Essere - numero tre

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vivere il presente immaginando il futuro

l’amore e l’amore giugno 2015

numero tre

DELL’AMORE | ESSERE AMORE | LEV TOLSTOJ, IL FIGLIO DEI FIORI VEGETARISMO E OCCULTISMO | BUDDISMO E VEGETARISMO 1



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06 08 16 dell’amore

essere amore

ESSERE è un progetto di Stefano Momentè. Giornalista, scrittore, esperto di comunicazione, Momentè ha lanciato il circuito Ristoranti Verdi ed è stato per anni membro di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Promuove la scelta vegana con conferenze, corsi, seminari, articoli, libri. Veganitalia Cooking School è la sua scuola di cucina itinerante per la diffusione della cultura vegan e crudista. VEGAN ITALIA è nata nel settembre 2001, sia come associazione che come sito. La sua attività si svolge principalmente attraverso la rete. Ma non solo. Cerca in tutti i modi di promuovere un’informazione completa, libera, critica e consapevole, per dare a chiunque la possibilità di decidere

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il figlio dei fiori

senza preconcetti e chiusure in merito allo stile di vita e all’alimentazione da seguire. Per fare ciò,Vegan Italia attinge a tutte le fonti possibili, raccogliendo documenti, studi e statistiche e provvedendo alla loro diffusione, fornendo anche consigli e suggerimenti a tutti coloro che ne fanno espressa richiesta. CONTATTI Redazione: info@veganitalia.com Siti: veganitalia.com, cucinavegan.info Fb: https://www.facebook.com/zeptepi Restiamo a disposizione per eventuali altri crediti non reperiti.


contributors MICHELA KUAN

Laureata in Scienze Biologiche, specializzata in Biodiversità ed evoluzione con dottorato internazionale in biologia evoluzionistica. Responsabile nazionale LAV dal 2007 per il settore vivisezione, consigliere direttivo di IPAM (Piattaforma italiana per i metodi alternativi) e rappresentante per l’Italia nelle Coalizioni internazionali ECEAE (European Coalition to End Animal Experiments) ed Eurogroup for Animals. Dal 2012 è anche biologa nutrizionista Specialista in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana. Vincitrice del premio DNA2013 conferito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. www.michelakuan.it

JUDITH PINNOCK

Nata a Roma nel 1955, da padre inglese e madre pugliese. Forse è stata questa commistione a renderla da sempre aperta alle novità, al rispetto ed alla curiosità per le differenze. Gli studi di psicologia ed un percorso spirituale maturato nel buddismo giapponese hanno ancor più radicato queste caratteristiche. Realizza numerosi laboratori sui temi del contrasto alla violenza di genere, della relazione con le differenze di genere e culturali, delle immagini pubblicitarie. Vive in provincia di Modena con il marito Andrea, un cane e due gatti. Ha due figli, Chiara e Giuliano, e due nipoti, Caterina ed Eleonora. lestereotipe@gmail.com https://lestereotipe.wordpress.com/

Franco Libero Manco

Nel 1975 diventa vegetariano e nel 1990 vegano. Ricercatore spirituale e studioso di antropologia morale, fonda il Movimento Cristiano Ecologico trasformatosi poi nel Movimento dell’Amore Universale. Da molti anni tiene conferenze nella sede dell’Associazione Vegetariana Animalista, della quale è presidente, ed in varie città d’Italia. Ha stampato e pubblicato vari testi a carattere etico, spirituale, filosofico, poetico, antropologico. Giornali e riviste nel corso degli anni hanno pubblicato migliaia di suoi articoli.

FABIANA ROMANO

Giornalista, ha scritto per varie riviste a diffusione nazionale (ClassEditori, Management, i Nostri Cani, TerraNuova). Educatrice Cinofila riconosciuta FICSS e Consulente Educazione Relazione a + Zampe (RPO Siua/ Educatore Cinofilo ThinkDog/ Consulente Riabilitativo in formazione CReA). Studiosa di nutrizione e appassionata di cucina, ideatrice di ricette a base di prodotti biologici e autoprodotti ha affrontato in prima persona una terribile allergia e curato i suoi cani con l’alimentazione. https://www.facebook.com/AnimAEquilibritas

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riflessioni

dell’amore / stefano momentè

Amare in senso assoluto significa imparare a riprendere la Via di Casa. Riunendo ciò ch’è sparso, il Sè personale al Sè superiore, il proprio fiume all’Oceano divino. L’azione necessaria allo scopo è quella sacrificale (da sacrum facere, farsi sacro). Un’azione che dovrebbe essere gioiosa ed è invece profanamente considerata sinonimo di sofferenza e dolore, di sangue e di morte. All’origine di ciò c’è il distacco dalla divinità, o, se vogliamo, il disaccordo esistente tra il Sè superiore, per il quale vivere significa dare, e il Sè personale, per il quale vivere significa ricevere. L’Essere divino, spirituale, dona, l’essere umano, materiale, riceve. È questo disaccordo che altera l’equilibrio della legge dell’Amore e introduce l’idea del dolore nel sacrificio, tanto che quest’ultimo nel tempo ha perso ogni traccia del suo originario significato: quello di emanare, verso gli altri e per gli altri, il Principio spirituale della vita, in un atto gioioso d’Amore, condividendo con ciascuno ciò che di meglio si possiede di sé. Sacrificio, quindi, che è Amore nel senso più completo e più pieno della parola. Che è trasformazione totale di sé nell’essere divino dormiente in noi. Trasformazione dell’individuale psichico nell’universale spirituale, del Mercurio volgare in Mercurio filosofico e solare, verso la trasformazione dell’ahamkara manasico (condizione umana) nell’atma buddhico (condizione divina). «Niunio ha maggior amore di questo», disse Giovanni (Vangelo XV, 13), di questo donarsi che è gioia purissima e la cui limitazione non è, e non può mai essere, dolore, ma è solo limitazione di beatitudine. Le fasi del viaggio verso Casa sono cinque, come i petali della Rosa. La prima è quella della comprensione, grazie alla quale arriviamo a formarci un’idea, un’immagine della realtà del cammino e della sua meta. La seconda fase è quella del desiderio di penetrare in questa realtà, di elevarci verso questa meta, di intavolare un dialogo interiore con l’Uomo Divino dentro di noi. La terza è quella della trasformazione, lavorando per la disgregazione dell’Ego, che con tutte le sue sfaccettature è espressione spontanea e naturale dell’uomo animale, fondamento stesso dell’uomo materiale mortale, che deve essere trasformato prima di potersi unire stabilmente con l’essere immortale. La trasformazione conduce, in quarto luogo, a un nuovo comportamento, a un atteggiamento di fronte alla vita completamente nuovo, tale da permettere di esprimere quell’Uomo Spirituale che si sta destando in noi. È in quel momento che diventiamo coscienti del mondo divino e ci apriamo pienamente alla sua bellezza. La quinta e ultima fase è quella del tornare a Casa. Solo allora, come dice Jay Ramsay: «Quando la rosa fiorirà nel petto di ogni uomo e di ogni donna, allora saremo capaci di vedere come vedevamo all’inizio, di avvertire il tocco e la sensazione, di sentire il gusto e il sapore, di annusare gli odori e di udire l’anima del suono. Ricorderemo che un tempo eravamo puro sentimento, e che ancora lo siamo, e ci accorgeremo di come siamo stati nel corso dei secoli. Guardando dentro di noi, nel nostro sangue, vedremo la luce -sangue di rosa- e conosceremo le segrete linee che si estendono fra noi tutti, attraverso città, mari e continenti. Ci accorgeremo che siamo stati tutte le varietà di rosa e che tali dovevamo essere: rosa dell’Amore, che ama; rosa del deserto, nell’ignoto; rosa della morte, che soffre; rosa del nulla, senza niente da mostrare».

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SOCIETà

ESSERE AMORE / FABIANA ROMANO

TROFIMOV : «Con la sua testolina non arriva a capire che noi siamo al di sopra dell’amore. Superare quel che di meschino e illusorio impedisce di essere liberi e felici, ecco lo scopo e il senso della nostra vita. Avanti! Avanziamo inarrestabili verso una stella “luminosa, che splende là, in lontananza! Avanti! Non restiamo indietro, amici!» ANJA: «Che cosa mi avete fatto, Petja, ormai non mi importa più niente del giardino dei ciliegi. Lo amavo tanto teneramente, mi sembrava che sulla terra non ci fosse un posto più bello del nostro giardino». TROFIMOV: «Tutta la Russia è il nostro giardino. La terra è grande e bella, e piena di luoghi meravigliosi… Pensate, Anja: vostro nonno, bisnonno e tutti i vostri antenati erano possidenti, proprietari di anime. Non vedete che da ogni ciliegia di questo giardino, da ogni foglia, da ogni tronco vi guardano creature umane, non sentite le loro voci... Possedere anime vive: è questo che vi ha degenerati, voi tutti che vivete adesso e quelli vissuti prima di voi, e così vostra madre, voi, vostro zio non notate più che vivete in debito, alle spalle di altri, alle spalle di quella gente che non ammettete più in là della stanza

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d’ingresso... Siamo rimasti indietro di almeno duecento anni, non abbiamo nulla di certo in mano, non abbiamo un preciso rapporto col nostro passato, non facciamo che filosofare, soffriamo di nostalgia o beviamo vodka. E’ talmente chiaro che per cominciare a vivere nel presente, bisogna prima di tutto riscattare il nostro passato, farla finita; e riscattarlo è possibile solo con la sofferenza, solo con una continua e straordinaria fatica. Mi capite, Anja? Se avete in mano un mazzo di chiavi, gettatele nel pozzo e andatevene. Siate libera, come il vento». Perché iniziare un articolo che parla di amore con questo brano di Anton Cechov, tratto da “Il giardino dei ciliegi”? Così abituati ad associare l’amore verso una persona, forse, si sta tralasciando il senso più allargato di questo sentimento, l’amore di lottare per poter esprimere la libertà di essere, di scoprirsi in interazione con gli altri senza interesse, apprezzandone l’essenza che ci unisce tutti al tutto. Nel corso dei secoli, l’umanità ha lottato contro il potere per la liberazione dal dominio, per i diritti civili, contro le guerre, i soprusi ecc… e siamo caduti, negli ultimi

decenni, dal desiderio di libertà che il personaggio di Trofimov incarna per sé e il suo paese, all’illusione di averla raggiunta con il potere d’acquisto economico che ci permette di appropriarci di idee, oggetti, anime, pure illusioni di Essere nell’Avere. Mostrarci, apparire per vendere la propria immagine, il proprio sapere o addirittura pubblicizzare la propria famiglia con lo scopo di attirare e fare soldi. Manifestare amore per brama di emergere, elargendo un bene che mette al riparo la coscienza e innalza a dispensatori di umanità illuminata, credendola immortale. Fagocitati da un mondo dominato dal possesso, abbiamo costruito una società che ha relegato il senso dell’Amore autentico, in un angolo. E, più nascondiamo l’amore più lo identifichiamo in rapporti chiusi, quasi a proteggere e difendere l’ultimo respiro di un sentimento che vive di connessioni e disconnessioni. Consumiamo le emozioni, lacerati tra il desiderio di sentirci sempre coinvolti e la necessita di provare l’amore vero, che si nutre di libertà, rispetto e serena autonomia. Ci contorniamo di animali (cani, gatti, conigli) per dominarli o investirli


di quell’amore che non riusciamo a coltivare in noi stessi. Attorno a noi contatti interpersonali con cui interagire non sempre trasparenti e duraturi. Siamo pronti a pagare, chiedendo ad altri di insegnarci come essere felici, come provare quel sentimento dimenticato, come relazionarci in modo appagante per una felicita condivisa che infiamma senza paura di delusioni, tradimenti e aspettative disattese. Quella passione che supera l’amore circoscritto, che Trofimov allarga all’intero paese, la sua Russia. Nel corso della storia, l’amor di Patria quasi non esiste più, tradito da una politica avida che chiede, pretende, fino a rendere oggetti anche le persone, produttrici di denaro. E noi, invece di riprenderci la nostra Vita, chiediamo, deleghiamo ad altri la nostra capacità di amare. La condizione di precarietà e di insicurezza, per molto tempo, ha condotto ad un’interpretazione dell’amore che il sociologo polacco Zygmunt Bauman, ha definito “amore liquido”. L’assenza di certezze, come l’acqua che scorre tra le dita e si perde, ha reso scorrevoli e fragili i rapporti interpersonali, preferibilmente da consumare, quasi a mettere a tacere il bisogno di impegnarsi e la difficol-

tà a farlo. Possediamo e ci connettiamo ai sentimenti, in base agli impulsi di convenienza, fraintendendo il concetto di libertà individuale, intesa come possibilità di poter sfuggire alla noia. Abbiamo messo sotto richiesta continua noi stessi: fare per avere, consumare, scambiare, copiare, rifare per tornare a possedere. Specchio della mancanza di rif lessione in se stessi, impauriti dalla solitudine e dal silenzio, ci illudiamo di essere liberi di amare perché crediamo di possedere tanto: “I legami umani sono stati sostituiti dalle “connessioni”. Mentre i legami richiedono impegno, “connettere” e “disconnettere” è un gioco da bambini. Su Facebook si possono avere centinaia di amici muovendo un dito. Farsi degli amici off line è più complicato. Ciò che si guadagna in quantità si perde in qualità. Ciò che si guadagna in facilità (scambiata per libertà) si perde in sicurezza”, scrive Bauman nel suo libro “Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi”. Eppure è da questo eccesso di “mordere e fuggire” che nasce l’insoddisfazione: la crisi economica, l’aver “forzato la mano” da parte del potere governativo, la sofferenza che stanno vivendo gli animali asserviti all’uomo,

la diminuzione consistente di possibilità di spendere e tutte le condizioni sociali di perdita stanno premendo sul benessere interiore. L’aver “capitalizzato la nostra attitudine a vivere il presente”, oggi ci ha reso bisognosi di altro. Dalla stessa insicurezza può nascere una rinascita, perché finora abbiamo cercato dovunque tranne nell’unico posto dove possiamo trovare l’Amore: in noi stessi. “L’incertezza è la condizione perfetta per incitare l’uomo a scoprire le proprie possibilità”, affermava Erich Fromm. Ed è questo che sta accadendo. Quel “riscatto del passato” di Trofimov, ci invita all’azione. La condizione odierna, precaria, assente di amore per l’altro è, paradossalmente, la migliore possibile per trovarne una nuova modalità. Ripartire da noi, abbattere le paure, sforzarsi e impegnarsi nel riconoscimento dei nostri bisogni fondamentali, senza nuocere a nessun essere vivente, ci può rigenerare ogni giorno. Prendersi cura di se stessi e degli altri attorno a noi, senza connessioni ma con apertura sincera e sicura, cancella i timori e ci rende forti e comprensivi delle altrui diversità. E, dall’amore di sé, della patria, di idee,

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di convinzioni, si può aprire un mondo fatto di riconoscimento nell’altro non in base a ciò che ci divide ma in base a ciò che abbiamo in comune tutti: il rispetto della Vita e la libertà per ognuno di potersi esprimere e manifestare il proprio valore. “Uccidere la volontà di uccidere”, affermano le religioni orientali che si basano sulla vasta filosofia buddista e gandhiana. Vincere in se stessi senza cercare conferme o soluzioni date da altri, senza l’amore egoico e percepire la propria appartenenza alla Vita che evolve con l’accettazione della sofferenza come occasione di sviluppare compassione e misericordia per liberarci della stessa e, infine, assurgere al nuovo livello di amore. L’invito di Trofimov ad Anja di gettare le chiavi della tenuta nel pozzo e andare “via libera, come il vento” può essere inteso, nel nostro caso, come liberarsi dagli attaccamenti e immergersi nella vita universale, sentirsi parte del mondo, contribuire, collaborare con chi è diverso, con chi la pensa anche all’opposto per rafforzare la sicurezza e offrire pezzi di Sé. «Saggezza, consapevolezza, rispetto, compassione, libero arbitrio. Come il mare ondeggia, così l’universo si anima: ciò che vediamo come morte è uno spazio tra un onda e un altra»,

scrive su Facebook Elisa, una ragazza impegnata alla ricerca dell’amore puro, durevole. Come lei, tante giovani hanno intrapreso un viaggio di conoscenza di sé per comprendersi e trovare in se stessi, quella che lo psicologo John Bowlby definiva “la base sicura”. Essere autonomi e sentirsi parte di un gruppo familiare, di amicizie, di conoscenze e trovare il proprio posto nel mondo: sentirsi fiduciosi, sereni e abili del vivere le difficoltà della vita senza paura. Questo vivere porta a relazionarsi con amore non solo con se stessi

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ma con il resto del mondo. Si sviluppa empatia e voglia non più di avere e possedere, ma di sostenere e aiutare altri, animali e umani sullo stesso piano, a trovare la strada della “felicità”. L’amore si è arricchito, così, di un altro sentimento: essere felici. Questo stato è spesso associato all’estasi derivante dall’ottenere la soluzione ad un problema oppure il soddisfacimento di un bisogno o di un desiderio. Invece, il concetto che si sta affermando negli ultimi anni è la felicita legata all’empowerment e alla resilienza. Il primo si riferisce ad un processo di crescita personale e del gruppo di appartenenza, basato sull’incremento della fiducia in se stessi, dell’autodeterminazione e autoefficacia di riuscire a far emergere da se stessi risorse per esprimere il proprio potenziale latente. Il secondo termine è la capacità di affrontare eventi traumatici in modo positivo, riuscendo a ricostruirsi rimanendo sensibili alle opportunità che la vita ci offre senza perdere in umanità: la resilienza elimina la reattività, favorendo azioni consapevoli. Per esempio, avere a cuore la felicità degli animali, significa rispettarli per le caratteristiche e le esigenze fisio-etologiche (ne ho scritto in maniera tecnica e scientifica nei precedenti numeri di ESSERE). L’etica, nella relazione con una specie diversa, si traduce nel permettere di vivere senza imposizioni e sfruttamento, semplicemente nella quotidianità, donando serenità e appoggio in termini affiliativi. Ciò rassicura non solo la relazione ma anche gli attori interessati. Lo stesso vale nei rapporti umani: rispettare ogni individuo, al di là delle scelte o delle differenze (persino chi lede e nuoce). Ciò non significa accogliere le azioni e i comportamenti dal malvagio al dannoso, anzi il contrario: rispettare il fatto stesso di vivere che ci accomuna anche a coloro che eticamente e mo-

ralmente agiscono nel male è donare prima di tutto a se stessi l’occasione di non alimentare pensieri negativi e lasciare che la legge degli uomini, se è il caso, faccia il suo corso. Esprimere, correggere o informare, sono azioni che andrebbero fatte, coltivando interiormente questo rispetto profondo, che è amore, diventando atti di grande compassione per l’offerta intrinseca che donano: la possibilità all’altro di rif lettere e eventualmente cambiare, senza essere contaminati dal male, con ingiurie, rancori o altro. Imparare ad ascoltarci, umilmente e senza paura è Amore, perchè ci permette di ascoltare meglio anche gli altri, senza investirli di aspettative e proiezioni delle nostre idee e dei nostri pensieri. Scoprire l’incertezza del vivere diventa il vantaggio di poter essere in ogni momento presenti, attivi e sicuri in noi, aperti ad un cambiamento che accoglie le relazioni non più come àncore o legami opprimenti ma come confronto tra identità libere e serene di vivere. Parlare di felicità e amore significa passare attraverso la sofferenza e assaporarne la uguale ricchezza. Spesso noi ci allontaniamo da questa perché abbiamo paura di affrontarne le conseguenze e, così come Roland Barthes affermava, la nostra è la paura di aver paura. «…Perchè pensano che sia una debo-

lezza, una vulnerabilità, uno sdilinquimento che non è una forza. Io trovo che se riparliamo d’amore è bellissimo, e il mio messaggio ai giovani è: vi prego, riscoprite la voce del cuore, la testa è bella, la testa è importante, ma la ragione non è tutto! Dobbiamo ascoltare il cuore e il cuore parla con la voce uguale. Mussulmani, cristiani, ottentotti, il cuore è uguale dappertutto. Non c’è un cuore orientale e un cuore occidentale, non c’è una psiche orientale e una psiche occidentale: noi siamo dentro la psiche che è uguale


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dappertutto. La vita è una, una! Questa piccola straordinaria vita è parte di una cosa meravigliosa, dell’universo... E questo, ritornando nella natura, è una cosa che sento molto. Io, ora, me lo sono permesso: ho 63 anni e vivo in mezzo alla natura. Cosa che suggerisco a tutti di fare.(...) A volte è una cosa meravigliosa, a volte una grande sofferenza, a volte una grande gioia, a volte una grande forza, a volte un fuoco, a volte un senso di insufficienza... amore». (Tiziano Terzani, “Le parole ritrovate”)

Siamo in periodo di Pasqua, la rinascita. Lasciar andare il già vissuto, le obsolete convinzioni, rancori, retaggi che ci allontanano dal nostro Vero Io, inteso come io soggettivo, io relazionale con l’ambiente e gli altri esseri viventi e io cosmico. Non Uccidere è il primo dei precetti e il quinto comandamento, ed è la condizione per accedere alla Compassione e all’Amore (A maiuscola). Come chi coltiva compassione e Amore, non potrà mai uccidere, cibarsi di altri viventi o mentire per giustificarsi a farlo. Pasqua è la morte del male e la rinascita purificata nel bene. pertanto, nessun animale o umano può sacrificarsi per noi. Il raggiungimento del massimo bene è un qualcosa che dobbiamo fare in noi, da soli, con noi stessi. Superare il nostro senso di superiorità su esseri diversi da noi nella forma, nell’aspetto e nel linguaggio è la prima rinascita. Nessuno è superiore ad un altro e tutti meritano di essere ringraziati per essere nella nostra vita, seppure per poco tempo. Le persone che approfittano degli altri, che agiscono per il loro interesse danneggiando e nuocendo il prossimo, stranamente, sono di gran valore, perché ci permettono di rafforzarci nel nostro cammino e nel rispetto profondo di noi e dell’altro. Non percepire la stessa natura comune, ci porta a dividere, distinguere a separarci e quindi a sentirci superiori o inferiori. Le relazioni che ne conseguono sono di dipendenza, di utilità, di sfruttamento o di sopraffazione mascherate da amore. È la nostra intenzione, intesa come disposizione dell’animo, da monitorare. Comprendere perché, per cosa, per chi si agisce, ci permette di rif lettere su quale stato vitale poggia, di momento in momento, il nostro stesso agire fatto di pensieri, parole e comportamento. È la competizione che ci fa parlare?

Oppure l’arroganza o la collera di sentirsi superiori agli altri o a qualcuno nei suoi metodi, pensieri e credenze? Siamo disperati e le nostre azioni ne manifesteranno la condizione? Oppure è l’opportunismo? Di fondo degli altri non ce ne importa nulla e siamo abituati a prendere da tutti il meglio, predando informazioni e sfruttando conoscenze e per questo ci sentiamo ricchi di umanità e illuminati di verità autentiche? Siamo empatici e connessi con le emozioni degli altri? Oppure siamo nella piena presenza di noi come immersi nella vita universale. Unici eppure insieme? Siamo e non-Siamo. Apprezzare tutti gli esseri viventi come unici e irripetibili che insieme senza dipendere cooperano: l’amore qui è subliminato nel rispetto, prende la forma di empatia e scompare il menefreghismo utilitaristico di prendere il meglio da ognuno, caratteristico della liquidità predatoria mascherata da umanità. Oggi essere umani non basta più. La religione, vestita di dogmi e regole imposte dall’esterno, utile a tenere a bada azioni sotto il vincolo della paura di non ottenere, dovrebbe essere sostituita dalla spiritualità che gli illuminati, sui cui insegnamenti sono nate le religioni stesse, diffondevano. La spiritualità non categorizza e quindi non divide, anzi, unisce tutti gli esseri viventi nel soffio della Vita, nell’essere e non-essere di unicità, identità e collettività. L’Amore di cui si parla si nutre degli opposti: gioia/ non-gioia, sofferenza/non-sofferenza, in cui essere è come non-essere Il “dubbio di Amleto” vive come condizione stabile eppure dinamica nel Sè individuale e nella relazione tra i Sè, tutti si riferiscono al Sè universale, o “Grande Io”. L’Amore così vissuto, aprendosi alla dimensione spirituale, attinge al Sè Universale, se ne nutre e acquista vitalità che unisce, collega e si espande all’evoluzione e alla realizzazione spirituale stessa. Vivendo nell’inconsapevolezza e nel mondo delle azioni e reazioni, intrappolati nei timori di perdita e guadagno, ci si separa da se stessi. Spalancando la porta della spiritualità si supera l’umanesimo e si approda in quel vasto mondo da esplorare e conoscere che è l’Amore cosmico. Come riuscirvi? Con l’impegno di sforzarsi di espandere la propria condizione interiore. Migliorarsi per accrescere il senso di responsabilità

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per contribuire al benessere altrui e della nostra Terra. Questo “Grande Io”, si nutre dei desideri del piccolo io e li indirizza verso un modo di vivere incentrato su valori culturali e compassionevoli/empatici per accogliere le diverse popolazioni (umane e animali) che abitano il pianeta con noi, senza più asservirle e dominarle ma aiutarle e sostenendole perché possano avere tutte le condizioni adatte per potersi esprimere secondo la propria natura etologica. Entrare nel Sé universale significa acquisire quella disposizione dell’anima, della mente e del cuore che ci

fa percepire lo spirito e ci conduce a desiderare di impegnarci per superare il nostro egocentrismo anche attraverso l’impegno nella solidarietà e collaborazione. «È il “grande io” che è fuso con la vita dell’universo, attraverso la quale causa ed effetto si intrecciano fino ai confini illimitati dello spazio e del tempo. Il “grande io” cosmico è simile al Sé unificante e integrante che Carl G. Jung percepiva nelle profondità dell’io. È simile anche alla “bellezza universale con la quale ogni parte e particella è ugualmente in relazione: l’Uno eterno”

di cui parlava lo scrittore Ralph Waldo Emerson. Il “grande io” del Buddismo Mahayana è un altro modo di esprimere l’apertura e l’espansione del carattere che abbraccia le sofferenze di tutte le persone come se fossero le proprie. Questo io cerca sempre modi per alleviare il dolore e aumentare la felicità degli altri, qui, nella realtà della vita di tutti i giorni. Solo la solidarietà che può generare una così naturale nobiltà umana spezzerà l’isolamento dell’io moderno e farà sorgere una nuova speranza per la civiltà. È il risveglio dinamico e vitale del “grande io”» (Daisaku Ikeda).

Sono trascorsi quasi 8 anni quando timidamente ho aperto le porte dell’agriturismo con la perplessità che mi avrebbero presa per esaltata, folle, incapace di saper cucinare... Eppure mi dicevo: «se io ho fatto questa scelta etica qualcuno ci sarà che avrà finalmente piacere di trovare un locale dove la vita animale viene lasciata vivere». L’orto dell’azienda biologica mi segue da tutti questi anni a ritmi settimanali e mensili, senza mai deludere le mie aspettative. La materia vegetale poi la trasformo in piatti dai mille colori e sapori condita con il nostro olio extravergine d’oliva varietà Coroncina, si perchè la Coroncina è una varietà di oliva tipica di 5 Comuni limitrofi: dal sapore inconfondibile di carciofo e cicoria, piccante in quanto ricchissima di polifenoli. La frutta mi fa preparare delle buone confetture che accompagnano la colazione di chi decide di fermarsi a dormire in una delle nostre 3 camere matrimoniali, ognuna con un suo stile: dalla romantica Leprotto, alla Cerbiatto dai colori tenui e naturali per poi passare alla Poiana ovvero la stanza mansardata da dove si possono scorgere le colline marchigiane. Al buon e sano cibo veg si accompagna anche il relax fisico e psichico, all’interno della struttura il piccolo e intimo centro benessere è ad uso esclusivo di chi prenota : Voi e Carlo (la mia dolce metà e massiofisioterapista). Un concentrato di coccole: dalla sauna a raggi infrarossi, la termo sauna con i bagni di fieno del Trentino, idromassaggio e tanti massaggi su tutto il corpo.... Melania Moschini DOVE SIAMO L’ Agriturismo Coroncina è situato in Contrada Fossa, nel comune di Belforte del Chienti – in provincia di Macerata. Le nostre coordinate: tel 3669238075 - info@agriturismocoroncina.it - www.agriturismocoroncina.com. Ci raggiungete uscendo dalla Superstrada SS77 a Caldarola o a Belforte del Chienti. Le coordinate per il navigatore, ricordate sempre che siamo in piena campagna, sono: E 13.23622° - N 43.14809°.

Agriturismo Coroncina - C.da Fossa 1 - 62020 Belforte del Chienti (MC) - mob.3669238075 http://www.agriturismocoroncina.it/ - fb: Agriturismo Coroncina vegetariano vegano 14


Tutto sul Seitan Il suo nome evoca gusti e paesi lontani, tanto che la sua origine si perde tra i monaci buddisti cinesi, secoli fa, e rappresenta da sempre uno dei cardini della cucina orientale. Ricavato dalla farina di grano, risciacquata e impastata fino a quando non rimane solo il glutine, poi bollito in acqua aromatizzata e insaporita in diversi modi, il seitan è un cibo nutriente e dal sapore delicato, noto soprattutto ai vegetariani perchè si presta a innumerevoli utilizzi e la sua versatilità lo rende ingrediente principe della cucina attenta alla salute e senza crudeltà. Questo manuale guida il lettore lungo un puntuale percorso per la conoscenza di questo prezioso elemento gastronomico, ne illustra i componenti e le tecniche per la realizzazione, destinate a quanti amano preparare i propri piatti partendo dall’ingrediente principale, la farina.

Seitan, preparazione e ricette dal glutine di grano un alimento versatile e nutriente Stefano Momentè, Next Italia Edizioni, Euro 9,80 Per informazioni: info@nextitalia.it

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personaggi

LEV TOLSTOJ, IL FIGLIO DEI FIORI / luca negri *

Il 7 novembre prossimo saranno centocinque anni esatti dal giorno della morte del conte Lev Tolstoj, universalmente noto come uno fra i più grandi scrittori che il mondo abbia conosciuto. L’anniversario non dovrebbe venir celebrato solo dagli appassionati di letteratura russa ma da tutti coloro che ancora credono in quella che, semplificando brutalmente, chiameremmo controcultura. Tolstoj infatti non si accontentò di essere ricordato per l’indubbio talento e la porzione di genio donatagli per comporre romanzi e racconti, ambiva al ruolo ancor più carismatico di illuminato maestro di vita. Dopo aver composto i suoi capolavori, Guerra e Pace e Anna Karenina, e aver superato una crisi spirituale, si fece banditore dagli anni ottanta dell’800 di una filosofia in netta contrapposizione con i poteri costituiti. La base era una sorta di cristianesimo anarchico che rifiutava l’istituzione della Chiesa (nel suo caso si trattava di quella Ortodossa, ma lo stesso discorso valeva per la lontana Roma e per le organizzazioni luterane e derivati vari). Ovviamente nel nome della fedeltà al Vangelo, e con il soccorso di qualche infarinatura buddista ed indù ed un po’ di nichilismo alla Schopenauer. Il risultato non fu particolarmente originale, dato che ricalcò, più o meno consapevolmente, le orme di alcune sette gnostiche pullulate nei primi anni del Cristianesimo. L’eresia della religione fai-da-te bandita dal Conte (sbeffeggiata magistralmente da Solov’ev nei suoi Dialoghi dell’Anticristo) aveva conse-

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buoni rappor ti con esuli perché non in ssia giusto in temlo Zar ma tornò in Ru Rivoluzione. po per assistere alla che seguirono la ni an ci caoti guenze sulla vita pratica. La principale Nei primi lscev ica assunse presa del potere bo era quella del pacifismo ad oltranza, no nelle vicende un ruolo di primo pia a accanto a dell’offrire sempre e comunque l’altra tic tis ar dell’avang uardia guancia: Ghandi ne fu molto inf luenva ed Ivanov. ato hm Ac , Mandel’štam zato, come tutto il movimento internagli anni Venti fino Di nuovo a Parig i da zionale di renitenza alla leva e obbiefrequentò Michaux, alla morte nel 1992, zione di coscienza che si sviluppò in bì un attentato Préver t, Chagall, su Occidente dopo il Secondo conf litto in risposta ad un dinamitardo dell’OAS guerra d’Algemondiale. In fondo, anche le poche la suo pamphlet contro wood scrivenresistenti bandiere arcobaleno che lly Ho n co rò bo lla ria, co ancora ingrigiscono per lo smog su guadag nandosi do sceneggiature e qualche balcone italiano sono figliastre scar. una candidatura all’O olstoj rapdi Tolstoj. Eresia religiosa e pacifismo T di rte mo la er Per Pozn erano accompagnati dall’opzione del romanzo a ell qu e ch an tò en pres vegetariana e animalista. di raccontare e cis ot tocentesco e de Ai primi di novembre del 1910, Tolstoj ione di Astapovo la settimana di pass ottantaduenne scappò da casa, la sul montagg io con uno stile basato nota tenuta rurale di Jasnaja Polyana, del Conte e ri di frammenti dai dia in compagnia della figlia maggiore ci della polizia ac sp di della consor te, Alexandra. Fuggiva forse dalle pressiogonia dell’ingompreoccupata che l’a ni degli assillanti seguaci, sicuramente favorisse l’assembrante personagg io dalla moglie Sof’ja. si, teleg rammi di bramento di facinoro Colto da malore, fu costretto a scengiornalisti. dere dal treno nella stazione di uno grande protagoÈ il teleg rafo infatti il zner: aggiorna sperduto ed insignificante paesino Po nista del romanzo di russo, Astapovo, dove morì dopo una nuto per minuto mi , no or gi r pe no gior settimana. mondo sulla maanzi, la Russia ed il Ci riportano a quei giorni i tipi di Skira cchio. La morte di lat tia del grande ve che hanno ripubblicato qualche anno sere stata la prima quella che risulta es fa un classico Einaudi, La fuga di Tolstoj a planetaria fam fig ura culturale di di Alberto Cavallari e Bompiani con evento globale, de an gr o diventa il prim L’ultima stazione di Jay Parini, dal quaa dalle principali vissuto quasi in dirett onisti insonni le Michael Hoffman ha tratto il film The I cr capitali d’Occidente. last station (con Christopher Plummer te indiscrezioni en cercano disperatam nell’impegnativo ruolo del Conte). nchina della stadai famigliari sulla ba Adelphi ha tradotto invece Tolstoj è hanno notizie e le zione e quando non morto di Vladimir Pozner, a nostro parere il più interessante fra i tre libri. Pozner divenne noto nel panorama letterario europeo, appena trentenne nel 1935, proprio grazie a quest’opera d’esordio. Era nato a Parigi da genitori


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«La vostra indignazione all’idea degli animali torturati e uccisi per soddisfare l’avidità umana non è sentimentalismo bensì un sentimento fra i più leciti e naturali. Ma non bisogna indignarsi al punto di odiare gli uomini per pietà verso gli animali, come dite voi; bisogna invece agire in conformità di ciò a cui vi spinge questo sentimento, e cioè non mangiare carne di qualsiasi essere a cui sia stata tolta la vita. Sono convinto che nel prossimo secolo la gente racconterà con orrore e ascolterà con dubbio come i loro antenati ammazzavano gli animali per mangiarli. Il vegetarianismo si diffonde molto rapidamente: a Londra, dove vent’anni fa non si poteva trovare cibo vegetariano, esistono già ristoranti vegetariani. So, da intimi amici, che più di trenta persone hanno smesso di consumare la carne durante questi ultimi anni. Vi avverto, tuttavia, che se smetterete di mangiar carne, incontrerete una fortissima resistenza, anzi un’irritazione, da parte dei vostri familiari, e vi verrà dimostrato con la scienza che la carne è indispensabile all’uomo e che vi danneggiate e vi create difficoltà domestiche. Tutti noi abbiamo subìto tutto ciò, ma se si agisce con convinzione, tutte le dimostrazioni rimarranno senza effetto, come rimarrebbero senza effetto le dimostrazioni che per mantenere la salute bisogna mangiare gli uomini. Forse voi domanderete, oppure vi sarà detto:«Se non bisogna uccidere i polli e i montoni, perché allora sterminare i topi, gli scarafaggi, eccetera?». A ciò rispondo sempre che la compassione per gli animali è la più preziosa qualità dell’uomo e io (come uomo) sono tanto più felice quanto più la sviluppo in me. Sono contento di aver cominciato a compatire i polli, o i montoni, i conigli, e né li mangio né li desidero, sono contento di compatire i topi, e li lascio scappare, invece di ammazzarli, e sarò contento quando compatirò le zanzare e le pulci. I vegetariani dimostrano la superiorità del cibo senza carne per la salute, ma l’argomento principale e inoppugnabile è quello addotto da voi: il sentimento morale. Vi auguro una lieta soluzione del problema che vi tormenta». LEV TOLSTOJ, 1895

redazioni premono, le inventano. I religiosi tentano ancor più disperatamente di parlargli per farne un figliol prodigo, cancellare la scomunica, benedirlo prima della dipartita. La figura più commovente è però la moglie dello scrittore; Sof’ja, che verrà ammessa al capezzale solo dopo la

morte di Tolstoj. Da anni lui non la sopportava per il suo rimaner refrattaria alle scelte religiose ed etiche da lui abbracciate. Ed è proprio dai brani di diario di questa povera donna che sembra trasparire la vera immagine del Russo. Troppo preso dalle sue rif lessioni

sull’Amore Universale, trascurava le minime esigenze richieste ad un capofamiglia e nonostante le prediche sul matrimonio casto, costringeva la signora a continui rapporti; dei tredici figli che ne derivarono, se ne occupò materialmente lei sola, non senza sacrifici. * da l’occidentale

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STORIA

un testo del 1913

vegetarismo e occultismo / Charles Webster Leadbeater

Parlando del rapporto che esiste fra il vegetarismo e l’occultismo, comincerò col definire i termini. Vegetariano è colui che si astiene da alimenti carnei; qualcuno usa prodotti dati dagli animali, come burro, latte, formaggio; altri si accontentano di legumi e frutta; alcuni preferiscono attenersi ad alimenti crudi, ecc. Sorvolando sulle varie suddivisioni dei vegetariani, chiameremo vegetariano «colui che si astiene dall’alimentazione che richiede l’uccisione di animali, uccelli e pesci compresi». Come definiremo l’occultismo? Questo vocabolo, che viene dal latino occultus (nascosto), significa lo studio del lato nascosto della natura. Grandi leggi agiscono molto più attivamente nel mondo invisibile che in quello visibile e l’occultismo esige una comprensione della natura molto più vasta di quella che si ha. Occultista è dunque l’uomo che studia tutte le leggi naturali di cui può avere conoscenza, che si identifica con queste leggi e che consacra la sua vita al servizio dell’evoluzione. Qual è l’opinione dell’occultista sul vegetarismo? È assolutamente favorevole a questo per molte ragioni, che si possono dividere in

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due classi: comuni o fisiche, occulte o nascoste. Sul piano fisico molti argomenti militano a favore del vegetarismo e le ragioni sono chiare per coloro che si prendono cura di esaminare il nostro tema; ma esse hanno meno importanza per l’uomo ordinario che per l’occultista, il quale ha ragioni ancora più importanti, ragioni che scaturiscono da quelle leggi nascoste che sono così poco comprese dalla maggior parte degli uomini. Divideremo quindi il nostro studio in due parti e cominceremo col trattare le ragioni fisiche o comuni. Le ragioni che si possono addurre a favore del vegetarismo dal punto di vista fisico o comune sono divisibili in due classi: la prima comprende argomenti esclusivamente egoistici; la seconda comprende invece argomenti che si possono chiamare morali e disinteressati. Studiamo anzitutto la prima classe e vediamo i risultati che essa produce sull’uomo e sul piano fisico. La prima obiezione che viene sollevata è che il vegetarismo, bellissimo in teoria, è assolutamente impossibile in pratica, non potendo l’uomo vivere senza carne. Tale obiezione è irrazionale e basata

sullo svisamento del fatti. Io sono testimone di quanto affermo: da oltre vent’anni evito la contaminazione della nutrizione animale e non soltanto sono sopravvissuto al radicale cambiamento di regime, ma ho sempre goduto di salute ottima, perfetta. Ed il mio non è un caso isolato: conosco migliaia di persone che hanno fatto altrettanto e conosco giovani che hanno avuto la fortuna di non aver mai assaggiato la carne e sono assai meno soggetti alle malattie. Questi sono i vantaggi egoistici, che sono maggiormente considerati dalla gran parte degli uomini; spero tuttavia che gli argomenti morali che aggiungerò avranno un’inf luenza maggiore, almeno sugli studiosi di Teosofia. Noi vogliamo agire il meglio possibile. Nei limiti dei nostri mezzi, nell’alimentazione, come in tutte le cose, noi tutti cerchiamo di agire per il meglio e desideriamo mettere la nostra vita in armonia con quanto riteniamo più elevato; il nostro alimento giornaliero non è cosa da trascurare. Rif lettendo, ci accorgiamo che è così che si procede in tutte le cose, nella


musica, nella pittura, nella letteratura, ecc. Fin dall’infanzia ci viene insegnato che per diventare buon musicista non si deve ascoltare che della musica buona, musica che, se non sappiamo apprezzare alla prima audizione, dobbiamo ascoltare ugualmente con pazienza ed attenzione, finché la sua bella armonia non penetrerà nel nostro animo. Se desideriamo diventare conoscitori di pittura, non fermeremo i nostri occhi sulle vignette sensazionali che riproducono crimini da Corte d’Assise, né sugli orrori estetici qualificati come «immagini comiche», ma guarderemo e studieremo le opere dei grandi artisti, finché il loro genio non si rivelerà alla nostra paziente contemplazione. Lo stesso si dica per la letteratura. Se vogliamo formare lo spirito dei nostri figli, non dobbiamo lasciarli seguire l’ispirazione del loro gusto nascente, ma dovremo orientarli verso le belle arti. Cercheremo, inoltre, la migliore alimentazione fisica e non sarà per cieco istinto che la troveremo, ma per rif lessione, considerando il problema sotto l’aspetto più elevato. Può darsi che vi sia qualcuno che non si curi di elevarsi e che preferisca costruire il suo corpo con materiale grossola-

no, ma vi sono certamente molti che sarebbero felici di fare il contrario. Molta gente appartenente alle cosiddette «classi più elevate» ha l’uso di nutrirsi come le iene e i lupi, perché si è insegnato loro che il nutrimento più adatto consiste in cadaveri di animali sgozzati. Non c’è bisogno di rif lettere lungamente per capire che questa alimentazione non può essere pura e che bisogna rinunziare a quest’uso disgustoso se vogliamo elevarci sulla scala della natura, purificando i nostri corpi affinché divengano degni del Maestro e per poter prendere posto fra le falangi gloriose che si sforzano di raggiungere la perfezione, onde aiutare l’evoluzione dell’umanità. Il vegetarismo è più nutriente. I legumi sono più nutrienti di un’equivalente quantità di carne. Questo parrà incredibile alla maggior parte delle persone che sono state allevate nell’idea che non si possa vivere senza mangiar carne, e quest’idea è così universalmente diffusa che riesce molto difficile farla cambiare, anche con la prova del fatti. Si sa che i quattro elementi indispen-

sabili per mantenere e riparare le perdite del corpo fisico sono: 1) gli alimenti azotati; 2) gli idrati di carbonio; 3) i grassi; 4) i sali. Tale è, malgrado le recenti esperienze che tendono a modificarla in una certa misura, la classificazione generale adottata dai fisiologi. Tutti questi elementi, indispensabili al corpo umano, sono contenuti nei legumi in quantità maggiore che nella carne. Il latte, il formaggio, le nocciole, le fave contengono una notevole quantità di materie azotate. Il frumento, il riso ed altri cereali, la frutta e la maggior parte del legumi (eccettuati forse i piselli, i fagioli e le lenticchie) contengono principalmente idrati di carbonio, cioè amido e zucchero. I grassi si riscontrano in quasi tutti gli alimenti azotati e si possono introdurre nell’organismo sotto forma di burro e olio. I sali poi si trovano in maggiore o minore quantità in tutti gli alimenti; essi sono indispensabili per la conservazione del corpo, e la carenza di sali minerali è causa di molte malattie. Si crede erroneamente che questi elementi siano contenuti in quantità

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STORIA

maggiore nella carne, ma ancora una volta affermiamo che ciò è contrario alla prova del fatti. Le sole sorgenti di energiacontenute nella carne morta sono le materie azotate e le grasse, ma queste ultime non hanno nessuna proprietà particolare e non resta quindi che considerare le materie azotate. Ora, è necessario tenere presente anzitutto che le materie azotate si organizzano esclusivamente nelle piante. Le nocciole, i piselli, le lenticchie, i fagioli ne contengono molto di più della carne. Vi è inoltre il vantaggio che in detti vegetali le sostanze azotate si trovano allo stato puro, racchiudendo di conseguenza la totalità dell’energia accumulata durante la loro organizzazione, mentre nel corpo dell’animale che le assorbe subiscono un processo naturale di decomposizione, attraverso il processo di «assimilazione». Le energie contenute nel foraggi sono state cedute al corpo dell’animale che ne è stato mantenuto in vita. Ma ciò che è servito ad un corpo, non può essere utilizzato da un altro con l’uccisione del primo. Nella carne vi sono molte sostanze prodotte dalla modificazione del tessuti, come l’urea e l’acido urico, che contengono azoto e sono perciò classificate fra i composti azotati, sebbene non abbiano nessun valore nutritivo. Per essere più precisi scientificamente, dobbiamo dire che esse sono nella maggior parte “materiali di rifiuto” e dotate di proprietà tossiche. Osservate quindi che ciò che si ricava dalla carne morta proviene dalla materia vegetale che l’animale ha ingerito per mantenersi in vita; la parte veramente sostanziosa che il nostro corpo può ricavare è perciò ben limitata e quasi sempre accompagnata da materie deleterie. Molti medici raccomandano l’alimentazione carnea per fortificare il corpo, ma non vi riescono che in misura molto limitata. In realtà essi conseguono tutt’al più un effetto stimolante, analogo a quello che provoca l’alcol. Per fortuna però non tutti i medici sono di questo parere. Il Dottor Milner Fothergill scrive: «Tutti i massacri causati dal carattere bellicoso di Napoleo-

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ne sono nulla in confronto del gran numero di persone che ha perduto la vita a causa dell’errata convinzione della supposta efficacia del brodo di bue». Se la scienza dell’alimentazione fosse meglio compresa dall’uomo si risparmierebbero tutti gli innumerevoli svantaggi dovuti al regime carneo. Permettetemi di dimostrarvi che le mie asserzioni non sono prive di fondamento e di citarvi il parere di medici che portano un nome universalmente conosciuto nel mondo medico. Sir Henry Thompson afferma che «è un errore volgare ritenere la carne indispensabile alla vita. Tutto ciò che è necessario alla vita del corpo umano può essere fornito con vantaggio dal regno vegetale. Il vegetariano trova nel suo alimento tutto quello che è necessario al suo accrescimento ed al suo sostentamento, nonché le sorgenti del calore e della forza. Si osserva continuamente che le persone che si attengono al regime vegetariano sono più forti, più resistenti e di aspetto più sano. Credo che in molti casi il regime carneo sia non solo superf luo, ma una vera sorgente di male». Citiamo ancora le parole di un membro della «Royal Society», Sir Benjamin Ward Richardson: «Bisogna convenire che la dieta vegetale scelta con cura possiede vantaggi notevoli rispetto al regime carneo. Vorrei vedere l’alimentazione vegetariana e frugivora nel dominio pubblico, ma credo che un giorno ci arriveremo». Il Dott. Alexander Haig, medico e direttore di uno dei più grandi ospedali di Londra, ha scritto: «Le dimostrazioni dei fisiologi non sono necessarie per provarci che è facile sostenere la propria vita con i soli cibi vegetali, quando la stessa maggioranza umana ce ne offre la prova. Le mie ricerche non provano solamente che la cosa è possibile, ma infinitamente preferibile sotto tutti i rapporti, procurando un numero di poteri maggiori tanto al corpo quanto allo spirito». Il Dott. Francis Vacher, membro del Collegio Reale dei chirurghi, rileva: «Non credo che ci si trovi meglio fisicamente o intellettualmente con l’adozione del regime carneo». Il Dott. M.F. Coomes, nel giornale

«American Practitioner and News» del Luglio 1902, terminava così un articolo scientifico: «Attesto che la carne degli animali a sangue caldo non è un nutrimento necessario per mantenere i corpi in perfetta salute». Il decano della Facoltà del Collegio Medico di Jefferson (Filadelfia) dice: «I cereali, è un fatto riconosciuto, allorché si impiegano come nutrimento quotidiano, tengono un posto importante nell’economia umana e gli elementi che contengono bastano largamente a mantenere la vita nella sua forma migliore. Se il valore nutritivo dei cereali fosse meglio riconosciuto, sarebbe una fortuna per l’intera razza. Molte nazioni prosperano con questa sola nutrizione, dimostrando che la carne non è necessaria». Ecco due dichiarazioni di scienziati conosciuti che hanno studiato la chimica alimentare: non si può negare che l’uomo possa vivere senza l’esecrabile consuetudine del regime carneo e che i legumi non forniscano una nutrizione che fortifica di più di un’uguale quantità di carne morta. E potrei continuare con le citazioni, se non ritenessi più che sufficienti quelle già date. Molte malattie sono evitate con il regime vegetariano. Molte malattie sono dovute all’uso ripugnante di divorare cadaveri. Il Dott. Josiah Oldfield scrive: «La carne è un alimento contronatura e perciò tende a creare disordini funzionali negli organi del corpo umano; ne derivano delle terribili malattie, come il cancro, la tubercolosi, la gastro-enterite ecc. Non c’è quindi da stupirsi che questo regime sia una delle cause più serie delle malattie che colpiscono una forte percentuale di individui» . Sir Edward Saunders ci dice: «Tutti i tentativi aventi per obiettivo di insegnare all’uomo che la carne e l’alcol non sono necessari non possono che essere lodati, perché sono di natura tale da favorire la prosperità e la fortuna generale. Seguendo quest’indirizzo credo che vedremo una grande diminuzione della gotta, del mal di Bright, dei disturbi del fegato e dei reni. Dal


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STORIA

punto di vista morale avremmo anche altri vantaggi: meno brutalità e meno delitti. Credo che vi sia tendenza al regime vegetariano, che sarà un giorno riconosciuto come l’unico conveniente, e che non sia lontano il tempo nel quale l’idea di una nutrizione animale apparirà ributtante all’uomo civilizzato». Il Dott. A. Kingsford dell’Università di Parigi dice: «La carne può generare molte dolorose malattie. Non è improbabile che la scrofola, causa feconda di sofferenze e di morte, debba la sua origine ad un regime abituale carneo. Caso strano, la parola “scrofola” è un derivato di “scrofa”. Dire che qualcuno ha la scrofola equivale a dire, dunque, che ha il male del suino». Nella sua relazione al «Privy Council» d’Inghilterra, il Prof. Gamgee fa notare che «un quinto della carne consumata è di animali affetti da malattie infettive». Il Prof. Wynter Blyth scrive: «La carne pericolosamente contaminata assomiglia alla carne sana. Quella di animali affetti da avanzatissime malattie polmonari spesso non presenta alcun carattere anormale esaminata ad occhio nudo». Il Dott. Coomes fa queste osservazioni: «Noi possiamo sostituire alla carne molte sostanze che non presentano gli effetti nocivi di questa. Per esempio, i reumatismi, la gotta e le altre malattie cosiddette del ricambio, le malattie delle vene, l’emicrania, sono dovute all’abuso e spesso soltanto all’uso della carne». Il Dott. J.H. Kellogg rileva: «È interessante notare che gli uomini di scienza nel mondo intero cominciano ad accorgersi che la carne degli animali non è solo nutritiva, ma è mescolata a sostanze tossiche che presentano l’aspetto di escrezioni e che sono i risultati naturali della vita animale. Il vegetale immagazzina energia. È al mondo vegetale (al legno ed al carbone) che dobbiamo l’energia che fa camminare le nostre macchine, i treni, i battelli e che aiuta l’opera di civilizzazione. È al mondo vegetale che tutti gli animali debbono, direttamente o no, l’energia che si manifesta nella loro vita per mezzo del lavoro muscolare e mentale. Il vegetale immagazzina energia, l’animale la distribuisce. Le scorie, i prodotti tossici risultano dalla manifestazione dell’e-

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nergia nell’animale o nella macchina. I tessuti animali non possono godere della loro attività che per mezzo della continua epurazione operata dal sangue, questo f lusso in eterno movimento, che scorre attraverso essi o attorno ad essi e che asporta i prodotti tossici risultanti dal loro lavoro. Il sangue venoso deve il suo carattere a questi veleni che vengono espulsi dai reni, dai polmoni, dalla pelle o dagli intestini. La carne di un animale morto contiene una gran quantità di questi veleni, la cui eliminazione cessa con la morte, nonostante che essi continuino a formarsi ancora per qualche tempo. Un medico francese molto conosciuto ha recentemente dichiarato che il brodo è una vera soluzione di veleno. In tutte le nazioni i medici intelligenti cominciano a riconoscere queste verità e ad applicarle». Tutte queste osservazioni non sono state fatte soltanto da medici vegetariani: dello stesso parere sono anche molti medici carnivori, i quali tuttavia continuano a prescrivere la carne… “con moderazione”. È necessario tenere presente che la carne non è mai perfettamente salubre come alimento, perché la sua decomposizione incomincia immediatamente con l’uccisione dell’animale. Nelle vecchie scritture Indù troviamo un passo notevole dove è detto che in epoca lontana certe caste inferiori cominciarono a nutrirsi di carne. Non esistevano allora che tre malattie, di cui una era la vecchiaia. Ma dopo che i popoli ebbero adottato l’uso della carne scoppiarono settantotto malattie diverse. Così si dimostra che già da migliaia di anni si è scoperto il danno che deriva dal consumo dei cadaveri come cibo. Il regime naturale dell’uomo è il vegetarismo. L’alimentazione naturale dell’uomo, dice il Cuvier, se si tiene conto della sua struttura, deve consistere in frutta, radici, legumi, cereali. Il Prof. Lang afferma che «l’uomo non è stato creato per essere carnivoro». Sir Richard Owen scrive: «Gli antropoidi e tutti i quadrumani si nutrono di grani, legumi, frutta succulenta; la somiglianza esistente fra la loro struttura e quella dell’uomo dimostra la natura

frugivora di quest’ultimo». Un altro membro della Royal Society, il Prof. William Lawrence, scrive: «I denti dell’uomo non hanno nessuna rassomiglianza con quelli del carnivori. Esaminando i denti, le mascelle e gli organi digestivi, vediamo che la struttura umana è molto simile a quella degli animali frugivori». Il Dott. Spencer Thompson ha fatto osservare che «Nessun fisiologo potrà negare che l’uomo dovrebbe vivere col regime vegetariano». E il Dott. Sylvester Graham scrive: «L’anatomia comparata dimostra che l’uomo è per natura frugivoro e si deve quindi nutrire di grani, frutta e farinacei». Quelli che credono all’ispirazione delle Scritture possono trovarvi argomenti favorevoli al regime vegetariano. Essi devono ricordare che Dio disse ad Adamo, allorché era ancora nel Paradiso Terrestre: «Ecco io vi dò ogni erba che fa seme sulla superficie della terra, ed ogni albero fruttifero che fa seme: questo sarà il vostro nutrimento». Il vegetarismo dà maggiore forza. Spesso udiamo affermare: «Il non mangiare carne indebolisce eccessivamente». Questo è assolutamente falso. Ignoro se vi siano delle persone indebolite per effetto del regime vegetariano esclusivo, ma ciò che so con certezza è che in molte competizioni atletiche i vegetariani hanno dimostrato più forza e più resistenza. L’uomo che si nutre con sostanze pure ottiene i migliori successi. Bisogna arrendersi all’evidenza dei fatti che sono in antitesi al gusto depravato. Il Dott. J.D. Haig spiega: «I mangiatori di carne si vantano spesso della loro forza fisica, soprattutto coloro che vivono all’aperto. Tuttavia sono meno resistenti dei vegetariani, ed eccone la ragione: la carne è già in via di decomposizione quando viene ingerita e il nutrimento che contiene viene consumato presto dai tessuti dell’organismo, il quale si trova rinforzato momentaneamente. Il mangiatore di carne è capace di produrre molto in poco tempo se ben nutrito; ma l’appetito rinasce presto e l’uomo si indebolisce se non è in grado di nutrirsi di nuovo abbondantemente. Invece i


vegetali si digeriscono lentamente, contengono la loro energia integralmente, senza veleni, e la loro decomposizione è meno rapida di quella della carne. Quindi l’energia contenuta si sviluppa più lentamente e con minore dispersione. Ne risulta che l’individuo che li assorbe può lavorare più a lungo senza mangiare e senza subire alcun disturbo. In Europa le persone che si astengono dalla carne appartengono alle classi più elevate ed intellettuali. In Germania ed in Inghilterra si sono fatte molte gare atletiche fra mangiatori di carne e vegetariani e sono terminate tutte col trionfo di questi ultimi». Studiando questo problema, ci accorgeremo ben presto che è un fatto riconosciuto da tempo, poiché ne troviamo traccia anche nella storia antica. Si ricordano, infatti, fra i popoli greci, gli Spartani. Un avvenire migliore. Potremo arrivarci ben presto, se l’uomo e la donna si prenderanno la

pena di rif lettere. L’uomo contemporaneo non è certamente un bruto, ma non rif lette, lascia andare le cose per la loro china, senza rendersi conto della sua parte di responsabilità in orrendi delitti. I fatti non si possono negare, non c’è modo di sfuggirvi: tutti coloro che partecipano a questi orrori aiutano a perpetuare il delitto ed hanno, senza dubbio, la loro parte di responsabilità. Si sa che ciò è vero, si vede quanto ciò è terribile, ma si dice: «cosa possiamo fare per migliorare le cose, noi che non siamo che deboli unità in questa enorme massa dell’umanità?». Ebbene, è precisamente quando delle unità si leveranno al di sopra degli altri e diverranno più civilizzate che vedremo la razza intera raggiungere un livello più elevato di civiltà. L’età dell’oro verrà non soltanto per l’uomo, ma anche per regni inferiori; allora l’umanità comprenderà i suoi doveri verso i fratelli minori: aiutarli, educarli e stimolare in essi sentimenti di amicizia, invece che di odio e di terrore. In un giorno avvenire tutte le for-

ze della natura si uniranno intelligentemente per raggiungere lo scopo finale, senza diffidenza né ostilità reciproca, ma nel riconoscimento universale della fratellanza della quale tutti facciamo parte, poiché siamo tutti figli dello stesso Padre. Cerchiamo, ognuno nella nostra piccola cerchia di attività, di preparare questa era di pace e di amore: sia questo il desiderio ardente, il sogno di tutti gli uomini rif lessivi e sinceri. Possiamo ben fare un piccolo sacrificio per sospingere l’umanità verso un avvenire glorioso. Purifichiamo i nostri pensieri e le nostre azioni, contemporaneamente al nostro alimento. Con l’esempio e con la parola facciamo tutto quello che dipende da noi per diffondere l’Evangelo d’amore e di compassione, per far cessare il regime di brutalità e per affrettare l’avvento del grande regno di giustizia e d’amore, nel quale la volontà del Padre nostro sarà fatta sulla Terra come in Cielo.

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religo

BUDDISMO E VEGETARISMO / Radhika Abeysekera

Se si studiano attentamente gli insegnamenti del Buddha risulta chiaro che egli non chiese mai ai suoi seguaci di astenersi dalla carne. In dissenso su questo e su altri punti, Devadatta, cugino del Buddha, provocò uno scisma nella comunità. Una delle regole che Devadatta voleva aggiungere era proprio che i monaci non dovessero mangiare carne. Il rifiuto del Buddha chiarì che, in accordo coi suoi insegnamenti, mangiare carne già macellata, proveniente da un animale che non sia stato macellato appositamente per la persona che lo mangia, non può costituire un cattivo karma. Per comprendere meglio la questione, bisogna considerare che la regola è stata stilata per i monaci, che la carne non la comprano, ma la ricevono in elemosina. In pratica, ricevono cibo già cucinato. I fedeli laici che donano cibo ai monaci compiono in questo modo un’azione meritoria. Il monaco, perciò, non può ostacolare la pratica della generosità rifiutando il cibo che gli viene offerto, proprio come non deve manifestare gradimento né sgradimento per ciò che gli viene donato con buon cuore. Accettando carne nella ciotola, deve solo accertarsi che l’animale non sia stato macellato appositamente per lui, nel qual caso deve rifiutare l’offerta di carne. Ma una volta tornato al monastero dopo la questua, il monaco può evitare di mangiare la carne se preferisce; ma come scelta personale, senza la pretesa di farne una regola generale. Com’è ovvio, in una società buddista ideale, in cui la

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gente comune ottemperasse ai precetti di non uccidere e di non guadagnarsi da vivere con mezzi che incrementino la sofferenza di altri esseri, non si potrebbe trovare carne in vendita da nessuna parte. Perciò il vegetarismo sarebbe obbligatorio anche senza essere espressamente prescritto. Anche se non prescritta, comunque, l’astensione dalla carne è considerata nel buddismo una cosa positiva se chi la pratica ha l’intenzione di salvare la vita a un essere senziente. È chiaro che se una persona si astiene dal mangiar carne per tutta una vita, un certo numero di animali non verranno uccisi per lei. Così dall’astensione dal consumo di carne risulterebbe automaticamente una riduzione delle macellazioni. Secondo l’insegnamento del Buddha, la mente viene prima di tutto. Così, ogni volta che ci si astiene dal mangiare un piatto di carne, si gode della felicità che ne deriva pensando, con compassione, alla vita che sarebbe stata sacrificata per dare carne da mangiare. Se si fa uso di questa opportunità per approfondire la pratica della compassione e dell’amorevolezza verso tutti gli esseri senzienti, allora si matura pienamente il frutto del dono della vita che si fa tramite l’astensione dalla carne. Comunque, che gli altri capiscano oppure no, che siano d’accordo o meno, non deve fare per te alcuna differenza. Continua ad assaporare la gioia che deriva dalla compassione che provi astenendoti dalla carne. Allora otterrai il pieno beneficio del tuo dono generoso, che è il dono della vita.



personaggi

edmondo marcucci antispecista ante litteram / Francesco Pullia

Dopo anni di lungo e ingiustificato silenzio, sembra finalmente destarsi meritato interesse per la figura di Edmondo Marcucci (1900-1963). Le Edizioni dell’Asino hanno ristampato qualche anno fa un suo prezioso libretto con una bella prefazione di Goffredo Fofi, un’altrettanto lucida postfazione di Annamaria Manzoni, alcune pagine di estrapolate da testi di Aldo Capitini e un’interessante appendice. Scritto nel 1953, “Che cos’è il vegetarismo?” è tutto incentrato, con grande anticipo rispetto ai nostri tempi, sulla necessità d’impostare un diverso rapporto tra la specie umana e le altre, rif lettendo, tra l’altro, sull’illegittimità delle sofferenze inferte dall’uomo agli altri animali. Come Capitini, che, come si sa, divenne vegetariano negli anni Trenta in segno di aperto dissenso nei confronti della visione violenta e totalitaria espressa dal fascismo, anche Marcucci, che nello stesso periodo fu indotto al vegetarianesimo dalla frequentazione di Tatiana Sukhòtin Tolstoj, figlia del celebre scrittore, motivò

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la propria decisione come una forma di opposizione antiassolutistica. A lui, appassionato studioso e seguace di Tolstoj e Gandhi, nonché intimamente legato ad Ernesto Buonaiuti e a Capitini, si deve un instancabilmente attivismo su tematiche proprie della nonviolenza, dall’obiezione di coscienza al servizio militare (fu teste a difesa, insieme a Umberto Colosso e a Capitini, nello storico processo intentato nei confronti di Pietro Pinna, renitente alla leva nel 1948, e sempre a fianco dei Testimoni di Geova che finivano in carcere per non volere imbracciare le armi) all’organizzazione della prima marcia della pace Perugia-Assisi alla costituzione, nel 1945 e sempre con Capitini, dei Centri di Orientamento Sociale, e nel 1952 della Società Vegetariana Italiana, anche in questo caso in compagnia dell’immancabile filosofo perugino. Quando uscì per la prima volta “Che cos’è il vegetarismo?” non c’era, a differenza di oggi, una vasta bibliografia sull’argomento. Un motivo in più per apprezzare il la-

voro di documentazione e rif lessione svolto da Marcucci nonché l’impostazione che ne diede. La scelta vegetariana è, infatti, considerata non tanto sotto il profilo salutistico (di per sé, almeno per chi scrive, poco interessante) ma dal punto di vista antispecista, cioè di presa di distanza dal totalitarismo antropocentrico di duplice derivazione giudaico-cristiana e cartesiana. Non a caso l’autore fu significativamente polemico nei confronti della teologia cattolica e, invece, suggestionato dal buddhismo, dal jainismo nonché da alcuni aspetti dell’induismo. L’uccisione di altre specie animali, nota Marcucci, risponde ad una visione violenta che inevitabilmente si ripercuote nella società umana. Ma, al di là di questo lato che potrebbe essere ancora tacciato di antropocentrismo o, quanto meno, di opportunismo, ce n’è un altro che è, invece, inconfutabile: la consapevolezza della barbarie esercitata sulle altre specie, del dolore inf litto, unita alla volontà di smantellare l’atteggiamento dominante e prevaricatore di cui l’essere


edmondo marcucci

Pertinente, a questo proposito, la citazione da Milan Kundera riportata da Goffredo Fofi nella sua prefazione: «subito all’inizio della Genesi è scritto che Dio creò l’uomo per affidargli il dominio sugli uccelli, sui pesci e sugli animali. Naturalmente la Genesi è stata redatta da un uomo, non da un cavallo. Non esiste alcuna certezza che Dio abbia affidato davvero all’uomo il dominio sulle altre creature. è invece più probabile che l’uomo si sia inventato Dio per santificare il dominio che egli ha usurpato sulla mucca e sul cavallo. Sì, il diritto di uccidere un cervo o una mucca è l’unica cosa sulla quale l’intera umanità sia fraternamente concorde, anche nel corso delle guerre più sanguinose». Prima di Kundera, un altro autorevole scrittore ceco, come Franz Kaf ka, aveva sarcasticamente constatato che la posizione eretta è per l’uomo fonte di angoscia: per vedere il cielo con le stelle dovremmo sdraiarci per terra in mezzo alle altre specie.

umano si è deliberatamente dotato. è ovvio che non siamo ancora a quanto più di un ventennio dopo sarà elaborato da filosofi come Singer, Regan e soprattutto Derrida (senza trascurare il neoilluminismo di Horkheimer e Adorno). I prodromi per la decostruzione, però, ci sono, eccome. Giusta è stata, pertanto, l’idea di fare seguire allo scritto di Marcucci e

alle pagine di Capitini un’importante appendice con la Dichiarazione universale dei diritti dell’animale (proclamata il 15 ottobre 1978 a Parigi, nella sede dell’Unesco), il Manifesto per un’etica interspecista nonché i criteri informatori del movimento antispecista. E’ anche grazie al contributo di autori come Marcucci, Capitini, Pioli, Baglietto, Martinetti se oggi è in moto una rivoluzione copernicana che segna il passaggio dall’antropocentrismo al biocentrismo.

«Al di là di ogni ragionamento», come sottolinea Annamaria Manzoni nella postfazione, «è attraverso una ritrovata identificazione con gli altri animali che si situa la possibilità (l’illusione? Il sogno?) di un mondo un po’ meno sbagliato di quello in cui viviamo. è dalla capacità di sentire sulla nostra pelle e nei nostri nervi la ricchezza delle altre vite, di sentire ribollire nel sangue la loro paura e la loro sofferenza che può ripartire la costruzione di società nonviolente, in cui il rispetto per ogni altro da noi, qualunque altro, sia il leitmotiv di ogni relazione».

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DEFINIZIONI

E' SOLO UN’ETICHETTA

/ stefano momentè

Le etichette, nella vita, esistono per fare chiarezza. Sono indispensabili per la comprensione. Un barattolo si etichetta in due modi: o scrivendoci sopra cosa contiene, o etichettando tutti gli altri e lasciandolo senza. In entrambi i casi si potrà distinguere a colpo d’occhio quello che ci interessa. Rifiutare un’etichetta serve solo a chi vuole creare confusione, perché desidera servire minestra al posto del risotto (sempre cibo è), o cerca di pagare dieci al posto di cento (sempre denaro è). Il rifiuto dell’etichetta vegan giova a chi non ha capito cosa significa, disprezza chi ha fatto questa importante scelta, o vorrebbe e non riesce. Allora è solo un’etichetta, senza contenuto.

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ANIMALI

la grande storia dell’animalismo / franco libero manco

Il pensiero animalista, come espressione di alta sensibilità dell’animo umano, in cui i codici del diritto al rispetto, alla libertà e alla vita vengono estesi dall’uomo agli animali, nasce nel seno dell’antica cultura vedica in cui si narra di Re santi che si preoccupavano della protezione dei bovini al fine di assicurare alla popolazione ogni benedizione dalle forze della Natura.In questo contesto proverbiale era l’amore di Krisna per le mucche il quale affermava: “La carne degli animali è come la carne dei nostri figli”. Sempre in India più tardi furono costruiti dai buddisti, intorno al 250 a.C. i primi ospedali destinati agli animali ammalati o feriti. Mentre Zoroastro, fin dal 500 a.C. circa sosteneva: “La migliore delle opere buone è, nei confronti del Cielo, adorare il Signore e, nei confronti della Terra, non maltrattare gli animali…Chi rinuncia a cibarsi delle carni martoriate avrà lo spirito santo e la verità”. Il rispetto dovuto agli animali è evidente anche nella dottrina taoista e specialmente nello Jainismo, originato da Mahavira nel 600 a.C. circa, dove accanto ai templi jainisti si trovano spesso rifugi per animali anziani o feriti e non di rado i jaina acquistano animali dal macello per dare loro salvezza e

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ricovero. L’amore e il rispetto dovuto agli animali è visto come precetto nell’Orfismo, nella dottrina di Ermete Trismegisto, nella cultura degli Oracoli Caldei, in quella dei misteri Eleusini, in quella degli antichi egizi, nelle leggi di Manou, il codice legislativo antico, più evoluto, vigente dal IX al V sec. d.C. in cui si prescriveva: “Chi consente l’uccisione di un essere vivente, chi colpisce, chi ammazza, chi compra e chi vende, chi cucina e chi serve, chi mangia, sono tutti uccisori”. Dunque si può dire che il Movimento Animalista vero e proprio nasce in India 5000 anni fa quando il divino Govinda esclude le offerte di animali alle cose a lui gradite. Sempre in India nel 322 a.C. viene pubblicato il primo libro di scienze politiche ed economiche in cui sono riportate le leggi che tutelano gli animali prevedendo severe punizioni per le crudeltà commesse nei loro riguardi. Più tardi in Occidente la filosofia animalista inizia con Prisco di Tesefro, che seguì l’esempio del grande Pitagora: “Mai sacrificare animali agli Dei o ferire animali ma promuovere in tutti i livelli una cultura di rispetto e protezione nei loro riguardi”e successivamente ereditata da Porfirio e dall’altrettanto grande Plutarco: “Ciò che si

fa agli animali presto lo si fa anche agli uomini”, il quale inf luenzò il pensiero del poeta Shelley dando vita al vegetarismo e alla protezione animali nell’800 in Inghilterra. Inoltre Democrito esalta l’ingegnosità degli animali: i ragni tessitori, i castori costruttori di dighe, ecc. Secondo Stratone gli animali posseggono facoltà intellettive affini alle nostre. Teofrasto condannava la tradizione religiosa con i sacrifici di animali, diceva: “I sacrifici cruenti basati sull’uccisione degli animali sono buoni per i cattivi demoni non per gli dei che aborriscono il sangue”. Senocrate affermava che l’ingiustizia è uguale su qualunque essere vivente viene perpetrata: “Il comando “non uccidere” deve essere esteso dall’uomo ad ogni essere vivente”. Empedocle: “E’ una grande vergogna spargere il sangue e divorare le belle membra di animali ai quali è stata violentemente tolta la vita. Seneca: “C’è un profondo legame tra uccidere animali e massacrare uomini in guerra. Porfirio:. “Nel periodo in cui nacque l’ingiustizia verso gli animali furono introdotte la guerra e la bramosia del potere. Nei testi biblici importante è il pensiero di Ezechiele: “In quanto a voi, animali della terra, che avete sofferto a causa


dell’uomo, verrà il giorno in cui preparerò una grande festa, un grande banchetto in cielo e voi gioirete alla presenza di Dio” Nota è la compassione di Maometto verso gli animali. In una tradizione Sufi Allah disse a Maometto: “Se proprio dovete uccidere, al posto di 40 polli uccidete una capra, al posto di 40 capre uccidete 10 mucche, al posto di 40 mucche uccidete 10 cammelli. Una buona azione fatta a un animale è tanto meritoria quanto una buona azione fatta ad un essere umano, mentre un atto di crudeltà a un animale è tanto cattivo quanto un atto di crudeltà su un essere umano”.

La relazione tra violenza animali e violenza umana venne più tardi evidenziata da Leonardo da Vinci il quale asseriva “Verrà il tempo in cui l’uccisione degli animali sarà considerata alla stessa stregua dell’uccisione di un uomo”; da Edgard Kuper, da Bober Witz, e in tempi più recenti da Gandhi, Capitini, Margherite Yourcenar, il cui pensiero dominante era: “Gli uomini saranno torturati e uccisi fino a quando gli animali saranno torturati e uccisi”. Andrew Linzey (protestante) principale teologo al mondo dei diritti animali, combatte contro l’antropocentrismo giudaico, cristiano e greco: “Tutta la creazione

esiste per il suo Creatore”. Si può dire che oggi il maggiore studioso al mondo di diritti animali sia Richard Ryder. Tolstoj: “Fino a quando ci saranno i macelli ci saranno anche i campi di battaglia. La grandezza di una nazione e il suo progresso morale si possono giudicare dal modo in cui tratta gli animali”. Albert Shweitzer, la vita di ogni creatura ha la sua sacralità. Tutto ciò che è presente negli uomini lo si trova anche negli animali.” Immanuel Kant: “Chi è crudele verso gli animali è altrettanto insensibile verso gli uomini”. Arthur Schopenhauer: “Chi è crudele

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ANIMALI

nei confronti degli animali come può essere una buona persona? Chi non ha posseduto un cane non può sapere cosa significhi essere amati”. Max de Saxe: “Finché gli uomini continueranno ad uccidere gli animali essi non cesseranno nemmeno di uccidersi tra di loro: il mondo animale si vendica dell’umanità forzandola nelle guerre a divenire carnefice di se stessa”. Albert Einstein: “Nulla gioverà alla salute e alla sopravvivenza della vita sulla terra come l’adozione di una dieta vegetariana. Giuseppe Garibaldi: “Proteggere gli animali contro la crudeltà degli uomini, dar loro da mangiare se hanno fame, da bere se hanno sete, correre in loro aiuto se estenuati dalle fatiche, questa è la più bella virtù del forte verso il debole”. Jeremy Bentham, filosofo, giurista ed economista inglese: “Possa venire il tempo in cui agli animali saranno restituiti quei diritti che non avrebbero potuto essere strappati loro se non dai tiranni.” Emile Zola, scrittore francese: “Il compito più alto di un uomo è sottrarre gli animali alla crudeltà”:. Pio XII: “Ogni impulso di uccidere gli animali sen-

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za giustificazione, ogni maltrattamento e ogni crudeltà verso di loro, vanno senz’altro condannati. Tale comportamento esercita una nefasta inf luenza sull’animo dell’uomo e tende a renderlo abietto”. Nessuno dei grandi animalisti considera il problema fine a se stesso ma come parte di un problema più vasto che implica e mette sotto accusa la giustizia, la coscienza e la società umana. A mio avviso l’animalismo avrà la forza del vero rinnovamento culturale e sociale nel momento in cui uscirà dal suo ambito ideologico e si proporrà come movimento morale, civile e spirituale capace di superare arcani schematismi mentali e morali limitati alla sola specie umana. Finché l’animalismo sarà un movimento fine a se steso non avrà la forza propulsiva necessaria al rinnovamento della coscienza umana. La sua forza sta nella sua etica che si estrinseca in modo sferico su tutta la famiglia dei viventi, per questo richiede, al soggetto animalista, la consapevolezza della sua missione innovatrice e quindi un bagaglio di saggezza e di responsabilità più ampi e profondi della visione esistenziale tradizionale circoscritta al solo essere umano.

Diversamente l’animalismo potrà imporsi come forza sociale e culturale solo quando la coscienza e la sensibilità della gente (attraverso il naturale processo evolutivo) avrà raggiunto quel senso di giustizia e di civiltà che la porterà a inserire nei suoi codici civili e morali gli stessi diritti degli uomini. Il nostro compito è dimostrare che difendere gli animali torna a beneficio dell’intera umanità: sfruttare e trucidare animali impedisce al genere umano di evolversi moralmente e realizzare una società migliore dell’attuale. A chi sta a cuore la causa animalista deve convincersi che è chiamato a dare testimonianza di una nuova dimensione umana e che è necessario essere irreprensibili nei rapporti interpersonali. Questo richiede una continua analisi del proprio modo di essere e di interagire con il prossimo, consapevoli che chi crede nell’animalismo ha la responsabilità di essere esposto alla critica disfattista di chi guarda a noi come a delle persone “strane”, ha, quindi, il dovere di dover essere di esempio. Parlare di animalismo come di un movimento che si interessa solo di animali è riduttivo dal momento che le sue

implicazioni di rinnovamento mentale, morale e spirituale si estrinsecano non solo a livello personale ma sociale. Allo stesso modo parlare di vegetarismo fine a se stesso è riduttivo se si limita il suo campo di azione alla salute della gente e non si evidenziano le sue profonde motivazioni pacifiste e non violente in senso lato. La mattazione, la vivisezione, la caccia, l’uso delle pellicce ecc. rendono peggiore non solo chi esercita tali infamanti attività ma tutta la comunità che le tollera, le giustifica e le consente. Il danno maggiore che ne deriva è che genera sonnolenza e indifferenza verso la condizione degli oppressi e che tale insensibilità verso la sofferenza e la vita degli animali si ripercuote in modo devastante anche sugli esseri umani. Quindi è necessario capire che è fondamentale il modo di essere personale e che richiede la massima coerenza. Essere profondamente onesti e leali, giudiziosi, imparziali, questo richiede la causa animalista ed è la sola condizione affinché possa essere vista e accettata dal pubblico come un arricchimento e come un movimento culturale che torna a beneficio della società umana.


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ALIMENTARSI


pesticidi e parkinson ATTENZIONE A LAVARE BENE FRUTTA E VERDURA / MICHELA KUAN

Una recente analisi, pubblicata su Neurology, ha evidenziato una relazione tra pesticidi, erbicidi e solventi e lo sviluppo del morbo di Parkinson. Le origini di questa terribile malattia neurodegenerativa, sempre più diffusa, sono ancora sconosciute e amputabili solo al 20% a cause genetiche, quindi il contesto ambientale gioca un ruolo fondamentale e noi possiamo essere artefici del nostro futuro. Alcune semplici scelte fanno la differenza come ad esempio usare prodotti per la pulizia della casa, o per il corpo, naturali anche ricorrendo a ingredienti che vengono direttamente dalla cucina come l’olio d’oliva e l’aceto. Ora abbiamo una ragione in più per consumare frutta e verdura biologiche (più ricche di vitamine e altri micronutrienti), infatti non si parla solo di batteri e virus lasciati dalla concimazione, ma di sostanze tossiche! Vengono riversati nel nostro Paese oltre 100’000 tonnellate all’anno di pesticidi e il 91% degli alimenti ne contiene almeno uno (dati EFSA), tali molecole sono stabili anche 40 anni accumulandosi nei terreni e nelle acque di superficie e profonde.

Purtroppo le autorità non prendono provvedimenti, anzi i test di sicurezza vengono effettuati su animali permettendo di veicolare il risultato dell’analisi che viene sperimentata su specie diverse dall’uomo e, oltretutto, solo per il singolo componente quando nessuno di noi è esposto a un solo pesticida. Questi composti tossici hanno azione sullo sviluppo fetale con deficit neuronali, autismo e nell’adulto con anomalie negli spermatozoi, diabete, alterazioni della tiroide, modificazioni genetiche ed epigenetiche oltre a innescare antibiotico-resistenza. In particolare sono esposte a rischi di accumulo le donne che hanno zone “grasse” come glutei e seno, dove queste sostanze si concentrano e raggiungono livelli allarmanti in grado di inf luire con i segnali di tutto l’organismo. Senza privarci del piacere di mordere una mela con la buccia (ricca oltretutto di fibre) o di correre su un prato, adottare piccole accortezze può essere utile per ridurre i rischi legati all’accumulo di elementi tossici e regalarci una vita lunga e in salute..

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IL 93 % DELLA SOIA CONSUMATA IN EUROPA LA MANGIANO GLI ONNIVORI / stefano momentè

Ogni cittadino europeo consuma in media 61 kg di soia ogni anno. Tutti, non solo vegetariani e vegani. Il 93 % di questa soia (57 kg) è infatti nascosta nei mangimi utilizzati nell’allevamento animale. La quantità maggiore di soia (109 g per 100 g di prodotto) è contenuta nei petti di pollo, seguiti dalle uova (35 g di soia ogni 55 g), dai tranci di salmone (59 g ogni 100 g), dalle braciole di maiale (51 g di soia ogni 100 g di carne), dagli hamburger (46 g per ogni 100 g) e dal formaggio (25 g di soia per 100 g di formaggio). Queste informazioni sono state rese note alla vigilia della conferenza annuale della Tavola Rotonda per la Soia Responsabile (RTRS, Round Table on Responsible Soy) che si è svolta a Brussels il 18 e 19 maggio scorsi. «La maggior parte dei consumatori europei non ha idea di quanta soia sia contenuta nella carne, nei latticini, nelle uova e nei pesci di allevamento che consuma ogni giorno – ha dichiarato Sandra Mulder, responsabile del gruppo di lavoro sulla soia del WWF – Ancora minore è la consapevolezza di quanto la soia nascosta abbia avuto un impatto devastante su alcuni dei più preziosi ecosistemi del mondo, come l’Amazzonia, il Cerrado e il Gran Chaco». La soia è ormai il vero e proprio oro verde delle Amazzoni destinato in gran parte al nutrimento degli animali da carne degli altri continenti. Blairo Maggi, il governatore di Mato Grosso, è il più grande proprietario privato di terreni di produzione di soia al mondo. Nel 2004 il Maggi Group ha fatturato 600 milioni di dollari producendo 2 milioni di tonnellate di soia, la maggior destinate al nutrimento degli animali da carne e da latte in Europa e in Asia. In uno studio effettuato per il WWF qualche anno fa, l’analista ambientale olandese Jan Maarten Dros sosteneva che oggi la soia è il maggior responsabile diretto e indiretto della deforestazione. Diretto perché si sta convertendo la savana dalla sua naturale vegetazione in campi di soia, indiretto perché in questa regione molti allevamenti vengono rimpiazzati da coltivazioni della leguminosa da parte di agricoltori che affittano o acquistano la terra. L’analisi dei dati di mercato evidenzia oggi inoltre che la Cina acquista circa il 65% della soia disponibile sul mercato mondiale, ovvero al netto della quota prodotta e non commercializzata ma reimpiegata direttamente, e si prevede che nel 2020 gli acquisti porteranno la percentuale al 70% (Taylor e Koo, 2011). Gli acquisti sono dovuti alla necessità di sostenere l’enorme ritmo di crescita della propria produzione zootecnica: con specifico riferimento al comparto carne, vi è stato un incremento produttivo pari al 5,80% annuo negli ultimi trent’anni, portando la stessa Cina a raggiungere il primato mondiale nella produzione di carni (28%) (Zhou et al. 2012). Nel 2014 il Wwf ha pubblicato la Soy Report Card nella quale sono valutati i progressi di 88 aziende europee tra cui distributori, trasformatori, produttori di carne, uova e mangimi, arrivando alla conclusione di come le aziende europee non stiano facendo abbastanza per promuovere la produzione responsabile di soia. Nel 2016 verrà pubblicata una nuova edizione della Soy Report Card, con valutazioni aggiornate sui progressi delle imprese europee rispetto all’acquisto di soia prodotta in maniera responsabile.

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MITI

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libri

straziami, ma di tofu saziami / judith pinnock

Qualche tempo fa, mentre ero in macchina, ho sentito in radio un’intervista con una delle autrici di questo romanzo. Sentito che si parlava dell’incontro amoroso con un vegano, come non acquistarlo per leggerlo e recensirlo per Essere? Il libro, un romanzo molto leggero e senza pretese, si fa leggere velocemente, e pur non essendo certo un’opera letteraria indimenticabile, mi offre la possibilità di parlare di due temi: come ci vede la società, o almeno gran parte di essa, e cosa vedono le donne nell’amore e nel rapporto con l’altro. Alcune donne, spero. La storia è quella di un incontro fortuito tra Alice, una giovane donna che affronta compulsivamente shopping e amori, e Francesco, integerrimo vegano. Scoppia l’amore, o è sesso, o un connubio tra le due cose, non è facile capirlo perché il libro, raccontato in prima persona da Alice e parzialmente autobiografico per ammissione di una delle due Paole, non è capace di dare voce a Francesco. Ad Alice ne dà molta di voce, infatti parla, parla, parla, ed in quel parlare giudica, ipotizza, si nasconde. Non c’è analisi, approfondimento, ma in fondo è un

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romanzetto rosa. Tuttavia le parole non sono mai ininf luenti, e Francesco diventa nel libro l’emblema della scelta vegana, simbolo, mito. Il vegano dunque non è solo una persona dal forte codice etico che si pone domande e fa scelte coerenti, ma è un supponente, arrogante, egoista super eroe tutto d’un pezzo. Egoista perché pur dedicandosi a salvare ogni animale, di qualsiasi specie, che veda minacciato, viene descritto come del tutto incapace di provare ed agire empatia verso gli esseri umani. A me questo aspetto pare molto interessante. È come se, nell’immaginario collettivo, fossimo succubi di un dualismo inevitabile: chi ama gli animali non può amare gli umani. Perfidamente il racconto mette di fronte Francesco alla paternità e al rigore con cui continua a scegliere, anteponendo l’ideologia al benessere di suo figlio. Ecco scoprirsi il retro pensiero: essere vegani corrisponde all’essere adepti di una setta. Così si può spiegare come sia possibile aderire senza nemmeno una piccola crepa a regole che sconfinano in tabù. Nella corsa a mostrare Francesco (e

il mondo vegano) sotto una luce che va dal ridicolo al satanico, Alice, e le autrici con lei, pur dichiarando a più riprese una grande ammirazione per questo eroe integerrimo, pur ammettendo come propria inadeguatezza il non riuscire ad aderire in toto alla sua visione del mondo, perde l’occasione di esercitare una delle cose che ci distingue dagli altri animali: lo spirito di ricerca. Così ad esempio, nel marasma dei comportamenti eccessivi di Francesco, non si interroga su quanto una donna, nel momento in cui fa un’azione sacra, mettere a disposizione della società il proprio corpo per generare, debba essere protagonista di questa esperienza, non delegarla al sapere/potere medico, e si limita a parlare del parto in casa come dell’ennesima stranezza dell’alieno vegano. Però un pizzico di peperoncino in questo ragionamento lo devo mettere: non è lontano il periodo in cui mi sono avvicinata alla scelta vegana, e ricordo bene quante volte mi sono sentita in dubbio di fronte ad atteggiamenti altrettanto arroganti e giudicanti da parte di chi vegano lo era già da un pezzo. È comprensibile che


valori e convinzioni forti producano comportamenti forti. Ma davvero è utile redarguire allo stesso modo chi cede al panino col salame e chi fa l’hummus con i ceci in scatola (o ha comprato il sale himalayano pensando di fare una figata, o il seitan nel negozio africano invece che nel bio, o il surrogato di bistecca e allora vuol dire che non hai cambiato veramente il tuo punto di vista, ecc. ecc. ecc.) ? Non riusciamo proprio a concentrarci su noi stesse/i, ad essere coerenti, il più possibile, ad essere di conseguenza un modello da imitare, senza salire in cattedra per dare lezioni a chi sta cercando la sua strada? Sgombrando il campo dallo scomodo Francesco (che, per quanto ridicolizzato ed esagerato riesce comunque a mettere in crisi le convinzioni di Alice) il libro rimane un racconto di un amore. Mi ha lasciato, sotto questo aspetto, una grande tristezza. Non so quanto Alice possa elevarsi alla dignità di rappresentare una generazione, ma il timore che sia così c’è. C’è perché in lei rivedo certi discorsi di tante mie pazienti, ingarbugliate nel

considerare la vita come successo o insuccesso, e come felicità o infelicità, solo se e quando coinvolte in una relazione di coppia. Ma mai innamorate. Incaponite, quello sì. Pronte a mutare come un serpente che cambi pelle, come un camaleonte che si adatta al luogo in cui sta. Donne che odiano il cinema perché a lui non piace, per poi tramutarsi in esperte cinefile quando il nuovo partner vive aggrappato alla sua tessera Blockbuster. Donne che bevono o non bevono alcolici, che amano o no il mare, la montagna, la campagna, per lo stesso motivo. Donne che vivono una vita rif lessa, che dall’altro si aspettano che si presti ad essere il loro unico orizzonte. Queste sono coppie senza futuro, perché il futuro nasce dal progetto che ognuno è in grado di disegnare e che può mettere a disposizione dell’altro, ma non per abdicare alla sovranità sulla propria vita. Quante volte sento dire: “ho conosciuto una persona meravigliosa,

eccezionale”. Ma no. Nessuno è “meraviglioso” ed “eccezionale”, e, allo stesso tempo, ognuno lo è. Pensiamo a noi stessi: io, sono meravigliosa ed eccezionale? Certo, lo sono perché mai, nell’infinito passato e nell’infinito futuro, ci sarà un’altra me. Ma sono priva di difetti? Non ho egoismi, miopie, arroganze? Sono da adorare come fossi una dea? No. Però ho il diritto inalienabile di essere amata, così come sono. E la prima persona che mi deve amare sono io stessa. Questa è la base di partenza per una coppia sufficientemente felice. Quando mi conosco, mi accetto, mi rispetto, mi voglio bene, sono capace di conoscere l’altro, accettarlo, rispettarlo, volergli bene. Se non si parte da questo la relazione diventa, prima o poi, fonte di delusione e rancore. Perché un altro non sarà mai in grado di compensare ciò che noi non siamo capaci di dare a noi stessi. Non potrà mai saziarci, nemmeno di tofu. E resterà solo lo strazio.

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LIBRI

Cio' che non sai sul Cibo e che potrebbe salvarti la Vita Sei davvero sicuro che quello che hai nel piatto ti faccia bene? E sai cosa ti viene nascosto sul cibo? Qual è il rapporto tra alimentazione e le cosiddette malattie del benessere?

Basandosi su una ricca bibliografia di studi scientifici, Stefano Momentè dimostra quanto ancora sia limitata la conoscenza sul potere che ha il cibo di modificare lo stato di salute, in meglio o in peggio. Sfatando luoghi comuni quali: «Hai bisogno di consumare carne per assimilare proteine» oppure:«I latticini sono utili perché ti forniscono il calcio» ecc., mette in luce il lato oscuro dell’alimentazione moderna e della pubblicità fuorviante, quando propone immagini idilliache che si rivelano veri e propri attentati alla salute. Grazie a un linguaggio semplice e immediato, Ciò che non sai sul cibo che potrebbe salvarti la vita permette di comprendere l’origine delle principali malattie dell’era moderna e si rivela una guida preziosa per tutti coloro che ritengono che la buona salute cominci a tavola, per chi vuole cambiare modo di alimentarsi e migliorare così la propria condizione, per chi segue o vorrebbe seguire un’alimentazione vegetariana o vegana, per chi ha a cuore il proprio benessere e quello dei propri cari. CIO’ CHE NON SAI SUL CIBO E CHE POTREBBE SALVARTI LA VITA Stefano Momentè Editore: Punto d’Incontro Data pubblicazione: giugno 2015 Formato: Libro - Pag 160 - 14 x 21 cm Prezzo di copertina: euro 10,90

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le ricette

bocconcini alle verdure

/ stefano momentè

1 peperone rosso 1 cipolla 2 pomodori 1 zucchina 2 cucchiai di passata di pomodori 300 gr di pasta di pane (vedi ricetta pan di patate) sale olio extravergine d’oliva Mondare le verdure e lavarle sotto l’acqua corrente, quindi tagliarle a dadini, salarle e lasciarle riposare per 30 minuti. Far addensare in una padella la passata di pomodori a calore moderato, aggiungerla alla pasta di pane (pan di patate) insieme a due cucchiai di olio e impastare bene, unire le verdure a pezzetti, formare un panetto, spennellarlo con l’olio e lasciarlo riposare per 30 minuti in luogo caldo. Dividere il panetto in pezzetti di forma rotonda e cuocerli in forno caldo a 200° sulla placca del forno rivestita di carta forno per 15 minuti.

Vanillà Gelateria nasce a Terenzano nel 2006 dalla passione per il dolce di Vania Bastianutti, che porta con sé il soprannome di “Vanillà” datole dai bambini francesi che seguiva come animatrice sulle navi da crociera. Inizialmente gelateria tradizionale, si è poi gradualmente evoluta in vegana, seguendo il percorso personale di Vania e suo marito Marco, che in tale filosofia hanno trovato il loro benessere. Dalla primavera 2014 nel laboratorio artigianale vengono realizzati gelati, semifreddi, torte, piccola pasticceria e cioccolatini completamente vegan e senza glutine; a questi si affiancano anche spuntini salati per merende o cene veloci. L’intento di Vania e Marco è quello di offrire una serie di golosità, realizzate con materie di prima qualità, adatte il più possibile a tutti, per dimostrare che vegan non è rinuncia ma alternativa.

Gelateria Vanillà

P.za Terenzio 27/C - Terenzano 33050 Pozzuolo del Friuli (UD)

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medaglioni indiani 1 kg di patate 250 gr di peperoni rossi 100 gr di carote 150 gr di cipolle 1 peperoncino rosso piccante 200 gr di piselli 1 cucchiaino di garam masala sale, 1 cucchiaio di succo di limone olio extravergine d’oliva Lessare le patate, scolarle, lasciare raffreddare un poco, sbucciarle e schiacciarle. Tagliare a metà i peperoni, eliminare semi e filamenti. Tagliare a dadini le carote, le cipolle ed i peperoni. Togliere semi e filamenti al peperoncino e tritarlo. Sgranare i piselli e sbollentarli in acqua salata, fermare la cottura con acqua fredda e sgocciolare bene. Scaldare l’olio in un tegame e farvi rosolare le cipolle. Unire e cuocere assieme le carote per 5 minuti. Aggiungere i peperoni, i peperoncini, i piselli e mescolare bene. Condire con garam masala, sale e succo di limone. Lasciare insaporire per altri 5 minuti. Lasciare raffreddare. Unire alle patate schiacciate. Dal composto di verdure ricavare 12 palline, schiacciarle e passarle nel pangrattato. Scaldare l’olio in una padella e dorare i medaglioni circa 4 minuti per lato. Il garam masala è una famosa miscela piccante di spezie indiane: coriandolo, cumino, pepe nero, cardamomo, cannella, chiodi di garofano. Chi non volesse tentare di produrlo in casa può acquistarlo nei negozi di alimentazione naturale o etnica. seitan al limone e zenzero

guacamole con crostini

1 pacchetto da 500 gr di seitan naturale 300 gr di cipolle 1 spicchio d’aglio 2 limoni, 50 gr di olive verdi 1 pezzetto di zenzero fresco 1 stecca di cannella 1 mazzetto di prezzemolo 1/2 bustina di zafferano 4 cucchiai di olio extravergine d’oliva sale e pepe q.b.

2 avocado maturi succo di 1 limone 2 spicchi d’aglio schiacciati 2 cipolle tritate finemente 2 pomodori grossi spellati e tagliati a dadini pepe nero, coriandolo fresco

Stemperare lo zafferano in 1/2 bicchiere d’acqua calda. Tagliare il seitan a tocchetti. Scottare in una casseruola l’olio, le cipolle, l’aglio, la cannella, lo zenzero e poco prezzemolo. Pepare il seitan ed unirlo al composto facendolo rosolare per 7-8 minuti. Intanto lavare i limoni e sbucciarli. Scottare le scorze di limone in un pentolino con acqua in ebollizione, scolarle ed asciugarle. Spremere metà limone, unire 2 cucchiai di questo allo zafferano e versare il tutto nella casseruola. Lasciarlo cuocere coperto per circa 30 minuti a fuoco moderato. Unire al seitan la scorza dei limoni 10 minuti prima della fine della cottura. A cottura ultimata, aggiungere le olive ed il prezzemolo. Mettere di nuovo la casseruola sul fuoco. Finire di scaldare e servire subito.

Tagliare a metà gli avocado. Togliere i semi e mescolare la polpa insieme al succo di limone, finché diventa una crema. Aggiungere gli altri ingredienti, mescolandoli nel mixer per pochi secondi. Servire su pane tostato, una fetta tagliata in quattro parti.

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le ricette

melone al prosecco 1 melone da 600 grammi o 2 meloncini 200 g di fragole 1 pera una pesca 1 dl prosecco vegan Tagliare la parte superiore del melone, a 2/3 dell’altezza del frutto e svuotarlo della polpa che verrò tagliata a dadini. Mettere i dadini del melone, le fragole tagliate in due o in quattro, la pera e la pesca sbucciate e tagliate anch’esse a dadini e il prosecco. Mescolare e riempire il melone con la preparazione e chiuderelo con la parte tagliata. Tenere in frigo per due ore. Nota: Non preparare con troppo anticipo.

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