Presidenza Nazionale
Benvenuto don Alessio
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Il CSI apre ad Haiti
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è l’Atiletica dei record
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Impossibile? domandalo a loro...
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Il magazine di chi ama lo sport pulito
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CSI SEMPRE PIù IN ALTO Primo Piano L’impatto dello sport nei quartieri a rischio
Anno della Fede Sport Gate: una porta per la fede
Dossier Lo sport di base oltre la crisi
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PAROLA DI PRESIDENTE
Massimo Achini Presidente nazionale CSI
Dalla stratosfera ai ragazzi uno sport che pensa in grande
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elix Baumgartner ha portato a termine felicemente il suo temerario progetto di buttarsi giù da 39.000 metri a corpo libero, un’impresa in cui sono fuse le ragioni della voglia di record, dei profitti da sponsor e della ricerca scientifica. Ripiegato il paracadute, si potrebbe ancora discutere se mettere palesemente a forte rischio la propria vita per le ragioni suddette abbia il diritto di definirsi impresa sportiva. Il dubbio si alimenta dalla difficoltà di dare una definizione attuale di sport e di attribuirgli un senso nel mondo presente. Spettacolo? Divertimento? Ricerca del limite? Voglia di benessere psico-fisico? Nell’attesa che i filosofi dello sport rispondano a domande del genere, per il CSI resta valido un altro punto di vista: lo sport è tale se mette al centro dei suoi interessi la persona, ne rispetta il corpo e la mente evitando di metterli a rischio, anzi cerca di migliorarne le condizioni, e trova il suo senso nel mettersi al servizio della persona e della società. È uno sport che pensa in grande, che si cimenta in un compito altrettanto notevole che buttarsi dalla stratosfera. Un proverbio cinese di duemila e più anni fa afferma: «Quando pianti per un anno, pianta grano. Quanto pianti per un decennio, pianta alberi. Quando pianti per la vita coltiva e educa persone». La nostra associazione si dedica da sempre a questa speciale “agricoltura”, proponendosi di educare i ragazzi e i giovani alla vita e per la vita. Oggi però questa scelta impone responsabilità nuove e più urgenti. Roba davvero da record. Nel nostro paese alla crisi economica e finanziaria che ha investito gran parte del mondo, si aggiunge dell’altro, un vuoto etico e politico-istituzionale la cui evoluzione resta un rebus. L’incertezza del futuro assedia soprattutto i giovani, aggravando la fragilità della loro condizione. È un brutto segnale, ad esempio, che un numero crescente di essi sia così sfiduciato da non provare nemmeno a cercarsi un lavoro, sentendosi esclusi a priori dal mondo che li circonda. In una condizione di tale precarietà, in uno scenario così mobile e dalle dinamiche così indecifrabili, dobbiamo tuttavia cercare – come raccomanda il proverbio cinese – di “piantare” per la vita, e non limitarci a mettere qualche argine ai malesseri del momento. Dobbiamo riuscire a conciliare la pretesa di dare basi salde ai ragazzi con l’incertezza che caratterizza non solo la loro vita ma anche il quadro sociale in cui siamo inseriti. Nell’epoca della società liquido-moderna, dove tutto cambia rapidamente e più nulla è fatto per durare, l’impegno continua ad essere lavorare a un progetto di “costruzione della persona” a lungo termine. Ecco spiegato, in grande sintesi, perché il CSI abbia scelto come tema di impegno per il prossimo quadriennio “Giocare per credere”. Non uno slogan, non una “campagna” ma una responsabilità che intendiamo rispettare. Dentro quel “Giocare per Credere” ci sono tanti significati e tante chiavi di lettura. Giocare per credere che lo sport sia davvero occasione per incontrare il Vangelo e la Fede; per credere nell’educazione dei ragazzi e dei giovani; per credere di testimoniare - attraverso un pallone - i veri valori della vita; per credere di essere speranza nella società e nel mondo di oggi. 1
SOMMARIO Il magazine di chi ama lo sport pulito
C E N T R O S P O R T I V O I TA L I A N O 1 PAROLA DI PRESIDENTE Dalla stratosfera ai ragazzi, uno sport che pensa in grande 3 ANGELI E DEMONI Ludopatia... il gioco, senza cuore e passione 4 CHIESA & SPORT Benvenuto don Alessio 5 PRIMO PIANO L’impatto dello sport nei quartieri a rischio 8 PIXEL Notizie dalla periferia 9 L’INTERVISTA Oro in oratorio 13 EVERY ONE Every one in viaggio per la vita
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18 DOSSIER Lo sport di base oltre la crisi
34 PROGETTI Adotta una squadra
36 ATTIVITà INTERNAZIONALE Il CSI apre ad Haiti 24 FOTOGALLERY Trenta scudetti da sogno 39 GPN ATLETICA LEGGERA è l’atletica dei record 26 ATTUALITà Nel cuore 42 GPN CICLISMO dei risvegli Le due ruote CSI si fanno in 4 28 ANNO DELLA FEDE Sport Gate: una porta 44 DANONE NATIONS CUP per la fede Credi nei tuoi sogni! 30 pagine di storia 46 GIORNATA PARALIMPICA Cento anni fa Impossibile? domandalo a loro... 31 FAIR PLAY MECENATE Un modello per i giovani 48 ASSISI 33 MUSEO DEL CALCIO Un pomeriggio troppo azzurro
Mensile del Centro Sportivo Italiano Direttore responsabile Claudio Paganini - claudio.paganini@csi-net.it Editore Centro Sportivo Italiano Via della Conciliazione, 1 - 00193 Roma Iscrizione al Tribunale Civile di Roma n. 118/2011 Redazione: stampa@csi-net.it Tel. 06 68404592/93 - Fax 06 68802940 Hanno collaborato a questo numero: Massimo Achini, Felice Alborghetti, Nanni Basso, Andrea De Pascalis, Claudio Paganini, Valentina Piazza, Marcello Sala, Angela Teja, Danilo Vico. Foto: Daniele La Monaca Impaginazione: Gianluca Capponi Stampa: Varigrafica Alto Lazio Via Cassia, km 36,300 Zona Industriale Settevene - 01036 Nepi (VT) Poste Italiane SPA - Spedizione in abbonamento postale -70% - DCB Roma Periodico associato all’USPI (Unione Stampa Periodica Italiana)
ANGELI & DEMONI
mons. Claudio Paganini Consulente Ecclesiastico Nazionale CSI
Ludopatia... il gioco, senza cuore e passione
“N
elle prossime settimane si rivisiteranno i livelli essenziali di assistenza e la ludopatia sarà inserita nell’elenco delle patologie”. L’affermazione è del Ministro della Salute Balduzzi. Alla fine, dopo anni di inchieste e articoli sui giornali, di suicidi e denunce, di famiglie distrutte dai debiti, si è riconosciuto che la dipendenza da gioco è una malattia. E come tale va curata. Certo, “negli Stati Uniti è così da trent’anni e in Italia ancora no” continua il ministro, ed è bene che “anche da noi ci sia prevenzione e assistenza con un rafforzo dei servizi nelle Asl”. La ludopatia, o gioco d’azzardo patologico (GAP), è una vera e propria patologia, una dipendenza che, stando ai dati forniti dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), coinvolge il 3% della popolazione adulta, circa un milione e mezzo di italiani. Come tutti gli interventi sulla malattia, si cercherà di definire cause e conseguenze e, se possibile, di mettere un argine al fenomeno attraverso cure specifiche. Indubbiamente è una conquista sociale che mira a correggere un grave disturbo del comportamento umano. Meno conseguenze sulla vita sociale del singolo e molte famiglie sostenute da aiuti concreti.
Quale angelo custode non sarebbe lieto di constatare una maggior attenzione per il proprio assistito? Ma anche qualche diavoletto si agita, insoddisfatto. Possibile che il gioco sia associato solo ad una causa di malattia anziché ad una causa di felicità e di guarigione? Certo, perché il gioco, pur abbondando di patologie e degenerazioni (i mali evidenziati dal calcioscommesse parlano da soli!) è anzitutto vita felice, crescita guidata, educazione riconosciuta. Meglio sarebbe promuovere, almeno
Come dire che il pane fa ingrassare senza ricordare che il pane fa soprattutto crescere! idealmente con spot e dibattiti, i tanti valori positivi e terapeutici presenti nel “ludus”, nel gioco della vita, piuttosto che riempire i dibattitti di negatività. Ma quando stamperanno un giornale delle sole buone notizie? E quando si promuoverà il gioco per guarire? Già avviene nei centri di oncologia pediatrica per rafforzare il farmaco chimico col farmaco del sorriso e del gioco; ma anche negli ospeda-
li, nelle scuole dell’infanzia e nelle primarie, nei collegi e negli oratori, il gioco è vissuto come valore. Pedagogisti internazionali come la Montessori, le Agazzi, Frobel, Baden Powell, raccontano fin dal 1800 del gioco quale strumento per educare e far crescere. E noi riempiamo le pagine per dire che il gioco è solo una malattia? Parlare di ludopatia senza mai aver investito in ludoterapia è un po’ come dire che il pane fa ingrassare senza ricordare che il pane fa soprattutto crescere! Pensiamo, altro esempio, anche alla vita nelle comunità. Non ci sono solo le note comunità di recupero per tossicodipendenti in cui si vive con gli altri per guarire dalla malattia. Ci sono anche le comunità in cui le persone vivono insieme per essere accudite (anziani) per formarsi (scuole e collegi) per giocare (spogliatoi e campi) per scegliere il proprio futuro (seminari e conventi). In tutti questi casi è il cuore, la passione, l’orizzonte di vita - non la devianza! – a dare senso alla scelta. Chiedere che il gioco si riprenda il cuore e la passione per la vita, anziché solo la patologia, è cercare di mettere un pò di ordine nei valori e nelle priorità della vita. Del resto, una vita senza gioco e sorriso è proprio triste. 3
CHIESA & SPORT
Benvenuto don Alessio
Nuove nomine CEI
Don Alessio Albertini è il nuovo consulente ecclesiastico nazionale del CSI. La sua nomina per il triennio 2012/2015, ad opera del Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana.
I
l primo pensiero, forse anche il secondo, che mi è venuto dopo la nomina a nuovo Consulente Ecclesiastico Nazionale del Csi è stato: “Non ci posso credere!”. Non tanto in riferimento alla sorpresa quanto al ricordo di quando, ancora bambino, ho cominciato a giocare a calcio sul campetto del mio oratorio. Il mio papà era l’allenatore e la mia mamma l’addetta alle iscrizioni e al pagamento delle multe presso la sede del CSI di Milano. Così è iniziata la mia carriera calcistica, che poi si è fermata presto per l’ingresso in Seminario. Mai avrei immaginato che un giorno mi sarebbe stato chiesto di continuare a vivere l’esperienza Csi in un’altra veste, da prete e al servizio di una realtà così ricca e distribuita lungo tutto lo Stivale, isole comprese. Per me è un invito a “credere” soprattutto nelle tante persone che abitano l’associazione e che da tanto tempo offrono il loro prezioso servizio. Resto affascinato dalla loro capacità di credere nel grande valore educativo dello sport, quale avamposto per tanti giovani che sentono di potere crescere e maturare anche attraverso l’attività sportiva. Tante persone ho già avuto la fortuna di conoscere e tante, ne sono sicuro, le incontrerò presto. Insieme, come comunità cristiana, crediamo in una missionarietà che si fa vicinanza, amicizia, sostegno ma anche coscienza critica. Ringrazio soprattutto della fraternità vissuta con don Claudio e della preziosa eredità che mi lascia. Cerco di raccogliere il testimone per continuare a camminare con voi e con lui verso le sfide che ci attendono. Una fra tutte, è quella di “credere” che ogni atleta, ogni allenatore, ogni dirigente, ogni uomo è chiamato ad andare oltre, a varcare la porta del mistero per un di più che l’attende. Lo sportivo non si accontenta del minimo ma del meglio. Tra pochi giorni si aprirà l’Anno della Fede e anche noi siamo chiamati a rimettere in gioco tutte le nostre energie migliori per riscoprire da dove è nato il nostro servizio e la nostra passione educativa: da un Signore che vuole per ciascuno dei suoi figli una vita bella, buona e felice. Per ora un semplice saluto al Presidente Achini, a tutto il Consiglio Nazionale del CSI e a ciascuno di voi…adesso si comincia, meglio: si continua!
Don Mario Lusek confermato alla guida dell’Ufficio Sport, Cei. Mons. Mario Lusek è stato confermato quale direttore dell’Ufficio sport, turismo e tempo libero della Cei per il 2012/2015 e ciò è motivo di gioia e di soddisfazione per il Csi. Da sempre vicino alla vita ciessina, don Mario ha accompagnato quotidianamente il cammino dell’associazione costituendo un punto di riferimento prezioso e indispensabile.
don Alessio
Don Michele Falabretti dal Csi Bergamo alla Pastorale Giovanile. Don Michele Falabretti, 44enne consulente ecclesiastico del Csi Bergamo, è stato nominato dalla Cei responsabile del Servizio nazionale per la pastorale giovanile. Succede a don Nicolò Anselmi, nell’ufficio che lo vedrà impegnato, tra l’altro, a coordinare e animare iniziative per tutti i giovani delle diocesi italiane. Prima fra tutte la prossima Giornata mondiale della gioventù, in programma in Brasile nel 2013, grande appuntamento per i giovani italiani e di tutto il mondo.
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PRIMO PIANO
L’impatto dello sport nei quartieri a rischio Una ricerca condotta in Francia sull’effetto delle attività sportive sulla vita dei quartieri popolari delle periferie metropolitane. Le banlieues come laboratori per definire limiti e problematiche di questo tipo di intervento. Sul tavolo la proposta di un “patto civico per lo sport”.
di Andrea De Pascalis
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PRIMO PIANO
Q
uanto possiamo credere nello sport come strumento di intervento per curare, o almeno mitigare, le molte “ferite” dei quartieri a rischio, delle periferie sempre più pericolose delle metropoli, dove entrano in contatto - e spesso in conflitto - vecchie e nuove povertà? In teoria - una teoria comunemente accettata - lo sport sarebbe uno strumento più che valido in questo campo, capace finanche di rimediare o mitigare i “buchi” di politiche sociali pubbliche deficitarie. Ma nella prassi, come funzionano le cose? Alla domanda ha tentato di rispondere in Francia un’indagine accurata dell’APELS (Agence Pour l’Education par Le Sport), che ha messo sotto lente di ingrandimento, con una ricerca-intervento, l’impatto effettivo dello sport sulla vita delle banlieues e dei loro ragazzi.
Il quadro di insieme Nelle periferie prese in esame si è riscontrata la presenza di differenti tipi di società sportive, la maggior parte dei quali non si preoccupa delle difficoltà sociali degli abitanti. La presenza più cospicua è delle società sportive tradizionali, che hanno come fine principale la competizione e come riferimento il campione e la performance, e che fanno una netta distinzione tra il fine dell’eccellenza sportiva e i bisogni del territorio. Come in Italia, una seconda tipologia è quella della società sportiva “militante”, guidata da un’ideologia diversa, per la quale lo sport non è selezione ed è una risorsa messa a disposizione dei giovani affinché possano “vincere” nella vita. Si va aggiungendo la società sportiva di “impresa”, votata al profit, che pure cerca il contatto della popolazione ma solo per questioni di immagine o per incrementare l’adesione di simpatizzanti (esempio: attività sociali o di beneficenza di club pro). Il legame tra società sportiva di quartiere e territorio soffre del fatto che dirigenti e operatori spesso vengono da quartieri lontani, e ciò limita il loro profondo coinvolgimento nelle problematiche locali. Un altro limite è stato riscontrato nella passività degli abitanti del quartiere circa la progettazione degli interventi. Che nasca da apatia o sfiducia, ciò rende meno incisiva l’azione dei club sportivi. 6
Infine, e il problema è noto anche allo sport italiano, c’è la questione del deficit di rinnovamento dei dirigenti volontari. Oltre che numerico-funzionale (sostituire chi esce), il problema è culturale: fare innovazione sociale nelle società sportive è più facile se c’è un ricambio di operatori che assicuri nuove idee e nuove prassi.
Risultati dell’intervento La fase “intervento” del lavoro dell’APELS era finalizzata a provocare modifiche nell’operato delle società sportive nelle periferie “sensibili” in modo da rafforzarne le ricadute sociali.
L’esito è stato scoraggiante per quanto riguarda le società votate alla competizione: «I cambiamenti constatati, ovvero il cammino percorso per passare da una struttura esclusivamente competitiva a luogo di integrazione e di educazione, sono stati minimi. I club tradizionali, soprattutto di calcio, hanno difficoltà a integrare logiche di accompagnamento sociale ed educativo: non è né la loro vocazione né la loro attenzione». Una specifica politica di stimolo dell’attenzione sociale ha giovato invece alle altre società sportive, che hanno scoperto ulteriori assi di intervento, aprendosi ad
PRIMO PIANO
esempio a progetti di educazione alla salute e di partenariato con le strutture di quartiere. La conclusione ha luci ed ombre. La sperimentazione ha mostrato che le altre società sportive possono effettivamente trasformarsi in luoghi di integrazione e di educazione per i giovani delle zone urbane sensibili. L’impatto riscontrato dall’APELS è però modesto, anche per il limitato numero di utenti che si è riusciti a raggiungere nelle banlieu. Il risultato migliore riscontrato è l’alto potenziale di mobilitazione della comunità che si solleva intorno a questo tipo di intervento, la capacità di risvegliare l’energia positiva di strutture e territorio, di suscitare dibattito e aperture. In definitiva, gli interventi di sport sociale nei quartieri problematici sono più un’occasione da sfruttare che una medicina che guarisce.
Alcuni suggerimenti Cosa si può fare per migliorare i risultati? L’efficacia dell’intervento e il perdurare dei suoi esiti, afferma l’APELS, crescono con la capacità di costruire un sistema che poggi su cinque elementi fondamentali: • una presa di distanza dall’ideologia sportiva tradizionale, che si nutre della cultura dei record, dei campioni, della mitologia della purezza dello sport e degli sportivi, della capacità educativa “insita”...; • la presa in carico dell’utente sportivo come persona considerata nella sua globalità; • l’integrazione di una dinamica di innovazione all’interno di una politica volta alla ricognizione degli effettivi bisogni del territorio; • la mobilitazione di attori del giusto mezzo, ovvero di operatori equilibrati, capaci di mediare tra problemi e risorse, tra spinte ideali e pragmatismo; • l’elaborazione di una rete territoriale per una più ampia mobilitazione a favore dell’innovazione sociale. Va chiarito l’equivoco di fondo: essere (e sentirsi) prevalentemente società sportiva o comunità di quartiere. Senza cadere nell’eccesso di integralismo di quel dirigente francese di club sportivo che agli
autori della ricerca si è detto convinto che “O si fa intervento sociale o si fa sport”, va presa coscienza che una differenza tra le due opzioni esiste e che ha alcune ricadute non solo in termini di scelte programmatiche, non fosse altro perché nei due casi sono diversi gli interlocutori di riferimento. La società sportiva votata al sociale avrà come riferimento e compagni di viaggio (e di progettualità) le amministrazioni locali, cui interessano le ricadute sociali delle attività, mentre i club votati all’agonismo si riferiranno alle federazioni sportive cui interessano (anche per definire gli stanziamenti) soprattutto
il numero dei tesserati e i risultati conseguiti. Dall’APELS giunge anche una proposta più concreta indirizzata ai vari attori sportivi di ciascun territorio: arrivare a un “patto civico per lo sport”, una specie di “contratto sociale” che definisca le modalità di impegno individuale e collettivo, gli attori dell’intervento (amministrazioni pubbliche, dirigenti di società sportiva, docenti scolastici...), nonché le procedure da valorizzare, le priorità educative, i soggetti da coinvolgere. Come dire: tutti insieme per uno sport che trasformi davvero i quartieri sensibili. 7
PIXEL
Unicredit Cup: gol da Champions League. Milano, Torino, Bologna, Palermo, Napoli, Roma. Sono le piazze italiane dove si è svolta ai primi di autunno l’Unicredit Cup, torneo di calcio a 5 giovanile, organizzato da Unicredit con la partnership tecnica del Csi. Il torneo all’interno dell’Uefa Champions League Trophy Tour, ha visto in ogni città un tabellone-gare con 32 formazioni in campo. Il tour per molti appassionati di calcio è stata l’occasione per immortalare il celebre trofeo della Coppa dalle grandi orecchie.
La Chiesa dà scaccomatto a “Satana” Il numero uno dei Re-verendo scacchisti si chiama Marcello Bonforte, della parrocchia del Sacro Cuore in Chieti, Diocesi di Chieti-Vasto. è lui il frate originario della bergamasca che il 7 ottobre scorso ha conquistato a Roma il titolo della Clericus Chess, il Mondiale di scacchi riservato ai religiosi, sostenuto dal Csi, che ha decine di consacrati impegnati per due giorni sulle scacchiere. Sul podio si sono piazzati Darius Drazek, un prete polacco, e il frate filippino Sulit Froilan. Il quarto posto è andato al polacco Darius Kovalcik. Quinto e sesto posto altri due italiani: il campione uscente, il napoletano Valerio Piro e il padre missionario abruzzese Gennaro Cicchese, docente alla Lateranense. Questi ultimi due medagliati in tandem - nota curiosa– nella Galleria Sordi, teatro dell’evento, hanno quindi liquidato in 5 minuti “Satana” il diabolico programma ideato da Stefano Gemma, partecipante al campionato internazionale di software scacchistici (3° Italian Open Chess Software Cup). All’interno della tre giorni di gioco della manifestazione c’è stata inoltre la presentazione dell’’innovativo manuale “A scuola con i Re” a cura dello psicologo Giuseppe Sgrò e la partita simultanea del Grande Maestro Lexy Ortega che ne ha persa una, vincendo tutte le altre. San Lorenzo a Cava. Ecco le stelle della corsa su strada. Il 30 settembre Cava de’ Tirreni ha visto disputarsi la 51ª “Podistica Internazionale S. Lorenzo”, valida nel 2012 come “Gran Premio Nazionale Csi di Podismo su strada”. In gara insieme ai tanti atleti provenienti da dieci paesi di 3 continenti, una cinquantina di atleti Csi, provenienti dalla Sardegna, Sicilia, Calabria e Lombardia. Il 27enne kenyano William Kibor ha vinto impiegando poco più di 20 minuti per correre i 7,8 km della corsa su strada metelliana. Il “Gran premio nazionale Csi” è andato tra gli uomini ad Alberto Doriore del G.S. Indomita - Messina (classe 1991, 17° assoluto al traguardo) e tra le donne a Cinzia Zugnoni del G.S. Csi Morbegno - Sondrio (classe 1970, 4ª assoluta). Da segnalare la partecipazione di 2 atleti non vedenti, che hanno gareggiato “assistiti” dai rispettivi accompagnatori.
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ICS – CSI: 30 milioni per l’impiantistica sportiva. Il Centro Sportivo Italiano ha recentemente sottoscritto una convenzione con l’Istituto di Credito Sportivo per favorire lo sviluppo della pratica sportiva. L’Ics, nel limite della somma complessiva di trenta milioni di euro, si impegna a concedere mutui, inseriti nel piano sul territorio nazionale predisposto dal Csi, in favore delle società sportive del Csi che intendano procedere alla costruzione, ampliamento, miglioramento, attrezzatura, ristrutturazione, completamento, efficientamento energetico e messa a norma di impianti sportivi, compresa anche l’acquisizione delle relative aree e l’acquisto di immobili. I mutui avranno di norma una durata massima di vent’anni e saranno accordati a tassi d’interesse determinato con le modalità previste nel piano dei tassi dell’Ics vigente al momento della concessione.
Il cielo è sempre più …“arancioblu”! L’obiettivo era puntato sulla bandiera del Csi, da fotografare nelle località di villeggiatura o di soggiorno. Più di 200 scatti, arrivati da ogni angolo del mondo. Così, i colori arancioblu hanno resistito al freddo del Polo Nord, partecipato alle Olimpiadi londinesi, camminato lungo la Senna, scoperto l’Australia. E ancora fatto battere il cuore dell’Africa e conquistato incredibili vette. Anche il cielo si è tinto di arancioblu, come pure diversi alpeggi dolomitici. Sei gli scatti premiati, nelle diverse categorie, tra cui la più bella (sopra ed in copertina) dal itolo “Csi sempre più in alto” inviata dal comitato di Mantova e dal suo presidente Giancarlo Zanafredi, che ritrae in volo gli amici dell’Asd Per Aria affiliata al Csi virgiliano.
Oro in oratorio Grandissima festa in parrocchia a Torino per il ritorno di Mauro Berruto, coach dell’Italvolley, terzo a Londra 2012. Il tecnico azzurro: “Il fondamentale più importante nella pallavolo? è il motto del San Bernardino: Insieme è più facile” di Felice Alborghetti
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L’INTERVISTA
L’
oro di Mauro Berruto è dentro l’oratorio San Bernardino a Torino. Al coach della Nazionale azzurra di volley, la medaglia l’hanno data loro. Senz’apostrofo, loro, quelli dell’oratorio: i suoi amici, i parroci, le tante squadre del Csi, presenti domenica scorsa sotto rete per festeggiare l’uomo che a Londra ha vestito di bronzo gli azzurri della pallavolo. Strano a dirsi l’Olimpiade non premia da regolamento alcun tecnico. Nessuna medaglia dunque nella sua valigia di emozioni a cinque cerchi e di ricordi british ma “mai come questa volta la medaglia vinta dalla pallavolo italiana credo vada festeggiata”. Ecco il perché di Berruto. “Le precedenti volte le medaglie ottenute sono state vissute come un oro perso. In uno sport mondiale, vincere una medaglia alle Olimpiadi è un’impresa gigantesca. Sicuramente noi a Londra abbiamo vissuto tanti stati d’animo diversi, dal rischio tangibile (sotto 2-0 con l’Australia) di andare a casa nel girone, alla sensazione che forse potevamo giocarci la medaglia d’oro. Io sono felice del risultato e del colore della medaglia. Quella conquistata, e alla fine dei giochi quella giusta”. Una valigia olimpica ha sempre un piccolo spazio per ciò che manca. Sappiamo a cosa mi riferisco. C’è spazio per un oro a Rio? “Quel che manca sono i 4 anni che ho davanti per ripensare e risognare la possibilità di essere a Rio nuovamente protagonisti e di nuovo puntare in alto. In questa edizione abbiamo fatto il nostro meglio. L’impresa con gli Stati Uniti, la sconfitta con il Brasile. Abbiamo imparato tanto. Chiaro che volevamo giocarci l’altra finale, ma non è stato facile – vi assicuro – disputare anche quella per il bronzo al mattino alle 9,30, solamente poche ore dopo la semifinale persa”. L’oro torinese, ricevuto nel suo oratorio di Borgo San Paolo ha acceso il cuore di Berruto. “è stata una festa meravigliosa, una piccola porzione di persone che ti fanno capire di come tu rappresenti alle Olimpiadi anche una piccola comunità, allargata al paese. Alle Olimpiadi con l’Italia si rappresenta se stessi, ma anche la propria famiglia, il gruppo delle persone che ti vogliono bene. è un posto, il mio oratorio, dove ho passato più di 15 anni della mia 10
vita, dove ho conosciuto mia moglie, battezzato mio figlio. Ricordo sempre che il mio primo corso alla polisportiva, da giocatore fu di pallavolo, ma da allenatore fu di pallacanestro, perché il corso di volley era pieno. Tornare a festeggiare una medaglia con loro è stato naturale”. Con Mauro è facile giocare. Palleggio, muro, ricezione, ma il fondamentale più importante è in uno slogan. “Insieme è più facile, che è il motto del nostro oratorio, è scritto nel regolamento: la pallavolo è l’unico sport al mondo che proibisce di controllare la palla. Il passaggio è obbligatorio. Direi dunque: Insieme è per forza. Da soli è proibito pensare
di poter raggiungere qualsiasi obiettivo. Puoi essere il migliore schiacciatore al mondo, ma se non hai vicino uno che riceve per te o che palleggia bene, sei uno spettatore. Tutto questo gioco poi in tempi e spazi ristretti. Il campo da volley è il più piccolo tra quelli degli sport di squadra, si ha la maggiore densità per atleta. Lì l’essere insieme e il muoversi insieme, con la percezione dei propri compagni, cambia tutto”. La differenza la fanno anche qui i dettagli. Non è cosi? “Più i giocatori sono forti, meno sono prevedibili. Sui giocatori medi il lavoro scientifico dei miei assistenti che studia-
L’INTERVISTA
vecchia di due anni l’età Ω di speranza di vita, ogni dieci che ne passano. Per fortuna. Questo paese soffre già oggi di una crisi economica legata al welfare. è evidente che se vogliamo difendere questo sistema in un paese che invecchia vanno trovate soluzioni. Mi ha fatto un po’ arrabbiare leggere tra le proposte del ministro della Sanità, molte legate anche in maniera doverosa a modificare stili di vita per garantire un inferiore ricorso alla Sanità, dimenticandosi però completamente della pratica sportiva. Se questo paese non fa un balzo in avanti nella diffusione della cultura della pratica sportiva, non migliorerà. Lo dico anche pensando alla mia esperienza scandinava”. Perché, come funziona in Finlandia? “La Finlandia ad esempio è un Paese dove la cultura dello sport è quella della pratica sportiva e non dello sport tifato o visto in tv, come un po’ è il nostro. La scuola ha un ruolo decisivo già dalle elementari. Un esempio più vicino è quello
della Slovenia, sesta nel medagliere procapite ai Giochi di Londra (numero di podi rapportati alla popolazione). Lì ogni giorno nelle scuole elementari la prima ora di lezione è quella di educazione fisica o attività motoria. Che fa poi bene come risveglio neuromuscolare, anche per il resto della giornata agli studenti”. Nelle tattiche di coach Berruto ecco allora un’ altra bella combinazione da giocare. “Noi in Italia abbiamo la ricchezza straordinaria dell’associazionismo sportivo, di cui il Csi è esemplare. Pensiamo se ci fosse una scuola che, come dovrebbe fare, insegni ad appassionarsi alla pratica sportiva, e a ruota il patrimonio della rete dell’associazionismo che ne raccoglie gli sviluppi. Sarebbe un modello raffinato e più evoluto anche di quello anglosassone, che lascia invece tutto alla scuola”. Ecco allora un time out prospettivo. “Io rappresento ora uno sport di livello assoluto agonistico. Ma in questo caso
no gli avversari ti favorisce. Per fare un esempio: si studiano moltissimo i palleggiatori. Uno normale, nei momenti topici e decisivi del match, tende a rifare le cose che gli riescono meglio. Se sei uno straordinario campione è proprio in quei momenti, che hai invece l’istinto di fare cose diverse e giuste. Ed evitare così le contromosse avversarie”. Il Csi ti ha eletto e lo farà ufficialmente nel corso del prossimo appuntamento di Assisi, ambasciatore sportivo in oratorio. Che medaglia è questa? “Sono molto felice, e molto orgoglioso di questo, per la mia storia personale, perché l’oratorio è uno di quegli spazi che hanno contribuito a costruire un modello di società che oggi stiamo un po’ smarrendo. Oltre all’importanza sportiva, rivendico l’importanza del luogo fisico, dove le persone si conoscono, si parlano. Oggi purtroppo viviamo una società legata agli spazi virtuali, che non demonizzo perché ogni società ha il suo tempo e si evolve. Però l’importanza di un luogo fisico dove crescere, stare insieme, nelle vittorie e nelle sconfitte, condividendo gioie e difficoltà, è indubbia. Arriva una schiacciata incrociata sul recente decreto Sanità. “Questo paese - dicono i demografi - in11
L’INTERVISTA
il problema è della cultura di uno sport fatto, come strumento per migliorare la singola qualità di vita, e dunque del tuo Paese. è come la geometria. Si dice della piramide dello sport di vertice. Più larga è la base è più in alto dev’essere il vertice in proporzione. Lo sport di vertice è un effetto collaterale dello sport di base”. Qualche schema valido ovunque? “Ho allenato molto in oratorio e sembrerà forse banale, ma l’aspetto dell’impatto emotivo è uguale, in parrocchia come ai Mondiali o alla World League. Non cambia. Il risultato sportivo te lo giochi, dando il meglio di te, contro ragazzi, antagonisti, squadre del tuo livello. La difficoltà di vincere una sfida è la stessa, così come la felicità di alzare una Coppa”. Il segreto del gruppo vale ovunque. “Ormai credo si possa asserire che nello sport, come nella vita, non esiste individualità. Prendiamo Bolt, l’esempio mas-
simo di un atleta di punta di una disciplina individuale. Corre sì da solo, ma ha attorno a sé un allenatore, uno staff medico, quindi qualunque prestazione è sempre prodotto di una squadra che con lui condivide un obiettivo”. Una palla spinta nel passato: un anno fa la notte di “Capitani in campo” col Csi Torino. “Una delle serate più belle. Per la figura del capitano, ovviamente. Mi piace che il Csi sottolinei l’importanza del capitano, anche con il rituale della consegna delle fasce. Essere un capitano significa essere un esempio vivente, al di là dell’età e di altri parametri. In azzurro ho scelto io Savani, che non era né il più vecchio, né quello con più presenze. Era colui nel quale la squadra doveva riconoscersi”. Una tesa sul futuro verso il Meeting Csi di Assisi. “Verrò assai volentieri. La mia parrocchia di San Bernardino, è francescana, mio
Oratorio San Bernardino: Mauro Berruto premiato dalla presidente del CSI Torino, Nadia Maniezzi.
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figlio si chiama non a caso Francesco. Mi entusiasma il fatto che si parli di sport proprio ad Assisi”. L’ultima battuta è sul suo blog. Parla di Baggio e Gesù… “Premessa: Ho fatto tesi in antropologia culturale in Madagascar. Argomento: i riti di passaggio di un piccolo paese malgascio. Lì ho conosciuto padre Pedro e la sua meravigliosa storia, ha costruito il suo villaggio su un immondezzaio e con il calcio ha evangelizzato tanti figli. Padre Pedro insegna il Vangelo, ma solo dopo il calcio. Perché altrimenti i bambini andrebbero da un’altra parte. Ho scritto e lo ripeto: I bambini di padre Pedro conoscono Gesù e Roberto Baggio; e se chiedi loro la differenza, ti rispondono che Gesù non avrebbe mai sbagliato un rigore in una finale del campionato del mondo”.
Every One, in viaggio per la vita È partita da Roma la seconda edizione di Every One, il tour con cui Save the Children Italia, in collaborazione con CSI e UISP, promuove la lotta alla malnutrizione e agli sprechi alimentari che ogni anno causano la morte di milioni di bambini nel mondo. Simbolo della campagna un palloncino rosso. La proposta del “Salvagioco”, attività ludica per educare i ragazzi al tema della malnutrizione. di Danilo Vico 13
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n viaggio per la speranza, un appello alla solidarietà, un grido di protesta per un’autentica strage degli innocenti che si consuma giorno per giorno nella nostra colpevole disattenzione. Tutto questo è la campagna Every One che per il secondo anno consecutivo, e ancora una volta con il supporto di CSI e Uisp, Save the Children Italia ha lanciato per dire basta alla mortalità infantile, che ogni anno uccide 6,9 milioni di bambini, il 99,9% nei paesi in via di sviluppo. Impossibile per noi popolazione dei paesi “ricchi” sottrarci al peso di una pesante responsabilità non soltanto morale: 2,3 milioni di quei bambini muoiono per le conseguenze della mancanza di cibo, gli altri cessano di vivere per malattie – malaria, diarrea, polmonite - che potrebbero essere facilmente curabili con qualcuno di quei medicinali che tutti o quasi conserviamo a titolo precauzionale negli armadietti fino alla scadenza. La cifra finale della strage è così alta, così assurda, da sottrarci forse ad una piena consapevolezza. Se la decliniamo in un modo più vicino al nostro quotidiano possiamo comprenderla in tutta la sua tragicità: nei 5 secondi necessari per bere un bicchiere d’acqua, muore un bambino; nei 90 minuti che occorrono per giocare una qualsiasi partita di calcio, di bambini ne muoiono 1.080.
La carenza di cibo tra perdite e sprechi L’indice di Save the Children, e non solo, è puntato sugli sprechi che caratterizzano i sistemi di vita dei paesi sviluppati. Ogni anno 1/3 della produzione mondiale di cibo, pari a 1,3 miliardi di tonnellate, viene perduta o sprecata. Nella sola Italia le perdite e gli sprechi di cibo lungo tutta la filiera ammontano a 17 milioni di tonnellate. Nella sola Europa finiscono tra i rifiuti 89 milioni di tonnellate di prodotti alimentari, cioè un quantitativo di cibo pari a 89 volte quello destinato agli aiuti internazionali. Situazione che non sembra migliorare nel breve, poiché i nostri sprechi aumentano di pari passo con il numero di bambini minori di 5 anni che soffrono di malnutrizione, e che oggi sono oltre 200 milioni. Il cibo si perde anche nei paesi in via di sviluppo, ma per ragioni e in circostanze diverse: nei paesi più poveri, in particolare nelle aree del mondo con tassi di malnutrizione elevati e ad alto rischio di insicurezza alimentare, la perdita di cibo si concentra nelle fasi del raccolto e della prima trasformazione a causa sia dei fattori climatici e ambientali, sia delle tecniche di preparazione dei terreni, di semina, di coltivazione e di conservazione dei cibi. Al contrario, nei paesi industrializzati, emerge preponderante il fenomeno nella fase di consumo.
La numerazione unica solidale per la raccolta fondi Dal 15 ottobre all’11 novembre, attivo un numero solidale per donazioni a favore della campagna di Save the Children: sarà possibile donare 2 euro inviando un sms al numero 45507 dai cellulari TIM, Vodafone, Wind, 3, PosteMobile, CoopVoce e Nòverca o chiamando lo stesso numero da rete fissa
TWT, mentre si potrà contribuire con 2 o 5 euro chiamando da rete fissa Telecom Italia, Infostrada e Fastweb. I fondi raccolti sosterranno gli interventi dell’Organizzazione contro la mortalità infantile in 8 paesi: Uganda, Mozambico, Malawi, Etiopia, Egitto, India, Nepal e Pakistan.
Le tappe e il calendario Roma (9 ottobre), Venezia (11), Trieste(13-14), Napoli (14), Trento (16) Milano (18), Torino (19), Genova (22), Bologna (24), Pisa(25), Firenze (26), Cagliari (26), Palermo (29), Catanzaro (31), Melfi (5 novembre), Bari (7), L’Aquila (9), Perugia (10).
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Un approccio multilivello Nella propria battaglia contro la mortalità infantile, Save the Children ritiene che la possibilità di vincerla dipenda dall’adozione di un approccio multilivello, che vada oltre la destinazione di risorse ai paesi della malnutrizione infantile, una strategia volta a diminuire le perdite del cibo, garantire la stabilità di accesso al cibo, nonché a promuovere attività capaci di accrescere la produzione locale e generare reddito valorizzando la capacità produttiva delle comunità autoctone. Inoltre è necessario promuovere sia nei paesi industrializzati che in quelli in via di sviluppo, interventi di sensibilizzazione ed educazione a corrette abitudini alimentari, volti nei primi ad evitare gli sprechi e favorire una corretta alimentazione, nei secondi ad insegnare alle comunità locali a fornire ai bambini alimenti che garantiscano loro il giusto apporto di tutti i micronutrienti, a partire dal latte materno, ma anche attraverso alimenti che sono più facilmente coltivabili in quelle zone.
La campagna mondiale Every One Per questo Save the Children nel 2009 ha lanciato Every One, la sua più grande campagna mondiale, promossa in 64 Paesi, per contribuire al raggiungimento del 4° Obiettivo di Sviluppo del Millennio: ridurre di due terzi la mortalità infantile e di tre quarti quella materna entro il 2015. Save the Children vuole raggiungere con i suoi progetti 50 milioni di bambini e donne in età riproduttiva ogni anno entro il 2015: una sfida ambiziosa, ma possibile da raggiungere con semplici soluzioni e con il coinvolgimento di tutti, governi, opinione pubblica, comunità locali, singole persone. Fino ad oggi, grazie alla campagna, Save the Children ha contribuito a formare 178.969 operatori sanitari, raccolto 885 milioni di dollari destinati ai progetti di salute e nutrizione materno-infantile, mobilitato oltre 13 milioni di persone che hanno fatto un’azione per la campagna. Nel solo 2011 oltre 50 milioni di donne in età riproduttiva e bambini hanno beneficiato dei progetti di salute materno-infantile.
Il “Salvagioco” Il “Salvagioco”, che impegna in ogni tappa gruppi di bambini, si sviluppa facendo ruotare i partecipanti in tre aree ludiche, facendo loro affrontare, attraverso il gioco, i temi della campagna Every One. Nel primo settore, che simboleggia l’urgenza, i bambini sono impegnati in una staffetta durante la quale devono “raccogliere i nutrimenti essenziali” per la corretta alimentazione infantile, senza lasciar andare o far cadere il palloncino rosso che rappresenta la vita di un bambino da salvare. Nel secondo settore, che descrive lo spreco, vi sono tre squadre: una che rappresenta i produttori di cibo, le altre due i consumatori. I primi producono cibo e lo mettono a disposizione delle due squadre di consumatori, le quali essendo numericamente diverse avranno una disponibilità di cibo completamente diversa e non proporzionata al numero di persone, a simboleggiare la diversità nell’accesso al cibo tra paesi in via di sviluppo e paesi industrializzati. L’ultimo settore, che rappresenta la malnutrizione, vedrà i bambini, precedentemente sensibilizzati sui temi della campagna a scuola, impegnati a rielaborare i contenuti e scrivere un messaggio in cui esprimere le loro sensazioni, emozioni, pensieri, speranze riguardo a questi temi. Tutti i messaggi vengono poi appesi su un grande pannello a forma di palloncino rosso, simbolo della campagna.
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Il viaggio del palloncino rosso Lo scorso anno, alla sua prima edizione, la campagna italiana di Every One aveva le sembianze di un palloncino rosso in viaggio per la penisola a bordo di un vecchio pulmino volkswagen stile anni ’70 per proporre ovunque l’appello “Basta un respiro per salvare una vita”. Ogni palloncino rosso simboleggiava un bambino che rischiava la vita, un bambino che ognuno poteva contribuire a tenere in vita dandogli un po’ del proprio respiro, soffiandoci dentro per gonfiarlo. Il palloncino rosso - con scritto Save Me, a rappresentare simbolicamente i milioni di bambini che ognuno può contribuire a tenere in vita - e il claim Non lasciamoli andare sono il simbolo e lo slogan anche della seconda edizione della Campagna Every One, partita da Roma il 9 ottobre, dopo una coloratissima cerimonia di varo tenuta in piazza del Campidoglio, con la presenza di oltre 100 bambini delle scuole primarie insieme ai calciatori dell’ACF Fiorentina e alcuni dei testimonial. La presenza dei bambini si inseriva nell’evento come conclusione di un percorso realizzato nelle scuole romane, che ha visto gli alunni impegnati in attività ludico-educative - denominate il “Salvagioco”, la grande novità di Every One 2012 - ruotanti attorno a 3 totem interattivi sui temi dell’urgenza, malnutrizione, spreco. Il tour del palloncino rosso coprirà quest’anno 18 città, in ciascuna delle quali mobiliterà il maggior numero possibile di energie e di persone nella sfida alla mortalità e alla malnutrizione infantile.
N La capitale dà i numeri Il 9 ottobre Roma si è svegliata con dei numeri giganti in alcuni luoghi simbolo: a piazza Venezia c’era il numero 720, a simboleggiare il numero di bambini che muoiono durante un’ora di traffico; davanti al Colosseo, c’era il numero 240, a testimonianza del numero di bambini che muoiono mentre aspettiamo l’autobus per 20 minuti; nei pressi dello stadio Olimpico, c’era il numero 1080, il numero di bambini che perdono la vita durante una partita di calcio. E infine a piazza del Campidoglio il numero 6.900.000, cioè il numero dei bambini morti in un anno a causa di malattie facilmente prevenibili e curabili. 16
PRIMO PIANO
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Verso nuovi modelli di finanziamento?
Lo sport di base oltre la crisi La recessione che ha investito i paesi dell’area dell’euro si sta riflettendo anche sullo sport di base, con il taglio dei finanziamenti pubblici, sia a livello centrale sia decentrato, una rarefazione dei finanziamenti da privati e la diminuita capacità delle famiglie di spendere per l’attività sportiva. Quali le prospettive a medio e lungo termine?
di Andrea De Pascalis
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a crisi finanziaria rimette in discussione i tradizionali modelli di finanziamento dello sport di base in tutta Europa. Ci sono però aspetti delle attuali difficoltà dello sport di base continentale che andrebbero meglio approfondite, partendo da una domanda chiave: siamo di fronte a una crisi congiunturale o strutturale? La speranza di tutti, ovviamente, è che si tratti di una crisi congiunturale e che, messi in sicurezza i vari conti pubblici, terminata la recessione, vi sia una “normalizzazione” delle risorse a disposizione. Se però guardiamo ad alcuni studi di settore, c’è da temere che le prospettive siano differenti. Fanno testo due report di livello europeo: Etude du financement public e privé du sport [Studio del finanziamento pubblico e privato dello sport], curato dal Gruppo Amnyos per il Ministère français chargé des sports (2008) e Study on the funding of grassroots sports in the EU [Studio sul finanziamento dello sport di base nella U. E.], un lavoro in due grossi volumi pubblicati qualche mese fa da un pool internazionale di istituti di ricerca.
Il modello di riferimento Nell’U.E. i modelli di finanziamento dello sport di base divergono da Paese a Paese. Sempre le stesse sono invece le 6 voci che concorrono - in percentuale variabile - a formare i finanziamenti: proventi del tesseramento; contributi pubblici dello 18
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Stato; contributi delle Regioni e Comuni; altre spese a carico delle famiglie (a parte il tesseramento); sponsor e contributi di privati; proventi di lotterie e scommesse. Anche gli incentivi fiscali a favore dell’associazionismo sportivo di base variano, incrociando in modo diverso 7 tipi di facilitazioni: riduzione diretta della tassazione per i club; esenzione o riduzione dell’IVA; tassazione ridotta delle donazioni fatte da privati; riduzione fiscale per le famiglie che tesserano loro membri; deduzioni fiscali che si applicano ai volontari; detrazione fiscale per gli sponsor che fanno donazioni; riduzione fiscale per il finanziamento di operatori con rapporto di lavoro dipendente. Globalmente in Europa Il 60% dei finanziamenti di Stato va allo sport di alto livello o ai budget delle Federazioni. In entrambi i casi l’erogazione di fondi è finalizzata alle performance di alto livello e ai grandi eventi sportivi internazionali. Il ruolo delle autorità regionali e locali è limitato, la loro azione non è strutturata e i loro contributi sono frammentati. La necessità di ridurre i deficit pubblici anche a tale livello potrebbe produrre nei prossimi anni: a) un calo dei budget per lo sport; b) l’aumento delle tariffe per l’accesso delle società sportive all’impiantistica. Una trasformazione già in atto è la tendenza a spostare l’erogazione dei fondi regionali per lo sport dal sistema del finanziamento “quantitativo” per iniziative già svolte a quello del finanziamento per progetti, con conseguente necessità per le società sportive di dover competere l’una con l’altra sul piano della progettazione.
Elementi di rischio Il report di Amnyos mette in luce i punti deboli dei vari modelli europei di finanziamento dello sport di base, tanto da avere fatto scrivere ad alcuni osservatori qualificati che si tratti di un modello complessivamente a forte rischio per il futuro. Vediamo per quale motivo. Sia pure con talune differenze, il modello sportivo “medio” europeo ha una struttura di tipo piramidale. La base della piramide è costituita dallo sport di base, che opera soprattutto grazie al volontariato; il vertice è costituito dallo sport di alto livello e professionistico. In teoria la base e il vertice dovrebbero essere espressione di un tutt’uno (la sempre affermata unitarietà del movimento sportivo), ed essere saldati da un legame di mutua solidarietà: con la sua opera promozionale la base consente la “scrematura” dei talenti e alimenta le fila dello sport di èlite, mentre questo contribuisce al sostegno finanziario dello sport di base. In molti paesi – dalla Gran Bretagna, alla Francia e all’Italia stessa – la mutualità economica è garantita per legge, per lo più con la destinazione allo sport di base di un X% dei diritti televisivi dello sport spettacolo. Nella realtà quasi ovunque la mutualità non funziona e lo squilibrio tra base e vertice della piramide è come una forbice che si allarga invece di stringersi. In particolare: • il vertice riguarda una minoranza della popolazione sportiva, che però fruisce della maggioranza dei finanziamenti pubblici e delle attenzioni della politica, pur avendo un impatto ridotto quanto a benefici sociali; • la base racchiude la grande maggioranza della popolazione sportiva, ma fruisce di minori risorse finanziarie pubbliche e di meno attenzioni politiche, pur avendo un alto impatto sul benessere sociale della cittadinanza (tutela sanitaria, integrazione sociale, educazione ecc.). Fattori di rischio per un ulteriore dilatarsi dello squilibrio sono: • povertà di relazioni tra le due espressioni dello sport; • la tendenza di base e vertice a dissociarsi l’una dall’altra, avendo mission, mezzi, necessità, sensibilità, interessi del tutto differenti; • lacune legislative, che lasciano a quanti producono gli introiti dei diritti Tv il potere di decidere a chi e come distribuirli, per cui tali diritti finiscono col restare quasi sempre nell’ambito di chi li produce (in Italia la quota di solidarietà prodotta dai diritti TV del calcio va quasi per intero alla promozione e tutela dei soli vivai calcistici); 20
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l’aumento delle risorse di cui ha continuamente bisogno lo sport professionistico, gravato da non poche passività e incapace di frenare la crescita delle spese.
Non bastasse, a livello continentale il finanziamento dello sport di base affronta altri fattori di rischio: • la contrazione dell’apporto fornito dal volontariato sportivo, fondamentale per la sopravvivenza del sistema: nei 27 Paesi membri dell’U.E. si stima operino nello sport 14,7 milioni di volontari, il cui lavoro equivale a quello di 1,4 milioni di addetti full time, per un valore monetario di circa 28,4 miliardi di euro l’anno; • paradossalmente l’espandersi della domanda sportiva, pur essendo un fattore di crescita dei praticanti, si traduce in una diminuzione della quota di finanziamento pubblico spendibile per ogni praticante, poiché nel rapporto fondi disponibili/numero dei praticanti la prima voce resta ferma o addirittura viene tagliata mentre la seconda cresce.
Il caso Italia In questo quadro, quali specifiche prospettive per l’associazionismo sportivo di base del nostro Paese? Qualche idea in merito ce la fornisce il secondo volume di Study on the funding of grassroots sports in the EU, che esamina una per una le situazioni dei 27 Paesi membri. Già al momento in cui fu effettuata la ricerca, il debito pubblico italiano era il più alto di Europa, facendo presagire, per ridurlo o bloccarlo, un taglio dei finanziamenti pubblici più drastico che altrove, con ricadute sullo sport più aspre e più a lungo periodo rispetto ad altri paesi. La situazione è resa più complessa dal fatto che «il governo centrale gioca un ruolo limitato nel sistema sportivo italiano», essendo affidati alla responsabilità del Comitato Olimpico l’amministrazione e il management dello sport, alle Regioni le competenze per lo sport per tutti, a Province e Comuni la responsabilità per l’impiantistica. Manca - fa notare il Rapporto - una legge generale sullo sport, così come manca chiarezza circa la destinazione allo sport di parte dei proventi di lotterie e scommesse, dopo che tutto è passato dal CONI ai Monopoli di Stato. L’Amnyos non lo dice chiaramente, ma il modello italiano ha questo fattore di stress in più: il suo finanziamento da parte dello Stato non è proporzionale al rendimento di scommesse e lotterie sportive, come avviene in altri Paesi, anzi manca dell’indicazione di un minimo garantito. Rispetto alla media dei circa 450 milioni annui che i Monopoli di Stato destinano al CONI, e che il CONI poi ridistribuisce, si è esposti a tagli per esigenze delle casse pubbliche anche quando le lotterie e le scommesse sportive incrementano gli incassi e quindi versano allo Stato somme percentuali maggiori. È quanto sta accadendo quest’anno: il contributo dello Stato al CONI è passato da 447,8 milioni di euro del 2011 ai 408,9 del 2012, nonostante gli incassi delle lotterie sportive abbiano fatto riscontrare nei primi mesi del 2012 un trend di aumento di circa il 40%. Oltre il 55% del budget dello sport di base pesa sulle spalle delle famiglie (tesseramenti e altri contributi di spesa), mentre Stato e Amministrazioni locali contribuiscono per solo il 19%, percentuale peraltro riferita a prima dei tagli apportati dal governo Monti alla spesa pubblica e al trasferimento di risorse al Territorio.. Per di più - ed è una citazione letterale dal Rapporto - «queste entrate [il contributo al CONI] sono principalmente usate per finanziare lo sport di alto livello (97% del totale, riferito al 2008). Questa distribuzione è solo parzialmente coerente con la posizione del CONI nel sistema sportivo italiano, essendo il CONI allo stesso tempo la Confederazione delle Federazioni Sportive Nazionali, l’organizzazione che rappresenta il movimento olimpico in Italia e l’Ente deputato a promuovere lo sport per tutti». 21
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Quanto ai modelli di spesa delle 19 Regioni e delle 2 province autonome, un’idea più precisa l’ha fornita il Censis. Con riferimento al 2008, le risorse regionali disponibili erano divise percentualmente così: 2,94% agli Enti di Promozione, 3,82% a CONI e Federazioni, 26,50% alle società sportive, 13,24% trasferimenti agli Enti Locali, 44,08% per contributi all’impiantistica, 3,52% sponsorizzazioni, 5,90% altre spese. Lo sport di base italiano si regge in piedi sul lavoro di 1,07 milioni di volontari, equivalenti a 134.000 lavoratori a tempo pieno. E la solidarietà tra sport di vertice e sport di base? Il Rapporto europeo risponde così: «Nessun sistema regolamentato di solidarietà è stato identificato tra sport professionale e sport di base. La redistribuzione di fondi alla base è organizzata dal CONI…. Oltre a questo, appare esservi una mancanza di un sistema di solidarietà sistematica. Solo una piccola parte del budget CONI è investito nella promozione dello sport a livello di radici».
I binari del cambiamento In quale direzione procedere per arrivare a differenti, più aggiornati e più solidi modelli di finanziamento? Dopo aver ricordato che il Trattato di Lisbona (dicembre 2007) consente all’Unione Europea di passare in materia di sport dal regime delle “Raccomandazioni”, non vincolanti per i vari governi, a quello delle «azioni intese a sostenere, coordinare o completare l’azione degli Stati membri», e quindi a interventi diretti per giungere a un modello unitario di sostegno allo sport di base, vediamo quali sono le indicazioni poste a conclusione dei due report. Sono auspicabili: • una cornice di certezze legislative sulle quote di finanziamento dello sport di base dai proventi di contributi di Stato e proventi da scommesse;
Le società sportive di base e il trend anagrafico Study on the funding of grassroots sports in the EU ha tratteggiato anche l’impatto che le linee di tendenza demografiche (rarefazione della popolazione giovanile, aumento degli anziani, ecc.) avranno sulle società sportive di base. Trend demografico
Conseguenze per le società sportive
Riduzione del numero dei giovani
Accresciuta competizione nel tesseramento giovanile
Meno tempo libero per la popolazione Accresciuta domanda di discipline accon 55 anni e più (aumento età pen- cessibili a individui di 55 anni e più. sionabile) Cambiamenti nei comportamenti e nei Accresciuta competizione nella propovalori sta di nuovi modelli di pratica sportiva Rischio di diminuzione del tempo di- Necessità di trovare fonti di reddito sponibile per operare da volontari complementari per compensare la diminuzione dell’apporto del volontariato Aumento della spesa sociale in rap- Rischio di riduzione nell’assegnazione porto all’aumento di popolazione an- di finanziamenti pubblici allo sport ziana 22
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una cornice di certezze legislative sull’accessibilità a basso costo ad impianti; una cornice coerente e completa delle facilitazioni fiscali fruibili dallo sport di base, mettendo in campo in ogni Paese tutte le sette aree di incentivi esistenti; individuazione di fonti di finanziamento alternative, come in Germania, dove le assicurazioni sanitarie, in vista dei benefici certi in termini di salute apportati dalla pratica sportiva, riconoscono riduzioni tariffarie a chi è tesserato a club sportivi; Identificazione e scambi di informazioni sulle buone pratiche; passaggio delle associazioni di settore ad un’attività per progetti nel quadro della sostenibilità finanziaria delle attività.
Alle istituzioni politiche si indicano 5 obiettivi chiave: • assicurare, accrescere diversificare le fonti di risorse da destinare allo sport in generale e allo sport di base in particolare; • promuovere e migliorare la solidarietà finanziaria tra sport di vertice/professionale e sport di base; • promuovere e sostenere il volontariato sportivo; • riconoscere la rilevanza dello sport di base in tutte le aree delle politiche pubbliche; • comprovare e riconoscere i benefici che la pratica sportiva di base comporta alla società in termini sanitari, educativi, di integrazione e coesione sociale.
Sport e spending review Io speriamo che me la cavo. Il titolo del fortunato libricino del maestro Dell’Orta si adatta alla perfezione alla situazione dello sport italiano alle prese con la “tempesta perfetta” della crisi economica. Di rischi ce ne sono stati diversi. Nella bozza del decreto sulla Spending Review emanato in luglio, gli articoli 4 e 12 erano stati concepiti in modo da impedire ogni rapporto convenzionale diretto fra qualsiasi livello istituzionale e qualsiasi società sportiva dilettantistica. Si sarebbe verificata l’impossibilità per le associazioni sportive dilettantistiche, di cui all’art.90 della legge 289/2002, di accedere a contributi pubblici. A fronte delle proteste degli Enti di promozione e del Forum del Terzo Settore, si è poi fatta marcia indietro. Rischiosa anche la bozza del “decretone” sulla sanità di fine agosto, al cui interno si prevedeva l’obbligo - anche per praticare lo sport non agonistico - di certificazione del medico sportivo invece che del medico di base. Ciò «al fine di salvaguardare la salute dei cittadini che praticano un’attività non agonistica o amatoriale». La norma avrebbe interessato quel 22% della popolazione che, secondo l’Istat, oggi pratica sport in modo continuativo. Con un esborso milionario per le famiglie e il rischio di una disincentivazione dell’attività sportiva. Dopo le proteste del mondo sportivo e dei medici di base, il governo ha fatto dietrofront, la norma è stata dichiarata “un refuso” e ritirata. Dal nazionale al territoriale. I tagli dei trasferimenti agli Enti locali sta costringendo le amministrazioni a rivedere finanziamenti e spese di gestione impianti. E se qualche amministrazione, come a Torino, ne approfitta per razionalizzare, premiando l’attività dedicata al sociale ed escludendo dai contributi chi pensa solo al reddito, altrove si procede con tagli secchi. Volendo trarne una conclusione, ancora una volta si è evidenziata la fragilità dello status dello sport per tutti, che avrebbe bisogno di quella legittimazione istituzionale che solo una legge specifica potrebbe dare. A.D.P.
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Trenta scudetti da sogno
Calcio a 5
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Under 10 Under 12 Under 14 Disabili Allievi Juniores Open M Open F
S.S. Arzano 99 (Napoli) Ssd Città di Messina (Messina) Calcistica S. Spinella (R. Calabria) Fuorigioco (Mantova) Santa Maria Delle Grazie (Roma) Pgs Olimpia 2000 (R. Calabria) Pgs Olimpia 2000 (R. Calabria) A.C. Crevalcore (Bologna)
Si è chiusa una stagione agonistica affascinante. Tutti i nomi delle squadre campioni.
Calcio a 7 Under 12 Under 14 Allievi Juniores Open M Over 35 M
Athena (Agrigento) Polisportiva OR.PA.S. (Milano) San Benedetto ASD. (Torino) ASD. Sacro Cuore (Noto) Val del Riso (Bergamo) Il Gabbiano (Teramo)
Calcio a 11 Allievi Juniores Open M
Arcetana Calcio Dilett (R. Emilia) CS. S.Luigi - Cormano (Milano) Csi Fondotoce (Verbania)
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ra fine giugno e inizio luglio, il Centro Sportivo Italiano ha disputato le finali dei campionati nazionali degli sport di squadra. Sono stati i palleggi, le schiacciate, i gol, i muri e le parate che hanno concluso il finale di stagione del lungo percorso dell’attività sportiva, iniziata nell’autunno del 2011. In totale sono stati 2.500 i finalisti, suddivisi fra le categorie under 10, under 12, under 14, allievi, juniores, top junior ed open. Lignano Sabbiadoro ha visto assegnare tutti i titoli alle società giovanili under 18. Gli atleti maggiorenni hanno invece festeggiato gli scudetti conquistati in Emilia, fra Fidenza e Salsomaggiore Terme.
Pallavolo Under 10 Under 12 Under 14 Allieve Juniores F Top/Junior F Open F Open M Open Misto
Porto Ravenna (Ravenna) Giavì Pedara Volley (Catania) ASD MUSILE P.V. (Treviso) Mondial Quartirolo (Carpi) S. Donà Piave Volley (Treviso) Idea Volley Sassuolo (Modena) U.P.Settimo (Milano) Libertas San Giuliano (Rimini) Rgp Precotto (Milano)
Pallacanestro Under 12 Allievi Juniores Open M
Pallacanestro Carugate (Milano) Tiber Basket (Roma) Mens Sana Mesagne (Brindisi) Audace Stefy Basket (Bologna) 25
ATTUALITà
Nel cuore dei risvegli Il Csi Bologna insieme all’associazione “Gli Amici Di Luca” per far giocare e divertire piccoli e grandi di Elena Boni
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uando l’ahimè diventa hai me!” Questo lo slogan coniato dal testimonial storico Alessandro Bergonzoni, per lanciare la Giornata Nazionale dei Risvegli 2012, culminata nella grande festa che domenica 7 ottobre ha “invaso” Piazza Maggiore a Bologna. Uno slogan che andrebbe trasformato al plurale, perché il me si è trasformato nel noi delle migliaia di persone presenti. Ed al sole della giornata si è aggiunto il calore della gente, tanta e tale da scaldare i cuori. Interpretando al meglio quelle che erano state le parole di Fulvio De Nigris, insieme alla moglie Maria Vaccari fondatore e motore negli anni dell’associazione, nata dopo che un 7 ottobre di tanto tempo fa il loro figlio Luca si risvegliò dal coma, cominciando un cammino faticoso ma importante quanto la nascita e la vita stessa: “Sarà un momento di festa nel cuore di Bologna, perché Bologna ha nel cuore la Casa dei Risvegli”, aveva detto, ed è esattamente ciò che è avvenuto. Insieme all’Associazione Gli Amici di Luca, per il dodicesimo anno su 14 edizioni dell’evento, il Csi Bologna. Perché attorno ad un messaggio tanto importante - riflettere sulle gravi cerebrolesioni, sugli stati vegetativi e gli esiti di coma, e
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per sviluppare sempre più l’alleanza terapeutica che riunisca strutture sanitarie, istituzioni, famiglie e terzo settore - è fondamentale raccogliere e convogliare le persone, ma soprattutto invogliarle. E lo sport, ancora una volta, è diventato il tramite perfetto, capace di radunare gli appassionati quanto attrarre i passanti, con la stessa forza calamitante con cui migliaia di occhi di bimbi sono stati catturati dai palloncini, liberati insieme ai “messaggi per un risveglio” che contenevano. Si è giocato, piccoli e grandi, e tutt’attorno famiglie e amici. Si è anche sperimentato, portando in piazza per la prima volta un torneo di “Dodgeball”, disciplina che raccoglie grandi consensi in molti paesi del mondo, ed il successo più grande è stato vedere anziani come giovanissimi accorgersi con un sorriso che si trattava di una “palla prigioniera” diventata sport, organizzata a squadre con tanto di campo diviso in due, e così dalla scoperta si è ripassati alla curiosità, e in breve al tifo per i giocatori in campo.
ATTUALITà
Alessandro Bergonzoni: il Csi e il gioco della “palla umano” Il Csi fa un gioco diverso: quello della “palla-umano”, di un pallone umano, connesso alla dignità dell’uomo. Ancora di più, direi giochiamo la palla “sovrumano”. Sopra l’uomo. Giochiamo con l’anima diversa dello sport. Perché dobbiamo riempire gli stadi? Diamo un calcio a questo sport e cominciamo a giocare la partita dell’anima. Una partita che ci coinvolge tutti. Solo le persone banali credono che il gioco sia un passatempo. E “Giocare per credere” (lo slogan del Csi) per me vuol dire mettersi in gioco per scoprire la nostra parte “divina” la parte dell’anima. Una forma di preghiera, non solo attraverso lo sport. Come una concentrazione per meditare, per andare oltre.
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ANNO DELLA FEDE
Un contributo del mondo sportivo per l’anno indetto da Benedetto XVI.
Sport Gate: una porta per la fede Dall’11 ottobre al 24 novembre 2013 l’attività sportiva al centro della testimonianza evangelica.
di Claudio Paganini
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essuno inizia a costruire una casa principiando dalla porta. La porta, è il prima del dopo. È cioè il punto di accesso ad un progetto già realizzato. Che sia grande o piccola, bella o brutta, essa può trasmettere un senso di sicurezza, di separazione, di paura, di gioiosa accoglienza, di ricchezza, di semplicità. È esperienza concreta di separazione, tra lo spazio pubblico e lo spazio privato. Gli altri ed io, abitiamo in mondi diversi e la porta è anticipazione ed esperienza di soglia, che anticipa l’accesso nella casa delle nostre sicurezze e dei nostri affetti. Nel Vangelo, Gesù è ancora più radicale, affermando: “Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà…”. Non c’è spazio per mondi alternativi, non esistono scorciatoie o vie di fuga: Lui è la porta, il cuore del progetto! E lo Spirito, non da meno, dice alle Chiese: “Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap. 3,20-21). Data la complessità del vivere quotidiano, non sempre è facile comprendere in questo brano della Bibbia se è lo Spirito Santo che bussa alla porta della nostra vita o noi che bussiamo alla porta della Chiesa per chiedere di essere accolti nella casa della fede. Certo è che, in entrambi i casi, bisogna essere protagonisti e vigilanti. Se restassimo semplici spettatori, saremmo privati di una grande possibilità: l’incontro con Gesù e con la gioia generata dall’esperienza di fede di chi attraversa quella porta.
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L’immagine della porta, indubbiamente racchiude in sè molteplici suggestioni e possibilità di riflessione. Prova ne è il fatto che “Porta fidei”, è anche il titolo della Lettera con cui Papa Benedetto XVI, ha indetto l’Anno della Fede dall’11 ottobre 2012 al 24 novembre 2013. Lo scopo di questa proposta è indicato nel testo al n. 9: “sarà un’occasione propizia anche per intensificare la celebrazione della fede nella liturgia, e in particolare nell’Eucari-
stia, … per far si che la testimonianza di vita dei credenti cresca nella sua credibilità… per riscoprire i contenuti della fede professata, celebrata, vissuta e pregata”. Nessuno nasconde che a cinquant’anni dall’avvio del Concilio Vaticano II (Roma 11 ottobre 1962) si stanno ancora cercando incessantemente i metodi per annunciare il vangelo, per incarnare una fede “vissuta e pregata”, adeguati al tempo ed alla cultura. Cercare una porta
ANNO DELLA FEDE
attraverso cui rilanciare la “nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, come afferma Papa Benedetto XVI, significa rendere ogni credente responsabile nel far conoscere Gesù, testimoniandolo nei rapporti personali e nei luoghi del vivere quotidiano. Che si tratti di spazi dedicati al lavoro come alla scuola, al tempo libero come ai mass media, alla sofferenza come allo sport, ciascun uomo di fede ha un compito da realizzare: camminare nel vissuto quotidiano per tendere alle realtà del cielo. Alla luce di tutto ciò, nell’Anno della Fede, è lecito porsi qualche domanda a cui cercherò di dare risposta: •
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lo sport, inteso non solo come pratica ma anche come avamposto educativo e frontiera per la nuova evangelizzazione, può dare un suo contributo affinché il corpo degli sportivi non sia sordo a Gesù che bussa? le case, i luoghi in cui abita lo sport, offrono anche la possibilità di stare con Gesù nella gioia del convivio, della ricerca e dell’approfondimento? quale contributo può offrire il Centro Sportivo Italiano affinché lo sport sia porta, esperienza di mezzo, tra uomo e fede, tra mondo e chiesa, tra possibilità e compimento?
Quando si è interpellati dalla fede e dai valori, il corpo non può fallire. La sordità diventa colpevolezza solo quando il corpo non viene allenato a comprendere e sviluppare i linguaggi che nutrono la comprensione. Si può allenare quindi il corpo a raggiungere traguardi atletici, ma anche la coscienza, anche la fede, anche la preghiera possono similmente essere allenate al traguardo della santità. Non è problema di contenuti ma di esercizio. Non di quale traguardo raggiungere, ma di come giungere a quel traguardo. Ancora vale il principio: repetitio est mater studiorum. Esercizio, esercizio, ed ancora esercizio per raggiugere traguardi sportivi, valoriali e di fede. Esercitando il corpo se ne scoprono tutte le potenzialità sopite ed i traguardi inespressi per ozio o stanchezza. La sordità a Gesù che bussa alla nostra porta è una sordità iscritta
nell’ozio dei cuori e nell’ozio della pratica. Ma è un problema anche di linguaggio. Se da un lato le parole non comprese o ambigue impediscono il dialogo, dall’altro, non conoscere il linguaggio della corporeità condanna alla pochezza ed alla solitudine umana. Nel linguaggio con cui si esprime il corpo risiedono tutte le prerogative umane: esultanza per un successo, testardaggine per l’allenamento; sacrificio per il lavoro; ma anche la gioia, la rabbia, il desiderio, la delusione, la collaborazione, l’entusiasmo, hanno un corrispettivo nel linguaggio corporeo.
Lo sport è certamente di casa nella Chiesa. Molte porte chiuse, però, ne impediscono la consapevolezza e il miglioramento. Come può Gesù abitare e fare comunione con noi se gli impediamo d’entrare? Ci sono molte responsabilità di cui il mondo sportivo deve farsi carico: aprire le porte a chi, pur praticando gli ambienti sportivi di molte parrocchie, è lontano dalla vita di fede o di comunità. Non compiere quel gesto di accoglienza, spalanca al rischio di non offrire formazione alle giovani generazioni, non rigenerare il cammino delle vecchie e limitare tutte quelle esperienze di fede, speranza e carità, possibili attraverso la casa sportiva. Magari non esiste un rifiuto a priori della proposta religiosa. Semplicemente nessuno osa farla! La casa sportiva è poi uno spazio vitale in cui i sentimenti e le passioni si amplificano fino all’esasperazione. Sono allora gli atleti o i dirigenti di buona volontà ad assumersi il compito di rendere quella casa un luogo in cui abita la gioia, l’interesse per la vita dell’altro, le proposte di ricerca del senso della vita e dell’approfondimento di temi religiosi. Ai tanti che bussano alla porta dello sport dovremmo
sempre poter offrire un sorriso, una proposta di vita e di fede. Magari basta solo pregare insieme, come avviene in tantissimi campi da gioco, per ricordare al mondo intero che lo sport non basta a se stesso, ma che senza fede e senza valori superiori si inaridisce. Può un’associazione come il Centro Sportivo Italiano offrire un contributo affinché lo sport sia una porta, un’esperienza di mezzo e di soglia, tra uomo e fede, tra mondo e chiesa, tra possibilità e compimento? Certamente si! Un gruppo di persone associate da un fine quale l’educare attraverso lo sport, può fare moltissimo. Papa Benedetto XVI ricorda infatti nella sua lettera Porta fidei che “la Chiesa nel giorno di Pentecoste mostra con tutta evidenza questa dimensione pubblica del credere e dell’annunciare senza timore la propria fede ad ogni persona. È il dono dello Spirito Santo che abilita alla missione e fortifica la nostra testimonianza, rendendola franca e coraggiosa”. Nessun dubbio che una grande associazione possegga moltissimi doni dello Spirito che la abilitano ad operare stando un passo avanti, per condurre e orientare il cammino di chi ancora è in ricerca. Ancor di più, tutti i suoi dirigenti devono essere particolarmente competenti e formati non solo sulle attività sportive ma anche nelle scienze umanistiche e teologiche, per rendere ragione del proprio essere. Dice ancora Papa Benedetto XVI: “Professare con la bocca, a sua volta, indica che la fede implica una testimonianza ed un impegno pubblici”. L’esemplarità dei dirigenti e di tutti i tesserati è una vera sfida per confermare la credibilità di una associazione che nasce dalla Chiesa e costantemente si ispira si suoi principi evangelici e di dottrina sociale. Lo sport, dunque, testimonia le sue potenzialità di vero collaboratore nel cammino di fede e maestro dell’animo umano. Lo sport è una porta attraverso la quale incontrare Gesù e vivere esperienze di fede. Hanno affermato che la coscienza è un muscolo che si può allenare; similmente, si può allenare la fede, la preghiera, la vita ecclesiale e sacramentale. Come insegna lo sport, da protagonisti e non da spettatori. 29
PAGINE DI STORIA
Cento anni fa La lunga marcia di avvicinamento delle donne alle Olimpiadi, dall’ostracismo di De Coubertin, al pareggio numerico avvenuto a Londra 2012 nella partecipazione della azzurre del Team Italia.
di Angela Teja
A
i Giochi olimpici appena conclusi la squadra italiana era composta da un egual numero di atlete rispetto alla componente maschile. A Londra le donne hanno complessivamente costituito il 45% dei partecipanti, dopo il 42% di Pechino 2008. Quella delle donne è stata una lenta e lunga marcia di avvicinamento a partire dall’ostracismo del barone de Coubertin alla partecipazione femminile alle gare olimpiche con il suo famoso articolo, spesso citato, pubblicato sulla “Revue olympique” esattamente 100 anni fa, nel luglio del 1912: “Noi stimiamo che i Giochi Olimpici debbano essere riservati agli uomini. [...] Non ci sono soltanto delle giocatrici di tennis e delle nuotatrici. Ci sono anche schermitrici, amazzoni e, in America, ci sono delle donne che fanno canottaggio. Forse che domani ci saranno delle corritrici o delle giocatrici di football? Questi sports praticati dalle donne costituirebbero forse uno spettacolo raccomandabile davanti alle folle che un’Olimpiade riesce a riunire? Noi non pensiamo che si possa pretenderlo. [...] Citius, altius, fortius. Più veloce, più in alto, più forte, è il motto del Comitato internazionale e la ragione d’essere di tutto l’Olimpismo. Qualsiasi siano le ambizioni atletiche femminili, non possono pretendere di vincere gli uomini nella corsa, nella scherma, nell’equitazione... Fare intervenire a questo punto il principio dell’uguaglianza teorica dei sessi, sarebbe dunque come abbandonarsi a una manifestazione platonica priva di senso e di portata. [...] Non pratica, non interessante, non estetica e non abbiamo timore di aggiungere: scorretta, tale sarà secondo noi questa mezza Olimpiade femminile. Non è questa la nostra concezione dei giochi Olimpici nei quali stimiamo che si cerchi e si continui a cercare la realizzazione di questa formula: l’esaltazione solenne e periodica dell’atletica leggera maschile con per base l’internazionalismo, l’onestà come mezzo, l’arte come ambito e l’applauso femminile come ricompensa”. Poi però molta acqua è passata sotto i ponti dagli inizi stentati dello sport femminile. Stentati in verità più nella visibilità e nella conoscenza che per l’effettiva sua storia. Anche in Italia, che 30
per un complesso di motivi storico-sociali è stata tra le nazioni che più tardi in Europa si è allineata a posizioni di emancipazione (non dimentichiamo che le donne hanno ottenuto il voto solo nel 1946, con quasi mezzo secolo di ritardo sulle donne del nord Europa, dove peraltro anche lo sport si è diffuso precocemente), tra fine 800 e inizi del 900, ci sono state manifestazioni sportive al femminile, specie ginnastiche ma non solo, di tutto rispetto. Gli insegnamenti venivano in parte preponderante dall’estero e si diffusero anche nell’ambiente, in verità piuttosto restio, dei cattolici. Provocò stupore il piazzamento di una ginnasta belga della “Gilde de métiers” di Bruges, riportato sul supplemento di “Stadium” del settembre del 1908. La giovanetta con i suoi 13” nella salita alla fune del “Concorso internazionale di ginnastica e di sport” disputato in Vaticano dal 23 al 28 settembre 1908, meritò il terzo premio pari merito con un uomo. Ma questo genere di eventi storici non sono molto conosciuti, perchè la storia dello sport si è sempre occupata di questa tematica dal punto di vista maschile, e soprattutto perché la donna, solo di recente, ha avuto una propria storia, relegata in quella del costume. Si è dovuto aspettare l’avvento del nuovo secolo per una nuova ed approfondita riflessione sulle vicende dello sport femminile in Italia, come testimonia la nascita nel novembre 2002 di un Gruppo di lavoro sulla donna in seno al CONI. La spinta era venuta dal CIO, che ha un suo gruppo di lavoro ad hoc a partire dalla I Conferenza “Donna e Sport” a Losanna del 1996 e che ha trovato in Anita De Franz, membro della Giunta del CIO, un elemento catalizzatore di iniziative a favore delle pari opportunità. Celebrando i primi 100 anni dall’edizione di Atene dei Giochi, alla quale le donne non avevano partecipato per la ben nota avversione del Barone, il CIO stesso impose allora di raggiungere il 20% delle presenze femminili tra i dirigenti sportivi entro il 2005. Per quanto l’Italia sia ancora lontana da queste percentuali, tuttavia si avverte che i tempi sono maturi per un cambiamento, e proprio il medagliere “rosa” di questi ultimi giochi olimpici è una spinta ulteriore in questa direzione. I Giochi di Londra sono una riprova che dove le donne arrivano, vincono nell’immaginario della gente e il loro successo è da prima pagina.
FAIR PLAY MECENATE
Damiano Tommasi, in campo per i JPII Games 2011 a Gerusalemme
Da luglio Damiano Tommasi, presidente dell’Associazione Italiana Calciatori, è ufficialmente ambasciatore del Fair Play Mecenate. Il titolo è frutto dell’omonimo premio che gli è stato consegnato a Cortona dal presidente del Csi, Massimo Achini, a seguito del voto di una giuria nazionale composta da giovani ciessini di tutta Italia...
...Un modello
per i giovani
di Felice Alborghetti
U
no scudetto, il soprannome di “anima candida” che gli calza a pennello, e di recente ancora il titolo di ambasciatore del Fair-play. Ma cos’è il Fair-play per Damiano Tommasi? Il Fair-play dovrebbe essere la prima regola dello sport, dalla quale non si può prescindere. Qualsiasi risultato o prestazione perde di significato se non è accompagnata da un comportamento esemplare, e, quindi, da un modo di vivere lo sport sano, corretto e leale che sicuramente si riflette anche sulla quotidianità al di fuori dello sport. Tanti successi in carriera. Ma essere stato eletto da una giuria giovanile del Csi come modello da seguire è come un gol speciale? è una grande responsabilità che mi sento, oltretutto da genitore continuamente a confronto con i ragazzi che crescono. I giovani hanno bisogno, soprattutto in periodi come questi, di punti di riferimento stabili e positivi. Tradire le aspettative di chi ripone tanta fiducia e ammirazione sarebbe senz’altro una brutta sconfitta, al contrario, portare avanti valori e ideali positivi appoggiati dai giovani dà la sensazione di non essere da soli in questo cammino. 31
FAIR PLAY MECENATE
Come si possono “allenare” i calciatori ad un senso di responsabilità nei confronti dei piccoli. Nelle conferenze stampa, in campo e fuori, troppo spesso alcuni calciatori esagerano. In questo senso l’Aic cosa propone? è doppio il lavoro dell’AIC: il primo sul piano delle aspettative. Far capire ad un giovane che non basta essere bravi calciatori per essere presi ad esempio di vita. Giovani, spesso lontani dalla famiglia, che hanno magari sacrificato la scuola per dedicarsi alla carriera sportiva e sono, per questo, spesso sprovvisti degli strumenti per essere punti di riferimento nella vita dei più giovani. Il secondo piano di lavoro è rivolto, invece, ai calciatori per renderli consapevoli che il ruolo pubblico impone una formazione. Rendersi conto dei risvolti mediatici, nel bene e nel male, dei comportamenti dentro e fuori del campo è un primo passo. Il secondo è cercare di capire il difficile ‘lavoro’ di essere personaggio pubblico e terzo passo prendere atto che, a volte nostro malgrado, i calciatori sono esempio per molti ragazzi. Il CSI sta puntando decisamente sul rilancio della campagna per fondare “un gruppo sportivo in ogni parrocchia”. Cosa ne pensa e cosa suggerisce in tale direzione lei, che conosce bene l’oratorio? Fare sport in un ambiente sano, senza aspettative di successo o ambizioni di lauti guadagni è sempre più complicato. L’oratorio è senz’altro ambiente poco appetibile per quanti cercano gloria ma molto utile per quanti cercano lo sport. I nostri settori giovanili sono pieni di stranieri. Quale futuro per il calcio giovanile italiano? Non è solo la ricerca di talento a indurre i club a guardare oltre confine, ma anche la possibilità di fare affari con Paesi talvolta poco attenti a certi movimenti finanziari. L’interscambio culturale è motivo di ricchezza, se però i motivi sono diversi dal solo scopo sportivo alla lunga ne pagherà le conseguenze l’intero movimento. 32
Fair Play Mecenate: i premiati L’edizione del premio Fair Play Mecenate, si è tenuta per il settimo anno consecutivo nella splendida perla etrusca di Cortona. Ancora una volta grandissimi campioni dello sport di ieri e di oggi sono stati insigniti del prestigioso riconoscimento, non solo per le esaltanti prestazioni, ed i risultati ottenuti in carriera, ma anche per quei valori positivi come lealtà, simpatia e amicizia testimoniati con l’esempio nella vita.
Le 14 leggende olimpiche Il connubio del fair-play con gli allori olimpici ha unito in un grande abbraccio veri monumenti dello sport italiano ed internazionale. Dal mitico Raimondo D’Inzeo (sei podi olimpici nell’equitazione) al più giovane Matteo Tagliariol (oro nella spada a Pechino 2008). Nella scherma la sciabola di Michele Maffei ed il fioretto di Mauro Numa. Altre armi, quelle del tiro, centrano il fair play: Luciano Giovannetti (a volo) e Roberto Di Donna (a segno). Un tuffo in acqua con Novella Calligaris (3 podi olimpici) e di corsa sul tartan con la mitica sprinter polacca Irena Szewinska, il grandissimo Kip Keino e gli azzurri Gelindo Bordin e Fiona May. Che forza Vincenzo Maenza (due volte d’oro), premiato con l’intramontabile rumena Elisabetta Lipa (8 medaglie nel canottaggio) e il grande Igor Cassina, atleta capace di iscrivere il suo cognome nella storia della ginnastica, avendo ideato, brevettato e realizzato un “movimento” tutto suo.
Le altre 9 categorie Fuori i confini di Olimpia, Cortona ha celebrato altre categorie in concorso: Eugenio De Paoli, direttore di Rai Sport (categoria “Narrare le Emozioni”); la Nazionale italiana di Cricket si è aggiudicata la partita della “Lotta al Razzismo”. Atleta paralimpica (categoria “Lo sport oltre lo sport”) è stata l’ottima Giusy Versace. Sport e Solidarietà sono andate all’Associazione “Sport e Società - Progetto Filippide per l’autismo e le malattie rare SP.ES”. Il no-limits di Andrea Daprai ha conquistato invece la categoria “Sport e Ambiente”. Il campione di ciclismo Felice Gimondi in Toscana ha tagliato anche il traguardo della “Carriera nel Fair Play”. Giovanni Rana scelto per lo “Sport, Fair Play e comunicazione”. La denuncia di Simone Farina è stato anche nel Mecenate assoluto “Fair Play”. Con lui ha festeggiato anche Damiano Tommasi.
Cortona: il presidente del CSI, Massimo Achini, consegna il premio Fair Play Mecenate a Daminao Tommasi.
MUSEO DEL CALCIO
I
l treno dei desideri ci porta diretti a Coverciano, per vivere quel celebre “pomeriggio troppo azzurro” cantato da Paolo Conte. L’azzurro è quello delle maglie delle 4 nazionali azzurre laureatesi campioni del mondo, la maglia di Piola ricamata dalla mamma, quella di Grosso e Cannavaro, la pipa di Pertini, il pallone di Italia-Germania. I ricordi dell’Europeo del ’68, l’esaltazione del Mundial ’82. Tutto ciò è a portata di mano per il Csi. Il Csi ha infatti siglato un accordo con la Fondazione Museo del Calcio, il Centro di documentazione storica e culturale del gioco del calcio, situata all’interno dell’area del Centro Tecnico Federale di Coverciano (FI), che raccoglie i cimeli appartenuti ai grandi che hanno fatto la storia del calcio italiano, europeo e mondiale dal 1898 ad oggi. Gli oltre 800 metri quadrati della struttura ospitano, inoltre, una collezione di tipo multimediale che consente chi la visita di richiamare più di 48.000 fotografie digitalizzate e 800 spezzoni di filmati delle partite giocate dagli azzurri. Ed ancora è tutta da visitare la Sala Maglie storiche, la Bacheca dei palloni, la Sala dei gagliardetti. La visita al Museo del Calcio non rappresenta semplicemente un tuffo in un passato più o meno recente, ma una testimonianza viva e tangibile dello spirito che anima lo sport e chi ad esso ha votato la propria vita. Spiega infatti Fino Fini, direttore del Centro: “Non c’è persona nel nostro paese, non c’è via, stradina, paesino di montagna, che non abbia avuto a che fare nella sua storia personale o propria con il pallone. A Coverciano c’è la storia della Federazione Giuoco Calcio. Ogni oggetto va raccontato, spiegato, contemplato per ricordare e rivivere il passato azzurro. Tutto ciò è aperto al Csi e alle sue società sportive che volessero organizzare meeting”. Tra poco poi entreranno anche altri cimeli a Coverciano. “Sì. Il 13 dicembre a Palazzo Vecchio in Firenze, verranno premiati le new entry della Hall of Fame 2012. Ci sarà Zoff, Maldini, Van Basten, Trapattoni. Ognuno con un loro cimelio da offrire al Museo. Un’occasione da non perdere”.
Un pomeriggio troppo azzurro Memorabilia, cimeli, coppe, palloni, maglie storiche della Nazionale di Calcio. Per il Csi si aprono le porte del Museo del Calcio di Coverciano.
di Danilo Vico 33
PROGETTI
Adotta una squadra di Danilo Vico Le somme raccolte sul conto corrente nazionale CSI (codice IBAN IT72R0501803200000000111100 causale: “Adotta una squadra”), saranno assegnate dopo specifica valutazione del Comitato di Coordinamento per l’emergenza terremoto. Il tutto, sarà suggellato da incontri amichevoli, gemellaggi tra i soggetti coinvolti.
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l Csi ha lanciato la campagna di solidarietà 2012-2013, a sostegno delle attività sportive nell’area colpita dal terremoto. C’è l’affiliazione gratuita per le società sportive dei 103 comuni colpiti dal sisma. E una raccolta fondi nazionale per garantire lo svolgimento delle attività sportive, ricreative, aggregative nelle parrocchie e non solo. Un grande slancio solidale, sta accomunando l’Associazione da sud a nord, con un obiettivo unitario: il sostegno alla campagna nazionale “Adotta una squadra” in favore di chi fa sport nelle zone colpite dai terremoti del 20 e 29 maggio. Fin dai primi di giugno è operativo infatti il Comitato di Coordinamento Terremoto, formato dai sette Comitati (Bologna, Carpi, Ferrara, Mantova, Modena, Reggio Emilia e Rovigo) e dai tre Consigli regionali (Emilia Romagna, Lombardia, Veneto) coinvolti. Si riunisce mensilmente per verificare la situazione e per rendere esecutive ed efficaci le azioni di sostegno a favore della rete associativa sportiva, ricreativa, aggregativa locale. “Adotta una squadra” è la campagna di solidarietà promossa dal Csi per la stagione 2012-2013, che si indirizza a tutti i Comitati Csi, e per loro tramite alle Associazioni Sportive, Ricreative, Culturali, Parrocchie, Oratori. Ma anche, perché no, al mondo istituzionale, industriale, commerciale, sportivo, associativo, ricreativo con cui le strutture associative si confrontano ogni giorno.
PROGETTI
L’adozione è finalizzata principalmente ad una raccolta fondi che consenta a società sportive, gruppi, oratori messi alle corde dal terremoto di promuovere e far partecipare gratuitamente alle attività dei Comitati territoriali colpiti dal sisma i giovani atleti, in particolare agli Under 16. Cartoline, progetti e azioni di sussidiarietà Ogni comitato Csi ha ricevuto dopo l’estate un bel numero di cartoline promozionali per diffondere nelle società sportive la campagna “Adotta una squadra”. Oltre a questa, sono molte altre le azioni di sussidiarietà sviluppatesi per fronteggiare il dopo-sisma in Emilia. Tra queste l’accordo chiuso di recente con Limonta, per la realizzazione a Finale Emilia del nuovo stadio in erba sintetica, gravemente
danneggiato dalla presenza della tendopoli. Inoltre grazie al progetto “Un calcio al terremoto” ben 31 società di 10 comuni interessati, hanno invece ricevuto tra luglio e agosto 4.847 indumenti, forniti dalla generosità della Macron, azienda leader nell’abbigliamento sportivo e distribuiti dai volontari del CS Jacques Maritain, società ciessina modenese. Il monitoraggio dei danni subiti dalle società dei comitati di Modena, Carpi, Mantova, Ferrara, Reggio Emilia e Bologna ha raccolto un centinaio di schede. C’è stato poi il gol di Italia-Malta, l’11 settembre a Modena: la FIGC e l’AIC hanno devoluto oltre 200 mila euro per sostenere il progetto di riqualificazione del Centro aggregativo-sportivo a Posta di Mirandola, un luogo dove mediamente giocano mille ragazzi al giorno.
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ATTIVITà INTERNAZIONALE
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i Haiti si è molto parlato in occasione del terremoto del 2010, soprattutto perché le quasi 230.000 vittime hanno sbigottito il mondo, svelando una povertà impensabile per un paese situato in America centrale a due sole ore di volo dagli USA. Forte della collaborazione con la Fondazione Rava di Milano, della Fondazione N.P.H. di Haiti e della Danone International, il Csi è sceso in campo per giocare la partita della solidarietà e dell’impegno concreto. Con la Campagna nazionale di solidarietà 2011 il Csi ha ricavato venticinquemila euro, cui si è aggiunto il grosso impegno del Csi di Milano che ha raccolto vestiario e generi di prima necessità, inviando 3 super container. Non solo invio di beni: nei mesi di giugno, luglio e agosto, nell’isola caraibica si sono alternati alcuni operatori dell’Associazione. Un primo gruppo era costituito dal presidente Massimo Achini e da Davide Iacchetti, responsabile dei progetti internazionali del Csi, da Simone Ceruti della Danone Italia, da Elsa e Francesco; con loro si sono concretizzati i contatti col governo haitiano e la stipula di protocolli d’intento
per far nascere e gestire il Centro Sportivo Haitiano. Ha fatto seguito un secondo gruppo con Valentina e don Claudio, Massimo e Alberto, e poi Arianna, Federica, Giulia, Ivan, Ivano, Maurizio, Sara, col compito di dare la possibilità ai bambini del Foyer St. Louis N.P.H. (orfanotrofio) e ai bambini delle tendopoli e baraccopoli vicine, di praticare calcio, basket e pallavolo: un vero lusso da quelle parti. Con l’intento di togliere un numero sempre maggiore di bambini dalla strada si sono regalati intensi momenti di gioia ed importanti momenti educativi. Sia dal governo haitiano, come dai potenziali futuri allenatori, ma soprattutto dai volti e dai sorrisi dei tanti bambini incontrati, è giunto l’appello a continuare la presenza sportiva e non lasciarli soli. Difficile non riconoscere l’importanza che il Csi continui il cammino di accompagnamento e formazione anche di questi giovani. Non solo per dare aiuti economici, ma ancor più importante, per ricevere nuovi slanci e motivazioni da un popolo ricco nel cuore. Bene ha sentenziato Marcel Proust “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere occhi nuovi”.
Il CSI apre ad Haiti di Valentina Piazza
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ATTIVITà INTERNAZIONALE
Molto più che gemellaggio e solidarietà. Messe le basi per la nascita del Centro Sportivo Haitiano
“I bambini che vivono ad Haiti non sanno com’è il mondo. Ma lo sport è una lingua universale come la musica. La possibilità che offre il CSI a questi bimbi di lasciare Haiti per partecipare ad uno sport mondiale come il calcio, significa aprire la loro mente, la loro visione, i loro sogni. È molto importante perché significa invitare questi bambini a scoprire il mondo, a vivere un’esperienza che varrà molto di più di quanto un’istruzione universitaria possa mai dare loro. Perché saranno loro stessi a vivere il mondo”. Padre Rick Frechette (Sacerdote, Medico e Direttore dei progetti N.P.H. Haiti)
Haiti è uno dei Paesi più poveri del mondo: • il 56% della popolazione soffre di malnutrizione; • un bambino su 3 muore prima dei 5 anni di malattie curabili; • l’80% della popolazione vive con meno di 1 dollaro al giorno; • un bambino su 2 non va a scuola; • l’aspettativa media di vita non supera i 55 anni; • il 70 % della popolazione non ha un lavoro; • le infrastrutture, gli impianti fognari e elettrici, gli ospedali e le strade sono assenti o sono in condizioni disperate.
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GPN ATLETICA LEGGERA
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GPN ATLETICA LEGGERA
Consueto predominio nel medagliere del tartan per il comitato di Vicenza. A Castelnovo ne’ Monti (RE) 4 giornate di gare a gran ritmo, tra staffette, sprint, ostacoli, marcia, triplo e altri lanci, salti e corse.
è l’atletica dei record Grandi numeri per il 15° Gran Premio nazionale di Atletica Leggera, conclusosi a settembre in Emilia Romagna. Anche una cinquantina di atleti disabili fra i 1.068 in gara. Ben 28 i primati Csi infranti. I milanesi dell’Atletica Ravello vincono nella classifica generale per società.
di Nanni Basso
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entoventicinque presenze gare, con quasi cinquanta atleti impegnati. Tutti diversamente abili. Pienamente inseriti in un programma, quello del Gran Premio Nazionale Csi di atletica leggera che in tre giorni ha proposto più di 200 gare, dai bambini ai veterani, maschi e femmine, che hanno visto in pista e in pedana 1.060 atleti in rappresentanza di 93 società, appartenenti a una trentina di società di 10 regioni italiane. Un impegno organizzativo enorme (le presenze gara globali hanno superato quota 3.000), gestito di slancio da un gruppo di persone di anno in anno più affiatato, che ormai si muove quasi a occhi chiusi, sapendo che il risultato, al mezzogiorno della domenica, il momento del rompete le righe e dell’arrivederci, sarà quello sperato. Tutto collaudato e pianificato, ma le emozioni riescono a essere sempre nuove. Non solo per il continuo ricambio generazionale dei protagonisti, ma perché basta guardare tutti
quelli che vivono il Gran Premio in pista o in pedana o anche solo sugli spalti per leggere sui loro volti, l’emozione e la totale partecipazione, come se l’evento fosse unico e irripetibile. Quest’anno si è tornati per la terza volta a Castelnovo ne’ Monti, sotto la Pietra di Bismantova, in quell’Appennino Reggiano un po’ scomodo da raggiungere. Qui c’erano già stati, in passato, una campestre e un Gran Premio di atletica, quest’ultimo appena tre anni fa. Ma questa scelta ha un motivo speciale. è stato il modo, per il Csi nazionale, di far sentire il popolo dell’atletica vicino a quell’Emilia che nei mesi scorsi ha dovuto subire la prova tremenda di un terremoto che pareva non finire mai. Ed è stata la dimostrazione, da parte di Comitati, società e atleti emiliani della loro voglia di esserci. Come sempre, nonostante tutto, da protagonisti, sia con un’organizzazione locale impeccabile, sia con l’entusiasmo della società locale, il Castenovo ne’ Monti, fi-
nito due volte sul podio nelle classifiche di società. Un messaggio forte, da parte del Csi, l’aver portato in questa parte dell’Emilia il Gran Premio, molto gradito dalle amministrazioni locali, e che non è finito con l’ultimo atto della manifestazione: l’iniziativa “Adotta una squadra”, lanciata dalla Presidenza nazionale, potrà aiutare a far ritrovare a questa terra un’auspicata normalità. Nell’accoglienza di Castelnovo vanno messi in risalto, oltre alle pedane informatizzate, quei tabelloni elettronici che consentivano a tutti, anche dagli spalti, di seguire passo passo le varie “serie” delle corse sulla pista e tutti i lanci e i salti alle varie pedane. E di far sentire i partecipanti inseriti in un evento importante, come se si fosse alle Olimpiadi, o giù di lì. Oltre duecento gare in tre giorni, come detto, con le prove dei disabili inserite nel cuore della manifestazione. Non un mondo a parte, ma atleti veri, dal primo all’ultimo, come chi li ha preceduti o seguiti 39
PRIMO PIANO
in pista. Con la piacevole sorpresa della continua crescita, in termini numerici e di impegno, di questo gruppo ogni anno più folto. Onore al merito dei dirigenti che hanno saputo cogliere quanto possano valere per i ragazzi, manifestazioni come queste. Sei le società presenti: Il Dosso (Cremona), Fuorigioco (Mantova), Eventi Csi (Massa Carrara), Csi Lucca, La Marca (Treviso), Uras (Medio Campidano). I ragazzi disabili, dal primo all’ultimo, hanno gareggiato con l’incitamento continuo di tutto lo stadio: un pubblico che ha avuto, nei tre giorni di gara, diverse occasioni per esaltarsi. Non solo per i 28 record nazionali migliorati o per le centinaia di atleti
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che si sono succeduti sul podio, ma ogni singola prestazione è riuscita ad accendere l’entusiasmo. Figurarsi quello delle società che, dopo la messa (emozionante anch’essa, con il consulente nazionale, monsignor Paganini, a portare la parola del Vangelo nel bel mezzo della pista), sono finite sul podio delle tre classifiche. A partire dai milanesi del Ravello, vincitori della classifica assoluta (Memorial Becchi), dai ragazzi dell’Altopadovana (Vicenza), primi tra i maschi, e dalle ragazze dell’Atletica Varazze (Savona), che hanno trionfa-
to in campo femminile. Sul podio assoluto anche i padroni di casa del Castelnovo (secondi) e dell’Uso Castegnato Brescia (terzi); su quello maschile seconda la Due Ville (Vicenza) e terzo il Castelnovo; su quello femminile seconda l’Altopadovana e terzo il Cinque Stelle Seregnano (Trento). Ma sul prato, a festeggiare, c’erano tutti. E con ragione, perché tutti sapevano di avere vinto.
PRIMO PIANO
Classifica per società 2.045,0 1. ASD ATLETICA RAVELLO MI 1.608,0 RE 2. ATL. CASTELNOVO MONTI 1.516,0 3. USO CASTEGNATO BS 1.486,5 4. POL.BELLANO LC 1.481,5 TN 5. US 5 STELLE SEREGNANO 1.386,0 VI 6. POLISPORTIVA DUEVILLE 1.341,5 7. USD VILLAZZANO TN 1.303,0 SV 8. ATLETICA ALBA DOCILIA 1.274,0 9. ATL.CASALGUIDI PT 1.226,5 VI 10. CSI TEZZE SUL BRENTA 1.212,5 MI 11. ATL. CASSANO D’ADDA 1.195,0 VI 12. POL. SALF ALTOPADOVANA 1.141,0 13. GS LEONICENA VICENZA 1.132,5 14. POL. OLTREFERSINA TN 1.010,0 MI 15. ATL. TREZZANO IS. GANDHI 1.009,0 VR 16. ATLETICA VALPOLLICELLA 1.005,0 17. ATLETICA VARAZZE SV 907,5 18. CSI ATL. COLLI BERICI VI 876,5 19. US VILLAGNEDO TN 873,0 20. APD VALDAGNO VI
Medagliere per Comitato ORO ARGENTO BRONZO 28 35 53 Vicenza 24 21 23 Trento 22 26 20 Milano 16 9 18 Reggio Emilia 15 10 11 Savona 9 10 7 Como 4 2 5 Belluno 6 11 3 Treviso 2 3 3 Pisa 1 3 Medio Campidano 3
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GPN CICLISMO
Le due ruote CSI si fanno in 4 A Santa Fiora (GR), nella suggestiva cornice dell’Amiata, la tre giorni del 1° Gran Premio Nazionale di Ciclismo ha celebrato i campioni nella Crono, Mountain Bike, Cicloturismo e Ciclismo su strada. di Marcello Sala 42
GPN CICLISMO
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e pendici dell’Amiata e la Provincia di Grosseto si sono colorate di bandiere arancio-blu a fine settembre per assegnare a fine stagione le maglie scudettate del GP Nazionale di Ciclismo Csi che molti Comitati Italiani (Brescia, Roma, Grosseto, Viterbo, Latina, Forlì, Foligno, Cremona) hanno onorato schierando nelle diverse prove i migliori atleti delle varie specialità. Più di 150 i finalisti in bici. La prima prova è stata la Cronometro Individuale (riservata ai tesserati Csi), ha avuto inizio con la punzonatura all’interno della Piazza centrale di Santa Fiora (GR), quindi costituito il gruppo di 45 corridori in rappresentanza dei vari comitati Csi: viene effettuato il trasferimento in località Belvedere distante 17 Km, su un circuito ondulato. Apprestati gli ultimi ritocchi e posizionato il rilevatore, le partenze dei corridori distanziati l’un l’altro da due minuti. Non passano inosservati alcuni corridori altamente equipaggiati per affrontare la cronometro con biciclette munite di ruote reticolari, le leve del cambio posizionate al centro del manubrio e pure il casco allungato per tagliare meglio l’aria. Sabato 22 settembre la carovana si è sposta in località La Selva, per la prova di mountainbike. Il tracciato rispetto al 2011 è stato modificato e reso un po’ più pesante. Circuito di km 9,5 da ripetere 3 volte con all’inizio una salita cementatasterrata con un passaggio molto ripido che ha costretto i bikers ad affrontarlo addirittura a piedi. Scalata sulla collina e discesa nel sottobosco di castagni e aceri e robinia, passaggio in un prato per scollinare fin sotto al gonfiabile azzurro che scandiva i passaggi. Il percorso ha messo a dura prova non solo i muscoli dei bikers per il dislivello ma anche alcuni mezzi meccanici. Pranzo fugace e già le ruote devono rullare per effettuare la prova di ciclo passeggiata alla conquista del Monte Amiata. Partenza dalla Piazza del Comune di Santa Fiora, attraversamento di Abetina, Pietralunga, Piandicastagnaio e quindi strada che porta alla vetta del Monte Amiata. Dopo un breve sosta con ristoro il ritorno a Santa Fiora è arrivato dopo aver percorso 54 km. In serata cena organizzata dalla Proloco di Santa Fiora
con premiazioni. Domenica 23 settembre un centinaio i corridori che si sono sfidati nella prova in linea, percorso di 28 km da percorrere tre volte per tutte le categorie fatta eccezione per le donne alle quali erano riservati solo due giri. Percorso, spettacolare con salite e discese che non hanno niente da invidiare al circuito Pantani. Un dislivello di circa 1200 mt. I ciclisti vengono fatti partire in due gruppi distanziati di circa 3’, al passaggio del
primo giro il primo gruppo dei più giovani passa compatto, ma qui i campioni danno una drenata e conquistano il bandolo della matassa. Subito in fuga Cristian Nardecchia (Nardecchia Team) mette fra il secondo e il terzo cira 3’, che con il passare dei giri diventeranno circa 6’. Lo Junior ha vinto in 2h20’57”, davanti ai veterani Nicola Loda (Team Loda Millennium) e Giovanni Tiburzi (Borgosatollo Cycling).
Gara su strada Cognome CAIATI CONFORTI VOSSE GAROFALO NARDECCHIA CARLI NEGRO CEDRONI LODA
Cat. CAD DNA DNB GNT JUN SEN SGA SGB VET
Nome DOMENICO DENISE MONIKA DOMENICO CRISTIAN STEFANO GIUSEPPE DIEGO NICOLA
Società Sportiva GC LEONESSA 99 GC LEONESSA 99 TEAM B-MAD ASD FORHANS TEAM NARDECCHIA TEAM SPORTIVAMENTE NUOVA LARIANESE CENTER BIKE SPORTIVAMENTE
Cronometro Cognome NARDINI PICCINI CAIATI SCARCELLA CONSOLIDANI NEGRO CEDRONI FORESTI CONFORTI
Cat. VET GNT CAD JUN SEN SGA SGB DNB DNA
Nome PAOLO MASSIMO DOMENICO FABIO GIOVANNI GIUSEPPE DIEGO ROSANGELA DENISE
Società Sportiva ASD CONTI D’ANGELI SPORT & FITNESS GC LEONESSA 99 CICLI MONTANINI A. C ASD TEAM NEPI NUOVA LARIANESE CENTER BIKE SPORT & FITNESS GC LEONESSA 99
a
Campionato naz.le Mtb della consult Cat. DNB GNT JUN SEN SGA
Cognome VOSSE CAPERNA GUIDUCCI SEBASTIANELLI CRESCENTINI
Nome MONIKA FLAVIO ANGELO EMIGLIANO MARCO
Società Sportiva TEAM B-MAD MTB CLUB RIETI EXTREME BIKE ASD TEAM NEPI TEAM B-MAD
società) (Ordine di arrivo assoluto per
1 2 3 4
‘99 ASD GRUPPO CICLISTICO LEONESSA DI ROMA CA BAN DIT GC CIRCOLO UNICRE LI GS FRANCHI -VALCEL SPORTIVA…MENTE
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DANONE NATIONS CUP
Italia quinta al Mondiale di Danone
Credi nei tuoi sogni! A Varsavia ottimo risultato azzurro nel prestigioso torneo internazionale di calcio a 9 giovanile di Felice Alborghetti
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a brillato d’azzurro - Italia il Mondiale polacco della Danone Nations Cup. I reggini dell’Armando Segato-Promesse Viola, a Varsavia ai primi di settembre hanno infatti chiuso il torneo al quinto posto, ottenendo il miglior risultato dell’Italia nella storia della manifestazione. I calabresi, hanno ben figurato, chiudendo senza aver mai subito una rete su azione in tutto il torneo di finale. L’unica sconfitta per i reggini è infatti arrivata dal dischetto (5-4), agli ottavi di finale, contro quella Corea del Sud, che sempre di rigore, contro il Giappone, ha poi alzato al cielo la coppa. Imbattuti per merito del collaudato ed equilibrato 3-4-1 adottato dal mister Cassalia, ma soprattutto per mano dello spregiudicato e freddo portiere, Gigi Visciglia, premiato da Zidane, ambasciatore del torneo di calcio a 9, come migliore al mondo nel suo ruolo. “Sono soddisfatto - ha raccontato il 12enne numero uno di Corigliano - per aver chiuso imbattuto il Mondiale, parando anche un rigore all’Ucraina, ma ne avrei subiti volentieri molti, pur di alzare quella coppa”! E pensare che nel National Stadium, il super Gigi calabrese (foto a lato), anche contro la Corea del Sud nella miniserie da tre rigori, dopo i regolamentari, ha parato uno dei rigori decisivi, concedendo ad un compagno il match-point per la semifinale, fallito. Ad oltranza, la traversa ha quindi inchiodato i nostri ragazzi ad un passo
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dal sogno. Nessun gol invece, ma tanti sorrisi di gioia per la formazione di Haiti, allenata dal tecnico Csi Paolo Capozzi. La squadra formata dai piccoli orfani caraibici, in Polonia, grazie al progetto Danone per Haiti, dopo gli allenamenti estivi, ha chiuso il torneo al 32° posto mondiale, eletta da tutti come squadra simpatia.
“Credi nei tuoi sogni” è il motto della Danone Nations Cup. Un sogno che si realizza davvero, vestendo una divisa da campioni, scendendo in campo in un prestigioso stadio internazionale per vivere le gesta dei più grandi, in una dimensione speciale fatta di fair play, socializzazione e ovviamente tanto divertimento. è questa la Danone Nations Cup, il torneo internazionale di calcio a 9 per bambini tra i 10 e i 12 anni che, dal 2000 ad oggi, coinvolge ogni anno oltre due milioni e mezzo di piccoli atleti in tutto il mondo.
DANONE NATIONS CUP
Dal 2013 la DNC cambia formula! Decolla il “Campionato CSI Under 12 – Danone Nations Cup” A partire dall’edizione 2012/13 Danone diventa partner dei Campionati Nazionali Giovanili Under 12 di calcio del Centro Sportivo Italiano, creando un connubio tra di essi e la Danone Nations Cup 2013, fin dalle loro prime fasi. In questa prima edizione, “grado zero” della manifestazione, Danone sosterrà i campionati dando la possibilità alla squadra vincitrice della Finale Nazionale di partecipare alla Finale Internazionale della Danone Nations Cup 2013. Saranno coinvolti nel progetto i comitati CSI di Ancona, Bari, Bergamo, Genova, Macerata, Milano, Napoli, Padova, Reggio Calabria, Roma, Sassari, Teramo, Torino, Venezia, il Coordinamento territoriale Emergenza per il terremoto e la regione Sicilia. Concluso il Campionato territoriale e definite le squadre ammesse alla fase successiva, avranno luogo le “Final Ten”: dieci finali provinciali o regionali che definiranno le squadre partecipanti alla Finale Nazionale. La squadra vincitrice del campionato nazionale conquisterà così il diritto di rappresentare l’Italia alla Finale Internazionale della DNC, che si svolge ogni anno in uno dei più prestigiosi stadi del mondo. La Finale è preceduta da due giornate di qualificazione, in cui i ragazzi hanno la possibilità di incontrare coetanei provenienti da oltre 40 Paesi ed effettuare divertenti attività a bordo campo. 45
CAMPESTRE
impossibile? domandalo a loro... Dopo le Paralimpiadi un’altra straordinaria risposta l’hanno data i campioni protagonisti nelle 10 piazze della Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico. Cecilia Camellini, Oscar De Pellegrin, Martina Caironi, Oxana Corso. L’11 ottobre ancora una volta il cuore ha illuminato lo sport. La soddisfazione del presidente Pancalli
di Felice Alborghetti
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traordinario successo per la settima edizione della Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico. L’evento, realizzato con la partnership di Enel Cuore Onlus, ed con la collaborazione, un po’ ovunque, del Csi si è svolto in dieci città italiane (Roma, Milano, Mirandola, Cagliari, Assisi, Montevarchi, Ragusa, Pescara, Caserta, Brindisi) ed ha visto il coinvolgimento di migliaia di ragazzi degli istituti scolastici, che hanno popolato le piazze, cimentandosi nella pratica di ogni tipo di sport. Una presenza, festosa, quella delle scolaresche, che ha testimoniato anche quest’anno il successo di una manifestazione che punta sui giovani per diffondere i veri valori della pratica sportiva. Un grande momento di sport e di aggregazione, quello vissuto in contemporanea l’11 ottobre in Italia, ed un’altra grande vetrina per lo sport dei disabili, susseguente alla straordinaria avventura degli azzurri alle Paralimpiadi Londra 2012. Come nella grande kermesse a 46
cinque cerchi la Gironata è stata seguita in diretta su Sky Sport HD: uno strumento comunicativo efficace per promuovere un’immagine positiva della disabilità sportiva in Italia. Nel corso della Giornata gli studenti delle scuole hanno avuto la possibilità di conoscere e praticare le discipline paralimpiche in un momento di integrazione senza competizione. Molte le discipline presenti: atletica leggera, basket e minibasket in carrozzina, pallacanestro per disabili mentali, tennis e tennis-tavolo, adaptive rowing, hockey, scherma, tiro con l’arco, torball, bocce, tiro a segno, tiro con l’arco, calcio a cinque, show down. La Giornata Paralimpica ha raggiunto l’obiettivo di avvicinare i ragazzi disabili e le loro famiglie alle discipline atletiche, a conferma che lo sport è portatore di valori quali l’inclusione e l’integrazione. Nello sport ognuno può esprimere la propria attitudine, talento e abilità senza distinzioni, perché la disciplina sportiva è per tutti.
In ognuna delle città coinvolte sono stati presentati vari progetti di sport integrato, cui hanno partecipato oltre 30mila studenti. La Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico ha, nel corso degli anni, prodotto ottimi risultati: dall’anno della prima edizione, il numero dei tesserati delle federazioni e delle discipline paralimpiche riconosciute dal CIP è cresciuto di circa il 20 per cento. Un risultato che è stato possibile grazie al coinvolgimento dei giovanissimi e delle scuole. Testimonial della Giornata è stato Alex Zanardi, pilota e ciclista paralimpico, vincitore di due medaglie d’oro e una d’argento alle ultime Olimpiadi di Londra. Nello scatto fotografico è in trionfo sulla sua bici. Il titolo “a volte per rialzarsi in piedi non servono le gambe”, è un omaggio alla forza di volontà, sua e di ogni atleta diversamente abile che grazie allo sport può superare qualunque ostacolo e raggiungere i traguardi più straordinari, in pista come nella vita.
GIORNATA PARALIMPICA
L’oro di Londra? L’ultima riga di una favola
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ellissimo incontrare tanti giovani in piazza del Popolo e vederli toccare con mano il nostro sport. Un movimento è in forte crescita. Insieme alle immagini di Londra, sempre più gli atleti vengono valutati non più per l’aspetto esteriore ma per le loro grandi imprese. Magari un giorno si potrà parlare di campioni senza distinzioni. Londra? Un ricordo indelebile. Era la mia ultima chance olimpica, caricato dall’onore di essere il portabandiera azzurro. Puntavo al podio ed arrivare alla medaglia d’oro è stato l’ultima riga di una favola. Sensazioni che augurerei a tutti quelli che fanno sport. Quali frecce ha un disabile sportivo nel suo arco? Anzitutto sapere che attraverso lo sport puoi rivalutare la tua vita ed è fondamentale il riscatto. Poi scelgo tre frecce dei valori: l’impegno, essere leali, e rispettare sempre gli avversari nella faretra. Mi trovai a 18 anni in carrozzina, per un incidente con il trattore, mentre lavoravo nell’azienda di famiglia. Prima il tiro a segno, poi atletica, tennis, e infine tiro con l’arco. Ho scoperto che uscivo di casa, di poter essere in contatto con la gente, l’ho definita una parentesi di sport-terapia. Grazie all’attività sportiva ho iniziato ad accettare la mia condizione. Ho trovato gli stimoli. Trenta anni fa era molto diverso da oggi lo status di disabile. So che il Csi sta vivendo la stagione dal motto “Giocare per credere” e promuove eventi all’insegna dell’integrazione fra normodotati e atleti con disabilità. Mi piace. Il gioco fa parte dello sport per credere in qualcosa di grande: arrivare ad essere campioni o anche solamente riuscire ad essere partecipi nella nostra società. Un messaggio fantastico; dare tutto sè stessi per non fermarsi. Nello sport come nella vita ci sono alti e bassi, periodi in cui va tuto bene o male, ma in questi momenti ultimi non ci si deve arrendere. Occorre credere. Fare sport integrato è da visionari del futuro. Siamo atleti alla pari, solo l’aspetto esteriore è diverso. Lo sport unisce, senza distinzioni. Penso al tiro con l’arco, forse l’unica disciplina dove in carrozzina si può andare alle Olimpiadi senza deroghe. Penso a Paola Fantato ad Atlanta (gareggiò sia alle Olimpiadi, sia alle Paralimpiadi ndr). Per noi arcieri vale solo la prestazione, tirare la freccia nel bersaglio e possiamo competere al pari di chi tira in piedi. Rio 2016? Mi piacerebbe che a portare la bandiera tricolore sia un atleta giovane, che, magari a Londra abbia partecipato per la prima volta, trovando ottimi risultati. Credo che Cecilia Camellini sia la persona adatta: è giovane, bravissima ha una mentalità da atleta agonistica, sa trasmettere valori positivi. Deve e può essere una seria candidata, anche se sarà il futuro presidente a decidere. 47
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