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Vesuvius, il primo gin campano firmato BasileADV

VESUVIUS MAGMA GIN

IL PRIMO GIN 100% CAMPANO È FIRMATO BASILE ADV

Dalla creatività dell’imprenditore Maurizio De Fazio e dallo studio di comunicazione visiva BasileADV nasce “Vesuvius Magma Gin”: il primo distillato di erbe raccolte tra le pinete del Vesuvio, il vulcano più famoso del mondo, che ne narra la storia millenaria e di quella che fu la Campania Felix. Arriva così il primo gin realizzato interamente in Campania e ideato da Andrea Basile che ha pensato a ogni particolare. Le bottiglie, da 70 cl, realizzate dall’azienda Vetroelite, indossano con eleganza e audacia il marchio del prodotto, grazie alla pregiata Carta Fasson Cotton White di Avery Dennison che dona un piacevole tocco naturale. Ogni dettaglio sull’etichetta ha un significato preciso: il lettering riprende le insegne di alcune botteghe napoletane degli anni ‘40, le onde rimandano alla trama creata dalle incisioni sul corallo, il colore nero è quello della pietra lavica, il contorno rosso ricorda il magma e il colore del corallo di Torre del Greco; infine la direzione delle linee nella parte inferiore ricorda la silhouette del Vesuvio.

Sul tappo appare la testa di Medusa: il mito narra che Perseo la uccise e pose il capo in un sacco coprendolo di alghe e giunchi, che a contatto con il sangue, sott’acqua, si pietrificarono diventando di colore rosso e assumendo la forma di serpenti. Nacque così il corallo rosso, la cui lavorazione è una tradizione secolare di Torre del Greco. Il retro dell’etichetta, visibile attraverso la silhouette del Vesuvio ricavata sul fronte, cela un’evocativa illustrazione delle botaniche che ricordano la forza del Vesuvio. La bottiglia è racchiusa in un’elegante box realizzata da Retail Pak, arricchita da nobilitazioni in lamina rossa e da una fascia dello stesso colore che rende il prodotto facilmente trasportabile. Ad affiancare Andrea Basile in questo lavoro il type designer Giuseppe Salerno, co-fondatore della fonderia tipografica Resistenza, mentre la stampa delle etichette è stata affidata a La Commerciale di Alba (CN). Le immagini sono state realizzate dal fotografo Diego De Dominicis.

Il Vesuvius Magma Gin si differenzia dagli altri per il suo cuore vesuviano e il sapore vulcanico, deciso e “passionale”, qualità che caratterizzano la terra di appartenenza e gli abitanti. Il risultato finale è un connubio di creatività e identità territoriale, è la fantasia che incontra le abilità artigianali e si muove alla costante ricerca dell’eccellenza nello spazio sottile che separa tradizione e magia. In prima distillazione sono state realizzate 1944 bottiglie, proprio come l’anno dell’ultima eruzione del Vesuvio e ognuna è numerata, perciò unica. Nonostante sia “nato” da pochi mesi, il gin è già molto conosciuto; infatti ha vinto il primo premio per la categoria Label al OneMorePack 2022 ed è già approdato nei locali simbolo della movida internazionale: ai beach club di Mykonos, nei più frequentati bar di Ibiza, nei locali in voga di Milano e in tutta la Campania. Già tanti traguardi in così poco tempo; ciò a dimostrare che la tenacia e la passione possono portare lontano.

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Per quasi novant’anni è stato presentato come “uno dei grandi tesori” della Biblioteca dell’Università del Michigan: in realtà, il manoscritto di Galileo Galilei del 1610, in cui l’astronomo rivelava la presenza di quattro stelle in orbita attorno a Giove, e quindi la conferma che non tutti i corpi celesti ruotavano attorno alla Terra, è un clamoroso falso. L’osservazione di corpi orbitanti attorno a un altro corpo che non fosse la Terra era vera, il documento no. La scoperta dell’agosto scorso è dell’Indiana Jones dei falsi d’autore Nick Wilding, professore di Storia alla Georgia State University, che già nel 2012 aveva attestato la falsità di un’edizione del Sidereus Nuncius sempre di Galileo. A tradire il falsario allora era stato l’inchiostro, questa volta sembra sia stata la carta.

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Questa è solo l’ultima delle tante affascinanti storie di ritrovamenti fortuiti, misteri e incredibili scoperte di manoscritti e stampati. A volte sono questioni per filologi e collezionisti, altre svolte cruciali per la nostra cultura. Due su tutti: il De Re Pubblica di Cicerone ritrovato nel 1819 da Angelo Mai in un manoscritto del VII secolo grattando via i Commenti ai Salmi di Sant’Agostino; e la celeberrima quanto falsissima Donazione di Costantino svelata da Lorenzo Valla nel 1440 e sulla quale per secoli la Chiesa ha basato il proprio potere temporale. Storie in bilico tra filologia, mistero e, come dicono quelli bravi, entipologia: l’affascinante disciplina che si occupa della classificazione dei prodotti stampati secondo le loro caratteristiche storiche, funzionali, tecniche ed estetiche. Ma non occorre andare in cerca del mitico secondo libro della Poetica di Aristotele dedicato alla commedia di cui favoleggia Umberto Eco ne Il nome della rosa: basta uno stampato qualsiasi per vestire i panni di Sherlock Holmes e scoprire quanto sa dirci di sé. Perché sapere come è fatto può essere molto utile.

I 5 sensi all’opera

A dire la verità da addetti ai lavori, più o meno consapevolmente, l’analisi di uno stampato la facciamo sempre quando ce lo rigiriamo tra le mani, lo sfioriamo e lo sfogliamo, ne guardiamo dall’alto il dorso e ne valutiamo stampa e confezione. Qualcuno lo apre e ne osserva controluce le pagine, qualcuno sfrega tra le dita la carta per indovinarne mano e grammatura, qualcuno addirittura lo annusa. Non è un vezzo chiedersi come è fatto un volume, un packaging o una shopper; il più delle volte, è lo stampato stesso che ce lo dice: sono poche infatti le cose che non si possono dedurre direttamente. E questo ci torna utile quando dovremo farne uno simile o solo ci imbattiamo in una soluzione cui non avevamo pensato, o ancora ci aiuta a non commettere errori e a chiamare le cose con il nome corretto. A volte è questione di materiali, di tecniche, o ancora di ordine delle lavorazioni: è la giusta sequenza di stampa, plastifica, vernice lucida, vernice opaca, per esempio, che dà vita alla nota texture tono su tono della doppia G del packaging di Gucci: a vederla così sembra facile da ottenere, ma in certi casi non lo è affatto. (01)

In tutto questo, sono i sensi i nostri migliori alleati: vista, tatto e, perché no, anche olfatto, perché alcuni inchiostri hanno quasi sempre un odore caratteristico, come certe vernici. Ma non bisogna fermarsi alla superficie: occorre anche una discreta curiosità perché lo stampato va analizzato, girato e rigirato, a volte smontato del tutto o strapazzato, perché spesso alcuni segreti si nascondono letteralmente tra le pieghe. Per esempio, in una confezione filo singer sul piatto rivestita in tela, per trovare il filo occorre riportarlo alla luce smontando il volume, così come in una brossuna Optabind (02) va tolta la copertina per mettere a nudo il rivestimento del dorso. O ancora vale la pena di smontare una shopper per scoprire che, a parte la stampa, il più delle volte è “solo” un foglio cordonato, piegato e incollato.

Fare le cose con metodo

Indubbiamente il metodo entipologico con il suo approccio tassonomico e sistematico può essere una linea guida. I manuali di grafica partono classificando gli stampati in base all’uso e alla funzione per poi scendere nel dettaglio e descrivere di ciascun tipo di

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Avere la consapevolezza delle fasi vuol dire anche avere evidenza di quante lavorazioni devono essere fatte, quali in linea e quali fuori, e, visto che ogni lavorazione è un costo, significa anche avere consapevolezza dei costi e saper valutare un preventivo.

stampato parti e caratteristiche. Quello che dovremmo fare noi è proprio sfruttare questo approccio e analizzare uno stampato in ciascuna sua parte, dalla più esterna ed evidente, alla più piccola e nascosta. Per un volantino, un flyer, un’etichetta, un invito o un biglietto da visita questo può essere semplice, molto meno per un volume cartonato imbottito cucito con cofanetto che è composto da molte più parti. Ma come si fa? In pratica si tratta di mettersi nell’ottica di ricostruire il capitolato dello stampato proprio come se dovessimo essere noi a commissionarlo al nostro stampatore: tipo di stampato, parti, colori, tipo di stampa e di carta, nobilitazioni, confezione, e così via… Ma non basta, perché fatto l’elenco delle parti, capito come sono state stampate o nobilitate e quali materiali sono stati usati, dovremmo anche cercare di ricostruire quali lavorazioni sono state fatte e in che ordine, non perché saremo noi materialmente a farle, ma proprio perché ne dobbiamo valutare la fattibilità e gli effetti. Pensiamo alla sequenza di taglio di tre classiche legature dell’editoria libraria: un volume brossurato con alette, uno senza e un olandese. Nel primo caso prima si taglia il volume sul davanti, si incassa la copertina e si refilano testa e piede; nel secondo, incassata la copertina, si procede con il refilo sui tre lati; mentre con l’olandese prima si refila il volume sui tre lati e poi si incassa. E se ci fosse il taglio colore sulle pagine? (03) Come è stato fatto e quando? Avere la consapevolezza delle fasi vuol dire anche avere evidenza di quante lavorazioni devono essere fatte, quali in linea e quali fuori, e, visto che ogni lavorazione è un costo, significa anche avere consapevolezza dei costi e saper valutare un preventivo. Non a caso in ogni numero anche noi proponiamo la rubrica “Com’è fatto Print”.

Prendiamo la coulisse di figura (04): apparentemente è un semplice quartino chiuso in testa e al piede con una stampa a caldo e un fregio stampato anch’esso a caldo e applicato al centro dell’apertura sul davanti. Ma è proprio quel fregio che complica le lavorazioni. Prima di tutto la stampa a caldo borda il fregio, inoltre le ghirlande del motivo devono cadere esattamente al taglio e il fronte deve essere perfettamente a registro con il retro. Per far questo, il fregio è stato concepito come un quartino, stampato a caldo con un’abbondanza tale che quando è stato fustellato si è ottenuto il bordo oro uniforme e infine la coulisse aveva la stessa abbondanza sul lato da aprire in modo che si potesse incassare il quartino del fregio sulla coulisse, incollare e refilare. Questo è solo un esempio di come un risultato apparentemente semplice in realtà nasconda insidie tecniche.

Colori e spessori

Proviamo ora ad applicare il metodo partendo da colori e tecniche di stampa che vanno considerati più o meno insieme, procedendo per esclusione: si può partire chiedendoci se ci sono tinte piatte. (05) Cerchiamo grafismi pieni non retinati che possano darci una risposta, come fondini o risguardi stampati a 1 colore. Se li troviamo, quali siano i colori speciali usati ce lo dice

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solo il confronto con il pantonario coated o uncoated a seconda che la carta sia lucida o opaca. Certo potrebbe essere verniciata e la resa leggermente alterata, ma non stiamo facendo una copia anastatica… In ogni caso, non fermiamoci alle apparenze: la tinta piatta potrebbe essere stata usata non per forza da sola, ma come rinforzo per esempio nelle immagini. Ora, a meno che lo stampato non sia un volume d’arte, di fotografia o di particolare pregio, potremmo quasi certamente escluderlo, ma se ci sono foto particolarmente vivide, bianchi e neri molto definiti e neutri, potrebbe valer la pena ricorrere al lentino e cercare tracce di un’eventuale esacromia (verde e arancione oltre alla quadricromia) (06) o di neri o di pantoni grey di rinforzo. Cerchiamo nei punti in cui il registro è più difficile da tenere come i bordi, i testi negativi, i filetti, i testi. Ma i pantoni potrebbero essere stati usati anche da soli, per esempio in stampati più semplici, ma d’effetto come biglietti da visita, inviti, flyer, oppure potrebbe non esserci nemmeno stampa in senso stretto: non è detto infatti che si debba usare solo l’inchiostro, in offset o digitale che sia, ma si può anche “stampare” con i nastri a caldo, l’impressione in embossing o debossing o la vernice, o ancora serigrafare (07). In questi casi, in particolare, potrebbe non essere così facile destreggiarsi tra le diverse tecniche perché molto dipende da come vengono utilizzate, su quali supporti e per quali tipi di stampato. Pensiamo alle possibilità offerte dalle nobilitazioni digitali. L’embossing si può ottenere anche in digitale usando polimeri ad alto spessore che danno lo stesso effetto dello sbalzo: a tradire, per così dire,

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L’embossing si può ottenere anche in digitale usando polimeri ad alto spessore che danno lo stesso effetto dello sbalzo.

la lavorazione digitale sarà la planarità della carta che non risulta alterata dal cliché (08), così come per i foil metallici, cangianti o pastello si avranno spessori positivi, a volte anche importanti, e non negativi come per la stampa a caldo, che richiede comunque un minimo di pressione; inoltre al lentino non si vedranno nemmeno tracce di strappo del nastro. Anzi chi ricorre alle nobilitazioni digitali ricerca in genere proprio l’alto spessore, oltre a sceglierle spesso per convenienza in base alla tiratura. (09)

Quale tecnica?

Al di là delle nobilitazioni, le diverse tecniche di stampa come le distinguiamo? Ancora una volta si tratta di andare alla ricerca di indizi significativi. E la carta è uno di questi. Se il nostro stampato, per esempio un volantino, un catalogo, ma anche un libro, usa una carta non eccessivamente grammata (in roto normalmente non si va oltre i 130 gr) e con segni di cannettature coniche in testa o al piede, potremmo essere quasi certi che è stato stampato in roto. La conferma ce la darà il tipo di stampato: se si presume che ne possano essere state tirate molte copie, è quasi una certezza; in più la roto lascia segni inequivocabili: la carta è sempre un po’ più croccante rispetto alla piana perché è passata nel forno di asciugatura; il registro per quanto accurato non sarà mai perfetto e soprattutto la segnatura avrà sempre qualche piccola grinza, di solito in testa, perché la piega avviene ad alta velocità in macchina e, per quanto si pratichino piccoli fori o si usi inumidire la carta per agevolarla, non si avrà mai una piega “pulita” come quella che si ottiene piegando fuori linea un foglio di piana. In più, salvo rare eccezioni, le roto non hanno un gruppo verniciatore, quindi non ci saranno finiture particolari o a spot su porzioni di pagina e potrebbe esserci qualche alone traslucido dovuto alla soluzione di bagnatura o all’asciugatura non uniforme. Altri indizi inequivocabili sono la confezione filo colla che tiene insieme le pagine dello stampato e i fori degli aghi al piede della segnatura, se non refilata. Ovviamente ci troveremmo davanti a un volantino, per esempio, che di per sé ha alta distribuzione e di conseguenza tiratura e questo riporta inevitabilmente alla rotativa, ma gli aghi ci sono anche nei quotidiani. (10)

Il digitale invece, ormai assolutamente affermato, concorrenziale e usato

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per stampati come libri, anche di pregio, a seconda della generazione delle macchine lascia un effetto un po’ cerato sulle zone inchiostrate, percettibile soprattutto sulle immagini o sui fondi, ma anche sui testi. Questo è dovuto al fatto che l’inchiostro, indipendentemente dal tipo di tecnologia digitale, non ha le stesse fasi di penetrazione ed evaporazione dell’inchiostro offset, che si lega chimicamente alla carta, bensì polimerizza. L’aspetto cerato della stampa con lo sviluppo tecnologico tende a scomparire. In generale però la stampa digitale ha un aspetto per così dire più asettico, forse perché si tende a usare carte molto bianche; per definizione non può avere capperi di stampa, buchi, battute, asciutti, così come fuori registro; inoltre il più delle volte il retino sarà ad alta frequenza e non ci sarà la classica rosetta dell’offset.

Quale supporto?

Molto più complessa è l’individuazione del supporto: ovviamente quando non si tratta di carta il discorso si fa più facile perché materiali plastici, tele e cartoncini sono in numero più ridotto e con un minimo di ricerca si riesce a individuare cosa è stato usato. Con la carta è più complesso: a meno di carte speciali, con lavorazioni o trattamenti particolari, come colori in pasta e goffrature, filigrane o vergature, al più si potrà indovinare il tipo di finitura. Pensiamo alle patinate: lucido e opaco sono facili da individuare, ma poi ci sono le semilucide, le matte e le satinate. Questo quanto meno allo stato grezzo, ma spesso si altera questa finitura in stampa o subito dopo per proteggere, nobilitare o preparare il supporto ad altre lavorazioni. Le combinazioni tra carta e vernici di macchina e/o vernici di nobilitazione fuori linea sono davvero innumerevoli e solo osservando lo stampato è arduo capire quale carta, intesa come cartiera e tipo, sia stata usata e distinguere, per esempio, una patinata lucida da un’altra, a meno che non cambi il punto di bianco in modo sensibile, soprattutto per le carte da edizione generiche. In questi casi la cosa migliore è sottoporre il campione a un esperto di carta o chiedere aiuto al referente di una delle maggiori cartiere. La grammatura invece si può individuare facilmente con una bilancia per carta così come la mano misurando lo spessore di un foglio con un micrometro o uno spessimetro digitale.

Legatura e tagli

Veniamo ora alla legatoria. È forse questo l’aspetto cui prestare più attenzione soprattutto in stampati complessi, ma non solo, anche perché, come abbiamo visto sopra, a volte nell’apparente semplicità si nascondono dettagli da tenere in considerazione e che fanno la differenza. Anche una semplice scheda, un biglietto da vista o un invito potrebbe non esser stato solo tagliato sui 4 lati. Potrebbe essere un po’ un caso limite perché non c’è motivo di fustellare quando si può andare in taglierina, che costa decisamente meno. Però se i tagli richiesti non sono dritti e gli angoli retti o soltanto si aprono finestre, allora la fustella è d’obbligo. L’indizio da cercare sono le tacche di tenuta che la fustellatrice richiede per non perdere il pezzo in macchina. Esistono fustellatrici speciali che non richiedono i punti di tenuta come quelle usate per le carte da gioco, ma si tratta di casi molto particolari. Dove non arriva la fustella, che ha limiti oggettivi di dimensioni minime, arriva il taglio laser che permette di intagliare la carta traforandola quasi come fosse un ricamo. Il vantaggio è la finezza del taglio, lo svantaggio è che si deve accettare un minimo di segno di bruciatura della carta che si nota sul retro del taglio. È questo il segno che dovremmo cercare quando ci imbattiamo in tagli particolarmente fini o arditi. Un esempio davvero estremo sono gli Omoshiroi Blocks (11) composti da qualche centinaio di foglietti ognu-

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L’inchiostro, indipendentemente dal tipo di tecnologia digitale, non ha le stesse fasi di penetrazione ed evaporazione dell’inchiostro offset, che si lega chimicamente alla carta, bensì polimerizza.

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no tagliato con un suo disegno che, una volta rimosso dal blocco, mette a nudo una vera e propria scultura di carta. Un capolavoro tecnico in cui fustelle e tagli laser creano vere e proprie opere d’arte prodotte in serie.

Ma non si deve pensare che prodotti industriali ormai consolidati non siano in realtà il frutto di operazioni e lavorazioni complesse. Basta un giro in legatoria o su Youtube per scoprire quanti passaggi trasformano una risma di carta stampata in un semplice volume brossurato. La legatoria è ormai un concentrato di tecnologia efficiente che ha velocizzato ogni fase, grazie anche alla spinta della stampa digitale che ha reso davvero conveniente anche la copia unica. Partiamo dalla legatura più facile, la semplice accavallatura di fogli piegati che diventa punto metallico nel momento in cui le segnature accavallate sono tenute insieme da un filo (12). Vale la pena analizzare questi tipi di stampato perché i punti potrebbero essere non solo 2 come di solito, oppure potrebbero essere non solo in piega ma anche sul piatto e il filo potrebbe essere colorato. Il punto metallico poi ha la criticità del limite della grammatura della carta e del numero delle pagine. Analizzare uno stampato di questo tipo consente anche di valutare come si comporta la carta quando le pagine sono tante e di quanto lo spessore della carta influenza il cosiddetto “creep”, ovvero lo spostamento delle pagine man mano che si procede verso il centro. Tenere conto di questo significa, tra l’altro, evitare di trovarsi con margini che cambiano pagina dopo pagina o grafismi che sono pericolosamente vicini al taglio. Orientarsi con le brossure invece è facile. Se c’è il filo che tiene le segnature, allora è cucito filo refe, altrimenti è una fresata tradizionale (nella figura 13 una brossura fresata di un manga che si legge al contrario). Non è detto che un volume cartonato è per forza cucito e viceversa. Il filo refe è più costoso, ed è possibile dare comunque prestigio al volume facendo un cartonato e liberando il budget della cucitura per la nobilitazione della coperta. È quello che accade normalmente con l’editoria libraria. Il filo si vede aprendo le pagine in centro o controllando se in dorso si vede la piega della segnatura, oppure in dorso, affogato nella colla, nella legatura con incollatura al vivo e dorso a vista. Con i cartonati la questione si complica: sicuramente un cartonato classico ha una copertina composta dal corpino del dorso e i due quadranti in cartone che sono rivestiti e rimboccati di carta, pelle o tela di legatoria, nella quale viene incassato il volume che è incollato con i risguardi. Nei volumi più di pregio i risguardi sono due quartini di carta diversa e più pesante rispetto a quella usata per l’interno, ma se ne può fare a meno, incollando direttamente la prima e l’ultima pagina ai quadranti. Questa versione tradizionale può essere complicata a piacere aggiungendo parti (si può arrivare anche a 13 tra sovraccoperta, capitelli, segnalibri, cofanetto, imbottitura, solo per citarne alcune) o togliendone, come nella legatura open spine cucita filo refe senza copertina cartonata e con filo a vista (14). Un’interessante variazione invece si ottiene tagliando al vivo i quadranti e mettendo a nudo i cartoni (15), o cambiando la loro grammatura e trasformandola in olandese con quadranti morbidi in cartoncino da 250 a 400 gr; in bodoniana con due quadranti refilati al vivo e applicati alla copertina del volume brossurato; o ancora in giapponese, raffinata legatura eseguita manualmente passando un filo da un foro all’altro e avvolgendo il dorso. (16)

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La legatoria è ormai un concentrato di tecnologia efficiente che ha velocizzato ogni fase, grazie anche alla spinta della stampa digitale che ha reso davvero conveniente anche la copia unica.

OUTDOOR: DIGITAL, SOSTENIBILE E PROGRAMMATICO

Digital advertising, approccio data driven e sostenibilità guidano la rivoluzione che ha investito il settore dell’Out-Of-Home già da qualche anno. Ne abbiamo parlato con specialisti del settore come IGP Decaux, Clear Channel, Printable, Bìllalo, Wayap e SarLed.

La Toscana e la Val D’Orcia invadono la Milano Design Week 2022 a bordo di un tram milanese firmato Neff in collaborazione con IGPDecaux.

Due anni a dirci che stare in casa non era poi così male. Poi, puff, improvvisamente è successo, siamo tornati. Andare in ufficio, prendere mezzi affollati, stare fermi nel traffico, uscire a cena fuori, viaggiare. Ogni volta che mettiamo il naso fuori casa – questo ci dicono gli esperti di settore – prestiamo molta più attenzione di prima alla comunicazione outdoor. Un comportamento che si può spiegare con la progressiva assuefazione alla pubblicità online che, per quanto efficace, porta a soffermarsi maggiormente su cartelloni e maxi affissioni. Ma anche con l’avvento di cambiamenti strutturali nel mondo dell’Out-of-Home che erano in essere ben prima della pandemia e vedono i leader del settore sfruttare a pieno le potenzialità dei nuovi strumenti di digital advertising (in particolar modo mobile) per consolidare (o costruire ex novo) la propria immagine offline, amplificare la visibilità di una campagna e renderla più “tangibile” agli occhi degli utenti. Insomma, è un periodo roseo per l’OOH che, solo nel primo quadrimestre del 2022, ha recuperato i valori del 2019 (+101% rispetto allo stesso periodo del 2021).

Destreggiarsi tra le sfide e le contraddizioni della modernità non è semplice (si pensi all’uso dei dati personali degli utenti e il rispetto delle normative sulla privacy), ma è pur vero che questo periodo di sperimentazione apre immense opportunità creative per tutta la supply chain, che si tratti di brand, agenzie, designer, pubblicitari e professionisti della stampa per esterni. Ne parliamo con Luca Stucchi e Filippo Gullì (IGPDecaux), Eszter Sallai (Clear Channel), Mattia Pelizzoni (Printable), Nicola Palmas (Bìllalo), Mita Aga Rossi (Wayap) e Carlo Podda (SarLed). A portata di smartphone

In un report di Market Insights si prevede che il mercato del Digital Out of Home (DOOH) raggiungerà un valore di oltre 34 miliardi di dollari entro il 2025. Secondo GroupM le campagne che integrano media tradizionali e digitali sono molto efficaci nel convincere i consumatori a compiere azioni dirette. «Se un tempo l’obiettivo di una campagna era principalmente consolidare la brand awareness, oggi il focus è su un approccio data driven, che sfrutta l’analisi dei dati e i nuovi strumenti di digital advertising per coinvolgere gli utenti, spingendoli a interagire con il marchio. Le informazioni sui gusti e le abitudini degli utenti servono a progettare una comunicazione sempre più omnicanale, immersiva e personalizzata» spiega Filippo Gullì, Sales Director di IGPDecaux.

Tra le strategie più efficaci c’è l’uso del MOOH (Mobile Out of Home) e dei QR code, che possono essere associati alla pubblicità statica (cartellonistica, maxi affissioni, banner) e permettono di traghettare gli utenti su un sito web, un’app o una landing page, ma anche di monitorare in tempo reale l’efficacia di una campagna.

Purché sia sostenibile

La pandemia ha stimolato una riflessione sull’urgenza di rendere sostenibile anche la pubblicità per esterni. Oltre a incentivare lo sviluppo di materiali innovativi, riciclabili e riutilizzabili, occorre rendere le soluzioni green sempre più competitive affinché rappresentino un’alternativa concreta per gli inserzionisti e i clienti finali. IGPDecaux, leader nella comunicazione outdoor in Italia, ha maturato una spiccata sensibilità per il tema, operando una riorganizzazione dei processi, oggi sempre più orientati a una decisa riduzione

dell’impatto ambientale. «Prediligiamo la stampa water based e l’uso di supporti innovativi, spesso sviluppati in esclusiva dai nostri fornitori» spiega Luca Stucchi, direttore esecutivo di IGPDecaux. «Il 90% della carta che acquistiamo è riciclata e, a fine esposizione, viene recuperata per produrre nuova carta e imballaggi. Siamo stati i primi in Italia ad aver avviato un sistema di riciclo e recupero degli adesivi in PVC utilizzati per rivestire tram, bus e station domination nelle città di Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Roma e Napoli». Gli adesivi recuperati sono utili nella realizzazione di dossi stradali artificiali, canne per irrigare, suole per scarpe, serramenti o pannelli insonorizzati per l’industria dell’automotive. Anche le tabelle in polipropilene e polistirolo vengono impiegate nella produzione di oggetti di uso quotidiano come cassette della frutta, appendiabiti e vasi per piantumazione.

Muri che parlano e fanno parlare di sé

La pandemia ha accelerato un processo di digitalizzazione già avviato che rende possibile una comunicazione sempre più personalizzata e in tempo reale. «I brand si aspettano la possibilità di programmazioni versatili e last minute, perciò diamo molta importanza alla misurazione sia in fase propedeutica alla programmazione che a fine campagne» racconta Eszter Sallai, Managing Director della Clear Channel, media company leader nel settore OOH. «L’espansione del digitale non ha scalzato il tradizionale, che riveste ancora un ruolo importante. Si tratta di due declinazioni complementari, che si possono combinare per raggiungere obiettivi diversificati di comunicazione».

Il formato classico si presta perfettamente a personalizzazioni creative che catturano lo sguardo, mentre il digitale sfrutta la potenza della diffusione e della versatilità. «Il mural advertising è un esempio di comunicazione OOH che punta alla spettacolarità, trasformando una campagna in qualcosa di notiziabile e virale» prosegue Sallai. «Impossibile non notarli, le pareti dei condomìni si trasformano in veri e propri punti di interesse all’interno del quartiere, vengono immortalati e condivisi sui social con estrema naturalezza. Per noi non si tratta di una semplice riproduzione di una campagna classica, ma di una vera e propria opera d’arte. Per questo preferiamo che gli street artist coinvolti mantengano un livello di autonomia sulle scelte stiliIn alto a sinistra, e qui sopra, campagne realizzate da Clear Channel per WIZZair e Absolut Vodka. stiche e di soggetto pur garantendo uno stretto legame col brand che ha commissionato l’opera». Chi bazzica Milano si sarà imbattuto di recente nei due murales commissionati dalla compagnia aerea WIZZ Air, con il coinvolgimento dello street artist Mate o degli impianti che Absolut Vodka ha voluto personalizzare in occasione del Pride, con i colori iconici della manifestazione.

Grande formato per un grande impatto

Il settore Out-of-Home è sicuramente uno di quelli in cui l’uso della stampa di grande formato trova maggiore applicazione. Location straordinarie, metrature importanti soprattutto nel centro città: un investimento non da poco, alla portata di brand noti e ambiziosi, ma di sicuro

impatto. Nata come concessionaria pubblicitaria circa quarant’anni fa, Printable si è specializzata nella fornitura di maxi affissioni – ha realizzato il più grande maxi telo d’Europa in via Melchiorre Gioia a Milano, 55x57 m – affidandosi a tecnologie di ultima generazione, velocità di consegna e competitività. «Fortunatamente la pandemia non ci ha colpito molto e grazie alla recente integrazione con il digital advertising siamo riusciti a differenziare l’offerta» spiega Mattia Pelizzoni, Sales Director di Printable. «Sul fronte della sostenibilità, già in tempi non sospetti ci siamo impegnati ad acquisire tutte le certificazioni necessarie (ISO 9001, 140001, FSC, etc.) e abbiamo creato un energy team, che si occupa di monitorare l’efficienza energetica e l’impronta ecologica dell’azienda, raccogliendo dati utili ad ottimizzare i processi e ridurre gli sprechi. La ricerca e sviluppo sul fronte dei materiali sta facendo passi da gigante, ma soprattutto nel caso di clienti provenienti dal mondo del luxury è ancora difficile trovare un compromesso tra le esigenze estetiche e strutturali di una grande affissione e quelle di sostenibilità».

L’analisi dei dati riduce gli sprechi

Come usare i dati in maniera funzionale nel contesto della pubblicità tradizionale? Bìllalo è un’azienda sarda, il cui nome deriva dall’unione del termine inglese billboard (manifesto) e del sardo “billare” che significa letteralmente controllare, tenere d’occhio. Il servizio che offre è uno strumento digitale di pianificazione delle campagne out of home, progettato per avvicinarsi all'esperienza di pianificazione delle campagne di digital advertising. «Gli spazi pubblicitari OOH sono geolocalizzati e per ognuno è possibile visualizzare le foto, la street view, oltre alle caratteristiche fisiche ed altri importanti dati. Per semplificare la ricerca degli spazi, algoritmi proprietari calcolano per ogni spazio gli indici di visibilità, basandosi sulle informazioni registrate. – spiega il titolare Nicola Palmas –. Possiamo suggerire le migliori location per le campagne pubblicitarie, fornendo dati su traffico, composizione socio demografica della popolazione residente in una certa area, presenza di punti di interesse nelle circostanze. Queste informazioni, combinate con i parametri e le caratteristiche degli spazi pubblicitari, consentono di arrivare a un livello di precisione nella pianificazione che solo operatori esperti di ogni singolo territorio sarebbero in grado di raggiungere altrimenti». Grazie a Bìllalo, un’azienda può decidere di pianificare una campagna scegliendo solo gli spazi pubblicitari illuminati e situati ad una certa altezza da terra in un dato raggio dai propri punti vendita in tutta Italia, in pochi minuti, dal proprio computer e presto da smartphone. «Abbiamo migliorato la fruizione dei dati storici e presto potremo sapere quali campagne sono state eseguite su ogni spazio pubblicitario nel corso degli anni» aggiunge Palmas.

Una buona analisi di partenza, la conoscenza del proprio target e degli obiettivi sono aspetti che hanno riflessi non solo sulle performance aziendali e sul ROI, ma anche su aspetti di responsabilità sociale delle aziende: ridurre gli sprechi e l’impatto ambientale delle proprie operazioni, digitalizzando in parte o integralmente i processi. «Tra i nostri clienti storici c’è un’importante organizzazione di spettacolo dal vivo in Sardegna che in passato faceva pubblicità per eventi utilizzando quantità considerevoli di manifesti di piccolo formato e qualche affissione di grande dimensione. Oggi ha ridotto drasticamente le quantità, puntando su spazi più grandi in location con alti livelli di traffico e una decisa concentrazione del pubblico potenziale dei singoli artisti che promuove. In particolare, grazie all’utilizzo combinato delle analisi geosociodemografiche sulla popolazione residente, ha trovato nuovo pubblico e tracciato le conversioni grazie all’utilizzo di QR code con link di atterraggio su pagine di approfondimento, iscrizione alle newsletter e acquisto biglietti. Abbiamo calcolato che rispetto al 2019 sono riusciti a tagliare i costi per l’acquisto degli spazi di quasi il 30%, e di circa il 23% sul costo delle stampe nonostante i rincari dell’ultimo anno».

Smart non solo nelle metropoli

Wayap è un’azienda specializzata in pubblicità per esterni nata nel 2014 come naturale prosecuzione di A.P. Italia, fondata nel 1964. Oltre a svolgere il servizio di concessionaria di spazi pubblicitari per affissioni e cartellonistica su strada, si occupa

A destra, maxi affissione realizzata da Printable; sotto, campagna Oxfam realizzata da Wayap

di consulenza per la pianificazione e scelta delle postazioni più strategiche in ciascun territorio, in base alle esigenze e alle dimensioni del cliente, che si tratti di un piccolo imprenditore o di una multinazionale. «Lo scenario del tutto imprevedibile generato dalla pandemia ci ha permesso di testare sul campo tutta la resilienza ed energia di una struttura snella e veloce, che ha saputo mantenere un contatto diretto con le aziende, pronte a tornare su strada già nella seconda metà del 2020» racconta Mita Aga Rossi, direttrice marketing di Wayap. «Anche in questo momento stiamo sottoscrivendo nuovi importanti incarichi con varie città italiane per definire una strategia che integri tradizionale e digital, con pensiline intelligenti per i mezzi pubblici e soluzioni a supporto della mobilità elettrica e di città che stanno diventando sempre più smart e sostenibili».

Se da un lato alcune realtà sono decisamente all’avanguardia e spingono Wayap ad “alzare l’asticella” nella progettazione di nuove soluzioni tecnologiche, dall’altro bisogna investire molte energie nel supportare anche i clienti locali, così come le molte aziende italiane che si collocano in una fascia media. «C’è molto interesse per il digital advertising, non solo nelle metropoli, ma anche in città più a misura d’uomo, perché è ormai assodato che il pubblico tende a essere più colpito da forme di pubblicità in movimento o effetti 3D».

Rispetto all’affissione tradizionale, resta aperta la questione relativa alla rotazione dei messaggi pubblicitari. «La domanda che le aziende devono porsi è se sia meglio essere visti su un impianto statico con immagine fissa o all’interno di un meccanismo di rotazione, con fino a 6 diversi brand al minuto» prosegue Aga Rossi. «Difficile dire se nell’inconscio di un utente pubblicitario si consolida meglio l’immagine vista in cartellone statico o su un ledwall in rotazione. Probabilmente molta dell’efficacia finale resta nella qualità del concept creativo, oltre che nella forza del messaggio».

Chi ha scelto di investire nel digital signage è SarLed. Nata come agenzia pubblicitaria negli anni Duemila, si è specializzata nella realizzazione di campagne promozionali sia nel campo delle ADV che in quello della stampa promozionale sia offset che digitale. «Nel 2000 abbiamo costituito sezioni specializzate in digital web, cartellonistica stradale, indicazioni turistiche, realizzando migliaia di impianti su strada sia in Sardegna che in Nord Italia, grazie alla collaborazione con le più grandi società nazionali del A sinistra, affissione di Printable; a destra led realizzati da SarLed settore. La naturale evoluzione della pubblicità stradale ci ha portato nel 2019 a passare al digital signage, avviando partnership con le migliori aziende produttrici di ledwall e videowall, per uso sia interno che esterno» racconta Carlo Podda, direttore di SarLed Led Wall & Co. «Cambiano le tecnologie, ma non l’intento di stimolare l’attenzione dell’utente con campagne vivaci, attraenti, che rimangano impresse nella mente. E questa è una realtà tanto nelle grandi città che nei centri più piccoli».

Non dimenticare l’empatia

Quel che è certo è che resta fondamentale catturare l’attenzione degli utenti puntando su messaggi unici e indimenticabili. Anche per questo gli annunci tradizionali stanno assumendo un aspetto sempre più “social”, che invita gli utenti a fotografare e postare, amplificando la visibilità del brand. La necessità di essere virali deve andare di pari passo con quella di “restare umani” e comunicare, anche con ironia, con il pubblico. Tecnologie all’avanguardia e nuovi strumenti digitali devono essere la leva, ma ciò che davvero non può mancare in una campagna efficace è la capacità di creare una connessione con chi la osserva.

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A.R.T. ENTERPRISES

Dai musei alla stampa, il colore d’autore di Rocco Trabucco

E se il patrimonio artistico-culturale custodito nei musei italiani fosse una risorsa concreta per brand, creativi e stampatori? Non solo fonte di ispirazione e documentazione, ma vero e proprio strumento di gestione del colore fedele al reale. Con la possibilità di dare vita a collezioni nei più svariati ambiti – dal tessile all’automotive, dall’interior design al promotional – legate indissolubilmente al personale tocco coloristico dei grandi Maestri dell’arte europea. È l’inedita possibilità che offre il lavoro di catalogazione e codificazione compiuto da Rocco Antonio Trabucco, fotografo professionista e fondatore della A.R.T. Enterprises. Oggi, dopo la sua prematura e recentissima scomparsa, il suo lavoro è portato avanti dalla moglie Maria De Chirico Trabucco.

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Una cartella di 480 colori codificati e registrati alla SIAE, provenienti da 200 opere diverse, che può essere messa a disposizione di tutte quelle industry che proprio sull’uso del colore fondano la propria attività.

Immaginate un capo di haute couture che possa vantare lo stesso esatto punto di giallo dell’abito di una Pia Donna dipinta nel 1507 da Raffaello Sanzio nella sua famosa Deposizione, anche nota come Pala Baglioni. O un’automobile con livrea rosso fiammeggiante come il drappo adagiato morbidamente sul grembo dell’Orfeo – personificazione di gusto classicista di Scipione Borghese – rappresentato nel mosaico del 1628 di Marcello Provenzale. O, ancora, un wallpaper che abbini la tonalità decisa dell’uva matura e quella delicata delle pesche che fanno capolino – e sembra quasi di sentirne il profumo – dalle mani del Giovane con canestro di frutta di Caravaggio del 1593.

Sono solo tre esempi di opere custodite dalla Galleria Borghese di Roma che Rocco Antonio Trabucco, fotografo professionista sulla cui lunga carriera si potrebbero scrivere tomi interi, ha fotografato a partire dai primi anni 2000 per conto del Ministero e dei Beni e Attività Culturali al fine di creare una vasta opera di catalogazione telematica delle opere d’arte del Polo Museale Romano per diffondere la conoscenza del patrimonio all’estero. È con grande passione visionaria, completamente proiettata verso il futuro, che ci ha raccontato il suo lavoro e le possibili applicazioni in un’intervista recente, al termine della quale non avremmo mai immaginato di salutarlo per l’ultima volta. Trabucco è infatti mancato improvvisamente durante l’estate, ma la moglie Maria De Chirico, avendolo sempre affiancato nell’attività, ha deciso di portare avanti il progetto di A.R.T. Enterprises, la società che Trabucco aveva fondato proprio in occasione della campagna per il Ministero.

Una campagna che ha richiesto un lungo e sapiente lavoro di fotografia analogica da tramutare poi in file ad alta definizione: «Per avere un colore puro e perfetto – ha spiegato Trabucco – bisognava ottenere il buio completo per evitare ogni fonte di inquinamento luminoso. Le opere dovevano avere solo luce a 5600 gradi Kelvin ed è stato necessario sostituire le lampadine ogni 10 opere, perché oltre un certo uso il grado di luce ideale calava. Questo lavoro, naturalmente rispettoso di tutti i criteri di conservazione, ha consentito di ottenere negativi puri, con gli stessi colori che doveva aver visto l’artista stesso nel momento in cui ha realizzato l’opera». In virtù di tale resa, le riproduzioni fotografiche sono state certificate dalla Soprintendenza come fedeli in tutto e per tutto al reale, attraverso un timbro che riporta la dicitura “Riproduzione fedele all’originale”, conformità riportata anche da una perizia giurata del Tribunale civile di Roma.

Di questo immenso archivio fotografico una parte dei negativi è stata acquisita dal Ministero, mentre la restante parte, afferente alle medesime opere, è rimasta di proprietà del fotografo, con l’autorizzazione a fare utilizzo commerciale delle riproduzioni purché non lesivo delle opere stesse e tramite la corrispondenza di royalty. La digitalizzazione dei negativi ha implicato la necessità di codificare i colori delle opere utilizzando Photoshop «che è in grado di dare la formula cromatica del colore scelto. Per riprodurre lo stesso identico colore, è stato necessario utilizzare la medesima formula cromatica adoperata dall’artista molti secoli fa» ha raccontato Trabucco. «Da questa operazione complessa è nata l’idea di estrapolare una cartella di colori, in maniera tale che la loro riproduzione su diversi supporti di stampa possa seguire parametri univoci ed essere sempre fedele all’opera reale».

Ma se consideriamo i segni del tempo, le patine e le verniciature che spesso caratterizzano le opere musealizzate, come è possibile essere certi che il colore campionato sia esattamente aderente all’originale? «La mia tecnica fotografica ha permesso di estrarre il colore dalle maglie, al di là della superficie e quindi di risalire all’originale non alterato dal tempo». Ecco nascere dunque una sorta di “pantonario” – si passi l’antonomasia – di 480 colori codificati e registrati alla SIAE, provenienti da 200 opere diverse, che può essere messo a disposizione di tutte quelle industry che proprio sull’uso del colore fondano la propria attività.

La scelta dei colori codificati e registrati, ha spiegato Trabucco, si è basata su una sensibilità personale legata anche all’origine dell’amore per l’arte e la fotografia: «Abruzzese di nascita, all’età di 13 anni mi sono trasferito con la mia famiglia a Roma, e ho sentito da subito la mancanza dei colori legati al mutare delle stagioni. Nell’arte ho ritrovato i colori della mia infanzia. E ho deciso di catturarli per me, raggiungendo un livello di eccellenza riconosciuta nella fotografia d’arte. Tanto che il Ministero mi ha chiesto di progettare la creazione dell’archivio telematico».

Il lavoro compiuto da Trabucco e ora gestito da De Chirico apre il campo a molteplici applicazioni ed è particolarmente interessante se si pensa che quello della riproduzione fedele in stampa delle opere d’arte è uno dei temi fondamentali nell’editoria di settore, sia quella di carattere scientifico-didattico sia quella di carattere divulgativo, nonché della realizzazione di stampe in diversi formati e gadgettistica da bookshop, dalle cartoline ai notebook, dalle mug di ceramica alle calamite fino alle amatissime t-shirt e tote bag. Ma soprattutto apre nuove possibilità di business: «Le possibilità sono molteplici – ha proseguito Trabucco – a partire dall’inserimento di questa cartella colori nei sistemi di software per la gestione del colore per diverse applicazioni di stampa. I colori codificati possono essere usati da tutti i sistemi di stampa digitale in diversi ambiti applicativi per creare rapidamente collezioni e linee mirate, che possono andare dall’abbigliamento (e tessile in generale) all’arredamento, dalla creazione di accessori e oggetti di design all’edilizia, dall’interior decoration all’automotive e persino ai giocattoli. È possibile creare collezioni di materiali industriali come vernici, o fine art come tempere, pastelli e pennarelli». Tutte applicazioni che potrebbero essere supportate da una comunicazione che ne valorizzi la peculiarità in maniera da renderle distintive sul mercato, ma non solo: in sottofondo c’è l’idea di valorizzare, attraverso l’uso di colori ufficiali e certificati, il patrimonio stesso. A partire da oggetti stampati coi colori dell’arte europea potrebbe innescarsi la curiosità verso le opere da cui quei colori provengono. E, perché no, qualcuno potrebbe anche avere voglia di utilizzare parte dei proventi di una collezione per promuovere e sostenere le attività culturali. Sono tutte possibilità da esplorare e combinare tra loro. Come nella tavolozza di colori di un artista, c’è solo l’imbarazzo della scelta su come valorizzare al meglio questa eredità importante e carica di significato.

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rocco antonio trabucco

Rocco Antonio Trabucco (1947-2022) nasce a Ortucchio, in provincia de L’Aquila. Nel 1960 si trasferisce a Roma con la famiglia e nel 1963 entra come apprendista nell’A.F.I. (Agenzia Fotogiornalistica Internazionale). Nel 1967, durante il servizio di leva militare, vince un concorso per il ruolo di fotografo personale dell’allora Ministro della Difesa Luigi Gui. Nel 1968 torna all’A.F.I. e dopo pochi mesi passa ai servizi speciali all’estero. Nel 1976 fonda la propria agenzia, la Trasal press, che internazionalizza nel 1980 gestendo i servizi di altre 13 agenzie estere. Nel 2002 la Camera dei Deputati gli conferisce il prestigioso premio “Vittorio Bachelet” come promotore artistico della fotografia italiana nel mondo e l’Istituto Luce rileva tutto il suo archivio fotografico, 70.000 immagini, per celebrare i suoi 100 anni di storia che ricorreranno nel 2024. Sempre nel 2002 il Ministero dei Beni Culturali gli commissiona una campagna fotografica in digitale sulle opere esposte nel Polo Museale Romano, in occasione della quale fonda la società A.R.T. Enterprises. Nel 2005 si aggiudica la gara indetta dalla Commissione Cultura Europea “Caravaggio e l’Europa” da cui verrà estrapolata la mostra fotografica d’arte esposta in tutte le capitali degli stati membri. “Dal Rinascimento a Caravaggio” è l’ultima mostra realizzata. Dopo la sua scomparsa, A.R.T. Enterprises è rappresentata dalla moglie Maria De Chirico Trabucco. Per informazioni: info@artenterprises.it

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MANIFATTURA DEL SEVESO

IL POTERE DEL FLUO

TTreccani Emporium arricchisce la linea DEFINIZIONE rivestendo i suoi quaderni in 6 colori fluo della gamma Bukram Power di Manifattura del Seveso. I quaderni, stampati a caldo con lamina nera, fanno parte di una serie di oggetti che Treccani Emporium ha studiato per l’utilizzo quotidiano, per far riscoprire l’importanza di un immenso patrimonio culturale comune: la lingua italiana. La gamma di colori sgargianti adoperati per le copertine esalta le potenzialità di questi quaderni, dando grinta e ispirazione a chiunque decida di immergersi nella scrittura di questi splendidi kit di tutti i generi, dal design alla moda, dal cinema all’arte.

BUKRAM POWER

È un tessuto resistente, in 100% cotone, che grazie alla sua flessibilità si adatta a diversi utilizzi: dal rivestimento di agende ai quaderni e a molti altri utilizzi di cartotecnica. È disponibile in due versioni: PWR#1 coi suoi 6 colori fluo di tendenza e PWR#2 coi suoi 6 colori pastello dal rosso acceso al giallo sole. Si può avere solo spalmato oppure con base carta da 20 g/m² certificata FSC®.

Altezza: 78 cm. Lunghezza rotoli: 25 e 50 metri lineari. Costruzione filato: 33/13 fili/cm², 100% cotone. Peso: 280 g/m² senza retro carta. Spessore: 0,36–0,38 mm. Processi di stampa: offset, offset con inchiostri UV, stampa a caldo, stampa a secco, serigrafia.

COME SI STAMPA E NOBILITA IL LEGNO

“PEr fArE uN TAvOLO CI vuOLE IL LEGNO. PEr fArE IL LEGNO CI vuOLE L’ALBErO”, CANTAvA SErgIO ENdrIgO. uN MATErIALE OrGANICO ChE TrOvA IMPIEgO NON SOLO NELL’ArrEdAMENTO E NELL’EdILIzIA, MA ANChE IN NuMErOSI ALTrI SETTOrI, dAGLI STruMENTI MuSICALI AI GIOcATTOLI. QuI ANALIzzIAMO LA STAMPA Su LEGNO, MA QuANdO SI PArLA dI LEGNO IN rEALTà SI INTENdONO SpEsSO SuOI dErIvATI. E QuANdO SI PArLA dI STAMPA Su LEGNO, NON SI INTENdE TANTO STAMPA dECOrATIvA, QuANTO IMITATIvA dEL LEGNO Su CArTA. SEMbrA COMpLESsO: dOPO QuEsTO vIAgGIO SArà TuTTO PIù ChIArO.

di ELENA PANCIERA

Il legno è un materiale organico, proprio come la pelle, viene usato in modo massiccio nel settore dell’arredamento e dell’edilizia, ma trova impiego in numerosi settori, dagli strumenti musicali ai giocattoli.

Cominciamo però dalla base. Tutto parte dagli alberi. Il legno serve alle piante a portare in alto, alla luce, le parti verdi in cui avviene la funzione clorofilliana. In questo articolo ci riferiremo sempre alle piante dicotiledoni; escluderemo cioè palme, bambù e altre specie, il cui tessuto di sostegno si chiama “stipite”. Per l’arredamento e l’edilizia viene usato il fusto dell’albero. La chioma viene usata come legna da ardere. Nel tronco degli alberi si identificano due macro-sezioni: quella esterna si chiama zona corticale, ed è composta da corteccia, libro e cambio. Quella interna è il legno propriamente detto, ed è composta da alburno, durame e midollo. La corteccia viene eliminata in sede di lavorazione. Il libro è uno strato formato da condotti nei quali discende la linfa. Il cambio è un sottile strato tra corteccia e legno, che produce nuove cellule che determinano l’accrescimento del fusto in senso radiale. La parte più interna è formata dall’alburno e dal durame, sezioni che possono essere distinguibili o meno tra loro. Li si riconosce perché nei climi temperati la successione delle stagioni determina i cosiddetti “anelli di accrescimento”, gli elementi che poi formano le venature. Il cuore del tronco si chiama midollo. È poco compatto, ha una consistenza minore rispetto ad alburno e durame, e ha un aspetto spugnoso: questa struttura è finalizzata all’accrescimento assiale del fusto.

Fisica e meccanica del legno: cosa serve sapere prima di stampare

Dal punto di vista fisico, il legno è un materiale poroso: circa il 50–60% del suo volume è costituito da cavità. Sono i capillari, che finché l’albero è vivo trasportano la linfa. Questa particolare conformazione del tronco, interamente percorso da capillari, è il motivo principale della cosiddetta igroscopicità del legno. Tale materiale, infatti, assorbe acqua dall’aria e la trattiene in forma liquida, nei pori oppure nella parete cellulare. La sua struttura porosa può essere sfruttata anche per impregnarlo di liquidi protettivi, coloranti o adesivi. Quando si parla di stampa diretta su legno, bisogna tenere conto di questa caratteristica. Infatti, se non si prevede un pretrattamento che chiuda i pori in superficie la quantità di inchiostro necessaria sarà molto maggiore. L’umidità del legno ne influenza tutte le caratteristiche fisiche, meccaniche e tecnologiche: dall’elasticità alla sua tendenza anisotropa al ritiro e rigonfiamento lineari e volumetrici. La stabilità dimensionale del legno è un aspetto fondamentale da considerare, anche quando si parla di stampa. Può essere garantita se in fase di lavorazione il legno ha un’umidità che si manterrà in equilibrio con le condizioni ambientali anche nel successivo impiego. Non

esiste una “umidità perfetta” del legno, ottimale e costante in ogni caso. Con un’umidità inferiore al 20% i fenomeni di degrado fungino più noti e frequenti non si innescano. Sopra al 20% le sue caratteristiche meccaniche si riducono, benché non in modo drastico. Se non entra direttamente in contatto con l’acqua, l’umidità del legno resta al di sotto del 20%, a meno di avere condizioni di umidità relativa dell’aria prossime al 100%. In ambiente normale, l’umidità del legno varia fra il 10 e il 20%. Se si vogliono evitare gli effetti collaterali della variazione di umidità, occorre mantenere condizioni climatiche costanti, ma questo è difficile anche nelle abitazioni private, dove a seconda della stagione l’umidità varia di 6-8 punti percentuali. La soluzione migliore è cercare di tenere il manufatto in equilibrio col clima (temperatura e umidità relativa) in cui è in servizio, valutando la situazione caso per caso. Tradizionalmente i legni vengono classificati in base alla loro durezza. Da questa dipendono spesso anche le loro destinazioni d’uso. I legni si differenziano anche per il loro aspetto: dal colore (bruno, rossastro, nero) al disegno, che dipende dal taglio e dall’andamento delle fibre (lucentezza, grana, venatura).

Legno massiccio: pro e contro

Il legno nasce cilindrico: questa è infatti la forma del tronco. In alcuni casi viene impiegato nella sua interezza, come legno massiccio. In questo caso il tronco viene tagliato in modo da mantenere una sezione rotonda, oppure – più spesso – rettangolare. Quest’ultima forma è generalmente più duttile e pratica, sia per le successive lavorazioni che per la conservazione e lo stoccaggio. Il legno viene suddiviso sulla base del taglio: se è centrale si chiama taglio con cuore; se un lato è tangenziale alla linea di diametro del tronco si chiama taglio cuore spaccato; se non include il cuore si chiama taglio fuori cuore. Dal tipo di taglio dipendono stabilità dimensionale (deformazioni e svergolamento) e rischio di fessurazione della tavola o della trave: nel primo caso sono molto alti, nel secondo sono alti, nel terzo sono limitati. Per aumentarne dimensione e resistenza, soprattutto se usati in ambito strutturale, vengono incollate due o più porzioni di massello. A seconda delle dimensioni, si chiamano listello, tavola, tavolone o legname squadrato. Il problema del legno massiccio è però il suo costo. La resa di un tronco infatti è solamente del 15- 20%.

da decenni ormai è diffusa la pratica della "nobilitazione" di pannelli poco pregiati attraverso l'incollaggio sulla superficie di carta stampata con tecnologia rotativa a imitazione del legno.

piccolo glossario dei materiali, delle proprietà e delle tecnologie

Anisotropia: proprietà di un materiale che ha caratteristiche diverse a seconda della direzione lungo la quale vengono considerate. Il legno è un materiale anisotropo: le sue variazioni dimensionali variano a seconda della direzione delle fibre.

Dicotiledoni: classe delle angiosperme che comprende piante sia erbacee che legnose.

Durabilità: proprietà di un materiale di conservare le caratteristiche fisiche e meccaniche durante un periodo di tempo, sotto l’azione di diversi agenti.

Igroscopicità: capacità di un materiale di assorbire l’umidità presente in aria. Le sostanze igroscopiche cambiano aspetto, colore o dimensione, per cui possono rivelare lo stato di umidità dell’aria.

Impiallacciatura: copertura di un supporto ligneo non pregiato con un piallaccio di legno pregiato, che viene incollato sopra.

Massello: legno da lavorazione costituito da un pezzo unico, usato solitamente per parquet e mobili pregiati. Il massello non è impiallacciato né placcato.

Attenzione: è un sostantivo, anche se spesso viene usato come sinonimo dell’aggettivo “massiccio”.

Metamerismo: fenomeno ottico per cui colori che sembrano uguali sotto una certa luce, si rivelano invece diversi se sono illuminati con una luce diversa.

Minuzzolo: letteralmente “pezzettino minuto, piccolissima parte di cosa sminuzzata”. Piccoli pezzi di legno fragile, di scarto, riciclato.

Porosità: il rapporto tra il volume dei vuoti (pori) e il volume totale del materiale considerato.

Proprietà tecnologica: definisce l’attitudine di un materiale a essere sottoposto a diverse lavorazioni.

Per esempio, sono proprietà tecnologiche malleabilità, fusibilità, saldabilità, truciolabilità.

Definiscono quindi la capacità del materiale di lasciarsi lavorare, rispettivamente, per deformazione plastica, fusione, unione di lembi e asportazione di truciolo con macchine utensili.

Del legno non si butta via niente: derivati e compositi da piallacci, fibre e trucioli

Ma il legno – perdonateci il paragone – è un po’ come il maiale, non si butta via niente. Ecco, quindi, che molto spesso i tronchi o le parti di scarto vengono tagliati e poi ricomposti in vari modi. I materiali di partenza possono essere piallacci, trucioli o fibre di legno. Vengono lavorati e ricomposti, usando colle speciali, così da essere utilizzabili. Anche in questo caso vengono realizzati prodotti lineari oppure piani, come i pannelli truciolari, OSB e in fibra di legno.

I pannelli da piallacci

Il tronco può essere tranciato o sfogliato, in modo da ottenere fogli più o meno sottili, detti rispettivamente “piallacci” o “sfogliati”. La sfogliatura è un processo semplice ed economico, e quindi più adatto alle produzioni di massa. Richiede però materiale con elevate caratteristiche geometriche, ovvero un buon diametro e una buona rettilineità dei tronchi. Il taglio a strati è invece adatto a lavorazioni più pregiate, come l’impiallacciatura. In questo modo si riesce anche a mantenere la fiammatura del legno, il disegno. I piallacci ottenuti tramite sfogliatura o tranciatura vengono essiccati, levigati, selezionati desiderato. Dai piallacci vengono composti prodotti lineari, detti “stratificati di piallacci”, e prodotti piani, come i compensati.

I pannelli da fibre di legno

I fasci di fibre vengono ottenuti con un processo di sfibratura, dopo che il legno grezzo è stato sottoposto a una prima riduzione in minuzzolo. Le fibre si legano nel pannello intrecciandosi tra loro e sfruttando l’azione adesiva del legno stesso. È possibile anche aggiungere altre sostanze adesive alla miscela. In base come vengono prodotti, i pannelli di fibra di legno vengono suddivisi in “pannelli per via umida” e “pannelli per via secca”.

I pannelli da trucioli

I pannelli truciolari possono essere classificati in base alla struttura del pannello, ovvero monostrato, multistrato (composti da particelle orientate o non orientate all’interno di ciascuno strato), a separazione progressiva simmetrica, pannelli estrusi con tubi. Possono essere classificati anche in base alle dimensioni e alla forma delle particelle: pannelli di trucioli sminuzzati (pannelli truciolari), pannelli di trucioli grossi e ampi (waferboard), pannelli di trucioli lunghi, stretti e orientati (OSB), pannelli di altri materiali.

Pretrattamento, stampa, post-trattamento

Il legno massiccio o i materiali impiallacciati con specie pregiate vengono stampati di rado. Normalmente e tradizionalmente vengono verniciati o dipinti con vernici pigmentate. Le vernici hanno valore lucidante e decorativo, ma anche protettivo: servono a isolare il legno poroso da acqua e sporco. Quando si parla però di composti e derivati del legno, la stampa entra in ballo prepotentemente. Da decenni ormai è diffusa la pratica della “nobilitazione” di pannelli poco pregiati – solitamente truciolari, multistrato o pannelli di fibra di legno. Questa nobilitazione avviene attraverso l’incollaggio sulla superficie di carta stampata con tecnologia rotativa a imitazione del legno. La carta, trattata nella maggior parte dei casi con resina melamminica, viene applicata sotto pressione e a caldo, e diventa così parte integrante del pannello. Negli ultimi anni sta prendendo pie-

de anche la stampa digitale, che viene fatta direttamente sul materiale. Solitamente si usano MDF o comunque pannelli che presentino una superficie abbastanza liscia e omogenea. La tecnologia più usata è quella UV e UV LED, che offre buone prestazioni in termini di resistenze e di qualità di stampa. Per migliorare la coerenza cromatica, la resa quantitativa dell’inchiostro e la qualità di stampa, le superfici legnose vengono pretrattate con sostanze a base polimerica, poliuretanica o acrilica. Questi liquidi di pretrattamento vengono spruzzati sulla superficie o stesi con rulli e passati in forni per asciugare, e costituiscono la vera e propria base per la stampa. Per produzioni industriali vengono usate macchine single pass, ma possono essere usate anche stampanti flatbed ad alta produttività con sistemi automatizzati di carico e scarico del materiale. I vantaggi della stampa digitale sono diversi: lavorando on-demand, possono essere praticamente annullati i costi di magazzino; si possono creare infiniti pattern e design a imitazione del legno; con alcune tecnologie si possono riprodurre le venature del legno a registro con la stampa. In tutti i casi, a seconda degli usi finali, possono essere aggiunti post trattamenti per aumentare le resistenze all’abrasione, al graffio, al calpestio, all’umidità. Possono essere vernici, spruzzate o stese con rulli sui pannelli, oppure addirittura lamine polimeriche, incollate e pressate ad alta temperatura.

Creare l’effetto legno

Nell’industria dell’arredamento e dell’interior design, una delle sfide più grandi è creare un “effetto legno” convincente e verosimile. Oltre alla resa cromatica, complicata dal metamerismo, è di vitale importanza restituire l’effetto tattile del legno: tridimensionalità delle venature, temperatura, naturalità. Ci sono vari modi per ottenere risultati di livello da medio a ottimo – anche a seconda della qualità e delle resistenze richieste per il prodotto finito, dei costi, dei volumi produttivi. Nell’ambito della stampa tradizionale, i rotoli di carta melamminica vengono stampati con combinazioni di tinte spot che vanno dal beige al marrone scuro. In questo caso, l’effetto tridimensionale delle venature viene delegato a trattamenti analogici come presse a caldo, che imprimono la texture desiderata. Solitamente il prodotto che deriva da questo processo è di qualità media, e le venature non sono a registro con la stampa. Passando al digitale, alcune tecnologie prevedono l’uso della quadricromia tipica del mercato delle arti grafiche, magari con l’aggiunta di alcuni colori speciali. Altre, per ridurre il rischio di metamerismo, mutuano l’uso di combinazioni di tinte marroni da altri settori, come la stampa digitale su ceramica e vetro.

Per quanto riguarda la riproduzione delle venature, alcune delle più avanzate tecnologie digitali riescono a riprodurre la texture del legno perfettamente a registro con la stampa. Questo può avvenire sia con tecnologia additiva, sia con tecnologia chimico-sottrattiva. La prima prevede l’aggiunta di strati di materiale per creare lo spessore, passaggio dopo passaggio, mentre la seconda prevede l’uso di speciali sostanze chimiche che, grazie alla loro “incompatibilità” con il coating su cui agiscono, fanno sì che questo si ritragga nei punti desiderati, creando le scanalature.

con il contributo tecnico e scientifico di:

Andrea Bernasconi

Professore, HEIG-VD/HES-SO

Luca Bellotto

R&D, Symera

Fabio Centimerio

R&D, Marabu Italia

Stefano Costacurta

CEO, Symera

Massimo Del Senno Consulente R&D tecnologia del legno Luigino Giacchetta R&D, ICA Riccardo Hassan CEO, Sirpi Alessandro Mantovani Sales, Fenix Digital Group Silver Santandrea R&D, Cefla

LA CARBON FOOTPRINT DI PUSTERLA

CConsapevole del fatto che la sostenibilità deve essere considerata come un lungo percorso dove non esiste alcun punto di arrivo ma solo tappe intermedie di miglioramento, Pusterla 1880, in linea con i propositi di sostegno al Global Compact delle Nazioni Unite, ha iniziato nel 2021 un nuovo cammino il cui intento è quello di misurare le proprie carbon footprint in modo tale da avere un parametro di riferimento su cui basare i prossimi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e continuare così a diminuire il proprio impatto sul pianeta.

Nel percorso della creazione di una strategia di sostenibilità, la consapevolezza del proprio impatto ambientale è il primo passo da fare. Per questo motivo Pusterla 1880 ha analizzato la propria carbon footprint con l’ausilio della società Quantis. L’obiettivo di questo studio è stato appunto quello di comprendere le aree della filiera produttiva che hanno maggiore impatto in termini di generazione di CO2 in modo da poter definire un’efficace strategia di riduzione degli stessi.

Lo studio sviluppato si è basato sul modello classico del protocollo GHG (Green House Gas) nato alla fine degli anni ’90 dalla necessità di creare uno standard internazionale per il tracciamento e la reportistica delle emissioni dei gas serra aziendali, e il conseguente sviluppo di un programma d’azione per affrontare i cambiamenti climatici. Ad oggi il protocollo GHG è riconosciuto dal World Resources Institute (WRI), dal World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), e collabora con governi, ONG e organizzazioni di settore per raggiungere l’obiettivo di riduzione delle emissioni di gas serra di almeno il 40% entro il 2030. L’analisi e le rilevazioni sono state effettuate basandosi sui report dell’anno 2021, e hanno suddiviso le emissioni, secondo le indicazioni del protocollo, in tre scope o calcoli: il primo scope ha valutato le emissioni dirette dell’azienda derivanti dall’utilizzo di combustibili per la produzione di energia, per i veicoli aziendali, per i processi produttivi la cui fonte è di proprietà o controllata dall’azienda; il secondo scope ha valutato invece le emissioni considerate indirette in quanto la loro produzione fisica avviene all’esterno dell’azienda e non è sotto il controllo di Pusterla 1880; il terzo scope infine, facoltativo ma molto interessate, ha calcolato tutte le altre emissioni indirette che vengono generate dall’intera filiera produttiva.

Queste analisi hanno dato al Gruppo la possibilità di individuare punti dell’intera filiera di produzione che lasciano più impronte nell’ambiente a livello di produzione di gas serra. Il report servirà dunque come base per la creazione e attuazione di una strategia di miglioramento e monitoraggio delle carbon footprint di gruppo, comprese le entità Pusterla Italia, Pusterla UK, Pusterla France, Pusterla Asia, che da ora avrà come anno di riferimento il 2021.

Gli strumenti e le conoscenze acquisite durante questo percorso hanno poi dato la possibilità a Pusterla 1880 di diventare autonoma nelle misurazioni grazie agli strumenti appresi; in questo modo l’impatto ambientale verrà poi autonomamente ricalcolato ogni anno per continuare a tenere monitorati le evoluzioni ed i miglioramenti delle carbon footprint dei prodotti di Pusterla 1880.

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