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La grande bellezza cestistica
from Stadium n. 5/2023
by Stadium
Stadium racconta come si può diventare dei numeri uno, non soltanto da atleti. Con un campione di giornalismo sportivo. Dalle panchine nel CSI ai microfoni di Sky, un lungo “passing game”con Flavio Tranquillo
UN «DAI E VAI» VELOCE CON LA VOCE PRINCIPE ITALIANA, SIA IN FATTO DI NBA SIA DI ITALBASKET: «CHI CONOSCE LO SPORT SA RACCONTARLO E VIVERLO MEGLIO!»
di Felice Alborghetti
Si può essere dei campioni di pallacanestro, senza avere il pallone a spicchi in mano? La risposta, positiva, ha un nome, un cognome ed una voce: Flavio Tranquillo, la prosa del basket come non lo avete mai ascoltato e conosciuto.
Generazioni di appassionati e patiti di questo sport, “poesia in movimento”, amano e apprezzano questa disciplina anche grazie alle sue telecronache, al suo timbro vocale su un semplice “pick and roll” giocato fuori dal pitturato, come per l’ennesima tripla realizzata in una gara da Steph Curry. Non staremo qui con lui a narrare oggi antologicamente il “baby hook” di Magic, il “finger roll” di Gervin, Manu Ginobili a Vitoria, Danilovic senza palla, Oscar, Andrea Meneghin contro la Russia o Le Bron da 4515-5. Palese e arcinoto.
Forse non tutti sanno invece che la “carriera” cestistica di Flavio Tranquillo è cominciata a Milano al Rosalba Carriera Dome (oggi scuola Rinascita) nel campionato CSI. «L’amore per questo gioco mi portò ad avventurarmi, nel 1983, come giocatore di una nota squadra del mio quartiere iscritta al campionato del Centro Sportivo Italiano. Interi pomeriggi trascorsi a domare quella palla capricciosa, senza apprezzabili risultati».

Nel gioco dei tre secondi, dei tre punti, quanto importanti sono state nel tuo percorso le tre lettere CSI?
Me le ricordo bene. Naturalmente è un periodo lontanissimo da adesso, ma a cui si guarda con tanta nostalgia e piacere. Ricordi sfumati dell’infanzia, ma dall’atmosfera unica ed impagabile. Al centro di tutto c’era quello che facevamo giocando, ma l’acronimo CSI lo ricordo con vero e autentico piacere. Sono cresciuto a Lorenzeggio, e poi sono tornato a giocarci anche più avanti, nel Kolbe.
Qualche particolare?
Scuola Rinascita, GS ARS Milano la squadra. La mia idea era quella di giocare, ma vi erano lì persone che capivano tanto di pallacanestro. Fu un sottile lavoro diplomatico quello fatto con me. Il classico “promoveatur ut removeatur”. Mi è stato presto detto che la squadra aveva bisogno di un allenatore, dunque era un modo carino per dire che avrei comunque fatto meno danni in panchina anziché in campo. E così è iniziata la mia carriera da coach, nonostante l’idea iniziale fosse quella di giocare e nonostante, devo ammettere, mi ritenessi costituzionalmente inibito a ricoprire questo ruolo.
Nel tuo quintetto c’era - se non sbaglio - un certo Federico Buffa. Come ce lo racconta oggi Flavio Tranquillo?
Era un playmaker, ma era una meteora, un vero animale raro, nel senso migliore del termine. Per tutti noi, che iniziavamo a vivere il sogno americano, gli USA erano una questione virtuale. Per lui invece era reale: c’era stato, conosceva gli States. Parlava quella lingua che non era l’inglese della scuola e per noi era come uno che ti porta dentro un mondo misterioso, di cui lui solo aveva le chiavi.
I fondamentali del basket. Quanto importanti sono stati nella tua vita?
Allenare, rispetto a ciò che faccio io, è un’altra cosa, e ritengo che mi abbia aiutato molto anche fare l’arbitro. Pormi nella posizione di allenatore o di arbitro – al di là del doversi documentare rispetto a determinate tecniche o situazioni regolamentari – mi è servito. Tuttavia la parte più importante è stata il cambio di prospettiva: da ragazzi siamo abituati a credere che l’arbitro ce l’abbia con noi o che il coach non ci faccia giocare perché è capriccioso. Mettersi invece dalla parte di chi queste decisioni deve prenderle sentendone il peso aiuta a capire meglio certe dinamiche di gioco.
Il basket “trasmette” il rispetto per gli altri?
Credo che lo sport, a qualsiasi livello, dovrebbe aiutare a portare rispetto agli altri. Non parlerei di trasmettere, parola che invece fa pensare che basti praticare dello sport per acquisirne, quasi per osmosi, tutti i valori. Io penso che lo sport contenga in sé il rispetto per gli altri, ma non è sufficiente mettersi una maglia da gioco, sedersi in panchina, fare il dirigente o, di rimbalzo, fare il giornalista sportivo per ereditare automaticamente i valori dello sport. Certamente, nello sport meglio che in altri campi, esistono più occasioni per imparare a perdere, o a provare a vincere, o ad esercitare pieno rispetto verso gli altri. Per lo stesso motivo esiste tuttavia anche la possibilità di non imparare a vincere, o a perdere, o a non rispettare; onestamente ciò accade a tantissimi sportivi.
Lo sport oggi spesso è visto dalla tv, dal divano. Ci sono tanti modi per essere tifosi, spettatori, sportivi in generale. Nel basket è normale vedere fischiare un intero palazzetto ad un avversario ai tiri liberi, come invece nel rugby trovare un silenzio assordante a Twickenham mentre piazza un gallese o uno scozzese per il famoso respect to kickers. Nel nostro calcio, invece, anche i minuti di silenzio sono spesso oltraggiati da cori, fischi, o applausi. Ti chiedo: chi gioca, chi è in campo, chi suda e conosce o ha conosciuto le regole del gioco è forse più rispettoso, più sportivo?
Discorso ampio e complesso. In prima battuta certamente sì: mettersi nella condizione del giocatore, dell’allenatore o dell’arbitro, nella condizione di chi fa lo sport, aiuta, a parità di tutto il resto, a capire lo sport. Intendo un’idea di sport filosofico ed astratto. Da qui ai comportamenti che si possono tenere rispetto al proprio ruolo sociale all’interno della vicenda sportiva, ci sono molte differenze. Per questo credo che uno dei problemi più enormi dello sport in Italia sia quello di ricondurre sempre tutto a cosa succede nella finale scudetto, di Champions o di Coppa Italia. Quello è sport in un altro senso. Il motivo per cui si fa sport all’ARS Milano o nel CSI è uno, il motivo per cui si va a vedere uno spettacolo è un altro. È sempre e comunque sbagliatissimo fischiare, disturbare o festeggiare gli errori di un avversario, nonostante, come accennavi, siamo abituati all’atteggiamento dominante che tende a rinforzare tali comportamenti.
Dal mondo USA possiamo imparare qualcosa?
Anche negli Stati Uniti ci sono tutte le gradazioni e i livelli. È vero che nello sport professionistico le persone sono più abituate ad accogliere le scelte degli arbitri ed è dunque più facile che gli attori capiscano questo meccanismo. Ciò non vuol dire però che lì abbiano nel DNA il gene dello sport sano. Noi banalizziamo spesso e continuiamo a regredire. Occorre invertire la tendenza e andare in profondità.
Approfondendo allora il lato tecnico del tuo mestiere, da narratore di emozioni, non semplice telecronista: quanto ti prepari prima di una gara?
Zero. Non voglio certo dire che sia un fatto eccezionale o di bravura: semplicemente non lavoro prima, non mi è mai capitato. Nel mio lavoro, nell’ambito della preparazione ad una partita, mai mi è venuto in mente di segnarmi un modo di dire o di appuntarmi “Se uno fa canestro in tale occasione dico così oppure altro”. Il tempo della preparazione lo utilizzo dedicandomi ad altro, poiché non penso mai prima quello che dirò, visto che ritengo sia il miglior tentativo di provare a rendere spontaneamente quello che vedo. E per farlo penso di avere così il maggior numero di dimensioni interpretative di quello che sta succedendo. Poi, se lo chiamo in un modo o in un altro, sinceramente è irrilevante.
In ogni azione, insomma, il basket ti sorprende e ti emoziona.
Il termine emozione va un po’ depotenziato. Si esagera a mio avviso pensando che lo sport, specie quello guardato, possa e debba in ogni singolo momento regalare emozioni. La cifra principale di ogni attività, incluso lo sport, è l’abitudinarietà. Poi ci sono anche le eccezioni, proprio perché la interrompono. Non è sempre tutto emozionante ma, razionalmente, mi piacciono più i momenti normali in una partita: sono quelli che fanno lo sport.
Perché la pallacanestro possiede così tanta grande bellezza?
Il basket ha una particolare cifra estetica, nel senso più ampio: di visione, di suoni, di ambiente, per quelli che ammettono un valore estetico dentro un palazzetto. C’è una cifra in questo gioco che ti trasmette qualcosa.
Ad altri piace il baseball o il cross o altro. Secondo me il primo livello della conoscenza è emotivo-attrattivo. Tanti, come me, evidentemente condividono questa attrazione primaria verso la pallacanestro. Se poi aggiungessimo il lato etico a quello estetico, allora lo sport lo vivremmo in maniera più piena, più soddisfacente ed appagante e su questo abbiamo tutti svariati chilometri davanti da percorrere, perché siamo indietro. E non è colpa della bellezza del basket, ma nascondersi dietro alla bellezza estetica per svicolare dall’etica non è un modus operandi efficace.
Nel basket NBA si parla di difesa illegale, per chi è troppo “flottati” a zona. Ma fuori dal parquet c’è ben altra legalità da difendere e so che tu in questo senso hai dei passaggi due mani-petto ai giovani da fare. Cosa possiamo fare noi educatori?
Diciamo sempre che la legalità e lo sport hanno in comune il valore delle regole, solo che poi, in campo, troppe volte ce ne scordiamo e anteponiamo il risultato a quel valore. Fino a che la cultura del risultato sarà più forte di quella delle regole, e oggi è così, lo sport non sarà di aiuto sul terreno dell’educazione alla legalità. Semmai, il contrario.
Se tornassi oggi al CSI come coach, cosa diresti nel tuo time out?
Ai miei ragazzi direi sempre di divertirsi giocando e, se vengono in palestra, vuol dire che ciò avviene. Lo si può fare in maniera più o meno costruttiva, che non significa semplicemente fare ciò che ti dicono, ma anche capire quello che stai facendo, comprenderne il senso. Mi piacerebbe idealmente, se tornassi indietro, provare a confrontarmi con i giocatori per cercare, in senso critico, il “cosa stiamo facendo” ed il valore della nostra attività, più che fare un canestro aggiuntivo. E costruire quella gerarchia dei valori capaci di guidare la nostra esistenza: determinazione, intelligenza, responsabilità, agonismo, attenzione. Se i valori sono stabiliti da altri, in un altro posto, non sono valori, poiché i valori si costruiscono, non si osservano.
I valori della Nazionale italiana alla vigilia del Mondiale. Vedi talenti particolari?
La Nazionale è divertente e positiva, ma è difficile ragionarci sopra: una valutazione risulta inibita da tutte queste interruzioni. E allora parlo del fatto che tutti giocano per arrivare in Nazionale: non so se sia corretto. Sarebbe importante avere altri motivi
per far sport. Perché l’obiettivo della Nazionale può essere raggiunto solo da un numero infinitesimale di atleti. Non possiamo far sentire fallito chi fa sport e non arriva in azzurro. Stiamo facendo un lavoro inefficace se pensiamo frasi come “Comincia a fare sport, poi se arrivi in Nazionale…”. Sarebbe meglio dire: “Se ti va fai dello sport perché ti darà
questo, quest’altro e altro ancora per te. Poi, se fai parte di quello 0,00003% che merita l’azzurro, allora buon per te, ma anche gli altri, il 99,9997%, possono prendere dallo sport tutto ciò che prende chi va in Nazionale”.
Insomma, non c’è solo la NBA, i Mondiali o le Olimpiadi. Si gioca e ci si diverte anche nel CSI!

Chi è la voce italiana del basket

Flavio Tranquillo è nato a Milano il 31 gennaio 1962. Diplomato al Liceo Ginnasio “Tito Livio” di Milano e laureato in Economia e Commercio alla “Bocconi”, con una tesi intitolata “Governance multi-stakeholder e valore economico nel basket professionistico: il conflitto FIBA – EuroLega”.
Gioca (poco) e allena nel 1983 nel CSI la GS ARS Milano. Collabora con pubblicazioni specializzate dedicate al football americano ed al basket, in particolare con la rivista Superbasket, all’epoca diretta dal maestro Aldo Giordani.
Tante esperienze come radiocronista. In seguito si trasforma in giornalista e telecronista per Italia 1, TV Koper Capodistria, Tele+ ed attualmente per SKY Sport. Per molti anni ha commentato anche il basket NCAA, prima di dedicarsi completamente al basket di Serie A, Euroleague ed NBA, in quest’ultimo caso con il commento tecnico di Federico Buffa fino al 2013 e di Davide Pessina, Marco Crespi e Matteo Soragna oggi.
La sua voce è anche legata alla Nazionale Italiana di basket che ha seguito in Francia nel vittorioso Campionato Europeo del 1999 e in Svezia nell’edizione del 2003, dove la Nazionale colse il terzo posto che le permise di qualificarsi per il Torneo Olimpico di Atene 2004.
Come scrittore ha pubblicato sette libri sul basket e sulla legalità.
Sposato con Maria Luisa, dal 2003 è padre di due gemelli, Francesco e Michele. Ammira tutti quelli che si battono davvero contro le mafie e spera di vedere una verità storica accettabile sulle stragi del dopoguerra.