi bianche, di zero a zero che fanno andare in cima alla classifica. Forse perché abbiamo trovato un centravanti straniero capace di stracciare con la sua sola presenza la cronaca incalzante dell'altro sport - quello che il Giubileo lo tradisce ogni giorno - che non conosce tregua, azzanna alla gola e obbliga a ripensare a questa pagina pulita come ad un sogno.

Non ci siamo sbagliati, questo è certo. Non è stato un abbaglio collettivo e le settantamila anime dell'Olimpico non stavano recitando un copione ipocrita tradendo la fiducia e la pazienza generosa di un uomo immenso accampato in mezzo a loro

Qualche infiltrato c'era, è vero. Qualche presenzialista mascherato da pellegrino che non ha saputo resistere al richiamo, malgrado gli scheletri nell'armadio, malgrado le inchieste, malgrado parli in un modo e agisca in un altro.

C'erano anche loro, inquisiti e condannati, gente che allo sport ha fatto del male: in prima fila, come gli altri. Ma loro non hanno vinto, avevano un colore diverso in faccia. Perché il Giubileo è stato di tutti, ma di qualcuno un po' meno: eravamo felici, e magari un po' commossi. Ma non abbastanza per non accorgercene.

a

e i “grandi” sempre in prima fila...

Giovanni Paolo II li ha invitati tutti ad un serio esame di coscienza. Dagli atleti, dalle prestazioni da record ai semplici dilettanti, dai disabili ai fuoriclasse del pallone, tutti indistintamente debbono essere disposti a "chiedere perdono per quanto nel mondo dello sport si è fatto o si è omesso". Il tempio profano del calcio, lo stadio Olimpico, si è trasformato per quattro ore in un luogo di culto e l'incontro giocato tra nazionale italiana e il resto del mondo è stata la partita della riconciliazione, per non ripetere gli eccessi del passato recente e per guardare agli impegni futuri con occhi nuovi. Ma sarà vero? Per Italo Cucci, oggi direttore delle testate del gruppo Monti, quarant'anni di onorata carriera alle spalle nel giornalismo sportivo, le cose non stanno esattamente così.

«Sicuramente una manifestazione molto utile per chi vive il mondo dello sport dall'esterno - ammette Cucci - per chi, come me, lo vive dall'interno le considerazioni da trarne sono amare. Le immagini televisive hanno sottolineato la compostezza e la concentrazione con cui gli atleti seguivano le parole del Santo Padre. Gli inchini fatti davanti a Giovanni Paolo II da parte di alcuni personaggi meritavano di essere accompagnati da sonore sgridate. Purtroppo, il mondo dello sport ha questo aspetto: che più di ogni altro dovrebbe essere per davvero edificante, proprio perché si rivolge ai giovani e ha come principio fondamentale la lealtà ed invece è diventato un carnevale a volte insopportabile. E questo mi è sembrato che stonasse non poco con l'evento giubilare».

Se è diventato un carnevale insopportabile di chi è la colpa?

La colpa è dei tanti che si sono introdotti nel mondo dello sport per ampliare i propri interessi. Vale a dire che lo sport, più di ogni altra cosa, in Italia è diventato la più grande cassa di risonanza e passerella per l'immagine e gli affari altrui. Spesso e volentieri si infilano coloro che hanno

soprattutto portato avanti speculazioni di ogni genere. Personalmente, in queste ore ho sentito parlare solo di show business. In suo nome si sacrifica tutto, si perdona e si giustifica ogni cosa anche la perdita di quei piccoli beni fondamentali che erano la passione genuina e l'amore per la maglia come nel caso del calcio. Durante la mia giovinezza, al bar dello sport ci si batteva moltissimo tra comunisti, fascisti e democristiani, adesso tra interisti, milanisti e juventini. Non so se è stato un grande vantaggio il cambiamento. Ora arrivano gli affaristi che producono ricchezza con lo sport e alla fine, il denaro è entrato in quantità folli a rovinare tutto fin dalla radice.

Ma questo vale soprattutto per il mondo del calcio?

No, io che sono calciofilo e che ho spesso contestato coloro che facevano la morale dalla sponda di altri sport, ho notato con disappunto che il calcio, sentina di tutti i mali, è stato sopravanzato dai dilettanti diventati professionisti che hanno sostituito gli emblemi della patria con le marche del cioccolato, che guadagnano quanto i calciatori, a volte anche molto di più, che si dopano ancora di più. Mentre tutte le altre discipline, che menavano vanto dei princìpi decoubertiniani, abbiamo scoperto che si cambiano addirittura il sangue. E questo è proprio un degrado totale di quella che era l'immagine bella dello sport dovuto al denaro. Ho ascoltato in queste ore l'intervista di un ciclista non più giovane che raccontava che al momento di sottoscrivere un contratto ai tempi dei primi successi, si è sentito dire che doveva sottoscrivere anche le emotrasfusioni pena la disoccupazione. Questo è lo stato dello sport attuale che necessiterebbe, ahimè, ben più di una benedizione. Probabilmente delle lunghe novene perché ne possa venire fuori con l'immagine di una volta.

Lei ha parlato di sport dilettantistico e quello dei professionisti. Sono due mondi che non si incontrano mai?

Direi che ormai fanno parte dello stesso carrozzone. Perché lo sport dilettantistico è rimasto solo come formula. Di volta in volta il mondo olimpico, ad esempio, ha accettato tutte le contaminazioni del mondo commerciale ragion per cui oggi lo show business per eccellenza è l'Olimpiade. Poi ci sono quelle pagine stupende delle due Coree che sfilano sotto la stessa bandiera. Negli ultimi venticinque, trent'anni alcuni tra i momenti più importanti di politica estera si sono verificati al tavolo dello sport. È evidente che correndo verso il progresso e la multimedialità lo sport ha guadagnato. Quello che io facevo notare è quanto ha perso nel momento in cui ha deciso di guadagnare. I conti non mi tornano. Trovo che una bella storia di bandiere non vale poi l'esclusione dei giocatori o di atleti arrivati

all'ultimo traguardo ma scoperti con il doping nel sangue. Questo mi sembra che sia un problema che si può giustificare in nome del progresso, ma sappiamo benissimo che il progresso vuole le sue vittime.

Il Papa nell'omelia ha invitato tutti ad un serio esame di coscienza

Il fatto stesso che stiamo qui a parlarne vuol dire che è in atto una riflessione. Io ho provocato dalle colonne dei miei giornali un dibattito e sicuramente ho procurato amarezza a qualcuno e invece motivo di riflettere a qualcun altro. Il Papa ha mosso, come sempre fa, qualcosa di importante. Io l'avevo già incontrato ai mondiali del '90 ed ho notato in quella circostanza che il Papa non si presta ad occasioni di etichetta. È uomo che sa, che ha vissuto, per cui quando entra in questi argomenti credo che alla fine debba nascondere certe amarezze con il sorriso del padre e cercare di far capire a questa gente che si è sempre in tempo mica a fare scene di pentimenti tremende o cambiare vita radicalmente, ma a darsi una regolata. Quello che ho capito è che c'è stato un invito a darsi una regolata. Mi dispiace che anche il Giubileo degli sportivi si sia svolto in maniera gerarchica.

Nelle prime file i grandi, nelle ultime i piccoli. Mi sarebbe piaciuto in termini molto cristiani che si fosse verificato il contrario.

Però lei pensa che questo invito bonario del Papa sarà accolto?

Se hanno un po' di pudore io credo di sì. È vero che nelle stesse ore in alcuni stadi italiani si mangiavano vivi in nome di un razzismo idiota. Far cadere anche la parola più santa in questa bolgia è veramente difficile. Ma se anche convincesse un solo uomo o una squadra, già sarebbe un risultato miracoloso. Credo che nulla vada disperso di queste occasioni. Mi sarebbe piaciuto che non ci si fosse fermati alla cornice e si fosse entrati un po' nel quadro per capire i motivi di grande pentimento che dovrebbe avere il mondo dello sport.

Gli altri sport considerati minori o elitari come la vela di cui si parla solo in certe vittoriose occasioni, salvo poi relegarli nel dimenticatoio?

Ha detto bene. Se ne parla quando c'è ancora quella presenza nazionalista che la disciplina contiene. Anche qui si nota che un grande industriale decide di entrare nel business della vela e, da una parte,

ottiene il risultato sportivo che fa onore al paese e, dall'altra parte, il ritorno di immagine che fa onore all'azienda. Anche questo lo trovo un aspetto entusiasmante, a volte, ma molto spettacolare. Esattamente come le corse che hanno visto vincitrice la Ferrari pur se legate al ricordo di giovani che hanno perso la vita, ai motori che ruggiscono, ad un uomo che non c'è più: Enzo Ferrari. Quella è davvero passione genuina di gente che magari ha la cinquecento e sogna il bolide che conquista i traguardi mondiali.

Come fare per promuovere la conoscenza delle discipline sportive meno praticate? Credo che nella conoscenza ci sia il seme della deviazione. Se fai uno sport, fallo senza clamore. Non c'è alcun bisogno di folle che applaudono, già ci pensano i genitori a rovinare tutto. Lo sport vero è quello che si fa, non quello che si dice di voler fare o che si fa vedere. Questo è il miglior modo per mantenerlo in vita. Ci sono ogni domenica centinaia di migliaia di ragazzi che giocano a pallone e che non hanno bisogno della trasmissione televisiva per divertirsi. Da ragazzo vissuto a lungo in un oratorio salesiano, penso che quello che manca molto oggi allo sport italiano sia proprio l'oratorio.

Il Papa allo stadio

Il senso della straordinaria e indimenticabile assemblea del Giubileo degli sportivi appare da quella visione prospettica del Pontefice che guarda divertito un Olimpico traboccante di popolo in festa con dei bambini accovacciati ai suoi piedi. Un'immagine che fa sintesi di un evento storico e che illustra il clima, lo stile, il messaggio centrale del Giubileo, ma che avverte, in modo sempre più consapevole, il bisogno del "nuovo", l'urgenza della rigenerazione.

Il "nuovo" come responsabilità ineludibile

Un'esigenza di rinnovamento che nasce dall'evidenza dei "fatti" e dall'evoluzione delle "cose sportive". Il Giubileo, sotto questo aspetto, ha rappresentato il "momento verità" in forza della sua natura di tempo spirituale ancorato alla storia e, dunque, al tempo di sincerità che conduce alla autentica responsabilità. I gesti compiuti, le parole dette, gli auspici proclamati recano in sé una forza ideale e pratica che sarebbe da insensati non considerare come un dono e un compito, e con la quale misurarsi mettendo in conto i limiti dell'umano e delle concrete situazioni. Il nuovo appare decifrabile con alcuni criteri esplicativi che diventano criteri che presiedono le scelte sportive. Anzitutto lo sport come "segno del tempo". Il papa non ha trascurato di ricordarlo con efficacia. In secondo luogo, dalla considerazione della valenza planetaria e culturale dello sport, discende una responsabilità irrefutabile per tutti: dai dirigenti agli atleti, dai tifosi alle famiglie,

dalla scuola alle società e alle imprese sportive. Si vuol credere che sia così. La verità del vissuto giubilare, in tutta la sua dinamica propositiva e provocatoria, infatti, ci convince che qui è in gioco il futuro dello sport per ricominciare con nuova determinazione e nuovo impegno. Le settantamila persone presenti nello stadio non sono venute semplicemente animate da attese di divertimento, ma profondamente consapevoli di rappresentare una coscienza e una presenza eloquente, una massiccia partecipazione per dire che lo sport sia restituito a se stesso, non sia asservito a nessuno e non diventi strumento per altre finalità. Anzi l'importanza di quella assemblea libera e festosa sta a significare che lo sport non ha bisogno di altre ingerenze per essere sport, se non quella irrinunciabile della competenza, della cultura, della passione, della festa, della spiritualità, della civiltà. Sotto questi profili il Giubileo degli sportivi non poteva non essere un tempo di conversione, di ritrovamento di sé, di esame di coscienza, di perdono e di sapiente rilancio. Non per niente il Giubileo ha infastidito soltanto i critici ad oltranza, che non amano la "gente di sport" e chi fa sport per pura passione e quelli che dello sport usano e abusano per altri fini.

Un umanesimo sportivo

Dalle parole e dai fatti del Giubileo degli sportivi, emerge ancor più solida la convinzione che lo sport propone un modo di essere uomini e donne del XXI secolo. Appunto perché lo sport non è il tutto, non assurge a criterio dello "stantis aut

cedentis mundi", ma semplicemente un'attività umana che suppone una filosofia della vita, una modesta realtà di fronte a istanze ben più valenti e determinanti, lo sport chiede che sia vissuto e condiviso nella sua identità e nella sua finalizzazione, nel rispetto delle sue regole e delle sue specificità strutturali. Su tale prospettiva la persona umana si perfeziona nello sport e lo sport perfeziona se tiene conto in modo primario della persona umana. È questo il guadagno che viene dal Giubileo degli sportivi, che costituisce l'acquisto più prezioso e di più ampio consenso sociale, e sta a fondamento di uno sport a misura delle attese del tempo presente, capace di sconfiggere i mali annidatisi surretiziamente quali la violenza, il doping e il peso sproporzionato del denaro.

L'esemplarità di Giovanni Paolo II

Si racconta, a ragione, della passione sportiva di Giovanni Paolo II coltivata fin dai tempi della giovinezza. Ma l'esemplarità del Santo Padre va ben oltre ed è sotto gli occhi di tutti suscitando un'ammirazione incondizionata. La direi, nella sua dedizione senza limiti verso l'umanità intera, un essere costantemente volto al bene dell'uomo, con una luminosa intelligenza della realtà che non conosce discriminazioni, una totale generosità nel donarsi senza riserve. Ritorna eloquente l'icona evocata all'inizio: il Papa seduto in tribuna, circondato dai più alti rappresentanti mondiali dello sport, e da quei bambini garruli e indisturbati che gli ponevano domande ingenue ma per loro decisive.

Dall’omelia

del

Santo Padre allo Stadio

Olimpico

(…)

Con questa celebrazione il mondo dello sport si unisce, come un grandioso coro, per esprimere attraverso la preghiera, il canto, il gioco, il movimento, un inno di lode e di ringraziamento al Signore. È l'occasione propizia per rendere grazie a Dio per il dono dello sport, in cui l'uomo esercita il corpo, l'intelligenza, la volontà, riconoscendo in queste sue capacità altrettanti doni del suo Creatore. Grande importanza assume oggi la pratica sportiva, perché può favorire l'affermarsi nei giovani di valori importanti quali la lealtà, la perseveranza, l'amicizia, la condivisione, la solidarietà. E proprio per tale motivo, in questi ultimi anni essa è andata sempre più sviluppandosi come uno dei fenomeni tipici della modernità, quasi un "segno dei tempi" capace di interpretare nuove esigenze e nuove attese dell'umanità. Lo sport si è diffuso in ogni angolo del mondo, superando diversità di culture e di nazioni.

Per il profilo planetario assunto da questa attività, è grande la responsabilità degli sportivi nel mondo. Essi sono chiamati a fare dello sport un'occasione di incontro e di dialogo, al di là di ogni barriera di lingua, di razza, di cultura. Lo sport può, infatti, recare un valido apporto alla pacifica intesa fra i popoli e contribuire all'affermarsi nel mondo della nuova civiltà dell'amore.

G A B R I E L O M A R B A T I S T U T A calciatore

A BEL BALBO c alciatore

La chiesa è mia madre. L'Eucaristia è il centro della mia vita. È un privilegio spirituale vivere il Giubileo a Roma. La mia emozione più grande non è legata ad un gol, ma a mio figlio che, per la prima volta, recita l'Ave Maria. Il mio obiettivo è realizzare il pro-

getto che Dio ha pensato per me. Cerco di rispondere alla mia vocazione con mia moglie Lucila e con i miei due figli, Nicolas e Federico. Cerchiamo di essere una famiglia cristiana e la nostra vita ruota intorno alla fede in Dio. Ai tifosi dico: sì, venite allo stadio, applaudite un bel gol. Ma la vita vera è Cristo!

Ho sempre avuto fede, anche nei momenti più difficili. Sicuramente la mia famiglia mi ha aiutato moltissimo nel cammino di fede. Devo innanzitutto ringraziare i miei genitori se oggi sono fermamente convinto che Gesù è il figlio di Dio. Ho ben presente di essere una persona fortunata: il Signore mi ha concesso davvero tanto, anche troppo!

Sono ricco, famoso e ho una bella famiglia. Il calcio ti dà successo, ma rischia di farti perdere contatto con la realtà. Siamo sempre sotto i riflettori, abbiamo grandi responsabilità verso i più giovani e un giorno dovremo rispondere dei nostri comportamenti.

FRANCESCO T OTTI calciatore È l'anno del Giubileo e vedere gente di tutto il mondo che

Il Grande Giubileo dell'Anno 2000 invita tutti e ciascuno ad un serio cammino di riflessione e di conversione. Può il mondo dello sport esimersi da questo provvidenziale dinamismo spirituale? No! Anzi proprio l'importanza che lo sport oggi riveste invita quanti vi partecipano a cogliere questa opportunità per un esame di coscienza. È importante rilevare e promuovere i tanti aspetti positivi dello sport, ma è doveroso anche cogliere le situazioni in vario modo trasgressive a cui esso può cedere.

Le potenzialità educative e spirituali dello sport devono rendere i credenti e gli uomini di buona volontà uniti e decisi nel contrastare ogni aspetto deviante che vi si potesse insinuare, riconoscendovi un fenomeno contrario allo sviluppo pieno della persona e alla sua gioia di vivere. È necessaria ogni cura per la salvaguardia del corpo umano da ogni attentato alla sua integrità, da ogni sfruttamento, da ogni idolatria.

Occorre essere disposti a chiedere perdono per quanto nel mondo dello sport si è fatto o si è omesso, in contrasto con gli impegni assunti nel precedente Giubileo. Essi saranno ribaditi nel "Manifesto dello Sport", che tra poco sarà presentato. Possa questa verifica offrire a tutti - dirigenti, tecnici ed atleti - l'occasione per ritrovare un nuovo slancio creativo e propulsivo, così che lo sport risponda, senza snaturarsi, alle esigenze dei nostri tempi: uno sport che tuteli i deboli e non escluda nessuno, che liberi i giovani dalle insidie dell'apatia e dell'indifferenza, e susciti in loro un sano agonismo; uno sport che sia fattore di emancipazione dei Paesi più poveri ed aiuto a cancellare l'intolleranza e a costruire un mondo più fraterno e solidale; uno sport che contribuisca a far amare la vita, educhi al sacrificio, al rispetto ed alla responsabilità, portando alla piena valorizzazione di ogni persona umana.

arriva a Roma è sì motivo di orgoglio, ma è soprattutto un esempio per noi romani e… soprattutto per noi calciatori. (Parlando della visita al Bambin Gesù): la vita vera è lì, non nel prato dell'Olimpico. Il dolore vissuto dai bambini è una prova. Quei piccoli malati li considero tutti miei fratellini, e regalare un po' del mio tempo a loro è il minimo. Vale più un loro sorriso che un gol in una partita decisiva. Per

quelli che soffrono bisogna fare cose serie.

FABIO CAPELLO allenatore

La fede è fondamentale nella mia vita, così mi pare naturale trasmetterla ai miei figli. A loro insegno l'importanza della preghiera. Ho sempre pregato tanto per ringraziare Dio per ciò che, senza mio merito, ha voluto donarmi. Dire che l'allenatore deve

essere anche educatore, forse, è una parola un po' grossa, però alla fine è quella giusta. Magari con i giovani calciatori è più facile instaurare un rapporto educativo.

DAMIANO TOMMAS I calciatore

I miei genitori sono stati i miei primi catechisti. Ho sempre frequentato la mia parrocchia e i ritiri spirituali. La mia vita di fede la condivido con

mia moglie Chiara, che ha fatto anche l'esperienza di catechista. Nel mondo del calcio, purtroppo, la fede non è molto "presente". Si potrebbe fare di più. Ricordo che quando giocavo a Verona avevo un compagno di squadra che da anni non andava più a Messa. Mi chiese perché io partecipassi sempre alle celebrazioni eucaristiche. Abbiamo parlato. Lui è tornato in chiesa e dopo molti anni si è riaccostato

“Chi semina nelle lacrime, mieterà con giubilo" (Sal 125,5). Il Salmo responsoriale ci ha ricordato che per riuscire nella vita bisogna perseverare nella fatica. Chi pratica lo sport questo lo sa bene: è solo a prezzo di faticosi allenamenti che si ottengono risultati significativi. Per questo lo sportivo è d'accordo col Salmista quando afferma che la fatica spesa nella semina trova ricompensa nella gioia della mietitura: "Nell'andare se ne va e piange, portando la semente da gettare, ma nel tornare viene con giubilo, portando i suoi covoni" (Sal 125,6).

Nelle recenti Olimpiadi di Sydney abbiamo ammirato le imprese di grandi atleti, che per giungere a quei risultati si sono sacrificati per anni, ogni giorno. Questa è la logica dello sport, specialmente dello sport olimpico; ed è anche la logica della vita: senza sacrifici non si ottengono risultati importanti, e nemmeno autentiche soddisfazioni.

Ce lo ha ricordato ancora una volta l'apostolo Paolo: "Ogni atleta è temperante in tutto; essi lo fanno per ottenere una corona corruttibile, noi invece una incorruttibile" (1 Cor 9,25). Ogni cristiano è chiamato a diventare un valido atleta di Cristo, cioè un testimone fedele e coraggioso del suo Vangelo. Ma per riuscire in ciò è necessario che egli perseveri nella preghiera, si alleni nella virtù, segua in tutto il divino Maestro.

In effetti, è Lui il vero atleta di Dio; Cristo è l'Uomo "più forte" (cfr Mc 1,7), che per noi ha affrontato e sconfitto l'"avversario", satana, con la potenza dello Spirito Santo, inaugurando il Regno di Dio. Egli ci insegna che per entrare nella gloria bisogna passare attraverso la passione (cfr Lc 24,26.46), e ci ha preceduto in questa via, perché ne seguiamo le orme.

Ci aiuti il Grande Giubileo a rafforzarci e ad irrobustirci per affrontare le sfide che ci attendono in quest'alba del terzo millennio. (…)

all'eucaristia il giorno in cui il figlio ha fatto la Prima Comunione.

MARCE LO SALAS

c alciatore

Prego ogni giorno, ho imparato a farlo da bambino e ho capito quanto sia importante. Non conta il successo, non conta avere una bella casa o possedere ricchezze materiali. L'importante è la vita e la vita è la fede. Solo con Dio l'uomo

può costruire qualcosa di bello. E noi calciatori famosi abbiamo un ruolo. Personalmente cerco di offrire sempre un'immagine positiva. Non so quanto possa servire però vedo quanto i giovani ci seguono.

FABRIZIO RAVANE LLI calciatore

Credo di avere una fede semplice, come si dice "genuina". Da questa fede penso di tirare

fuori la forza e la voglia di vivere onestamente e sinceramente. Non mi stanco mai di ringraziare Dio per ciò che mi ha donato, a cominciare dalla mia meravigliosa famiglia. So che cosa vo glia dire essere poveri e deboli. Sento doveroso impegnarmi per aiutare le persone meno fortunate, a cominciare dai bambini malati. Vado a trovarli, porto loro palloni e magliette. Certo, non posso guarirli, ma se almeno

per un momento ritrovano il sorriso...

GIUSEPPE FAVAL LI calciatore

Sono nato in una famiglia molto religiosa. Per me la fede è una realtà davvero importante, è un sostegno sia nei momenti di difficoltà che nei momenti di gioia. Gesù Cristo è molto presente nella mia vita di ogni giorno. Sono arrivato alla fede grazie all'educa-

Saluto del presidente del CIO

Santità, mi permetta a nome di tutti gli sportivi del mondo, adunati sotto la bandiera olimpica, di renderLe omaggio, per l'appoggio che sempre ci ha dato, nello sviluppo dello sport, come scuola di formazione del corpo e dello spirito. Il profondo interesse e l'esperienza personale di Vostra Santità, in tutto ciò che si riferisce allo sport, ci onora tutti. Il movimento olimpico, ha, come obiettivo, il contribuire alla ricostruzione di un mondo migliore e più pacifico, educando la gioventù, attraverso lo sport praticato, senza nessun tipo di discriminazione e nello spirito olimpico che esige comprensione umana, solidarietà e pace. La vera ricchezza di un essere umano è la sua educazione, basata sui valori morali e sul rispetto dei principi etici universali, di cui lo sport occupa un posto eminente. Gli sportivi e i dirigenti di tutto il mondo sollecitano

Vostra Santità, affinché si degni di accettare l'espressione della nostra gratitudine e il nostro profondo rispetto. Grazie!

Dal saluto del presidente del CONI Giovanni Petrucci al Santo Padre

«... La nostra presenza qui non è un semplice gesto di cortesia, di omaggio e di affetto nei confronti della persona di Vostra Santità, ma vuole affermare la profonda consonanza che gli sportivi avvertono tra i grandi valori umani e spirituali dell'evento giubilare e i contenuti etici, culturali e sociali dell'esperienza sportiva.

Dalla celebrazione odierna e dalle parole che Ella vorrà indirizzarci, ci ripromettiamo la capacità, il coraggio e il proposito di penetrare in maniera più veritiera la realtà del fenomeno sportivo che quotidianamente interpretiamo, di diventare consapevoli dei pericoli che ne minacciano l'autenticità e la genuinità, di saper meglio ricavare dall'esperienza le immense ricchezze umane che lo sport può generosamente dispensare...»

zione della mia famiglia che, con il passare degli anni, ho riconosciuto essere l'educazione giusta. La mia famiglia mi ha sempre aiutato, sostenuto. Non ho mai avuto dubbi riguardo alla fede, non ho mai smesso pensare che Dio esista, nonostante il male che ci circonda. Credo che il bene sia sempre più forte del male.

LUCA MARCHEGIANI calciatore

La fede incide nella mia vita e quindi non posso fare finta di niente. Noi personaggi pubblici, e in più credenti, abbiamo doveri molto grandi nei confronti dei giovani, dei bambini che ci seguono e ci considerano idoli. Nel nostro lavoro non abbiamo particolari missioni religiose, o meglio, se siamo calciatori non abbiamo missioni più importanti rispetto ad altre categorie di lavoratori. Ma è un obbligo umano dare

Sopra: mons. Carlo Mazza, conduce il pellegrinaggio degli sportivi verso la Porta Santa accompagnato da mons. Vittorio Peri, consulente ecclesiastico nazionale del CSI, don Giulio Bernardinello, presidente dell’ANSPI, e don Gianni Gherardi, già consulente ecclesiastico nazionale del CSI.

un esempio di vita vissuta secondo certe regole di comportamento morale.

SVE N GORAN ERIKSSON allenatore

Vedo che il dialogo è una realtà importante per tutti e lo è dunque ancora di più per i cristiani. Tra cattolici e protestanti, come me, oggi c'è molto più dialogo, ci sono molte più aperture. Ci conosciamo meglio. Credo in Dio e

cerco di comportarmi di conseguenza. Certo, non è facile. Ritengo fondamentale rispettare il prossimo, non facendo mai del male a nessuno. È un rispetto da avere non solo per ogni uomo, chiunque egli sia, ma anche per il creato, per la natura. Nel mio lavoro di allenatore cerco di dimostrare, con i fatti, di credere in qualcosa di più grande di noi uomini e di comportarmi in maniera rispettosa.

di Giancarlo La Vella

Interesse o curiosità?

Sbatti il Giubileo in prima pagina

Grande il risalto dato da tutti i quotidiani nazionali al Giubileo degli Sportivi. Un interesse vero per il messaggio lanciato dal Papa per uno sport diverso o solo curiosità nel vedere il Santo Padre assistere ad una partita di calcio allo Stadio Olimpico?

testimone c'è un po' del significato del Giubileo.

«Si può pregare anche con una “ola”, con un frenetico batter di piedi» commenta il Messaggero circa la suggestiva partecipazione sugli spalti. «È il nuovo linguaggio della preghiera - commentava Alessandra, uscendo dalla tribuna Tevere con i due figli per mano» proseguono le righe del quotidiano romano.

"L'Olimpico aspetta il Papa"; "Esaltate il corpo senza dimenticare l'anima"; "Lo sport si penta dei suoi errori"; "Forza Papa"; e ancora "Wojtyla segna il gol più bello". Questi sono solo alcuni dei titoli a nove colonne tratti dai giornali italiani nei giorni del Giubileo degli Sportivi. La rosea Gazzetta lo ricorda come "un giorno da incorniciare" aggiungendo nel fondo del suo direttore come "nello stadio il campione era Lui". Su tutta la stampa del settore e non, gigantografie del Papa benedicente. In una sorta di spontanea e incruenta rivoluzione, il mondo della comunicazione si è chinato davanti al grande evento. È stata vera controinformazione, dove argomenti sportivi hanno occupato pagine solitamente dedicate ad argomenti "più seri" e, al contrario, gli inserti del lunedì sul campionato hanno abbandonato le polemiche sui rigori assegnati o negati per commentare l'omelia di Giovanni Paolo II pronunciata allo stadio Olimpico prima della partita Italia - Resto del Mondo. Per qualche giorno i più esperti vaticanisti e le più note firme del giornalismo sportivo si sono idealmente stretti la mano, dandosi, per così dire, il cambio. Anche in questo passaggio di

Le cronache di quei giorni hanno poi rispolverato i numerosi interventi del Papa sull'attività fisica e si sono ricordate le passioni agonistiche di Karol Wojtyla. Nel '78 il giovane e forte Pontefice, appena asceso al ministero petrino, faceva quasi scandalo quando qualche paparazzo lo riprendeva, sci ai piedi, affrontare uno slalom sulle nevi d'Abruzzo in tuta rigorosamente bianca. Oggi lo vorremmo ancora così il Papa atleta che ha cambiato le sorti del mondo e che ha parlato intensamente ad ognuno di noi. Ma il vecchio Karol, nel suo animo, è ancora uno sportivo vero. Proprio perché amante dell'agonismo più puro, non ha esitato a bacchettare il doping, la violenza e gli altri eccessi che rischiano di rovinare il mondo dello sport. Orazio Petrosillo, sempre sulle pagine del Messaggero, ha definito il Pontefice come «il Papa dei sette sport. Tanti ne ha praticati, come il calcio, l'hockey, la canoa, lo sci, il nuoto». Riporta poi le parole dello stesso Wojtyla: «Di me si dovrà dire non solo che era Papa, ma anche che sciava, che andava in canoa… e che a volte si rompeva una gamba». Amore per l'attività fisica, amore per l'in corpore sano: il Papa non ne ha

mai fatto mistero. Solo lui, e tutte le testate lo hanno evidenziato, è riuscito a trasformare l'Olimpico in una immensa chiesa a cielo aperto in cui giocatori cristiani, buddisti e musulmani si sono incontrati per giocare una partita dal sapore diverso. In un'intervista pubblicata dal Corriere della Sera, il milanista Demetrio Albertini ne ha colto il significato: «Noi del calcio dobbiamo farci perdonare i cattivi esempi». Un po' di invidia nei suoi confronti da parte del fratello prete che, forse, così vicino al Papa non è stato mai. Ma questi sono i "miracoli" dello sport, quello vero e pulito. Sempre dalle pagine del quotidiano milanese, il ciclista francese Richard Virenque, dopato e poi pentito, fa ammenda in un'intima e toccante confessione, nella quale spiega come, proprio dopo aver toccato il fondo, abbia riscoperto i valori positivi dello sport. «Doparsi è bararedice -. Noi non lo chiamavamo doping, dicevamo semplicemente che ci stavamo preparando per la gara. Se avessi saputo avrei scelto un'attività più sana». Parole amare, di chi ha sbagliato e che ora si preoccupa teneramente per la salute dei figli. Come a dire che chi fa sport, anche se travisandone gli scopi, viene comunque toccato, anche se inconsapevolmente, dalla forza dei suoi princìpi e dalla possibilità di redimersi. La "ola" dei settantamila dell'Olimpico, oltre che per il Papa e per quanti si sono esibiti, anche per tutti quegli atleti sconfitti, nella gara o nella vita, che proprio nello sport trovano il coraggio di ricominciare. Tra questi c'è sicuramente anche Virenque.

di Paolo Seghedoni

Una staffetta per l’Anno Santo

Da Modena all’Olimpico

Stefano Baldini, Alessandro Lambruschini, Andrea Lucchetta… nomi importanti dello sport attuale o di qualche anno fa. Sono soltanto alcuni dei partecipanti alla staffetta Modena-Roma che ha portato, in occasione del Giubileo Mondiale degli Sportivi, 40 podisti allo stadio Olimpico. È stato, quello della staffetta, l'atto conclusivo del Giubileo degli Sportivi Modenesi, una occasione per prendere sul serio l'invito del Giubileo ed in particolare quello del Vescovo di Modena, monsignor Benito Cocchi. A marzo mons. Cocchi scrisse una lettera a tutti gli sportivi della diocesi, per chiedere un impegno particolare nell'anno del Giubileo, per ripensare allo sport in un modo nuovo. E lo sport modenese, "trascinato" dall'impegno del Centro Sportivo Italiano, ha risposto alla grande. Il Giubileo degli Sportivi di settembre (tra tavole rotonde, preghiera in Duomo e attività sportive oltre ad una mostra su "arte e sport") ha impegnato per una settimana CSI, UISP, CONI, le varie Federazioni, il Provveditorato… Tutto lo sport modenese ha risposto all'appello del Vescovo e la staffetta è stato il fiore all'occhiello conclusivo. 440 chilometri per 40 staffettisti, esponenti importanti dello sport modenese (oltre ai citati, hanno corso l'ex arciere olimpionico Andrea Parenti, il triathleta Fabrizio Ferraresi, l'alfiere del nuoto pin-

nato italiano Luca Tonelli ed altri atleti di spicco), due sportivi disabili dell'Asham (associazione sportivi handicappati modenesi) con Milo Tomasini che ha compiuto insieme al campione europeo di maratona Stefano Baldini l'ultima frazione, esponenti del Centro Sportivo Italiano e della UISP, oltre a rappresentanti dell'Accademia Militare di Modena, tra cui anche una delle prime allieve ufficiali.

La staffetta è stata organizzata fin nei minimi dettagli da parte del comitato organizzatore, col presidente del Centro Sportivo di Modena, Stefano Prampolini,

Vuoi essere una dei 40 frazionisti?

Ad una proposta del genere l'unica risposta possibile è stato un sì incondizionato. E allora ecco che il progetto dettagliato sulla carta, con specifica indicazione di lunghezza tappe, difficoltà del percorso, caratteristiche fisiche richieste e orario di inizio e di fine d'ogni singola frazione diventa magicamente realtà, anche grazie a una persona che si preoccupa di vestirci da capo a piedi, con un abbigliamento che risalterà nella sfilata dell'Olimpico. La grande avventura ha quindi inizio dalla tanto amata Porta dei Principi del duomo di Modena, per snodarsi lungo i tratti appenninici e le circonvallazioni delle città del centro Italia, che corrono sulla via di Roma. L'entusiasmo cresce in me con l'avvicinarsi del frazionista precedente. Carico di fatica mi porge la chiave-testimone: l'impresa dei 40 è in corso. Lo stadio Olimpico è ormai raggiunto, sfiliamo in compagnia di altre persone che come noi sono qui per vivere in prima persona il Grande Giubileo loro dedicato. Sul viaggio di ritorno sopravanza la stanchezza, ma ne è valsa veramente la pena. Un’atleta

e con Aderito Paterlini in testa, ed ha impegnato gli atleti per 4 giorni: la partenza è stata data davanti al Duomo di Modena il 25 ottobre a mezzogiorno (con una bella cornice di pubblico e salutata dal sole), l'arrivo a Roma (all'interno dello stadio Olimpico) pochi minuti prima della celebrazione eucaristica del Santo Padre domenica 29 ottobre. Stefano Baldini è stato tra gli atleti che hanno acceso il tripode che ha bruciato durante il Giubileo degli Sportivi in rappresentanza della delegazione modenese. I partecipanti alla staffetta hanno usato come testimone una chiave consegnata alla partenza dal Vescovo Emerito di Modena, mons. Santo Quadri. Chiave simbolo degli antichi pellegrini che si recavano a Roma per il Giubileo. La staffetta ha vissuto momenti di grande suggestione (ad esempio il passaggio da Piazza del Campo a Siena) insieme a momenti più… bagnati (non è mancata la pioggia lungo il tragitto), ma tutti i 40 protagonisti hanno avuto la sensazione di partecipare a qualcosa di importante. Anche al di là della fede religiosa la staffetta Modena-Roma ha portato un messaggio importante per lo sport modenese, ma non solo. E a Roma le parole del Papa hanno testimoniato che lo sport può dare, davvero, di più.

Campionati FICEP di Ginnastica artistica

Una ginnastica tutta d’oro

Dall'1 al 5 novembre scorso si sono svolti presso il palazzetto dello sport di Beverwijk in Olanda i Campionati Europei FICEP di Ginnastica Artistica. 150 partecipanti, di cui 80 atleti, provenienti da sei diversi paesi europei: Belgio, Francia, Germania, Italia, Olanda e Svizzera, si sono cimentati nel campionato per nazioni e nelle competizioni individuali per attrezzi previste dalla manifestazione. L'evento si è ufficialmente aperto il 2 novembre con la sfilata delle rappresentative nazionali seguita da uno spettacolo di

musica folkloristica. Il programma si è articolato, come di consueto nei raduni FICEP, non soltanto in una parte di campionato vera e propria suddivisa su tre giornate di allenamenti e gare, ma anche in occasioni d'incontro ufficiali, come il ricevimento dal sindaco della città di Beverwijk, momenti di preghiera con la partecipata celebrazione eucaristica accompagnata da canti Gospel di venerdì 3 novembre, opportunità di arricchimento culturale e socializzanti con le escursioni al villaggio tipico e ai mulini a vento di Zaanse Schans giovedì 2

novembre ed alla capitale Amsterdam sabato 4 novembre. Il tutto si è concluso con la cerimonia di chiusura ufficiale, svoltasi in palestra alla presenza del presidente della FICEP Dick Wijte, del presidente della Commissione Tecnica FICEP Sepp Born e dei dirigenti locali, e un'animata serata conviviale, dove la funzione aggregativa della federazione internazionale si è manifestata al meglio. Dal campionato per nazioni, con l'oro sia per la squadra maschile che per quella femminile, alle competizioni individuali per attrezzi, i nostri

ragazzi hanno conquistato ben 23 medaglie meritate sia sul piano della preparazione agonistica che su quello del fairplay dimostrato nella condivisione dei momenti di gara con tutti gli altri team.

L'inno di Mameli, cantato all'unisono dai nostri atleti, giudici e dirigenti, ha contrassegnato tutte le cerimonie di consegna delle medaglie fin dall'inizio, premiando la fatica e il sudore di uno sport come la ginnastica artistica, che in quest'occasione ha visto più che mai vivi quei valori legati all'impegno e correttezza sul campo da sempre promossi dal CSI.

Foto F. Tomei De Angelis
Foto F. Tomei De Angelis

Dure ore d'allenamento in palestra per prepararsi agli esercizi al corpo libero, cavallo con maniglie, anelli, volteggio, barre parallele e sbarra per i ragazzi e volteggio, parallele asimmetriche, trave e corpo libero per le ragazze, sotto gli occhi molto attenti di allenatori, allenatrici e giudici competenti, fanno parte della vita di un ginnasta, che raggiunge l'apice della carriera sportiva in età giovanissima. È il caso di Alessio Callini, Matteo Contalbrigo, Alberto Gori, Mario Lasorsa, Alessio Pistilli, Carlo Salvatori, Paolo Zampieri, Gi sella Agudo, Roberta Bruni, Alice Capitani, Claudia Gargiulo, Francesca Nati, Stefania Olivieri, Giulia Rossi che han no composto la rappresentativa del CSI. E in particolare di Alice Capitani, oro nella gara a squadra e bronzo nella classifica individuale a questi campionati e undicesima con

la squadra italiana ai Giochi Olimpici di Sydney dove ha gareggiato su tre attrezzi: volteggio, trave e corpo libero. A 16 anni di età, di cui 8 da ginnasta, ha realizzato con questo sport un suo sogno di bambina, quando ancor prima dei cinque anni aveva visto le Olimpiadi in televisione, senza sapere la disciplina e l'impegno che la pratica le avrebbe richiesto. Forza di volontà, voglia di mettersi sempre alla pro va, ol tre ad una perfetta preparazione tecnica, l'hanno guidata nel percorso verso le Olimpiadi, ma an che alla FICEP.

La sua partecipazione a Be verwijk è sta ta me no carica di tensione , il clima più amichevole e tranquillo ha fa vorito una presenza in gara più serena, ma nonostante l'emozione diversa rispetto a Sydney, Alice si è cimentata in entrambe le esperienze con la stessa determinazione.

Medagliere csi

Uomini

ORO

• Gara a squadre

• Corpo libero

• Cavallo con maniglie

• Cavallo senza maniglie

• Parallele

• Sbarra

• Classifica complessiva individuale

ARGE NT O

• Classifica complessiva individuale

• Corpo libero

• Parallele

• Sbarra

• Cavallo con maniglie

BRONZO

• Classifica complessiva individuale

• Sbarra

• Cavallo con maniglie

• Parallele

• Corpo libero

ORO

• Gara a squadre

Donne

• Corpo libero

BRONZO

• Volteggio

• Parallele asimmetriche

• Corpo libero

• Classifica complessiva individuale

C omplessivo

9 ori

5 argenti

9 bronzi

Foto F. Tomei De Angelis

Protocollo FIGC-Dipartimento Affari Sociali

Importare baby calciatori diventa più difficile

Non c'è che dire: la tratta di giovanissimi aspiranti campioni dal terzo mondo è un fenomeno che ha tenuto banco in questo scorcio di autunno.

Ai primi di settembre il Dipartimento degli Affari Sociali della Presidenza del Consiglio e la Federazione Italiana Gioco Calcio hanno firmato un protocollo d'intesa per prevenire l'ingresso e il soggiorno illegale di minori stranieri calciatori che giungono in Italia per effettuare provini o essere tesserati da società, importati di contrabbando come fossero cartoni di sigarette.

Il 29 ottobre il "Manifesto dello sport" presentato al Giubileo degli sportivi ha puntato l'indice contro il fenomeno, indicandolo tra i mali dello sport del nostro tempo: "Non si devono usare le periferie del mondo come riserve per lo sfruttamento di giovani promesse".

In Parlamento, frattanto, si sta lavorando al progetto di legge 6820 che vuole impedire lo sfruttamento sportivo dei minori di 16 anni. E il Consiglio d'Europa si lancia sulla stessa strada.

Il protocollo firmato dalla FIGC

In attesa che il progetto 6820 vada in porto, ma con questi chiari di luna è difficile pensare a tempi accettabili, il protocollo firmato dal Dipartimento Affari Sociali della Presidenza del Consiglio e dalla Federcalcio costituisce già un buon rimedio.

In base ad esso, le società che tesserano minori stranieri sono tenute a:

•prima di un provino, verificare la regolarità della posizione di ingresso del ragazzo;

•in caso di accertata irregolarità di tale posizione, disdire il provino e avvertire la Pubblica Sicurezza e il Comitato per i minori stranieri del Dipartimento Affari Sociali;

•in caso di avvenuto provino, qualunque sia l'esito, darne notizia alla FIGC;

•in caso di cessato tesseramento, darne

comunicazione a FIGC, Pubblica Sicurezza e Comitato per i minori stranieri.

La Federcalcio è tenuta a:

•applicare sanzioni alle società che non osservano quanto sopra;

•svolgere controlli tramite il proprio Ufficio indagini;

•sensibilizzare i propri organi periferici e le società affiliate ai casi di minori stranieri irregolari di cui siano a conoscenza; •estendere quanto prima la vigilanza anche agli aspetti pre e post tesseramento dei minori stranieri.

Prima di queste norme, tesserare un piccolo extracomunitario era un gioco: bastava un'autocertificazione che dichiarasse la residenza in Italia, ben sapendo che i controlli erano zero.

Le caratteristiche del fenomeno

Perché tanta preoccupazione? La banca dati del Dipartimento Affari Sociali dà cifre apparentemente contenute sulla presenza in Italia di "minori stranieri non accompagnati", termine col quale si intende il minorenne extracomunitario che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa sul territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte di genitori o altri adulti che ne abbiano responsabilità legale. Il 4 settembre 2000 i minori in questa condizione erano 3.692. Lo screening dei luoghi di provenienza mostra che 2.420 provenivano dall'Albania e solo 3 dal Brasile e 16 dai paesi africani a rischio di emigrazione calcistica. Troppo pochi per fare quadrare i conti. È evidente che i minori non accompagnati che risultano al Ministero sono la minima parte di quelli effettivamente presenti.

Un'indagine avviata dalla FIGC parla di oltre 5.000 bambini extracomunitari tesserati in Italia, dei quali solo 23 legati da un contratto regolare. Non si specifica quanti di quei 5.000 babycalciatori si pos-

sano considerare "minori non accompagnati" e quanti siano semplicemente figli di extracomunitari residenti in Italia. Il problema investe tutta l'Europa occidentale, giustificando gli appelli indignati dei rappresentanti del calcio africano e sudamericano, che parlano di "saccheggio", di bambini che a volte hanno appena 8-9 anni, pagati alle famiglie 150 dollari (trecentomila lire) o poco più.

I casi di ragazzini "importati" che poi abbiano sfondato si contano sulle dita di una mano. Si ricorda il brasiliano Elber, che gioca in Germania, o il "nostro" Oliveira, portato in Belgio, quando aveva 16 anni, previo versamento di 300 dollari al padre. Lulù, come viene chiamato il belga-brasiliano attualmente al Bologna, arrivò insieme ad altri sei coetanei, dei quali si sono perse le tracce.

Le tre facce del dramma

La tratta dei baby-talenti ha almeno tre aspetti che ripugnano alla coscienza di un Paese civile:

•la sottrazione alla famiglia e all'ambiente, anche se la famiglia stessa è consenziente e il ragazzo sogna la gloria, cosa che infatti viola un preciso diritto riconosciuto dalla Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia, e cioè "il diritto del fanciullo a preservare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e le sue relazioni familiari….";

•l'aleatorietà delle promesse fatte a questi ragazzi, che si configurano come una tagliola fatta scattare sulla miseria e sull'ignoranza;

•l'abbandono dei ragazzi a se stessi, abbandono che nella prima fase (tesseramento per qualche piccola società) si configura come mancanza di istruzione e di educazione alla vita; e nella seconda fase (fallimento e uscita dal mondo del calcio) è esposizione al rischio di una vita da emarginati.

Sul primo punto spetta intervenire ai

paesi di origine, impedendo l'uscita dei ragazzi e facendo pressioni sulle famiglie; sul secondo, sono le organizzazioni calcistiche europee a dover mettere freni alla disinvoltura dei procuratori, con regole come quelle varate dalla FIGC; sul terzo

spetta intervenire alle organizzazioni sociali dei paesi "importatori".

Cosa dice la legge

La tratta dei baby-calciatori si innesta nel problema, molto più vasto, della tratta dei

minori stranieri non accompagnati (fini principali sono lo sfruttamento del lavoro e lo sfruttamento della prostituzione), del quale si occupa il Comitato per i minori stranieri istituito presso il Dipartimento Affari Sociali in base al Decreto 286/98. Per gli extracomunitari ai quali è riconosciuto lo status di minore non accompagnato, il regolamento del Comitato (approvato il 9 dicembre 1999) prevede il rimpatrio assistito, in attesa del quale c'è il soggiorno temporaneo. In questa fase di attesa, che può essere anche lunga per tanti motivi, al minore sono garantite cure sanitarie, avviamento scolastico e le altre provvidenze disposte dalla legge. In questo senso il Comitato valuta le richieste provenienti da enti, associazioni o famiglie italiane che si offrono per l'affidamento temporaneo (gli stessi soggetti possono chiedere l'affidamento di minori nell'ambito di programmi solidaristici di accoglienza temporanea).

Sport che toglie, sport che dà?

Si traccia dunque una strada per impedire che i baby-calciatori falliti diventino dei fantasmi nelle periferie di chissà dove. Una volta individuati, anche loro possono entrare a far parte dei programmi di accoglienza temporanea. Programmi che il regolamento dell'apposito Comitato del Dipartimento Affari Sociali apre all'apporto di associazioni come il CSI.

Se la FIGC e le sue società affiliate perseguiranno seriamente gli obiettivi del protocollo firmato con il Dipartimento, presto dovremmo cominciare ad avere le prime liste di baby-calciatori irregolari.

A questa platea il CSI potrebbe offrire, con progetti ad hoc, i propri servizi: per concretizzare il loro diritto al gioco e all'educazione, per insegnare che nello sport si può essere felici anche senza diventare un campione e, soprattutto, per contribuire a ricostruire vite che l'altro sport, quello del mercato, ha cercato di distruggere.

Sport, perché?

Prosegue da parte di Stadium la raccolta di opinioni in materia di sport. Sport perché? È la domanda a cui abbiamo sottoposto vari interlocutori, personaggi celebri, del mondo della politica, dell'economia, dello spettacolo, che hanno spiegato con le loro risposte il significato, le diverse sfaccettature di questa parola e la loro particolare esperienza nell'ampio panorama sportivo. Dalle loro testimonianze appare evidente come la ricorrenza giubilare abbia sollecitato riflessioni particolari sul tema. Ecco allora la seconda carrellata di risposte.

Candido Cannavò

direttore Gazzetta dello Sport

Sport perché ha mille risposte. Perché è bello, è divertente, perché aiuta a crescere, perché soprattutto tra i più giovani copre le aree pericolosissime della noia, che a volte porta a scelte poco felici. In quella fase della gioventù lo sport assume il carattere prevalente della passione e del divertimento. Spesso sono i genitori a fraintenderlo. Poi più in là con gli anni diventa una scelta. La bellezza dello sport è che non ha età: chi partecipa alle maratone, chi fa jogging, chi va in bicicletta. Lo sport riempie la vita di qualcosa di sano, non solo dal punto di vista fisico, ma anche nel mantenimento di certi valori. Se fai sport correttamente, sarai una persona corretta, avrai rispetto dell'avversario e sicuramente avrai una visione costruttiva e positiva della vita. E non mi pare poco. Diventare campione è un fatto elitario, assolutamente limitato, ma il diritto a non essere campioni è di tutti. E nel futuro vedo uno sport sempre più diffuso, a partire dalle scuole. Nelle ultime Olimpiadi abbiamo visto che nell'atletica non è caduto alcun record. È un bel segnale, perché la competizione deve rimanere tra uomo e uomo e non una ricerca di record a ogni costo.

Klaus Di Biasi

pluricampione di tuffi

Lo sport fa bene, è benessere, basta pensare come ci si sente dopo aver fatto una partita a calcio o aver fatto jogging. Anche la stanchezza diventa piacevole perché benefica. È gratificante! Il fisico ha bisogno dello sport, i muscoli devono essere sempre tonici. Nelle competizioni sportive è importante poi il fattore motivazionale. Ci sono molti abbandoni di atleti che non riescono a raggiungere performance esaltanti. Lì veramente ci vuole amore per lo sport, al di là di ogni classifica. Lo sport è importante inoltre nella formazione del carattere. Il mio motto è stato sempre quello di "saper perdere, prima di saper vincere", cioè la sconfitta è una misura sulla quale l'atleta

di Felice Alborghetti

può lavorare per arrivare a vincere. Questo è sacrosanto.

Giampiero Galeazzi

giornalista

Grazie allo sport io ho vinto anche nella vita. Mi ha insegnato a non cedere mai, a fare un programma, a credere fino in fondo in quel che facevo, malgrado le difficoltà e gli enormi sacrifici che nel canottaggio si fanno. Ma rifarei tutto. Infatti a chi mi chiedesse di rinunciare ai miei titoli sportivi in cambio di diventare presidente RAI, risponderei che mi tengo ben stretti i titoli sportivi. Parlando di sport televisivo, invece, a Sydney ho avuto modo di presentare numerosi campioni azzurri e di conoscere e riconoscerne moltissime doti umane. Direi che l'Olimpiade riesce con la Tv a trasmettere meglio il lato umano dello sport, dandogli credibilità: il pianto sul podio di Maddaloni, la disperazione in acqua per una sconfitta, la gioia nelle palestre; insomma s'è vista la… vita. S'è visto ciò che può insegnare lo sport.

Idris Sanneh

direttore TG multilingue Rete Brescia Sport è solidarietà e amicizia. Un grande senso di aggregazione. Anche se poi nel futuro dello sport il dio demonio denaro controllerà sempre più i pensieri e determinerà i comportamenti, al contrario di voi del CSI, che valorizzate i rapporti umani e consolidate l'amicizia e il rispetto. Ma voi in rapporto agli altri sportivi siete dei "santi".

Xavier Jacobelli

direttore Tuttosport

Fuor di dubbio la cassa di risonanza dello sport è assolutamente insuperabile nella nostra civiltà. Quindi credo che lo sport debba sfruttare la sua universalità non soltanto per narrare le gesta agonistiche e tecniche degli atleti più grandi, ma anche per trasmettere messaggi di solidarietà e di generosità, come ad esempio il derby torinese organizzato il prossimo 12 dicembre per aiutare le vittime della

recente alluvione. Il Giubileo dello Sport è poi un'occasione straordinaria di incontro, e credo che l'esperienza del Centro Sportivo Italiano, la sua capacità di aggregare migliaia di persone, ragazzi praticanti assieme alle loro famiglie, sia molto positiva e non soltanto perché prima di tutto consente la pratica sportiva ai ragazzi, ma per l'educazione allo sport, alla lealtà ed al rispetto degli avversari. Una cosa di cui abbiamo grande bisogno nel nostro paese.

Cesare Romiti presidente di Rcs Editori

In genere il primo approccio avviene in età giovanissima, perché lo sport - insieme con il gioco e la scuola - è uno dei primi fattori di socializzazione. Soltanto in tempi recenti questo approdo dei bambini e dei ragazzi è diventato un fenomeno indotto, a opera di genitori desiderosi di veder crescere i loro figli secondo modelli sociali e di costume che talvolta antepongono un "bel fisico" a un "buon spirito". La grande maggioranza dei giovani resta comunque legato per sempre, anche con il passare degli anni, alle specialità preferite, continuando a praticarle oppure a seguirle da spettatori secondo le diverse motivazioni di ognuno. Come dimostra la loro nascita, comune a

tutte le civiltà più antiche, dai romani agli egizi e ai cinesi, le pratiche agonistiche riassumono in effetti il senso della vita: gioco e competizione, gioia e sofferenza, confronto con gli altri e con i propri limiti. Rappresentano inoltre la sintesi di culture fondamentali; dalla cura del corpo a quella morale, dallo sviluppo delle proprie abilità al desiderio di affermazione, dal rispetto di sé e degli altri alla consapevolezza che gli esiti sono proporzionali all'impegno profuso. Ecco perché lo sport è così presente nella storia dei popoli e nella vita di tutti i giorni. Anch'io l'ho conosciuto giovanissimo, nella forma di svago, secondo il significato originale espresso da questa parola presa dal francese desport. Come atleta di salto in alto e come calciatore dilettante - prima in porta e poi da centravantine ho apprezzato però anche la disciplina intrisa di fatica e di sacrifici, secondo quel connubio di valori che più si avvicina alla concezione stessa del CSI. Smessi i panni del praticante, il rapporto con lo sport si è sviluppato in seguito sotto altri profili, come succede a tutti gli appassionati. E ho avuto il privilegio di conoscere nuove realtà senza rinunciare a quelle pulsioni che rendono così vivo questo mondo. Per esempio come promotore di attività e sponsor nel gruppo Fiat, poi competitore diretto attraverso la Ferrari, fornitore di materiale tecnico per quanto riguarda la Fila, organizzatore di eventi come il Giro d'Italia con la sigla di Rcs Sport, quindi operatore d'informazione e cultura nel nome della "Gazzetta dello Sport".

Fra passioni e interessi sempre coinvolgenti, lo sport resta insomma un filo rosso in grado di segnare tutta la vita.

Suor Paola D’Auria

Sport anzitutto è festa, aggregazione, incontro per tante persone. Io faccio sport non da tifosa, ma attraverso i giovani che si avvicinano. Lo sport dei miliardi non mi interessa. Il mio sport è un momento educativo, ricreativo, di crescita e di incontro.

Dino Zoff

vicepresidente S.S. Lazio

La parola sport per me ha un significato importante, direi significa vita; perché lo sport è basato sui canoni della lealtà, e sull'onestà, quindi dogmi anche della realtà quotidiana. Quindi la lealtà, l'educazione, il buon comportamento, la fatica ed il lavoro per migliorarsi. Lo sport deve essere soprattutto portatore di valori umani. Certamente lo sport è ormai entrato in un ambito stratosferico di grandi interessi, però anche nel futuro la parola sport significherà sempre competizione leale e questo credo sia basilare.

Quella palla poco tonda

Tra le varie certezze che quest'inizio di millennio ci ha lasciato, una in particolare è balzata agli occhi di tutti: la Giornata Mondiale della Gioventù, celebrata in agosto a Roma. Nessuno potrà mai negare di aver visto due milioni di singoli uniti dalla fede, come nessuno potrà negare di aver visto un solo corpo unico composto da quei ragazzi in nome della fede.

Decaduti oramai gli anni dell'individualismo a tutti i costi, l'unione tra le persone, il concetto di squadra - con tutto ciò che sottintende - è tornato a permeare la nostra vita quotidiana. Nello sport, ad esempio, si è tornato a dare maggior valore al gruppo piuttosto che al singolo. È vero che alle Olimpiadi di Sidney 2000 chi ha deluso sono stati proprio gli sport di

squadra, ma l'immagine che più di ogni altra ha lasciato il segno nel cuore degli italiani è stata quella delle ragazze d'oro della scherma. Con la mano sul petto hanno regalato un'emozione intensa all'intera nazione sotto le note dell'inno di Mameli, trasmettendo a tutto il mondo il senso della forza del gruppo rispetto al singolo. Una vittoria di gruppo, in fin dei conti, vale la gioia di cento vittorie di un singolo. Vincere in gruppo vuol dire aver vinto la propria partita ed essere stato parte della vittoria degli altri.

Quali sport hanno le caratteristiche per essere definiti di gruppo non è difficile capirlo: il basket, il volley, il calcio, la pallanuoto e così via. Qual è lo sport di squadra per eccellenza non sempre è facile capirlo. Quindici ragazzi robusti ma agili

come gazzelle, piantati sul terreno come cemento armato ma pronti a sgusciare come serpenti dinanzi ad un avversario, che giocano con una palla che proprio tonda non è insieme ad altrettanti ragazzi di eguale valore sportivo e morale, potrebbero dirci qual è lo sport di squadra per eccellenza: il rugby.

Un giorno, nel 1823, in una cittadina inglese, un giocatore di calcio, William Webb Ellis, pensò durante una partita che le regole di quel gioco fossero concepite in modo poco ortodosso. Prese allora la palla con le mani, cosa proibita dal regolamento, e corse diritto verso la porta. Quel gesto di protesta venne interpretato da alcune persone come l'invenzione dello sport di squadra per eccellenza. Uno sport così, per dare il buon esempio, non poteva che darsi regole scritte chiare e precise. E fu il primo a farlo. Nel corso degli anni venne naturale, viste le caratteristiche della disciplina, scriverne altre non nei regolamenti federali ma semplicemente nello spirito dei giocatori e dei tifosi. Una di queste è il "terzo tempo". Alla fine di ogni partita, giocata in due tempi, "vinti" e "vincitori" si uniscono per andare a bere o mangiare qualcosa insieme. Questo suona come: non ci sono né sconfitti né trionfatori, ma solo giocatori dello stessa partita. Sul terreno di gioco lo spirito "cavalleresco" è ancora più marcato. Se ci sono delle regole, ci deve essere anche chi le deve far rispettare: l'arbitro. Nessuno può discutere una sua decisione, giusta o sbagliata che sia perché ognuno ha il suo compito in campo. Se qualcuno decide di non rispettare tale regola e accenna a una protesta, chi ne fa le spese è l'intera squadra a cui viene inflitta una punizione. E c'è ancora di più. È uno sport fatto di atleti che rispettano i compagni e gli avversari al punto tale che se un giocatore commette un fallo poco "gentile" viene ripreso da tutti quanti: arbitro, compagni e avversari. L'arbitro gli farà trascorrere un ottavo dell'intera gara fuori dal campo per la conseguente espulsione. I compagni, dopo che il giocatore ha rimesso i piedi in campo, alla prima giocata utile in cui sedici dei trenta

giocatori incrociano braccia, gambe e occhi gli uni di fronte agli altri lo lasciano per una manciata di secondi alla mercé degli avversari. Gli avversari, di conseguenza, gli infliggono la punizione maggiore, stuzzicandolo un po'. Il giocatore difficilmente compirà un altro fallo che possa offendere lo spirito cavalleresco della gara.

Lo sport di squadra per eccellenza non poteva che essere uno sport cavalleresco; uno sport che trasmette emozioni a non finire perché praticato da atleti gentiluomini. Un arcivescovo inglese di fine '800 un giorno parlando di questo sport ai fedeli disse: "…è uno sport per gentiluomini di qualunque classe sociale ma non è per uomini cattivi a qualsiasi classe sociale essi appartengano". E se è pur vero che a vederli quando si affrontano durante gli 80 minuti della gara tutto lasciano pensare meno che a quindici ballerine, è altrettanto vero che mai e poi mai tradirebbero la nobiltà dello spirito con cui questo sport è stato concepito.

Ma uno sport, per essere giudicato, deve essere visto anche da altre angolature e si deve guardare al suo "essere" attraverso ciò che gli sta intorno: i tifosi. Di sicuro i più orgogliosi, i più caldi, i più convinti e i più "colti" - sportivamente parlando - che qualsiasi sport possa desiderare. Sì, sarà pure un'equazione matematica che ognuno ha ciò che si merita, ma c'è pure un limite a tutto. Il tifoso va allo stadio rigorosa-

mente con la maglia della propria squadra. Il tifoso va alla partita per vedere non solo la sua squadra, ma la sua città, la sua nazione, insomma, il suo mondo. Esattamente come fanno i giocatori, anche lui dopo il fischio finale va a bere qualcosa con l'altro, quello che indossa la maglia di un altro colore.

Pochi anni fa in Galles, a Cardiff, per una serie di motivi venne demolito lo stadio della città, vero tempio di questo sport nel mondo. Ne venne costruito un altro interamente nuovo, il Millennium Stadium, con 75.000 posti tutti a sedere. Un tifoso, intervistato da un giornalista, alla domanda "cosa ne pensa di questo nuovo stadio?" rispose: "Beh, effettivamente è un bell'impianto ma… sa… non si può vedere una partita seduti perché così la cassa toracica è in una posizione tale per cui il fiato per urlare esce in maniera poco prorompente". Forse pensava che la sua squadra avrebbe perso i decibel giusti per sentirsi parte di un gruppo unico.

Qualche tifoso "eccellente" ha attribuito a tale sport addirittura il potere di aver riunificato, moralmente, un'intera nazione da sempre divisa a metà. Nel 1995, in occasione dei Campionati del Mondo di tale sport, Nelson Mandela, Presidente del Sud Africa da poco riunificato, si presentò alla finale indossando la maglia numero 6 di Francois Pienaar, capitano della Nazionale sudafricana. La squadra vinse quella

finale ma i veri vincitori furono tutti i sudafricani: bianchi e neri. Tutto lo stadio indossava quella maglia e tutti insieme sostennero non la squadra ma la loro nazione.

Quando si parla di rugby non si può pensare ai regolamenti, alle cifre guadagnate dagli atleti, a quante linee di febbre ha un giocatore. Quando si parla di rugby si dovrebbe "ascoltare" con gli occhi ciò che succede in campo e fuori. Quando si parla di rugby si dovrebbe pronunciare una sola parola: Grazie.

La Pallavolo

Una corda tesa tra due alberi, un cancello, un rettangolo di gioco ed una palla che sia in grado di volare: questa è la pallavolo… Le regole? la palla deve superare il cancello, il filo e non deve cadere nel mio rettangolo di gioco. Per far punto devo far cadere la palla nel rettangolo avversario… Poi sono arrivate le reti, i campi tracciati con le righe e le asticelle, i palloni colorati, il bagher, l'attacco, il muro, la difesa, il palleggio, la battuta in salto, l'opposto e il libero, gli schemi, il cambiopalla ed il tiebreak, Julio Velasco e le sue vittorie, Ruben Acosta e le sue regole, i Mondiali e la World League… l'unica cosa che deve ancora arrivare è l'Olimpiade… Tutto ciò per trasmettervi tre messaggi:

• il pri mo è che la pallavolo è un gioco fondamentalmente semplice che si può giocare avendo a disposizione poche cose;

• il secondo è che la pallavolo è uno sport che è in continua evoluzione, non solo per la grande crescita qualitativa e quantitativa degli atleti, ma soprattutto per i continui cambiamenti apportati alle regole di gioco negli ultimi anni (eliminazione

del cambiopalla, introduzione del libero, variazione del punteggio, etc…);

• il t er zo è per ricordare che la nostra nazionale di pallavolo è una squadra che in questi ultimi 10 anni ci ha regalato tantissimi successi anche se ci manca l'alloro più prestigioso: quello olimpico.

Il mio compito (o meglio: il mio tentativo) sarà quello di farvi conoscere questa bellissima disciplina sportiva con le sue caratteristiche tecniche, tattiche, e metodologiche, raccontate attraverso quelle che sono state le mie esperienze iniziate proprio con il CSI nel lontano 1988 con il Corso Nazionale di Formia tenuto da Massimo Stera.

La capacità di gioco

Dal momento che la pallavolo è uno sport di situazione non ci si può mai illudere di aver raggiunto la perfezione; per quanto prevedibili, le situazioni che si possono verificare in campo sono infinite, pertanto occorre allenarsi costantemente per sviluppare al massimo le proprie capacità di gioco.

Ed è questo che di fatto l'atleta chiede

all'allenatore (soprattutto nel settore giovanile): di riuscire a sviluppare la propria capacità di gioco, armonizzando fisico, intelletto ed emozioni in quel meccanismo complesso che è la pallavolo.

Lo sviluppo della capacità di gioco è il punto di incontro ideale delle necessità dell'allenatore con le richieste dell'atleta; in bilico tra spontaneità e costruzione rigorosa e analitica di un sistema, tra estro e studiato funzionamento di un meccanismo, tra libertà e costrizione. Il segreto per evitare che venga meno questo affascinante gioco di equilibrio è ottimizzare le capacità di mettere in relazione qualità psichiche, capacità condizionali e coordinative, in funzione delle abilità tecnico-tattiche, senza dimenticare che questo è un processo infinito poiché sono infinite le situazioni di una partita e quindi infinite sono le opportunità di trovare soluzioni tattiche.

Lo sviluppo delle capacità di gioco accresce nel giovane le funzioni intellettive e attiva, nel contempo, la sua inventiva di fronte ad una situazione imprevista. Questo credo che sia il fascino del nostro sport sia per l'atleta sia per l'allenatore.

La pallavolo dei piccoli:

il Minivolley o meglio il GIOCOVOLLEY

Quando si parla del Minivolley si pensa generalmente alla pallavolo dei bambini: io credo che questo sia un concetto un po' riduttivo e semplicistico; ecco perché preferisco utilizzare il termine GIOCOVOLLEY soprattutto per richiamare l'attenzione sul termine GIOCO che deve rappresentare il filo conduttore di tutta l'attività dei più piccoli nel senso che ogni esercitazione motoria deve essere proposta in forma ludica.

Gli obiettivi di tale gioco sono quelli di rispondere ai bisogni dei bambini attraverso un'educazione sportiva appropriata e un corretto sviluppo della motricità di base, tale da favorire una generale predisposizione alla pratica sportiva ed un corretto avviamento all'agonismo e al confronto con se stessi e con gli altri.

L'istruttore dei più piccoli (dai 6 agli 11 anni) deve essere in grado di semplificare il gioco per adattarlo alle capacità ed alle aspettative dei bambini, mirando ad uno sviluppo globale delle capacità coordinative e, soprattutto, privilegiando il metodo rispetto al contenuto.

Il Minivolley è un gioco semplice ma di difficile acquisizione per dei bambini che non hanno ancora strutturato i prerequisiti per l'apprendimento motorio delle tecniche sportive (abilità motorie): ecco perché l'educatore sportivo deve rispettare determinate tappe di apprendimento e proporre esercitazioni-gioco progressivamente adattate alle caratteristiche dei propri atleti.

Giocare a minivolley significa coordinare un insieme di movimenti e funzioni come spostarsi, saltare, respingere, colpire… azioni che il più delle volte esigono interventi simultanei che, per la ricerca di soluzioni e l'esecuzione pratica, sollecitano e mettono alla prova le capacità psicofisiche dei ragazzi.

Una progressione metodologico-didattica che viene in aiuto agli educatori sportivi è quella dei giochi semplificati: infatti le caratteristiche motivazionali dei giochi con la palla consentono un affinamento ed

Progetto metodologico d’insegnamento

Posizione di partenza

Tecnica di spostamento

Motricità generale e specifica

PALLA RILANCIATA

Presa e lancio della palla

Palleggio frontale

Traslocazioni antero-posteriori

PALLAVOLO 1/1 senza battuta

1 o 2 palleggi (autoalzata)

Gioco a coppie

Palleggio rovesciato

Palleggio angolato

PALLAVOLO 2/2 senza battuta

2/3 palleggi

PALLAVOLO con battuta

Battuta dal basso

Bagher in ricezione

Attacco in palleggio

Difesa in palleggio

Attacco in salto

(palleggio o schiacciata)

Difesa in bagher

Muro singolo

Battuta a tennis

Muro doppio

Copertura del muro

Copertura dell’attacco

2/2 campo piccolo

3/3 MINI VOLLEY campo piccolo

4/4 campo piccolo 6/6 campo ridotto campo grande

un ulteriore sviluppo degli schemi motori e delle capacità acquisite. Il metodo dei giochi semplificati è rappresentato dallo schema e può essere una valida guida per tutte le esercitazioni con la palla in ambito giovanile.

I giochi semplificati possono essere modificati ed adattati a seconda dell'organizzazione dello spazio (variare dimensioni del campo e altezza della rete), della variazione del punteggio e dei regolamenti in relazione all'obiettivo che si desidera raggiungere.

Collaborazione tra giocatori (divisione dei compiti ed anticipazione del compito futuro)

Attacco individuale

Difesa individuale

Analisi dell’avversario

Anticipazione del compito futuro

Primo passaggio

Costruzione dell’attacco

Collaborazione nella difesa

Anticipazione del compito futuro

Ricezione del servizio

Costruzione dell’attacco

Collaborazione nella difesa

Formazioni di ricezione

Sistemi di attacco elementari

Sistemi di difesa elementari

Copertura d’attacco

Copertura di difesa

Evoluzione del sistema di gioco in funzione del grado di abilità raggiunto dagli allievi

La pallavolo dei giovani: dal minivolley alla pallavolo

Il momento del passaggio dal Minivolley alla Pallavolo, che generalmente avviene tra i 12 e i 13 anni, è uno dei momenti più delicati per diversi aspetti: 1) d a l p u n t o d i v i s t a f i s i c o questo è il momento di crescita biologica maggiore (soprattutto per le ragazze) e quindi ci troviamo nella fase della ricostruzione delle capacità motorie che si devono adattare ad un corpo in continua trasformazione.

L'allenatore dovrà tenere in considerazione questi aspetti proponendo esercitazioni progressivamente più evolute ma rispettando le caratteristiche organicomuscolari di ogni atleta.

Se negli anni precedenti è stato svolto un buon lavoro di sviluppo delle capacità coordinative, si potranno proporre esercitazioni più complesse (sviluppo della coordinazione fine) e verso i 14 anni inserire l'allenamento delle capacità condizionali in forma più specifica (soprattutto forza e rapidità).

Anche i carichi di lavoro ed il numero di allenamenti dovranno essere aumentati (si consigliano da un minino di 2 ad un massimo di 4 sedute settimanali) e, quindi, l'intensità e la quantità iniziano a recitare un ruolo importante nella programmazione dell'attività.

2) dal punto di vista tecnico è il momento in cui si iniziano ad acquisire e poi a perfezionare le abilità tecniche nei vari fondamentali individuali.

L'allenatore potrà inserire esercitazioni in forma analitica senza tralasciare però l'aspetto globale del gioco. Dai 12 ai 16 anni l'allenamento tecnico dei fondamentali individuali rappresenta la grossa fetta della programmazione ma non bisogna incorrere nell'errore del tecnicismo esagerato e nella specializzazione precoce dei ruoli.

In questa fase è importante rispettare anche la creatività e la fantasia motoria individuale: l'allenatore dovrà orientare e non pilotare i propri atleti nella loro crescita tecnica e fisica.

3) dal pun to di vista tattico è il momento del passaggio dai giochi semplificati al 6 contro 6, dalla tattica individuale alla tattica collettiva di squadra.

Il difficile compito dell'allenatore sarà quello di rendere questo passaggio il più chiaro e semplice possibile cercando di sviluppare nei giocatori capacità di "leggere" l'avversario (di interpretare le scelte avversarie) e di elaborare le adeguate risposte a seconda delle diverse situazioni di gioco sia in forma individuale che collettiva.

In gergo si dice che l'allenatore deve saper dare "un gioco alla squadra" deve cioè saper scegliere ed insegnare i moduli di gioco più adatti alle caratteristiche dei propri giocatori.

In questa fase vengono assegnati i primi ruoli tecnici: palleggiatori, attaccanti (schiacciatori di banda o ala - schiacciatori di centro - schiacciatori opposti) difensori/ricettori (giocatori specialisti della seconda linea).

Sulla specializzazione dei ruoli in età giovanile la mia filosofia di pensiero è quella che in allenamento tutti i giocatori devono cercare di allenare il più possibile tutti i fondamentali con particolare attenzione a quelli per i quali sono più dotati; nella preparazione della squadra ritengo invece che sia doveroso rispettare le caratteristiche tecniche di ognuno e, quindi, mettere i giocatori in campo nelle condizioni di realizzare ciò che sanno far meglio. 4) dal punto di vista psicologico abbiamo visto che è il momento del passaggio dal gioco semplificato al 6 contro 6 per cui le dinamiche di gruppo si complicano notevolmente.

Ogni atleta dovrà, quindi, imparare a rapportarsi con altri 5 giocatori in campo e almeno altrettanti negli spogliatoi. Il compito dell'allenatore sarà quello di conoscere i giocatori a livello individuale e collettivo e fare in modo che comunichino sia

con lui che tra di loro: insomma l'allenatore deve saper costruire un gruppo. Purtroppo non c'è la ricetta giusta "per fare gruppo" proprio perché ogni squadra, ogni ambiente, ogni realtà è diversa. Il bravo allenatore è colui che riesce a stimolare nei suoi giocatori la concentrazione, la carica agonistica, la motivazione per il raggiungimento di un obiettivo collettivo che non è necessariamente la vittoria ma è soprattutto la costruzione di un lavoro di squadra che deve andare al di là del risultato agonistico. Gli strumenti che si hanno a disposizione sono quelli del gioco e di un'attenta programmazione degli allenamenti che devono stimolare non solo l'apprendimento di tecniche sportive ma anche l'allenamento delle situazioni di gara in cui si sviluppano le dinamiche di gruppo in gioco.

La pallavolo dei grandi: la specializzazione dei ruoli

Stabilire quando inizia la pallavolo dei grandi in termini di età è alquanto difficile, mentre più semplice è definire un'atleta evoluto in termini pallavolistici, cioè quando un atleta ha acquisito determinate capacità tecnico tattiche tali da consentirgli di giocare con sistemi di gioco più evoluti.

Sarà compito dell'allenatore stabilire quando è il momento giusto per tale passaggio.

Le caratteristica più evidente della pallavolo evoluta è la specializzazione dei ruoli non solo in gara ma anche nell'allenamento.

L'allenatore dovrà, quindi, tener conto della preparazione tecnica, tattica, fisica e psicologica anche in funzione dei ruoli assegnati ai propri giocatori (palleggiato-

re, schiacciatore di banda, schiacciatore d'ala, opposto, libero).

• Preparazione tecnica: in questa fase la preparazione tecnica si prefigge di affinare i fondamentali individuali in modo analitico e globale, in funzione di un miglioramento collettivo della squadra.

L'allenamento sarà orientato verso la scelta di esercitazioni a carattere speciale in cui ogni giocatore deve essere messo in condizione di allenarsi nel ruolo a lui assegnato.

• Preparazione tattica: in questa tappa, la preparazione tattica si propone di allenare i giocatori alle diverse situazioni di gioco (cambiopalla, difesa, contrattacco) cercando di insegnare le soluzioni più adeguate a contrastare il gioco avversario.

Un supporto molto valido per la programmazione dell'allenamento della tattica di gioco è la rilevazione di dati e di video relativi agli avversari e alla nostra squadra: questi strumenti consentono all'allenatore una programmazione più attenta della partita e dell'allenamento, nonché uno stimolo ulteriore per il miglioramento della squadra. Naturalmente una condizione indispensabile per una corretta preparazione tattica è un'adeguato livello tecnico dei nostri giocatori.

• Prep arazione fi sica: in questa tappa la preparazione fisica deve supportare in modo adeguato la preparazione tecnico tattica attraverso lo sviluppo delle capacità fisiche indispensabili nella pallavolo:

- la velocità (o rapidità)

- la forza

- la resistenza specifica

- la mobilità articolare (flessibilità)

- la capacità di anticipazione

- le capacità coordinative (generali e speciali).

Determinate capacità si potranno sviluppare anche con esercitazioni più vicine al gioco, altre necessitano di mezzi e metodi più specifici.

• P re p ar az io ne p s ic ol og i ca : la pallavolo attuale, con l'introduzione del tie-break e l'abolizione del cambiopalla, ha condizionato molto il nostro gioco dal punto di vista psicologico.

Ogni palla è un punto conquistato o perso: questa condizione ha influito molto sulla gestione di ogni fondamentale in quanto non lascia spazio alla minima possibilità di errore (ogni palla diventa importante).

Se a questo aggiungiamo che i tempi di gara si sono notevolmente ridotti, capiamo come risulti difficile concentrare tutte le scelte tecnico-tattiche in poco tempo e senza possibilità di grossi cambiamenti nel corso di un set. Di conseguenza, le situazioni di stress a cui sono sottoposti i giocatori ma anche gli allenatori vanno controllate e allenate cercando di ricreare

in allenamento le condizioni psicologiche il più possibile simili alla gara. Per raggiungere prestazioni di alto livello è necessario, quindi, creare una fusione armonica tra tutti gli aspetti della preparazione.

La metodologia dell'allenamento: allenare giocando

Nel campo dell'insegnamento per metodologia (o metodi o metodica) si intende l'insieme di procedure organizzate che vengono utilizzate dall'insegnante/allenatore/educatore per il raggiungimento dell'obiettivo didattico preventivato

L'abilità dell'allenatore-educatore è da ricercare proprio nella scelta di metodi efficaci più che nella conoscenza dei contenuti.

Nell'insegnamento sportivo si sente sempre più l'esigenza di attuare metodologie specifiche differenziate per le singole discipline e nello stesso tempo per le singole abilità (es. metodologia per l'insegnamento del palleggio).

Queste metodologie, utili per facilitare l'apprendimento, seguono alcuni princìpi più o meno standardizzati.

• Leggi della progressione

- dal semplice al complesso

- dal facile al difficile

- dal noto all'ignoto

• Metodo globale e analitico

Nella Pallavolo per metodo analitico si intende l'utilizzo di esercitazioni in cui viene analizzato-allenato solo una parte di un fondamentale o di un gesto tecnico attraverso la ripetizione di determinati movimenti o situazioni. Per metodo globale si intende invece l'allenamento dei fondamentali individuali e di squadra applicati alle varie situazioni di gara.

La contrapposizione tra metodo globale ed analitico ha sempre fatto discutere gli allenatori soprattutto del settore giovanile. Credo che la giusta alternanza dei due metodi rappresenti una buona soluzione al problema: nel senso che in una fase di apprendimento può essere corretto applicare il metodo analitico ma non appena i nostri atleti sono in grado di giocare con i fondamentali che conoscono è bene allenarli in situazioni vicine al gioco per poi ritornare ad esercizi di sintesi qualora si presenti una esecuzione scorretta.

• Il gioco come colonna portante Qualunque sia il metodo di insegnamento adottato è importante che l'allenatore, nel programmare l'allenamento, faccia sempre riferimento al modello di gioco che intende realizzare e dia la possibilità ai propri atleti di allenarsi in situazioni di gioco.

Alcuni consigli metodologici

- Teoria della positività: correggere anche in positivo, ponendo l'accento sulle cose fatte bene e non limitarsi a rimproverare gli errori. Se ogni azione negativa viene vissuta come un errore genera insicurezza e frustrazione.

- Poche cose, ma chiare:il compito di un allenatore è di semplificare i problemi. Per ogni fondamentale e per ogni situazione di gioco occorre identificare 3-4 concetti che vengono illustrati e costantemente richiamati utilizzando "parole chiave" in modo tale che la comunicazione verbale sia semplice ed immediata

- Spiegare sempre ai nostri giocatori che cosa è un errore grave e cosa non lo è, chiarire sempre di chi è la responsabilità e fornire le soluzioni al problema. L'atleta deve sapere dove finiscono i meriti dell'avversario e dove cominciano i propri demeriti.

- Nell'allenamento utilizzare poche varianti di esercizi ma applicate in diverse situazioni di gioco rispettando sempre la progressione didattica della pallavolo.

- Modello tecnico: è importante, soprattutto con i più giovani, fornire loro dei chiari esempi di come vada eseguito un fondamentale attraverso l'utilizzo di video e fotografie di giocatori evoluti.

- Nella programmazione della seduta di allenamento occorre scegliere non tanto gli esercizi, ma la situazione in cui si intende allenare, la fase ed il momento che si intende perfezionare.

- Durante i time-out è bene dire solo "cosa fare" e "cosa pensare" in quel momento: meglio andare a pensare alla palla dopo che sottolineare l'errore appena commesso.

L'allenatore deve fornire soluzione tecniche ai problemi in modo semplice e chiaro.

Calcio... nel pallone

Il calcio è davvero nel pallone! Non lo è da oggi, non lo è da ieri. Lo è da sempre. La differenza tra presente e passato sta soltanto nell'aumentata frequenza di certi deprecabili episodi.

È la vita che è cambiata. Un tempo si divoravano le pagine "nere" dei quotidiani per conoscere i particolari di una rapina. Oggi un regolamento di conti, con tanto di omicidio, non fa quasi più notizia. Ci abbiamo fatto, purtroppo, l'abitudine. Cinicamente.

Nel mondo del pallone le cose vanno più o meno allo stesso modo, ma con una sostanziale differenza: nonostante la ripetitività di certi fatti, la cassa di risonanza è sempre enorme.

Ci si stupisce di tutto ciò che il calcio produce di negativo, come se il calcio dovesse essere un mondo a sé, sterilizzato, incontaminato.

Attorno al pallone ruotano uomini, con i loro pregi, i loro difetti, le loro virtù, le loro debolezze. Siano essi calciatori, dirigenti, arbitri, giornalisti o tifosi.

Ma dove sta la parte peggiore? Dove mostra le crepe più evidenti questo sistema? Non esistono precisi monitoraggi a tal proposito, ma sicuramente si può affermare che dagli anni Sessanta ad oggi (da quando cioè il calcio è diventato un fenomeno di massa di incredibili proporzioni) sono migliorati i calciatori, mentre - viceversa - sono peggiorati i tifosi. Non c'era, allora, campionato privo di partite concordate, truccate. E il bubbone sarebbe scoppiato più avanti con lo scandalo del calcio scommesse. C'era meno fairplay in campo in quanto i giocatori di opposte squadre si consideravano avversari e basta. Quasi mai colleghi di lavoro e la coscienza sindacale non abitava da quelle parti.

Non erano pochi (anzi…) i cosiddetti "picchiatori" e quelli che andavano in campo solo "per fare male". La colpa, più che loro, era spesso di quei dirigenti che, tenendo bassi gli stipendi e ingigantendo i premi a vincere, mandavano in campo degli assatanati disposti a tutto per rendere remunerativa al massimo quella stagione della vita in cui l'unica certezza era l'incertezza del domani.

Oggi il calciatore - sicuro del presente e pure del futuro - chiede scusa quando commette un fallo, sorride complice con il collega-avversario. Scene di ordinaria routine settimanale, insomma.

I ragazzi miliardari non si prendono a pugni. Il nuovo, elevato rango sociale lo impedisce. Oggi il calciatore è una piccola industria che fattura miliardi. Un tempo era spesso (troppo spesso) un habitué dei caffè di periferia.

Così non stupisce - o non dovrebbe stupire - che più si scende di categoria e più sono frequenti gli episodi di violenza, le risse tra giocatori, le aggressioni agli arbitri. Perché più si va giù e meno sono presenti i due grandi freni inibitori: i miliardi e le telecamere.

Il caso Ferrigno, a parte la casualità che ha poi voluto che Bertolotti si ritrovasse in coma all'Ospedale di Lecco, è figlio di un calcio minore che non produce certezze economiche. Un calcio che vorrebbe ispirarsi a quello esasperatamente professionale ma che ha ancora nell'anima le storture comportamentali di quello dilettantistico.

Come la società in cui viviamo, anche il microcosmo del pallone è fatto a piramide. E dove è la base, più elevato è il numero dei praticanti e conseguentemente più frequente il fattaccio da stigmatizzare. Ma non è una regola fissa, basta sfogliare i quotidiani di ieri e dell'altro ieri. I meno giovani ricorderanno quanto accadde per esempio al mondiale del Cile del '62 quando i nostri Maschio e Ferrini uscirono dal campo con il volto tumefatto per i pugni di Lionel Sanchez. E qualcun altro rammenterà la maschera di sangue di Nestor Combin dopo la gara di Intercontinentale tra Estudiantes e Milan del '69.

E per venire ai giorni nostri non dimentichiamo che George Weah si era beccato sei turni di squalifica in Champion's League per aver menato il portoghese Jorge Costa. Ma in questi casi il destino non aveva voluto, fortunatamente, che le conseguenze fossero serissime per l'aggredito.

Dicevamo sopra che - a nostro parere - sono migliorati nel loro comportamento i calciatori, mentre

sono peggiorati i tifosi. Lo pensiamo noi, lo confermano le cronache: un tempo c’era principalmente uno spettatore attento a quanto accadeva in campo. Oggi, e parliamo naturalmente delle frange più estremiste, molto spesso c’è un teppista che si prende la licenza di andare a strattonare e ad insultare i giocatori della Juventus al loro arrivo all'aeroporto - come è capitato a Zidane - a sradicare i seggiolini dalle tribune per poi scagliarli in campo - come è accaduto a Reggio Calabria. Ad entrare allo stadio esibendo anziché il biglietto d'ingresso, la pistola.

Si, proprio così: un grande club è stato costretto tempo fa a sostituire le maschere ai cancelli dello stadio con guardie giurate professioniste per arginare questo preoccupante fenomeno.

Ma non c'è rimedio: il ricatto dei tifositeppisti nei confronti delle società è senza soluzione di continuità. Lo sanno tutti. Giornalisti, dirigenti, forze dell'ordine. Ma anziché prevenire, chiudiamo la stalla ogni volta che i buoi sono scappati. E poi - diciamolo francamente - è molto più comodo parlare di un goal sbagliato o di un rigore non dato che cercare di prevenire un fenomeno che può trasformare il pallone in una bomba atomica.

di Bruno Longhi

Ci sono momenti in cui si prende coscienza, si cominciano a comprendere i fatti e i loro motivi. Succede anche attraverso lo sport. È un modo anomalo di affrontare la parola coscienza, lo facciamo perché abbiamo vissuto in prima persona situazioni che in futuro saranno importanti per i tanti, soprattutto giovani, che erano con noi. È successo a Sydney, sede delle Olimpiadi prima, delle Paraolimpiadi poi. In particolare ai Giochi per disabili. Sentite Lorenzo Ricci, non vedente, doppio oro nell'atletica: «Grazie alla Paraolimpiade, l'Australia avrà un futuro migliore». Lorenzo aveva appena vinto i 100 metri. Uno dei suoi primi pensieri non era all'oro, però. Era a quella folla che aveva sentito intorno a lui. Era a quelle migliaia di bimbi che ogni giorno erano sulle tribune dell'Olympic Stadium. Era a quel calore e a quell'interesse sentiti attorno a una Paraolimpiade.

Ecco perché ha pensato subito alla gente di Sydney. E a come cambierà l'Australia dopo i Giochi per disabili: «Quei bimbi degli asili, quegli studenti delle scuole, le gare in diretta televisiva sulla televisione nazionale: ci sarà un'opinione nuova e diversa sull'handicap, lo sport avrà aiutato a capire più di mille discorsi». Quei bimbi avevano cominciato a prendere coscienza di una realtà che spesso si tende a nascondere, che nel passato, lontano o vicino, si voleva addirittura cancellare. Attraverso lo sport quei bimbi hanno capito che l'handicap non è vergogna, ma solo differenza di abilità.

Più di un milione di biglietti venduti in dieci giorni di gare. La scritta "sold out", esaurito. Le 120 mila presenze alla cerimonia di apertura. La chiusura del Parco Olimpico nella giornata di chiusura per eccesso di presenze. Le 17mila persone che hanno affollato il Super Dome per una partita dei quarti di finale (non una qualunque, chiaro: era Australia-Stati Uniti) di basket in carrozzina. I duemila iraniani e i mille bosniaci a tifare sulle tribune del Pavillon 3 per la finale della pallavolo seduti. I posti esauriti tutti i giorni per le gare nella piscina dell'Aquatic Centre.

I cento metri di fila con oltre mezz'ora di attesa per entrare all'Indoor Sports Centre, dove in silenzio cerebrolesi o tetraplegici gravi si concentravano per gioca-

re a bocce. Tutte cose che rimarranno nella memoria di chi ha avuto la possibilità di viverle e vederle. Tutte cose che faranno di quella di Sydney un'edizione difficilmente superabile per organizzazione, partecipazione e risultati. In Australia i giovani sapranno ricordare tutto questo e cambieranno idea o rafforzeranno, se l'educazione ne ha portato loro una positiva, sull'handicap. Pensate che neanche negli Stati Uniti le cose erano andate così bene. Il paragone con Atlanta non si pone. Ne è convinta Paola Fantato, la nostra atleta più famosa, dopo che nel '96 partecipò sia all'Olimpiade che alla Paraolimpiade nel tiro con l'arco: «Forse è stata superata Barcellona '92. Il Villaggio è comodo, l'organizzazione quasi perfetta, le differenze con l'Olimpiade che si è disputata pochi giorni prima inesistenti. Davvero bello». Ad aiutarla nelle valutazioni anche il fatto che è tornata a casa con due medaglie d'oro al collo (nella prova individuale e in quella a squadre). Non poteva chiudere in maniera migliore una carriera agonistica entrata nella storia dello sport. Insieme a Lorenzo Ricci (doppia medaglia d'oro nei 100 metri e nella staffetta 4x100), ha tenuto alto il nome dell'Italia ai Giochi. La stella è stata però Alvise De Vidi. Un fenomeno mondiale: tre medaglie d'oro, una d'argento e una di bronzo.

È salito sul podio in ogni gara nella quale ha partecipato, dominando nell'atletica fra i tetraplegici davanti a uno dei miglio-

ri atleti di casa, l'australiano Fabian Blattman, battendolo in una volata straordinaria nella finale dei 1500 metri, separati solo da 4 centesimi di secondo. I giovani australiani hanno preso coscienza perché hanno visto atleti come loro e come i tanti campioni, molti professionisti, presenti alla Paraolimpiade. Le storture dello sport esistono anche qui. Ma non di questo intendiamo scrivere ora. Altri aspetti ci interessano. Con lo sport si possono capire molte cose. In Italia questo ancora è lontano dall'essere realtà. Le gare per disabili sembrano confinate e valere meno di qualunque sport "minore". Invece valgono di più. Perché aiutano a prendere coscienza. Questo è il grande insegnamento che ci viene da Sydney. E in questa occasione si è potuto anche vedere in televisione: la Rai aveva un inviato, Lorenzo Roata, e una troupe che hanno realizzato un programma quotidiano. E credo che gli amici del CSI permetteranno in questo caso una parentesi anche personale, che riguarda Tele+: proprio partendo dall'esperienza australiana è partita una nuova trasmissione, "Sporthandicap", che andrà in onda settimanalmente (è la prima volta che nasce una trasmissione periodica sullo sport per disabili) su Tele+Grigio ogni venerdì. Non è pubblicità. Tele+ probabilmente non guadagnerà economicamente da questo tipo di impegno. Ma anche questo serve per prendere coscienza. E lo facciamo volentieri.

Nuovi percorsi formativi

Pronti alvia

corsi per l'estate 2001. Tanti sono i corsi su cui, dal 16 al 29 luglio 2001, la Scuola Nazionale Educatori Sportivi e la Scuola Nazionale Dirigenti si prodigheranno per venire incontro alla base associativa. Si tratta di uno sforzo che rientra nella strategia di rilancio del sistema formativo del CSI e che è teso a sostenere, implementare e completare l'attività formativa promossa a livello locale.

L'obiettivo è far in modo che le proposte formative nazionali siano sempre più apprezzate come un'opportunità di cui approfittare e come un'occasione per sperimentare nuovi percorsi formativi. In effetti, le iniziative formative 2001 si carat-

terizzeranno da una parte per un recupero e una riqualificazione dei percorsi tradizionali e ormai consolidati, dall'altra per l'introduzione di alcuni percorsi che tentano di intercettare i nuovi fermenti sportivi che interpellano e sollecitano il tradizionale modello della promozione sportiva. Ovviamente, sono previsti tutti i livelli per gli allenatori di calcio, pallavolo, tennistavolo e pallacanestro, oltre alle iniziative rivolte agli istruttori di atletica leggera e arti marziali. Contemporaneamente, i dirigenti daranno ufficialmente il via al progetto della scuola di formazione permanente per dirigenti. Ma soffermiamoci su quelle che possono essere considerate le novità del prossimo anno.

La prima riguarda gli arbitri. Infatti, oltre al corso per arbitri di calcio, pallavolo, pallacanestro, per la prima volta si procederà a verificare l'idoneità per i ruoli tecnici arbitrali a livello nazionale. Il progetto risponde alla richiesta da parte degli arbitri convenuti alla Convention nazionale degli arbitri, svoltasi lo scorso settembre a Riccione, di dare all'arbitro un ruolo sempre più qualificato sia sotto il profilo tecnico, sia sotto il profilo educativo. Gli arbitri aspiranti ad entrare nei ruoli tecnici nazionali, quindi, saranno sottoposti ad una settimana di test fisici, psicologici e di verifica della conoscenza del regolamento e della casistica.

Disegno
di Nevio
De Zolt

Scuola Nazionale Dirigenti 16-29 luglio 2001

Nel quadro del progetto della scuola di formazione permanente per dirigenti, saranno assunte alcune ulteriori iniziative, finalizzate al recupero di percorsi formativi già intrapresi e alla qualificazione di specifici operatori dell'associazione.

-Operatori della comunicazione

-Progettisti

-Incontro coordinatori della formazione

-Utilizzo programmi informatici e sito CSI

-Progetto scuola di formazione permanente -Campus giovani dirigenti (agosto 2001)

Un'altra novità coinvolge l'emergere di cosiddetti "nuovi sport", verso i quali si registra un interesse crescente. In particolare, nell'estate del 2001 sarà avviato un percorso sperimentale per istruttori e giudici di danza sportiva e di aerobica. Come noto a tutti, queste discipline stanno sempre più assumendo il volto anche di fenomeni di massa e, in quanto tali, il CSI ha il dovere di leggerli e di darne un'interpretazione. Solo in questo modo, infatti, si possono trasformare quelle che rischiano di essere delle semplici mode e dei luoghi per faccendieri dello sport, in reali occasioni di incontro e di aggregazione, alla luce dei valori positivi dell'agonismo e dello sport per tutti. Il CSI, quindi, non intende restare alla finestra, ma desidera costruire un progetto che porti, in breve tempo, alla realizzazione di un circuito nazionale di danza sportiva.

Altro corso interessante e sperimentale sarà quello dedicato all'amministrazione della Giustizia sportiva. Di nuovo, si tratta della prima volta a livello nazionale di un'iniziativa del genere. Amministrare la giustizia sportiva in un'associazione quale il CSI appare sempre più come un'importante contributo educativo all'attività sportiva e, dunque, non è possibile lasciare tutto in mano all'improvvisazione o alla buona volontà del Pierino di turno.

Inoltre, ci saranno anche alcuni ritorni al passato, alla luce delle nuove dinamiche che in questi anni hanno investito la società e il mondo dello sport. In primo luogo, verrà ripreso il percorso per educatori sportivi di strada, finalizzato alla formazione di figure dedicate alle marginalità da incontrare grazie a progetti sportivi ad hoc. In secondo luogo, verrà definitivamente codificato e sperimentato un percorso formativo per operatori sportivi per disabili, atteso da tempo in

Scuola Nazionale Educatori Sportivi 16-29 luglio 2001

Allenatori Calcio XXX

Allenatori Pallavolo XXX

Allenatori Pallacanestro XXX

Allenatori Atletica leggera XXX

Allenatori calcio a 5 XXX

Allenatori tennistavolo XXX

Giudici atletica leggera X

Giudici tennistavolo X

Arbitri calcio X

Arbitri calcio a 5 X

Arbitri pallavolo X

Associazione, il quale intende dare riconoscimento alle numerose attività con i disabili promosse sul territorio. E finalmente, dopo tante riflessioni, si darà il via al percorso per operatori della comunicazione. Non siamo più ai tempi dei "semplici" addetti stampa; oggi, sport e comunicazione sono sempre più vicini, si rincorrono e si cercano. Gli strumenti telematici, la comunicazione in tempo reale, l'evoluzione e il rinnovamento dell'associazione e del sistema sportivo italiano, richiedono che i comunicati ufficiali, le testate associative, i siti, ecc., siano gestiti da persone in grado di leggere l'evento, di crearlo, di trasformalo sempre in notizia, in narrazione affascinante in grado di veicolare i valori dello sport targato CSI.

Arbitri pallacanestro X

Istruttori karate X

Giudici karate X

Istruttori judo X

Animatori Fantathlon XXX

Animatori Giocasport XXX

Istruttori danza sportiva X

Giudici danza sportiva X

Istruttori aerobica X

Educatori di strada X

Operatori sportivi per la terza età XX

Operatori sportivi per disabili X

Animatori sportivi in parrocchia XX

Amministrazione della Giustizia sportivaX

Stage ruoli tecnici arbitrali

Non vogliamo dimenticare nemmeno le iniziative per operatori sportivi per la terza età e per la formazione degli animatori Fantathlon e Giocasport. Nella prospettiva dello sport per tutti, il CSI si prepara ad affrontare l'evoluzione demografica del nostro Paese, svolgendo la propria funzione sociale grazie a figure di educatori sportivi in grado di comunicare sia con le nuove generazioni, sia con le generazioni più anziane. Siamo di fronte alla presa di coscienza dello sport come strumento capace di migliorare la qualità della vita e di svolgere, come enunciato nel Piano sanitario nazionale, una efficace azione preventiva.

Ultimo corso da evidenziare, ma non per importanza, è quello relativo agli animatori sportivi in parrocchia, che ha vissuto il suo primo round a Capracotta nel 1999. Anche questo percorso sarà formalizzato e finalizzato alla formazione di operatori in grado di intervenire in quelle realtà parrocchiali in cui occorre oliare i circuiti

dell'animazione e rivitalizzare l'azione educativa nei confronti dei più giovani. Il CSI ha storicamente avuto un interlocutore privilegiato nelle parrocchie, un interlocutore sempre protagonista sul territorio. Negli ultimi tempi, è stata osservabile una crisi degli oratori e delle parrocchie, proprio sotto il profilo della proposta pastorale di animazione e di coinvolgimento dei giovani. Crediamo che il CSI possa offrire le proprie competenze, maturate ormai in oltre 50 anni di storia, mettendole a disposizione delle chiese locali.

Va sottolineato come le scuole nazionali stiano formalizzando ogni percorso, il quale, in questo modo, entrerà nel sistema formativo del Centro Sportivo Italiano. Si tratta di un impegno importante che stabilirà dei parametri e dei punti di riferimento anche per le regioni e i comitati territoriali che vorranno poi promuovere tali percorsi autonomamente. Ulteriori notizie e i programmi dei corsi saranno disponibili, a partire dal mese di gennaio 2001, sul sito della Presidenza nazionale www.csi-net.it e potranno essere richiesti all'indirizzo di posta elettronica formazione@csi-net.it.

Aspetti medici della Pallavolo

La gioia di giocare e la spettacolarità di questo sport è ormai una realtà. La crescita vertiginosa del numero di praticanti (è lo sport più giocato dal mondo femminile!) e del livello tecnico atletico del gioco, ha determinato in questi ultimi anni una particolare attenzione, da parte di fisiologi e medici sportivi, per la pallavolo ritenuta in precedenza di scarso interesse scientifico. Si tratta di uno sport di situazione nel quale l'impegno fisiologico dipende dalla variabilità delle azioni tecniche. Per tale ragione, oltre a caratteristiche antropometriche peculiari, la riuscita del gesto sportivo è frutto di qualità muscolari adeguate nonché di capacità coordinative e psicologiche specifiche.

L'impegno bioenergetico nella pallavolo è di tipo anaerobico alattacido, non vi è cioè necessità di ricorrere a meccanismi di produzione energetica legati all'ossigeno. Le azioni di gioco, infatti, hanno una durata di pochi secondi durante le quali l'organismo è sollecitato a sviluppare la massima potenza. In tali circostanze, l'energia utilizzata dai muscoli è già presente in essi e pronta ad essere sfruttata.

All'inizio degli anni 80 furono effettuati diversi studi per verificare le modificazioni della lattacidemia nella pallavolo e l'influenza del sistema aerobico, ma fu ben presto verificato che anche nel caso di partite molto lunghe ed impegnative, vi era un lievissimo e poco significativo movimento dell'acido lattico e che l'impegno energetico non

prevedeva l'intervento dell'ossigeno.

La pallavolo presenta caratteristiche di alta intensità a carattere intermittente con frequenza cardiaca e consumo metabolico strettamente dipendenti dalla situazione competitiva. Una delle qualità più importanti per il pallavolista è la capacità di salto che per essere manifestata al massimo necessita di un cocktail di qualità muscolari innate ed acquisite, quali la potenza, l'elasticità e la velocità. Il muscolo del pallavolista va allenato a sviluppare molta forza in assenza di ipertrofia. Quest'ultima, infatti, se presente in eccesso, potrebbe rappresentare un limite alla velocità di spostamento.

La valutazione del pallavolista ha sempre tenuto in grande conto lo studio del salto, in particolare tra i test più utilizzati, troviamo le metodiche che misurano l'altezza dei salti verticali. La ricerca ha compiuto notevoli progressi in questo campo, tanto che oggi si hanno a disposizione apparecchiature che attraverso lo studio dei salti forniscono anche informazioni sulla qualità costituzionale dei muscoli estensori della coscia. Tuttavia la moderna ricerca in questo ambito, si sta indirizzando verso la valutazione di altri aspetti. Il "nuovo" nella valutazione del giocatore di pallavolo non riguarda più soltanto l'analisi delle qualità fisiche, ma anche di quelle neuro sensoriali, in particolare di quelle attentive. Attenzione e suo mantenimento, capacità di anticipazione, percezione dello spazio e del tempo, giocano

un ruolo determinante e condizionano notevolmente la prestazione dell'atleta. La misurazione di parametri oggettivi come i tempi di reazione o la registrazione di quanto accade nel sistema nervoso centrale durante una partita di pallavolo attraverso l'elettroencefalogramma, stanno ormai modificando radicalmente l'approccio scientifico nei confronti della pallavolo. È indubbio che l'equilibrio ottimale tra gli ingredienti psicofisici realizzano il modello di gioco migliore.

Ciò che purtroppo cambia poco sono le lesioni acute che frequentemente coinvolgono la caviglia e le dita delle mani e più raramente le ginocchia e i globi oculari. Le distorsioni della caviglia rappresentano il 40% delle lesioni acute del pallavolista. Esse possono essere classificate in lesioni di 1º 2º e 3º grado a seconda della gravità e coinvolgono i legamenti che possono andare incontro a rotture più o meno complete. In molti casi il recupero è molto veloce perché l'entità è modesta, ma abbastanza spesso ci troviamo di fronte a distorsioni che necessitano di protezione con gessatura o fasciatura funzionale da applicare per molto tempo al fine di favorire la guarigione del legamento lesionato. È importante non affrettare la ripresa dell'attività pallavolistica al fine di evitare recidive.

Vi sono moltissimi protocolli riabilitativi e tutti tengono in debito conto il rinforzo delle caviglie attraverso l'uso quotidiano di tavolette definite propriocettive che allenano i ri-

flessi a reagire prontamente a un evento distorsivo riportando immediatamente in asse corretta il piede che sta subendo il trauma. Tale consuetudine rappresenta peraltro un ottimo presidio preventivo, che di fatto risulta sempre la terapia migliore. Purtroppo a volte la distorsione può anche essere grave con rottura completa dei legamenti e necessitare per la completa guarigione di un intervento chirurgico, ma per fortuna tali evenienze sono abbastanza rare. Abbiamo sottolineato in questa sede anche i traumi oculari poiché in questo sport sono abbastanza frequenti. A volte, infatti, capita di non effettuare correttamente il fondamentale del muro da parte del giocatore che si contrappone all'attaccante, esponendo la testa e gli occhi al colpo violento sulla palla attraverso lo spazio che rimane tra le mani. Tra le patologie infiammatorie croniche, cioè quelle che derivano da sovraccarico funzionale a causa delle ripetute microsollecitazioni sul sistema muscolo scheletrico, quelle più frequenti sono a carico della colonna vertebrale, del ginocchio e della spalla. Le cause variano dalla esecuzione sbagliata dei fondamentali di gioco, a particolari condizioni anatomiche che riducono la capacità di adattamento dell'organismo, a fattori esterni come il terreno di gioco o l'abbigliamento sportivo. Nel caso della colonna vertebrale, le continue iperestensioni, rotazioni e lateroflessioni, su anomalie (anche piccole) del tratto lombosacrale, determinano spesso dolori che sono ulte-

riormente accentuati dal movimento.

Anche le patologie da sovraccarico della spalla sono frequenti nella pallavolo per la costante ripetizione dei movimenti, soprattutto in extrarotazione, nei quali l'arto superiore viene utilizzato sopra la testa. Ciò provoca l'infiammazione di alcuni tendini dei muscoli della spalla e quindi molto dolore. Anche per quanto riguarda il ginocchio, il disturbo principale riguarda un tendine (rotuleo) che a causa dei salti ripetuti, magari su

terreni eccessivamente duri come il cemento, può infiammarsi e provocare dolore. Sebbene queste patologie siano in aumento, alcune accortezze preventive in particolare nei giovani, possono contribuire a una partecipazione sicura e benefica, soprattutto curando l'elasticità muscolare, correggendo le condizioni anatomiche predisponenti, potenziando armonicamente la muscolatura delle strutture precedentemente citate e migliorando la qualità degli allenamenti.

Net training la formazione nell’era digitale

L’avvento della società postindustriale sta trasformando radicalmente l'economia delle nazioni, le modalità di produzione, i rapporti tra le persone, la cultura e gli stili di vita.

La velocità, l'interconnessione e l'immaterialità sono i tre punti salienti che connotano la cosiddetta new economy, che è sempre più economia delle reti e dell'intangibile.

Oggi la ricchezza di un'organizzazione, profit o non profit che sia, non si misura più secondo il numero di capannoni posseduti o di iscritti effettivi, ma sulla base dei valori guida, della forza delle idee, della capacità di suscitare emozioni. Così le nuove tecnologie dell'informazione hanno assunto un ruolo centrale: rendendo possibile il sogno dell'ubiquità, contribuiscono alla destrutturazione dello spazio e del tempo, trasformando le modalità del lavoro, che va perdendo sempre più il suo carattere fisico per lasciare libero sfogo all'immaginazione e alla creatività.

La gran cosa della rivoluzione digitale è la possibilità di mettere in contatto tutti con tutti in tutti i momenti: lo scambio è la vera fonte della ricchezza! Pensateci: in altri tempi, se due persone si scambiavano un soldo, ambedue restavano in possesso di un soldo; oggi che le idee fanno l'economia, due persone che si scambiano un'idea entrano ognuna in possesso di due idee. In tutto questo è centrale il ruolo della

formazione. In particolare, il suo rapporto con la tecnologia. Nei prossimi anni si potrà far tutto telematicamente: apprendere, lavorare, divertirsi, etc. Probabilmente si correranno alcuni rischi, come "perdere contatto" con i propri vicini, perciò la formazione ha il compito di educare giovani e adulti ad una dimestichezza equilibrata con le nuove tecnologie. Nelle organizzazioni di lavoro e volontaristiche, in particolare, la formazione ha il compito di promuovere un processo di crescita continua. Proprio ciò su cui si impegna il Centro Sportivo Italiano, che ha deciso di perseguire una mèta difficile ma stimolante: costruire un sistema di for-

mazione permanente che favorisca continuamente la crescita culturale e civile delle persone che nel CSI lavorano, da volontari, da dirigenti, da sportivi.

Si tratta di un progetto "al passo coi tempi", che investe senza riserve sui nuovi media e l'editoria multimediale, conscio di poter raggiungere gli obiettivi prefissati soltanto proponendo nuove soluzioni formative, per dare risposte in linea con le esigenze della società e, al tempo stesso, consentire agli individui di essere protagonisti attivi del processo di apprendimento. Collocando così il CSI al livello delle organizzazioni più avanzate, dove

analoghi programmi di formazione operano da anni, con risultati eccellenti in termini di crescita culturale e professionale.

In questo quadro, è in fase di avanzata progettazione il Progetto SMS (S ussidi M u lt i m e d i a l i p e r l o S p o rt ), che consiste nella produzione di una collana editoriale multimediale dedicata alle tematiche dello sport per tutti. La scelta di realizzare sussidi in grado di coniugare testo, immagini e suono, oltretutto, è legata alla indubbia dinamicità e multimedialità dello sport contemporaneo. D'altra parte, anche la didattica richiede sussidi sempre più in grado di guidare gli operatori sportivi (dirigenti, tecnici, arbitri…) in maniera chiara e semplice, sostenendo e qualificando la loro professionalità. La denominazione del Progetto non è casuale. La sigla SMS (short message service) identifica il servizio di invio dei messaggi di testo dei telefonini cellulari: rappresenta una forma di comunicazione che risponde all'era della globalizzazione telematica. Il progetto, in effetti, intende inviare "piccoli messaggi" al mondo dello sport, aiutandolo a dotarsi di strumenti adeguati e innovativi per migliorare la sua capacità progettuale ed educativa.

Tutto questo per il Centro Sportivo Italiano significa comprendere appieno e cercare di soddisfare le nuove necessità di chi intende lavorare e vivere nella "nuova" società da protagonista.

FAQ (F REQUENTLY ASKED QUE STIONS)

Educazione a dist anza

Cos'è l'educazione a distanza e quali strumenti usa?

Nel significato più generale, "educazione a distanza" vuol dire semplicemente "imparare da lontano" Il c aso più comune è quello in cui si svolge un'attiv ità di apprendimento da casa, ma sempre più spesso gli studenti di questa particolare forma di istruzione operano da spazi attrezzati posti nei campus universitari, nelle biblioteche pubbliche, nei training c enter delle aziende. Infatti, per usufruire al meglio dei corsi, è necessario sfruttare i più moderni ed evoluti mezzi di comunicazione oggi disponibili (internet, sistemi di videoconferenza, TV interattiva, supporti multimediali, c ollegamenti in fibra ottica , ecc.) e ciò impone la creazione di infrastrutture tecnicamente all'avanguardia Tuttavia la tendenza è, innegabilmente, quella di rendere questo ramo della didattic a sempre più compatibile con i mezzi disponibili nelle case di tutti. Internet in questo sta avendo, e avrà sempre più, un ruolo centrale, come dimostra il fatto che nello stabilire le linee guida dell'istruzione del futuro, molti governi mondiali considerano come primo passo da fare la diffusione della Rete nelle scuole e nelle abitazione degli studenti.

Quando è nata l'idea di educazione a distanza e come si è evoluta?

Sebbene con mezzi molto più semplici di quelli attuali, il primo esempio di corso svolto "a distanza" sembra risalire addirittura al 1858 quando l'Università di Londra istituì un "diploma esterno per studenti d'oltremare". Per ovvie esigenze geografiche, nel 1890 l'Università di Queensland in Australia avviò quella lunga tradizione di didattic a a distanza che rende oggi tale Paese il modello di riferimento per tutti in questo settore insieme al Sudafrica, dov e ha attualmente sede la più importante istituzione del genere, l'UNISA, con oltre 200.000 studenti sparsi per il mondo e che ann ov era tra i suoi più illustri laureati Nelson Mandela e Desmond Tutu. Negli Stati Uniti si contano numerosi esperimenti di corsi via radio (negli anni '30) e v ia televisione (anni '60), mentre negli anni '70 sorsero le prime università esclusivamente a distanza. Nel 1971 nacque in Inghilterra la Open University, la cui innovativa impostazione è stata poi ripresa da molte strutture analoghe. Veniamo all'Italia. Tralasciando l'indimenticabile trasmissione televisiv a degli anni '60 "Non è mai troppo tardi" che diede un a forte spallata all'analfabetismo, gli altri esempi sono tutti piuttosto recenti Sicuramente il più noto è quello del Consorzio Universitario Nettuno, che diffonde, tramite registrazioni audio-video e ben due canali satellitari dedicati, le lezioni delle princ ipali facoltà nazionali, svolti dai medesimi docenti dei c orsi di laurea "normali" e con i medesimi programmi e princìpi didattic i.

Come avviene la valutazione dell'apprendimento e che valore hanno i titoli di studio conseguiti?

La risposta a questa domanda è varia quanto le diverse forme di corsi a distanza che esistono Nel caso si parli di formazione univ ersitaria, o comunque legata al conseguimento di un diploma, spesso le prove di valutazione finali vengono ancora sv olte in maniera tradizionale (o quasi): per lo studente resta il vantaggio di svolgere tutto il corso di studi da c asa, però in occasione di alcune scadenze dovrà recarsi presso qualche "struttura" dove si svolgono gli esami. Magari non dovrà necessariamente raggiungere la sede centrale dell'università, ma potrebbe sfruttare, ad esempio, una rete di centri multimediali decentrati collegati in videoconferenza tra loro e con la sede stessa Anche in questo caso la tendenza futura è quella di spostare questa delicata fase di un corso di studi direttamente sul PC dello studente opportunamente attrezzato. Ciò sarà possibile grazie all'adozione delle stesse tecnologie di sicurezza applicate, ad esempio, per il commercio elettronico in modo da garantire un elev ato grado di veridicità alla prova. Il raggiungimento di tale obiettivo consentirà di attribuire ad un c orso di laurea o di diploma a distanza lo stesso valore legale di uno "tradizionale", superando, specie nei Paesi come il nostro con una scarsa tradizione in questo campo, il tipico prec onc etto di "educ azione inferiore".

Dove si possono trovare informazioni sull'argomento?

Ovviamente in Rete! Per chi ha dimestichezza con i newsgroup, il principale punto di riferimento è il gruppo alt.education.distance con le relative FAQ. Un buon punto di partenza può essere il sito della curatrice di tali FAQ, h ttp://personalpages tds net/~rlaws/ Relativ amente all'Italia, molte univ ersità illustrano sui propri siti, in maniera circostanziata, i propri progetti di didattica on line. Ricordiamo il sito del Ministero della Pubblica Istruzione www istruzione it, con particolare riferimento alla sezione dedicata al "Programma di Sviluppo delle Tec nologie Didattiche". Infine, segnaliamo l'indirizzo del citato Consorzio Nettuno http://nettuno.stm.it.

Novità manageriali nel mondo del non profit

La carica dei 160.000

Il mondo del non profit sta cambiando. Le associazioni e le fondazioni del nostro Paese crescono sotto ogni aspetto. Crescono nei numeri - sono ormai quasi 200.000 -, crescono nella dimensione dei capitali da gestire e crescono nella professionalità di chi si trova a dirigerle. Lo scorso 8 novembre, fra l'altro, è stato definitivamente approvato dal Senato - anche se non è ancora avvenuta la promulgazione o la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale - il nuovo testo che disciplinerà le associazioni di promozione sociale (reperibile all'indirizzo internet: http://www.senato.it/parlam/ leggi/messaggi/S4759a.htm). In parole povere sta nascendo una nuova era, quella in cui l'associazionismo sarà in tutto e per tutto paragonabile al mondo dei profitti. Ma con una differenza sostanziale. Il manager di un'associazione avrà un cuore, potrà mostrarlo e farà convivere in sé i due mondi apparentemente più lontani, quello dell'etica e quello dell'economia. Questa fase di transizione appare oggi un'esigenza più che una scelta. Dicevamo poc'anzi che i fondi da gestire sono sempre più consistenti, che il personale impegnato aumenta costantemente, che i volontari - solida base delle associazioni - sono sempre più numerosi. Con questi presupposti oggi l'associazionismo si trova di fronte ad una situazione di non ritorno, una sorta di sfida: "vincere o morire". Un meccanismo complesso di cui essere orgogliosi e di cui avere costruttivo timore ad un tempo. Di fronte a certi scenari occorre rispondere con una adeguata organizzazione: il tempo dell'improvvisazione è finito. Ed allora l'interrogativo è d'obbligo: come farà il mondo del non profit ad affrontare in maniera vincente la nuova stimolante sfida? Risposta: con l'esercito dei 160.000 nuovi dirigenti che sbarcherà nei prossimi anni nel mondo del non lucro.

C'è chi si starà mettendo le mani fra i capelli o, più saggiamente, in tasca. Ed invece niente paura, nessun allarme, il processo sarà assolutamente indolore, anche dal punto di vista economico. «Una singola associazione, almeno inizialmente, non avrà bisogno di un elevato numero di dirigenti qualificati - ci spiega Miriam Cresta, responsabile della comunicazione e dei contatti con i media della Sodalitas, una delle più importanti associazioni per lo sviluppo dell'imprenditoria nel sociale

Sodalitas - continua la Cresta - per iniziativa di un gruppo di dirigenti senior di Assolombarda e di alcune imprese sue associate, opera con lo scopo di essere ponte tra la cultura d'impresa ed il mondo del non profit. Sodalitas può contare sull'apporto di due tipi di risorse: i suoi 80 consulenti volontari (dirigenti senior che mettono parte del proprio tempo a disposizione dell'Associazione) e le 24 imprese socie. Si tratta, dunque, di un inedito esperimento che coniuga volontariato d'impresa con volontariato manageriale, razionalità con solidarietà. In concreto lo sviluppo dell'imprenditoria nel sociale promosso da Sodalitas si esplica in due direzioni: da un lato contribuisce alla professionalizzazione gestionale del non pro-

fit; dall'altro incoraggia, e in prospettiva accompagna, il coinvolgimento delle imprese nel sociale». Nel terzo millennio le organizzazioni non profit avranno un nuovo scheletro tipicamente aziendale, perché il loro obiettivo è talmente valido e nobile da esigere mezzi adeguati per il raggiungimento. Le donazioni alle fondazioni, ad esempio, necessiteranno di "garanzia": i soldi devono essere gestiti nella maniera più efficace possibile, senza alcuno sperpero. Le dimensioni dei progetti non consentiranno in alcun modo l'approssimazione. Ed allora le opportunità che offrono associazioni come la Sodalitas diventano imperdibili. Sodalitas, infatti, offre alle organizzazioni non profit interventi di consulenza gratuita nelle più svariate aree: amministrazione e controllo, organizzazione e risorse umane, formazione, marketing, raccolta fondi, comunicazione, project management, sistemi informativi, sistemi di gestione e sviluppo programmi di qualità, valutazione investimenti e sviluppo piani di impresa. L'intervento di consulenza segue un iter che consente a Sodalitas e all'utente di verificare congiuntamente e con continuità il livello di efficacia della consulenza fornita e il grado di soddisfazione dell'utente. Il rapporto ha inizio con una richiesta (tel. 02.58370293), cui segue un primo contatto (presentazione dello statuto dell'associazione), un approfondimento (individuazione delle aree di intervento), la consulenza vera e propria (assegnazione di manager con il miglior profilo possibile rispetto alle esigenze) e la chiusura del rapporto con relativa valutazione.

"Nel periodo di Natale - sottolinea Miriam Cresta prima di congedarcimolte aziende di profitto ci telefonano per avere un consiglio su come investire in opere di solidarietà o per poter contribuire alla realizzazione di manifestazioni a scopo sociale".

A buon intenditor poche parole.

L'IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI:

COMMENTO ALLA CIRCOLARE 165 DEL 07/09/2000

"Morta un'imposta se ne fa un'altra". La locuzione, di notoria derivazione ecclesiastica - essendo, di norma destinata a commentare il ciclico alternarsi dei pontefici al Sacro Soglio - ben si adatta al caso dell'imposta sugli intrattenimenti, nata dalle ceneri dell'imposta sugli spettacoli ed in procinto di prenderne definitivamente il posto nella rubrica degli adempimenti fiscali.

Per la cronaca l'imposta sugli intrattenimenti è stata istituita con il D. Lgs n.60 del 26 febbraio 1999 cui ha fatto seguito, per la parte attuativa, il D.P.R. 544 del 30 dicembre 1999. L'applicazione del tributo e i relativi adempimenti, non certo agevoli data la complessità della materia, sono stati oggetto, infine, della corposa circolare 165 del 7 settembre 2000, al cui commento dedichiamo questo numero di Tuttoleggi.

Nella circolare il Ministero delle Finanze spiega, anzitutto, filosofia e ragione di essere del nuovo tributo: l'imposta sugli intrattenimenti - commentano, infatti, i tecnici dell'Amministrazione Finanziaria - diversamente da quella sugli spettacoli, colpisce solo le attività di puro divertimento che comportano una partecipazione attiva del pubblico, restandone escluse, invece, quelle di contenuto culturale (ove la partecipazione è passiva in quanto il pubblico assiste ad una rappresentazione cinematografica, musicale, sportiva svolta da altri soggetti).

Con tale provvedimento, resta sottinteso, si è voluto ovviare alla contraddizione di un sistema che, per un verso dichiara di promuovere e stimolare la produzione delle attività culturali e dall'altro le tassa con imposte al pari di quanto accade per alcolici e tabacco. In sostanza l'imposta sugli intrattenimenti inciderà i proventi derivanti da tre sole categorie di attività: l'esecuzione di musica non dal vivo (tale essendo anche l'esecuzione di musica dal vivo la cui durata sia inferiore al 50% del periodo di apertura del locale); l'utilizzo di apparecchi da divertimento e da intrattenimento (biliardi, biliardini, juke-box, ecc.); l'ingresso nella case da gioco e nelle sale scommesse e l'esercizio dei relativi giochi. Tali proventi, si badi, sono soggetti anche all'aliquota IVA del 20%.

Restano fuori, invece, dal campo di applicazione del tributo gli spettacoli sportivi (gare, partite, manifestazioni, ecc.) nonché le esibizioni culturali di particolare interesse anche per i circoli quali gli spettacoli cinematografici, i concerti vocali e strumentali, il teatro, il balletto e il cabaret, il circo e i teatrini di marionette. Soppressa l'imposta sugli spettacoli i proventi generati da tali attività saranno gravati, laddove ne ricorrono i presupposti, solo da IVA 10% (che si innalza al 20% sugli ingressi a gare e partite di valore netto superiore a 25.000 lire).

Dal giro di vite che ha segnato la fine dell'imposta sugli spettacoli e la nascita di quella sugli intrattenimenti sembrerebbe, pertanto, che il variegato mondo dell'associazionismo sportivo-culturale abbia tratto una significativa riduzione del carico tributario. L'analisi dell'incidenza dell'imposta dimostra che, nei fatti, così è anche se circoli e società dovranno porre particolare attenzione a verificare se nelle attività da esse svolte non rientrino operazioni soggette all'imposta sugli intrattenimenti. Tale evenienza, si noti, è meno remota di quanto potrebbe, di impatto, apparire: accompagnare una cena sociale con un sottofondo musicale, per esempio, sostanzia un'ipotesi di esecuzione di musica non dal vivo; tenere una sala bigliardo, dei bigliardini o un juke-box, anche ad uso esclusivo dei soci costituisce, parimenti, un'operazione imponibile.

In tali ipotesi l'imposta sugli intrattenimenti è dovuta e le società dovranno tenere a mente quanto segue:

BASE IMPONIBILE: sono previste cinque distinte ipotesi:

a) società sorta per organizzare esclusivamente un unico evento caratterizzato da attività soggette al tributo: la base imponibile coincide con l'intero ammontare delle quote o contributi associativi versati dai soci;

b) società che organizza, tra le altre cose, un evento o un'attività ricadente nel campo di applicazione del tributo anche se a favore dei soli soci: la base imponibile coincide con i contributi o corrispettivi specifici versati dai soci

partecipanti all'evento o attività in oggetto;

c) società che organizza un evento soggetto al tributo a favore dei soci e dei terzi verso il pagamento di un corrispettivo di entrata: la base imponibile corrisponde all'ammontare (netto da IVA) dei biglietti di ingresso;

d) società che organizza un evento soggetto al tributo con entrata gratuita di soci e di terzi finanziando l'organizzazione con proventi da sponsorizzazioni, anche in natura, cessione dei diritti radio-televisivi, contributi da chiunque concessi: la base imponibile coincide con l'ammontare del valore di tutte le entrate prima menzionate;

e) società che organizza un evento soggetto al tributo con devoluzione dell'intero incasso ad ONLUS o a ente pubblico per scopi di beneficenza: la base imponibile è ridotta alla metà.

ALIQUOTE IMPOSTA INTRATTENIMENTI: per le società sportive e i circoli le aliquote di interesse sono quelle relative all'esecuzione di musica non dal vivo (16 % da calcolarsi sulla base imponibile) e all'utilizzo di bigliardi, bigliardini e juke-box (8%).

Un cenno, infine, agli adempimenti connessi all'imposta sugli intrattenimenti: le norme in materia prevedono che l'ente organizzatore degli eventi soggetti al tributo certifichi i corrispettivi per l'ingresso dei partecipanti a mezzo apparecchi idonei di tipo elettronico denominati misuratori fiscali o biglietterie automatizzate. Tali apparecchi, oltre ad avere un costo significativo, pongono problemi tecnici e di utilizzo sicuramente superiori a quelli mediamente sopportabili dalla società sportiva "tipo". Per questo motivo il Coordinamento degli Enti di Promozione Sportiva si sta adoperando affinché, nei rari casi in cui l'imposta sugli intrattenimenti si renderà esigibile da parte delle società sportive, queste ultime possano adempiere agli obblighi formali di certificazione dei corrispettivi attraverso biglietti del tipo madre-figlia, magari timbrati e forniti dalla SIAE, proprio come avveniva, in un passato ancora recente, per l'imposta sugli spettacoli.

domande & risposte

Nel caso di manifestazione sportiva aperta al pubblico con incasso interamente devoluto ad una associazione di volontariato è dovuta l'imposta sul valore aggiunto?

Se l'associazione di volontariato è l'organizzatrice della manifestazione, quantunque si affidi ad una società sportiva per il supporto tecnico, l'incasso è escluso dal campo di applicazione dell'imposta sul valore aggiunto. Ciò in forza dell'art. 8 comma 2 della legge 266/1991 che prevede tale specifica esclusione per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate da queste associazioni (purché iscritte nell'apposito registro regionale). Tale interpretazione è confermata dalla Risoluzione ministeriale del 18/06/94 e dalla recente Circolare n. 13 del 12/04/2000.

Le indennità di carica conferite ai dipendenti di una società sportiva che ricoprono anche cariche istituzionali quali Presidente, Amministratore o Coordinatore dell'attività sportiva sono assimilabili ai compensi per collaborazione coordinata e continuativa?

No, in quanto costituiscono redditi assimilati a quelli da lavoro dipendente di cui all'art. 47 comma 1 lett. b) del T.U.I.R. e, pertanto, ne seguono il relativo trattamento fiscale e contributivo. Infatti tale fattispecie è simile se non identica a quella dei gettoni di presenza dei componenti di commissioni e di consigli (ivi compreso quello di amministrazione) che sono anche dipendenti delle società da essi amministrate: in tale caso il Ministero delle Finanze si era espresso con Risoluzione n. 220/E del 17/09/1997 affermando che le indennità in questione costituivano redditi assimilati a lavoro dipendente se l'amministratore è in rapporto di lavoro subordinato con la società, mentre sono attratte nel campo delle collaborazioni coordinate e continuative di cui all'art. 49 comma 1 lett a) del T.U.I.R., se l'amministratore ha un vincolo di lavoro autonomo.

Quali sono i requisiti di cui una società sportiva dilettantistica deve godere per poter fruire dello status di ONLUS?

In sintesi si può affermare che una società sportiva "qualificata", retta, cioè, da uno statuto democratico regolarmente registrato rispetta già parte dei requisiti necessari per godere dello status in questione. Ma non basta: occorre, infatti, che l'oggetto dell'attività istituzionale consista nel perseguimento esclusivo di finalità di solidarietà sociale. Ciò si ha quando le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate dalla società sono dirette, gratuitamente, a beneficio di persone svantaggiate fisicamente, psicologicamente o socialmente, ovvero di collettività estere in condizioni povere e marginali (c.d. eterodestinazione dei risultati). Non può godere dello statuto di ONLUS la società sportiva che, pur dedicando parte delle proprie energie ad attività socialmente utili, tuttavia svolge la propria attività principale a favore dei soli soci, sempreché questi non siano, in misura prevalente, persone svantaggiate.

Elementi di “pastorale sportiva”

Oltre ad essere un imponente fenomeno sociale, lo sport è anche, come ha detto all'Olimpico il Papa. "quasi un segno dei tempi". Egli ha anzi invitato a "rendere grazie a Dio per il dono dello sport". Non può dunque essere estraneo alla quotidiana azione pastorale delle Chiese locali. Il Papa non ha parlato, in quest'occasione, direttamente al mondo ecclesiale; ma le premesse perché la Chiesa s'interessi dello sport ci sono tutte. Anzitutto, perché la via della Chiesa è l'uomo, con i suoi problemi e interessi. E se essa si disinteressa di questi, l'uomo la sente estranea e disincarnata. In secondo luogo perché, come ha detto Giovanni Paolo II nel grande stadio romano, "grande importanza assume oggi la pratica sportiva, perché può favorire l'affermarsi nei giovani di valori importanti quali la lealtà, la perseveranza, l'amicizia, la condivisione, la solidarietà".

È dunque un "luogo" non solo di promozione umana, ma anche di

evangelizzazione, come hanno scritto i vescovi italiani nel noto documento del 1995 Sport e vita cristiana: "la complessa realtà dello sport può essere pastoralmente considerata uno degli areopaghi moderni per la nuova evangelizzazione" (n. 8).

Gli operatori pastorali che s'interessano dello sport - o, meglio, dei ragazzi e dei giovani, ai quali molto interessa lo sport - sanno bene che il loro impegno, pur difficile, è ricco di potenzialità educative. I motivi sono intuibili, ma vale la pena di ricordarli. L'educazione si realizza infatti soprattutto quando si è capaci di trasformare gli obiettivi teorici (i valori) in esperienze capaci di incarnarli. È questo lo snodo attraverso cui transitano l'educazione e la stessa formazione cristiana. La proposta educativa è efficace laddove propone esperienze coinvolgenti. Per quanto proposti ed enfatizzati, i princìpi e i valori restano astratti, se non diventano progetti ed obiettivi concreti. Se manca cioè la mediazione culturale.

Qualsiasi messaggio, non escluso quello evangelico, che è specifico dell'azione pastorale, per diventare vitale ha bisogno di espressioni culturali, di linguaggi, di rappresentazioni simboliche e, soprattutto, di esperienze. Perché chi ascolta, dimentica facilmente e chi vede ricorda, ma solo chi fa, comprende appieno. Solo all'interno delle concrete testimonianze la fede diventa vita.

Gli educatori sportivi sanno che i valori che propongono ai giovani si avverano attraverso l'attività sportiva, soprattutto se continuativa, coinvolgente e gioiosa. Sanno che lo sport, praticato nel pieno rispetto delle regole, e soprattutto degli altri e di se stessi, può diventare un itinerario di educazione "integrale", rivolta cioè a tutte le dimensioni umane: corporea, psichica, morale, culturale, sociale e spirituale. Nella certezza che, come insegna il Concilio, chi si fa più uomo, necessariamente si avvicina a Cristo, l'uomo

perfetto. Sono poche ancora le Chiese locali che hanno immesso lo sport nei loro progetti educativi. Nell'immediato postconcilio, anzi, si è verificata in Italia perfino una certa diffidenza nei riguardi dello sport in parrocchia. Adesso, tenendo presenti le direttive dei vescovi italiani e le richieste di molti parroci, si cerca di ridare consistenza all'ordito lacerato. E su questa linea sta ora lavorando il Centro Sportivo Italiano, che è il maggiore e più antico ente di promozione sportiva. Il suo ultimo congresso, tenutosi a Fiuggi nei mesi scorsi, ha infatti deliberato la costituzione di uno specifico gruppo di lavoro su "Sport e parrocchia". Oltre ad essere metafora della vita cristiana, come ha detto all'Olimpico Giovanni Paolo II, lo sport può anche diventare non solo valore umanizzante, ma anche prezioso mezzo di formazione spirituale. Il grande Giubileo del 2000 chiama dunque a conversione, insieme al mondo sportivo, anche quello ecclesiale.

di Vittorio Peri

Assisi - Santa Maria degli Angeli 8-10 dicembre 2000

Giovani in cammino con Francesco e Chiara...

Venerdì 8 d icembre

15.00Momento di preghiera

15.30 Idee e progetti per una presenza strategica del CSI sul territorio

21.00 Una notte con Francesco e Chiara

Veglia di preghiera e di riflessione per giovani... in cammino da Rivotorto a S.M. degli Angeli alla

Basilica di S. Francesco

06.00Colazione e riposo

Convention dei Presidenti territoriali

V enerdì 8 dicembre

15.00Momento di preghiera

15.30Idee e progetti per una presenza strategica del CSI sul territorio

21.00 In cammino con Francesco e Chiara... da Rivotorto a S. M. degli Angeli

Sabato 9 d icembre

09.00Dibattito

11.30Approfondimenti per gruppi omogenei

La scelta di "esserci" con: - le chiese locali - l'associazionismo sportivo - le istituzioni

18.00Presentazione gemellaggi fra Comitati CSI

21.00Incontro di spiritualità per dirigenti

Basilica di S. Francesco

22.30Celebrazione eucaristica

Domenica 10 dicembre

09.30Sintesi lavori di gruppo

10.30Presentazione dell'attività 2001

12.00Conclusioni

Lo sport dell’asino di Buridano

Ho un amico che dirige un'agenzia bancaria. Novembre è tempo di scadenze fiscali e sono andato a trovarlo. Parlando del più e del meno, gli dicevo della difficoltà che noto nel nostro paese ogni volta che si investe di un problema un centro decisionale, sia dentro che fuori l'amministrazione dello Stato. Passano anche anni senza che si ottenga una risposta, un segno che il tuo problema è stato quantomeno preso in esame.

Il mio amico si è messo a ridere. E mi ha raccontato una storiella che sembra sia in voga nell'ambiente bancario.

Dunque: un direttore di banca si stufa di stare tutto il giorno in ufficio, con impiegati e clienti che lo pressano, responsabilità di miliardi, quotazioni di borsa che salgono e scendono. Poiché il suo stato di servizio lo consente, se ne va in pensione. E decide di recuperare aria e libertà. Il suo sogno è fuggire dalla città e andarsene in campagna: lavoro manuale, contatto con la natura e tutte quelle cose che stanno tra l'ambientalismo e la new age.

L'ex direttore si ricorda di un cliente che ha una grandissima azienda agricola. Bussa alla sua porta e gli chiede un lavoro nella fattoria. Il fazendero prova a proporgli compiti amministrativi. Niente da fare, il bancario pentito vuole fare lavoro manuale. Finalmente viene accontentato: dovrà scavare, a colpi di piccone, un fossato lungo 100 metri, ben dritto, largo 30 cm e profondo né più né meno 50 cm. Passano un paio di giorni e il neo-manovale si presenta al datore di lavoro: ha già finito, il fossato è pronto, preciso e "sputato" come doveva essere. Vuole qualcos'altro da fare. Il proprietario, un po' sorpreso dalla rapidità di esecuzione dello strano dipendente, pensa di toglierselo di torno per un bel po' incaricandolo di potare un lungo filare di piante. Passa appena una settimana e quello è di nuovo lì, alla sua porta: le piante sono state potate e vuole un altro incarico.

"Adesso ti aggiusto io" si dice l'imprenditore

agricolo, e porta l'ex direttore di banca in un grande magazzino dove sono ammucchiate montagne di mele. "Vedi - gli dice - devi prenderle ad una ad una, valutarle e separarle in tre mucchi secondo la qualità: prima, seconda e terza scelta".

Questa volta passa un mese e del bancario in pensione non c'è traccia. Incuriosito l'agricoltore va nel capannone e lo trova seduto in terra: il mucchio di mele è ancora lì, e la cernita ha fruttato solo tre cassette semivuote. "Ma comedice il tizio al direttore di banca - sei stato così rapido in lavori faticosi e non hai concluso nulla in questa faccenda che potevi fare da seduto".

"Eh, no! - gli risponde l'altro - capisci bene che qui devo decidere".

Con questa storiella il mio amico intendeva spiegarmi che in Italia decidere è una faccenda infinita: a forza di valutare pro e contro, di stabilire cosa compete e cosa non compete, di aver paura di sbagliare, di sentire questo e quello, non si arriva a nessuna conclusione. Chissà perché, questa faccenda mi torna in mente pensando alla crisi "istituzionale" dello sport italiano, che c'è, è davanti agli occhi di tutti, è grave ma nessuno si prende la responsabilità di decidere un rimedio. Un guaio che si rispecchia in certi nostri gangli associativi, dove sarebbe necessario portare l'associazione nella modernità con decisioni coraggiose, ed invece il tempo passa e nulla accade.

"Chi fa sbaglia" dicevano i nostri nonni, ad intendere che il rischio di sbagliare è connaturato al decidere, e che attendere una condizione di "rischio zero" significa non fare. L'importante è muoversi. Per non finire come l'asino di Buridano, che morì di fame non sapendo decidere, tra due mucchi di fieno uguali, quale mangiare. Un po' come il CONI di oggi, che non riesce a decidere tra i possibili correttivi del totocalcio che gli esperti gli mettono davanti. Il suo rimandare è uno sport "estremo", più pericoloso del parapendio. Speriamo che se la cavi.

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