Essere - numero due

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vivere il presente immaginando il futuro

LA CAR NE è DE BOLE marzo 2015

numero due

l’occhio vede ciò che la mente vuol vedere | ciò che appare non sempre è | LA REALTà DELL’EFFIMERO 1


jesolo • VENEZIA

30 31 maggio 2015 PER INFORMAZIONI O PER PRENOTARE LA TUA PRESENZA 0421 3722703 info@vegandaysjesolo.it www.vegandaysjesolo.it 2


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06 08 14 l’occhio vede ciò che la mente

ciò che appare non sempre è

ESSERE è un progetto di Stefano Momentè. Giornalista, scrittore, esperto di comunicazione, Momentè ha lanciato il circuito Ristoranti Verdi ed è stato per anni membro di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Promuove la scelta vegana con conferenze, corsi, seminari, articoli, libri. Veganitalia Cooking School è la sua scuola di cucina itinerante per la diffusione della cultura vegan e crudista. VEGAN ITALIA è nata nel settembre 2001, sia come associazione che come sito. La sua attività si svolge principalmente attraverso la rete. Ma non solo. Cerca in tutti i modi di promuovere un’informazione completa, libera, critica e consapevole, per dare a chiunque la possibilità di decidere senza pre-

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la carne è debole

concetti e chiusure in merito allo stile di vita e all’alimentazione da seguire. Per fare ciò,Vegan Italia attinge a tutte le fonti possibili, raccogliendo documenti, studi e statistiche e provvedendo alla loro diffusione, fornendo anche consigli e suggerimenti a tutti coloro che ne fanno espressa richiesta. CONTATTI Redazione: info@veganitalia.com Siti: veganitalia.com, cucinavegan.info Fb: https://www.facebook.com/zeptepi La grafica di copertina e nell’editoriale sono di Jade Bello. Restiamo a disposizione per eventuali altri crediti non reperiti.


contributors LEONARDO CAFFO

Filosofo, è ricercatore presso il LabOnt, laboratorio di ontologia dell’Università degli studi di Torino. Codirige, con Valentina Sonzogni, la rivista “Animot: L’altra filosofia”. Tra i suoi ultimi libri, il manifesto antispecista Il maiale non fa la rivoluzione (Sonda, 2013), An Art for the Other. Animals in Art and Philosophy (Lantern Books, 2015), Il bosco interiore (Sonda, 2015) e A come Animale (Bompiani, 2015). Scrive per “Huffington Post Italia”.

MICHELA KUAN

Laureata in Scienze Biologiche, specializzata in Biodiversità ed evoluzione con dottorato internazionale in biologia evoluzionistica. Responsabile nazionale LAV dal 2007 per il settore vivisezione, consigliere direttivo di IPAM (Piattaforma italiana per i metodi alternativi) e rappresentante per l’Italia nelle Coalizioni internazionali ECEAE (European Coalition to End Animal Experiments) ed Eurogroup for Animals. Dal 2012 è anche biologa nutrizionista Specialista in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana. Vincitrice del premio DNA2013 conferito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. www.michelakuan.it

JUDITH PINNOCK

Nata a Roma nel 1955, da padre inglese e madre pugliese. Forse è stata questa commistione a renderla da sempre aperta alle novità, al rispetto ed alla curiosità per le differenze. Gli studi di psicologia ed un percorso spirituale maturato nel buddismo giapponese hanno ancor più radicato queste caratteristiche. Realizza numerosi laboratori sui temi del contrasto alla violenza di genere, della relazione con le differenze di genere e culturali, delle immagini pubblicitarie. Vive in provincia di Modena con il marito Andrea, un cane e due gatti. Ha due figli, Chiara e Giuliano, e due nipoti, Caterina ed Eleonora. lestereotipe@gmail.com https://lestereotipe.wordpress.com/

FABIANA ROMANO

Giornalista, ha scritto per varie riviste a diffusione nazionale (ClassEditori, Management, i Nostri Cani, TerraNuova). Educatrice Cinofila riconosciuta FICSS e Consulente Educazione Relazione a + Zampe (RPO Siua/ Educatore Cinofilo ThinkDog/ Consulente Riabilitativo in formazione CReA). Studiosa di nutrizione e appassionata di cucina, ideatrice di ricette a base di prodotti biologici e autoprodotti ha affrontato in prima persona una terribile allergia e curato i suoi cani con l’alimentazione. https://www.facebook.com/AnimAEquilibritas

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riflessioni

L’occhio vede cio' che la mente vuol vedere / stefano momentè

Durante le mie quotidiane incessanti ricerche su temi da poter trattare, ho trovato un breve articolo che faccio mio. Firmato nonno Eugenio, potrebbe essere uscito dalla mia tastiera, tanto ne condivido ogni parola. Parla di consapevolezza, affronta il tema della dissonanza cognitiva, se vogliamo anche quello dell’ipocrisia. Perché non solo l’occhio vede solo ciò che la mente vuole vedere, ma anche le orecchie sono disposte ad intendere solo ciò che bramano sentirsi dire. I filosofi greci insistevano sul motto Γνωθι σεαυτον (Conosci te stesso). Perché è da lì che parte la nostra Weltanschauung (visione del mondo) come la chiamava Jung, il quale affermava che queste visioni possono essere molteplici e le citava nel suo: Il Problema dell’Inconscio nella Psicologia Moderna (1931): filosofiche, idealistiche, estetiche, pratiche, religiose, romantiche, e così via. Da qui si deduce che il mondo assume non l’aspetto che vediamo, ma quello che noi gli vogliamo dare. Non è un concetto solo moderno; già gli antichi maestri spirituali indù affermavano che: «La drammaticità della vita è frutto della nostra proiezione mentale». «Se il mondo è come lo vedo io e non come è realmente - scrive nonno Eugenio - è opportuno che mi fermi a rif lettere e mi chieda il perché. E vada oltre i fatti e tenti di estrarre la morale dal tutto, togliendo il paraocchi dall’alienante conformismo odierno». E’ molto importante rendersi conto di cosa ci gira attorno. E questa consapevolezza non ce la regala nessuno, la dobbiamo conquistare con momenti di rif lessione. Troppa gente vive inconsapevole del proprio modo di essere e agire. Chi indovina a cosa mi riferisco?

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SOCIETà

CIo' CHE APPARE NON SEMPRE e' / FABIANA ROMANO

«NO ai grassi, NO all’obesità, NO agli squilibri alimentari, NO al colesterolo, NO ad Anemia e spossatezza, NO ai pregiudizi, NO alle cattive diete». A cosa ci fanno pensare tutti questi slogan? Potrebbe essere l’informazione di una dieta vegan? Raccontata così, potrebbe ma, leggendo, è quel Si alla carne, insieme ai pezzi di carne rossa sotto ogni scritta sul sacchetto bianco, che lasciano sconcertati. Colin Campbell con il China Study, Umberto Veronesi, Franco Berrino (solo per citare alcune fonti autorevoli), non asseriscono che la carne fa male? Responsabile in primis di tumori, obesità, ictus, diabete, infarto, arteriosclerosi, osteoporosi, ipertensione, calcoli, problemi di fegato, insufficienza renale, malattie autoimmuni. E allora? La pubblicità è della Federcarni che, citando ricerche a favore di una dieta a base di carne rossa, ha indignato il mondo vegan e vegetariano e spinto il Movimento Etico Tutela Animali e Ambiente sezione Lombardia a denunciarla come ingannevole all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Intanto le foto del packaging e il video

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esplicativo che ritrae i sorridenti Maurizio Arosio, Presidente di Federcarni e Luca Zurleni di Pool Pack ha fatto il giro del Web aumentandone la visibilità. La campagna del 2014 diretta ai macellai, per incentivarli all’uso dei sacchetti, è diventata virale. Un colpo da maestri che va approfondito. Innanzitutto, perchè riferirsi solo alla carne rossa? Secondo i macellai, fa bene solo il bovino? E i suini, gli ovini, i vitelli a carne bianca, gli avicoli? Se guardiamo alla produzione comunitaria per tipologia di animali allevati dal 2006 al 2011 (dati FAO), su 23 milioni di tonnellate di carne prodotta, oltre la meta è carne suina con una crescita del 6,5%. La carne avicola (12 milioni di tonnellate) è cresciuta del 17,2% mentre la carne bovina (8 milioni di tonnellate prodotte) registra una progressiva riduzione dell’offerta (-1,1%). L’Italia, sesto produttore dell’UE, cresce del 2,7% nella produzione di carne suina; del 32% per la carne avicola e riduce del -9,8% la produzione della carne bovina. Quindi la pubblicità del “fa bene” nasconde una perdita in

produzione e consumo che va recuperata. E quale occasione migliore è quella di seguire a ruota gli advertising portati avanti da Coop, Slow Food che promuovono un concetto di “benessere animale” (che conduce comunque al macello) e dai supermercati come Despar che espongono cartelloni con inviti a “Consumare carne tre volte alla settimana”, perché “aiuta il tuo corpo”. Inoltre, a sostegno di queste azioni sul campo, la E.R.I.T., l’Associazione dei Macellai di Padova ha fatto partire, per il terzo anno consecutivo, un corso di formazione per giovani macellai, rivolgendo “…un accorato invito a tutti i Presidenti Federcarni di attivarsi per creare delle scuole regionali o almeno interregionali. (…) Queste iniziative sono la salvezza della categoria, tenendo presente che gli antichi mestieri sono fortunatamente destinati a ritornare”. Illusioni? In un mondo in cui la consapevolezza sta crescendo verso il reale benessere animale, dove i vegan sono in crescente aumento, le ricerche mediche si confermano orientate alla riduzione sostanziale fino all’abolizione delle proteine animali e la diffusione di


informazioni a disposizione di più persone, i grandi allevamenti sembrerebbero destinati a scomparire. Eppure, sembra una lotta contro un mostro che si rigenera e i passi sembrano lentissimi. Perché? Chi viene favorito dalla presenza di questi “campi di concentramento, di olocausto animale”? (Per citare Gary Yourofsky, attivista statunitense). Torniamo indietro di una trentina d’anni e proviamo a collegare e dedurre. LA CRISI DELLA CARNE ROSSA Con il primo caso di encefalopatia spongiforme bovina (BSE), nel 1986 in Inghilterra, si assiste ad una riduzione costante del consumo. Parte la psicosi: un drop down nel consumo che vede il suo culmine negli anni ’90, in Italia, spostando gli acquisti sulla carne bianca e di maiale. Eppure sono molte le zoonosi che possono essere trasmesse all’uomo: l’aviaria (polli e volatili), l’inf luenza suina, la febbre Q (bovini, ovini e caprini), l’E.coli e altre che colpiscono animali da fattoria vivi. Ma per la BSE, ritenuta responsabile dei casi, in umana, della variante del morbo di Creutzfeldt-Jacob (EFSA, Autorità

europea per la sicurezza) la percezione della gravità del pericolo di morire ha superato di gran lunga la paura di tutte le altre malattie. Così molti capi sono stati abbattuti e il trattamento delle farine animali, inserite nei mangimi dei bovini, sono state vietate nel 2001. (in Europa sono state reintrodotte nel 2013 per nutrire pesci di allevamento). La carne bovina ha avuto un ulteriore degrado, in seguito al fenomeno dei Trattamenti Illeciti: “Normalmente, non è possibile per il consumatore rilevare, con la semplice osservazione dei tagli in vendita, se la carne sia stata trattata in maniera illecita o provenga da animali trattati con sostanze vietate. La maggior parte di esse sono inodori e insapori e non alterano l’aspetto esteriore o la consistenza. È importante, quindi, che le carni provengano dai canali commerciali autorizzati”. (Informazione e consigli dei NAS salute.gov.it) Per queste ragioni, i controlli si sono intensificati, sotto la pressione dei medici e veterinari e a pochi anni dallo scoppio della BSE, nel 1988, l’Europa decide di interrompere le importazioni della carne dagli USA e dal Canada, in quanto in questi

Stati utilizzano l’ormone della crescita nell’allevamento dei bovini, considerato un ulteriore rischio per la salute.[ Nel 1996, questa decisione, poi, è stata contestata in sede dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, decretando l’illegittimità del blocco delle importazioni. L’Unione Europea non è riuscita a portare prove da ritenersi sufficienti all’invalidamento del pronunciamento e, non abolendo il blocco, l’OMC ha consentito la tassazione addizionale sui prodotti comunitari esportati, per un valore pari a 116,8 milioni di dollari americani e 11,3 milioni di dollari canadesi per anno a titolo di risarcimento. Solo nel 2009, l’Europa e gli USA hanno trovato un accordo, commerciale e politico, che consente l’importazione di carni bovine senza ormoni di 20.000 tonnellate per i primi tre anni e 45.000 tonnellate negli anni successivi e che elimina la sovrattassa sulle esportazioni europee. Nel 2011, l’Europa ha ceduto anche al Canada per un totale di 3.200 tonnellate (Regolamento UE n. 464/2012). (fonte: Samuele Trestini e Cristian Bozonella, Intersezioni n. 46, 30/4/ 2014) ]

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SOCIETà

Per incentivare la produzione e sostenere le aziende che avevano perso capi a seguito della BSE, nel 1990, la CEE introduce il premio alla macellazione (più carne si produce, più si ricevono indennizzi). Ma anche a seguito di ciò si verifica un progressivo crollo delle aziende più piccole, a vantaggio di quelle con più bestiame. A causa del clima di diffidenza, la domanda di carne bovina diminuisce. Le aziende che non riescono a trarre profitti, chiudono. Le più competitive sul mercato, quelle di grandi dimensioni, avendo potuto ammortizzare i costi, utilizzano le sovvenzioni europee come valore aggiunto per espandersi e acquistare nuove stalle e nuovi capannoni. A garanzia del consumatore, in Italia, da una parte aumentano i controlli negli allevamenti dall’altra gli stessi Istituti Zooprofilattici italiani spingono per la costituzione di libri genealogici, con iscrizione volontaria, degli animali allevati. La riproduzione selezionata prevede la scelta dei riproduttori con stalloni e fattrici che devono rispondere a certe caratteristiche e, ovviamente, si procede tramite l’inseminazione artificiale. Il panorama che si caratterizza è di aziende sempre più “specializzate”, aventi caratteristiche manageriali, quindi a più alto fatturato, prevalentemente concentrati nel nord Italia (81% di bovine iscritte). A sostegno di questo nuovo allevamento intensivo le Regioni intervengono con investimenti statali volti alla valorizzazione del comparto zootecnico. “Da più di trent’anni si sta lavorando in campo con selezioni genetiche volte ad ottenere animali che abbiano caratteristiche morfogenetiche sempre più vicine alle preferenze di mercato e caratteristiche fisiologiche che ben si adattano all’allevamento industriale, il quale richiede animali resistenti, senza anomalie genetiche e che sopportino

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un regime alimentare sempre più spinto (ANABORAPI, Associazione Nazionale Allevatori Bovini Razza Piemontese, 2006)” (Tesi D. Mottaran) Un ossimoro. Garantire la salute del consumatore di carne e latte con controlli e selezioni mentre si incentivano quelle realtà lontane dal benessere animale in termini etologici (per non parlare dell’etica). Sempre più mangimi meno pascolo. Intanto, le lotte animaliste, le maggiori informazioni a disposizione di un pubblico più vasto, la coscienza antispecista che inizia a far breccia nelle menti più aperte ed empatiche e l’insorgere di malattie, anche nei bambini, rendono le famiglie e, quindi il consumatore, colui che ha il potere d’acquisto più esigente e più orientato a ritrovare non solo un gusto più autentico ma dei prodotti il più possibile non industrializzati. Ecco che per quelle piccole aziende strozzate da un sistema per loro capestro, si affaccia la possibilità di orientarsi sul mercato locale, a Km0, grazie alle Associazioni e Cooperative del biologico, sia agricolo sia zootecnico. Oggi queste realtà rappresentano i veri concorrenti per le grandi dimensioni, proprio per la loro natura rassicurante soprattutto in termini di salute. L’AVVENTO DEL BIOLOGICO L’Agricoltura biologica, in Europa nasce negli anni ’50. Le prime esperienze risalgono all’inglese Halbert Howard, che in India fondò una scuola di coltivazione di questo tipo. Il termine biologico comprende tutto ciò che viene prodotto senza l’utilizzo di sostanze chimiche come concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi. Per l’allevamento di animali da reddito, la produzione di carne e pollame è regolata con attenzione al benessere (in vita) e all’utilizzazione di mangimi naturali se non è possibile sempre il pascolo.

L’IFOAM, la Federazione Internazionale dei Movimenti per l’Agricoltura Biologica (International Federation of Organic Agriculture Movements), così definisce l’agricoltura biologica: “Tutti i sistemi agricoli che promuovono la produzione di alimenti e fibre in modo sano socialmente, economicamente e dal punto di vista ambientale. Questi sistemi hanno come base della capacità produttiva la fertilità intrinseca del suolo e, nel rispetto della natura delle piante degli animali e del paesaggio, ottimizzano tutti questi fattori interdipendenti. L’agricoltura biologica riduce drasticamente l’impiego di input esterni attraverso l’esclusione di fertilizzanti, pesticidi e medicinali chimici di sintesi. Al contrario, utilizza la forza delle leggi naturali per aumentare le rese e la resistenza alle malattie”. Per la produzione biologica, sono previste delle regole a livello europeo e nazionale rigide, soprattutto quando si effettua, sia in zootecnia sia in agricoltura, la conversione di aziende. Le dimensioni delle aziende e il numero di animali è limitato rispetto agli ettari a disposizione e varia da specie a specie e “le condizioni di stabulazione degli animali devono rispondere alle loro esigenze biologiche ed etologiche. Non è obbligatoria la stabulazione nelle regioni aventi condizioni climatiche che consente la vita all’aperto. Le stalle devono avere delle superfici minime coperte e scoperte. La stabulazione fissa è di norma vietata”. (agraria.org, norma CE 1804/99). Inoltre, come si legge dalla tabella Zootecnia per numero di capi, stilata a cura della SINAB (Sistema d’informazione nazionale sull’agricoltura biologica) il numero dei bovini, in diminuzione negli


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allevamenti intensivi, è complessivamente in crescita con una variazione tra il 2012 e il 2013 del 13,6%. Sembra più chiaro il motivo della campagna ‘pro consumo carne rossa’ promossa da Federcarni? CONCLUSIONI? Nel corso dell’EXPO 2015, la Coldiretti, presenterà il Rapporto Meat Atlas che invita ad un ripensamento sul modo di allevare, in termini di impatto ambientale e di salute. Niente di etico, vegan o antispecista, solo un disegno su ciò che sono le previsioni di produzioni e consumo: se nel Nord America e nell’Europa ci si aspetta una diminuzione, in Asia si calcola un aumento fino all’80%. Ipotesi dannose per l’ecosistema. Se pensiamo che l’allevamento di animali genera il 18% delle emissioni totali di gas serra, che secondo il World Watch Institute salgono al 51% tenendo presente che l’ossigeno occorre agli animali per vivere, che il territorio su cui si allevano non viene utilizzato per produrre cibo o per lasciar crescere le foreste e che occorre valutare quanta energia si usa per cucinare carne, per distribuirla e confezionarla. In un allevamento convenzionale servono poi 15.500 litri di acqua per un chilogrammo di carne di manzo e 3.920 per un chilogrammo di pollo. Al mondo circa 3,5 mld di ettari, il 70% della terra coltivabile, sono destinati alla produzione animale. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti Lombardia cerca una rivisitazione che punta ai piccoli allevamenti, ad un uso adeguato dei terreni e alla conversione della vegetazione e colture locali per cibo ed energia. «Le industrie e i supermercati ingrassano mentre le stalle muoiono. Per qualcuno che già prende il latte e la carne all’estero e li rivende con la faccia dell’Italia, questo magari è anche un vantaggio: la scusa buona per importare visto che non trova i nostri prodotti. Bell’ipocrisia. La verità è che vogliono prezzi cinesi per la qualità italiana. Altrimenti vanno all’estero a prendere qualità cinese a prezzi cinesi. E con tutti gli scandali alimentari che ci sono in Asia non mi pare proprio una bella prospettiva per i consumatori». Lo stesso problema è stato affrontato a Venezia nel Settembre 2014, durante la decima edizione di “The Future of Science”, la conferenza

internazionale della Fondazione Veronesi che ha preso in esame come nutrire una popolazione mondiale in aumento vertiginoso: prima del 2050 potrebbe arrivare a 9 miliardi di abitanti. «Dobbiamo rivoluzionare il nostro stile di vita. Ed è necessaria una nuova etica della responsabilità. Oggi un miliardo di esseri umani soffrono la fame mentre altri due miliardi soffrono di malattie legate all’eccesso di cibo. È necessaria un’alimentazione più sana e più rispettosa del pianeta. Per esempio convincendoci tutti che dobbiamo smettere completamente di mangiare carne. Cominciamo almeno a mangiarne molto meno. Magari una volta alla settimana piuttosto che due volte al giorno. Non solo ne guadagneremmo in salute. È stato calcolato che per produrre un chilo di carne sono necessari 20mila litri di acqua. Non sarà più possibile in futuro. Dimentichiamoci questo modo di nutrirci. Oggi alleviamo 4 miliardi di animali per l’alimentazione umana. Ed è impensabile aumentarne ulteriormente il numero». In questo clima, la campagna della Federcarni “sembra” stonare non poco e in distonia con quanto si sta affermando in sedi scientifiche e produttive, con il ricollocamento della figura del macellaio, come “amico che consiglia” sulla dieta carnea e sulle sue proprietà nutritive, porgendo l’acquisto nei “sacchetti rassicuranti” di una carne che, per tutte le norme e gli accordi su riportati, proviene da allevamenti ad alta tecnologia e con un ingente numero di capi, intensivi. E comunque, anche se ci si riferisce a ricerche che ne consigliano l’uso, rimane in piedi sempre il problema etico. Mai si può dimenticare che quei pezzi di carne, quei capi di bestiame da reddito, erano e sono esseri viventi, senzienti, cognitivi, con emozioni e sentimenti, con lo stesso diritto di vivere di ogni individuo. Ed è la stessa borsa in carta che porta all’inganno. “La pubblicità è l’anima del commercio”, ce l’ha insegnato Henry Ford e dopo di lui tanti. Ma noi, in questo caso, preferiamo ricordare un pensiero di Marcello Marchesi, comico, regista e sceneggiatore dei primi anni del Novecento, che sembra scritto allo scopo: “La pubblicità è il commercio dell’Anima”. * citazione del titolo di Cesare Marchi, scrittore e giornalista.

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SOCIETà

LA CARNE E' DEBOLE: gli stereotipi nel piatto / JUDITH PINNOCK

Sul cartellone pubblicitario di un’osteria una coppia, a letto, riposa, probabilmente dopo l’amore. Lei è di schiena, lui la abbraccia da dietro, la testa appoggiata sulla sua spalla nuda, e dorme. Ma il romanticismo e l’erotismo della scena sono disturbati da alcuni particolari inquietanti. La donna ha una testa di mucca e non dorme: ha gli occhi spalancati, la lingua pende fuori della bocca. L’immagine rapidamente assume il senso di una scena del crimine, e su tutto campeggia la scritta “Amanti della carne”. In un’altra pubblicità viene mostrata una ragazza, vista da dietro, inquadrata dalle spalle all’incavo delle ginocchia, in altre parole con il sedere in primo piano. Indossa dei leggins bianchi che, proprio sopra i glutei, riportano la scritta “La mejor carne argentina”. Una silhouette di donna, di cui sono visibili solo la schiena ed il sedere, spicca contro uno sfondo nero. Sul sedere della donna è appoggiata una fetta di prosciutto. Subito sopra appare la scritta “I ham”. Una marca di scarpe sceglie una campagna pubblicitaria nella quale alcuni famosi calciatori sono ripresi in piedi, a torso nudo, con espressione agguer-

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rita, mentre stringono tra le mani un cuore sanguinante di mucca. Un altro locale, pizzeria e braceria, mostra il torso di una donna in bikini, troncato all’altezza delle spalle e delle ginocchia, grondante sangue. Qui la scritta che appare recita “solo carne fresca”. Perfino Peta, in una campagna che invita a diventare vegetariani, sceglie di far posare Pamela Anderson con un ridottissimo bikini, in una posa che vi invito ad imitare per accorgervi di come sia innaturale, scomoda, utile solo a mettere ancor più in mostra il seno; sul corpo sono tratteggiati i tagli da macellaio. La scritta dice “Tutti gli animali hanno le stesse parti”. Che cosa porta tanti pubblicitari a scegliere l’abbinamento tra carne e corpo di donna? Si tratta di uno stereotipo molto potente, quello che declina le caratteristiche del “vero uomo”. Il vero uomo, nella cultura stereotipata di genere, è cacciatore, donnaiolo, rude, volgare, tendenzialmente brutale, qualcuno sostiene che “ha da puzza’” e, naturalmente, mangia carne. Mia madre, nata prima della grande guerra in un piccolo e poverissimo paese in Puglia, una mia amica ungherese, nata e vissuta per molti anni nel re-

a deliziosa sig nora gime comunista, un amo scambiare anziana con la quale ne contadina, gi due chiacchiere, di or a conv inzione: un da te na mu co sono ac gno di mang iare so bi o nn ha ni mi uo gli volta al giorno, la carne almeno una no, e nemmeno ini sentenziano. I bamb adulto senza mo uo un ma e, le donn . re carne non può sta tuttavia, nella coQuello che colpisce diatica, grande municazione mass me rappor to tra il è pi, veicolo di stereoti rne e il corpo ca di i or questi mang iat rpi a disposiziodelle donne. Sono co senza personalità, ne, il più delle volte faccia, che è infatti non si vede la i nostri sentimenti, e ett sm quella che tra la parte preponle emozioni, insomma ione umana, az derante della comunic corpi e basta, Sono quella non verbale. quali si è costretti le n co non persone e. Proprio come ad entrare in relazion mang ia, che si la carne, quella che esentata a pezzi, pr è nella nostra civ iltà lontana dalla sua in scatola, snaturata, ente. Mangiare identità di essere viv atto di forza, carne diventa così un angio carne M e. ter espressione di po togliere la vita. di e ter po il in quanto ho ia intrise di posLe relazioni di copp iate da frasi come sesso sono puntegg , “ti prenderei a ci” “ti mangerei di ba


morsi”, una bella donna è “bona”, il maschio adolescente ama lasciare sulla “sua” donna segni, i succhiotti, come fossero un marchio sul bestiame. La donna, goliardicamente, diventa maiala, vacca, con quell’approccio schizofenico che un po’ la vuole così, un po’ glielo rinfaccia e attribuisce come colpa. La concezione che è sottostante è che l’uomo, il maschio, sia un essere primitivo, schiavo di un fermo immagine che lo colloca nel pleistocene. La scelta di utilizzare corpi di donna per pubblicizzare ristoranti, prodotti

alimentari, cinghie di trasmissione, antivirus, abbigliamento, caffè in cialde, infissi, riduttori per i getti d’acqua dai rubinetti, colle, praticamente qualsiasi tipo di articolo, si basa sulla convinzione che il maschio non sia in grado di resistere, che la visione di un corpo femminile attiri irresistibilmente e irrevocabilmente la sua attenzione e concentrazione. Insomma, se la carne di donna si identifica con il diavolo tentatore, nel caso dell’uomo la carne è debole. Un altro buon motivo per smettere di mangiarla.

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religo

a proposito della pasqua / FRANCO LIBERO MANCO

Il mondo cattolico usa festeggiare la Pasqua mangiando l’agnello secondo una tradizione che affonda le sue radici nel Vecchio Testamento ed in particolare in Esodo 12,3-14. Mosè, quando stava per abbattersi sull’Egitto la 10ª piaga che avrebbe fatto morire tutti i primogeniti, ordinò agli ebrei di chiudersi in casa e di tingere col sangue di un agnello lo stipite della porta finché non fosse passato l’angelo sterminatore. Ma per la consumazione dell’agnello Mosè impose regole che nessuno del mondo cristiano- cattolico mette in pratica. L’agnello doveva essere senza difetto, maschio, nato nell’anno, essere esclusivamente cucinato intero sulla brace ed essere consumato, con azzimi ed erbe amare, entro la notte: ciò che restava doveva essere bruciato la mattina seguente. Inoltre, bisognava consumare la carne coi fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano ed in fretta. è evidente che nessuno del mondo occidentale si attiene a queste regole, pertanto non è in alcun modo giustificabile la tradizione seguita oggi, nata da contingenze estreme a noi distanti milioni d’anni luce. Tra l’altro c’è da dire che in nessuna circostanza Gesù mangia l’agnello: è difficile immaginare Gesù che sgozza il povero agnellino smarrito per mangiare le sue carni. E non dovrebbe essere

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pervaso da profondo orrore un cristiano che mangia un mite agnellino nel cui nome il Cristo si è identificato? Nel Vangelo Esseno della Pace Gesù dice: «Chi uccide un animale uccide suo fratello. Non uccidete e non mangiate le carni delle vostre prede innocenti se non volete diventare schiavi di Satana: questo è il sentiero della sofferenza e della morte. Non uccidete né uomini né animali perché io vi chiederò conto di ogni animale ucciso come di ogni uomo». E nelle Pergamene del Mar Morto dice ancora Gesù: «Sono venuto per porre fine ai sacrifici ed ai banchetti di sangue e se non smetterete di offrire e di mangiare carne l’ira di Dio non si allontanerà da Voi». E negli stessi documenti Gesù rimprovera aspramente anche i pescatori: «Forse che i pesci vengono a voi a chiedere i frutti della terra? Lasciate le reti e seguitemi, farò di voi pescatori di anime». A conferma di quanto suddetto S. Girolamo scrive: «Dopo che Cristo è venuto non è più consentito mangiare la carne. Tale autorizzazione è stata aggiunta dalla Chiesa in un periodo di basso profilo spirituale, ma in principio non fu così». Quindi una tradizione crudele e sanguinaria che deve essere abolita perché non trova giustificazione né sul piano storico, né su quello religioso, né tantomeno sul piano morale ma che preclude lo sviluppo della civiltà dell’amore e della giustizia.



FILOSOFIA

Il corpo, la carne, e la realta' dell’effimero / LEONARDO CAFFO

Carmelo Bene, genio senza fine e confini, diceva che l’umano è tubo digerente con contorni metafisici. Avesse visto il mio vicino di casa, del resto, avrebbe tolto anche i contorni. Ora, seriamente, il contatto quasi banale tra il realismo e la biopolitica è il corpo: la nostra nudità, la zoé se vogliamo citare Giorgio Agamben, o la nostra animalità se vogliamo tirare in ballo Jacques Derrida . Ma le cose, a mio avviso, sono più semplici (almeno prima facie). Se Guido Ceronetti può affermare, con serenità «salvate il mondo. Mangiate carne umana» , è perché siamo un ammasso di carne : letteralmente. Nell’aforisma celeberrimo della Gaia Scienza denominato “I quattro errori”, Friedrich Nietzsche, come sempre, picchia duro sulla distinzione pesantemente costruita e articolata che separa, soprattutto entro la cultura occidentale, l’essere umano dal resto dei viventi (dalla natura tutta, dunque). Se qualcosa di reale c’è, e contro l’inemendabilità del banale ha ragione Maurizio Ferraris in troppi, onestamente, si sono scagliati, questo qualcosa è prima di tutto il corpo. La sua effimera presenza in questo mondo, la sua crescita che mira alla decomposizione, il suo

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costringere la mente, in barba all’idiota dualismo cartesiano, a fare i conti anche con gli umori dell’intestino, che ricorda a noi tutti che la struttura del reale è piano su cui possiamo edificare i nostri futuri castelli. Non che la corporeità sia immodificabile: il transumanesimo, deriva attiva del postumano, altro non è che tentativo di arginare un limite: corpi tecnologici, ibridi e mostri, umani dis-umani, sono azione sul reale. Ma, appunto, sul reale: non surreale. Dalle realtà, quale che sia il progetto, si deve pur partire. Se essere sarà pure il valore di una qualche variabile, almeno così sosteneva Quine, “essere animali” è proprietà vincolata al corpo. La variabile è la salute, la gaussiana si incurva sulla malattia, e il limite è dato dalla morte . La politica come amministrazione dei corpi, qui vale sempre Nietzsche, ma stavolta con la Genealogia della morale (prima dissertazione, soprattutto), è cosa antica: il problema è come questo amministrare viene declinato. L’esercizio di irrealtà è la biopolitica (nella sua versione “negativa”, seguendo la distinzione di Esposito ), che

è appunto politica della vita e del corpo, che agisce sulla discriminazione di etnia o specie, piuttosto che di genere. Un esercizio irreale, appunto, perché crea pseudo-concetti biologici e li assume come regolatori pratici dell’etica e dell’esistenza. Se le interpretazioni sopravvengono ai fatti, se l’ermeneutica non si pone limiti, allora l’uso dei corpi è normato fino alla normalità. Anche l’uso, va da sé, non è sempre abuso . Ma realismo banale a parte, quello partitico del “reale si/reale no” che nulla c’entra con la filosofia, il corpo è presenza di realismo positivo : i suoi limiti sono una possibilità, una direzione verso cui tendere, una strada da percorrere. Tutta la nostra società, ma si prenda a esempio l’architettura , è costruita a misura del corpo: per accoglierlo o stupirlo, per superarlo o agevolarlo. Partire dalla realtà, quando si parla di corpo, significa innanzitutto riconsiderare una nozione medievale: quella di quodlibet. Essere qualsiasi significa infinite cose ma primariamente una, che richiama al lavoro metafisico di Gilles Deleuze, ossia che ogni ripetizione implica una differenza. Il contemporaneo è costruito, costituti-


vamente, quasi come se il meccanismo fosse incarnato, attraverso l’idea della sostituibilità, della ripetibilità o, per essere meno metaforici, della catena di montaggio. Ogni umano ricopre ruoli che altri hanno ricoperto e che altri ricopriranno, l’animale è prodotto infinite volte come se fosse un universale che non si distanzia da sé entro i macelli, e l’immigrato è un senza nome che fa numero accatastato morto su di un’isola. La nuda vita, che è il corpo, veste diverse bios, vite specializzate. Che la società sia a misura di corpo è forse un semi-falso: la società è a misura di corpi nel senso di “umani” come invenzione recente di cui parla Michel Foucault nel suo Le parole e le cose. Tutto ciò che abitiamo è una griglia di prescrizioni che dividono il fare in azioni, eventi e movimenti. Qui ci tornerà utile Carmelo Bene e la sua nozione di atto. Ma cominciamo a fare ordine . La distinzione movimento/azione è un classico della filosofia analitica - quello strano mostro che ha fatto dell’antropocentrismo, paradossalmente senza giustificare mai tutto ciò, un valore epistemologico basilare. Un movi-

mento è ciò che il soggetto compie senza intenzionalità, tipo una caduta di una persona durante un terremoto, un evento è il terremoto, mentre l’azione è la persona che comincia a correre e fuggire con l’intenzione di proteggersi. Un’azione è, in accordo con ciò che la letteratura sul tema dichiara , un fare con una certa intenzionalità indirizzata a un obiettivo specifico che dovrà essere raggiunto in accordo agli obiettivi di partenza. La mia tesi è che la biopolitica, sopratutto nella sua connotazione capitalistica, impedisca le condizioni di possibilità dell’azione. Stressa la realtà, il processo appena descritto, perché lascia gli individui, filosofi dell’azione compresi, illudersi di poter agire davvero. Ho argomentato più volte in questa direzione, soprattutto attraverso l’esperimento mentale dei caricatori a piastrine , che il lavoratore è l’emblema di questo rapporto - agisce pensando di ottenere un obiettivo O mentre invece, il più delle volte, i meccanismi che intercorrono conducono a un obiettivo O1. Se la definizione di azione che deriva dalla filosofia è corretta noi non agiamo più, de facto, come capitava ai fisici che in-co-

scientemente progettavano la bomba atomica spesati dal governo americano. I nostri obiettivi sono lontani dalle nostre azioni: nel mezzo esistono altrui volontà, intrecciate alle nostre, in un’alternanza continua di volontà di potenze che mischiandosi, sovrapponendosi e scontrandosi, spesso si annullano violentemente. Il corpo come strumento d’azione è sottoposto a bisogni irreali continui: l’atto è ciò che può spezzare tale meccanismo. Atto e azione, apparentemente entità apparentate, sono in realtà antitetiche, ed infatti, «nessun’azione può realizzare il suo scopo, se non si smarrisce nell’atto. L’atto, a sua volta, per compiersi in quanto evento immediato, deve dimenticare la finalità dell’azione. Non solo. Nell’oblio del gesto … l’atto sgambetta l’azione, restando orfano del proprio artefice» . La mia tesi, va da sé a questo punto, è che l’atto sia l’oggetto con cui l’umano riesce a riprendere contatto con la realtà attraverso il corpo. Se il corpo è la prima traccia di realtà, dunque, chi vuole diffondere irrealtà nel mondo - e non attraverso il potere meraviglioso dell’immagi-

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FILOSOFIA

nazione - dovrà negare primariamente la corporeità. Lasciamo da parte, per un attimo, i tentativi estremi dello sterminio del nazifascismo, e partiamo dal comune negare. Tutto quanto si muove, si produce e si sposta. Nel suo infinito balletto, la natura lascia tutto fermo smuovendo ogni cosa. In questo danzare, qualcuno sceglie volutamente di spostarsi da un lato all’altro della sala (questo è agire), altri sono mossi dal vento, come le foglie sugli alberi in autunno. Io ho scelto di scrivere questo capitolo, qualcuno avrà addirittura scelto di leggerlo. Se affacciamo l’occhio nudo alla finestra scorgiamo un gran movimento, le città si ergono come f lusso in divenire di esseri a due piedi e sembrerebbe che ognuno scelga il suo cammino, liberamente. Tuttavia, ciò che potete osservare, a partire dallo specchio che svetta nei vostri gabinetti, non è l’uomo ma il cittadino. Nessuno riesce più a vedere l’uomo, Hobbes ed amici hanno coperto que-

sta creatura animale col velo di Maya del sociale. Il cittadino è realmente libero di chiedere e di fare, di partecipare alla costruzione democratica e, in quel paradosso vorticoso su cui si fonda la costituzione italiana, il cittadino è addirittura libero di lavorare (ossimoro!). L’uomo, al contrario, non è libero di fare nulla: famiglia, scuola e tasse spaccano la zoé e costringono al bios: l’aggravante della società è la distruzione della natura, l’eccesso del controllo risiede nella sopravvivenza. Il vostro osservare, ammettendo che siate ancora alla finestra, verte sulla catena di montaggio che mai nessuno ha voluto realmente sopprimere, ma migliorare. Demagogie di sinistra, follie di destra e forse, e di rado, solo qualche vessillo rosso scolorito è riuscito ad indignarsi di fronte alla morte dell’individuo. San Tommaso, definito da Bene come un invertito di boccaculo ha individuato, già al principio di questo meccanismo di sfruttamento qualcosa di buono, e tutto questo

pensare non è altro che ripugnante. Quando discutiamo delle azioni, siamo interessati all’uomo o al cittadino? Di chi vogliamo conoscere la natura, a quale verità siamo interessati? Il problema della diffusione dell’irrealtà, di fatto, è che il nostro spirito critico è figlio stesso, seppur illegittimo, di ciò che stiamo cercando di criticare. L’atto, come in teatro, perché la filosofia è dal teatro che dovrebbe apprendere, cerca di essere ciò che non sappiamo poter essere. L’imprevisto, al di là delle azioni che non posso che condurre in uno spazio già immaginato, si caratterizza come il luogo dove l’umano può concedersi nell’atto la misura in cui supera lo spazio della cittadinanza che gli è stato imposto. Il cittadino è l’insieme delle azioni previste, l’umano - parafrasando Ludwig Wittgenstein sul linguaggio, è invece l’insieme delle sue azioni possibili. Il contatto tra biopolitica e realismo dunque, in questa

Sono trascorsi quasi 8 anni quando timidamente ho aperto le porte dell’agriturismo con la perplessità che mi avrebbero presa per esaltata, folle, incapace di saper cucinare... Eppure mi dicevo: «se io ho fatto questa scelta etica qualcuno ci sarà che avrà finalmente piacere di trovare un locale dove la vita animale viene lasciata vivere». L’orto dell’azienda biologica mi segue da tutti questi anni a ritmi settimanali e mensili, senza mai deludere le mie aspettative. La materia vegetale poi la trasformo in piatti dai mille colori e sapori condita con il nostro olio extravergine d’oliva varietà Coroncina, si perchè la Coroncina è una varietà di oliva tipica di 5 Comuni limitrofi: dal sapore inconfondibile di carciofo e cicoria, piccante in quanto ricchissima di polifenoli. La frutta mi fa preparare delle buone confetture che accompagnano la colazione di chi decide di fermarsi a dormire in una delle nostre 3 camere matrimoniali, ognuna con un suo stile: dalla romantica Leprotto, alla Cerbiatto dai colori tenui e naturali per poi passare alla Poiana ovvero la stanza mansardata da dove si possono scorgere le colline marchigiane. Al buon e sano cibo veg si accompagna anche il relax fisico e psichico, all’interno della struttura il piccolo e intimo centro benessere è ad uso esclusivo di chi prenota : Voi e Carlo (la mia dolce metà e massiofisioterapista). Un concentrato di coccole: dalla sauna a raggi infrarossi, la termo sauna con i bagni di fieno del Trentino, idromassaggio e tanti massaggi su tutto il corpo.... Melania Moschini DOVE SIAMO L’ Agriturismo Coroncina è situato in Contrada Fossa, nel comune di Belforte del Chienti – in provincia di Macerata. Le nostre coordinate: tel 3669238075 - info@agriturismocoroncina.it - www.agriturismocoroncina.com. Ci raggiungete uscendo dalla Superstrada SS77 a Caldarola o a Belforte del Chienti. Le coordinate per il navigatore, ricordate sempre che siamo in piena campagna, sono: E 13.23622° - N 43.14809°.

Agriturismo Coroncina - C.da Fossa 1 - 62020 Belforte del Chienti (MC) - mob.3669238075 http://www.agriturismocoroncina.it/ - fb: Agriturismo Coroncina vegetariano vegano 20


a bin Laden per l’uccisione di un Osam insinua il vamorto assai prima. Qui si non perché, e lore pratico della filosof ia attravertare tes di Dio ci salvi, in grado i del ent om arg gli le ma so la log ica for sto, tto piu o, ling uaggio ordinario quant ità nal ba la nel perché arma di irruzione . nze ste esi lle de nizzazione applicato a con- dell’orga La sfida del realismo, se l’unione che cerchiamo sia hé inc Aff mente metaa parafrasi biotesti politici e non esclusiva semplice completa basta intanto un ere ess ue nq , dove se il du po ò fisici, non pu politica, o politica del cor e capita com , ica om ltà, allora rea son di tas a e cci ion articolaz cor po è la prima tra omeni per un leg pro . ma , ica gia olit tolo s-p l’on litā r pe ecco una reā descritto da cambiamento. Lo sg uardo idif per mo ciare un velo, Deleuze, che mira al reale Modif icare l’irreale è sq uar se non o str no o cas no del Monal eg o pri ing pro rch carlo, fa sbiaditissimo ma lo le rea l’ir è , nte sentazione, di fosse che qui, ov viame do come volontà e rappre un non-fatto che va modif icato. derivazione induista, resta o. cat che in troppi hanno auspi tadino cit Il . ue seg o ant qu eri Si con sid all’uomo così che cade ha voltato le proprie spalle «Il diluv io di carni macellate e pri pro le tato vol va ll’Occidente come l’uomo ave og ni giorno sulle cit tà de ino tad cit il o and qu e le; pazzia colma ia, spalle all’ani annuncia strag i, malatt o– uom all’ e ent uramento e vam osc nuo a, erà nim si rivolg iva, perdita d’a lett rzo sfo e nd gra un energie malanimale, gli occorrerà imbrattamento mentale. Più le ma ani a enz ess tera are nel buio. per domarlo. L’in sane per teste da sbatacchi non ino tad cit il lle quaglie ea; de ran ne est è diventata C’è dentro la maledizio , dove ura nat lla de so ver » tra gia l’at rdi vede più alle tombe dell’Ingo formando o del cor po]. tut to conf luisce nell’altro [Guido Ceronetti, Il silenzi o ers rav att fica ssi un insieme, ma cla o. Se il ricordo finzione il darsi del mond Benjamin – è – come esposto da Walter tut te le storie che e l’entità che crea la ret o, ricordare lor tra re ma finiscono per for mo è creare l’animalità che dunq ue sia individuo la rete che ci lega ad og ni costruendo la o, nd animale di questo mo o una storia nd ive scr Scheherazade che ora. La dif fene immagina un’altra anc cerca il reale renza tra una filosof ia che si sconvolche a e non lo seg ue, ed un pone di pro si e ale ge di fronte all’irre li sot tolinea arg inarlo ritornando anima conto. La rac e la distinzione tra cornice del prescria litic cornice, la filosof ia ana ginando ma im ica ner vere, rimane ge ndono cor po uno spazio ideale in cui pre tori. Il nsa le fantasie infondate dei pe ta associazioracconto è invece concre , una riceree d’id one ne ed osservazi sso, senza ca al dettaglio del fare ade o ad una and rimandare a domani, mir razione . nar lla de sistemazione generale la biopolitica La realtà è lo spazio in cui he lo spazio trasforma e forza, ma è anc ttuta. Perba in cui la biopolitica va com a grazie fus ai orm e, ché la società att ual to, altro Sta di to cet con al al post-Hobbes gm paradi atica non è che una dif fusione ivono mucscr dell’irreale: pubblicità de il proprio re de ce e che pascolare felici tte in me ca ieti sov stpo latte, la russia so si ses sso carcere coloro che dello ste baluardo , USA permettono amore e gli fingono raid paradossale della libertà,

la biopolitica fase, diventa più esplicito: parallela e ltà, rea ra ’alt deve creare un facto, dove mai secante alla realtà de denze, inimten nuovi bisog ni, diverse posto di ciò il ono nd maginabili vie, pre . mo sia e che realment

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SOLIDARIETà

FUORI EXPO veG Si chiama sabato vegetariano l’iniziativa nata dalla collaborazione tra i City Angels, Giorgio Cerquetti, scrittore e fondatore di Libera Condivisone Onlus, e Timoteo Falcone, titolare della Libreria esoterica: un’iniziativa umanitaria e spirituale, volta a diffondere la cultura vegetariana e a promuovere l’amore tra uomini e animali. «Sensibilizzare la gente sul concetto del CIBO PER LA PACE TRA GLI UMANI E GLI ANIMALI - ha detto Giorgio Cerquetti, presentando l’iniziativa - oltre che rispettare l’ambiente e gli animali, una conquista di non poco conto, rende anche gli esseri umani più sensibili verso la propria salute e fa crescere il loro livello spirituale facendo realizzare che la pacifica coesistenza umani, animali e ambiente oltre che una necessità ecologica è una grande ricchezza etica». Ha preso il via sabato 14 marzo presso il principale centro d’accoglienza per senzatetto dei City Angels e durerà fino all’ultimo sabato di ottobre, tutto il tempo dell’Expo. Coinvolgendo centinaia di senzatetto che ogni sabato mangeranno cibi vegetariani preparati da noti chef e da importanti realtà del mondo della ristorazione. Tra questi Rudi Condoluci, Filippo Lamantia, Daniel Canzian, Prabhu das. Per adesioni di volontariato, donazione di cibo o denaro contattare Giorgio Cerquetti 338-8400483.

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jesolo • VENEZIA

30 31 maggio 2015 PER INFORMAZIONI O PER PRENOTARE LA TUA PRESENZA 0421 3722703 info@vegandaysjesolo.it www.vegandaysjesolo.it 24


NO V IT

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NUTRIZIONE

IL MITO DELLE PROTEINE / STEFANO MOMENTè

La prima domanda posta a un vegano, non appena compie la sua scelta è:«Ma le proteine dove le prendi?». La risposta è molto semplice: «Da tutti i vegetali che mangio». Non esiste nutriente proveniente dal regno animale, infatti, che a sua volta non sia derivato dai vegetali. L’unica differenza è che nella carne i nutrienti sono concentrati. Questo, naturalmente, non vale solo per le proteine. Le proteine spesso, soprattutto da chi pratica sport, sono erroneamente considerate la principale fonte di energia. Niente di più sbagliato. Esse servono, invece, a promuovere la crescita e a formare la struttura fondamentale di diverse parti del corpo, come pelle, capelli e unghie. L’assunzione delle proteine è importante per il manteni-

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mento di queste parti e per la sostituzione dei tessuti logori. Inoltre forniscono un apporto costante di enzimi, anticorpi ed ormoni che regolano molte delle funzioni del nostro organismo come la digestione. Le proteine sono costituite da minuscole unità chiamate aminoacidi, a loro volta composti di carbonio, ossigeno e idrogeno in unione con l’azoto, che permette loro di legarsi, fino a creare lunghe molecole complesse. Gli aminoacidi sono i mattoni che costituiscono le proteine. Dei circa venti aminoacidi esistenti, che si combinano tra loro in modi diversi per produrre un’ampia varietà di proteine, otto prendono il nome di essenziali poiché il corpo umano non riesce a sintetizzarli in maniera autonoma, seppur non possa farne a meno.

Gli aminoacidi essenziali sono: Leucina, Isoleucina, Lisina, Metionina, Fenilalanina, Treonina, Triptofano e Valina . Per ottenerli, il corpo umano deve far riferimento all’esterno ed assumere questi nutrienti da altre sostanze. Gli alimenti di origine animale contengono proteine complete, cioè con tutti gli aminoacidi essenziali e nelle proporzioni richieste, mentre nel mondo vegetale solo la soia ha queste caratteristiche. Un vegano ha perciò l’esigenza di variare quanto più possibile la propria alimentazione, in maniera di provvedere al corretto fabbisogno degli aminoacidi essenziali. È la combinazione di diverse fonti che garantisce un rifornimento di proteine di qualità. Assumere proteine da fonti vegetali comporta grandi vantaggi. Innanzitutto la qualità delle proteine, ottima, a dispetto di chi ancora continua a definire


le proteine animali come nobili, unita ad un basso contenuto di grassi e un’abbondanza di fibre. Mangiare cibi vegetali permette anche di combinare gli aminoacidi con altre sostanze essenziali per una corretta utilizzazione delle proteine, come carboidrati, vitamine, sali minerali, enzimi ed ormoni. Le fonti proteiche di origine animale tendono invece ad essere ricche di grassi, soprattutto saturi. E i cibi animali, ad alto contenuto di purine, formano acido urico. Una dieta ad elevato contenuto proteico può comportare, di conseguenza, oltre a molti problemi legati al sovrappeso anche l’insorgenza di malattie. Come, ad esempio, l’osteoporosi. Le diete ricche di proteine, infatti, e soprattutto di proteine animali, a causa dell’elevata acidità, provocano un’escrezione urinaria di Calcio

superiore alla norma. Le diete a base di prodotti vegetali, al contrario, sono in grado di fornire anche un’adeguata quantità di Calcio e sono quindi di grande aiuto nella prevenzione di questa malattia. La RDA (Dose Giornaliera Raccomandata dai nutrizionisti) consiglia di assumere circa 0.8-0.9 grammi di proteine per ogni chilogrammo di peso corporeo. Se l’assunzione di calorie è adeguata, per una dieta vegana è facilissimo soddisfare il fabbisogno proteico. Non è necessario seguire un rigido piano di combinazione delle fonti proteiche, ma è più importante nutrirsi seguendo un’alimentazione variata durante la giornata. Teniamo presente che alcuni legumi contengono in proporzione addirittura più proteine della carne. La soia

da sola contiene tutti gli aminoacidi essenziali. I risultati a lungo termine dello studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition), conclusasi nel 2007, mostrano che l’assunzione prolungata di diete a ridotto contenuto di carboidrati ed elevato di proteine, diffusamente utilizzate per il controllo del peso corporeo, aumenta il rischio di morte. I ricercatori hanno valutato la dieta di 22.944 adulti greci sani. Quelli che consumavano le diete a più elevato contenuto di proteine e più basso contenuto di carboidrati avevano un rischio di morte più elevato del 22%, in confronto ai soggetti che invece consumavano diete con i più elevati contenuti di carboidrati e più bassi di proteine.

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ALIMENTARSI


AMIAMOCI DI PIU' REGALANDOCI SEMPLICI GESTI COME CUCINARE I SAPORI DEL MONDO LONTANO DA FOLLI LOGICHE DI MERCATO / MICHELA KUAN

La nostra società è basata su ritmi frenetici dove lo stress non è frutto di un evento straordinario, ma dell’esposizione costante a fattori di disturbo che creano ansia, agitazione, difficoltà digestive e sonno interrotto impersonificando “macchine” da lavoro che rincorrono il tempo. A questo si aggiunge un parametro chiave: un’alimentazione scorretta. Vittime delle pubblicità ingannevoli, molte persone credono nella necessità di introdurre carne nei pasti dei neonati, di dover far consumare litri di latte ai bambini che se no non crescono abbastanza o che sia giusto mangiare yogurt arricchiti con calcio quando si è già in menopausa; tutti stereotipi provenienti da un’epoca di grande povertà dovuta alle guerre e soprattutto di rivoluzione sociale dove le donne sono andate a lavorare lasciando neonati e bambini più soli rispetto alle generazioni precedenti. Ovviamente l’industria cavalca subdolamente questi preconcetti, vendendo la necessità di cibi che in realtà non sono salutari, ma anzi dannosi. Credere che svezzare un bambino a 6 mesi con omegeneizzati a base di carne sia necessario è un’assurdità che inf luenzerà anche la fase adulta. La percentuale di malattie cronico-degenerative, diabete, cancro, infarto, allergie, intolleranze sono tutte in crescita e la nostra società invece di riscoprire corrette abitudini frutto del percorso evolutivo della nostra specie in 150’000 anni e non 50, preferisce vendere farmaci per tamponare, a posteriori, i letali effetti di uno stile di vita sbagliato. Quale logica c’è dietro a tutto questo, una sola, quella del profitto. A noi il compito, e la responsabilità, di cambiare le cose per non essere più vittime di un sistema folle, ma protagonisti delle proprie scelte. Le fonti proteiche per eccellenza sono legumi, cereali integrali e semi, tutti cibi che hanno accompagnato la nostra

specie per millenni e ora rimpiazzati da prodotti confezionati ricchi di zuccheri, farine raffinate e derivati della potente industria zootecnica. Impariamo a riscoprire ricette antiche prive di mostri alimentari e a viaggiare anche attraverso sapori come quello dell’ashure che profuma di cannella le strade di Istanbul: 1\2 tazza di ceci 1 tazza di grano integro in chicchi 1 tazza di riso integrale 1 tazza di miele o di zucchero di canna 1\2 tazza di nocciole tostate 1\2 tazza di pistacchi 1\2 tazza di pinoli 1 bacello di vaniglia 1\3 di tazza di uvetta 1\3 di tazza di fichi secchi 1\3 di tazza di albicocche secche 1\2 tazza di scorza d’arancia 2 cucchiaini di acqua di rose Cannella e mandole a lamelle Ammollare i ceci, il grano e il riso separatamente per una notte. Ricoprire di acqua calda la frutta secca tagliata a dadini per 30’. Cuocere i ceci per un’ora, intanto cuocere in 75 cl. il riso e il grano fino a ottenere una miscela morbida. Unire i ceci e aggiungere l’acqua di ammollo della frutta, il miele, le nocciole, i pinoli e i pistacchi lasciando cuocere fino ad avere una zuppa densa, quindi mettere la vaniglia, la frutta e la scorza cuocendo per altri 20’. Spegnere e aggiungere l’acqua di rose. Versare il composto in piccole ciotole di terracotta, decorare con cannella e mandorle (chicchi di melograno se di stagione) e fare raffreddare per un paio d’ore.

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ALIMENTARSI ABBIGLIAMENTO

kebab, come e' fatto? / da LuigiBoschi.it

Intestino, polmoni, cuore, lingua, occhi, scarti di macelleria, ossa, sale e grasso animale. Non, no è la ricetta della zuppa di una strega ma gli ingredienti della carne di un Doner Kebab.Una moda spopolata in tutta Europa, il kebab è diventato il fast food più diffuso, da Londra a Barcellona, Roma, Berlino, Parigi, milioni di persone lo mangiano ogni giorno, senza sapere che cos’è e quanto pericoloso è per la salute. Mahmut Aygun, emigrato in Germania dalla Turchia negli anni Settanta è stato uno dei primi fautori della diffusione di questo alimento nel nostro continente. Pare che, originariamente, nei paesi arabi dove è nato, il kebab fosse un piatto artigianale e rustico di carne, anche abbastanza fresco e nutriente, servito con verdure e salse speziate. Il Doner Kebab (ovvero la versione da passeggio, diffusa dalla Germania in tutta Europa, ndr), invece, non ha niente di nutriente, né di buono, purtroppo. Quel sapore, che chiunque abbia mangiato un kebab conosce, non è nient’altro il risultato della lavorazione della carne con quantità spropositate di grasso animale e spezie: questo è quello che inganna il palato. Chi è abituato a mangiare hamburger da McDonald od altre schifezze del genere, sa bene che il panino sembra buono: questo è solo un sapore indotto dal grasso utilizzato nel processo di lavorazione della carne. Vi propongo i risultati di un’analisi condotta in Inghilterra da un equipe di scienziati e nutrizionisti e spero che vi facciano cambiare idea al momento di decidere se entrare in un ristorante che offre kebab. • più del 50% dei Doner Kebab contiene carne diversa da pollo o vitello, la • maggioranza dei kebab sono un miscuglio di carni diverse, tra cui quella di pecora e di maiale; • a parte nei kebab realizzati con un’amalgama di carni di vitello, pollo, tacchino, • pecora, maiale, in circa il 9% dei casi non si è potuta individuare con chiarezza la natura della carne utilizzata nel processo di triturazione; • un kebab contiene tra il 98% (nel migliore dei casi analizzati) ed il 277% della • quantità giornaliera di sale accettabile, oltre la quale la salute di un essere • umano è a rischio; • un singolo kebab contiene tra le 1.000 e le 1.990 calorie (senza considerare le verdure e le salse, ndr); • un altro dato scandaloso è che ogni kebab contiene tra il 148% ed il 346% della quantità di grassi saturi assimilabili giornalmente da un essere umano (sempre considerando solo la carne, ndr). La totalità dei kebab diffusi dalla Germania in tutta Europa, contengono una quantità elevatissima di conservanti ed additivi chimici, necessari per poter assicurare la conservazione del prodotto per mesi. Inoltre, durante il loro trasporto ed all’interno degli stessi stabilimenti dove sono venduti al pubblico, questi rotoloni di “carne” sono soggetti a gravi interruzioni della catena del freddo, in seguito a continui e ripetuti congelamenti e descongelamenti.

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ALIMENTARSI

a ll e d ' la meta a t t e f n i ' e e n r ca

li allevai usati neg essari n o m r o e i farmac e, resi nec dotto dalla del bestiam r fronte alla g rossa n ti o n c e o m n a c ameri merite per fa Uno studio iseases Society of A ical ov v iamen arne voluta dalla n D li ic s C d u ta o gg i e un riv is Infecti q uantità farmaco o zione cato sulla aio di anni fa n li u b : b e u n p io e z nera ca – np produ ani e la ge è Diseases u i tutta rmaco dom -allenati e resistenti Infectious che circa la metà d i fa ra a z lt v o a u g – inform e dei ne di batteri fedel pollam la carne e infetto. ssicurata. a q uesto? « Che le in a r e (p è più ata if ic americani Cosa sig n diventando sempre , ha rne esamin in a c la , re la » o In par tico e il 47%) conteneva reus, zioni stann antibiotici esistenti te n u li n la precisio lo Staphylococcus a i ma- resistenti ag ttor Hughes, preside di o n ti te d u a n v il o m le o fr to e c olte tassi glio: a spiega legato a m r dirla me e i casi, un batterio . In oltre la metà de tenti del’IDSA. Pe ne ricca di tossine di io e is z n to s a ta lattie um ri si sono rivelati re in un’alimen r un l’uso scon sidera tici e ci: e io q uesti batt e classi di antibioti robatteri e p di farmaci, gli antib tr p o e o n . p e re ti le e lm ti v u lle ad a q uesto o ormai in le, sono de un farmac sì poco simpatica o n poche paro biolog iche. o s , o e cerca ne è c , l’Orprie bomb volta, con q uesta ri La sit uazio el 2011, ad esempio à a la n it m o n e c ri a n rr p S bia ella indu Per la ata nero su con sumo dei da zazione Mondiale d ntrale del c fi ti o n ta ce è sta a al ganiz o ome tema à conness adottare c le della Salute propri pericolosit più comuni. d a ia ò d li u n a p o i, tici. cibi anim Giorno M iano ov v agli antibio endo ati simili s resistenza Che risult ssere dedotto prend a di la e nz facilmente zione la for te prese ra e in con sid

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Tutto sul Seitan Il suo nome evoca gusti e paesi lontani, tanto che la sua origine si perde tra i monaci buddisti cinesi, secoli fa, e rappresenta da sempre uno dei cardini della cucina orientale. Ricavato dalla farina di grano, risciacquata e impastata fino a quando non rimane solo il glutine, poi bollito in acqua aromatizzata e insaporita in diversi modi, il seitan è un cibo nutriente e dal sapore delicato, noto soprattutto ai vegetariani perchè si presta a innumerevoli utilizzi e la sua versatilità lo rende ingrediente principe della cucina attenta alla salute e senza crudeltà. Questo manuale guida il lettore lungo un puntuale percorso per la conoscenza di questo prezioso elemento gastronomico, ne illustra i componenti e le tecniche per la realizzazione, destinate a quanti amano preparare i propri piatti partendo dall’ingrediente principale, la farina.

Seitan, preparazione e ricette dal glutine di grano un alimento versatile e nutriente Stefano Momentè, Next Italia Edizioni, Euro 9,80 Per informazioni: info@nextitalia.it

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scienza

carne animale e comportamento Mangiare carne, pesce e derivati inf luisce profondamente sul metabolismo dei neurotrasmettitori e quindi sul comportamento umano. Infatti la carne rappresenta, insieme allo zucchero, uno dei più incisivi alimenti che incide sul comportamento. Il consumo di carne e pesce eleva i livelli di tirosina, amminoacido precursore di dopamina e adrenalina, i neurotrasmettitori tra le cause dell’aggressività degli animali predatori. Al contrario, rispetto agli alimenti di origine vegetale, il consumo frequente di carne incide negativamente sui livelli di serotonina. Bassi livelli di serotonina hanno evidenti ricadute sul comportamento diminuendo la tolleranza, inducendo facilmente stati di agitazione, rabbia, angoscia, aggressività e violenza, propensione alla lotta e allo scontro. Un’altra causa oggettiva di aggressività è la sottrazione di calcio operata da parte degli alimenti di origine animale. La carne presenta un rapporto calcio-fosforo 1 a 50 (nel latte materno, equilibrato per natura, si osserva una proporzione 1 a 3). L’eccesso di fosforo determinato da un consumo abituale di alimenti di origine animale comporta un vero e proprio crollo di calcio con conseguente instaurazione nel comportamento umano di irritabilità e aggressività. Oltre all’aumento vertiginoso di patologie quali l’osteoporosi, praticamente sconosciuta nei popoli che non usano latte vaccino e in cui la base alimentare è costituita dai cereali e non dalla carne. A questi elementi di biochimica è possibile affiancare diverse statistiche comparative che osservano un aumento direttamente proporzionale tra consumo di carne e incremento della criminalità, specialmente nei paesi più sviluppati. Tra l’altro, anche a livello intuitivo, mangiare carne assume connotati di violenza ancor prima delle implicazioni biochimiche: l’uomo che mangia la carne di un essere vivente ucciso a tradimento si nutre inevitabilmente del terrore, della paura, dell’adrenalina, del risentimento e l’odio che si producono nella creatura in prossimità di una fine violenta e prematura.

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le ricette di pasqua

pancotto / stefano momentè

600 grammi di pane integrale secco 3 spicchi d’aglio, 2 peperoni, 2 foglie di alloro 1 bicchiere di passata di pomodoro, brodo vegetale peperoncino rosso in polvere olio extravergine d’oliva, sale Tostare in forno il pane a fette, quindi sfregarlo con l’aglio. Versare in una padella l’olio, unire i peperoni lavati e tagliati a tocchetti, le foglie d’alloro, lasciare rosolare e quindi aggiungere il passato di pomodoro, salare e insaporite con il peperoncino. Cuocere qualche minuto a fuoco vivace, aggiungere il pane a pezzetti, coprire con il brodo e lasciare bollire a fuoco basso per mezzora circa a tegame coperto. Quando la pappa sarà pronta, insaporire con un ulteriore spicchio d’aglio e il prezzemolo tritati e portare in tavola.

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Vanillà Gelateria nasce a Terenzano nel 2006 dalla passione per il dolce di Vania Bastianutti, che porta con sé il soprannome di “Vanillà” datole dai bambini francesi che seguiva come animatrice sulle navi da crociera. Inizialmente gelateria tradizionale, si è poi gradualmente evoluta in vegana, seguendo il percorso personale di Vania e suo marito Marco, che in tale filosofia hanno trovato il loro benessere. Dalla primavera 2014 nel laboratorio artigianale vengono realizzati gelati, semifreddi, torte, piccola pasticceria e cioccolatini completamente vegan e senza glutine; a questi si affiancano anche spuntini salati per merende o cene veloci. L’intento di Vania e Marco è quello di offrire una serie di golosità, realizzate con materie di prima qualità, adatte il più possibile a tutti, per dimostrare che vegan non è rinuncia ma alternativa.

Gelateria Vanillà

P.za Terenzio 27/C - Terenzano 33050 Pozzuolo del Friuli (UD)

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carciofi alla giudia 8 carciofi romani 1 limone sale pepe olio extravergine di oliva Eliminare le foglie esterne e la parte dura del gambo ai carciofi. Metterli in una ciotola piena di acqua e limone e lasciarli a bagno per 15 minuti a testa in giù. Togliere i carciofi dall’acqua, scolarli, asciugarli e condirli con sale e pepe quindi adagiarli in una pentola grande piena di olio extravergine caldo ma non bollente per 20 minuti circa o fino a quando non saranno abbastanza morbidi. Togliere i carciofi dall’olio, scolarli e metterli a testa in giù su un piano spingendo leggermente in modo che le foglie si aprano senza spaccarsi. Lasciarli freddare. Versare olio extravergine di oliva in una padella, farlo riscaldare e friggere i carciofi uno alla volta prima a testa in su e poi a testa in giù in modo che si friggano uniformemente per un massimo di 2-3 minuti. A cottura quasi ultimata bagnare le mani e spruzzare dell’acqua nella padella in modo da dare croccantezza ai carciofi che vanno infine tolti dalla padella e messi ad asciugare su carta assorbente prima di essere serviti. focaccia con patate

Scaloppine di seitan

500 gr di patate 6 cucchiai di farina di ceci 2 dl di latte di soia limone, olio, sale

1 confezione di seitan, farina olio extravergine d’oliva, foglie di salvia fresca vino bianco, salsa di soia mandorle spellate

Lessare le patate, sbucciarle e passarle nello schiacciapatate, riunendo il purè in una terrina. Unire il latte di soia e mescolare energicamente in modo da ottenere un impasto morbido. Appena raffreddato l’impasto unire la farina di ceci sciolta in un po’ di latte di soia, il sale, la scorza grattugiata di mezzo limone e amalgamare bene mescolando. Ungere una teglia con un po’ d’olio d’oliva, versarvi il composto e cuocere in forno caldo sino a quando la superficie sarà ben dorata.

Tagliare il seitan a fette spesse almeno mezzo centimetro e passarlo nella farina. Fare scaldare in una padella un po’ di olio d’oliva con la salvia, e aggiungere il seitan, rigirandolo dopo 1-2 minuti. Aggiungere una spruzzata di vino bianco, un po’ d’acqua e della salsa di soia. Lasciare addensare il sugo per pochi minuti, rigirando le fette di seitan 2-3 volte. Alla fine, aggiungere una spruzzata di mandorle pelate e tritate.

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le ricette DI PASQUA

Insalata di verdure cotte

BIGNè DI MELE

200 gr di tofu 100 gr di piselli 50 gr di carote 50 gr di sedano 8 ravanelli 50 gr di cavolfiore 20 gr di olive nere 1 cucchiaino di sale

3 mele 1 tazza di farina 1/2 cucchiaino di sale 1 cucchiaio di arrow root 1 birra olio extravergine d’oliva

Tagliare tutte le verdure a dadini e bollirle separatamente. scottare il tofu per qualche minuto. Quando è freddo spremerlo tra le mani e passarlo con il passaverdura. Tagliare quindi le olive a fettine e mescolare tutti gli ingredienti.

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Preparare la pastella mescolando la farina, il sale e l’arrow root. Aggiungere la birra e mescolare rapidamente fino ad ottenere una pasta densa e priva di grumi. Lasciare in frigo mezz’ora circa. Sbucciare le mele ed eliminare la parte centrale. Tagliare delle rondelle di un centimetro di spessore. Passare le mele prima nella farina, poi nella pastella, quindi friggerle nell’olio. Lasciar dorare per circa due minuti, servire calde con una spolverata di cannella.


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