Stadium n. 9-12/2010

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• Identikit della stagione 2010/11 • GPN di Atletica Leggera • A 10 anni dal Giubileo degli Sportivi • La 46ª Settimana dei Cattolici Italiani

Il magazine di chi ama lo sport pulito

Fondato nel 1906 - N. 9/12 settembre/dicembre 2010

DOSSIER

GLI SCACCHI E LA CHIESA PRIMO PIANO LA LEGGE QUADRO SULLO SPORT FOCUS IL GIOCO PERDUTO

ASSISI 2010 PROTAGONISTI DEL BENE COMUNE


PAROLA DI PRESIDENTE

Massimo Achini Presidente nazionale CSI

Un’associazione dal cuore giovane uesto numero di Stadium viene messo on line alla vigilia del meeting di Assisi,

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l’appuntamento con cui l’associazione chiude l’anno solare all’insegna della riflessione comune su temi culturali e spirituali che la interpellano per l’imme-

diato futuro. Quest’anno abbiamo scelto di confrontarci su come essere “Protagonisti del bene comune. Lo sport al servizio della sfida educativa”. Grandi ospiti ci accompagneranno ad Assisi con i loro interventi, per aiutarci a comprendere come possiamo dare il meglio di noi nell’affrontare la sfida educativa e nel costruire il bene comune della società del nostro tempo. Sarà per tutti noi un buon punto di partenza, e non di arrivo. La stessa Chiesa in Italia, lanciando la sfida educativa - e lo sport come sua componente - quale campo di impegno per i prossimi dieci anni ci chiede di non fermarci, di aiutarla a capire con indicazioni concrete come far vivere un grande, attuale progetto che vada incontro alle esigenze formative dei giovani di oggi e di domani. Possiamo farcela, perché il nostro cuore associativo è giovane e vitale, batte forte, e siamo associazione sempre in movimento, che desidera crescere ancora, essere protagonista del proprio tempo, ricca com’è di entusiasmo e di voglia di fare, animata da un’altissima tensione educativa. Per approfondire il tema, anche in base alle indicazioni emerse da Assisi, ci sarà tempo nel nuovo anno. Ora siamo a ridosso delle festività natalizie ed è giusto fermarsi un attimo. Chi ha avuto modo di vivere l’esperienza dei meeting nella città di San Francesco sa come l’evento respiri un’atmosfera davvero speciale, fatta di amicizia, di semplicità, di gioia di stare insieme. Sarebbe bello se in ogni società sportiva, in ogni Comitato il Natale fosse celebrato con lo stesso spirito e la stessa emozione, come si fosse tutti ad Assisi.

La Presidenza Nazionale augura a tutti i tesserati del CSI, alle loro famiglie e ai tanti amici dell’associazione un sereno Natale e un felice 2011.

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ANGELI & DEMONI

mons. Claudio Paganini Consulente Ecclesiastico Nazionale CSI

I nuovi orientamenti del decennio: Educare alla vita buona del Vangelo nello sport Erano attesi per maggio ma son giunti sui tavoli dei fedeli soltanto a fine ottobre. Si tratta degli Orientamenti pastorali dell’episcopato italiano per il decennio 2010-2020. Il titolo è accattivante e significativo: “Educare alla vita buona del vangelo”. Un ritardo nella pubblicazione dettato dalla complessità dell’argomento e dalle aspettative che, dato il tema dell’emergenza educativa, si erano create nell’ultimo anno.

Già dal settembre 2009 la Commissione per il Progetto culturale aveva diffuso nelle librerie il libro “La sfida educativa” con un intero capitolo dedicato al rapporto tra educazione e sport. Ed il mondo sportivo aspettava, quasi con un senso di riscatto, che gli orientamenti del decennio abilitassero lo sport alla piena cittadinanza educativa nelle parrocchie. Ma ahimè, attese deluse! La parola sport compare solo tre volte! Una riferita alla sua presenza in oratorio (al n° 42) quale linguaggio per dialogare coi giovani; un’altra circa il coinvolgimento dello sport nella responsabilità educativa (al n° 50); ed una terza volta, indicando quali siano i percorsi di vita buona, il documento afferma che “la comunità cristiana è chiamata a valorizzare le potenzialità educative dell’associazionismo legato alle professioni, al tempo libero, allo sport” (al n°54). Poche citazioni ma molto buone. Oserei dire di spessore educativo, legato alla positività della pratica sportiva in ambito ecclesiale. Ma va anche annotato che l’intero documento è oltremodo positivo e non si può certamente giudicare dalla quantità di citazioni che toccano il proprio ambito di interesse. Questa è cosa da demoni! Gli angioletti vanno invece cercando la sola positività. Ed è positivo

leggere per nove volte il riconoscimento e l’invito alla promozione del mondo associativo. È positivo annotare che “nell’ambito parrocchiale, inoltre, è necessario attivare la conoscenza e la collaborazione tra catechisti, insegnanti… e animatori di oratori, associazioni e gruppi” (al n° 46). Come pure positivo è che anche le “scuole di calcio e di danza” diventino luoghi educativi: “La scuola e il territorio, con le sue molteplici esperienze e forme aggregative (palestre, scuole di calcio e di danza, laboratori musicali, associazioni di volontariato…), rappresentano luoghi decisivi per realizzare queste concrete modalità di alleanza educativa” (al n° 46). Il documento va ora studiato ampiamente e, da semplici “orientamenti” dell’episcopato, sarà riscritto in “piani pastorali” per le singole diocesi. Va da sé che le diverse parole esprimono significati diversi e che competerà agli uomini del CSI, smessa la tuta da gioco, prendere carta e penna per studiare questo importante documento. Già, proprio studiare e non leggere. Questi uomini del CSI se garantiranno competenza in sport ed educazione, diverranno nella propria diocesi, su tutti i tavoli possibili, profeti di uno sport capace di educare coi fatti più che con le parole.

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SOMMARIO

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24 2 PAROLA DI PRESIDENTE Un’associazione dal cuore giovane 3 ANGELI E DEMONI I nuovi orientamenti del decennio 5 ASSISI 2010 Come i girasoli, protagonisti del bene comune 7 PRIMO PIANO Una storia in-finita 10 GPN ATLETICA Rigoletto 6 speciale!

15 CHIESA E SPORT Ripensare l’educazione mediante lo Sport 18 DECENNALE “Lo sport sia segno di speranza” 20 APPUNTAMENTI 2010/11 Identikit di una stagione 22 DOSSIER Il “matto del vescovo” e la Clericus Chess 28 L’INTERVISTA Quei sorrisi lunghi più di 100 metri

8 30 FOCUS il gioco perduto 32 MONDO CSI A Copacabana lo street soccer dei “senzatetto” 34 46ª SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI Educare per crescere 36 OSSERVATORIO Tra invisibilità e solidarietà 37 FOCUS Minori scomparsi: un fenomeno in crescita

Mensile del Centro Sportivo Italiano www.csi-net.it Autorizzazione del Tribunale Civile di Roma n. 423 del 15/12/2008 Direttore responsabile Claudio Paganini claudio.paganini@csi-net.it Hanno collaborato a questo numero Massimo Achini, Felice Alborghetti, Andrea De Pascalis, Claudio Paganini Redazione: stampa@csi-net.it Tel. 06 68404592/93 Fax 06 68802940


ASSISI 2010

In 600 da tutta Italia per la tre giorni associativa

Ad Assisi, come i girasoli, protagonisti del bene comune di Mons. Claudio Paganini

l Meeting di Assisi è un’esperienza di spiritualità e cultura destinata a parlare al cuore prima ancora che alla mente. Forse è per questo che la simbologia diventa tanto importante. Proprio come le metafore o le favole spesso riesce a trasmettere valori ed emozioni senza bisogno di usare parole e concetti. Ad Assisi la simbologia è palpabile: semplicità francescana,croce di san Damiano, icone, tau, luoghi e volti … tutto parla al cuore. E cosi, dopo il segno del mappamondo lo scorso anno ad Assisi, della maschera durante l’Agorà di Parma, l’edizione 2010 di Assisi avrà il suo oggetto simbolico nel “girasole”. Qual è il significato di questo fiore? Appartiene alla famiglia delle composite, poiché durante le ore della giornata il fiore gira volgendosi al sole, per taluni simboleggia adulazione, per altri riconoscenza verso l'astro che gli permette di vivere. E’ un fiore che ha origini antiche: nell’America settentrionale sono stati trovati resti di questo fiore che risalgono a tremila anni prima di Cristo. Gli Indiani d’America lo consideravano una pianta sacra in quanto consentiva all’uomo di farne molteplici usi. In Perù è l’emblema del Dio Sole. E’ dal Perù che il girasole venne per la prima volta

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importato in Europa. Il girasole fu apprezzato dal Re Luigi XIV, il Re Sole e durante l’età vittoriana, in Gran Bretagna, venne disegnato su stoffe, inciso nel legno, forgiato nei metalli; Oscar Wilde volle il girasole come simbolo del movimento estetico che lui stesso aveva fondato. In Italia, poeti come Eugenio Montale e Gabriele D’Annunzio hanno elogiato il girasole nei propri versi. Nelle opere di Van

Gogh la presenza del fiore è ricorrente. Il significato dei fiori di girasole, nel linguaggio dei fiori, è di allegria e orgoglio. Cose di cui questo mondi ha immenso bisogno! Ma c’è di più: i girasole captano i raggi del sole e li seguono durante tutto il giorno. Oltre ad essere dei bellissimi fiori rappresentano anche una lezione di vita: Seguire sempre la luce! Così sarà per la nostra associazione: chiamata a riflettere su “Protagonisti del bene comune. Lo sport al servizio della sfida educativa” non potrà che identificarsi con tutti quegli educatori coraggiosi che seguono i valori e non le mode, che ben conoscono il loro “Sole” e non i falsi idoli, che sanno diventare seme, fiore e frutto, donandosi senza riserve nel mondo dello sport. E se tanto può raccontare un fiore, molto più saprà fare uni sportivo tornando da Assisi alla propria terra natale. 5



PRIMO PIANO

La legge-quadro sullo sport

Una storia in-finita Mentre il Governo in carica propone un disegno di legge-quadro per promuovere il golf e la sua impiantistica, nulla si muove sul fronte di una legge-quadro che promuova lo sport per tutti, dettandone i principi generali e mettendo ordine tra i soggetti coinvolti. Si allunga così la storia di una legge mancata, che ha avuto il suo capitolo più incredibile alla metà degli anni Ottanta, che oggi vale la pena rileggere.

di Andrea De Pascalis

ono complessivamente 42 le proposte e i disegni di legge presentati in Parlamento riguardanti a vario titolo lo sport. Solo 4 di essi sono approdati all’esame in commissione, gli altri sono... in lista di attesa. Intanto, però, il 17 settembre scorso il Consiglio dei Ministri ha fatto propria la proposta del Ministero Turismo di un disegno di “Legge-quadro per la promozione del turismo sportivo e la realizzazione di impianti da golf”. L’art. 1 del testo specifica che il fine del provvedimento è «promuovere la diffusione del golf e la realizzazione di impianti golfistici». Buon per il golf – va detto – che nel 2008 contava 221 società sportive e 95.430 atleti. Ma che senso ha, è doveroso chiedersi, proporre una legge-quadro per la promozione di una singola disciplina, piuttosto che una legge-quadro che promuova ogni forma di sport su tutto il territorio nazionale? Stiamo parlando di quella legge-quadro attraverso la quale adempiere finalmente al dettato costituzionale che affida la materia sportiva alla potestà legislativa delle Regioni «salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato». E di fatto la stessa proposta di legge-quadro sul golf precisa (art. 1) di fissare i propri contenuti «nel rispetto

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del riparto delle competenze tra Stato e Regioni». È almeno singolare che ci si preoccupi di come ripartire le competenze per promuovere il golf e non per promuovere quello sport di massa, sport di cittadinanza o sport per tutti – comunque lo si voglia chiamare - che innegabilmente ha un impatto ben maggiore sulla vita nazionale, visto che ormai coinvolge milioni di cittadini di tutte le età. Ma a che vale stupirsi? Il Parlamento italiano è sempre stato restio a ragionare globalmente sulla legislazione sporti-

va. Alla fine del 1984, oltre 25 anni fa, Stadium osservava che in Parlamento giacevano all’epoca oltre 70 proposte di legge riguardanti, a diverso titolo, la materia sportiva, tra cui ben 4 importanti proposte di legge-quadro. Dicendosi scettico sulla possibilità che qualcosa di buono uscisse dai lavori parlamentari, il corsivo concludeva: «Non c’è in Italia un luogo, uno strumento, un “momento” di raccordo permanente e aperto tra iniziativa politicalegislativa e movimento sportivo. Quando questo rapporto si riesce a stabilire o avviene a distanze galattiche, e in pratica è un dialogo tra sordi, oppure passa per canali sotterranei, più o meno confessabili». L’amarezza e la sfiducia di Stadium nascevano dalla constatazione delle difficoltà che le 4 principali proposte di legge-quadro, tutte presentate nei primi mesi di quell’anno, stavano incontrando nonostante le loro matrici rispecchiassero le maggiori componenti politiche dell’epoca e lo stesso Governo. La storia delle occasioni mancate per varare una legge-quadro che mettesse le basi per incentivare lo sport a prevalenti finalità sociali è lunga, i suoi primi capitoli risalendo addirittura alla seconda metà degli anni Settanta, quando il concetto di sport per tutti, lanciato 7


PRIMO PIANO

dalle istituzioni europee, si stava diffondendo in Italia. Ma l’incredibile accadde nel decennio successivo, quando la legge-quadro sembrava in dirittura di arrivo dopo un iter tormentato, eppure all’ultimo momento finì nel dimenticatoio. Rileggere quella vicenda aiuta a comprendere perché ancora oggi non sia facile ipotizzare se e quando una legge-quadro sullo sport per tutti possa mai vedere la luce. Le quattro proposte del 1984 Nel novembre del 1982 si era tenuta a Roma la prima Conferenza nazionale dello sport. Tra le sue indicazioni c’era stata la necessità di definire «un disegno armonico e complessivo dell’essere e del dover essere dello sport in Italia, di un progetto culturale, nazionale, cioè a largo respiro», come affermò nella sua relazione conclusiva l’allora Ministro del turismo, sport e spettacolo, sen. Signorello. A motivare l’auspicata riforma era il rapido emergere nella società italiana della domanda di sport per tutti, una novità non prevista dall’ordinamento sportivo nesso in piedi nell’immediato dopoguerra. Sembrava si potesse procedere rapidamente, poiché nella medesima occasione della Conferenza nazionale il Ministro Signorello annunciò la preparazione di una legge-quadro di iniziativa governativa sulla quale poggiare la riforma del8

l’ordinamento sportivo. Dopo un paio di anni, nel gennaio 1985, si contavano quattro diversi progetti di legge di riforma dello sport, uno di iniziativa del nuovo Ministro turismo, sport e spettacolo, il socialista on. Lelio Lagorio, e altri tre rispettivamente di matrice DC, PCI e PSI. In ordine cronologico: 1. Proposta on. Brocca (DC) su «Norme per lo sviluppo delle attività motorie e sportive dell’associazionismo sportivo» (9 agosto 1983). 2. Proposta sen. Canetti (PCI) su «Norme sull’ordinamento e l’organizzazione dello sport in Italia» (8 maggio 1984). 3. Proposta on. De Carli (PSI) su «Riforma della legislazione sportiva» (24 maggio 1984). 4. Proposta Lagorio su «Norme generali per lo sviluppo e la diffusione dello sport» (18 gennaio 1985). I principali contenuti Le posizioni espresse dalle quattro proposte erano alquanto diverse. Tutte erano d’accordo nell’affermare, sia pure in termini differenti, il valore sociale e formativo dello sport, il diritto del cittadino alla pratica sportiva, il dovere delle istituzioni pubbliche di favorire lo sviluppo sportivo. Altrettanto generale lo sforzo per il rilancio dello sport scolastico. Il nodo cruciale, punto di divergenza, era l’organizzazione da dare al sistema. La proposta Lagorio legava il CONI ai compiti di Federazione delle Federazioni e alla cura dello sport olimpico e a prevalente indirizzo agonistico, nonché alle relative attività promozionali; agli Enti di promozione, riconosciuti dal Ministero dello Spettacolo e presenti nel C.N. del CONI (un rappresentante ciascuno), finanziati dal CONI medesimo con un minimo garantito, era affidato lo sport sociale. Più radicale la proposta del DC on. Brocca, che possiamo ammettere molto vicina alle posizioni assunte allora dal CSI. Essa chiedeva l’abrogazione della legge istitutiva del CONI, affidando al Comitato Olimpico, ente privato di interesse pubblico, Federazione delle Federazioni, la cura e l’organizzazione delle partecipazioni olimpiche. Lo Stato, riconoscendo nell’associazionismo la

struttura portante dello sport italiano, ne garantiva l’autonomia e l’adeguato sostegno. Il raccordo tra Stato, associazionismo, Enti Locali era affidato ad un Consiglio Nazionale dello Sport (CNS), costituito presso la Presidenza del Consiglio, con rappresentanti di Stato, Regioni, associazionismo, sindacati. Il CNS diventava il luogo di dialogo tra istituzioni e movimento sportivo. Si istituiva infine un fondo nazionale per lo sport, alimentato da erogazioni statali e dal 20% dei proventi lordi di totocalcio e altri concorsi sportivi; queste risorse erano da ripartire tra le Regioni. Ancora diverso il progetto Canetti (PCI). Presso la Presidenza del Consiglio si istituiva un Comitato delle Regioni per lo sport, formato da rappresentanti di Stato, Regioni ed Enti locali. Un Fondo per lo sport, alimentato dalla quota statale del totocalcio e da introiti di altre lotterie sportive, avrebbe consentito alle Regioni di svolgere le loro funzioni di promozione sportiva. Al CONI si confermava la natura di Ente pubblico, Federazione delle Federazioni, responsabile dell’organizzazione e della diffusione della pratica sportiva. Nel C. N. del CONI entravano gli Enti di promozione. La proposta del PSI (De Carli, Martelli e altri) sostanzialmente lasciava le cose inalterate per quanto riguardava la natura e i compiti del CONI, la sua autonomia, la sua centralità come “cuore” di tutto il sistema sportivo nazionale. Nel C. N. del Foro Italico entravano cinque rappresentanti degli Enti di promozione, non eletti ma nominati dal Ministero turismo e spettacolo. Gli Enti riconosciuti sarebbero stati finanziati con il 5% dei proventi derivanti al CONI dal totocalcio. Le società sportive dilettantistiche avrebbero goduto di esenzioni fiscali. Regioni ed Enti locali avrebbero avuto il compito di promuovere le condizioni per lo sviluppo della pratica sportiva in accordo con l’associazionismo, ma nulla si specificava circa il modo di dirimere le competenze tra Stato, Regioni, CONI, Enti di promozione. In sostanza questa proposta cambiava poco e lasciava irrisolti la maggior parte dei nodi. Per comprendere meglio la posizione e il senso della proposta PSI va ricordato che alla morte di Giulio Onesti la presi-


PRIMO PIANO

denza del CONI era stata assunta dal socialista Franco Carraro, che resse l’incarico dal 1978 al 1987. Verso il nulla di fatto L’Italia, come si legge ne Il Gattopardo di Tommasi di Lampedusa, è il paese dove spesso tutto cambia affinché nulla cambi. Così è stato nella… lunga marcia della legge-quadro alla metà degli anni Ottanta. Dopo aver dormito per oltre dieci anni sull’argomento, il Parlamento sembrò essere “svegliato” dalle proposte di riforma sportiva di Governo, DC, PCI, PSI e produsse un alluvione di proposte alternative: un’altra del PSI, una del MSI, una PSDI. Ce n’era abbastanza per tentare in Commissione Affari Interni della Camera di arrivare ad un testo unificato. L’impresa, non facile, fu affidata all’on. Michele Zolla (DC) quale relatore. Cominciò un difficile iter, tra sospensioni elettorali e un’ulteriore produzione di proposte: PLI e PRI presentarono i loro provvedimenti, ma il colmo si realizzò

quando l’on. Belluscio (PSDI), già firmatario della proposta presentata con altri del proprio partito, presentò, questa volta a titolo personale, un’altra proposta, che differiva dalla prima solo per pochi e marginali aspetti. L’improvvisa iperattività propositiva dei parlamentari ebbe l’effetto di rendere più difficoltosa la mediazione, ritardando i lavori. Ci vollero due anni perché il Comitato ristretto della Commissione Affari interni della Camera arrivasse, il 10 febbraio 1987, all’approvazione di un testo unificato. Ciò che uscì dalla Commissione era un testo ibrido, che su alcuni punti ricalcava la proposta socialista De Carli, in altri lasciava inalterati i problemi. In teoria (art. 2) lo Stato si assumeva la responsabilità di promuovere iniziative per rendere le attività motorie e sportive accessibili a tutti i cittadini, di operare interventi pubblici in tale senso, di sostenere e agevolare l’associazionismo sportivo, affidando genericamente tali compiti al Ministero turismo e spettacolo

(niente Ministero dello sport, dunque). Alle Regioni era assegnato il compito di assicurare la tutela sanitaria delle attività sportive e di svolgere le funzioni decretate dal DPR 616/77, come se non vi fosse la necessità di chiarire e ripartire le competenze nate da quel DPR. Il CONI restava il cuore del sistema, ed anzi vedeva ampliate le proprie potenzialità, visto che (art. 17) il Comitato Olimpico poteva stipulare convenzioni per svolgere attività e servizi sportivi per conto dello Stato, delle Regioni e degli altri Enti pubblici. Gli Enti di promozione, deputati ad organizzare attività fisico-sportive «ancorché esercitate con modalità agonistiche», restavano sotto la “tutela” di CONI e Federazioni, le quali ultime erano votate a promuovere lo sport a «prevalente indirizzo agonistico». Nel C. N. del CONI entravano i rappresentanti dei 4 Enti con maggiore diffusione, e i presidenti di due altri Enti (a rotazione). Gli Enti dovevano essere finanziati dal CONI con non meno del 4,5% dei proventi netti dei concorsi pronostici. Per quanto annacquato e non risolutivo ai fini della formulazione di un sistema armonico, equilibrato, più moderno, che assicurasse la pari dignità dello sport per tutti rispetto allo sport di prevalente finalità agonistica, il testo unificato si incagliò tra le difficoltà della legislatura. C’era altro da pensare: nell’aprile di quel 1987 l’Italia andò prematuramente al voto, dal quale derivò l’ultima legislatura prima dello scossone di Tangentopoli. Della legge-quadro non si parlò più fino alla metà degli anni Novanta: era tempo di seconda Repubblica per l’Italia in cui tutto cambia affinché nulla cambi davvero. Anche la seconda Repubblica, infatti, al suo inizio vide autorevoli tentativi di proposte e controproposte di leggi-quadro sullo sport per tutti, una delle quali presentata nel 1995 addirittura dall’allora vicepresidente del Consiglio, on. Veltroni. In seguito ci provò anche il Ministro dello sport, on. Melandri: tra ribaltoni politici e resistenze di principio, anche queste due ultime proposte si sono arenate silenziosamente tra le sabbie mobili dei lavori preliminari delle commissioni parlamentari. I governi cambiano, la storia è sempre la stessa. 9


GPN ATLETICA LEGGERA

Rigoletto 6 speciale! A Celle Ligure il Gran Premio Nazionale Csi di Atletica Leggera saluta 34 nuovi record Csi. Quattro giorni in pista fra sport, integrazione e solidarietà. Ancora una volta leader la società virgiliana che dedica il successo all’indimenticato Amedeo Becchi.

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Con la sesta vittoria consecutiva dell’Atletica Rigoletto di Mantova nella classifica a squadre si è chiuso il 13° Gran Premio Nazionale Csi di Atletica Leggera sul tartan di Celle Ligure. Una manifestazione dai grandi numeri, che ha visto nuovamente trionfare i giallo neri virgiliani su tutte le altre 78 società italiane in gara, appartenenti a 27 comitati regionali, per un totale di 9 regioni rappresentate. Sono stati 129 gli ori assegnati allo Stadio Olmo del centro cellese, e 34 i record di specialità battuti in questa edizione 2010, uno in più rispetto a Castelnovo ne’ Monti, in provincia di Reggio Emilia, sede del GP 2009.

di Silvia Basso

sono sei. Con un trionfale e liberatorio giro di pista, la Rigoletto Mantova ha festeggiato, a Celle Ligure, la conquista del sesto consecutivo Gran Premio nazionale Csi di atletica leggera, terzo Memorial Amedeo Becchi. Un successo che arriva al termine di un’intensissima tre giorni di gare sulla pista e le pedane dello stadio Olmo, e che mette in fila, dietro all’ormai imbattibile club lombardo, ma comunque sul podio i veneziani della San Marco e i lecchesi della Bellano. Ma c’è gloria anche per i colori locali: perché è l’Alba Docilia a vincere, assolutamente a sorpresa, la classifica femminile, tra l’entusiasmo di atlete, tecnici e genitori. La graduatoria a squadre maschile aveva già fatto felice la Rigoletto, mattatrice

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anche in quella classifica. Sempre restando alle gare, che in pista hanno visto i protagonisti della spettacolare staffetta svedese (il primo frazionista corre i 100 metri, il secondo i 200, il terzo i 300, l’ultimo i 400) giovanile e della 4x400 assoluta, emozionante e seguitissima dal pubblico soprattutto la prova dell’alto allievi con un atleta di casa, Lorenzo Becce dell’Alba Docilia, vincitore con l’importante misura di 1,82. Tra i liguri, Federico Muzic, con 12,73 nel peso, bissa il successo ottenuto il giorno prima nel lancio del giavellotto. Tanti campioni (premiati con la maglia bianca con la striscia orizzontale bluarancio, i colori del Csi), ma in apertura di riunione, anche tanto calore per gli atleti down impegnati prima sui 60 11


GPN ATLETICA LEGGERA TOP TEN MEDAGLIERE PER SOCIETÀ Società Atletica Rigoletto Polisp. Salf Altopadovana Asd Atletica S.Marco Venezia Atletica Union Creazzo A.S.D. Atletica Varazze Atletica Cassano D’Adda Polisportiva Dueville U.S. Albatese A.S.D. C.S.I. Atletica Colli Berici A.S.D. Atletica Alba Docilia

oro 14 11 10 8 7 6 6 5 5 5

argento 10 8 6 3 5 4 3 8 8 7

bronzo 16 3 12 4 1 6 11 7 3 2

argento 31 16 16 10 6 1 10 4 8 3

bronzo 26 11 8 16 12 5 14 6 7 1

MEDAGLIERE PER COMITATO Comitato Vicenza Trento Savona Mantova Venezia Reggio Emilia Milano Treviso Como Campobasso metri e poi nel vortex. Per i diversamente abili, sia fisici sia psichici, l’inserimento nel Gran Premio è perfettamente riuscito e d’ora in poi ci saranno anche loro a pieno titolo alle manifestazioni nazionali dell’atletica Csi. Anche la Messa, concelebrata dal consulente ecclesiastico nazionale monsignor Claudio Paganini e dal neo consulente del comitato Csi di Savona, don Camillo Podda, con oltre mille persone a seguirla e a viverla dalla tribuna dello stadio, ha regalato momenti di emozione. Attorno all’altare, con il coro “Chicchi di riso” che ha accompagnato la funzione religiosa, gli otto fratellini di una famiglia di Villazzano (Trento), che ha partecipato in blocco all’evento. Una curiosità: il servizio bar si è svolto nel segno della solidarietà, in 12

oro 42 19 18 14 10 9 8 6 5 3

quanto la società “Briciole di solidarietà” che l’ha gestito ha devoluto tutto il guadagno a favore del progetto internazionale portato avanti dal Csi Savona Albenga nella Repubblica Cantrafricana e all’Aism di Savona, l’associazione contro la sclerosi multipla. In tutto, la somma da donare arriva a 1300 euro. Quindi i saluti e gli abbracci fra tantissimi vecchi e nuovi amici. Perché questo è lo spirito con cui la gran parte dei partecipanti ha vissuto e vive gli eventi tricolori targati Csi: il piacere di ritrovarsi da un anno all’altro e di darsi, alla fine, l’appuntamento alla manifestazione successiva. L’arrivederci, in questo caso, è stato per l’inizio di aprile 2011 a Tezze sul Brenta, in provincia di Vicenza, dove sono in programma i nazionali di corsa campestre.


E LA FESTA NON È SOLO IN PISTA

IL DIARIO DI CELLE LIGURE Fiaccolata Inaugurale. Giovedì sera a Varazze una sfilata di luci e colori ha aperto il Gp ligure. Gli atleti partecipanti hanno accompagnato quattro campioni dello sport savonese verso il tripode: Maurizio Turone, calciatore degli anni ’70-’80, Federica Ferraro, marciatrice savonese di talento dell’Aereonautica Militare, Simone Capelli, atleta disabile, Campione Italiano 2009 di distensione su panca e Antonio Carattino, velista varazzino che partecipò alle Olimpiadi di

Melbourne, nel 1956. A lui l’onore di accendere il fuoco, con in mano anche la fiaccola olimpica di Londra ’48, prestata al Csi per questa occasione dal Coni di Savona. Molte autorità hanno preso parte all’evento: il Presidente della Provincia di Savona, Angelo Vaccarezza, l’Assessore allo Sport provinciale, Livio Bracco, il Sindaco di Varazze, Giovanni Delfino, e quello di Celle Ligure, Renato Zunino. Oltre a loro anche Riccardo Pagan, atleta veneziano, promessa italiana nel salto in lungo. Uno speciale saluto è arrivato dal Presidente Nazionale Csi Massimo Achini, che ha dato il benvenuto a tutti i partecipanti aprendo ufficialmente i giochi. Semplicemente Atleti: 1° convegno sulle abilità diverse. Tenutosi venerdì 3 nella Sala Mostre del Palazzo della Provincia di Savona, il convegno Semplicemente atleti ha affrontato il delicato tema delle abilità diverse. Un’occasione per ribadire come lo sport sia uno strumento di condivisione, di

crescita e di terapia. Ad intervenire, oltre che i rappresentanti delle Amministrazioni Provinciali e Comunali di Savona, anche Simone Capelli, che ha raccontato la sua esperienza, da persona che aveva perso tutto a Campione Italiano di distensione su panca. Parole tradotte in pratica, quando allo Stadio Olmo, in serata, anche gli atleti disabili sono scesi in campo al fianco dei normodotati per competere per i 16 titoli nazionali in palio. Un vero successo, come ha affermato anche Annamaria Manara, responsabile della Commissione Nazionale del Csi “Sport e disabili”: “Ho visto ragazzi con handicap fisici e mentali seguire le regole del campo, interagire con giudici e atleti: per loro è stato un momento bellissimo, di forte integrazione”. Orienteering Fotografico. La vera mascotte di sabato è stato il piccolo Emanuele, bimbo di soli 4 mesi dell’Atletica Villazzano di Trento, partecipando come più giovane in assoluto all’Orienteering Fotografico organizzato 13


GPN ATLETICA LEGGERA

Porta aperte a Coverciano

dal Csi di Savona Albenga e dal Comune di Savona che ha aperto le porte della città ai più piccoli, sfidandoli a scoprire tutti i segreti del centro storico cittadino: “Un’esperienza bellissima” racconta la mamma di Emanuele” abbiamo potuto conoscere una splendida città, e i bambini si sono divertiti molto”. Festa delle Regioni. Si sono riuniti in tanti sabato sera ad Albisola, e questa volta sul podio hanno visto salire gli stand enogastronomici di Liguria, Piemonte, Trentino e Sardegna, presi d’assalto da atleti e curiosi. In contemporanea sul palco in scena le premiazioni di tutti i comitati e le società partecipanti al Gp cellese. Ad accompagnare il tutto, le esibizioni di due gruppi di ballo: le J.Flemm che hanno dato un tocco hip hop alla serata e le danzatrici del ventre della compagnia Stelle D’Oriente. Il Villaggio dello Sport. Per tutti i giorni della manifestazione, sul campo è stato anche possibile conoscere il meglio delle realtà imprenditoriali del territorio ligure e 14

non solo. Allestiti infatti alcuni stand dove gli sponsor e le aziende che hanno collaborato alla riuscita dell’evento, hanno mostrato i loro prodotti. Tra questi, Poste Italiane Spa, che ha venduto l’annullo filatelico dedicato alla manifestazione, accompagnato dalla cartolina raffigurante lo Stadio Olmo di Celle e Drago Forneria Genovese che ha fatto assaggiare alcune delle sue prelibatezze da forno. Poi Nutrilite, che ha portato i suoi integratori alimentari e Lifewave, che ha fatto conoscere i rivoluzionari cerotti contro il dolore. Anche una postazione della SMA, associazione che si occupa dei malati di atrofia muscolare spinale, dove a raccontare la propria esperienza c’era Barbara, mamma di Diego, 15 mesi, affetto da questa malattia. Sponsor dell’evento anche Tirreno Power e Occlim srl, che hanno collaborato durante tutta l’estate con l’organizzazione per la riuscita dell’intera manifestazione. Grande novità sul campo è stata quella del catering GustoGiusto, azienda genovese che ha servito più di 3000 pasti durante la quattro giorni cellese.

Il Csi e la Fondazione Museo del Calcio di Coverciano hanno firmato una convenzione finalizzata a promuovere il Museo stesso e a disporre agevolazioni e servizi per i Comitati e i tesserati dell’associazione. Oltre a sconti per le visite guidate al Museo, centro di documentazione storica e culturale del gioco del calcio situata all’interno dell’area del Centro Tecnico Federale di Coverciano, l’accordo prevede in particolare la possibilità che gli spazi interni ed esterni della struttura museale siano disponibili per convegni, corsi di formazione, tornei di calcio, particolari eventi, progetti culturali sportivi “su misura” proposti dal CSI. Il sito internet del Museo promuoverà inoltre particolari eventi promossi dal Csi presso la struttura fiorentina. La Fondazione Museo del Calcio, Centro di documentazione storica e culturale del gioco del calcio situata all’interno dell’area del Centro Tecnico Federale di Coverciano, raccoglie i cimeli appartenuti ai grandi che hanno fatto la storia del calcio italiano, europeo e mondiale dal 1808 ad oggi. Gli oltre 800 metri quadrati della struttura ospitano, inoltre, una collezione di tipo multimediale che consente al visitatore di richiamare più di 48.000 fotografie digitalizzate e 800 spezzoni di filmati delle partite giocate dagli Azzurri. Il Museo del Calcio è stato inaugurato nel 2000 ed è diretto dal Prof. Fino Fini, ex medico della Nazionale di calcio. Le opinioni La proposta più semplice è quella denominata "Una gita a Coverciano”, che consiste nella visita al Museo + visita dei campi di Coverciano + partita sul campo sintetico o in alternativa proiezione filmato calcistico + pranzo nei gazebo (anche in inverno poiché riscaldati). Il prezzo totale del pacchetto è di euro 15,00 per partecipante. Per chi volesse aggiungere il pernottamento è valida l’iniziativa "Un giorno a Coverciano" con soggiorno in alberghi nelle vicinanze (esterni a Coverciano), con i quali il Museo ha delle convenzioni per euro 45 a persona (mezza pensione). Info e contatti tel. 055 600526; email: info@museodelcalcio.it


CHIESA E SPORT

L’approfondimento

Ripensare l’educazione mediante lo Sport Martedì 5 ottobre, in occasione del Consiglio Regionale del CSI Emilia Romagna, presso il Seminario Vescovile di Bologna Mons. Carlo Mazza, vescovo di Fidenza e già cappellano olimpico, ha offerto al Csi una relazione su “Educazione e ruolo del Consulente Ecclesiastico e dei Dirigenti territoriali nel CSI”. Oltre ai Presidenti territoriali emiliani ed ai Consiglieri Regionali erano presenti ben nove consulenti ecclesiastici dei comitati territoriali. di S. E. mons. Carlo Mazza, vescovo di Fidenza

n attesa del documento pastorale sull’ “Educazione”, proposto dalla CEI per il decennio 2010 2020 e sul quale varrà la pena investire le nostre migliori risorse culturali, spirituali e progettuali, ci limitiamo ora a offrire taluni spunti di riflessione non organici, ma sufficientemente pertinenti al nostro "bisogno" di formazione, alla necessaria “conversione culturale”, al ripensamento della funzione educativa dello Sport e infine sul “ruolo” del sacerdote nel CSI. Se intendiamo vivere sapientemente l’impietosa “fluidità” culturale in atto e le inquietudini derivate dalla frammentazione sociale, non dobbiamo stancarci a riproporre alle nostre coscienze le priorità necessarie per un vivere dignitoso e buono. In verità, dopo tanti anni di approcci differenziati, di approfondimenti molteplici e di proposte educative a livello associativo, ora si tratta di aprire la nostra intelligenza del reale per ridisegnare contenuti e tracciati operativi al fine di “costruire” una persona – ragazzo, adolescente, giovane o adulto che sia – in grado di produrre visioni, scelte, comportamenti "educati", cioè rispondenti

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CHIESA E SPORT

ad un'idea di uomo – e nel nostro caso di sportivo – complessivamente maturo in ogni sua parte e, in particolare, considerato nel progresso verso quella “maturità in Cristo” che rappresenta il vertice del cammino educativo del cristiano. Perciò mi propongo di offrire alcuni criteri esplicativi al tema educativo. 1° Prima della pretesa di educare occorre essere educati L’affermazione potrebbe apparire un po' apodittica, cioè formulata in modo incontrovertibile. Essa tende in modo stimolante a suscitare un atteggiamento, in noi adulti, di vera umiltà. Essa aiuta ad esplicitare un esame di coscienza sullo "stato", sul "grado" e sulla "qualità" della nostra personale educazione. C’è bisogno di lasciarsi interrogare e sottoporsi ad una revisione di vita. A volte si dà per scontato che l'adulto sia di per sé “educato” e possa essere educatore e fare educazione. Non pare che sia sempre così. Dunque disponiamoci ad una salutare autocritica. L’interrogazione proposta riguarda la nostra condizione-situazione di educatori, preti o laici che siamo. L’estensione dell'interrogativo coinvolge le nostre dotazioni, il livello di percezione del problema educativo, la disponibilità a cambiare, sempre che lo riteniamo utile e conveniente. Non v’è dubbio che la “nostra” personale educazione – frutto di sedimentate acquisizioni – si sia costituita in base a modelli ritenuti praticabili, funzionali a valori creduti ottimali, idonei a conseguire il fine di una persona ben riuscita, dotata di conoscenze e di principi solidi, collaudati, proponibili. Va detto che l’educazione ricevuta non è da buttare, anzi deve essere sostenuta, perfezionata, aggiornata. Di fatto accade che ci è quasi naturale proporci come "esempio" ai giovani. Questa abitudine porta il rischio di uno sdoppiamento di livelli percepiti: quello teorico che predichiamo e quello pratico del comportamento. Va anche osservato – a scanso di scoramenti – che un certo “gap” tra i due livelli sta nella nostra naturale limitatezza e dunque insuperabile. 16

Comunque una revisione del nostro “status” educativo ha bisogno di essere attuata per un’esigenza di sincerità del cuore e per una lealtà intellettuale e morale. Ciò consente di dare spazio all’umiltà e al desiderio di perfezione. 2° L’educazione "si fa" in un contesto "umano" L’educazione si occupa dell’“umano”, riguarda il “fenomeno umano”, ha di mira l’umano così come appare, nella sua complessità di intelligenza, volontà, sentimenti, emozioni, pulsioni, condizionamenti ecc. e nel segmento generazionale in cui si intende operare. Se dunque l'educazione è un'opera essenzialmente dinamica e intenzionale che si determina in una relazione tra autorità (adulto o padre) e educando (ragazzo o figlio), non si dà educazione vera senza questa fondamentale relazione. Essa esige che sia posta concretamente in un “ambiente”, in una “cultura”, in una “tradizione”. Esige inoltre che sia ispirata e indotta da persone "autorevoli" animate e sostenute da affetti e legami di gratuità, che sia caratterizzata dalla libertà responsabile, diffusa e sperimentabile. Ciò implica la centralità delle "motivazioni" saldamente “umane” coltivate nella coscienza e dunque anche apertamente cristiane, capaci di sostanziare l’intervento educativo. Di fatto esso mira ad elevare l’io della persona,

secondo un'unità coerente di proposte, orientate a edificare l'uomo così come ora si trova a vivere, cioè imbevuto e immerso in "culture" antiumane o indifferenti, per condurlo ad un livello in cui si attuano i valori imprescindibili dell' “umano” e ancor più del “cristiano”. Occorre dunque conoscere il "contesto culturale" nel quale vive, cresce, si sviluppa l'attesa delle persone da educare. L’ampiezza di questa attesa si riferisce nel merito delle ambizioni, delle mete, degli obiettivi propri dei ragazzi d'oggi, ammesso e non concesso che esistano in loro. Perché di fatto si è di fronte a generazioni con scarsa propensione all'impegno sacrificale, allo sforzo continuativo, alla tensione per raggiungere un traguardo. Non che i giovani siano privi di queste “energie vitali” ma per risvegliare in loro un desiderio di sano "agonismo", connaturale allo sport e proficuo per la vita. È dunque necessario mettere in atto una terapia educativa che sappia fungere da molla di scatto, non facilmente e subito innescabile. 3° Ripensare l’educazione mediante lo sport Il nostro impegno educativo, se intende essere effettivo e vincente, richiede di essere esigente, non remissivo e compromissorio. Occorre “giocare” al rialzo, senza paura. Ciò significa "purificare" l'attività sportiva da elementi spuri e


CHIESA E SPORT

ingombranti; significa soprattutto fare proposte impegnative, sensate, razionali, graduali. Questo deve accadere a partire dall'organizzazione sportiva e dai suoi linguaggi, dalle competenze specifiche e dal rigore morale, dallo stile di vita e dal metodo di fare sport, dall'offerta sportiva e dalla pratica di relazioni tra le persone addette, dalla differenziazione di tipologie-discipline sportive e dalla qualità tecnica non eludibile. In realtà l’educazione è una “parola” che copre tutto l'evento sportivo. In quanto “fatto umano” lo sport praticato, per sua natura, dovrebbe essere sufficientemente capace di "educare" senza altre qualifiche e aggiunte, proprio creando condizioni "edificanti" ed esemplarità semplici ed efficaci, attraverso un “personale” dirigenziale del tutto preparato e appassionato e un accompagnamento oculato e costante. Alla luce di quanto detto, a me pare importante “ripensare” l’educazione mediante lo sport, sotto diversi profili. Anzitutto nel verificare la congruenza nativa tra gesto sportivo e formazione

della personalità. È questo un annoso snodo che riguarda i processi educativi attuati mediante lo sport. In secondo luogo nell’elaborare un “sapere” va considerato che la pura tecnica o il puro gioco non educano nessuno in quanto privi di motivazionifinalità umanizzanti e valoriali. In terzo luogo nel formulare lo sport sull’iniziazione al mistero del Dio della vita e della grazia redentrice e non su un neutralismo ideologico e sostanzialmente vuoto. Un esempio dal Vangelo: “Se non diventerete come bambini…”, nel senso di una conversione dello sport alle esigenze del Regno! 4° Il "ruolo" del sacerdote o dirigente dev’essere eloquente La questione del "ruolo" educante appare fondamentale nel "mondo dello sport". Esso va considerato in riferimento alla "testimonianza" nella società sportiva, al trascinamento imitativo, alla formazione dell'atleta. Assumere ruoli non può essere solo il risultato di un’operazione soltanto “elettiva”, ma

implica una “vocazione” al servizio, al “dono di sé”, all’esercizio autentico dell’ “autorità”. In tale prospettiva il sacerdote è un educatore nato e non è surrogabile nel suo esercizio ministeriale presso il "mondo dello sport". Egli è figura di riferimento ecclesiale imprescindibile, portatore positivo e gioioso di valori creduti e vissuti, consigliere spirituale e orientatore di scelte valoriali conseguenti. Ciò deve accadere in un quadro di “pastorale integrata”, in collaborazione con la pastorale giovanile e della famiglia. È per altro finita l’epoca in cui si lavorava da soli. D’altra parte la “presenza” del sacerdote nel CSI non può essere aleatoria, occasionale, di contorno. Proprio in ragione del mandato ricevuto dal vescovo, il suo ruolo va gestito in modo eloquente, sicuro, illuminante, secondo il suo proprio carisma, non debordante o inclusivo. Perciò va calibrato, lasciando “fiorire” anche e soprattutto il sacerdozio comune dei laici impegnati generosamente nell’Associazione.

GIOCA SRL E IL NUOVO PORTALE DEL CSI GIOCA s.r.l. è l’azienda che ha realizzato il nuovo portale nazionale del Csi (www.csi-net.it) e che lavora da oltre 10 anni nel mondo dello sport professionistico e dilettantistico sviluppando progetti innovativi di marketing e servizi legati alle nuove tecnologie di comunicazione. Sono principalmente due le realtà a cui sono rivolti i servizi di GIOCA s.r.l.: da un lato le associazioni sportive dilettantistiche e dall’altro gli sport maker come gli Enti di promozione sportiva e le Federazioni sportive. Per promuovere e garantire maggiore visibilità alle società dilettantistiche è stato realizzato il Circuito GIOCA, un network nato dall’idea innovativa di offrire alle società sportive dilettantistiche spazi e servizi online in forma totalmente gratuita. Le Asd che i iscrivono al Circuito GIOCA, infatti, possono realizzare

in maniera gratuita, semplice e veloce il proprio sito web ufficiale attraverso il quale comunicare sia verso l’esterno (mezzi di comunicazione, tifosi ecc.) sia verso l’interno della società (atleti, dirigenti, allenatori ecc.). Parallelamente a questa iniziativa GIOCA s.r.l. ha sviluppato al proprio interno una business unit il cui compito è progettare e realizzare portali web “complessi” e ad alto contenuto tecnologico rivolti agli sport maker quali Enti di promozione sportiva e Federazioni sportive. Questi portali, caratterizzati da un alto contenuto tecnologico e dalla presenza dei principali strumenti del web 2.0, consentono ai clienti finali di poter gestire i contenuti e l’aggiornamento in maniera completamente autonoma. www.circuitogioca.it

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DECENNALE

di Andrea De Pascalis

“Lo sport sia segno di speranza” Il 29 ottobre 2000, in uno Stadio Olimpico di Roma gremito in ogni ordine di posti, presenti le massime autorità dello sport mondiale, si celebrava davanti a Giovanni Paolo II il Giubileo degli Sportivi. Quale eredità ci ha lasciato quell’evento, così fortemente voluto da papa Wojtyla, il “papa dello sport”?


DECENNALE

ossa questa verifica offrire a tutti - dirigenti, tecnici ed atleti - l'occasione per ritrovare un nuovo slancio creativo e propulsivo, così che lo sport risponda, senza snaturarsi, alle esigenze dei nostri tempi: uno sport che tuteli i deboli e non escluda nessuno, che liberi i giovani dalle insidie dell'apatia e dell'indifferenza, e susciti in loro un sano agonismo; uno sport che sia fattore di emancipazione dei Paesi più poveri ed aiuto a cancellare l'intolleranza e a costruire un mondo più fraterno e solidale; uno sport che contribuisca a far amare la vita, educhi al sacrificio, al rispetto ed alla responsabilità, portando alla piena valorizzazione di ogni persona umana».

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È questo il passaggio nodale dell’omelia pronunciata da Giovanni Paolo II durante la celebrazione eucaristica da lui presieduta nello Stadio Olimpico di Roma, per il Giubileo degli Sportivi del 29 ottobre 2000. La verifica di cui parlava il pontefice era l’esame di coscienza cui il mondo dello sport era tenuto proprio per via della ricorrenza giubilare, evento che si colorava di alcuni significati particolari alla luce della Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente, con cui il Santo Padre aveva invitato nel 1994 il clero e i fedeli a preparare il Giubileo del 2000. Nel documento Giovanni Paolo II, oltre a richiedere che tutti i segmenti della cristianità partecipassero, ciascuno a suo proprio modo, allo svolgimento del Giubileo, aveva espresso l’auspicio che tale partecipazione

portasse a fare riscoprire ad una umanità oppressa da tanti problemi, la virtù della speranza: “È necessario inoltre che siano valorizzati ed approfonditi i segni di speranza presenti in questo scorcio di secolo…”. (TMA 46). Ciò dopo aver preso atto con spirito sincero delle omissioni e delle responsabilità di ciascuno nei confronti dei mali del nostro tempo (TMA, 36). In che modo lo sport poteva essere segno di speranza per l’umanità Giovanni Paolo II l’aveva indicato il giorno prima, in occasione di un convegno su “Il volto e l’anima dello sport”: «Le potenzialità del fenomeno sportivo lo rendono strumento significativo per lo sviluppo globale della persona e fattore quanto mai utile per la costruzione di una società più a misura d'uomo. Il senso di fratellanza, la magnanimità, l'onestà e il rispetto del corpo - virtù indubbiamente indispensabili ad ogni buon atleta - contribuiscono all'edificazione di una società civile dove all'antagonismo si sostituisca l'agonismo, dove allo scontro si preferisca l'incontro ed alla contrapposizione astiosa il confronto leale. Così inteso, lo sport non è un fine, ma un mezzo; può divenire veicolo di civiltà e di genuino svago, stimolando la persona a porre in campo il meglio di sé e a rifuggire da ciò che può essere di pericolo o di grave danno a se stessi o agli altri». Lo sport, quindi, era invitato a mettersi al servizio della costruzione della “civiltà dell’amore”, dopo aver fatto un sereno esame di coscienza sulle sue mancanze, i suoi difetti, le sue

contraddizione. «Non sono - avvertiva il papa - purtroppo pochi, e forse si vanno facendo più evidenti, i segni di un disagio che talvolta mette in discussione gli stessi valori etici fondanti la pratica sportiva. Accanto ad uno sport che aiuta la persona, ve n'è infatti un altro che la danneggia; accanto ad uno sport che esalta il corpo, ce n'è un altro che lo mortifica e lo tradisce; accanto ad uno sport che persegue nobili ideali, ce n'è un altro che rincorre soltanto il profitto; accanto ad uno sport che unisce, ce n'è un altro che divide». Di qui l’esortazione finale: «Il mio augurio è che questo Giubileo dello Sport sia occasione per tutti, cari responsabili, dirigenti, appassionati di sport ed atleti, di ritrovare un nuovo slancio creativo e propulsivo, attraverso una pratica sportiva che sappia conciliare con spirito costruttivo le complesse esigenze sollecitate dai cambiamenti culturali e sociali in atto con quelle immutabili dell'essere umano». È avvenuto questo esame di coscienza? Non del tutto, se pensiamo che il dibattito sull’etica dello sport, sulla sua mission sociale ed umana, ha preso quota solo negli ultimi anni. Ancora più lontano appare il traguardo di ritrovare le motivazioni e lo slancio creativo necessari per “reinventarsi” nei modi e negli strumenti per costruire una società migliore. Ripensare, dieci anni dopo, ai significati del Giubileo degli sportivi del 2000 può essere un modo di accelerare il cammino.

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LINEE E APPUNTAMENTI DEL 2010-2011

Identikit di una stagione La stagione 2010-2011 è già cominciata a tutti i livelli associativi, ma vale la pena farne un breve identikit per chi non avesse chiaro il quadro di insieme. di Andrea De Pascalis

a nuova stagione? Anzitutto tanta attività sportiva. L’obiettivo è migliorare ancora i numeri, già eccellenti, del 2009/2010: 16.467 squadre partecipanti al circuito dei campionati nazionali, che nelle 12 discipline individuali e nei 5 sport di squadra hanno visto la partecipazione di 15.000 tra atleti, tecnici, giudici di gare e accompagnatori. Ci saranno sempre le finali interregionali a scremare le pretendenti al titolo negli sport di squadra (volley, calcio e basket). E come sempre toccherà allo sci inaugurare il ciclo delle finali, poi corsa campestre e tennistavolo. Maggio sarà il mese delle arti marziali (judo e karate) e del nuoto. La ginnastica, artistica e ritmica, intervallerà nel mese di giugno le finali dei campionati nazionali delle squadre: in campo prima gli under 10, under 12 e under14, quindi le categorie giovanili degli allievi e degli juniores. Infine in luglio spazio dedicato agli scudetti dei top junior e degli open. Infine l’atletica leggera a settembre. Alta l’attenzione al tennistavolo, disciplina dell’anno, con la campagna di rilancio “Più tennistavolo”, che riguarderà in special modo le parrocchie, luoghi nei quali verrà proposto un circuito cittadino, preliminare alla fase diocesana e alla conseguente finale nazionale. Per i più piccoli in primavera sarà ancora tempo di Gazzetta Cup e Danone Nations Cup, due tra i più prestigiosi calcistici tornei giovanili nazionali, ed internazionali.

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Decennio culturale, Statuto e Formazione Altrettanto impegnativa la stagione in campo formativo e culturale. Confermato il tema associativo generale, “Uno sport per la vita”, il 2011 sarà l’anno di partenza del “Decennio culturale”. In sostanza, durante i prossimi dieci anni l’associazione sarà chiamata a ragionare su un interro20

gativo di fondo: tra identità e sviluppo, quale futuro per l'Associazione? Ovvero: come realizzare un CSI più grande, più forte, più diffuso tra la gente e sul territorio, senza sbiadire ma anzi rafforzando la propria identità? Si individueranno 5 temi, ciascuno dei quali costituirà un obiettivo biennale. Se ne parlerà già ad Assisi, a dicembre, e si comincerà a lavorare ad inizio 2011. Conferma per l’altro grande meeting nazionale, l’Agorà, con luogo e data da precisare. Il 21-23 gennaio 2011 è la data fissata per il Forum nazionale dello Statuto, che determinerà le modifiche da apportare alla carta fondamentale del CSI. Identica data, ma sede a Roma, per un altro evento clou: la Convention della Formazione, cui viene concesso il tris dopo le precedenti edizioni di Trevi. Il Centro di Coverciano ospiterà, dal 18 al 20 febbraio 2011, il Master nazionale dirigenti del CSI. Sullo sfondo dei lavori l’approfondimento sull’ordinamento del sistema sportivo italiano e sul sistema che da esso scaturisce. Una volta chiarito il quadro d’insieme, il Master approfondirà i temi relativi alla presenza di rappresentanti CSI nei Consigli e nelle Giunte CONI regionali e provinciali. Spazio agli arbitri, in marzo, con lo Stage nazionale di Lignano Sabbiadoro. Sviluppo e territorio Altro punto qualificante del programma l’avvio di un piano per consentire un migliore sviluppo del CSI sul territorio, nei luoghi e nei settori dove maggiormente se ne avverte il bisogno. Attraverso una collaborazione stretta tra le strutture locali e la presidenza nazionale ci si impegnerà a fornire un’opportunità di sviluppo e di crescita ad almeno 20


LINEE E APPUNTAMENTI DEL 2010-2011

Comitati ogni anno. Si agirà sulle difficoltà segnalate da quei Comitati, così da rimuovere gli ostacoli e favorire i processi associativi. Attività internazionale Non c’è solo la maratona di primavera in Terrasanta. Al centro dell’attività internazionale una serie di altri importanti obiettivi: diffondere la cultura della mondialità a tutti i livelli; sviluppare lo sport educativo come strumento di promozione sociale nei territori con maggiori necessità; sostenere i progetti di intervento internazionale di società sportive e comitati. Nel 2010 si è assistito, infatti, a un aumento continuo di segnalazioni relative a progetti in corso presso i Comitati. Di qui la decisione dell’apposita commissione di ricercare un maggior coordinamento e a coinvolgere sui progetti tutta l’associazione. Skynet, Doas ed un portale tutto nuovo Alzi la mano chi oggi può fare a meno della tecnologia. Il CSI si presenta ai nastri di partenza della nuova stagione con alcune interessanti novità anche in questo campo. Un nuovo portale internet, anzitutto. Non un semplice restyling, ma un autentico cambio di prospettiva, in quanto il portale sarà adottabile dai Comitati territoriali per costruire il proprio

portale. Il sito del comitato resterà indipendente da quello del nazionale, ma potrà inserire alcune funzionalità del portale nazionale (copiare notizie, sondaggi, webtv, sezioni quali il tesseramento, …). Trasparenza e tempestività sono le parole d’ordine del sistema DOAS (Documentazione Online Attività Sportiva), piattaforma informatica per il monitoraggio di tutta l’attività sportiva organizzata dai comitati. Oltre ad essere lo strumento che sancisce l’ammissione degli atleti e delle società sportive alle fasi finali dei Gran Premi e dei Campionati nazionali, il DOAS costituirà per i Comitati un’importante vetrina per fare conoscere il proprio movimento sportivo, creando di conseguenza una rete di condivisione con tutte le altre strutture dell’Associazione. SkynetCSI è il nome di un’altra piattaforma telematica, al servizio della Formazione, che renderà possibile ad ogni comitato inserire tutti i corsi svolti a livello territoriale ed i nominativi dei partecipanti, i quali, alla fine, saranno automaticamente iscritti negli albi nazionali di competenza. Via internet viaggerà anche Fiscalnews, pubblicazione che, attraverso grafici e tabelle, esaminerà tutte le operazioni e tutti gli adempimenti che le ASD devono effettuare per non trovarsi impreparati in caso di verifica ispettiva.

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DOSSIER

Il “matto del vescovo” e la Clericus Chess Dopo la positiva esperienza vissuta a metà novembre a Carugate con il primo campionato italiano di scacchi riservato a sacerdoti e religiosi, sembra ormai prossimo il lancio della Clericus Chess, il campionato del mondo per sacerdoti scacchisti. Mons. Paganini: “Un bel modo per santificarsi, praticando gli esercizi della pazienza e dell’attesa” di Danilo Vico

a Chiesa studia le prime mosse per il lancio della Clericus Chess. Dopo la recente “benedizione” di Giovanni Trapattoni all’undici vaticano di calcio ed aver visto nel nuovo millennio presbiteri e chierici, più o meno giovani, in tuta e scarpe da ginnastica, vestirsi da cestisti, sciatori, giocatori di cricket e pongisti, ai sacerdoti e seminaristi è toccato adesso muovere i 16 pezzi sul quadrato a scacchi e cimentarsi in bibliche partite fino ad arrivare all’estremo “amen” del matto finale. Così sia! Ecco allora il battesimo del primo campionato italiano di scacchi riservato a sacerdoti e religiosi, dall’idea di un prete genovese, don Stefano Vassallo, collaboratore del cardinal Bagnasco, presidente della Cei, da subito a favore dell’iniziativa. Il 12 e il 13 novembre scorsi pedoni, torri, cavalli ed alfieri, si muovono in clergy, a Carugate, importante centro dell’hinterland milanese. La competizione, sostenuta e approvata dalla Cei e dal Csi, sotto l’egida della Federazione scacchistica, ha visto decine di eccle-

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DOSSIER

I RISULTATI

siastici sfidarsi all’interno della terza edizione di “Giocando con i re”, conclusasi con un convegno “Gli Scacchi e la Chiesa”, moderato dallo psicologo e grande esperto di scacchi, Giuseppe Sgrò. C’era anche un gesuita polacco, Dariusz Kowalczyk, docente alla Lateranense in Roma, a muovere i pezzi sulle case in bianco e nero, ma dai “confessionali” antegara già fuoriusciva il nome del favoritissimo scacchista. Ha infatti vinto il 39enne don Valerio Piro, di Torre del Greco, candidato maestro (il secondo livello per importanza nelle categorie degli scacchi), reduce da un buon piazzamento nel campionato europeo disputato in primavera a Fiume. Quel giorno in Croazia c’era anche l’icona mondiale Karpov, che ha voluto stringere la mano al neo parroco ad Ercolano. “Sembrerà strano ma fu lui a cercarmi, voleva conoscere il prete scacchista e mi fece i complimenti – conferma don Valerio - Ora da tre mesi sono parroco al Sacro Cuore di Gesù e mi piacerebbe adottare gli scacchi, un gioco semplice in definitiva, come antidoto alle devianze giovanili ed alla strada. E’ un gioco classico, che fa riflette-

re, che apre la mente”. Pochi altri dogmi ed una strategia precisa nella testa di don Valerio. “In sacrestia accanto ai volumi teologici conservo molti testi scacchistici. Tattica e strategie (linee e diagonali) vanno affinate. Il mio gioco? Se apro con il nero, sono solito uscire con la Carakan, mossa di pedone per prendere l’avversario in contropiede. Calcisticamente è come se lasciassi giocare a centrocampo e poi dalle fasce laterali, iniziare a fare delle prese, per stroncare l’avversario. Come nella vita gli scacchi insegnano che occorre conquistare punti strategici. E sono tantissime le varianti… un po’ come le vie del Signore, che sono infinite!” La Chiesa dunque non si arrocca, ma esce allo scoperto come testimoniano pure le parole di Mons. Claudio Paganini, presidente della più popolare Clericus Cup calcistica e consulente ecclesiastico nazionale del Csi. “Questo è il modo per santificarsi giocando a scacchi – spiega il sacerdote bresciano - praticare l’esercizio della pazienza e dell’attesa; pregare per trovare nel proprio cuore la giusta serenità e concentrazione; studiare e progettare

Vittoria come da pronostico per don Valerio Piro di Napoli, che ha preceduto il sorprendente frate Marcello Bonforte di Chieti; terzo assoluto il polacco Dariusz Kowalczy (docente alla Pontificia Università Gregioriana di Roma), per cui il terzo posto tra gli italiani è stato appannaggio di don Stefano Vassallo di Genova. Seguono don Roberto Pavan di Osimo e mons. Pietro Sambo, di Gorizia, consulente ecclesiastico del Csi Friuli. Ha chiuso la classifica, meritando un premio speciale, mons. Claudio Paganini di Brescia, consulente ecclesiastico nazionale del CSI, unico non classificato. Affollata la cerimonia di premiazione con mattatore l’attore Neri Marcorè (segue intervista) che ha anche tenuto un applauditissimo intervento in occasione della conferenza ‘Gli Scacchi e la Chiesa’.

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DOSSIER

le risposte ai problemi contingenti; conoscere a fondo la ricchezza dell’uomo per stimarlo ogni volta che ci batte…ed infine, se si perde una partita giocando a scacchi, ricordarsi di un buon esame di coscienza. Allora, con umiltà e pazienza, si ricomincia da capo avendo intatta la speranza che domani si potrà fare meglio nel gioco e nella vita spirituale.” Poco importa, dunque, se il gioco, che appassiona più di 700 milioni di fedeli in tutto il mondo, nei secoli sia stato un tempo bandito, a causa anche delle sue origini arabeggianti, poi resuscitato dai Papi medicei (vedi box a fianco). Nel mondo, del resto, chi non conosce gli scacchi? E’ lo sport per tutti per eccellenza, portatore sano di parità ed egualitarismo: davanti al casellario ed ai possibili diagrammi (piace anche per questo agli uomini di Chiesa) bambini, anziani, disabili, normodotati partono tutti alla pari. Ed il piccolo pedone che, passo passo, può arrivare in fondo fino ad essere “promosso” ed ottenere lo scettro regale, cos’altro è se non una metafora evangelica del riscatto, dove 24

gli “ultimi saranno i primi”? Rivela proprio don Stefano Vassallo, anch’egli tra i primi nel torneo. “Non c’è un Vangelo negli scacchi, ovvero un testo o riferimento unico. Ci sono invece come nella vita dei comandamenti da seguire; le 40 mosse in un’ora, l’incentivo di tempo ad ogni mossa celere, ecc, ma la regola numero uno è quella del silenzio. Se solo ti arriva un sibilo, tipo un sms del cellulare, la partita è persa e non ci sono confessionali o scusanti che tengono. Ci si “confessa” invece tutti insieme, e spesso con gli avversari, in grandi sale a disposizione dove in una sorta di terzo tempo, si rianalizzano e si spiegano tra giocatori alcune mosse. Sono un terza categoria, ora mi sto allenando poco, talvolta gioco su yahoo con il computer. Diciamo pure che una partita può durare molto più di un rosario…recentemente ho assistito ad una gara con 170 mosse. Ma quel che è certo è sempre la mia prima mossa: tra le 40 possibili aperture, se apro con il bianco apro di re». Don Stefano non vuole svelare altri segreti, piuttosto sfoglia nei ricordi del passato. “Una passione nata quando avevo 16 anni, folgorato dall’epico match tra Spassky e Fischer del ‘72. Poi una volta iniziato, giocavo anche mentre frequentavo il Seminario Benedetto XV a Genova in seminario. La parabola più bella? Posso dire che come si è tutti uguali davanti a Dio, così ogni giocatore gioca senza vantaggi. Sulla scacchiera mi piace il cavallo per la sua capacità di saltare. E’ un pezzo lento (impiega sei mosse per arrivare all’ottava traversa) ma può arrivare ovunque, case bianche e nere. ». Un po’ di preghiera e molta concentrazione; l’antipasto della Clericus Chess è stato servito a Carugate. Vedremo adesso se nel 2011 proprio i religiosi saranno capaci di inventarsi aperture epocali, che possano magari divenire “cult” (come la Alekhine, la Larsen, la Bird dal nome di chi la usò più spesso). O se accanto

I MIGLIORI PRETI SCACCHISTI DELLA STORIA Nel 1830 tale Abate Palazzi fu insegnante di scacchi di Serafino Dubois, il più forte giocatore italiano del suo tempo Stefano Battiloro, (morto nel 1754) prete di Piedimonte d'Alife in provincia di Caserta; considerato uno dei più forti giocatori del Regno di Napoli nel XVIII secolo Luigi Cigliarano, prete di Cosenza, un altro dei più forti giocatori nel XVIII secolo, giocava anche in incontri pubblici alla presenza di tutti i cittadini (morto 1780) Scipione del Grotto, prete di Salerno, XVIII secolo; molto abile nei finali; si tramanda che per analizzare le partite usasse fino a 14 scacchiere contemporaneamente (morì nel 1723) Benedetto Rocco abate napoletano sec. XVIII; nel 1783 pubblica "Dissertazione sul gioco degli scacchi agli oziosi", opera poi ristampata nel 1817 a cura dell'abate Francesco Cancellieri (1751-1826) romano, più noto come archeologo Michele Colombo (1747-1838) scrittore e prete dal 1764, poi abate; tra i suoi meriti la diffusione in Italia dell'opera del celebre statunitense Beniamino Franklin "La morale degli scacchi" alle celebri francese, russa, siciliana, possa nascere una mossa tutta “episcopale”. In molti guardano all’alfiere come matador. Daltronde in Francia il pezzo è chiamato “fou” (giullare). In inglese per tutti é “bishop”…e sarà forse questa la volta buona per istituire, oltre ai già noti “matto affogato (dal cavallo al re) e matto del barbiere (in 4 mosse) lo scacco matto “del vescovo”.


DOSSIER

CHIESA E SCACCHI DAL MEDIOEVO FINO A WOJTYLA ANEDDOTI E STORIE… IN BIANCO E NERO ono stati tre, fondamentalmente, i momenti topici di incontro-scontro tra la Chiesa e gli scacchi, avvenuti più o meno a 450 anni di distanza l’uno dell’altro: 1061, la condanna del gioco ad opera di San Pier Damiani; 1513, l’ascesa al soglio pontificio di Leone X, che portò alla revoca della condanna; 1987, le false composizioni scacchistiche attribuite a Papa Wojtyla. Una delle prime testimonianze sul gioco degli scacchi in Italia è costituita da una lettera che San Pier Damiani, il santo anacoreta che Dante incontrerà in Paradiso, scrisse nell'ottobre del 1061 a papa Alessandro II, scagliandosi violentemente contro il gioco, del quale chiese e ottenne la condanna e la messa al bando. Pier Damiani informava il papa di aver scoperto il vescovo di Firenze che a causa degli scacchi aveva totalmente trascurato i propri doveri religiosi. Che gli scacchi assorbissero in maniera eccessiva il clero era del resto noto e proprio in quegli anni era stata emanata una regola per i chierici di Spagna secondo la quale non dovevano «perdere tempo» giocando a scacchi. L'avversione continuò negli anni e nei secoli successivi: nel 1128 san Bernardo di Chiaravalle, emanando le regole per l'ordine dei Templari, metteva gli scacchi al bando. Poi nel 1212 la Chiesa ribadì la proibizione al gioco in occasione del Concilio plenario di Parigi. Più tardi, nel 1254, il re di Francia Luigi IX, poi canonizzato come san Luigi, proibì gli scacchi con una ordinanza al rientro dalla prigionia di 4 anni presso gli infedeli in Egitto dopo la VI Crociata; che portò alla condanna "ufficiale" da parte della Chiesa in occasione del Concilio Biterrense del 1255. Bisognerà attendere la fine del Cinquecento per la completa e definitiva riabilitazione del gioco. Infatti ai primi del ‘400 gli scacchi si trovarono coinvolti in manifestazioni di piazza contro le "Vanità". La domenica del 23 settembre 1425, ad esempio, San Bernardino tenne a Perugia una predica tanto infuocata contro le vanità che «li homini mandaro dadi, carte, tavolieri, scacchi e simili cose» e il tutto fu poi bruciato in piazza. Anche Girolamo Savonarola nel 1496 e 1497 fece mettere al rogo gli scacchi in altri due famosi «bruciamenti di vanita». La riabilitazione del gioco tuttavia era imminente. Fu un Medici, Giovanni, figlio di Lorenzo il Magnifico, ad aprire la strada per la revoca della condanna ecclesiastica: fin da giovane grande appassionato di scacchi, Giovanni de' Medici continuò ad essere un importante mecenate per i giocatori dell'epoca anche quando nel 1513 divenne papa con il nome di Leone X. Negli otto anni del suo pontificato, Leone X protesse il gioco e ne favorì la diffusione, anche e forse soprattutto nell'ambito delle strutture ecclesiali. La passione per il

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gioco degli scacchi di leone fu tale da essere segnalata perfino nell'opera "Storia dei Papi" del Pastor. In un volume della fine del 1500 si trova poi questa citazione: «Papa Leone era solito abbandonare la partita quando era inferiore; ciò mostra la sua abilità, poiché egli vedeva molto tempo prima ciò che doveva accadere; e quando si accorgeva che la sua situazione era disperata, seguendo il responso di Ippocrate che diceva non esservi rimedio per i disperati, si arrendeva e confessava vinto». Fu grazie all'influsso di Leone X che santa Teresa d'Avila parlò positivamente degli scacchi nella sua opera "Il cammino alla perfezione", scritta tra il 1564 e il 1566, tanto che il 14 ottobre 1944 il vescovo di Madrid proclamò santa Teresa patrona degli scacchisti. Agli albori del ‘600, il gioco degli scacchi venne dichiarato di nuovo lecito in maniera ufficiale da san Francesco di Sales, vescovo di Ginevra, che nella sua "Introduzione alla vita devota" (1608), controbatte l'editto di Luigi e la condanna dei Concilii. Il rinnovamento culturale del Rinascimento, diede enorme impulso alla diffusione degli scacchi, presto considerati alla stregua degli "studia humanitatis", delle arti figurative, delle scienze. Nei secoli successivi molti ecclesiastici si distinsero anche come ottimi giocatori, basti pensare allo spagnolo Ruy Lopez, sacerdote di Segura, ricordato come campione del mondo della prima metà del Cinquecento, fino a padre William Lombardy, campione degli Stati Uniti e 'secondo' di Bobby Fischer nella famosa sfida iridata contro Boris Spassky del 1972. Fino a Papa Giovanni Paolo II, al secolo il polacco Karol Wojtyla. A far sobbalzare sulla sedia padre Navarro Valls, capo della Sala Stampa vaticana, all'inizio dell'estate 1987 fu la notizia che una rivista di scacchi francese aveva pubblicato una serie di 'problemi' di scacchi affermando di averli ricevuti direttamente da Giovanni Paolo II. Che Karol Wojtyla avesse giocato a scacchi in gioventù, forse ancora prima di farsi prete o comunque durante il seminario, non stupisce e appare del tutto normale data la diffusione del gioco in Polonia. Che abbia anche composto un paio di 'problemi' (composizioni in cui il Bianco muove e dà matto in 2 o 3 mosse) è sicuro, visto che furono pubblicati nel 1946 da una rivista degli universitari cattolici di Cracovia e che sono conservati negli archivi della Federazione Polacca a Varsavia. Che JPII ne avesse composti durante il pontificato è stata una notizia subito smentita dalla Segreteria di Stato del Vaticano; anzi Navarro Valls portavoce della Sala Stampa vaticana intervenne personalmente e pretese la pubblicazione delle scuse ufficiali da parte degli autori che definirono il tutto soltanto uno "scherzo".


DOSSIER

“Il pedone è un po’ un eroe, ma il mio prediletto è l’alfiere per la sua trasversalità”.

Neri Marcoré e la mossa di Papa Luciani

Neri Marcoré a Carugate ha giocato, premiato divertendosi fra tanti appassionati di scacchi, anche fra i religiosi. Profondo conoscitore del “nobil gioco” – come tesi di laurea ha tradotto in italiano capitoli di un testo scacchistico – il simpatico attore marchigiano, si gode il successo della fortunata fiction “Tutti pazzi per amore”; dove dal Paradiso, nel suo ruolo di Michele, dettava i consigli ad ognuno dall’alto, pianificando… le loro strategie di vita.

Non è un po’ come uno scacchista? Più che pianificare le mosse dall’alto, nella fiction, cercavo di influenzare il comportamento degli umani. Non so quanto sia scacchistico ciò, perché il bello degli scacchi è proprio nell’assenza di un disegno superiore. Manca il demiurgo, il deus ex machina. Ogni mossa è lì sulla scacchiera, e può portare alla vittoria o alla sconfitta. Negli scacchi non c’è nulla di preordinato. Come nasce la sua passione per gli scacchi? Qualche tentativo ai tempi delle scuole elementari, ma la passione è arrivata da adolescente, quando, con i miei amici, specialmente in inverno, ci trovavamo a giocare. Attorno ai 16-17 anni da Porto S. Elpidio frequentavo il circolo “Ninsovic”, vicino a Civitanova Marche. 26

Poi, a Bologna, l’università, e la scuola interpreti. Ero in affitto e vicino casa c’era il negozio “le due torri”, fornitissimo di libri e riviste di scacchi. Lì acquistai “History of chess” il libro di cui ho tradotto alcuni capitoli nella mia tesi di laurea. Quanto tempo vi dedica, è solo un passatempo? Dedico purtroppo poco tempo; magari con qualche amico, ci scappa una partita, ma mi capita di rado, due o tre volte l’anno. Con quali attori, o attrici, condivide questa passione? Nel mondo dello spettacolo con Luca Barbarossa: ci siamo confrontati spesso sulla scacchiera. Girando insieme in tournée, in hotel, prima delle serate, ci piace giocare. Tutte partite alla pari, da ricordarsi per gli errori da non ripetere in

futuro. Quale pezzo la affascina di più? Perché? Cosa ci trova? Per dire il pezzo più affascinante forse dovrei citare l’amico Fabio Stassi ed il suo libro ‘La rivincita di Capablanca’ (sulla figura del campione di scacchi cubano José Raúl Capablanca, ndr). Descrive il pedone come colui che può migliorare la sua condizione. Un pedone sogna infatti di cambiare la sua natura, di progredire fino all’ultima casella per poterlo fare. In qualche modo è il pezzo più eroico. Ad istinto però direi l’alfiere, per il suo procedere in diagonale, mai scontato. A me, nella vita, piace prendere le cose di tre quarti, mai frontalmente, in modo ironico e distaccato. Mi piace questa sua diagonalità, trasversalità nell’attraversare la scacchiera.


DOSSIER

Religiosi in campo: gli scacchi come esercizi spirituali? Esercizi spirituali sì, perché si acuisce la concentrazione ed è necessaria una mente svuotata da ogni pensiero. C’è misticismo, spiritualità negli scacchi. Quasi una pratica zen, di meditazione. Cosa pensa della Chiesa impegnata anche a sostenere azioni come queste, dirette, della vita quotidiana, alla portata di tutti, come il gioco del calcio e degli scacchi? Fa bene a dare tale testimonianza? Credo la Chiesa faccia benissimo a seguire attività del genere e sostenere queste pratiche, questi giochi, quando il gioco non è mai fine a se stesso: mi viene in mente l’oratorio, un luogo di aggregazione. In oratorio ci andavo raramente, ma era un luogo in cui, sotto la supervisione dei sacerdoti, nuove generazioni imparavano a giocare a calcio, scacchi o a ping pong ma anche ad avere rispetto per l’altro ed imparare l’amore per il prossimo attraverso una Chiesa declinata in questi termini. Penso che Dio sia dappertutto e in questo senso penso sia giusto che sia anche in una manifestazione di scacchi e quindi, al di là di ogni metafora possibile tra gli scacchi e la vita, penso che sia un esempio di applicazione pratica di tutto ciò che è spirituale e in questa attivo e fattivo. Papa Luciani, che lei ha interpretato, quale mossa avrebbe fatto? Avesse potuto scegliere, credo avrebbe rimandato il momento dello scacco matto, ovvero della sua dipartita. Troppo breve il suo Pontificato. Non so se sarebbe stato un Papa progressista o meno, ma immagino avrebbe introdotto alcuni cambiamenti che andavano incontro alla gente comune, alla gente normale. Era con i piedi per terra, veniva dalla campagna, una persona determinata. Sarei stato curioso di vedere cosa avrebbe fatto. 27


L’INTERVISTA

Quei sorrisi lunghi più di 100 metri Intervista a Giusy Versace, la 33enne calabrese, prima atleta donna con amputazione bilaterale a conquistare sulla pista di atletica un titolo nazionale. Tutti dicono: “Ecco la Pistorius al femminile!”. E fuori dal tartan, Stadium ha incontrato una ragazza in “gambissima!”. di Domenico Serino È una bella ragazza, semplice, generosa, sincera. Giusy Versace, 5 anni fa, in un terribile incidente stradale, ha perduto l’uso di entrambe le gambe, dal ginocchio in giù. Ha reagito e si è riappropriata della sua vita. Attivissima nel lavoro e nello sport, è campionessa italiana, con le sue protesi sportive, dei 100 metri. A sentire i tecnici sembra che un altro Pistorius sia possibile. Stadium l’ha incontrata in occasione della giornata dello sport paralimpico, a Varese, il 14 ottobre. Ai duemila ragazzi presenti nel Palazzetto dello sport di Varese l’atleta reggina ha donato un fortissimo messaggio di sano ottimismo, spingendoli ad apprezzare quello che hanno, a dedicarsi allo sport, ad amare la vita. Quali sport hai praticato prima dell’incidente e quali pratichi oggi? Amavo il tennis e lo spinning. Non potevo definirmi un’atleta, ma mi piaceva fare sport. Ne facevo tanto, ora devo praticarlo con più equilibri. Mi sono avvicinata all’atletica leggera ed alla corsa veloce per caso. Correre era una cosa che il mio cervello aveva dimenticato. Dopo l’incidente avevo dimenticato lo schema motorio: come muovere le braccia, saltellare ecc. La prima volta che sono salita sulle protesi sportive è stata un’emo28

zione bellissima. Ovviamente mi tenevo per mano con mio fratello perché il mio equilibrio era molto precario, ma la sensazione di volteggiare, di sentire il sentirmi viva di nuovo. Come immagini la tua prima Olimpiade e cosa ti aspetti? Le Paralimpiadi di Londra 2012 sono un grande obiettivo, però devo fare i tempi per arrivarci e non è detto che ci riesca. Speriamo. Se così fosse, sarebbe per me una bellissima soddisfazione, soprattutto, perché mi piacerebbe invogliare gli altri a farlo. Vorrei che la gente si avvicinasse allo sport inteso proprio come terapia. Lo sport fa bene a tutti, a prescindere, ma penso che per chi vive una situazione di handicap, sia il modo migliore per mettersi a confronto con gli altri e soprattutto con se stessi. Capire che si possono superare quei limiti che neanche immaginiamo di avere e che forse a volte noi stessi ci imponiamo. Mai e poi mai avrei potuto immaginare di correre i 100 metri con le protesi sportive e di trovarmi una medaglia d’oro al collo. È stata una grande sorpresa per me. Spero, con questa mia impresa, di riuscire ad invogliare la gente a reagire, a non chiudersi. Oggi si parla con meraviglia del fatto che io sia l’unica donna in Europa a correre

senza le due gambe e la prima in Italia. Io spero di essere solo la prima, ma non l’unica. Sono convinta che dopo di me ce ne saranno altre. Correrai sempre con i disabili o, come Pistorius, vorrai cimentarti anche con i normodotati? Credo che se esistono le Paralimpiadi e se esistono gli sport per disabili un motivo ci sarà. Io non ho questa presunzione, questa ambizione. Io ho un handicap ed è giusto che gareggi con persone che come me vivono il loro handicap. Gareggio per divertirmi. Se vinco ben venga, ma non corro per vincere. Cosa manca allo sport italiano in generale e allo sport paralimpico in particolare per fare il famoso salto di qualità? Non ho tante competenze tecniche per rispondere a questa domanda. La prima cosa che mi viene in mente è che nello sport paralimpico fino ad oggi sono mancate le giuste informazioni. In America già quando esci dall’ospedale ti vengono a parlare di sport. In Italia purtroppo siamo indietro anni luce. Ho impiegato un bel pò per sapere che esisteva questo mondo dello sport per disabili. Ci sono arrivata per caso, per curiosità. Oggi per for-


L’INTERVISTA

tuna abbiamo dei giornalisti eccezionali che si dedicano in questo ambito, che ne parlano. Cito ad esempio Claudio Arrigoni che ha scritto un libro “pazzesco”, che ho avuto modo di leggere, sui paralimpici. Mi ha aperto un mondo. In quel libro ho veramente scoperto che c’è tanta gente con delle patologie gravissime, quasi estreme, e che eppure riescono a fare cose che neanche la più viva immaginazione potrebbe riuscire ad elaborare. Io mi sento piccola come una mosca al confronto. Ecco perché dico che bisogna parlarne sempre più diffusamente. Ed è bello e importante, in questa giornata paralimpica, che ci siano le scuole presenti, perché è da loro, dai ragazzi che bisogna partire. Bisogna parlare della disabilità senza vergogna, senza paura, senza discriminazione. La disabilità è una diversità come ce ne sono tante nel mondo. C’è chi ha i capelli ricci, chi li ha rossi o neri. Chi si fa un tatuaggio e chi no. Chi è alto e magro e chi ha altre caratteristiche fisiche. La disabilità deve diventare una normalità. Fare sport insieme, normodotati e disabili, è un bene o una forzatura? Sicuramente un bene perché alla fine anche la persona che vive l’handicap si mette a confronto con la persona normale e viceversa. Si possono scoprire cose che veramente non ti aspetti, anche che il disabile riesca a superare la persona normale. Dicci tre qualità che ammiri nelle persone e tre difetti che proprio non sopporti. L’umiltà, la generosità e la coerenza,

sono le qualità che in assoluto ammiro in una persona. Quelle che invece odio sono la presunzione, la cattiveria e l’ignoranza. L’ignoranza non nel senso offensivo del termine, ma quel tipo di ignoranza presente nelle persone che non si documentano, che non conoscono i problemi e poi hanno la presunzione di poterli affrontare. Quali sono invece le tue qualità ed i tuoi difetti? Lo farei dire agli altri, a chi mi conosce. Credo di avere molti difetti. Per quanto riguarda le mie qualità, ecco, credo di essere una persona coerente. E poi sono buona, fin troppo buona, apro la porta a tutti e a volte la gente ne approfitta. Poi possiedo un difetto, ma che può essere un pregio, a seconda dei casi e delle situazioni: dico le cose in faccia. Quello che penso dico, senza filtri. Sono molto diretta. Molti giudicano negativamente i giovani d’oggi. Don Antonio Mazzi invece, nei suoi libri e nei suoi interventi se la prende con gli adulti e mostra di avere molta fiducia in questa generazione. Tu cosa pensi al riguardo? Vedo mia cugina crescere, mi metto a confronto e devo riconoscere che siamo molto diverse. Io appartengo a quella generazione che giocava in cortile, per strada. Giocava a campana, a palla avvelenata, ecc. Noi ci divertivamo di più e con meno. Oggi ci si diverte in modo diverso, più “tecnologico”. Si cade facilmente nella rete del consumismo e si accetta una società in cui l’immagine, l’apparire è la cosa più

importante. Si perdono i famosi valori. Mi sento di dire ai ragazzi che devono studiare e lavorare molto. Non devono pensare che quello che vedono in televisione sia facile da raggiungere. Forse per qualcuno lo è, ma solo per qualcuno. Dietro ogni obiettivo e progetto ci deve essere sempre tanto studio ed impegno. Una buona preparazione è alla base di tutto e aprirà sempre tante porte. Che rapporto hai con la fede? Un rapporto bellissimo. Posso dirlo con grande orgoglio. Non mi sento un esempio, non sono di quelle che vanno a messa ogni domenica, perché purtroppo mi faccio prendere anch’io dalla pigrizia. La fede mi ha aiutato tantissimo. Dopo l’incidente di cinque anni fa ho un rapporto quasi umano con la Madonna a cui sono particolarmente devota. Ci parlo come si parla ad una mamma. Le chiedo consiglio, mi apro, mi affido a lei completamente. La sera faccio i conti della giornata e trovo sempre il tempo di dire un’Ave Maria. Mi aiuta proprio a stare meglio. Dopo l’incidente avevo promesso di andare a Lourdes per ringraziare la Madonna del dono che mi aveva fatto, cioè quello di rimanere viva, perché ho rischiato davvero di morire. Sentivo di doverla ringraziare. Lourdes è per me un luogo veramente magico. Mi ha trasmesso ed insegnato ad avere forza e coraggio sempre. Da allora ogni anno ci ritorno come volontaria dell’ Unitalsi. Vado per accompagnare gli ammalati e cerco di regalare il mio sorriso alla gente che incontro. Questo mi fa davvero star bene. 29


FOCUS

Il gioco perduto La maggioranza dei nostri bambini non gioca più all’aria aperta. Di chi la responsabilità? Una risposta ci arriva dalla Società Italiana di Pediatria.

di Andrea De Pascalis a convenzione sui diritti dell’infanzia riconosce al fanciullo (art. 31) il diritto al gioco e alle attività ricreative proprie della sua età, ma in Italia stiamo togliendo ai bambini il gusto di avventurarsi nel mondo per scoprirlo a poco a poco seguendo istinto e fantasia, attraverso il movimento e il gioco spontanei all’aria aperta. L’accusa è stata lanciata a Roma, a fine ottobre, dai pediatri riuniti nella Capitale per il LXVI Congresso nazionale della Società Italiana di Pediatria (SIP). Secondo i pediatri, l’80% dei bambini non gioca più all’aria aperta, tantomeno gli è permesso di “inventarsi” il tempo e il luogo del gioco. I genitori impongono che il gioco avvenga in spazi chiusi e vigilati, come le ludoteche, o in recinti attrezzati predisposti nei giardinetti e nei parchi. Si potrebbe riflettere che spesso negli stessi parchi vi sono altri spazi attrezzati, anche più grandi, previsti come aree di gioco, di movimento e di addestramento per l’amico dell’uomo, il cane. È mai possibile che a un bambino possa essere

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sufficiente la stessa possibilità di sperimentare la libertà che si concede al Fido di famiglia? La responsabilità è anche dell’urbanistica degli ultimi decenni. I nuovi quartieri cittadini non prevedono più spazi liberi e sicuri per il gioco infantile. Quelli che c’erano nei vecchi quartieri sono stati destinati ad altri usi o il traffico li rende insicuri. Giocare nelle aree verdi, senza barriere? Neanche questo si può: il cartello di “Vietato calpestare l’erba” o di esplicito divieto di gioco affiora sui prati delle ville cittadine, oggi concepite come “musei del verde” da guardare, non toccare e non calpestare. La responsabilità maggiore, però, riguarda i genitori che non consentono ai figli di muoversi se non a loro stretto contatto. E pensare che i pediatri chiedono che i genitori lascino ai figli la disponibilità del tempo libero, li facciano andare a scuola in gruppo con gli amici, affidino loro qualche piccola commissione da sbrigare da soli. Il trend attuale – hanno detto i pediatri del SIP – sottrae al bambino la conquista del senso dell’autonomia, la disponibilità al rischio, il misurarsi con l’esperienza dell’ostacolo da superare. Non solo il bambino viene tarpato a livello psichico, ma lo si danneggia anche a livello fisico, poiché tanta costrizione va a costituire motivo di obesità. Con un pericolo ancora più grande in prospettiva: che la conquista dell’autonomia, dell’avventurarsi nel mondo esterno, repressa a livello infantile, si “accumuli” e riaffiori in modo molto più prepotente, e forse incontrollabile, nell’età dell’adolescenza.

SPERICOLATI O BAMBOCCIONI? Il 12 giugno un’imbarcazione di soccorso ha tratto in salvo la sedicenne velista americana Abby Sunderland, alla deriva nell’Oceano Indiano nel corso di un tentativo di circumnavigazione del mondo a vela, in solitaria, senza assistenza e senza scalo. Appena al sicuro, l’adolescente ha assicurato che ci riproverà. I genitori sono d’accordo. La corsa al record di più giovane circumnavigatore del globo è in corso ormai da parecchi anni e vede sfidanti sempre più... verdi. Il 16 maggio, tre giorni prima del 17° compleanno, l’australiana Jessica Watson era entrata nel porto di Sidney, da dove era partita alla metà di ottobre 2009, completando il giro del mondo a vela senza fermate e senza assistenza in soli 210 giorni. Un’impresa, sia detto, preparata e gestita con il pieno appoggio della famiglia. E intanto è già numerosa la fila di quelli che vorrebbero strapparle il titolo. Tra di loro c’è anche la quattordicenne olandese Laura Dekker. Qualunque cosa si pensi di queste sfide a se stessi e alla Natura, di certo esprimono coraggio, determinazione, fiducia nei propri mezzi, progettualità. Ed esprimono anche ambienti familiari inclini a lasciare che i figli si mettano alla prova già prima di uscire dall’adolescenza, pur seguendoli con affetto e attenzione. Tutt’altra aria di quella che si respira dalle nostre parti. La domanda è inevitabile: chi ha davvero ragione, gli “spericolati” genitori dell’altra parte del mondo, o quelli di casa nostra, che alla fine fabbricano bamboccioni? Una via di mezzo è davvero impossibile?

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MONDO CSI

A Copacabana lo street soccer dei “senzatetto” In Brasile, nella Homeless World Cup, chiude al 20° posto la Nazionale italiana, composta anche da quattro calciatori del Csi L’Aquila. di Danilo Vico

Rio de Janeiro da 18 al 26 settembre 2010 si è svolta l’ottava edizione della HOMELESS WORLD CUP, il torneo mondiale che attraverso lo “street soccer” (una sorta di calcio a 4 con le sponde) cerca di aiutare le persone senza dimora a cambiare vita. Tutte le partite si sono svolte su due campi allestiti a Copacabana beach di Rio de Janeiro con una notevole cornice di pubblico tipico del calore a dell’esuberanza del popolo Carioca. L’edizione 2010 ha visto impegnati otre 700 atleti in rappresentanza di 54 Nazioni provenienti dai 5 continenti. Il “Patron”, lo scozzese Mel Young, ha dichiarato che i senzatetto nel mondo sono circa un miliardo e la necessità di trovare una soluzione a questo problema sociale non è mai stato così grande. Quest’anno per la prima volta era prevista anche la partecipazione delle squadre femminili. Nelle file della Nazionale Italiana Homeless erano presenti anche 4 atleti del CSI dell’Aquila selezionati dal tecnico Roberto Arena. In qualità di atleti e dopo un ritiro di 6 giorni che si è tenuto a Torino sono partiti per Rio de Janeiro: Pietro Colicchia, Antonio Di Berardino, Roberto Di Stefano, ed Alfredo Navarra. “L’esperienza di questo Mondiale in qualità di capitano della Nazionale

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resterà indelebile nei miei ricordi” racconta Roberto Di Stefano, già presidente del comitato Csi aquilano “alla notizia della convocazione per la Nazionale Homeless non credevo che l’esperienza risultasse così significativa. È difficile descrivere l’atmosfera che si respira nel partecipare a tale evento, dove lo sport resta al servizio della persona e dove ognuno può sentirsi protagonista. Un Mondiale in cui le partite erano veri e propri “incontri” e non come spesso avviene degli “scontri”. Seppur dai toni agonistici elevati, sono state gare dal sapore diverso, giocate nel massimo rispetto dei compagni, dell’avversario, delle regole e dell’arbitro. Tutto il mondo del calcio avrebbe molto da imparare da questo evento”. “Noi aquilani senzatetto “momentanei” ha detto Alfredo Navarra “siamo stati accolti in questa Nazionale con un grande spirito di solidarietà da parte degli altri giocatori provenienti da realtà molto difficili con alle spalle una vita di privazioni e sacrifici. La loro umanità e generosità mi hanno oltremodo stupito e nonostante avessimo molto poco in

comune sembrava di essere fin dall’inizio in una grande famiglia”. Questa World Cup, visto il grande richiamo mediatico e la partecipazione di numerosi big della scena sportiva mondiale, ha soprattutto lo scopo di dare per una volta visibilità a quel numeroso popolo degli “invisibili” troppo spesso dimenticati se non emarginati… La Nazionale Italiana quest’anno non ha avuto un percorso esaltante, ma comunque arrivando 20esima ha migliorato di 5 posizioni rispetto alla scorsa edizione, disputata in Italia, a Milano. L’edizione del 2011 si svolgerà a Parigi ma già da subito è partita la macchina organizzativa per la selezione della futura nazionale.



LA 46ª SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI

Educare per crescere Reggio Calabria ha accolto, dal 14 al 17 ottobre, la 46ma Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Tema all’ordine del giorno: “Cattolici nell’Italia di oggi. Un’agenda di speranza per il futuro del Paese”. In primo piano nei lavori la questione educativa, con alcune conclusioni che riguardano da vicino anche il CSI.

di Andrea De Pascalis

ll’appuntamento di Reggio oltre 1200 i delegati provenienti da tutte le 227 diocesi italiane - si è arrivati dopo un lungo e diffuso lavoro preparatorio, che ha coinvolto molta parte del mondo cattolico italiano, lasciando comunque aperti al dibattito in Calabria due interrogativi centrali: Cosa può signi-

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ficare oggi, in Italia, per i cattolici e per la Chiesa tutta, servire il bene comune? E da dove è realisticamente possibile cominciare a servire il bene comune del Paese in questa stagione nuova e tanto difficile? Nello sforzo di rispondere alle due domande un posto centrale è stato assegnato alla questione educativa. Il

bene comune – ha ricordato nella sua prolusione mons. Arrigo Miglio, presidente del comitato scientifico e organizzatore dell’evento – «non è uno dei contenuti possibili dell’opera educativa, ma è l’obiettivo primario vero e proprio. Le potenzialità che ogni essere umano ha in sé vanno tirate fuori per consentirgli di partecipare


LA 46ª SETTIMANA SOCIALE DEI CATTOLICI

responsabilmente e positivamente alla vita della comunità umana». In coerenza con tale impostazione, la 46a Settimana sociale ha riservato una delle sue sessioni tematiche alla questione educativa. Nelle sue conclusioni una chiamata alla corresponsabilità dell’associazionismo cattolico, un appello che non può non trovare d’accordo il CSI, che dell’educazione attraverso lo sport ha sempre fatto la sua bandiera di associazione ecclesiale e che oggi più che mai è convinto che lo sport sia uno strumento importantissimo per vincere la sfida educativa. Oltre alla conferma di questa mission, dai lavori di Reggio sono arrivati anche alcuni input che interpellano la natura e il cammino della nostra associazione. Eccone alcuni: • avere come primo obiettivo educativo la formazione di una nuova gene-

razione di laici cattolici disposti a mettersi al servizio del paese; • alimentare la propria specificità di azione con la ricchezza che deriva dalla coscienza cristiana, dalla capacità di discernimento che essa ispira; • fare crescere la cultura della legalità, della partecipazione, dell’accoglienza; • lavorare nel segno della solidarietà e della sussidiarietà per “curare” la parte debole o malata del paese, avendo a cuore la crescita del Mezzogiorno e uno sviluppo più armonico dell’intera nazione; • incrementare le occasioni di incontro e rafforzare la cooperazione tra associazioni ecclesiali; • sapersi proporre, in quanto educatori cattolici, come persone solide, credibili, autorevoli, significative, perché solo così si diventa riferimento concreto e incisivo sia per i ragazzi sia per gli altri adulti.

Questo elenco di sollecitazioni, che potrebbe essere esteso ulteriormente, tratta tematiche che sono già entrate da qualche tempo nel dibattito interno al CSI, sia pure senza essere discusse a fondo e senza avere ancora trovato risposte operative convincenti. Che facciano parte dell’agenda della speranza disegnata dalla 46a Settimana sociale costituisce conferma che si tratta di questioni fondamentali, che perciò vanno inserite in un’altra “agenda”, quella che il CSI ha in preparazione per sviluppare il proprio “Decennio culturale”, un percorso di riflessione che, dal 2011 al 2020, investirà l’intera associazione per raccogliere gli elementi necessari ad agire nella società e nella Chiesa in modo più incisivo e coerente con le difficoltà di quest’inizio di XXI secolo.

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OSSERVATORIO

L’approccio degli italiani alla disabilità

Tra invisibilità e solidarietà A.D.P.

nche se la quota di popolazione con disabilità risulta pari al 6,7% del totale, contando circa 4,1 milioni di persone, il mondo della disabilità rimane per gli italiani un territorio poco conosciuto, o meglio percepito in modo nebuloso o distorto. È quanto emerge dalla ricerca “La disabilità oltre l’invisibilità istituzionale”, presentata da Censis e Fon da zione Serono il 20 ottobre. La disabilità viene identificata con la sua manifestazione più visibile, l’invalidità motoria, la costrizione su una sedia a rotelle, mentre molto meno si è consapevoli delle disabilità intellettive e sensoriali (deficit di vista e di udito). Ne deriva una distorsione di prospet-

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tiva: il disabile è pensato soprattutto come adulto vittima di incidente o come anziano colpito da malattia, sottostimando o ignorando la disabilità di bambini e adolescenti, che in maggior grado è costituita da deficit intellettivo. Questa tendenza alla “invisibilità” parziale del disabile intellettivo e sensoriale non caratterizza solo il normale cittadino, ma anche le istituzioni e i loro interventi nel campo delle politiche sociali. Eppure non si può dire che gli italiani siano insensibili di fronte al dramma della disabilità, che in loro suscita in primo luogo il sentimento di istintiva solidarietà (il 91,3% degli intervistati), desiderio di rendersi utili (82,7%), ammirazione per la forza di volontà e la determina-

zione dimostrate dai disabili (85,9%). Il contatto con il disabile, però, rimane difficile per molti. Ad incidere non è tanto la paura per la diversità dell’altro, quanto il doversi specchiare nella sofferenza altrui concependo il timore che quella sofferenza domani possa toccare anche a noi. È un atteggiamento che si inserisce nel quadro più ampio riguardante la rimozione del dolore nella società contemporanea: la povertà, la malattia, la vecchiaia, la morte sono cose che, pur avendone coscienza, preferiamo nascondere a noi stessi, non averle sotto gli occhi, relegandole in luoghi specifici “separati”, lontani, lasciando che siano altri ad occuparsene.


FOCUS Giovani a rischio

Minori scomparsi: un fenomeno in crescita Il numero dei minori che scompaiono nel nulla è in aumento anche in Italia. La categoria a maggior rischio è costituita dai minori stranieri non accompagnati, spesso risucchiati e “gestiti” dalla criminalità organizzata. Per contrastare il fenomeno Telefono Azzurro e Save the Children chiedono l’impegno cooperativo di tutto l’associazionismo sociale.

di Andrea De Pascalis

l Convegno “La scomparsa dei minori nell’esperienza nazionale e internazionale”, promosso a Roma da Telefono Azzurro il 18 ottobre, ha riportato all’attenzione generale il fenomeno drammatico della scomparsa dei minori. In Europa, si registrano quasi 10.000 casi l’anno. Molti di loro riescono a tornare alle loro case e alle loro vite solo dopo molto tempo. Di altri, purtroppo, non si hanno più notizie. Si tratta di un fenomeno in preoccupante crescita, come dimostrano i dati forniti da Missing Children Europe. Nell’81% dei casi la motivazione della scomparsa è la fuga da casa o da istituto, con una particolare incidenza del fenomeno tra i minori stranieri. In Italia la percentuale scende un bel po’: la fuga volontaria riguarda “appena” il 63% dei casi. “Fuggire da casa – ha spiegato il prof. Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro - può essere espressione di un disagio psichico o relazionale, con vari livelli di gravità: difficoltà relazionali intrafamiliari, abusi psicologici, fisici o sessuali. In tal caso, fuggire da casa, per un bambino o per un adolescente, significa reagire ad una situazione insostenibile”. Cosa fare? “Le situazioni di scomparsa – ha risposto Caffo - non possono

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essere gestite solo con interventi a posteriori: è necessario, invece, focalizzare l’attenzione sulla prevenzione dei fenomeni della scomparsa e dell’abuso, coinvolgendo i ragazzi stessi, le famiglie, le agenzie educative e l’intera società”. Istituzioni, Forze dell’Ordine, mondo associativo, media e società civile sono chiamati oggi a condividere la responsabilità di un intervento sinergico per la prevenzione e la gestione dei casi di

scomparsa, che troppo spesso si risolvono in episodi di violenza e abuso. In Italia, approdo tra i più frequentati dall’immigrazione clandestina, va assumendo dimensioni importanti proprio il fenomeno della scomparsa dei minori stranieri non accompagnati (MSNA), in parallelo con l’aumento del numero di arrivi di questa categoria di immigrati, dovuto a: 1. l’allargarsi dell’Unione Europea, che allarga i chilometri di confini “permeabi37


FOCUS

I MINORI STRANIERI A RISCHIO CRIMINALITÀ • 14.689 le vittime di tratta inserite nei progetti art. 18 fra il 2000 e il 2008 • 986 i minori di 18 anni vittime di tratta fra il 2000 e il 2008 • 163 le vittime per sfruttamento lavorativo dal 2007 al 2008 • 5.075 gli indagati fra il 2004 e il 2009 per art. 600 c.p. (riduzione o mantenimento in schiavitù) e art. 601 c.p. (tratta di persone) • 227 i minori vittime di tratta o riduzione e mantenimento in schiavitù fra il 2004 e il 2009 (fonte: Save the Children Italia)

li” e consente, una volta entrati, la libera circolazione dei soggetti; 2. gli interessi delle mafie che gestiscono la tratta dei clandestini, alle quali conviene più il trasporto di minori di quello degli adulti (il minore è più facilmente ricattabile per ottenere il saldo del prezzo di trasporto, e le stesse famiglie di origine sono più ricattabili nel timore di rappresaglie sul minore). Il destino prevalente dei MSNA che scompaiono nel nostro paese è finire coinvolti in attività illegali: prostituzione, furti, scippi, spaccio di sostanze stupefacenti. Vittime preferite sono i minori di 14 anni, perché se fermati dalla Forze dell’ordine non sono perseguibili penalmente. Oggi questi minori talvolta non hanno molte alternative, perché sanno di avere un debito da pagare ai criminali per il viaggio, vengono rintracciati facilmente 38

da questi e costretti alle attività illegali con le minacce. Tra i fattori di rischio di entrata nella criminalità vi sono - oltre la giovane età, la mancanza di reti amicali del paese di origine (connazionali amici), l’ammontare dell’eventuale debito con i trafficanti di esseri umani - alcuni sui quali si può intervenire: la scarsa o nessuna conoscenza della lingua; la scarsa o nessuna conoscenza delle leggi e della società italiane; la scarsa o nessuna conoscenza del complesso dei servizi di cui possono fruire e dei diritti di cui sono titolari; le condizioni di salute precarie, che limitano la capacità di orientarsi e inserirsi. Sono fattori superabili con una efficace rete di informazione e di supporto, gestita da operatori che abbiano una qualche familiarità con le culture dei paesi di origine dei minori migranti (e che quindi siano specificamente formati). È la ricetta suggerita da tutte le associazioni specializzate, da Telefono Azzurro a Save the Children Italia, che proprio per questo motivo chiedono che tutto il mondo dell’associazionismo sociale impegnato nel mondo giovanile cooperi lavorando in rete.


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