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Il tesoro del campo

di Marco Cerigioni

Se la Clericus Cup fosse stata concepita come una pura operazione di immagine, non anche un modo per consentire a seminaristi e sacerdoti di provare la gioia e l’emozione di competere in una “vera” manifestazione sportiva, probabilmente essa avrebbe già ultimato il suo cammino. Ciò che invece le permette di consolidarsi di anno in anno tra gli istituti di formazione religiosa della Capitale è la sua capacità di svelare, nella maniera più autentica e diretta, quello che il CSI definisce il “Tesoro del campo”. Ovvero quel bene prezioso che si cela – parafrasando la nota parabola – in un qualsiasi terreno di gioco. Ebbene, giovedì 27 marzo, all’Istituto Patristico Agostinianum di Roma, la Clericus ha proposto ai suoi partecipanti un momento di riflessione sul tema. A condurre i lavori don Alessio Albertini, consulente

ecclesiastico nazionale del CSI, mons. Mario Lusek, direttore Ufficio Tempo Libero e Sport della CEI e mons. Melchor Sanchez, sottosegretario del Pontificio Consiglio della Cultura. “L’obiettivo ultimo della Clericus - ha detto don Albertini in apertura - è far prendere a cuore, a sacerdoti e seminaristi, l’esperienza sportiva per poi poterla offrire nei contesti in cui andranno ad operare, trasformandola in un’esperienza formativa ed educativa”. Un po’ provocatoriamente ha poi affermato: “nessun bambino o ragazzo va in oratorio per farsi educare, perché in quel luogo pensa solo a giocare e a divertirsi. Ma poiché a loro lo sport piace, esso rappresenta un’occasione eccezionale per le parrocchie: avvicinare i giovani con qualcosa che li appassiona, per poi chiedere loro di fare qualcosa che magari li appassiona un po’ meno”. Parole da cui mons. Sanchez ha preso lo spunto per tracciare la linea teoretica del legame fra sport e fede cristiana. “Lo sport è certamente utile per la tutela della salute, per favorire l’integrazione e promuovere la pace fra i popoli. Ma non sono questi i motivi per cui la Chiesa deve occuparsene. Lo sport deve essere uno strumento per raggiungere la misura della pienezza di Cristo”. In altri termini, “lo sport deve entrare in un progetto pastorale globale, in quanto rivela l’uomo a se stesso e rivela anche Dio”. Ma la presenza della Chiesa nello sport ha una grande valenza anche per gli atleti di alto livello. L’esperienza dal cappellano olimpico di mons. Lusek è illuminante: non si tratta solo di esercitare un ministero, ma anche di portare gli atleti ad avvicinarsi spontaneamente alla fede e di favorire l’incontro fra le varie religioni. Alla fine dei conti “il villaggio olimpico è un oratorio particolare. E lo sport è una realtà esistenziale, che la Chiesa non può considerare estranea”. Alle testimonianze di Lusek, si sono unite in chiusura quelle di don Albertini, e di personaggi sportivi noti e meno noti che hanno avuto comunque la capacità di far capire come lo sport possa trasmettere qualcosa di utile per la vita.

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