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Toile Ocean di Fontana Grafica
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<GRANDANGOLO>
FONTANA GRAFICA PRESENTA TOILE OCEAN,
LA PRIMA TELA DA RIVESTIMENTO REALIZZATA CON PLASTICA RACCOLTA NELL’OCEANO
Toile Ocean, la nuova tela entrata a far parte della collezione di Fontana Grafica, è stata sviluppata dalla Winter & Company insieme alla società Tide Ocean SA, specializzata nella raccolta e nella valorizzazione della plastica degli oceani in un premiato processo di upcycling. La tela è infatti realizzata con plastica raccolta dall’oceano, compressa in un granulato, filata, tessuta e poi spalmata con acrilico a base d’acqua. Per ogni 1.000 m² di Toile Ocean vengono riciclate più di 5.000 bottiglie di PET da 0,5 l. Un prodotto naturalmente screziato particolarmente indicato, grazie alla sua durevolezza, per il rivestimento di copertine di libri, porta menù, articoli di cartoleria come i taccuini e anche per la realizzazione di premium packaging, cartellini pendenti e shopping bag di pregio. Toile Ocean è stata già testata per la stampa in offset su Heidelberg XL 75 – 5 colori (tradizionali) e può, inoltre, essere nobilitata in serigrafia e stampa a caldo. È disponibile in 6 colori ispirati all’universo marino.
CLARINS IL BELLO, IL BUONO, L’AMBIENTE
di MARILDE MOTTA
ENGLISH VERSION C pg. 84
Cosmetici nati per coniugare bellezza e benessere. Clarins si differenzia dalla concorrenza anche per sostenibilità ambientale, attenzione alle persone, ricerca scientifica. Ce ne parla Marie-Hélène Lair, direttore dell’innovazione responsabile di Clarins
Quella di Clarins è una storia, nel mondo della cosmesi, iniziata a Parigi nel 1954 e cresciuta fino a raggiungere una dimensione internazionale con la presenza in 150 Paesi. Un successo a cui dà il via Jacques CourtinClarins con la sua innovativa idea di una cosmesi imperniata sulla bellezza e benessere. Un binomio inscindibile che guiderà tutte le scelte successive di responsabilità verso le persone e l’ambiente, di amore per le materie prime naturali e bio. Clarins è ancora oggi guidata dalla famiglia Courtin-Clarins, i cui membri sono impegnati nel dare ogni giorno valore concreto all’héritage e ad attualizzare le strategie in un mondo sempre più sfidante che richiede innovazione permanente e sincera attenzione all’ambiente. La scelta di rivedere il packaging, senza cambiarne gli elementi iconici così fortemente identificativi, ha dovuto necessariamente aprire nuove vie per trovare soluzioni creative ed efficienti che Marie-Hélène Lair ci spiega.
Quali sono le istanze sociali e ambientali che hanno convinto Clarins a cambiare il packaging per cosmetici e profumi?
Le modifiche al packaging che abbiamo pianificato sono in linea con la nostra visione di corporate social responsibility “rendere la vita più bella e costruire un mondo migliore”. Risistemare l’esterno degli astucci, ridurli, scegliere materiali da fonti rinnovabili, integrare materiali riciclati, ideare un nuovo sistema di ricarica nelle boutique. Il packaging di Clarins è soggetto alla ricerca costante e all’innovazione permanente finalizzate a ridurre l’impronta ambientale al minimo strettamente necessario. Per andare ancora oltre, Clarins si impegna a raggiungere la “plastic neutrality” entro il 2025. Questo obiettivo ambizioso si fonda su un principio simile al “carbon neutrality” (ndr: compensazione fra l’emissione di gas serra e il loro riassorbimento). Per il Gruppo si tratta di realizzare nuovi programmi di riciclo e neutralizzazione insieme a una riduzione del 30% di impiego della plastica.
Come è organizzata la vostra supply chain per assicurare che, a ogni livello, il packaging si conformi ai criteri di sostenibilità?
Clarins ha rinforzato il suo programma per sostenere i propri fornitori più importanti utilizzando una piattaforma di valutazione sviluppata da Ecovadis. Questo riguarda oltre il 90% degli acquisti fatti dalla sede direzionale. Lo scopo non è solo quello di assicurare che la società lavori con partner che condividono gli stessi valori e visione, ma è anche volto ad aiutare coloro che cercano di fare progressi e vogliono mettere in comune conoscenza e buone pratiche.
Quattro filiali sono state coinvolte in questa ricerca nel 2019: Messico, Svizzera, Cina e Giappone. L’obiettivo è di estendere questo sistema a tutte le filiali e di adottare la policy di acquisto del gruppo per minimizzare la soglia relativa alle quattro aree della CSR: ambiente, etica di business, diritti umani e acquisti responsabili.
Quali sono i punti di svolta?
Da diversi anni Clarins ha adottato idee di sviluppo ecologico e le include in ogni progetto di nuovi imballaggi. Nel 2019, il Gruppo ha messo a punto uno strumento interno chiamato “Pack Score” che, come il “Green Score” per gli ingredienti e le formulazioni, rende possibile valutare e comparare differenti idee di packaging per uno stesso prodotto. L’obiettivo è di migliorare continuamente il 100% dei nuovi progetti in base a 8 criteri di eco-sviluppo: il materiale e il suo impatto, la percentuale di materiale riciclato, leggerezza, massa, elementi decorativi, semplicità della confezione, considerazioni sul fine-vita e livello di resa della formula. Questa attività aiuta a fare della visione del Gruppo una realtà: ridurre l’uso di risorse, incrementare l’ammontare di materiali riciclati da impiegare e sviluppare confezioni riciclabili. Questo approccio è globale. Favorisce i materiali responsabili (il cartone esterno e quello ondulato sono ricavati da foreste gestite in modo sostenibile), vengono ridotti peso e volume (eliminazione di divisori e inserti), si ottengono contenitori più leggeri (utilizzo di materiale riciclabile e riciclato). Stampando l’interno della confezione e/o aggiungendo un QR-code possiamo eliminare foglietti illustrativi e risparmiare ulteriore carta. Le nuove idee di packaging sono sempre studiate con i fornitori così da usare meno risorse, ma anche sviluppare nuovi modi di ricarica dei prodotti. Dal 2012 tutti i contenitori in vetro usati da Clarins contengono almeno il 25% di vetro riciclato. Abbiamo alleggerito i contenitori in vetro di circa 12 gr. Dal 2019 tutti i nuovi packaging in plastica devono includere plastica post-consumer riciclata. L’impegno del gruppo è di raggiungere il 100% di packaging riciclabile entro il 2025 favorendo un approccio certo all’eco-sviluppo: il minimo numero possibile di materiali diversi, facili da riciclare e che possono essere semplicemente separati dai clienti per facilitare lo smistamento quando il prodotto è finito.
Pensa sia necessario un richiamo alla razionalità quando ci si rivolge ai clienti per spiegare i cambiamenti nel vostro packaging?
In Clarins amiamo ascoltare i clienti e lo facciamo costantemente fin dalla nostra fondazione nel 1954. Noi sappiamo che i nostri fedeli consumatori vogliono conoscere maggiori dettagli circa le nostre formulazioni e le confezioni. Stiamo ottimizzando la nostra comunicazione digitale, immettendo ancora più dati nel sito www.clarins. com circa gli ingredienti e le confezioni (materie prime, programmi di ricarica, riciclabilità).
Quale pensa sia l’ottimale dimensione dei contenitori delle diverse categorie di cosmetici e profumi?
Tutti i nostri prodotti sono disponibili in diversi formati adatti anche per sampling e per viaggio. In Clarins vogliamo offrire ai clienti la dimensione del prodotto adatta alle loro esigenze di utilizzo quotidiano.
Via smartphone è facile beneficiare di soluzioni online, quali programmi ha Clarins?
In Clarins abbiamo già sviluppato, prima della crisi pandemica, molti giochi, tutorial, o metodi di applicazione, disponibili sullo smartphone via QR-code. Stiamo sviluppando sempre più risorse per divulgare online il nostro approccio olistico come per esempio i gesti di applicazione per incrementare l’efficacia delle nostre formule skin-care, ma anche consigli lifestyle legati alla corretta alimentazione, o esercizi fisici per star bene.
Nel 2019 il Gruppo ha messo a punto uno strumento interno chiamato “Pack Score” che rende possibile valutare e comparare differenti idee di packaging per uno stesso prodotto.
Il canale profumeria e le sfide ambientali del packaging
La ricerca sta trovando soluzioni intelligenti: packaging fatti con alte percentuali di materiali riciclati, confezioni refillable che hanno una lunga vita, contenitori che esprimono una dimensione razionale, in rapporto con l’effettiva possibilità di consumo evitando sprechi. Con i centri di ricerca si sperimentano materiali sostenibili, interamente riciclabili. Il packaging design è attento ad assemblare un numero ridotto di componenti, così diviene più facile la raccolta differenziata e il recupero dei singoli materiali. Con Luca Catalano, presidente di Cosmetica Italia in Profumeria, scopriamo quanto la sostenibilità sia un requisito irrinunciabile per tutto il settore. Il comparto cosmetico è infatti impegnato verso la sostenibilità dell’intera filiera: ingredienti, formulazioni, logistica, processi produttivi, trasporti e ovviamente il packaging che è l’anello centrale di tutta la filiera.
Riciclare, riusare, ridurre sono termini che ricorrono nelle politiche di ridefinizione del packaging. Come sono applicate?
Sostenibilità è la parola d’ordine di tutte le aziende, ogni brand ha il suo programma; a mio parere entro 5 anni tutte le marche vanteranno prodotti, formule, trasporti e packaging sostenibili. La vera sfida per l’industria e la distribuzione sarà essere sostenibili con le persone, non si potrà dire di essere sostenibili se al centro di tutti i processi non ci sarà l’uomo. Credo fortemente che la sostenibilità debba partire dal benessere dell’individuo: questa è la prima azione che devono fare tutte le aziende che vogliono vantare una sostenibilità a 360 gradi.
Il canale profumeria è ancora importante, in particolare cosa ricerca la clientela?
Il consumatore ricerca prodotti esclusivi di marca, di qualità al giusto prezzo che non è necessariamente basso, deve valere ciò che costa. Il cliente ricerca anche il servizio a 360 gradi, quindi la consulenza sul prodotto, un assortimento adeguato in funzione di una scala di prezzi e servizi aggiuntivi come il nail bar, la cabina e in taluni casi il parrucchiere.
Quali cifre esprime il canale profumeria in Italia?
Bisogna fare una distinzione fra prima della pandemia e oggi. C’è stata una contrazione significativa, l’asse che ha sofferto di più è stato il make-up. Non solo per via della mascherina, ma anche lo stare tanto in casa in funzione del telelavoro. Però va segnalato che negli ultimi 5 anni il mercato si è arricchito di private label lanciate da note catene di profumeria e di marche esclusive (ossia quelle che vengono date a una sola insegna) che non esistevano in Italia: parliamo di circa 100 nuove marche ogni anno. Va detto che per la prima volta la Farmacia ha superato la Profumeria, anche se è stato un sorpasso dato da una minore perdita che evidenzia una resistenza del canale all’impatto della pandemia. Quello che è letteralmente esploso con grandi numeri è stato il “fai-da-te” delle tinte e della cura dei capelli.
RECUBE, L’IMPEGNO DE LA CARTOTECNICA FOSSALUZZA
PER UNA BELLEZZA SOSTENIBILE E CERTIFICATA
SSuperare il compromesso tra bellezza e sostenibilità. È questo l’obiettivo che si è posta La Cartotecnica Fossaluzza quando ha cominciato il percorso di creazione di ReCUBE: uno straordinario catalogo di applicazioni di stampa a caldo su supporti cartacei che dimostra come le nobilitazioni possono essere ecocompatibili e certificate, non impattando in alcun modo sulla riciclabilità degli stampati di carta, anche i più pregiati e lussuosi. Ma ReCUBE è solo l’ultimo capitolo di un’azienda che ha fatto della qualità un vero e proprio culto. L’ARTE DELLA STAMPA A CALDO La Cartotecnica nasce nel 1988 a Carbonera (TV) dai fratelli Andrea e Roberto Fossaluzza che fondano l’azienda sulle solide basi della legatoria di famiglia, fondata dai loro genitori nel 1966. Anno dopo anno La Cartotecnica ha portato avanti un processo di ricerca, sviluppo e innovazione; dal libro al prodotto cartotecnico, l’azienda si è affermata come uno dei principali riferimenti del settore in Italia e non solo. Tra le produzioni di punta compaiono cofanetti, scatole e custodie pregiate, dalle forme e meccaniche innovative, che esaltano la brand identity e il pensiero creativo dei clienti più prestigiosi. E così pure le soluzioni per raccoglitori, espositori, mattonelle e greeting card e tutto ciò che accompagna, a partire dalla carta, la comunicazione e l’affermazione dell’immagine di marca nel mondo del lusso. Il prestigio delle lavorazioni si esprime pienamente grazie alla nobilitazione, di cui LCF ha fatto un’arte: stampa a caldo, rilievi e bassorilievi sia con applicazioni di foglia colorata sia a secco, ottenuti con materiali e strumenti raffinati conferiscono prestigio a ogni stampato e restituiscono effetti sensoriali unici e sorprendenti. L’IMPEGNO PER UN FUTURO SOSTENIBILE Dopo oltre 30 anni di specializzazione nella stampa a caldo, LCF ha fatto un passo ulteriore per sviluppare soluzioni innovative per un futuro sostenibile. Per questo ha avviato un progetto di sviluppo e ricerca volto a validare il processo produttivo e i materiali con analisi di laboratorio: il risultato è la possibilità di garantire il rispetto della riciclabilità dell’intera filiera, rilasciando la certificazione di conformità Metodo Aticelca® 501 UNI 11743. «Sebbene il packaging eco friendly rappresenti oggi anche uno strumento di marketing, la sostenibilità per noi non è una moda, ma un tema globale e un impegno che ci riguarda da vicino: riciclare non fa rima solo con carta ma con l’ intero ciclo produttivo di uno stampato», dicono Andrea e Roberto Fossaluzza,
titolari di LFC. Il Metodo Aticelca® 501 UNI 11743 determina il livello di riciclabilità di materiali sottoposti a prove di laboratorio, assegnando una classificazione crescente su 4 livelli, dalla “C” alla “A+”. Grazie alle nobilitazioni LCF è quindi possibile dichiarare la riciclabilità direttamente sul prodotto, inserendo la marcatura “Riciclabile con la carta – Aticelca® 501 UNI 11743”. La creazione di ReCUBE è l’espressione della filosofia sostenibile dell’azienda: un impegno che si esprime nell’attenzione all’intero ciclo di vita di uno stampato. Con ReCUBE, LCF dà forma e sostanza alla creatività e alle infinite potenzialità espressive della stampa a caldo sostenibile. «Con ReCUBE abbiamo studiato e lavorato per dare il nostro contributo e riuscire a certificare come riciclabili con la carta anche le nostre preziose finiture, abbattendo il compromesso tra il bello e l’ecosostenibile» proseguono Andrea e Roberto Fossaluzza. «Stiamo investendo in ricerca di nuovi materiali e sviluppo di nuove soluzioni per il futuro della nostra professione, ma anche nell’ottimizzazione dei nostri processi produttivi e di approvvigionamento, incontrando la crescente domanda di consumatori sempre più responsabili».
COME È FATTO RECUBE
ReCUBE è un contenitore a forma di cubo con cassetto, realizzato in cartone grigio da 2.5 mm e rivestito con carta nera ICMA Wood da 170 gsm, con piega a 90°. Al suo interno, vi sono 10 tessere a soggetto naturalistico, ciascuna impreziosita da una particolare nobilitazione: “ACERO”, per esempio, è una stampa a caldo a 2/0 colori con rilievo su cartoncino Freelife Merida Kraft (Fedrigoni) da 280 gsm; per FELCE è stato scelto il cartoncino Natural Evolution da 280 gsm (Gruppo Cordenons) per una stampa a caldo 4/0 colori e rilievo in contemporanea; PIOPPO invece è realizzato su Sirio Color Iris (Fedrigoni) da 290 gsm, stampato a caldo in 2/colori con cliché strutturato e plastificazione opaca riciclabile. ReCUBE è stato sottoposto a test di riciclabilità secondo il metodo Aticelca® 501 UNI 11743 , ottenendo il grado A, quindi uno dei più alti livelli di riciclabilità. Insieme a ReCUBE, La Cartotecnica Fossaluzza ha messo a punto anche una mazzetta di colori per la nobilitazione riciclabile certificata, indispensabile strumento operativo che contiene tutte le referenze colore disponibili per impreziosire e nobilitare stampati e packaging realizzati con supporto cartaceo nel segno dell’ecosostenibilità.
UUn beauty sempre più eco-friendly. Non solo nel contenuto, ma anche nel contenitore. Il percorso verso un packaging green e biodegradabile, dando l’addio alla plastica – ma anche puntando allo “zero rifiuti” – è diventato quasi obbligato per l’industria della cosmetica. Dai grandi marchi internazionali alle start up del settore sia italiane, sia estere e comunque presenti nel nostro Paese. Un percorso condotto con partner di riferimento come le aziende di stampa e in particolare le cartotecniche, perché la sostenibilità passa da una parte dallo sviluppo di nuovi materiali con materie prime rinnovate e rinnovabili, e dall’altra proprio da un innovativo utilizzo di carta e cartoncino. È il caso di Teaology, un nuovo brand che oltre all’innovazione di prodotto ha scelto fin dall’inizio anche un packaging green. Teaology è stata fondata, partendo dal grande amore per il tè, nel 2016 da Cecilia Garofalo, che ha dato forma e sostanza a una linea di skincare che del tè esaltasse tutte le straordinarie qualità attraverso un brevetto esclusivo. Garofalo ha investito i suoi studi in economia e la sua professionalità, maturati in tanti anni di attività nel marketing di importanti multinazionali della bellezza, per materializzare il proprio sogno. «Con Teaology – racconta – abbiamo portato l’uso del tè a un nuovo livello per offrire i vantaggi di uno skincare efficace, pulito e sostenibile». Una sostenibilità che non poteva non riguardare anche il packaging di questo nuovo brand della cosmetica le cui linee di prodotti oggi sono distribuite in oltre 25 Paesi al mondo attraverso profumerie selettive, department store e l’e-commerce. Il brevetto (Tea Infusion Skincare) che sta alla basa del successo di Teaology, aggiunge la fondatrice dell’azienda che ha il quartier generale a Monza, «è una tecnologia unica che permette di utilizzare vero infuso di tè nelle formule cosmetiche al posto dell’acqua». L’attenzione alla salute della pelle e in generale al benessere dell’organismo quando si utilizzano i cosmetici si traduce nella scelta dei tè biologici più adatti (nero, bianco, matcha, verde, blu) da inserire in ogni prodotto in base ai principi attivi. Un’offerta che ormai comprende numerose linee, dalle creme per il corpo ai profumi, dalla cura degli occhi a quella del viso, dalle maschere per viso e collo alla Yoga Line. E prodotti che già sono diventati, sia per il contenuto, sia per il packaging, delle icone, come il Green Tea Detox Face Scrub, una crema-burro esfoliante detossinante, il Matcha Tea ultra firming face cream, tonificante, ridensificante e idratante, il Bancha Oil, un concentrato antiossidante, nutriente e illuminante con il 99% di ingredienti di origine naturale, l’Happy Skin balsamo di bellezza multifunzione e il Peach Tea Hydra cream, una crema viso con infuso di Tè Blu, acido ialuronico e prebiotici levigante e illuminante. Prodotti sostenibili che richiedono imballaggi altrettanto ecofriendly. «Crediamo nell’importanza del riciclo e della raccolta differenziata – spiega Cecilia Garofalo – per questo ci impegniamo a usare imballaggi il più possibile riciclabili e in monomateriale per semplificare lo smaltimento. Quindi scatole e imballi sono 100% riciclabili e realizzati con carte certificate, provenienti da foreste gestite in maniera responsabile, prive di acidi e metalli pesanti. Anche per i contenitori di plastica l’approccio è quello del 100% di riciclabilità, e preferiamo quindi contenitori realizzati con materie prime di origine vegetale come gli
Il brevetto (Tea Infusion Skincare) che sta alla basa del successo di Teaology è una tecnologia unica che permette di utilizzare vero infuso di tè nelle formule cosmetiche al posto dell’acqua.
scarti di lavorazione della canna da zucchero e a ridotta emissione di CO2. La totale riciclabilità riguarda anche i contenitori di vetro mentre, nel caso in cui il tipo di materiale non sia ancora riciclabile, lo evidenziamo nella sezione ‘come riciclare’ presente sul nostro sito». Il settore della cosmetica sta puntando, sempre nell’ambito della salvaguardia dell’ambiente, non solo alla riciclabilità del packaging ma anche a ridurne il più possibile la presenza. «Sul fronte dell’overpackaging – prosegue Garofalo – abbiamo eliminato i foglietti illustrativi nelle confezioni, risparmiando così oltre 500 kg di carta all’anno. Ma abbiamo eliminato anche gli accessori superflui e non riciclabili come spatoline di plastica e pennelli. In generale il materiale di imballaggio dei prodotti è ridotto al minimo: questo permette di utilizzare minor quantità di materie prime e di diminuire l’impronta energetica necessaria alla produzione, al trasporto e quindi allo smaltimento». Per la cosmetica non sempre è stato possibile, e lo è ancora, coniugare un packaging green con la conservazione nel tempo del contenuto, a partire dalla salvaguardia dei principi attivi. «Le risorse naturali sono limitate e vanno preservate, la scienza offre un’alternativa sicura per evitare lo sfruttamento incontrollato di materie prime preziose per il pianeta e per la vita dei suoi abitanti» dice ancora Cecilia Garofalo. «Siamo convinti che la scienza sia una risorsa indispensabile per una cosmetica efficace, sostenibile e pulita. Un imballaggio sostenibile deve soddisfare una serie di requisiti: conservazione sicura del prodotto, essere prodotto con materiali sostenibili e poter essere riciclato quando avrà portato a termine il suo compito. Per questo continuiamo a ricercare con i nostri partner e fornitori – aziende italiane specializzate nel settore cosmetico e attive, anche per quanto riguarda la stampa e la cartotecnica, nella ricerca di soluzioni innovative e materiali sostenibili – packaging di primo e secondo livello che rispondano in pieno a questi requisiti». Qualche esempio ben riuscito di questo binomio tra sostenibilità del packaging e conservazione adeguata del prodotto? «Per esempio – dice Garofalo – Matcha Pore cleansing stick. La sua formula 3 in 1 richiede un packaging particolare con riempimento dal fondo e a tenuta. Lo stick è in monoma-
Preferiamo contenitori realizzati con materie prime di origine vegetale come gli scarti di lavorazione della canna da zucchero e a ridotta emissione di CO2.
teriale, si ricicla completamente nella plastica facilitando la raccolta differenziata e lo smaltimento. È in polipropilene 100% riciclabile, un materiale eco-responsabile perché limita l’impatto ambientale e allo stesso tempo garantisce una perfetta sicurezza in termini di igiene e conservazione del prodotto». Un altro esempio di packaging sostenibile buono per la pelle e per l’ambiente? «Il Green Tea Mist ha come contenitore una bombola in alluminio riciclabile caratterizzata dalla tecnologia aerosol Bag on Valve. Il BoV è costituito da una valvola a cui è saldato un sacchetto. Il prodotto viene inserito all’interno del sacchetto e come propellente viene utilizzata semplice aria compressa e nessun gas infiammabile. In questa condizione il prodotto si mantiene integro e puro poiché rimane sempre separato dal propellente. Quindi possiamo parlare di tecnologia zero sprechi perché permette l’ottimale svuotamento del prodotto fino al 99%. Migliora la sua conservazione e si usa in qualsiasi posizione (360°). Non necessita di gas propellenti, è igienico e sterilizzabile e riciclabile».
DA LAMAZUNA E GIACOMO B UNA VIA WATERLESS, ZERO SPRECHI E RICICLABILE.
Dagli zero sprechi agli zero rifiuti. È la mission che caratterizza un altro marchio – francese ma con una significativa presenza anche in Italia – di prodotti per la persona e per la casa, chiamato Lamazuna. Tutto è iniziato con l’idea di sostituire i dischetti di cotone usa e getta con salviette detergenti in microfibra riutilizzabili. Questa idea semplice ma geniale è stata lanciata da Laëtitia Van de Walle nel 2010, riscuotendo grande successo tra i consumatori. L’offerta di prodotti è cresciuta da allora – comprendendo anche l’oriculi, uno strumento ecologico per la pulizia delle orecchie, che sostituisce il cotton fioc – e ora include una gamma di cosmetici solidi, accessori sostenibili e prodotti per una casa proprio a rifiuti zero. Determinata a fare ancora meglio e ancora di più, Lamazuna si è posta cinque ambiziosi obiettivi per il 2021: entro la fine dell’anno, due terzi dei cosmetici solidi saranno certificati COSMOS Organic mentre aumenterà il sostegno ai progetti di piantagione di alberi. Lamazuna spera di lavorare
ancora di più con i suoi partner (fornitori, clienti, distributori e rivenditori) nel 2021, in modo che queste buone pratiche possano essere condivise e adottate in tutta la filiera, packaging compreso: il brand ha puntato fin dalla sua nascita sulla riciclabilità e l’osservanza della regola dei rifiuti zero optando per imballaggi in carta e cartoncino biodegradabili. «Vogliamo coinvolgere anche i nostri partner, in modo che ogni fase della vita dei nostri prodotti possa essere il più possibile zero rifiuti, ecologica ed etica», spiega Anne-Laure Sorraing, responsabile dell’impatto ambientale di Lamazuna. Tornando in Italia, sul fronte del packaging ha scelto il Pet riciclabile il giovane marchio Giacomo B, il cui quartier generale è a Milano, che sviluppa tutto il suo brand concept su una linea di prodotti cosmetici, 100% made in Italy unica nel suo genere. Le proprietà benefiche dell’olio essenziale di Nardo, un pregiato ingrediente del Nepal noto anche come l’oro sacro dei re, vengono sviluppate in una linea completa di prodotti per i capelli, il corpo e per i momenti di relax a casa. Per la creazione del brand, Giacomo Bergamini, fondatore e anima creativa dell’azienda, ha unito l’amore per l’Oriente all’esperienza maturata nel mondo dell’hairstyling nelle capitali mondiali della moda. Un viaggio continuo in cui il rispetto per l’ambiente è parte stessa dell’identità di marca.
La golden age dell'illustrazione
È una storia di corsi e ricorsi, quella del rapporto tra illustrazione e comunicazione stampata. Negli ultimi tempi è tornata prepotentemente in auge, uscendo dall’ambito editoriale per occupare gli spazi del packaging, dell’advertising e della visual communication. Ne abbiamo parlato con Ale Giorgini, Francesco Poroli, Riccardo Guasco e Emanuele Basso, che hanno diretto e illustrato campagne per importanti brand nazionali e internazionali.
di ROBERTA RAGONA
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L
La comunicazione illustrata è un fenomeno ciclico nella storia dell’immagine, che coincide con forti mutamenti nella società e nelle tecnologie di stampa, in cui cambiano il modo in cui si comunica, i supporti utilizzati e le persone a cui ci si rivolge. Il primo esempio su larga scala è del diciannovesimo secolo, con l’emergere di un’industria pubblicitaria che richiede processi di stampa su scala più ampia e dal maggiore impatto visivo rispetto alle produzioni editoriali. È l’epoca delle grandi cromolitografie a colori dei poster pubblicitari di Eugène Grasset, Alphonse Mucha e Toulouse-Lautrec. E dell’Arts and Crafts Movement che, in risposta ai mutamenti della Rivoluzione Industriale, propone una fusione di arte e industria in cui l’utile sia bello e il bello uti-
le, e un ruolo rilevante lo assume l’illustrazione a stampa che adesso chiameremmo surface design. Nel primo Novecento il fenomeno si ripresenta: esplode la stampa popolare illustrata, che porta a una ancora maggiore permeabilità tra belle arti e arti commerciali in termini di autori e linguaggio espressivo utilizzato, ormai familiare agli occhi del pubblico. Questo periodico ritorno all’illustrazione nella comunicazione di marca risponde a una necessità di sintesi e racconto che pochi altri mezzi possiedono. Nell’ultimo decennio ci troviamo in quella che per molti è la golden age dell’illustrazione: hanno contribuito a questo fenomeno una concomitanza di fattori, da una generazione di autori e artisti con una forte cognizione delle potenzialità del mezzo e strumenti di riflessione critica del proprio lavoro, a una maggiore consapevolezza da parte dei professionisti della comunicazione riguardo l’uso di questo linguaggio, specie se usato in abbinamento efficace con la grafica, la cartotecnica e il motion design.
Cambia il pubblico, cambiano i brand
Il ritorno all’uso dell’illustrazione ha a che fare anche con un mutamento del pubblico, come fa presente Ale Giorgini, illustratore e direttore creativo del progetto Grani D’Autore Barilla: «L’illustrazione nel settore editoriale ha sempre avuto un suo ruolo ben specifico mai messo in discussione. Invece uno dei motivi di questa riscoperta nel settore packaging e comunicazione è la necessità da parte dei brand di entrare in contatto con un consumatore smaliziato, immerso continuamente in un flusso di informazioni e contenuti. Ha tutti gli strumenti per valutare quale prodotto ritiene migliore, per cui va coinvolto in maniera più narrativa. Parliamo di un pubblico che si costruisce un proprio palinsesto di informazione e di intrattenimento, che pertanto va incontrato su quello stesso terreno». Si tratta di una modalità comunicativa che si è costruita nel tempo, come dice Riccardo Guasco, che di recente ha realizzato, tra gli altri, progetti per Esselunga e San Carlo: «Nei primi anni le aziende sperimentavano sulla comunicazione web e social, il banco di prova più immediato. I riscontri positivi hanno fatto sì che questo aprisse il campo a progetti sempre più coraggiosi, con edizioni limitate e campagne mirate. Se da una parte c’è Mondrian e dall’altra il famoso packaging L’Oréal, l’illustrazione si trova a metà tra questi due estremi comunicativi: attira l’attenzione sul prodotto dandogli una voce autoriale». Questa capacità di raccogliere stimoli dagli ambiti più diversi – dall’arte alla cultura pop – e restituirli rielaborati in un linguaggio personale è quello che rende l’illustrazione uno strumento particolarmente flessibile tra quelli a disposizione di un’agenzia creativa, come sottolinea Emanuele Basso, direttore creativo di The 6th: «Nel caso della campagna Zedda Piras, commissionata dall’agenzia Wunderman Thompson, avevamo delle reference, ma abbiamo pensato anche allo stile della muralistica di Orgosolo con le sue figure spezzate in forme geometriche, uno stile un po’ cubista, con campiture di colore piatto ma materiche e ruvide. Gli illustratori che hanno lavorato sulla campagna si sono ispirati per alcune inquadrature anche a sequenze di Breaking Bad, una fonte inaspettata visto il tono sereno dell’animazione, ma che ci ha suggerito soluzioni interessanti. Una volta approvato lo storyboard, uno degli illustratori si è occupato dei personaggi e un altro dei panorami, in un dialogo e scambio continuo di pennelli e palette per armonizzare lo stile e le atmosfere. Su questo lavoro di illustrazione è intervenuto poi l’animatore, perché l’aspetto interessante è anche questo: la possibilità di continuare il racconto con altri mezzi e altre modalità». Un fenomeno, quello della riscoperta dell’illustrazione, che ha portato anche a una maturazione da parte dei brand, che hanno affinato la propria capacità di riconoscere e
Un fenomeno, quello della riscoperta dell’illustrazione, che ha portato anche a una maturazione da parte dei brand, che hanno affinato la propria capacità di riconoscere e ricercare il giusto stile per il proprio tono di voce.
ricercare il giusto stile per il proprio tono di voce, lavorando direttamente con gli autori. Nota Francesco Poroli, che per Illustri ha curato il progetto Eataly all’Aperto: «Un altro grande cambiamento degli ultimi anni è che prima a proporre di inserire le illustrazioni nella strategia di comunicazione erano le agenzie, adesso è sempre più frequente che siano i brand stessi. Trovo che sia un segnale di maturità e di fiducia nella capacità dell’illustratore di comunicare in maniera trasversale. L’illustrazione ha dalla sua una capacità di visualizzare e di raccontare storie in maniera democratica, con un linguaggio comprensibile per qualunque fascia d’età e tipo di pubblico senza bisogno di traduzione».
Infinitamente grande, infinitamente piccolo
Ma come si inserisce un illustratore nella varietà delle applicazioni di stampa della comunicazione di marca? Se una stessa illustrazione va sull’infinitamente piccolo del packaging all’infinitamente grande del signage wide format, fino al wrapping per i bus o, come nel caso di Eataly, dei chioschi all’aperto, e se tutto viene stampato con tecniche diverse su supporti diversi, come si gestisce il flusso di lavoro? Per Giorgini è indubbiamente un sport di squadra: «Trovo molto interessanti i progetti in cui si preme sull’acceleratore della creatività intesa come materia e tecnica di stampa, si sposano in modo eccellente con l’illustrazione. Qualche anno fa ho disegnato per l’edizione limitata di un vino delle cantine Banfi una sleeve che andasse a coprire completamente la bottiglia, mentre per quella di quest’anno stiamo valutando la serigrafia diretta sul vetro. Nella fase di disegno ho realizzato l’illustrazione con una deformazione prospettica per seguire le forme della bottiglia, in modo che una volta applicata sulla superficie l’immagine fosse leggibile correttamente. È un lavoro che va a braccetto con chi ha competenza sull’aspetto tecnico della stampa e dei materiali, è difficile per un illustratore essere aggiornato su quali sono le tecnologie di stampa più innovative, è sempre un dialogo con altri professionisti. Qualche tempo fa mi sono trovato in difficoltà su come stampare delle scatole per pizze personalizzate, e ho scoperto l’esistenza di una stampante digitale per la marcatura diretta di oggetti tridimensionali: senza una conversazione casuale con una persona che si occupa di stampa non avrei mai scoperto una tecnologia che mi ha aperto un mondo di possibili soluzioni». Come spesso capita, di fronte a una varietà così ampia di supporti e declinazioni bisogna ragionare in termini strategici, come ricorda Poroli: «Lavorando soprattutto in vettoriale per la stampa digitale il flusso di lavoro non cambia particolarmente sul piano tecnico, è più una riflessione su come verrà fruito il contenuto. Illustrare per un francobollo
per Campari 3x4 cm o per il chiosco di Eataly da 14 metri è diverso soprattutto per il modo in cui verrà usato. Che livello di dettaglio posso concedermi? Un francobollo è uno spazio ridotto che però verrà osservato da vicino, mentre il chiosco è uno spazio ampio che deve dare degli stimoli visivi interessanti, ma che non verrà osservato minuziosamente come un’opera d’arte: è parte di un’esperienza generale dello spazio in cui si trova». La soluzione può essere vedere l’illustrazione come parte dell’ecosistema in dialogo col resto, e incorporare questo pensiero nel processo. Racconta Guasco: «Ultimamente mi piace lavorare in maniera modulare, inserendo gli elementi dell’illustrazione all’interno di un flusso organico, che mi permette di andare dal 6x3 metri al francobollo con un’immagine che continua a funzionare in maniera efficace. Per un ristorante in Romagna ho realizzato un’illustrazione che richiama gli elementi iconici del territorio, scomposta nei suoi elementi costruttivi per realizzare i sottobicchieri, le immagini del menù e altri elementi di comunicazione. Per lavorare in questo modo bisogna ascoltare con attenzione e non limitarsi al momento del brief: è una conversazione. Il progetto per San Carlo, per esempio, è nato dai feedback di alcuni focus group e test effettuati sul mercato internazionale, che evidenziava come la comunicazione dei packaging San Carlo – con il suo approccio elegante, pulito e grafico – non era ugualmente efficace su tutti i mercati. Per cui il brand ha deciso di realizzare una serie di packaging dallo stile più ricco, ma in linea con la propria comunicazione, e ha scelto l’illustrazione. Da lì è partito un lavoro di agenzia estremamente dettagliato, con reference precise: essendo rivolte principalmente al mercato estero ogni packaging racconta sia il prodotto nelle sue particolarità, sia diverse città della penisola per evocare lo stile di vita italiano. Anche in questo lavoro ricorre la composizione modulare di cui dicevo prima, che brand e agenzia avevano visto in un precedente lavoro per Campari e avevano trovato azzeccato anche per il proprio packaging».
Esperienze immersive
Dal dialogo tra cliente, agenzia e illustratori è nato anche il progetto Grani D’Autore Barilla, che da un primo nucleo principale si è espanso su supporti diversi adattandosi a circostanze in continuo cambiamento, come racconta Ale Giorgini: «Quando Barilla ha iniziato a comunicare il proprio Manifesto del Grano Duro Italiano, Omnicom PR Group Italia mi ha contattato per sviluppare un progetto che aiutasse a divulgare un documento programmatico a un pubblico più ampio. Dieci punti che raccontano l’approccio produttivo e la decisione di utilizzare solo grano duro al 100% prodotto in dieci zone specifiche d’Italia, e quali azioni Barilla intendesse portare avanti per valorizzare il territorio e le comunità; per ciascuno di questi punti sono stati coinvolti dieci illustratori provenienti dai diversi territori di produzione.
Le illustrazioni poi sono state declinate anche sui packaging di alcuni dei formati più iconici di Barilla, su una serie di piatti in edizione limitata e su supporti classici del merchandising, come le shopper e le agende. I packaging nascondono anche contenuti extra in realtà aumentata: inquadrando la confezione con lo smartphone si possono vedere le illustrazioni prendere vita. A tutto questo avrebbe dovuto seguire una serie di eventi locali ma c’è stata di mezzo la pandemia e li ab-
biamo re-immaginati in una forma diversa. Prima una mostra gratuita, all’aperto e fruibile da tutti alla BAM, Biblioteca degli Alberi di Milano, anche durante la zona rossa; poi alla Triennale di Milano, non appena hanno riaperto i musei, curata da me e Maria Vittoria Baravelli in un allestimento realizzato da Il Prisma con un’esperienza immersiva, in cui le illustrazioni erano circondate da video del making of raccontato dagli illustratori stessi e animazioni in realtà aumentata».
La componente dal vivo è anche il cuore degli eventi Eataly all’Aperto con Illustri: «Il progetto è nato dalla richiesta di raccontare il momento in cui ci riapriamo agli altri, stando insieme e riappropriandoci di uno spazio urbano con la convivialità» dice Poroli. «A partire da una rosa di nomi siamo arrivati a quattro stili e approcci grafici diversi: quello di Elisa Macellari, Ilaria Faccioli, Luca Font e il mio. L’unica richiesta è stata che le proposte per il wrap-up del chiosco e le tovagliette di carta del bistrot fossero in armonia cromatica e di contenuto con la grafica generale dell’estate Eataly; per il resto è stata data grandissima libertà e spazio per sperimentare. Io ho chiesto di allargare lo sguardo: mi piaceva che ci fosse Milano dentro, e che oltre al tema della convivialità e della sostenibilità passasse il messaggio che Milano è una città che ti include, se hai voglia di essere incluso. Ho pensato a Milton Glaser e ho proposto un lavoro tipografico che si snoda sui quattro lati del chiosco: da I love New York a Milano Loves You. Ogni cambiamento del chiosco è accompagnato da un momento live di inaugurazione, che è il cuore dell’idea in dialogo con lo spazio. Nel caso di Luca Font la grafica del chiosco è completa tranne le finestre, che poi sono state dipinte live durante la serata».
Ritorno allo spazio, fisico e digitale
Pensando al futuro prossimo dell’illustrazione per la comunicazione non ci sono solo le nuove tecnologie: il dialogo con il territorio e lo spazio abitato dalle persone è una delle declinazioni più interessanti secondo Guasco: «Un segnale che mi sembra molto interessante è quello dei muri di arte urbana. È un fenomeno che mescola tanti stimoli che vengono da mondi differenti, dal graffitismo all’arte pubblica alla muralistica sino a riappropriarsi di una modalità di comunicazione, quella della grande pittura su muro, che era tipica della pubblicità già a inizio Novecento. È ed è un utilizzo dello spazio della città che stimola una comunicazione più ponderata. Un limite enorme del digitale è la sua velocità, mentre il muro rimane lì a lungo e questo fa sì che le persone siano coinvolte in un modo diverso. Mi è capitato di ri-
— EMANUELE BASSO
Creative director, la sua carriera è iniziata in McCann Erickson ed è proseguita con la fondazione di Tita, un’agenzia il cui uso intelligente di crafting, illustrazione e tecniche manuali si è subito distinta nel panorama della comunicazione. Una ricerca espressiva che è continuata con la fondazione di The 6th Creative Studio, le cui campagne inconfondibili hanno dato voce a clienti di ogni settore, da Fernet Branca (agenzia Yam112003), passando per Zedda Piras (agenzia Wunderman Thompson), Tonno Mare Aperto sino a realtà come Fondazione Feltrinelli, Mondadori libri e CTA – Centro Teatro Attivo.
— ALE GIORGINI
Illustratore e art director, il suo lavoro è apparso su moltissimi media nazionali e internazionali, dal Boston Globe al Chicago Magazine passando per il Corriere della Sera, Il Sole 24 Ore e L’Espresso. Ha lavorato per grandi brand internazionali come Disney e Armani, ESA – European Space Agency e Barilla. Il suo lavoro è stato incluso più volte nell’Annual della Society of Illustrators ed è stato insignito di premi come il Good Design Award del Chicago Museum of Design. È tra i fondatori di Magnifico Illustrators Agency ed è docente – tra gli altri – di IED, Idea Academy e Scuola Internazionale di Comics.
— RICCARDO GUASCO
Illustratore di fama internazionale, il suo lavoro è apprezzato in maniera trasversale dall’editoria (Mondadori, Topipittori e Carthusia fra gli altri), da tutte le maggiori realtà di media e audiovisivo (dalla Rai al New Yorker), da moltissimi brand internazionali, come Ferrari e Longines, e da realtà del terzo settore come Greenpeace, FAO ed Emergency. Il suo lavoro è stato incluso più volte nell’Annual dell’AI, l’associazione degli Autori di Immagini, e della Society of Illustrators di New York.
— FRANCESCO POROLI
Illustratore e art director, il suo lavoro è apparso su tutti i principali media – dal New York Times al Daily Telegraph passando per Wired, Corriere della Sera e Il Sole 24 Ore – per i maggiori brand internazionali, da Facebook a Campari, sino a Apple e NBA. Il suo lavoro è stato incluso più volte nell’Annual della Society of Illustrators e della Society of Publication Designers. È tra i fondatori di Illustri ed è docente – tra gli altri – di Domus Academy e IED Milano. produrre una copertina realizzata per il Touring Club sul muro della loro nuova sede, e nella settimana che ho trascorso a lavorare sul ponteggio ho visto l’interesse e la curiosità della gente del quartiere. Erano interessati e curiosi, volevano capire le ragioni del disegno e delle scelte, perché loro l’avrebbero visto molto più spesso di me, avrebbe fatto parte delle loro giornate». E proprio questa possibilità di dialogo tra medium diversi è uno degli aspetti più interessanti anche secondo Emanuele Basso: «In questo momento le aziende hanno tanto da raccontare, e l’illustrazione permette di continuare un dialogo che parte dal packaging e passa da animazioni e micro-animazioni: non solo spot ma anche gif animate e loop, sino alla realtà aumentata. Quest’ultima è ancora in fase sperimentale, ma arriverà il momento in cui la friction sarà minore e troveremo un uso che sentiremo come una prosecuzione naturale. Non è qualcosa che si aggiunge, è la prosecuzione di un discorso. In questo i device digitali sono un mezzo fondamentale, hanno incoraggiato il dialogo e luoghi diversi della comunicazione, dalla stampa del pack alla fruizione sui social: è un modo per non fare finire il racconto».
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DALLA NUOVA COLOR CARD AL LUMIXIR® SOLITAIRE GOLD,
TUTTE LE NOVITÀ NELL'UNIVERSO DEI PIGMENTI FIRMATI MERCK
IIl compito di Merck è quello di spingersi sempre più in là nella ricerca dell’innovazione e dello sviluppo. Dopo anni di lanci di nuovi prodotti, ora è giunto il momento di presentare una nuova Color Card che mostra in tutti gli aspetti il range completo dei pigmenti industriali sviluppati finora. Questo nuovo tool sarà distribuito dal mese di settembre 2021 ed è stato realizzato includendo, per la prima volta, anche i pigmenti dedicati al settore del coating. Sono inclusi Xirallic®, Meoxal®, Miraval®, compresi Pyrisma®, Colorstream® e tutti i pigmenti a base di mica sintetica, per una visione a 360° di tutti gli effetti disponibili per i vari settori applicativi. Uno strumento prezioso e indispensabile per i professionisti e i brand che puntano sull’innovazione visiva e cromatica. Ma le novità di casa Merck non finiscono qui: dopo il Solitaire Platinum, un pigmento a effetto “lamina argento”, la serie dei Lumixir® si arricchisce ora di un nuovo pigmento, il Solitaire Gold, che riproduce l'oro zecchino ed è destinato alla decorazione del vetro, rendendo possibili sia applicazioni a pennello sia quelle serigrafiche. Il Lumixir® Solitaire Gold è caratterizzato da una resistenza meccanica e agli agenti chimici straordinaria, garantendo luminosità e riflessi unici. Gli altri pigmenti della serie Lumixir, specifici per il settore ceramico, si chiamano invece Endurance e si caratterizzano per una resistenza estrema alle temperatura più alte: è possibile l'applicazione da 1000°C fino a 1120°C con risultati davvero entusiasmanti. L’importanza di utilizzo dei cosiddetti liquid metal è determinante per chi vuole decorare substrati vetrosi o ceramici. In qualità di leader di mercato per effetti speciali e punto di riferimento per tendenze e innovazioni in ambito coloristico, Merck ha organizzato nel giugno scorso il primo virtual ACS (Automotive Coating Show) con una serie di live webinar che, per tutta la durata dell’evento, hanno garantito la presentazione di alcuni nuovi prodotti della serie Xirallic®, Pyrisma® e Meoxal® e soprattutto nuovi suggerimenti di tendenza. Merck si avvale, infatti, di prestigiose collaborazioni nel marketing, e attraverso questo team di esperti, è in grado di proporre idee per diversi settori applicativi, suggerendo nuovi effetti e promuovendo le innovazioni che caratterizzano il futuro nel mondo dei colori speciali. L'accompagnamento dei clienti per Merck è fondamentale, affinché siano in grado di sfruttare la sapiente combinazione dei pigmenti e varcare quelli che fino a poco tempo fa erano orizzonti cromatici e di performance inarrivabili. E per i clienti più esigenti nello specifico campo della grafica, Merck presenta anche un nuovo tool chiamato Vibrant Opulent Elegant Printing fan” che lavora sulla base di pigmenti multicolor.
Per scoprire quanto sono performanti i pigmenti Merck e sapere come combinarli in maniera ottimale per ottenere risultati sorprendenti, è possibile contattare account manager Decoratives, Electronics, Surface Solutions, Printing & Security per il mercato italiano: Renato Walter Pignarca (renato.pignarca@merckgroup.com) Laura Zanini (laura.zanini@merckgroup.com).
«Tutta la filiera del malto minuto per minuto, dalla semina dell’orzo in campo fino all’uscita della bottiglia dalla linea di produzione: basta un piccolo QR code sull’etichetta e uno smartphone per scoprire tutto, ma proprio tutto della Peroni che si sta per bere, compresa la distanza dal birrificio». Queste le parole di Federico Sannella, direttore Relazioni Esterne di Birra Peroni, alla presentazione del progetto di tracciabilità in blockchain con certificazione digitale sull’etichetta delle bottiglie di birra presentato il 3 giugno scorso. È questo solo uno degli ultimi esempi di quello che oggi viene definito imballaggio intelligente e che va oltre le funzioni primarie di protezione e comunicazione del prodotto. Si tratta di un mercato che vale quasi 20 miliardi di dollari con un tasso di crescita annuo medio del 9,4%.
Il settore del packaging, secondo un rapporto di DS Smith, società internazionale di packaging con sede a Londra, continua a crescere e a evolversi per poter rispondere alle nuove esigenze del mercato e dei consumatori, per spingerli all’acquisto, naturalmente. Oggi non bastano più le forme tradizionali e si esplorano le vie offerte dalle ultime novità tecnologiche, dal QR alla realtà aumentata, quando non già l’IoT (Internet of Things). «Il consumatore oggi conosce perfettamente i brand e il loro packaging – scrive nel rapporto Stefano Rossi, CEO della DS Smith Packaging Division Italy – e li associa a fiducia e affidabilità, valori ora più che mai necessari. Non c’è mai stato un periodo più stimolante per lavorare nel packaging. Il semplice imballaggio diventa anche una piattaforma di comunicazione ricca di funzionalità».
Le tre S
Ma facciamo un passo indietro: è questo un momento di passaggio e cambiamento. Si oscilla tra incertezza e voglia di ripartenza, tra prudenza e slanci propositivi. Opposti che hanno però in comune il forte desiderio di concretezza, autenticità e sostenibilità. Nel packaging contenere e attirare sono ormai concetti scontati, oggi sono tre i driver che, secondo la ricerca di DS Smith, guidano le tendenze del packaging: la capacità di raccontare una storia, essere sostenibile e smart. Questi tre aspetti sono coordinate vettoriali mai disgiunte, ma ben integrate e che concorrono ciascuna per la sua parte a comunicare e vendere un prodotto.
Storytelling
Lo storytelling è una strategia di comunicazione persuasiva che veicola la storia di un’azienda o delle persone che ci lavorano, raccontando come nascono (o sono nati) e si realizzano i loro prodotti. La tendenza oggi, soprattutto nel food, è trasmettere la genuinità degli ingredienti, la provenienza a km 0 e la sostenibilità della filiera. Dando un volto a un brand si guadagna fiducia e si trasmettono valori, e questo ha un peso, basti pensare che il 73% delle persone è disposto a pagare di più per alimenti e bevande prodotti con ingredienti ri-
conoscibili e affidabili e il 50% dei consumatori acquista prodotti sostenibili grazie alle informazioni che leggono sulla confezione. E tutto questo è amplificato dal cosiddetto “effetto Covid”, ovvero l’impatto che la pandemia ha sui comportamenti e sulle abitudini delle persone. L’uscita dalle restrizioni spinge al consumo, ma a un consumo più consapevole, in cui però sia possibile uscire dalla quotidianità per provare qualcosa di inusuale o di esclusivo, in un certo senso lussuoso, fatto dal connubio tra design attento, selezione accurata dei materiali e perfetta comunicazione.
Sustainability
Sono i consumatori a chiedere responsabilità sociale ai brand e a volere prodotti sempre più sostenibili ed ecocompatibili, a partire proprio dall’imballaggio, premiando brand che li aiutano a consumare in modo etico. In più, nei paesi dell’area APAC, specialmente in Cina, Giappone, India e Brasile, con l’aumento del reddito pro capite la popolazione sta incrementando le richieste di nutraceutici (sostanze di origine naturale in grado di svolgere una funzione benefica sull’organismo) e cosmeceutici (prodotti naturali per il corpo). Lavoriamo sui nostri prodotti per renderli sempre più sostenibili e dove possibile favoriamo la loro circolarità, utilizzando materiali riciclati e riciclabili.
E così riciclo e riuso sono diventati imprescindibili e nel piano di industria 4.0 è data molta attenzione alla riduzione del packaging in sé, degli involucri e degli sprechi di materiali, o delle componenti “inquinanti”. Anche quando il materiale apparentemente non sembra ecologico, se ne esalta invece la riciclabilità. È il caso del tetrapack, accoppiato tra cartoncino, polietilene e alluminio, tutti materiali perfettamente riciclabili, ma che insieme sembrano non poter essere recuperati. E così le aziende che usano questo materiale si sforzano di rompere questa credenza, scegliendo grafiche che esaltano l’aspetto grezzo del cartoncino o che comunicano l’aspetto green. E fanno bene perché oggi il tetrapack si ricicla facilmente, scindendo la carta per ricavare cellulosa e l’alluminio e il film plastico per ricavare l’ecoallene, un materiale di riciclo dei poliaccoppiati con il quale si realizzano oggetti plastici, packaging compreso.
In un’intervista del 2020 al Sole24Ore Maurizio Bassani, general manager di Parmalat, ha raccontato di come nel tempo abbiano lavorato per la riduzione della quantità di packaging: «Il peso di una bottiglia da 1 litro di latte fresco in PET è stato ridotto dell’8% (- 1.931 ton di plastica in 10 anni), mentre quella da mezzo litro del 20% (-709 ton); oggi una bottiglia da 1 litro di latte in HDPE pesa il 7% in meno rispetto al 2010, il che ha permesso di ridurre di 2940 tonnellate la plastica immessa sul mercato; un vasetto di yogurt da 125 grammi in PS è stato alleggerito del 6% (- 146 ton in 10 anni). Lavoriamo sui nostri prodotti per renderli sempre più sostenibili e dove possibile favoriamo la loro circolarità, utilizzando materiali riciclati e riciclabili». Lo stesso approccio eco-sistemico ce l’ha, ad esempio, anche Kraft Heinz, il colosso internazionale del food da 25 miliardi di dollari di fatturato globale: il loro obiettivo è arrivare entro il 2025 a fare in modo che tutte le componenti delle bottiglie di ketchup (che coprono il 60-70% del totale) e delle altre salse con il sistema top-down siano non solo riciclabili ma riutilizzabili per produrre altre bottigliette dello stesso tipo e non altri tipi di plastiche e materiali. Un impatto che solo in Europa vale 300 milioni di confezioni (di cui circa il 10% in Italia) equivalenti a 8-9mila tonnellate di plastica. Così Coca-Cola e Nestlé. Ma la sfida vera è il riuso, ovvero progettare eco fin da subito pensando un imballaggio
che possa essere riutilizzato, o smontandolo e riciclando le sue componenti o riusandolo. Come ha fatto Clean Revolution che in collaborazione con Amazon ha sviluppato un sistema di spray riutilizzabili con cartucce con il prodotto concentrato da diluire in acqua per il refill. Al limite si arriva a imballi commestibili, come gli involucri per hamburger, le bustine di condimento dei noodles istantanei e i sacchetti di caffè dell’indonesiana Evoware, o idrosolubili in acqua calda come la Meal Bag. La newyorkese Loliware invece, dopo i bicchieri, dal 2020 produce cannucce aromatizzate derivate da alghe marine e microalghe rosse. Una volta bagnate, queste cannucce sono indistinguibili dalla plastica per 24 ore, possono essere mangiate o, se scartate, si degradano in due mesi. La catena dei Marriott Hotel e la Pernod Ricard nei suoi eventi hanno sostituito le cannucce in plastica con queste.
Smartness
Certamente oggi la tendenza più evidente nell’imballaggio è però quella che genericamente viene chiamata smart packaging. Un fenomeno che solo nel quinquennio 2016-2021 sta registrando un tasso di crescita del 9%. Ma cosa si intende per smart? L’ambito è ampio e trasversale anche agli aspetti visti sopra di racconto di prodotto e brand e di sostenibilità. A fare da leit motiv è sicuramente l’aspetto tecnologico che si aggiunge agli usi primari di contenere, proteggere, preservare e comunicare. Sono “smart” l’uso del QR e della realtà aumentata, così come essere tracciabile, commeAlcuni studi hanno dimostrato che il packaging è il supporto su cui avviene più di un terzo delle scansioni. In questo senso la soluzione più facile per una confezione connessa è usare un QR code.
stibile, idrosolubile, auto-refrigerante o auto-riscaldante, o saper indicare la freschezza del prodotto o la sua integrità, ma anche ingaggiare il cliente portandolo in un sito, attivando game, sondaggi o raccontandogli storie, o ancora raccogliendo dati relativi alla sua interazione con la confezione o con il punto vendita. Queste sono solo alcune delle declinazioni di smart packaging che si stanno diffondendo. Parlando in generale, l’aspetto tech che va rafforzando la tradizionale funzione marketing agisce in due direttrici: l’imballaggio attivo in grado di reagire con il contenuto o l’utilizzatore, e l’imballaggio con funzionalità connesse o connettibili. In questo senso, lo scopo finale è sempre uno solo: l’inclusività, ovvero essere un punto di partenza per coinvolgere e ingaggiare i consumatori.
Si usano design, connettività e intelligenza data-driven per offrire un valore aggiunto ai consumatori. Uno sforzo che però non è quasi mai fine a sé stesso: gli imballaggi intelligenti, infatti, sono rigorosamente pensati per portare benefici alle persone e arricchire la loro esperienza d’acquisto attraverso facilità d’uso e informazioni. Un esempio di beneficio derivante dalle performance avanzate del contenitore sono gli imballi autorefrigeranti o autoriscaldanti, in grado di raffreddare o riscaldare alimenti addirittura fino a 65 °C in pochi istanti, già diffusi in numerosi paesi in cui è crescente la domanda di pasti e snack pronti da mangiare e cucinare.
Il packaging come fonte di informazioni
L’imballaggio intelligente è solo la porta d’ingresso a un’infinità di contenuti, quando non addirittura dati, ovvero informazioni misurabili, che raccontano ai consumatori quello che vogliono sapere sul loro prodotto, in modo passivo o attivo, ovvero che richiedono l’interazione con il consumatore per ingaggiarlo. La maggior parte dei contenuti passivi ha finalità di marketing e va poco oltre gli strilli commerciali del
prodotto, ma si stanno diffondendo interessanti casi d’uso smart che sfruttano tecnologie che fanno reagire l’imballo all’ambiente o allo stato del prodotto per indicare la sua genuinità o integrità. I time-temperature indicators (o TTI) cambiando colore, ad esempio, danno indicazioni sulla storia termica del prodotto imballato: una tecnologia usata anche per monitorare il trasporto dei vaccini covid. Gli indicatori segnalano se in un determinato momento si è interrotta la catena del freddo o se l’imballaggio ha superato una certa temperatura di “sicurezza” o ancora più se la temperatura è quella giusta. È quello che accade con tutti i prodotti deperibili venduti in Finlandia dalla catena Lidl. Un esempio è la Climate Can di Budweiser che segnala se la birra è fredda abbastanza. Queste informazioni si ottengono sfruttando una reazione chimica che inizia al momento dell’applicazione dell’imballo: nel caso della birra si sfruttano inchiostri termocromici, in altri la migrazione di un colorante attraverso un materiale poroso. Esiste una terza via che si basa su indicatori colorimetrici attivati dai raggi UV: in pratica la confezione, inizialmente colorata, schiarisce man mano che resta esposta alla luce. Ma l’imballaggio intelligente può anche generare dati. I sensori possono registrare un’ampia serie di parametri quali temperatura, pressione esterna, livelli luminosi, freschezza e luogo per dare informazioni importanti tanto ai consumatori quanto ai brand. O, ancora, quando un prodotto è stato aperto come fanno i prodotti di Cargo Cosmetics. Utilizzando questi e altri dati, il packaging intelligente si presta a tantissimi impieghi, come informare i consumatori, aiutare i brand a migliorare le performance future dell’imballaggio, affiancare le promozioni di marketing o consentire processi automatizzati, ad esempio riassortire gli articoli quando sono esauriti. E non ultimo, ad acquisire dati sui consumi, sulle abitudini di navigazione e di acquisto e sul customer journey dei clienti.
I dati attivi per una CX inclusiva
La tecnologia applicata agli imballaggi prende davvero vita quando consente di entrare nel mondo del brand concorrendo anche a migliorare la Customer eXperience dei clienti, coinvolgendoli attivamente. Alcuni studi hanno dimostrato che il packaging è il supporto su cui avviene più di un terzo delle scansioni. In questo senso la soluzione più facile per una confezione connessa è usare un QR code, con il quale ormai tutti abbiamo familiarità (grazie anche al Green Pass). Si generano facilmente, non costano nulla e danno accesso a una nuova dimensione, come siti web, app, social, video, game… Nei 4.296 caratteri alfanumerici disponibili, i designer possono comunicare una gamma molto più ampia di messaggi non più limitati alla superficie della confezione e soddisfare la richiesta di informazioni dei consumatori, offrendo allo stesso tempo un nuovo canale per lo storytelling. Un esempio è l’iniziativa della veronese cantina Zai che non solo tenta la via del vino in lattina, ma lo fa raffigurando diversi personaggi protagonisti di un fumetto ambientato nel 2150 provvisti di un QR code che rimanda al sito della cantina, da cui è possibile accedere a tutte le informazioni. Pepsi invece ha stampato sulle lattine un QR che rimanda a un sito dedicato a contenuti media esclusivi prodotti per il Super Bowl 2021.
Estendere la realtà
Ma ci si è già spinti oltre sfruttando la realtà aumentata attivata da codici nascosti nella grafica. L’italiana AMA Bags ha fatto realizzare a Nava Press un lussuoso pack composto da 3 cofanetti in Sirio Black con un QR code stampato che abilita la videocamera per realizzare un video dell’unboxing da distribuire direttamente su Instagram e visionare l’intera collezione.
Con la piattaforma italiana Aryel è sufficiente inquadrare il packaging di un prodotto, o un marker apposito posizionato sulla confezione, per visualizzare sullo schermo del proprio device una serie di contenuti informativi aggiuntivi. Lavazza, ad esempio, l’ha usata per dare ai clienti la possibilità di vedere ambientate le loro macchine da caffè. Come sottolinea il report di DS Smith, l’AR può essere usata per semplificare aspetti pratici come leggere le informazioni nutrizionali inquadrando con lo smartphone il prodotto o può sfruttare l’approccio gaming, per sovrapporre i giochi virtuali al mondo reale, come ha fatto Birra Corona con la grafica estiva delle lattine che se inquadrate abilitano una spiaggia virtuale dove trovare diversi giochi. L’AR è usata anche per dare accesso a video come accade per la bottiglia animata del whiskey Jim Beam, a link social o a landing page, brochure interattive, pubblicità e cataloghi multimediali o vetrine interattive, fino a
certificati di garanzia e originalità. L’americana Fruit Bliss sfrutta l’AR di Wikitude per attivare video-ricette, mentre Jack Daniel’s ha creato un tour virtuale della distilleria che in 30 giorni ha registrato più di 130.000 visualizzazioni con un tempo medio di sessione di 5:42, quando il tempo di impression medio difficilmente eccede il paio di minuti. Sfruttando la tecnologia GenARate di Konica Minolta, l’agenzia Conversion E3 ha realizzato per Mediterranea Saving Humans, durante Brand Revolution LAB 2020, il packaging di una spugna che se inquadrato abilita sullo smartphone una schermata che porta virtualmente in mezzo alle onde del mare. Cliccando su due pulsanti animati è possibile atterrare su apposite sezioni del sito per fare una donazione a favore dell’associazione oppure “saltare a bordo” iscrivendosi.
L’AR abbatte le barriere spaziali e permette di vedere anche come un prodotto si integra in uno spazio o sta indosso. Gartner stima che entro il 2022 100 milioni di consumatori nel mondo acquisteranno capi di vestiario e oggetti nei negozi usando applicazioni di realtà aumentata.
La radio-frequenza
Con l’accesso anche dei device di fascia bassa a tecnologie come l’RFID, che consente l’autenticazione con onde radio, l’NFC, che si basa sulla trasmissione bidirezionale senza contatto di dati tra due dispostivi vicini, questi sensori usati per i pagamenti si stanno diffondendo anche nel packaging. E anche l’ambiente ringrazia: infatti i tradizionali tag costituiti da antenne metalliche su carta sono riciclabili insieme agli imballaggi in cartone, in più si stanno diffondendo codici RF che utilizzano inchiostri conduttivi che si possono stampare direttamente sulle confezioni in modo da garantire la massima sicurezza e la protezione dalle manomissioni. Ma la tecnologia NFC sta anche trasformando il packaging da dispositivo di marketing pasLa tecnologia NFC sta anche trasformando il packaging da dispositivo di marketing passivo a una vera e propria piattaforma abilitante per il contatto con il cliente.
sivo a una vera e propria piattaforma abilitante per il contatto con il cliente. La cantina Vigneti Massa, ad esempio, ha sviluppato in collaborazione con la pavese Guala Closures e Compellio, azienda di software con sede in Lussemburgo, un tappo intelligente che, grazie alla tecnologia NFC abbinata al blockchain, garantisce l’identificazione univoca della singola bottiglia e l’attivazione di contenuti digitali esclusivi. Così hanno fatto anche Malibu Rum che, solo nel 2020, ha rilasciato nel mercato più di 300.000 bottiglie connesse, e Paco Rabanne, che per la linea di profumi Phantom ha realizzato una bottiglia refillabile con chiusura con NFC. Secondo gli analisti la transizione tech del packaging è solo all’inizio, accelerata anche dal Covid. Basta pensare alla forte spinta data all’e-commerce, anche della semplice spesa alimentare, che sta portando a ripensare gli imballaggi finali per renderli adatti al delivery-at-home e sempre tracciabili.
La sostenibilità è un valore complesso, che non si esplica soltanto nell’uso di materiali ecocompatibili, ma anche nell’introduzione di buone pratiche volte a migliorare il benessere dei lavoratori e creare valore economico. Ne parliamo con Alfredo Zordan, titolare della prima BCorp italiana nell’ambito del luxury retail.
VERSO UN LUSSO SOSTENIBILE ANCHE NEL RETAIL
di CATERINA PUCCI
Sempre più brand scelgono di includere la sostenibilità all’interno delle proprie strategie aziendali. L’emergenza sanitaria non ha fatto che accelerare il percorso verso la riduzione dell’impatto ambientale dei prodotti e dei processi, che molti avevano intrapreso già da alcuni anni. È quanto emerge anche in LuxCo2030: A Vision of Sustainable Luxury: il report, realizzato dalla società di consulenza Bain&Company in collaborazione con Positive Luxury, prova a delineare le caratteristiche che le “luxco” (acronimo che sta per luxury company) dovranno possedere entro il prossimo decennio, individuando alcuni pilastri su cui le aziende dovranno focalizzarsi. Sul fronte della sostenibilità, emergono la necessità di tracciare la supply chain e l’introduzione di iniziative che promuovano non solo il rispetto dell’ambiente ma anche il benessere e la sicurezza dei lavoratori. Ne abbiamo parlato con Alfredo Zordan, titolare dell’omonima BCorp che recentemente ha sviluppato il primo sistema certificato al mondo con cui è possibile calcolare l’impronta ecologica degli arredi che produce.
In un mondo dal ritmo forsennato, un approccio misurabile è fondamentale
Nata a Valdagno nel 1965 come falegnameria tecnica produttrice di manufatti per l’industria dei tessuti, Zordan ha fondato il proprio modello di business su un concetto dal sapore “rinascimentale”, che promuove la centralità dell’uomo nella vita aziendale. «In passato i ritmi del lavoro erano compatibili con quelli della natura e dell’essere umano. Con il passare del tempo, il mondo è diventato più complesso, il mercato più esigente e i ritmi di produzione più dinamici, ma la nostra azienda non ha mai smesso di avere a cura le sorti del pianeta, perché siamo convinti che la sostenibilità sia l’unica via percorribile per fare business» spiega Zordan. «Il mondo delle certificazioni ci ha insegnato a introdurre il concetto di “misurabilità”. Rendere quantificabile l’impatto delle nostre azioni è indispensabile a promuovere un cambiamento significativo e duraturo». Si tratta di adottare un approccio “olistico” che riguardi tutte le fasi del processo produttivo, dalla lavorazione delle materie prime alla logistica.
Occhio al green washing
Nel corso degli anni la consapevolezza dei consumatori – in particolar modo dei più giovani – nei confronti della responsabilità ambientale e sociale dei brand è aumentata. La pandemia ha contribuito ad accelerare un cambiamento che, di fatto, era stato già intrapreso. Si è fatta strada l’idea che la crescente domanda dei consumatori per prodotti di lusso sostenibili, più durevoli e di qualità superiore, non sia soltanto una moda passeggera, ma una rivoluzione i cui effetti sono fatti per restare. Ovviamente la strada da percorrere è ancora lunga, anche perché sono ancora poche le aziende in grado di mettere in campo iniziative concrete in questa direzione. «Il termine sostenibilità è ormai diventato molto inflazionato e non sempre ciò che appare sostenibile davvero lo è» dice Zordan. «Tuttavia, questo dimostra la grande attenzione e una maggior percezione verso questo tema e il fatto che l’Europa ha deciso di intraprendere un percorso che la porterà a diventare il primo continente a “emissioni zero” entro il 2050, la dice lunga sulla rivoluzione che si sta compiendo davanti i nostri occhi. Anche il mondo del lusso nel quale operiamo – aggiunge Zordan – è sempre più attivo nel contenere l’impatto ambientale dei propri prodotti, ma solo pochi player sono giunti a misurare quello della propria catena retail».
Credits: FOPE e Roberto Coin
Azioni graduali per un cambiamento globale
Quali sono, dunque, le azioni che un’azienda nell’ambito del retail può intraprendere per organizzare la propria supply chain secondo un approccio realmente sostenibile? Nel caso di Zordan, l’ottimizzazione della logistica, l’introduzione di tecnologie innovative in grado di ridurre gli sprechi e le eccedenze di magazzino, il sostegno a iniziative di inclusione dei giovani e delle eccellenze del proprio territorio sono stati tasselli fondamentali. Come anche le iniziative di collaborazione con altri attori internazionali, come ad esempio la partnership con la BCorp Treedom, grazie alla quale sono stati piantati oltre 300 alberi che hanno assorbito 60.750 kg di anidride carbonica, contribuendo a sostenere le comunità locali di cinque diversi paesi. Più in generale la scelta di certificarsi come BCorp, già nel 2016, e dunque di assumere volontariamente l’obbligo di agire secondo i più alti standard di responsabilità sociale e ambientale, ha permesso a Zordan di innescare un circuito di emulazione positivo. Solo un contesto favorevole può infatti stimolare le aziende che hanno a cuore la sostenibilità a progredire e diventare un modello per le altre. Chiaramente occorre tenere a mente che la sostenibilità ambientale o sociale non può prescindere da quella economica. Solo se i tre pilastri verranno portati avanti contestualmente, l’impatto positivo potrà protrarsi nel tempo. «Sebbene in alcuni settori le buone pratiche di sostenibilità non costituiscano ancora dei criteri di scelta, sembra che le aziende con un modello di business sostenibile riescano a costruire attorno a sé un generale clima di fiducia capace di attrarre talenti, capitali e investitori» conclude Zordan. «Anche il premio Nobel Robert Shiller si è espresso molto favorevolmente nei confronti del modello di business BCorp dicendo che questo tipo di aziende è destinato ad avere performance migliori rispetto alle altre».
IMPACT RETAIL PORTA IN-HOUSE LA STAMPA DI GRANDE FORMATO DI ALTA QUALITÀ E AD ALTA PRODUZIONE CON ONSET X1 DI FUJIFILM
L’agenzia britannica specializzata in retail & shopper marketing è la prima azienda al mondo a investire nella Onset X1 HS ad alta velocità di Fujifilm.
LLeader nella produzione di espositori retail di lusso e di alta qualità per alcuni dei più importanti marchi al mondo, l’agenzia di Leicester Impact Retail vanta uno spirito creativo e strategico. Il suo team di 76 tra designer e project manager ha aiutato numerose aziende a migliorare il proprio marchio con espositori visivi di grande effetto. Per anni Impact Retail ha affidato all’esterno i lavori di stampa digitale, ma nel marzo 2020 ha deciso di investire nella Onset X1 di Fujifilm. Colpita dai risultati, l’azienda è presto diventata BETA tester per la nuova soluzione automatizzata Onset X1 HS, e dopo due mesi di test di successo, Impact Retail è stata la prima azienda al mondo a investire nella Onset X1 HS. «Data la natura dei marchi con cui collaboriamo, la qualità dei nostri prodotti finiti è fondamentale per tutto ciò che facciamo», spiega Westley Allen, Print Manager di Impact Retail. «Ridurre i tempi di consegna è anche molto importante, per poter sempre permettere ai nostri clienti di rispettare le date di lancio molto sfidanti in negozio. Fino alla metà del 2020 – prosegue Allen – abbiamo affidato all’esterno la maggior parte dei lavori di stampa, ma poi abbiamo deciso che volevamo un maggiore controllo sulla qualità e sui tempi di consegna e abbiamo iniziato a valutare opzioni che ci permettessero di eseguire la stampa internamente. Le prime macchine che abbiamo visto non avevano la configurazione e la velocità di stampa di cui avevamo bisogno, e alla fine la Onset era l’unica all’altezza delle nostre aspettative. Abbiamo capito immediatamente che la Onset X1 era in grado di garantire la qualità e la velocità di stampa che cercavamo. Abbiamo visitato la sede di Cambridge di Inca Digital per vedere personalmente la Onset in azione, e ne siamo rimasti subito conquistati. Era il primo grande investimento che effettuavamo come azienda – dice ancora Allen – quindi non è stata una decisione che abbiamo preso alla leggera, ma la qualità e la velocità erano talmente notevoli che eravamo certi si trattasse di un ottimo investimento strategico a lungo termine». La pandemia di COVID-19 ha ritardato l’installazione della Onset X1 presso Impact Retail, che era inizialmente prevista per il mese di marzo 2020, e che è stata invece completata in luglio. «Siamo rimasti sbalorditi dalla qualità e dalla velocità della macchina, e siamo immediatamente riusciti ad adattare il nostro flusso di lavoro, riducendo i tempi di consegna e aumentando la flessibilità della nostra programmazione», prosegue Allen. Grazie al solido rapporto creatosi, nel mese di ottobre 2020 Impact Retail ha accettato di essere un sito di test per la più avanzata e automatizzata Onset X1 HS. «Visto come sono andate le cose, eravamo inclini a incorporare la robotica nella X1 per migliorare ulteriormente la velocità», afferma Allen. «Era già molto rapida, ma ritenevamo che avremmo
potuto produrre lavori della stessa qualità ancora più rapidamente e volevamo quindi qualcosa di nuovo. Vedendola in azione, siamo rimasti colpiti. Lo scarico automatico dei substrati riduce notevolmente i tempi di preparazione e la versatilità in termini di supporti che la robotica è in grado di gestire è davvero notevole». L’investimento di Impact Retail nella Onset X1 HS è stato finalizzato a dicembre e l’azienda è soddisfatta dei risultati. «La tecnologia, insieme a un cambio strategico del modello di lavoro, ci ha permesso di raddoppiare la capacità di produzione. Ciò significa che ora possiamo lavorare con più clienti, più marchi, continuando a fornire lo stesso eccezionale servizio per cui siamo apprezzati. Questo investimento ci permette anche di avventurarci nei lavori personalizzati, nelle basse tirature e in progetti che richiedono tempi di produzione più rapidi, cosa che prima non era sempre possibile. All’inizio, realizzavamo stampe su cartone per espositori e ondulato per la nostra attività dedicata agli espositori temporanei. Ora stiamo ampliando la gamma di substrati e applicazioni e stampiamo internamente anche gli espositori retail premium. Quello nella Onset X1 HS è stato il maggiore investimento che la nostra azienda abbia mai fatto e possiamo dire che ha trasformato la nostra attività. È una delle cose migliori che abbiamo mai fatto. Inizialmente, avevamo previsto che la Onset eseguisse circa l’80% dei lavori di stampa digitale, con il restante 20% dei lavori litografici affidato all’esterno. Ma ha superato notevolmente le nostre aspettative. Ora eseguiamo tutti i lavori di stampa digitale e litografica internamente, ad eccezione di alcuni lavori specializzati, e stampiamo più del doppio del volume che avevamo preventivato. Quando le cose torneranno ai livelli pre-pandemia, stamperemo ancora di più». Westley Allen ha commenti molto positivi anche sulle persone che hanno installato e messo in funzione la Onset X1 HS: «I team di Fujifilm e Inca sono stati fantastici. Tutti erano molto competenti e ci hanno assistito con pazienza durante l’intero processo». Kevin Jenner, European Marketing Manager di Fujifilm Wide Format Inkjet Systems, afferma: «I clienti di Impact Retail sono marchi del lusso che vogliono prodotti di alta qualità e una consegna rapida e affidabile. Siamo lieti che la Onset X1 HS abbia offerto loro la flessibilità necessaria per migliorare il loro livello di servizio trasformando in modo radicale la loro attività. Ci auguriamo di intrattenere un lungo rapporto di lavoro con loro». Per maggiori informazioni
www.OnsetXHS.com
ABS Group.
Se fino a pochi anni fa era considerato di nicchia, oggi l’uso del soft signage, cioè del tessuto stampato nella comunicazione visiva e promozionale, è diventato un trend a tutti gli effetti. Valicando i confini del Belgio e dell’Olanda (primi in Europa a coglierne il potenziale) ha conquistato poco a poco anche l’Italia. Brand e designer, stampatori e converter, retailer e allestitori: molti sembrano averne compreso i vantaggi e provano a superarne i limiti, mettendo a punto processi efficaci e remunerativi per trasformare un materiale, all’apparenza delicato, in uno strumento di marketing e comunicazione potentissimo. Abbiamo lasciato che a raccontare questo trend fossero alcuni professionisti del settore della visual communication: Livio Cismondi di Peraria, Luca Concoreggi di Convertende, Luigi Carrai di Kimiprint, Giorgio Grando di ABS Group, Michele Lovallo di Immagine Grafica, Giulia Rossi di Nazena e Arsenio Malossi di Maja Digital Printing.
C’è chi diversifica...
Il tessuto ha acquisito una tale importanza nel mondo dell’advertising da essere utilizzato per allestire ogni genere di spazio: padiglioni fieristici, allestimenti per punti vendita e POP up store, showroom, centri commerciali, ma anche eventi sportivi, museali, musicali e via dicendo. All’interno della macro categoria del soft signage possiamo distinguere una vasta gamma di applicazioni, di diverse forme e misure, sia per indoor che outdoor. Dalle più tradizionali (come banner, bandiere, pannelli e display) a quelle più complesse come appendimenti a soffitto (anche noti come hanging sign), rivestimenti per edifici, tende e gonfiabili. In funzione dell’uso finale, ciascun prodotto deve essere trattato per assicurare una serie di caratteristiche estetiche e tecniche. Nel caso delle bandiere è importante garantire che il disegno sia visibile da entrambi i lati. Per i rivestimenti da parete serve ottenere una buona copertura per evitare trasparenze che facciano intravedere le strutture di sostegno. Nel caso dei retroilluminati, infine, si tende a preferire tessuti in grado di garantire un’efficace diffusione della luce.
Secondo Luigi Carrai, General Manager di Kimiprint «Diversificare l’offerta è l’unica strategia possibile per sopravvivere in un presente dai confini incerti come quello attuale. Creare un portfolio di prodotti variegato, dalle tende ai pannelli retroilluminati, fino ai wallcovering permette di intercettare un’utenza variegata, proveniente tanto dal mondo dell’arredamento e della decorazione d’interni, quanto degli allestimenti per showroom, punti vendita ed eventi fieristici».
«Nel nostro caso la stampa su tessuto viene utilizzata maggiormente per applicazioni destinate agli interni, perché nella comunicazione outdoor i clienti continuano a preferire materiali più classici, durevoli ed economici, in grado di resistere agli agenti esterni» sostiene Arsenio Malossi, titolare di Maja Digital Printing. «Una tendenza che vediamo affermarsi è l’ibridazione tra fisico e digitale (il cosiddetto digital signage), che sono certo troverà sempre nuove forme d’espressione in futuro, anche nell’ambito del tessuto».
Peraria.
...e chi punta tutto su un unico prodotto
Ma c’è anche chi preferisce focalizzarsi su un monoprodotto. Un ottimo esempio è quello di Peraria: nata come produttrice di palloni aerostatici, negli ultimi quindici anni l’azienda cuneese si è specializzata nella fabbricazione e installazione di gonfiabili in poliestere per la comunicazione pubblicitaria. Si tratta di applicazioni dal forte impatto scenografico, oltre che di rapida installazione e facile gestione. «Dalla Pro Loco comunale alla grande multinazionale, chiunque ha ordinato un gonfiabile almeno una volta nella vita» racconta Livio Cismondi, titolare di Peraria. «Per certi versi, il gonfiabile pubblicitario assomiglia alle giacche a vento: è molto resistente alle intemperie, ma se conservato in condizioni non ottimali rischia di rovinarsi velocemente. Per garantire ai clienti un prodotto durevole ma di ottima fattura – prosegue Cismondi – abbiamo messo a punto una formula in cui dalla selezione del materiale (un tessuto 100% poliestere riciclabile) ai procedimenti di stampa e finishing, nessun dettaglio è lasciato al caso. Questo ci ha consentito di ottenere estrema qualità e brillantezza dei colori, senza rinunciare alle funzionalità tecniche». Peraria ha scelto di gestire internamente tutte le lavorazioni: progettazione, stampa, sartoria, carpenteria metallica e falegnameria. «Laddove sia previsto il passaggio di un gran numero di persone, i gonfiabili, e in particolar modo le cupole, devono essere certificate per garantire una serie di requisiti, tra cui traspirabilità, impermeabilità all’acqua, portata dell’aria (cioè volume di aria che riesce a contenere, ndr.), resistenza al fuoco» prosegue Cismondi. «Grazie alla stampa transfer riusciamo a essere poliedrici, garantendo il rispetto di rigidi parametri di certificazione ambientale e, al contempo, la massima personalizzazione possibile». Dello stesso avviso è Luca Concoreggi, titolare di Convertende, azienda con sede a Codogno. «Grazie alla versatilità della stampa tessile digitale siamo stati in grado di cogliere nuove opportunità nell’ambito della comunicazione visiva. Storicamente produciamo gazebo e tende da campeggio, ma ci siamo via via aperti al settore della pubblicità. La prima commessa importante ci è arrivata da un’azienda che doveva partecipare a una nota fiera dello streetfood europeo e non voleva passare inosservata. Da allora annoveriamo moltissimi brand, attivi nell’ambito del food&beverage, ma anche tantissimi team sportivi».
Questioni di “struttura”
Oltre a un impatto visivo e tattile ineguagliabile, il tessuto garantisce indiscutibili vantaggi: capacità di ricoprire metrature elevate, peso e ingombro ridotti, facilità di trasporto, possibilità di essere riutilizzato. Inoltre si presta bene a soddisfare richieste specifiche come quella di illuminare frontalmente o retroilluminare un pannello o creare effetti particolari come, ad esempio, il drappeggio. Occorre ricordare che quasi tutti gli allestimenti realizzati in tessuto prevedono la presenza di strutture autoportanti in alluminio, dette anche profili che, a seconda della destinazione d’uso, possono essere integrati con impianti audio, pannelli fonoassorbenti e lightbox dinamici. Questi ultimi sono dotati di sensori in grado di rilevare i movimenti circostanti e attivarsi all’occorrenza.
Tra le aziende che hanno trovato nella combinazione tra tessuti, profili in alluminio e retroilluminazione dinamica la formula per il successo c’è la veneta ABS Group, che cerca di aggiungere valore esperienziale ai progetti allestitivi. «La flessibilità del tessuto consente di giocare con le strutture, andando a creare forme articolate, per esempio ellittiche o curve, che possono essere
utilizzate per personalizzare pareti, ma anche soffitti. Utilizzando tecnologie di grande formato, fino a 5 m di larghezza, possiamo realizzare intere pareti senza il bisogno di affiancare pannelli diversi» spiega Giorgio Grando, R&D Manager. «In questo modo possiamo garantire continuità alle grafiche che, soprattutto per i grandi brand, non è un fattore da sottovalutare». Tra le novità che hanno riscontrato interesse nell’ultimo periodo ci sono i tessuti tesati a parete. «Si tratta di una valida alternativa alle carte da parati – aggiunge Grando – poiché il tessuto è in grado di coprire metrature considerevoli, senza l’ausilio di giunture. Inoltre, implementando alcune funzionalità come la fonoassorbenza, siamo in grado di realizzare spazi più abitabili, conformi alle più recenti normative in materia di inquinamento acustico». Sempre per rendere più vivibili e sicuri gli spazi, nell’ultimo anno, l’azienda ha investito nell’introduzione di tessuti sanificabili. Come Viroblock, un trattamento ai sali d’argento che consente di abbattere la carica batterica presente sulle superfici: una caratteristica che, a seguito dell’emergenza sanitaria, chi progetta un allestimento non può più permettersi di trascurare. L’industria tessile può considerarsi a un livello molto avanzato in termini di ricerca e sviluppo, tanto che sempre più aziende scelgono soluzioni in tessuto anche per allestire spazi di lavoro e coworking, con soluzioni leggere, sicure e di forte impatto. La personalizzazione resta la parola d’ordine per conquistare l’interesse di una clientela esigente. «Ormai brand owner e creativi hanno colto le potenzialità offerte dal tessuto» commenta Michele Lovallo, titolare di Immagine Grafica. «Certo qualcuno è ancora restio, ma tendenzialmente ci troviamo a lavorare con un’utenza abituata a gestire un certo tipo di materiali e progetti complessi. Per quanto riguarda l’allestimento delle vetrine, la grafica stampata in tessuto è un complemento al resto dei materiali che vengono posizionati in vetrina. Sta alla bravura del designer conciliare il tessuto stampato con il resto dell’esposizione».
Via libera al riuso creativo
Come per la moda anche per gli allestimenti la questione della sostenibilità resta cruciale. Per ridurre l’impatto dell’industria tessile sull’ambiente è necessario cominciare a ragionare sulla valutazione del ciclo di vita (in inglese LCA, Life Cycle Assessment) di un prodotto in tutte le sue fasi, dalla produzione allo smaltimento. Al contempo, occorre investire in strumenti e iniziative che promuovano la cultura del riciclo e del riuso, anche nel mondo del retail e degli allestimenti. In Italia, negli ultimi anni, la cultura dell’upcycling (anche noto come riciclo creativo) comincia a farsi strada, anche grazie a giovani aziende innovative. Come la start up vicentina Nazena, che si è posta come obiettivo il recupero di fibre tessili naturali (cotone, lana, viscosa, seta) e sintetiche (poliestere, nylon) con le quali realizza arredi per imballaggi, negozi, articoli di design, pannelli acustici.
Ci sono materiali che si prestano naturalmente a essere riutilizzati e indirizzati verso una nuova funzione; altri devono essere sottoposti a un procedimento di take-back, cioè di trasformazione alla fine del loro ciclo di vita. L’obiettivo è quello di raccogliere 250 tonnellate di rifiuti tessili entro il 2025, che equivalgono a risparmiare l’energia consumata da un’abitazione media per 74 anni. «In questo modo riusciamo ad allungare la vita di beni destinati a un utilizzo molto breve» spiega Giulia De Rossi, fondatrice di Nazena. «Al momento gli scarti raccolti provengono da aziende e cooperative, ma l’obiettivo a tendere è coinvolgere sempre più i retailer e consumatori finali».
ABS Group.
La comunicazione con fili (di poliestere)
di ELENA PANCIERA
Indoor soft signage di Mimaki Bompan Textile
Parlare di soft signage significa fare un viaggio nel mondo dei filati, dei tessuti e dei finissaggi. Ma anche in quello della plastica e della sostenibilità, dato che il poliestere, supporto per eccellenza di questo strumento di comunicazione, è un polimero. Qui seguiremo i chip o fiocchi polimerici mentre vengono estrusi, filati e tessuti. E poi scopriremo come vengono trasformati, stampati, tagliati e confezionati fino a diventare “soft signage”.
La storia del tessuto si intreccia alla storia dell’umanità. È uno dei pochi materiali che ci riveste, letteralmente, dall’inizio dei tempi. Che portiamo sulla nostra pelle, che ci diventa seconda pelle. E quella tessile è la prima industria moderna a nascere e svilupparsi. Il tessuto richiama immaginari poderosi, anche quando non viene usato per l’abbigliamento. Protegge il nostro sonno, correda i nostri pasti, decora le nostre case. Ecco perché quando lo scegliamo per comunicare disponiamo di una potenza quasi ancestrale.
La stoffa della comunicazione
Una delle macro tendenze della comunicazione visiva, negli ultimi anni, è il “soft signage”, letteralmente “segnaletica morbida”, perché viene realizzata stampando tessuti di poliestere. Sono definiti soft signage striscioni e banner, bandiere, rivestimenti edili, i cosiddetti backlit o retroilluminati, ombrelloni, gonfiabili, gazebo. Anche fondali e scenari teatrali e televisivi vengono realizzati con le stesse tecnologie di stampa e confezione (ma questi, a dire il vero, non hanno sempre finalità di comunicazione).
Questo supporto viene apprezzato per il suo aspetto naturale, ma anche per la sua semplicità di utilizzo, la sua leggerezza, la sua durabilità, la sua facilità di trasporto, la sua riciclabilità – tutti aspetti che ne fanno un materiale ecosostenibile. Il soft signage ha iniziato a diffondersi Nord Europa – Scandinavia, Germania – e nei Paesi anglofoni – UK, USA, Australia. Da qualche tempo si sta conquistando spazi sempre più significativi anche in Italia. Dobbiamo questo ritardo soprattutto a differenze culturali e legislative proprio sul tema dell’ecosostenibilità. Oltre a questo, quando decidiamo di realizzare un progetto di soft signage dobbiamo considerare che l’aspetto e la stampabilità del materiale finale dipendono in modo massiccio dalle lavorazioni intermedie che trasformano i chip o i fiocchi di poliestere prima in filo o filato e poi in tessuto. Il colore delle fibre influenza quello degli inchiostri e definisce l’effetto finale del prodotto, così come l’opacità del polimero o l’eventuale interazione di trattamenti chimici o fisici detti “finissaggi” con le chimiche di stampa. Perciò per scegliere il migliore materiale per il nostro progetto di soft signage è importante conoscere la sua storia produttiva. Infine, è cruciale ogni aspetto che riguarda la confezione, perché un tessuto difficilmente può essere usato senza tagli e cuciture.
Come definire l’ecosostenibilità di un prodotto? Ci sono diversi aspetti da considerare: i metodi, le attrezzature e i prodotti chimici utilizzati nei processi produttivi, il riciclo degli scarti pre consumo e dei prodotti post consumo. Per la plastica esistono diverse normative che regolano la prevenzione alla fonte, il riutilizzo, il riciclo, il recupero energetico e lo smaltimento, soprattutto nell’ambito del packaging, da cui proviene la maggior parte dei rifiuti da plastica post consumo. In un anno nel mondo ne generiamo circa 265 milioni di tonnellate, di cui ne ricicliamo solamente il 17%. Il poliestere (PET) è il polimero più riciclato in assoluto, in Europa viene recuperato il 58%. La sigla “rPET” definisce il poliestere riciclato per via meccanica o chimica. Il metodo meccanico è il più diffuso e produttivo, ma ha alcuni vincoli importanti che fanno sì che il poliestere riciclato in questo modo abbia usi limitati rispetto a quello vergine, soprattutto in ambito food. Sul riciclo chimico, invece, si sta facendo molta ricerca. Ci sono aspettative alte, perché a differenza del riciclo meccanico non comporta una perdita di qualità del polimero: il poliestere viene riportato ai suoi componenti di base (monomeri), che vengono polimerizzati di nuovo. Inoltre, con il metodo chimico si riescono a riciclare anche sistemi “plastic mix”, tra cui TNT e misti poliestere e cotone. Le fibre usate nel settore tessile possono essere naturali, artificiali e sintetiche. Sulle prime ci sono pochi dubbi. Quelle sintetiche sono ottenute da processi chimici. Le fibre artificiali vengono invece realizzate integrando materie prime di origine naturale e sostanze sintetiche. Soffitto retroilluminato, Imagink
Una questione di chimica
Il poliestere, anzi, i poliesteri, sono materiali sintetici; il primo è stato commercializzato nel 1948 in Inghilterra con il marchio commerciale Terylene. Il poliestere più usato nel settore tessile è il polietilene tereftalato, noto come PET. Ce ne sono altri, facili da tingere anche a bassa temperatura, ricercati per le loro caratteristiche fisiche e chimiche. Tutti sono flessibili, tenaci, resilienti, elastici, stabili dal punto di vista dimensionale e con un basso peso specifico. Inoltre sono resistenti all’acqua e agli agenti chimici e fisici, all’usura, all’abrasione, al calore, alle pieghe (ed è questo sicuramente uno dei motivi del loro successo nell’abbigliamento). Inoltre hanno una “mano” naturale, ovvero al tatto sembrano fibre naturali. Queste proprietà possono essere potenziate o aggiunte grazie a procedimenti chimici, fisici o meccanici, detti finissaggi: ingualcibilità, scarsa pelosità, traspirabilità (soprattutto quando si parla di microfibra), ma anche resistenza al fuoco, tinta in pasta, proprietà antibatteriche, antimuffa e anti UV.
Da chip a filato
Nel mondo tessile, ci sono tre passaggi attraverso cui le materie prime assumono la forma finale: la filatura, la tessitura e il “finissaggio”, ovvero tutte quelle lavorazioni che possono avvenire sia sul filo o sul filato che sul tessuto. Il poliestere non fa eccezione. Il poliestere è duttile: può essere trasformato in filo oppure filato, a seconda della materia prima, della lavorazione e della destinazione d’uso del prodotto finito. I poliesteri riciclati vengono cardati a partire da fiocchi, dato che non hanno una qualità sufficiente per produrre fili continui. La qualità del filato, e quindi del tessuto, si misura anche dalla lunghezza delle fibre di cui sono composti: più lunghe sono, maggiore sarà la resistenza e minore la possibilità di formare i “pallini” (pilling). A questo punto avviene la filatura.
Da filato a tessuto
Ci sono quattro principali tipologie di tessuto: alcune sono facilmente stampabili, altre meno, ma la tecnologia a sublimazione usata per il poliestere di solito riesce a dare buoni risultati in ogni caso. Quello ortogonale o navetta è il tessuto per antonomasia: composto da fili ortogonali, trama e ordito, ha una buona stabilità dimensionale. Può avere armature o costruzioni diverse, cioè diversi modi in cui ordito e trama si intrecciano. Il tessuto a maglia viene prodotto a partire da un unico filo; ha un’elasticità “naturale” data dagli spazi tra le maglie. Esiste anche una versione indemagliabile che non si sfila. Il TNT è composto da fibre che vengono pressate e tenute insieme in modo meccanico, chimico o termico. Non è molto resistente, ma è economico e rapido da produrre. Infine abbiamo il tufting, il tessuto dei tappeti e delle moquette, composto da nodi che danno origine alla caratteristica peluria. Si stampa con difficoltà, ma non è impossibile.
Stoffe con i superpoteri
Nel mondo tessile tutte le lavorazioni che non sono la filatura o la tessitura e che servono a migliorare le caratteristiche di un tessuto vengono definite “finissaggi” (o “finiture”). Sono, di fatto, le nobilitazioni dei tessuti. Il finissaggio del poliestere può avvenire in vari momenti: in estrusione, in filatura, sul tessuto e anche sul capo finito. Alcuni finissaggi sono importanti per la stampa: il tessuto viene immerso in vasche oppure spruzzato con chimiche sbiancanti (per ottenere il bianco ottico), oppure può essere intriso con un prodotto che facilita la sua impregnazione in caso di stampa: l’imbibente. È questo prodotto che serve per esempio per realizzare le bandiere, la cui decorazione deve essere bifacciale. La resinatura consiste nella spalmatura di una resina sul retro del tessuto per conferirgli proprietà antisfilo, di resistenza al fuoco e idrorepellenza. Il coating, anche detto coatizzazione, è invece la spalmatura di una resina sul fronte del tessuto con una racla, per immersione oppure con un cilindro. Questa lavorazione può agire su molte proprietà del materiale: resistenza all’acqua e ritardante di fiamma, protezione dai raggi UV e antimuffa. La coatizzazione modifica intensamente la natura del materiale: il poliestere diventa un supporto per la resina, e passa (letteralmente) in secondo piano. Questo finissaggio ha conseguenze importanti dal punto di vista della scelta della tecnica di stampa, che di fatto non deve più legarsi al tessuto, ma al materiale usato come coating. Anche la “mano” cambia in modo significativo, diventando più rigida, e si perde l’effetto visivo e tattile di trama e ordito. Esistono anche tessuti dalle proprietà speciali, come fonoassorbenza ed elettrostaticità. La prima aiuta a realizzare strumenti per il comfort acustico, grazie anche a speciali materassini per l’isolamento sonoro. La seconda consente di ottenere tessuti adesivi removibili e riposizionabili che, a differenza di materiali plastici, non formano bolle d’aria. TNT
Tufting
Ortogonale o navetta
Cucitura a incastro, Peraria
ATPColor
Una stampa, tante stampe
La stampa tessile, tradizionale o digitale, su poliestere non coatizzato avviene principalmente con tre tipi di inchiostri: i dispersi per sublimazione, i dispersi e i pigmenti, questi ultimi due meno usati del primo nel soft signage. I dispersi per sublimazione hanno bisogno di trascorrere circa un minuto in calandra o pressa a 180-200°C, così che le molecole di inchiostro possano sublimare (ovvero passare direttamente dallo stato solido a quello gassoso) e quindi legarsi chimicamente alle fibre di poliestere. I pigmenti invece ricoprono il filo senza legarsi chimicamente, e per questo sono molto utili nel caso in cui dobbiamo stampare tessuti di poliestere misto cotone. Entrambe queste chimiche possono essere stampate sia con tecnologia analogica (rotativa o manomacchina) sia digitale. La tipologia di stampa più diffusa è la sublimazione, che può essere diretta su tessuto (esistono anche stampanti con calandra integrata che velocizzano di molto il processo) oppure indiretta. In questo caso avviene in due fasi: l’immagine viene stampata specularmente su su carta transfer e poi viene trasferita sul tessuto in poliestere con un passaggio in calandra o pressa. La stampa a sublimazione non ha bisogno di pre o post-trattamenti: il passaggio a circa 200°C basta per fissare gli inchiostri. Una delle maggiori difficoltà che devono gestire i produttori di tecnologie di stampa è la gestione del materiale nella macchina, perché il tessuto non è rigido come la carta. Nel tempo sono state quindi sviluppati sistemi che bilanciano i naturali movimenti di questo materiale quando viene movimentato: allungamenti, pieghe, curvature. Nel caso dei tessuti coatizzati non possiamo più parlare di soft signage in senso stretto, ma le tecnologie di inchiostro che possiamo usare si moltiplicano: latex, UV e UV LED, perfino ecosolvent.
Una confezione perfetta
Quando si lavora con i tessuti, taglio e confezione sono passaggi fondamentali: altrimenti il prodotto finito non è effettivamente utilizzabile. Infatti non è raro che nelle aziende che producono soft signage ci sia la figura del sarto. Il taglio viene raramente fatto a mano: ormai sono diffusi i tavoli da taglio che, debitamente equipaggiati con tappeti adesivi per la gestione del tessuto, permettono di ottimizzare i tempi e di minimizzare il rischio di errori. Senza contare che quelli equipaggiati con taglio laser hanno anche la funzione di cauterizzare i bordi, evitando che la stoffa si sfilacci. I tessuti vengono uniti insieme attraverso cuciture più o meno semplici: porzioni di immagini “pannellizzate” vengono cucite senza che alla fine siano percepibili stacchi; vengono applicati bordi in silicone utili per inserire le tele stampate all’interno di cornici in alluminio (che possono essere anche retroilluminate con LED). Un discorso a parte merita la realizzazione dei gonfiabili. I tessuti scelti per questo particolare tipo di comunicazione, che devono essere impermeabili all’acqua e all’aria per poter mantenere la tridimensionalità, una volta riempiti d’aria, devono essere cuciti con una cucitura a doppio incastro, modello jeans: così lo sforzo non ricade sul filo ma sul tessuto, ed è garantita una resistenza maggiore.
Grazie a:
Giuseppe Bosio, Textileprofessional.it Luca Bellotto e Stefano Costacurta, Symera Andrea Cappello, Imagink Livio Cismondi, Peraria Roberto Martellono, ATPColor Marco Scatto, Plus4 Marco Vanzini, Mimaki Bompan Textile