Essere - numero uno

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vivere il presente immaginando il futuro

NUOVI ORIZ ZONTI febbraio 2015

numero uno

IL PARADOSSO DELLA CARNE | SPECISMO, SESSISMO, RAZZISMO VEGAN PETS? | DECRESCITA | ANTISPECISMO E ZOOANTROPOLOGIA 1


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06 08 32 il paradosso della carne

specismo, sessismo, razzismo

ESSERE è un progetto di Stefano Momentè. Giornalista, scrittore, esperto di comunicazione, Momentè ha lanciato il circuito Ristoranti Verdi ed è stato per anni membro di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Promuove la scelta vegana con conferenze, corsi, seminari, articoli, libri. Veganitalia Cooking School è la sua scuola di cucina itinerante per la diffusione della cultura vegan e crudista. VEGAN ITALIA è nata nel settembre 2001, sia come associazione che come sito. La sua attività si svolge principalmente attraverso la rete. Ma non solo. Cerca in tutti i modi di promuovere un’informazione completa, libera, critica e consapevole, per dare a chiunque la possibilità di decidere senza pre-

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antispecismo e zooantropologia

concetti e chiusure in merito allo stile di vita e all’alimentazione da seguire. Per fare ciò,Vegan Italia attinge a tutte le fonti possibili, raccogliendo documenti, studi e statistiche e provvedendo alla loro diffusione, fornendo anche consigli e suggerimenti a tutti coloro che ne fanno espressa richiesta. CONTATTI Redazione: info@veganitalia.com Siti: veganitalia.com, cucinavegan.info Fb: https://www.facebook.com/zeptepi La foto di copertina è di Alessandra Schettino. Restiamo a disposizione per eventuali altri crediti non reperiti.


contributors MICHELA KUAN

Laureata in Scienze Biologiche, specializzata in Biodiversità ed evoluzione con dottorato internazionale in biologia evoluzionistica. Responsabile nazionale LAV dal 2007 per il settore vivisezione, consigliere direttivo di IPAM (Piattaforma italiana per i metodi alternativi) e rappresentante per l’Italia nelle Coalizioni internazionali ECEAE (European Coalition to End Animal Experiments) ed Eurogroup for Animals. Dal 2012 è anche biologa nutrizionista Specialista in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana. Vincitrice del premio DNA2013 conferito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. www.michelakuan.it

JUDITH PINNOCK

Nata a Roma nel 1955, da padre inglese e madre pugliese. Forse è stata questa commistione a renderla da sempre aperta alle novità, al rispetto ed alla curiosità per le differenze. Gli studi di psicologia ed un percorso spirituale maturato nel buddismo giapponese hanno ancor più radicato queste caratteristiche. Realizza numerosi laboratori sui temi del contrasto alla violenza di genere, della relazione con le differenze di genere e culturali, delle immagini pubblicitarie. Vive in provincia di Modena con il marito Andrea, un cane e due gatti. Ha due figli, Chiara e Giuliano, e due nipoti, Caterina ed Eleonora. lestereotipe@gmail.com https://lestereotipe.wordpress.com/

FABIANA ROMANO

Giornalista, ha scritto per varie riviste a diffusione nazionale (ClassEditori, Management, i Nostri Cani, TerraNuova). Educatrice Cinofila riconosciuta FICSS e Consulente Educazione Relazione a + Zampe (RPO Siua/ Educatore Cinofilo ThinkDog/ Consulente Riabilitativo in formazione CReA). Studiosa di nutrizione e appassionata di cucina, ideatrice di ricette a base di prodotti biologici e autoprodotti ha affrontato in prima persona una terribile allergia e curato i suoi cani con l’alimentazione. https://www.facebook.com/AnimAEquilibritas

STEFANIA ROSSINI

Casalinga e coltivatrice, classe 1975, vive in provincia di Brescia, con il marito e tre figli. È intervenuta, sui temi oggetto dei suoi libri, in numerose trasmissioni televisive. Il suo blog è conosciuto e frequentato da una folla sempre crescente di lettori, È anche blogger di Il Fatto Quotidiano e interviene regolarmente su Radio Capital e Radio Rai Kitchen. http://natural-mente-stefy.blogspot.it

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riflessioni

IL PARADOSSO DELLA CARNE / stefano momentè

Dire di amare gli animali e mangiarli rientra nell’ambito psicologico di ciò che nel 1957 Leon Festinger definì dissonanza cognitiva. La più nota versione di dissonanza cognitiva è espressa nella favola di Fedro, La volpe e l’uva, nella quale la dissonanza fra il desiderio dell’uva e l’incapacità di arrivarvi, conduce la volpe alla conclusione che «tanto l’uva è acerba». È dissonanza cognitiva anche, ad esempio, quando qualcuno disprezza esplicitamente i ladri, ma compra un oggetto a un prezzo troppo basso per non intuire che sia di provenienza illecita. Secondo Festinger, per ridurre questa contraddizione lo stesso individuo potrà o smettere di disprezzare i ladri (modificando quindi l’atteggiamento), o non acquistare l’oggetto proposto (modificando quindi il comportamento). Lo stesso avviene nei confronti degli animali. Un italiano mangia in media 90 chili di carne all’anno, con un aumento del 200 % dal 1960 ad oggi, ma può arrivare a spendere migliaia di euro l’anno per le cure del proprio animale domestico. Ci prendiamo cura degli animali, li proteggiamo, li tuteliamo e tuttavia li mangiamo con altrettanta veemenza. Sul paradosso della carne ha pubblicato un interessante studio il dottor Steve Loughnan, dell’Università di Melbourne. Nelle sue ricerche riporta i risultati di alcuni esperimenti realizzati per comprendere le complesse strategie psicologiche che gli individui mettono in atto per mangiare carne, nonostante le paradossali affermazioni a favore degli animali. Una contraddizione risolvibile?

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Secondo i ricercatori solo in due modi. Il primo è quello di non consumare carne e diventare quindi vegetariani o meglio ancora vegani. Il secondo è quello di abbassare il livello dei diritti attribuiti agli animali: uccidere un animale è sicuramente meno problematico se pensi che non abbia gli stessi diritti dell’uomo. Un processo possibile perché i carnivori credono che gli animali non abbiano la stessa capacità dell’uomo di percepire complessi stati emotivi e cognitivi. I vegetariani, al contrario, attribuiscono una ricca vita emotiva e complessi stati mentali agli animali, rinonoscimenti che li inducono a rigettare l’idea di ucciderli per consumarne la carne. In questa prospettiva metacognitiva, gli animali sono esseri senzienti, in grado di provare piacere e dolore, per cui vanno loro accordati diritti morali esattamente come agli esseri umani. In alcuni esperimenti descritti da Loughnan, si spiega che i carnivori risolvono la questione facilmente, passando dal dispiacere dell’uccisione di milioni di animali al piacere di mangiare la carne cotta, modificando le loro credenze. In un esperimento, soggetti che avevano precedentemente mangiato carne, nel test successivo, apparentemente non legato al primo, dichiaravano che gli animali avessero meno diritti degli uomini. In un altro esperimento, prima di scegliere se mangiare carne bovina o frullato di banana i soggetti dovevano rispondere ad un questionario sui diritti morali della mucca. Chi rispondeva negativamente alle domande preferiva mangiare carne e sentiva meno sensi di colpa.


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etica

specismo, sessismo, razzismo, tutte facce della stessa medaglia / judith pinnock

Ci hanno incatenati, ammassati, marchiati a fuoco, frustati, mutilati. Veniamo sfruttati, costretti a lavorare, messi a vivere in tuguri malsani mentre i nostri padroni si arricchiscono con i nostri prodotti. Si fanno fotografare con noi, incatenati, ai loro piedi, per vantarsi delle loro gesta. A volte ci smembrano prima che siamo morti. Strappati alle nostre famiglie, costretti a lunghi, terribili viaggi sotto al sole o al gelo. Quando arriviamo molti di noi sono morti, altri feriti o malati, ma ai nostri aguzzini non importa: siamo solo carne da macello. Quante volte sui social network leggiamo post o guardiamo video che descrivono queste drammatiche condizioni di esseri viventi, per i quali proviamo istantaneamente compassione, rabbia per non poterli aiutare e sostenere. Sto parlando di animali sfruttati dagli esseri umani? Plausibile, ma le frasi che ho scritto sono tratte da testi che descrivono la tratta di esseri umani, la schiavitù, la prostituzione. Sembra quasi che sia difficile provare gli stessi sentimenti per animali e per esseri umani. Proviamo a capire perché.

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Cosa c’è dietro allo specismo I miti e le leggende dei popoli potrebbero dar conto del rapporto primigenio tra animali e esseri umani, tuttavia spesso i documenti che abbiamo a disposizione esprimono in realtà visioni e convinzioni addomesticate, per così dire, alla cultura prevalente. Per fare un esempio la Bibbia, che pone l’umanità su un gradino superiore, agli occhi di Dio, rispetto agli animali, non può certo essere considerato un documento storico, ma uno scritto che adatta a comportamenti e usanze vigenti, cioè alla cultura predominante, una supposta naturalità pre-esistente. Sappiamo invece che ci sono (stati) popoli che hanno coltivato un rapporto diverso con l’ambiente: i nativi americani, ad esempio, o gli aborigeni australiani, che nutrivano un profondo rispetto per la f lora e la fauna dalle quali dipendeva la loro stessa sopravvivenza. Popoli schiacciati da altri popoli umani, estinti o quasi. E’ un caso? No. Per sentirsi superiori e, di conseguenza, in diritto di decidere per l’altro e dell’altro, è necessario un preciso status cognitivo: riconoscere se stessi come appartenenti ad una specie, una

razza, che ha caratteristiche e qualità ben definite, e considerare ogni altro soggetto, scusate il gioco di parole, un oggetto o poco più. Diciamo un oggetto a disposizione, per il proprio vantaggio o profitto o divertimento, che sia poi inanimato o vivente non cambia le cose. Lo specismo, in senso classico, indica la discriminazione operata nei confronti degli animali, che si basa su una visione antropocentrica del mondo che attribuisce agli animali umani una superiorità dei diritti rispetto agli altri animali. In realtà affermo che esista una sorta di specismo intra specie, quindi anche all’interno della stessa specie umana, ugualmente basato su una visione antropocentrica stereotipata. Sessismo Il sessismo si basa sulla convinzione che il sesso opposto sia inferiore, di minor qualità, che di conseguenza debba essere limitata la sua piena soggettività. Il termine di per sé è neutro, nel senso che vale sia se la discriminazione è agita nei confronti delle donne che nei confronti degli uomini. Sappiamo però che la prima è di gran lunga superiore rispetto alla seconda. Alcuni esempi.


Il sindaco ha partecipato all’inaugurazione del nuovo Tribunale. Quando è arrivato è stato subito circondato dai giornalisti ai quali ha rilasciato una dichiarazione. E’ stato poi raggiunto dal nuovo Prefetto, arrivato in città da pochi giorni in sostituzione del Dott. Rossi che è stato trasferito in un’altra sede. Il Sindaco ha colpito tutti per la sua eleganza, grazie ad un tailleur primaverile di un delicato color pastello, mentre il Prefetto indossava un abito color crema che delineava garbatamente il suo ormai evidente stato di gravidanza. Questo brano, di mia fantasia, non è affatto improbabile. E’ uso comune, instillato fin dai primi anni di scuola, il maschile non marcato, cioè usato come se fosse neutro. Questa regola, che appartiene alla prassi e non alla grammatica, viene usata per supplire all’assenza di un genere neutro in italiano, e per evitare di dover appesantire il linguaggio con la continua ripetizione dei due generi, ad esempio: “buongiorno a tutti e a tutte, siete pregati e pregate di allacciare le cinture di sicurezza ecc.” Ma questa scorciatoia linguistica si è abbinata ad una realtà che ha visto per decenni, per secoli anzi, la donna relegata

in casa, assente nella vita pubblica, cancellando la corretta declinazione di genere perfino dei sostantivi. Ecco che sindaca, obiettano tante persone, suona male (non altrettanto maestra), per non parlare di prefetta. L’avvocato diventa, misteriosamente, avvocato donna o, con il suffisso dispregiativo, avvocatessa, quando è già dal Medioevo che è in uso il corretto “avvocata” presente nella preghiera “Salve Regina”. Pigrizia linguistica? No, specchio della realtà. Solo nel 1874 le donne vengono ammesse, in Italia, agli studi universitari, anche se di fatto le loro iscrizioni vengono ostacolate. Nel 1947 l’Assemblea Costituente si trovò a decidere se riconoscere o meno alle donne il diritto di svolgere l’attività di magistrati. Quello che segue è uno degli interventi contro la proposta:

La donna deve rimanere la regina della casa, più si allontana dalla famiglia più questa si sgretola. Con tutto il rispetto per la capacità intellettiva della donna, ho l’impressione che essa non sia indicata per la difficile arte del giudicare. Questa richiede grande equilibrio e alle volte l’equilibrio difetta per ragioni anche fisiologiche. Questa è la mia opinione, le donne

devono stare a casa. (Antonio Romano) In altre parole, siccome le donne hanno le mestruazioni, non sono affidabili. Bisogna arrivare al 1963 per avere le prime magistrate. Ecco perché appare più “naturale” parlare di avvocati, giudici, prefetti, pubblici ministeri. Se però le donne sono state escluse dalla magistratura per via del loro corpo fertile, al corpo fertile non viene dato riconoscimento visto che ancora oggi, nonostante un iter legislativo già completato, in Italia non c’è la pratica del cognome paritario, cioè ai figli viene trasmesso solo il cognome paterno. Il linguaggio sessuato accompagna e determina significati. C’è differenza di senso tra cane e cagna? Tra toro e vacca? Tra passero e passera? Tra topo e topa? Tra maiale e maiala? E c’è differenza di senso tra segretario e segretaria? Il primo evoca dirigenze di partito o di sindacato, ad esempio, la seconda un lavoro di assistenza e in subordine. Maestra è un termine molto usuale, ma diventa critico parlare di Maestra d’orchestra, di Maestra di vita, di Maestra artigia-

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etica

na. Potrei fare molti altri esempi. Sapete che meno del 5% delle strade o dei luoghi su territorio nazionale sono intitolati a donne? E che in quel 5% la maggioranza sono sante? Come può, questa mancanza gravissima, non contribuire a costruire la convinzione che non ci siano sufficienti donne autorevoli e di rilevanza storica rispetto ai loro corrispondenti uomini? Questo va a toccare un altro punto, cioè la cancellazione delle donne dalla storia; parlo, naturalmente, della storia divulgata, quella che si studia a scuola, non della storia studiata dalle storiche e dagli storici. Studiamo la storia di re, guerrieri, pirati, scrittori, pittori, poeti, partigiani, eroi. Ma la storia è stata fatta anche da regine, guerriere, pirate, scrittrici, pittrici, poete, partigiane, eroine. Non solo, la storia non è solo un susseguirsi di guerre e azioni eroiche, ma anche la tessitura della vita quotidiana fatta dalle persone comuni, dai loro pensieri, dalle loro azioni. Ad esempio, quando si racconta la storia del ‘900 si parla delle lotte operaie, sindacali, in parte del femminismo, ma non si racconta la storia del welfare e dei servizi, voluti dalle donne, come asili nido e consultori, tanto per citarne due. E’ tanto specista, il pensiero, nei riguardi del genere, che uomini e donne (non tutti, sia chiaro) definiscono naturale, inevitabile, addirittura necessario l’uso sessuale del corpo femminile a

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fronte di un pagamento. C’è chi lo sostiene perché sarebbe una libera scelta delle donne che si prestano. Chi ricorre alla convinzione che sia il mestiere più antico del mondo, per questo inevitabile, senza fare lo sforzo di pensare che forse la sopravvivenza dell’umanità sia dipesa da mestieri come la coltivazione, forse l’allevamento, la medicina; se naufragaste sulla classica isola deserta, pensereste prioritariamente ad una bella scopata o a come nutrirvi, proteggervi, curarvi? Ma, alla base di tutte le convinzioni, ce n’è una: che il maschio umano sia preda dei suoi istinti, che abbia naturale bisogno di sfogo, che la prostituzione sia pertanto un mestiere ma anche un ruolo sociale che mette al riparo la comunità da una bestialità che sarebbe altrimenti priva di limiti. Davvero possiamo pensare che pagare per disporre del corpo di una persona sia civile? Qual è la differenza con il comprare un animale al mercato per cibarsene? Pago, diventi una mia proprietà e, anche se solo per un periodo di tempo, posso fare di te quello che voglio. Ma cosa può essere di proprietà di una persona se non, appunto, una cosa? Cominciamo allora anche a pulire il nostro linguaggio da espressioni come “sei mio - mia”, romanticamente esaltanti, ma razionalmente illogiche. Nessuno è DI qualcuno. Né i figli dei genitori, né i partner l’uno dell’altro, né chi lavora del datore di lavoro. Ma, in questa epoca buia, i giovani sono tornati a parlare di “pa-

droni”. E’ evidente che ragionare sugli specismi sia davvero una questione necessaria e non rimandabile. Razzismo Razza è un termine che indica un Insieme di individui, animali o vegetali, che si differenziano da altri gruppi della stessa specie per uno o più caratteri ereditari. E’ piuttosto evidente che una delle razze sia quella umana. La convinzione che esistano diverse razze umane è errata. Se così non fosse, cosa dovremmo pensare dei tanti bambini adottati tramite percorsi internazionali? Neonati provenienti da paesi dell’est, o africani, o asiatici, o sudamericani e vissuti sempre in Italia, con genitori italiani, quali caratteristiche razziali avranno? Ci aspetteremo che Mario, vent’anni, nato in Messico e vissuto a Milano da quando aveva tre mesi faccia una lunga siesta al pomeriggio? Antonella, nata in Ucraina, farà la badante e sposerà un vecchietto inconsapevole? No, certo. Ma Xiang, nata in Cina, e suo fratello Chen nato a Modena, che aiutano i genitori, cinesi, nella gestione di un piccolo bar che fa i migliori tortellini della zona, metteranno nel ripieno carne di cane all’insaputa dei clienti? Affittereste un vostro appartamento a due operai rumeni? Assumereste come baby sitter una giovane rom? Pian piano si sposta l’asticella della fratellanza, e ci mette alla prova. Siamo malvagi? O, come dice


un comico, non sono io razzista, è lui che è napoletano? Siamo, tutti e tutte,

vittime della cultura, cioè del sistema di convinzioni, tradizioni, usi, valori che assorbiamo dalla società in modo inconsapevole. Il razzismo italiano è stato ed è costruito diligentemente e con costanza, grazie ad un uso del linguaggio che, come già detto, arriva a preformare la realtà. Partiamo dal termine “clandestino”. Spesso sento affermazioni come: (diamo per scontato il classico incipit io non sono razzista, anzi, ma....) “se sono regolari, lavorano, non danno fastidio a nessuno mi stanno bene, ma se no che se ne stiano nel loro paese. “ In altre parole, no ai clandestini. Ma chi sono i clandestini? Il termine clandestino non esiste. Non corrisponde ad una definizione giuridica. Deriva dal latino clam, di nascosto e dies, giorno, quindi che sta nascosto al giorno. Fino a poco tempo fa era un termine che non aveva connotazione negativa, anzi, era ammantato di romanticismo: una relazione o un matrimonio clandestino, un giornale clandestino, una bisca clandestina. La parola non è nemmeno presente nei testi di legge, nonostante stampa e politica continuino ad usare il termine “reato di clandestinità”. A cosa serve spingere sul termine clandestino? A costruire un legame indissolubile tra clandestinità e criminalità, tanto da giustificare una legge che punisce col carcere chi non ha documenti. Emigrare può essere un crimine da

punire con il carcere? E’ vero che circa il 90% delle persone che richiedono protezione internazionale sono entrate in Europa (sì, perché non vengono in Italia, vengono in Europa, è solo che siamo la prima costa raggiungibile) in modo irregolare, ma perché non hanno alternative. Infatti la Convenzione di Ginevra stabilisce che non sono migranti irregolari. E mentre in Italia si alimentano diffidenza e paura con termini quali ondate di clandestini, invasioni, esodi biblici, tsunami umani, costruendo un immaginario composto da orde di esseri umani che si impadroniscono dei nostri territori (nella realtà quando, con la guerra in Libia del 2011, 790.000 lavoratori migranti hanno lasciato la Libia, solo il 3,9% è sbarcato a Malta o in Italia), in Francia si parla di sans papier, in Inghilterra di irregular, negli Stati Uniti di undocumented worker. Scrivo questo con il desiderio di far capire che cambia molto se abbino ad una persona un termine piuttosto che un altro. Perché il termine “extra comunitario” - che ha una connotazione dispregiativa - non viene mai usato per indicare una persona proveniente dagli Stati Uniti? Se ci pensiamo bene lo stesso concetto di confine nazionale è specista, quando facciamo coincidere, per lo più inconsapevolmente, confine politico con confine geografico. Certo che chi vive in una zona desertica sarà diverso da chi vive al Polo Nord, avrà infatti

una diversa concentrazione di melanina nella pelle, diversi pigmenti nelle iridi, sarà per lui/lei abituale vestirsi di un leggero tessuto colorato, per rif lettere la luce del sole, invece che di calde pellicce scure per attirare un po’ di colore. Ma basta leggere una raccolta di fiabe di tutto il mondo, se non si vuole approfondire studiando miti, leggende, religioni, per accorgersi che le differenze finiscono lì, che esiste davvero un inconscio collettivo alimentato da archetipi comuni a tutte le culture. Conosco le obiezioni a questa affermazione, spesso riguardano, tra l’altro, la condizione della donna, come nel caso del velo o delle mutilazioni genitali. Pratica mostruosa la seconda, certo, offensiva la prima. Ma siamo così distanti? In Italia è solo dal 1996 che lo stupro non è più un reato contro la morale ma contro la persona, e il fatto che fosse considerato solo immorale comportava che il matrimonio tra stupratore e stuprata cancellasse il reato, evitando al delinquente denuncia, processo, condanna. E’ meno atroce che una donna sia costretta a sposare il suo stupratore, quindi a vivere tutta la sua vita con lui? Riguardo al velo, in Italia ancora negli anni ‘60 una donna “per bene” non usciva mai di casa senza avere il capo coperto da un foulard. La costante intromissione del Vaticano nelle questioni inerenti lo stato definisce la religione cattolica come meno integralista di altre? Vale poi, su ogni rif lessione, una di

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etica

carattere cognitivo: non si può estendere a tutta una popolazione la caratteristica, il comportamento, l’agire di qualcuno, altrimenti sarebbe stato plausibile che, negli anni ‘70, fossero state chiuse le frontiere agli italiani perché brigatisti rossi o terroristi neri. Così come non tutti gli italiani sono cattolici, non tutti gli italiani cattolici si comportano e pensano allo stesso modo, e altrettanto vale per qualsiasi altro popolo. Non tutti gli arabi sono musulmani, non tutti i musulmani sono integralisti, e così via. Omofobia

Non ho niente contro gli omosessuali, anzi, ho due vicini di casa gay e sono tanto educati, poi si sa che sono più sensibili. Ma.... Ecco un’altra summa di pensiero specista. Una persona che ha un’identità sessuale non eterosessuale viene inquadrata automaticamente, e in modo non consapevole, in una “razza”, quella degli omosessuali, che hanno quindi caratteristiche comuni trasmesse ereditariamente. Sfatiamo il mito che i gay siano tutti sensibili ed educati? Ci sono gay, lesbiche e trans assolutamente odiosi, esattamente come accade per gli eterosessuali. La maleducazione è senz’altro deprecabile, ma perché un/a omosessuale non dovrebbe esserlo? Perché deve comprarsi l’accettazione sociale. Come la persona straniera, come le donne, deve essere più degli altri, deve costantemente dimostrare di meritare un posticino nella società, possibilmente restando però sempre un po’ in ombra. Come il cane di casa, che è bravo se non abbaia, non sporca, non perde il pelo: quando è cane il meno possibile ed essere umano il più possibile, insomma. Quindi “a casa sua faccia quello che vuole, ma baciarsi in pubblico! che schifo!” e, soprattutto, “la famiglia naturale è fatta da un uomo, una donna e i figli. Che si vogliano sposare si può anche accettare, magari con dei patti civili, non proprio il matrimonio, ma che poi vogliano avere dei figli! I bambini devono avere madre e padre, se no da grandi come fanno a crescere in modo sano, rischiano di diventare omosessuali anche loro”.

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Traduco: accetto che esistano gay e lesbiche purché non li veda, e sia chiaro che sono anormali quindi dobbiamo proteggere da loro i bambini perché l’omosessualità, trattandosi di razza, si trasmette. Violenza contro la natura e contro natura Nel remake di Ultimatum alla terra l’alieno Keanu Reeves risponde laconicamente alla Segretaria di Stato USA: il pianeta non è vostro. Che cosa pensiamo di questo? A cosa pensiamo quando buttiamo un mozzicone di sigaretta per terra, lasciamo accesa una luce che non serve, non spegniamo l’automobile in sosta per tenere acceso riscaldamento o condizionamento, non cerchiamo in alcun modo di moderare consumi e sprechi? Gli scienziati del Bulletin of the Atomic Scientists dell’Università di Chicago nel 1947 hanno creato un orologio simbolico, l’orologio dell’Apocalisse, in cui la mezzanotte simboleggia la fine del mondo, ovvero l’autodistruzione dell’umanità tramite una guerra atomica. Al momento la lancetta è posizionata sulle 23:55. Cinque minuti sono davvero pochi. In questo momento ci sono guerre in 27 stati in Africa, 16 in Asia, 9 in Europa, 8 in Medio Oriente, 5 nelle Americhe, guerre che comportano la distruzione di beni comuni, risorse ambientali, esseri umani. Anche in questo caso ciò che permette all’essere umano questa sorta di indifferenza apparente verso il suo stesso futuro è il considerare l’ambiente come qualcosa di separato da sé, invece di vederne la sostanziale non dualità. E come è possibile la violenza verso un altro essere umano? Ce lo spiega il filosofo Gabriel Marcel parlando di spirito di astrazione. Scrive Marcel: «Nel momento in cui qualcuno [...] richiede il mio impegno a compiere un’azione bellicosa contro altri esseri umani (che in conseguenza del mio impegno dovrei anche essere pronto ad annientare), chi sta esercitando un’inf luenza su di me riterrà assolutamente necessario che io neghi la realtà individuale dell’essere umano che devo distruggere. Per trasformarlo in un mero bersaglio impersonale è assolutamente necessario che io lo

riduca a un’astrazione». Non appena le persone vengono trasformate in concetti astratti possono essere considerate senza valore, inferiori e addirittura pericolose, tanto da poter essere distrutte. Non esistono più come persone nella pienezza della loro umanità. Quindi, il soldato che uccide non vede una persona, ma un palestinese; il tifoso che uccide ha visto uno del Napoli; il gioielliere che ha ucciso, seppure per difendersi, ha visto solo un ladro. Nessuno di loro ha visto un’altra persona identica a se stesso, pur nelle differenze individuali e di contesto. Non resta che da chiedersi come possiamo migliorare la nostra storia, superare queste differenze, realizzare una società profondamente inclusiva. Potremmo dire, di noi stessi, che non siamo cattivi, ci disegnano così, nel senso che in questi comportamenti non c’è niente di naturale, tutto deriva dal nostro sistema di convinzioni, cioè dalla cultura. Possiamo partire dal comprendere che nessuno di noi è esente dalla condivisione, anche inconsapevole, di stereotipi e pregiudizi, e proseguire impegnandoci a smantellarli, decostruirli, approfondendo le nostre informazioni, cercando la verità nelle notizie che vengono diffuse, con umiltà e spirito di ricerca. Concludendo, voglio fare una rif lessione su un contesto specifico, quello inerente lo spirito ed il progetto di questa rivista. Non riesco a pensare come una persona che abbia infranto, dentro di sé, il muro dello specismo inteso nel suo significato originale, possa conservare altri muri come sessismo, razzismo, omofobia. Eppure questo accade; persone che si inteneriscono, emozionano, indignano sul destino di pulcini, vitelli, mucche, maiali, esprimono poi rabbia, intolleranza, chiusura mentale su persone che considerano diverse, altre da sé, cioè aliene. Forse, allora, bisogna sforzarsi di considerare il proprio riconoscersi come antispecista come un primo, fondamentale passo, ma non l’unico, in un percorso che deve portarci ad aderire al cento per cento ad una visione inclusiva ed includente della vita e del nostro rapporto con il nostro ambiente e con chi ne fa parte.


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animali

ALIMENTAZIONE, BISOGNI FISIOETOLOGICI PER LA SALUTE DEL CANE (e DEL GATTO) ed ETICA / FABIANA ROMANO

Per chi diventa Vegan, acquistare e cucinare carne, pesce, dare latte, formaggi e uova all cane o al gatto è un controsenso etico. Si cercano informazioni un po’ ovunque, dal web a consigli di amici, se il veterinario non è d’accordo sul cambio di dieta. Si arriva persino a chiedere il parere del medico vegan che offre menu a base di fagioli e semi al suo cane. Letteratura in materia ce n’è poca e se si naviga in internet ci si confonde ancora di più tra chi difende a spada tratta l’alimentazione carnea cruda e chi offre soluzioni vegan discutibili per gli addetti ai lavori ma attendibili per chi vuole a tutti costi avere anche per il proprio cane o gatto la coscienza a posto. In questo articolo, cercherò di chiarire le differenze tra umani, cani e gatti, offrendo, come mia abitudine, un’osservazione sulla tematica, in modo da potersi ognuno fare un’idea o avere un punto di partenza per rif lettere e approfondire con il veterinario nutrizionista, sulle esigenze individuali del proprio amico a quattro zampe. Tratti anatomici, pH gastrico e urinario, fisiologia dell’apparato digerente sono

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diversi tra l’Uomo (in origine frugivoro), il gatto e il cane (originariamente carnivori). L’antropomorfismo che caratterizza molte relazioni con gli animali, ci ha portato anche a credere che il nostro modo di alimentarci possa essere condiviso con loro in tutto e per tutto. Come raccontato nel n° 0, i cani selvatici, come i lupi, si sono avvicinati agli accampamenti dell’uomo, poi ai villaggi per cercare cibo, quando la caccia non li premiava. Col tempo il cane si è adattato al cambiamento alimentare dell’Uomo, cibandosi in maniera onnivora. La Riproduzione Selezionata può aver inciso, seppure in parte, su una possibile modifica anatomica del cane ma non tanto da renderlo uguale all’Uomo. Ciò non è avvenuto per il gatto che rimane ed è un carnivoro stretto. Infatti, i carnivori, presentano una diversa conformazione della dentatura, con molari appuntiti e affilati per dilaniare la carne contro i molari piatti per triturare cereali e verdure. Hanno delle mascelle non adatte al tipico movimento laterale che permette la tri-

un’aper tura della turazione del cibo e ntare grossi bocca tale per adde appare dalle str bocconi di carne da mastica anche n no ro ivo rn ca Il e. pred n contiene enzino a, liv perché la sua sa mi digestiv i. , in proporzione è Lo stomaco del cane grande di quello quasi ot to volte più gastrico nel cane di un erbivoro. Il pH ido di quello di risulta 10 volte più ac cerne acido se un essere umano e per scindere le io ar ss idroclorico, nece i batteri: si attesta proteine ed eliminare nza cibo. o se intorno al 1 o 2 con ivoro è breve, rn ca un in no sti L’inte ezza del tronco, gh lun circa 3 volte la lungo, quasi 12 nell’uomo è molto più è 10 volte il tronco volte, negli onnivori s del Dr. Emmet re (da How Nature Cu cane presenta le Densmore, 1892). Il miche del caratteristiche anato ta rag ione, digericarnivoro, per ques o le proteine anigli sce e assorbe me parte va fat to per il mali (un discorso a antità eccessiva di lat te) mentre una qu maco non secerni cereali fa sì che lo sto bondanza (in succhi gastrici in ab lo della carne) e mo sti lo quanto manca o eliminati, deteri batteri non vengon fermentazioni, di minando l’in sorgere


diarrea, parassiti, fino alla possibile torsione dell’intestino. Il dottor David S. Kronfeld, professore presso l’University of Pennsylvania, nell’articolo Nutritional aspects of skeletal diseases ha scritto: ”Nessun carboidrato deve essere dato al cucciolo dopo lo svezzamento, nemmeno a quei cani sottoposti a duri lavori. Il fegato ha l’abilita’ di sintetizzare glucosio sufficiente (da amminoacidi derivanti da proteine e glicerolo derivante da grassi) al trasporto del sangue e all’utilizzazione in altri tessuti. Frutta e verdure procurano nutrienti naturali come il complesso vitaminico B, minerali e enzimi che migliorano il sistema immunitario e la mobilita’ intestinale. Questo spiega perché molti cani quando sentono di avere dei problemi intestinali cercano erba. Gli animali cercano e consumano le piante richieste in quel momento dal loro organismo. Le piante servono da tonico che rafforza organi, e tessuti. Gli estratti delle piante sono degli antiossidanti naturaliche promuovono la salute. Dal punto di vista del profilo degli amminoacidi, per il cane, le proteine animali sono complete, quelle vegetali incomplete. Le proteine vegetali mancano di arginina, taurina, metionina, lisina e triptofano. La carne invece contiene tutti gli aminoacidi essenziali, così come le uova. Se il cane non assorbe abbastanza proteine il suo organismo andrà in scompenso di nitrogeno, la cui conseguenza sarà il distaccamento naturale delle proteine dai muscoli, per sopperire alla mancanza. Questo porterà alla perdita di massa muscolare, perdita di peso e deficienza proteica”. Il gatto, per le sua caratteristica fisiologica, ha necessità della taurina, un amminoacido presente nella carne, che non riesce a sintetizzare autonomamente equindi deve assumerla con la dieta. Si pensi che il fabbisogno giornaliero, per un peso di 4 kg è di 0,25 grammi. L’eventuale carenza di taurina, che regola il f lussodegli ioni calcio e potassio a livello delle membrane cellulari di retina e miocardio, determina l’insorgere della cardiomiopatia dilatativa (insufficienza cardiaca),

degenerazione centrale della retina (cecità irreversibile), riduzione della capacità riproduttiva con aborti e conseguenze di malformazioni anche per i gattini che riescono a sopravvivere, insufficiente sintesi di sali biliari. Qualche anno fa il caso diuna donna australiana che alimentava il suo gatto con una dieta vegan, non consentendogli di cacciare per sopperire alla carenza nutritiva, ha fatto il giro del mondo e condotto tutte le associazioni di Veterinari, in Italia l’ANMVI, Associazione Nazionale Veterinari Italiana, ad esprimersi in materia verso l’ipotesi di maltrattamento. Il gatto australiano si era quasi paralizzato negli arti a seguito di trombosi arteriosa (una delle manifestazioni della cardiomiopatia) ed è stato curato e guarito con la sola somministrazione di carne cruda. Anche il cane può, in assenza prolungata di carne, sviluppare la cardiomiopatia dilatativa. Inoltre, non sintetizza la Vitamina C, assimilandola solo con la carne cruda. Il Dr. Linus Pawling, ricercatore e studioso degli effetti della vitamina C sugli umani, dice “La quantità prodotta è proporzionale al peso corporeo. Un animale medio di circa 8 kg produce tra 200 e 2000mg di vitamina C al giorno. I cani e i gatti sono del gruppo degli animali che sintetizzano la minore quantità di vitamina, all’incirca 1/5 di quella sintetizzata da altri animali. è per questa ragione che integrare vitamina C nell’alimentazione quotidiana del nostro cane e’ importante per il mantenimento della sua salute”. Nel loro libro, “Come avere un cane più sano. I benefici delle vitamine e minerali nel ciclo vitale del tuo cane” (1981), i veterinari W. Belfield e M. Zucker, descrivono come la somministrazione di almeno 200 mg di Vitamina C naturale, da frutta, germogli e verdura, per chIlo di peso, a cani affetti da cimurro, li abbia salvati dalla morte certa. Tutti questi studi ci fanno capire come sia importante offrire ai nostri cani e gatti prodotti freschi. Infatti, l’alimentazione basata su cibi troppo cotti e industriali ha modificato ulteriormente le abitudini alimentari, con l’effetto

di aver portato loro nuove malattie. Questo è quanto emerso da un ricerca, diffusa dal Dr. John Tegzes, professor at Western University of Health Sciences (www.prnewswire.com). Tumori, allergie, malattie autoimmuni, sono solo alcune delle patologie che derivano dal cibo industriale, nel quale sono presenti elevati quantitativi di mais e altri cereali. Inoltre, la cottura ad altissima temperatura distrugge gli enzimi, i nutrienti e le vitamine presenti nei mangimi preconfezionati. Da qualche anno alcune marche di cibo industriale preparano anche la linea vegetariana o vegan, arricchita di additivi e integratori, soprattutto di L-Carnitina e Taurina, per soddisfare le nuove richieste emergenti dal mercato. Un’evoluzione industriale verso il vegan, mette a tacere la coscienza e conduce un trasferimento di consumatori da un industria all’altra. Ma la salute è garantita? Nel libro “FIDO NON SI FIDA” di Stefano Apuzzo e Edgar Meyer si riporta: ”Cosa succede ai nutrienti? Randy L. Wysong è un veterinario americano che produce la sua linea di mangimi per animali da compagnia. Da tempo critico sulle pratiche dell’industria alimentare per animali da compagnia, afferma: ‘Si ignora la perdita di valore nutrizionale del cibo durante il trattamento’. Riscaldare, cuocere, trasformare, congelare, disidratare, inscatolare, estrudere, appallottolare, infornare, ecc. sono considerati quasi sinonimi del cibo stesso. Trattare carne e sottoprodotti impiegati nel cibo per animali domestici può diminuire notevolmente il loro valore nutritivo, anche se la cottura aumenta la digeribilità dei cereali. Per rendere il cibo per animali domestici nutriente e poterlo commerciare sotto la denominazione di ‘alimento completo’, i produttori devono ‘fortificarlo’ con vitamine e minerali. Crocchette pazze colorate e additivate”. Cibi cucinati a casa, offerti crudi per quanto è possibile, sembra essere la scelta per la salute dei nostri amici “pelosi”. E sulla freschezza? Per le proteine di origine animali, il naturo-

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pata/omeopata americano Pat McKay, specializzato in nutrizione fa una considerazione interessante sul dare carne e ossa ai cani, soprattutto a quelli che presentano particolari patologie: la carne non è fresca, di provenienza spesso da allevamenti intensivi. Soprattutto le ossa: le acquistiamo dai negozi, anche in polvere, sono di animali morti da giorni o mesi. Secondo McKay i nutrienti utili al cane o al gatto, non ci sono più e ciò che resta è una sostanza granulosa che può provocare diverse patologie (htpp://animalhomeopathy.org.tripod.com/ www.animalhomeopathy.org/id19. html). Abbiamo visto che per esigenze anatomiche e fisiologiche, il cane (il gatto mai), non può abbandonare una dieta carnea almeno per il 30% quotidiano. E allora come mai ci sono tanti cani vegetariani e vegan che, a detta dei loro compagni umani, stanno benissimo? Questo interrogativo ci riporta alla soggettività, come elemento fondamentale che determina un’eccezionalità da non poter generalizzare, tanto meno quando si tratta di alimentazione o nutrizione. I gatti vegani, mangiano crocchette addizionate di taurina sintetica. I cani spaziano tra i “crocchettari” e i “casalinghi. In alcuni casi, una dieta non carnea o onnivora, sazia le esigenze dei 4Zampe dal procurarsi da soli il cibo, mentre un’offerta vegetariana, soddisfa in parte con uova, formaggi e latte (sempre che il lattosio sia tollera-

to) i bisogni proteici. Verona Rebow e Jonathan Dune nel loro libro “Cani Vegetariani”, spinti dal ridurre l’impatto cruente, occupandosi di cani randagi e abbandonati, hanno “testato” su di loro una serie di ricette senza carne e pesce, sempre monitorati dal loro veterinario. Il sostegno medico, in termini di analisi semestrali e anche più frequenti all’inizio del cambio di dieta, può evidenziare le carenze vitaminiche e quelle di cui abbiamo scritto precedentemente. Intervenire prontamente con l’integratore giusto salva la vita, fermo restando che alcune vitamine debbono essere inserite nella dieta giornalmente. Le analisi di controllo periodiche andranno ad evidenziare non solo deficienze ma anche eventuali sovradosaggi. E cani vegani? Dallo studio descrittivo condotto da PETA - People for the Ethical Treatment of Animals su un campione di circa 300 cani sono emerse queste conclusioni: “Recentemente, molti veterinari hanno iniziato a consigliare l’aggiunta di enzimi digestivi alla dieta, poiché si ritiene che i cibi cotti, privi di enzimi, impoveriscano il corpo dei propri enzimi, causando problemi di salute con l’andare del tempo. Inoltre, se un cane ha difficoltà a digerire le proteine vegetali, queste proteine non completamente digerite possono venire riassorbite, determinando allergie e artriti. I problemi digestivi possono anche essere il risultato di un’alterazione della

f lora intestinale causata da digestione incompleta. I cani che assumono una dieta vegetariana potrebbero avere maggiore tendenza alle infezioni del tratto urinario a causa di una più alta alcalinità della loro urina. È un’operazione semplice quella di testare il pH dell’urina del cane e ogni cane che presentasse urina alcalina dovrebbe essere monitorato per individuare precocemente i segni di un’eventuale infezione. I disturbi cardiaci richiedono ulteriori studi. Tutti i cani che presentavano disturbi cardiaci erano stati vegani per almeno quattro anni o vegetariani per almeno dieci anni. Cinque dei cani che erano morti per disturbi cardiaci avevano tra 13 e 15 anni, che non è un fatto straordinario. Il maggiore problema di cui occorre essere consapevoli è quello dell’incidenza della cardiomiopatia diilatativa (cinque cani avevano questa malattia, di cui uno di soli cinque anni e un altro di nove anni) e delle possibile misure per prevenire o anche curare questo disturbo. L’integrazione dell’alimentazione con L-carnitina o taurina sembrava arrestare il progredire della malattia, e anche curarla nei tre cani che ne sono guariti e, presumibilmente, questi due aminoacidi sarebbero benefici nella prevenzione del disturbo. Nel complesso, i risultati di questo studio sostengono l’affermazione che i cani possono vivere in modo sano con una dieta vegana o vegetariana. I problemi di salute tendono a diminuire quanto più a lungo i cani mantengono una dieta priva di carne, con l’eccezione della cardiomiopatia dilatativa, che può essere prevenuta con la semplice integrazione di un aminoacido. Questo dovrebbe incoraggiare le persone che preferiscono che i loro cani non consumino carni di scarto o la carne di animali che hanno sofferto nelle fattorie industriali. Il confronto con un gruppo di controllo di cani con una dieta carnea renderebbero i risultati di questo studio ancora più significativi”. Gioca un ruolo molto importante la scelta degli alimenti, la loro provenienza, il modo in cui sono coltivati..…E se lasciassimo che i nostri amici vadano a caccia?

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Tutto sul Seitan Il suo nome evoca gusti e paesi lontani, tanto che la sua origine si perde tra i monaci buddisti cinesi, secoli fa, e rappresenta da sempre uno dei cardini della cucina orientale. Ricavato dalla farina di grano, risciacquata e impastata fino a quando non rimane solo il glutine, poi bollito in acqua aromatizzata e insaporita in diversi modi, il seitan è un cibo nutriente e dal sapore delicato, noto soprattutto ai vegetariani perchè si presta a innumerevoli utilizzi e la sua versatilità lo rende ingrediente principe della cucina attenta alla salute e senza crudeltà. Questo manuale guida il lettore lungo un puntuale percorso per la conoscenza di questo prezioso elemento gastronomico, ne illustra i componenti e le tecniche per la realizzazione, destinate a quanti amano preparare i propri piatti partendo dall’ingrediente principale, la farina.

Seitan, preparazione e ricette dal glutine di grano un alimento versatile e nutriente Stefano Momentè, Next Italia Edizioni, Euro 9,80 Per informazioni: info@nextitalia.it


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vegan petS? / arianna missiaja

l fatto che non tutti gli animali abbiano una struttura fisiologica da vegetariani non significa che non possano seguire, con gli opportuni accorgimenti, un regime alimentare basato su alimenti vegetali. Nel momento in cui decidiamo di ospitare in casa uno o più amici di altre specie, è nostro dovere provvedere alle sue necessità, tra le quali ovviamente non possiamo trascurare una sana e corretta alimentazione che permetta loro di vivere in salute, assumendo tutti i macro e micro nutrienti di cui necessitano. Ci sono notevoli naturali differenze tra le varie specie di animali e quindi anche le loro necessità cambieranno di conseguenza. Un cane non è uguale ad un gatto, e le cocorite o i piccoli amici esotici (vegetariani già per natura) sono diversi da merli e passeri che necessitano nella loro dieta di una quantità maggiore di proteine essendo per natura insettivori. Ma vediamo più dettagliatamente quali sono le caratteristiche dei nostri amici per capire quali possano essere le loro esigenze nutrizionali. Il cane, a differenza di quanto molti credono, non è carnivoro ma onnivoro. Le sue caratteristiche fisiologiche sono diverse da quelle dei carnivori: presenta i canini più arrotondati, l’intestino più lungo ed è privo di artigli affilati . Un’alimentazione a base di carne può essere dannosa e procurargli problemi causati dalle elevate quantità di purine. Nessun

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veterinario infatti, consiglierà mai di dare al cane della carne, orientando invece i consigli nutrizionali in direzione del cibo secco. Nel caso fossimo propensi ad alimentare i nostri amici con le crocchette c’è da tener presente che, per la maggior parte, questo tipo di cibo viene prodotto effettuando sperimentazioni su altri cani (o gatti, a seconda della destinazione finale del prodotto). Dovremmo pertanto evitare quelle marche che notoriamente sottopongono sfortunati animali ad atroci torture per provare la qualità del loro cibo (questo vale soprattutto per le crocchette curative, ma anche per tipi *normali*) scegliendo prodotti che non siano stati causa di sofferenza per altri esseri. Il fatto che il cane sia onnivoro però, significa anche che è in grado di ottenere i nutrienti di cui necessita anche a partire da un’alimentazione vegetariana senza il pericolo di incorrere in carenze. In questo caso la dieta settimanale dev’essere il più possibile variata e comprendere una buona varietà di cereali integrali (senza eccedere nelle quantità) legumi passati al passaverdure (per eliminare le bucce che potrebbero causare problemi quali gas intestinali e gonfiori), verdure, frutta secca tritata e dell’olio di lino per gli omega-3. Il pane e la pasta raffinati vanno invece evitati a causa del loro indice glicemico abbastanza elevato che può provocare picchi insulinici e l’insorgenza di malattie quali il diabete. Per chi non se la sentisse di affidarsi

alle proprie capacità di elaborazione di ricette vegetali bilanciate o avesse poco tempo, sono comunque disponibili delle crocchette a base interamente vegetale, formulate da veterinari e non testate su animali, comprendenti tutti i macro nutrienti, vitamine e sali minerali di cui il cane ha bisogno. Il vantaggio di questo tipo di alimento sta anche nel fatto che non contiene farine e grassi animali, né scarti di lavorazione delle carni, a differenza del tipo non vegetale. Il gatto invece a differenza del cane è un vero e proprio carnivoro cosa che appare evidente anche dalla sua struttura fisica. I suoi canini si presentano estremamente affilati, i suoi artigli sono taglienti e retrattili e l’intestino è corto per permettere un rapido transito delle sostanze nocive derivate dalla digestione della carne. Non potrebbe sopravvivere con una dieta vegetariana perché non è in grado di sintetizzare a partire dai vegetali un aminoacido presente nella carne (più precisamente nel muscolo): la taurina. La carenza di taurina nel gatto può causare seri problemi: a partire dalla cecità fino alla morte. Ma nemmeno per i nostri amici felini le bistecche sono indicate! Il gatto è sì un cacciatore, ma in natura la sua preda non potrebbe mai essere un manzo ! I gatti si cibano di piccoli mammiferi, di uccelli ed insetti e, se è vero che le proteine animali sono tutte uguali essendo formate tutte dalla medesima catena di aminoacidi, non


è altrettanto vero che un tipo di carne equivale ad un altro. La concentrazione di proteine presenti è variabile così come cambiano le quantità di grassi e di colesterolo. Se decidiamo di dar loro del pesce, dobbiamo fare attenzione ad asportare tutte le spine che potrebbero causare gravi danni se ingerite, quali lacerazioni all’esofago o perforazione dell’intestino con conseguente peritonite (in caso di spine più consistenti) e ad eliminare ogni traccia d’interiora che possono risultare tossiche per il gatto. Anche per i mici che vivono nelle nostre case, i veterinari indicano come ideale il cibo secco. I problemi relativi a questo tipo di alimento, circa la sperimentazione animale, sono gli stessi che quelli sopra esposti per quanto riguarda il cibo per cani. Ci sono marche quali Royal Canin, Purina, Iams duramente attaccate dagli animalisti in seguito a terribili test eseguiti sugli animali, ma il problema della sperimentazione riguarda moltissime marche che fanno capo a gruppi o multinazionali (in genere quelle del gruppo Mars: Chappi, Pedigree, Cesar, Whiskas, Kitekat; Colgate Palmolive: Hill’s science diet; Procter &Gamble: Iams, Eukanuba; e della Nestlé: Fido, Friskies, Pro Plan, Purina Veterinary, Felix) che finanziano o commissionano test a terzi anche per quanto riguarda altri prodotti (tipo cosmetici e detersivi). Vi sono comunque

dei mangimi non testati su animali, tra i quali i prodotti a marchio Coop, o le crocchette Affinity ultmate nutrition (attenzione però, da non confondersi con le Purina!) , altri di piccole case produttrici e le crocchette vegetali Amì addizionate di taurina, formulate da veterinari ma non testate su animali. Questo tipo di crocchetta (che come accennavo prima esiste anche nella versione per cani) è davvero *senza crudeltà* al 100% poiché esclude la sofferenza e lo sfruttamento di qualsiasi animale in ogni fase di produzione. Ad alcuni può sembrare strano dare al micio crocchette vegetali…in realtà però l’apparente stranezza è più collegata ad un’impressione che ad un fatto concreto. Queste sono denominate così perché non contengono scarti di lavorazione animali e gli aminoacidi presenti sono di origine vegetale invece che anima-

le…Ma sono comunque complete e bilanciate, contengono tutti i nutrienti di cui il gatto necessita. In quanto alla taurina, deve essere aggiunta anche nelle crocchette tradizionali perché ciò che contengono e che viene chiamato *carne*, in realtà dell’originario alimento ha davvero poco, essendo sostanzialmente costituita da materiale di scarto, estratti o proteine isolate , e non avendo nulla a che vedere quindi con le parti di muscolo in cui la taurina è presente. Non credo proprio che un gatto, avendo a disposizione un cibo

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animali compatibile con il mantenimento della sua salute, e gradevole al suo palato, possa fare differenze per quanto riguarda l’origine degli ingredienti! Vorrei fare ora una breve comparazione tra i tenori analitici delle crocchette *tradizionali* per gatti ( quelle a base di carne) e quelli relativi alle crocchette vegetali. Come si noterà, non vi sono differenze sostanziali per quanto riguarda il risultato finale In entrambi i tipi di mangime sono presenti aggiunte di Vitamine A, D, E, C, rame, selenio , taurina. Nelle crocchette vegetali sono state aggiunte altre vitamine del gruppo B (B1, B2, B6, B12 e biotina), acido D pantotenico, vitamina K, vitamina PP, acido folico, colina croruro, ferro, iodio, manganese e zinco ( alcuni di questi elementi sono stati aggiunti anche in altri tipi di crocchette a base di carne, diversi da quello preso in considerazione). Cocorite, calopsitta e parrocchetti sono uccelli vegetariani in quanto in natura si cibano di frutta, semi e verdure. Quando

decidiamo di ospitarne in casa, è molto importante che facciamo attenzione a nutrirli con alimenti adatti alle loro esigenze ma evitando i mangimi contenenti troppi grassi (specie se animali).Alcuni prodotti vengono addizionati con olio di fegato, grassi animali, coloranti di varia natura. Sarà pertanto opportuno controllare sempre la composizione del mangime che acquistiamo, preferendo semi variati ma privi di adittivi. Per quanto riguarda i grassi, è bene non eccedere con semi troppo oleosi (tipo i semi di girasole) che possono compromettere la salute dei nostri amici. E’ importante integrare la dieta lasciando a libera disposizione frutta e verdura, alternando varietà diverse e fare in modo che assumano regolarmente anche semi di lino, ricchi di omega-3 utilissimi anche a loro (come a noi!). Sarebbe opportuno abituare gli animali ad uscire dalle gabbie in modo che possano sviluppare in modo adeguato la muscolatura volando liberamente per la casa, ed esporli quando possibile alla luce

solare diretta per favorire la produzione di vitamina D. E’ d’obbligo fare attenzione, soprattutto d’estate, ai tempi d’esposizione che non devono essere troppo prolungati per evitare che possano essere vittime di colpi di calore, provvedendo magari a porli sotto un riparo. Sarebbe meglio tenerli in casa nelle ore più calde d’estate e non portarli all’aperto in inverno. Sebbene queste specie si siano adattate notevolmente ai nostri climi, temperature troppo basse potrebbero risultargli fatali. Merli e altri insettivori non sono, ovviamente, vegetariani e necessitano di una quota di proteine maggiore rispetto ai parrocchetti e ai canarini. Controllando la composizione di vari tipi di mangimi ho notato che alcuni erano addizionati con proteine di manzo isolate, altri con proteine di soia isolate. Entrambi i tipi di mangime però contenevano olii e grassi animali, pertanto sarebbe auspicabile cercare di comporre un mangime completo osservando le

Sono trascorsi quasi 8 anni quando timidamente ho aperto le porte dell’agriturismo con la perplessità che mi avrebbero presa per esaltata, folle, incapace di saper cucinare... Eppure mi dicevo: «se io ho fatto questa scelta etica qualcuno ci sarà che avrà finalmente piacere di trovare un locale dove la vita animale viene lasciata vivere». L’orto dell’azienda biologica mi segue da tutti questi anni a ritmi settimanali e mensili, senza mai deludere le mie aspettative. La materia vegetale poi la trasformo in piatti dai mille colori e sapori condita con il nostro olio extravergine d’oliva varietà Coroncina, si perchè la Coroncina è una varietà di oliva tipica di 5 Comuni limitrofi: dal sapore inconfondibile di carciofo e cicoria, piccante in quanto ricchissima di polifenoli. La frutta mi fa preparare delle buone confetture che accompagnano la colazione di chi decide di fermarsi a dormire in una delle nostre 3 camere matrimoniali, ognuna con un suo stile: dalla romantica Leprotto, alla Cerbiatto dai colori tenui e naturali per poi passare alla Poiana ovvero la stanza mansardata da dove si possono scorgere le colline marchigiane. Al buon e sano cibo veg si accompagna anche il relax fisico e psichico, all’interno della struttura il piccolo e intimo centro benessere è ad uso esclusivo di chi prenota : Voi e Carlo (la mia dolce metà e massiofisioterapista). Un concentrato di coccole: dalla sauna a raggi infrarossi, la termo sauna con i bagni di fieno del Trentino, idromassaggio e tanti massaggi su tutto il corpo.... Melania Moschini DOVE SIAMO L’ Agriturismo Coroncina è situato in Contrada Fossa, nel comune di Belforte del Chienti – in provincia di Macerata. Le nostre coordinate: tel 3669238075 - info@agriturismocoroncina.it - www.agriturismocoroncina.com. Ci raggiungete uscendo dalla Superstrada SS77 a Caldarola o a Belforte del Chienti. Le coordinate per il navigatore, ricordate sempre che siamo in piena campagna, sono: E 13.23622° - N 43.14809°.

Agriturismo Coroncina - C.da Fossa 1 - 62020 Belforte del Chienti (MC) - mob.3669238075 http://www.agriturismocoroncina.it/ - fb: Agriturismo Coroncina vegetariano vegano 20


percentuali di nutrienti nelle ta belle dei tenori analitici parten do soia e pochi g ra da semi, proteine isolate di ss essere i semi di i selezionati (che potrebbero lino), o di cont ro tamente gli ing redienti di cibo llare at teng ià miscelato prima di ef fettu ar q uello più natu e l’acq uisto, scegliendo rale e consono a mantenere in salute i volatili. Le tartarug he sono di du e tipi: vegetari ne ed onnivore a. Il tipo vegetari ano dovrebbe seg dieta composta per il 90% da ve uire una (lattuga, radicc hio, trifoglio, in getali in foglia sala il 10% da frut ta . La base dell’al ta ecc) e per imentazione per le tartarug he comunq ue com onnivore dovrebbe essere posta dalla stes sa dieta del tipo vegetarian o, addizionata per un 15% di proteine. Queste posson o derivare da pi cc lombrichi, larve della farina ma oli in setti, mang ime secc an o per cani (q ue che da llo per gatti no va bene perché n ad tartaruga non ne dizionato di taurina, di cui la cessita perché riesce tranq uillamente a sintet iz per q uesta scel zarla da sé) q uindi, optando ta to a frut ta e ve si può somministrare, accanrdura, una picc ola q crocchet te vege tali di cui si è pa uantità di rlato prima.

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ALLEVAMENTI

Manzi, vitelloni e vitelli / stefano momentè

La produzione delle carni bovine in Italia rappresenta un settore rilevante dell’agroalimentare. Nel 2007 sono state consumate nel nostro Paese 1.470.000 tonnellate di carne e ne sono state esportate 138.000 tonnellate. Indicativamente il 74 % delle carni proveniente da bovini macellati nel Paese è costituito da vitelloni, il 13 % da vitelli di razze da latte, il 12 % di vacche da latte a fine carriera. Milioni di animali. Già da questi pochi dati si riesce a inquadrare la situazione. I vitelli di razze da latte, ad esempio, sono i figli di quelle vacche da latte fatti nascere ogni anno per mantenere la produzione di latte ai massimi livelli. La loro carne bianca, così ricercata, si ottiene perché, tolti subito alle madri, non assumono il colostro, il primo latte, ricco di anticorpi. Vengono fatti ingrassare con dei beveroni a base di acqua e latte in polvere, con dosi minime di ferro, quel tanto che basta per stare in piedi ma non per prendere colore. E le loro madri, quando non sono più produttive, vengono uccise a loro volta. I bovini da carne hanno un’aspettativa di vita di 1 o 2 anni, rispetto ai 25 potenziali. La loro morte avviene per dissanguamento, dopo essere stati storditi . Sono quindi ancora vivi. Ma spesso accade che siano anche coscienti.

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ETICA ALIMENTAZIONE SALUTE

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ALIMENTARSI


C’e' CHI PROPONE CAVALLETTE E MEDUSE, IO VOTO PER I FAGIOLI! / MICHELA KUAN

Sempre più spesso si parla dell’aumento incontrollabile del consumo di carne, recenti articoli mostrano come nel 2030 si mangeranno, all’anno, 82 milioni di tonnellate di pollo, 39 di carne di bovino e 56 di insaccati. Numeri impressionanti che la nostra terra (tralasciando considerazioni di tipo etico e salutistico) non sarà in grado di sostenere. Fiumi inariditi, aria carica di CO2, terre sterili e mari deserti sono solo alcuni aspetti conseguenti a questo abuso di carne; un atteggiamento alimentare che fino a 30anni fa non esisteva, ma che ora sta iniziando a presentare il conto. Le soluzioni proposte sono incredibili: allevare insetti, creare hamburger in vitro o ingurgitare poltiglie a base di meduse; la mia domanda è: ma non sarebbe più semplice mangiare fagioli, semi e cereali che già fanno parte delle nostre abitudini? Forse un giorno si riuscirà ad essere così vicini al concetto di civiltà da non cibarsi più di esseri senzienti, ma al momento si dovrebbe, almeno, pretendere di ridurre questo smisurato abuso di carne. Ai tempi delle nostre nonne si festeggiava un giorno speciale con un piatto unico, ma adesso grazie a imponenti campagne pubblicitarie e subdoli condizionamenti culturali si mangiano parti di animali anche 4-5 volte al giorno: un

toast al mattino, un pasta al ragù a pranzo, salame all’aperitivo, una bistecca per cena e ed è presto fatto! Allora perché impazzire con involtini di cavallette o carne artificiale quando abbiamo una lunga tradizione di piatti a base di fagioli, ceci, lenticchie, fave, grano, orzo, farro, noci, mandorle e pistacchi??!? Per una portata gustosa e ricca non serve cucinare 4 ore un quarto di maiale, basta avere un po’ di fantasia. Oggi vi propongo un bel polpettone di lenticchie con cipolline glassate: Ingredienti: 2 zucchine, un porro, 200gr lenticchie rosse, 60g di noci finemente sminuzzate, 1 patata, timo, olio extravergine, sale, cipolline e aceto balsamico. Preparazione: Immergete le lenticchie rosse in acqua per un’ora. Lavate e grattugiate in una ciotola la patate, le zucchine, tagliate a pezzettini piccoli il porro e rosolate velocemente in padella; quindi aggiungete le lenticchie rosse sgocciolate, le noci, qualche fogliolina di timo tritato, sale e pepe, amalgamate per bene il composto e formate il polpettone. Adagiatelo in una pirofila da forno e aggiungete le cipolline intere, condite con un filo d’olio e una spruzzata di aceto balsamico. Cuocete a 180° per 40’.

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animali ABBIGLIAMENTO

circhi, zoo, e acquari / stefano momentè

Dietro una facciata apparentemente gioiosa si nasconde una realtà ben diversa. Circhi, zoo e acquari sono tutti sinonimi di prigione, luoghi di sofferenza nei quali gli animali sono sottoposti a continua violenza fisica, psicologica e condannati alla prigionia a vita. Gli animali che ci vivono sono costretti in uno spazio minuscolo, rispetto a quello che avrebbero a disposizione se liberi. Nei circhi trascorrono la maggior parte del tempo legati a catene o in piccole gabbie nelle quali possono appena muoversi. Lo stesso avviene per gli altri luoghi di prigionia animale, come zoo e acquari. Gli animali del circo non hanno mai la possibilità di abituarsi ad un certo ambiente perché costantemente sottomessi a spostamenti. Sono spesso privati del contatto coi loro simili, o viceversa, alcuni individui solitari sono costretti a vivere numerosi in una sola gabbia. Queste sofferenze permanenti generano spesso dei comportamenti stereotipati, come per esempio il far dondolare la testa o il correre in cerchio nella gabbia. I circhi moderni dichiarano di utilizzare dei metodi d’addestramento sensibili. Che sia vero o meno, tutti gli animali da circo sono costretti a compiere dei numeri che vanno contro il loro comportamento naturale. Anche quando uno spettacolo vuole mostrare l’armonia fra il domatore e gli animali, ogni numero si costruisce sulla base di un’esperienza dolorosa e di dominazione, che avviene sempre dietro le quinte. Meglio portare i nostri figli in quei circhi che da tempo hanno scelto di non usare animali e attraggono invece gli spettatori grazie al talento dei propri artisti, come, ad esempio, il Cirque du Soleil.

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decrescita

intelligenza, sensibilita', valore aggiunto / stefanIA ROSSINI

La decrescita per me è vita, l’unica che potrei avere, sperare e creare nel mio quotidiano. Quattro anni di decrescita hanno confermato che questo modus vivendi è parte del mio dna. Ho riscoperto ancora prima di conoscerla come parola, come movimento, una nuova realtà di vita. La mia vita è decrescente per scelta, una scelta che per istinto all’inizio e conoscenza in seguito ha fatto sì che la vita mi portasse al ben-ESSERE e non al benessere derivante dal Dio Denaro. Dare la giusta collocazione al denaro è stato fondamentale: per noi infatti è un mezzo per acquistare oggetti e servizi che da soli non possiamo ancora autoprodurci, cercando però di lavorare per utilizzarlo e sprecarlo sempre di meno, utilizzandolo invece come risorsa per investire in progetti etici e sani. Descrescita non significa limitarsi perchè non si ha cibo, ma scegliere di mangiare di meno e in modo più sano, scalando la marcia del consumismo, cercando di utilizzare conoscenze e capacità personali per autoprodurre. Chi fà decrescita non è uno sprovveduto o un fanatico, ma una persona consapevolmente informata che ha deciso di assumere la responsabilità dei propri gesti, delle proprie abitudini, delle proprie scelte e soprattutto della propria vita, delegando sempre meno agli altri. Per me descrescita è intelligenza, è sensibilità, è valore aggiunto.

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opera di Paola Pivi

L’autoproduzione va ben aldilà del mero denaro risparmiato: autoproduzione significa riappropriarci del nostro sapere, del nostro tempo, delle nostre capacità e del nostro pensare. Vuol dire inquinare meno, capire cosa acquistare e dove acquistarlo. Andare oltre l’ovvio. Come nella coibentazione delle case. In troppi infatti ancora non capiscono quanto questa gioverebbe la salute delle persone e quanto ne gioverebbe anche l’ambiente. Bisogna agire localmente pensando globalmente. Dobbiamo renderci conto che un gesto che può sembrare all’apparenza banale può avere una risonanza molto ampia. Il consumo di carne ad esempio và ben aldilà del valore etico legato alla sofferenza animale. Il consumo di carne ha un’eco che arriva fino all’altra parte del mondo. L’esproprio dei terreni, il consumo dell’acqua, rendono questi territori e i popoli che li abitano ancora più poveri. Altro che campagne di raccolte fondi per il terzo mondo, basterebbe una maggiore consapevolezza . Un gesto anche molto piccolo può essere fondamentale, il mondo non ha bisogno della nostra opinione ma del nostro esempio. Dobbiamo essere un esempio, cosi da cambiare davvero le cose dal basso. Dobbiamo credere in noi stessi , dobbiamo informarci, dobbiamo essere critici , dobbiamo essere liberi, solo cosi potremo essere felicemente decrescenti!



etica

ANTISPECISMO e ZOOANTROPOLOGIA (ovvero, tra il dire e il fare c’e' di mezzo… l’uomo) / FABIANA ROMANO

Hubert Montagner, direttore del Laboratorio di Psicofisica della Facoltà della Scienza e della Tecnica dell’Università di Besançon, tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, sviluppa studi comparati di etologia, psicologia animale, antropologia, di scienze cognitive e scienze della formazione volti a chiarire le ragioni e le pulsioni che spingono l’uomo verso (o contro) l’animale che assume per questo carattere seduttivo (o di evitamento fino alla negazione) ed a spiegare il valore referenziale dell’alterità animale nei confronti dell’uomo. Pubblica nel 1989 Il bambino, l’animale e la scuola, dove introduce per la prima volta il neologismo di Zooantropologia. L’animale è al centro e il bambino con difficoltà di apprendimento, di comunicazione o che presenta disturbi di vario genere, viene sostenuto e aiutato nello sviluppo di autostima, nell’equilibrio degli stati emozionali, nell’arricchimento del lessico comunicativo, grazie ad esperienze guidate di interazione con l’animale. In Italia, negli anni in cui la tecnologia, gli status symbol, la moda, l’apparenza, la crisi politica e dell’editoria sembrano soffocare chi coltiva valori etici, un giovane veterinario, Roberto Marchesini, interessato alla questione animale, studioso di filosofia (è stato presidente del Comitato difesa degli animali d’allevamento e vicepresidente nazionale dell’Associazione Vegetariana Italiana), inizia a diffondere la Zooantropologia con interventi accademici, articoli e successivamente con testi che vanno dalla filosofia alla bioetica, dalle scienze cognitive alla

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narrativa, dalPostHuman all’etologia cognitiva. Questa nuova teoria parla di biodiversità e biocentrismo, intende superare l’antropocentrismo e l’antropomorfismo e viene accolta da chi risulta essere sensibile e addolorato dalla condizione in cui (non) vivono gli animali. La Dichiarazione Universale dei Diritti degli Animali presentata all’UNESCO il 15 ottobre 1978, ammettendo l’allevamento e lo sfruttamento di esseri senzienti, discriminati e asserviti all’uomo ai fini della ricerca e dell’alimentazione, ha fallito e si sente il bisogno di trovare nuove speranze alla risoluzione della questione Animale. Col tentativo di dare corpo ad una nuova dichiarazione, viene redatta, nel Settembre 1999, la Carta 2000 (*) della Lega Italiana dei Diritti dell’Animale cherivendica la parità del diritto alla vita di tutte le specie animali: “Noi, animali umani, ritenendo che la nostra specie non sia al centro dell’universo, né tantomenoproprietaria del mondo, in nome della giustizia interspecifica, approviamo il seguente Documento”: sette articoli, redatti dal Movimento Antispecista a firma di numerosi scienziati, attivisti, filosofi, personaggi dello spettacolo, attori, giornalisti, tra cui compaiono i nomi di Margherita Hack, Lea Massari, Licia Colò, Walter Caporale (PETA), Giovanni Peroncini (L.I.D.A.), Marco Francone (LAV), Fabrizia Pratesi (Comitato Scientifico Antivivisezione), Franco Manco (Movimento dell’Amore Universale). La Zooantropologia riprende e si nutre anche dei già affermati principi etici

relativi al comportamento antispecista di Richard D. Ryder (Victims of Science, 1975), Peter Singer (Liberazione animale, 1975), Tom Regan (I diritti animali, 1990), Roberto Marchesini (Oltre il Muro: la Vera Storia di Mucca Pazza, nel 1996), Mark Bekoff (Dalla parte degli animali. Etologia della mente e del cuore, nel 2003), Annamaria Manzoni (Noi abbiamo un sogno. Rif lessioni ed emozioni nel rispetto degli animali, 2006), Leonardo Caffo (Soltanto per loro. Un manifesto per l’animalità attraverso la politica e la filosofia, 2011), solo per citarne alcuni. E suggerisce anche differenti scelte di vita strettamente legata all’Antispecismo, il veganismo. La scelta vegana è l’effetto della trasformazione interiore che vince lo specismo e ne può essere anche la causa. UN CAMBIO DI VISIONE CHE PARTE DALL’ESSERE UMANO Leonardo Caffo, in un articolo su HUFFPOST blog, del 27gennaio c.a. scrive: “Qual è il problema? Che si scambiano ancora una volta i mezzi con i fini: l’alimentazione vegana è conseguenza di una più ampia filosofia che, per altro, non è primariamente connessa ai diritti animali quanto, piuttosto, a un radicale cambio di visione dell’alterità e della differenza. Se si apre il proprio mondo all’altro, infatti, allora tutta la vita, nelle sue infinite forme (dunque anche animale) va rispettata e compresa”. È questa l’evoluzione da attuare, quella interiore, da applicare in ogni campo, in ogni aspetto della vita, in ogni sentimento, in ogni interrelazione con


Hubert Montagner

tutti gli animali, umani e non. Così, ristabilendo un ordine in se stessi, lo si ristabilisce all’esterno, nel mondo. Rappresenta un approccio totalmente innovativo all’interno della corrente che da una decina d’anni si è soliti definire come Animal Studies per una ragione molto semplice: parte dal presupposto che uomini e animali non umani non siano estranei gli uni agli altri. È un’antropologia delle relazioni, dialogo ergo sum, che non sminuisce l’essere umano ma che sottolinea che non basta una ricognizione su Homo sapiens per comprendere l’infinita varietà predicativa di ogni singolarità umana. È evidente che questo ci deve portare a rivedere le nostre relazioni con le alterità non umane, valorizzando la loro presenza, intesa come espressione della loro soggettività, relazionale, ma non per potenziare l’essere umano quanto per rimarcare e promuovere quella vulnerabilità e quella instabilità che ci fa traghettare da un’ontologia dell’identità a un’ontologia delle relazioni. È chiaro agli occhi di molti che siamo in un epoca di esasperazione della questione animale che aspetta e dipende dalla presa di coscienza del singolo e, di conseguenza, della società ma anche dal coraggio di essere coerenti e integri. Siamo anche ai limiti di un disastro eco-ambientale che, in gran parte, dipende dagli allevamenti intensivi: nel rapporto tra uomo e ambiente si evidenziano effetti dell’antropocentrismo e dello specismo. Dichiararsi vegan, ambientalisti, sensibili alla condizione animale, attivisti e

combattenti nel difendere i diritti di una o più specie è una responsabilità da assumersi con serietà se si intende percorrere la via dell’Antispecismo che è il rispetto dell’alterità nella sua essenza. Ma se ci si dichiara tali è perché si ha preso coscienza della complessità dello sfruttamento che non si limita agli animali ma va oltre. Se s’intende modificarla e, si può, bisogna cambiarne i paradigmi partendo dalla nostra abitudine a vedere una realtà che va,quindi, destrutturata, decentrata e ricentrata con nuovi equilibri in divenire. Troppi sedicenti portabandiera di rivoluzioni, toccati nelle scelte alimentari o nellacapacità di rispettare anche chi non piace o addirittura uccide e mangia carne omaltratta un animale, cede ad ingiurie, critiche se non ad altre forme di violenza, danneggiando la stessa causa che sostengono. Questo non significa accettare ma è voler cambiare uno status quo partendo dalle basi, cambiando il terreno. Peresempio (e lo abbiamo scritto nel n° 0 di ESSERE), laddove c’è ancora unalegislazione che accetta di considerare gli animali oggetti e da reddito, per quantosi lotti, si faranno piccoli passi. Se possiamo, immaginiamo l’Antispecismo comeun terreno fertile, ricco di humus, dove cresce un grande albero che oseremmo chiamare Zooantropologia: nella sua accezione teorica, accoglie, ai fini di unostudio interdisciplinare, l’Antropologia, la Zoologia, l’Etologia, la Psicologia, laMedicina umana e Veterinaria ed è complementare alla

Etnobotanica: tuttescienze, che nel nostro esempio dell’albero potrebbero rappresentare le radici chenutrono la comprensione di un sistema alterato dall’intervento confuso dell’uomo. I Rami saranno i campi di applicazione della Zooantropologia che se non in lineacoerente con l’Antispecismo da cui preleva i nutrienti, non solo non daranno foglie,fiori e frutti ma, seccando, potranno rovinare lo stesso albero. Leonardo Caffo in una recente intervista su Re Nudo / 27, lo spiega chiaramente:“(…) spetta a noi, per una volta, fare qualcosa che sia solo e soltanto per glianimali, al di là dei nostri interessi, ribellandoci per loro e dopo, ovviamente, insieme a loro. Questa è la fine dell’antropocentrismo in cui, purtroppo, molti animalisti vivono ancora immersi pensando di averlo superato. (…) Non è in questione l’amore: non si possono amare tutti gli animali, come non si possono amare tutti gli uomini. (…) Uno sguardo sul mondo che fa della diversità un valore: posso non amarti o capirti, ma non posso fare a meno di rispettarti.”. Chiaro, vero? Il “sentimento” Antispecista è la prima sfida da vincere in noi stessi, indipendentemente dalla professione che si è scelti, a maggior ragione per chi si occupa dei cani e di altre specie animali, affinché sui rami nascano gemme per frutti futuri. La Zooantropologia è la risposta. Per una teoria, che nasce Antispecista nella sua idea originaria, la sua applicazione alla realtà non sempre risulta tale. Soprattutto se parliamo anche in

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antispecismo

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termini di credibilità e coerenza da parte di coloro che la seguono e la fanno diventare l’approccio al proprio lavoro. La Zooantropologia è l’antropologia delle relazioni con specie non umane: “(…) Il ruolo attivo dell’animale trasforma l’incontro-confronto in un processo biunivoco, dotato di intersoggettività, realizzato attraverso una partecipazione piena (valorizzata nei suoi caratteri) dell’interlocutore non-umano”. (R. Marchesini, Manifesto teorico della Zooantropologia). Non dimentichiamo che uno dei cardini dell’Antispecismo è rendere consapevole l’umano della propria animalità e amarla senza arrivare a gestirla o dominarla così da non aver bisogno di soggiogare nessun altro animale. Ed è anche la possibilità di rimediare da parte dell’Uomo agli errori devastanti che hanno corrotto e confuso la visione di un mondo invaso e abusato che impoverisce e sacrifica sia l’animale sia l’umano nel loro incontro. Pensiamo ad un macellaio, come a chiunque faccia un lavoro nel quale colui che ha di fronte non è più un essere senziente ma di fatto un oggetto nelle sue mani. In quel momento, due vite, il carnefice e la vittima, si incontrano. Il carnefice non può pensare, sentire, percepire il dolore, la sofferenza di ciò che di fatto sarà il suo cibo, quello dei suoi figli, che produrrà la possibilità di pagare le tasse, il mutuo, che rappresenta il suo diritto alla felicità che non è con lui, in quel momento, ma è fuori dal macello, è nella sua casa, nel suo tempo libero. Ora, invece, è lì: ha tra le mani un animale che grida, si ribella che cerca di far leva sull’animalità comune, sulla comunanza di Regno, quello Animale di cui facciamo parte tutti ma che lui, il carnefice, non può ascoltare, non deve e, giorno dopo giorno, non la perde, ma la controlla, la comprime, fino a negarla. Ed ecco che le grida, il divincolarsi di un essere che lotta per vivere (anche se la sua vita è stata in una condizione pietosa) sono il richiamo di un’animalità umana che vuole uscire ma non può, per tutte le illusioni vincolanti di un Uomo che al pari della sua vittima non vuole altra possibilità. Prigionieri ambedue di un sistema malato, distorto, condizionato. Due complici, due non-vite allo specchio: è più l’animalità umana vorrebbe sfuggire alla repressione inf litta, più violenta è la reazione alla sofferenza animale di voler scappare al suo destino senza appello. L’anestesia dei sentimenti è così prolungata da non riuscire ad identificare il bene in chi

inf ligge sofferenza. Ingiuriare, accusare serve agli animali? O aumenta la cattiveria su di loro? La stessa storia può essere applicata in un laboratorio, in un campo di addestramento, in un delfinario, nella baia di Cove, in un allevamento. E se il punto fosse tutto qui, l’affrontare il proprio essere animale? Liberare gli animali dalla sofferenza è trasformare radicalmente il nostro modo di pensare, percepire noi stessi, la nostra umanità e la nostra animalità unita. Jeremy Rif kin in Ecocidio scrive: “La Natura non è più un nemico da sottomettere e domare ma una comunità primordiale di cui facciamo parte. Le altre creature non sono oggetti o vittime ma compagni partecipi di quella grande comunità della vita che costituisce la natura e la biosfera”. Questo è il risultato della vittoria dell’empatia e della compassione (intesa come togliere sofferenza e dare gioia). C’è tanta strada da fare, molta si sta percorrendo. Recentemente sono sorti alcuni santuari e diverse fattorie che riscattano animali destinati al macello o maltrattati, come capre, vitelli, asini, galline, oche, conigli, cavalli che con gatti e cani sono attori di incontri zooantropologici, mediati da operatori qualificati (www.animaliliberi.org/site/). La didattica si fonde con la pedagogia, dando vita a laboratori esperenziali dove i bambini coinvolti (ma anche gli adulti) osservano il comportamento animale, ed entrano in osmosi emozionale con l’alterità, imparando il modo corretto di avvicinarsi, di rispettare le diversità di specie, di razza (cane) e individuali. Questi laboratori oltre ad essere di grande valore educativo, costituiscono un arricchimento gioioso del programma “scolastico”, del doposcuola e dei fine settimana, diventando la possibilità di trasferire la cultura antispecista alle nuove generazioni. Anche l’animale ne beneficia, in quanto rispettato e non utilizzato per dare spettacolo o attrarre turisti. La “contaminazione” Uomo/Anima-li esiste e nella visione Zooantropologica Antispecista va corretta con competenza e senza improvvisazioni. Quindi, non si tratta di escludere dalla vita sociale e comunitaria dell’uomo il cane, il gatto, il cavallo, i suini, i bovini, le capre, le pecore, le galline ma di rivederne i paradigmi di relazione verso il nonutilizzo, a favore di una convivenza etologicamente corretta nel rispetto della biodiversità. Appare chiaro che se si parla di predatori, animali marini e animali selvatici, oggi costretti in zoo, circhi e parchi acquatici,

il preservare il loro benessere significa anche reinserirli nei rispettivi habitat naturali. Rimettendo in ordine le cose, quasi sicuramente non occorrerebbero tutte le operazioni venatorie volte beneficamente a ridurre le popolazioni di animali in eccesso: ci penserebbe di nuovo la Natura senza che l’uomo si disturbi, guadagnandone in tempo libero da poter passare gioiosamente in famiglia, tra amici o, perché no? nelle fattorie didattiche. Interessante è il risveglio di un allevatore che, diventato vegetariano, ha convertito il suo allevamento in Cow Poo. È il letame (non l’animale) ad essere usato come concime per la produzione agricola. Il progetto è la Farm Serenity Cow di Fabrizio Bonetto, in Piemonte. DALLA TEORIA VERSO LA PRATICA: CAPIRE IL CANE O PERCEPIRLO? CHIEDERE O ASCOLTARE? La grande opportunità offerta dalla Zooantropologia a chi si occupa degli animali è di crescere interiormente non in funzione della relazione con l’animale (che ricorda un vago antropocentrismo) ma indipendentemente dal rapporto, proprio per poter percepire tutte le sfumature del mondo dell’altro, senza proiezioni di se stessi, senza specchiarvici. Le molteplici dimensioni di relazione sul piano cognitivo, emozionale e sociale sono circoscritte a comandi, segnali, stimoli e risposte per ottenere un risultato immediato e veloce. Non c’è diminutio ma valorizzazione di ogni attore, non per arricchire la conoscenza del Sé umano o potenziarne l’ego e l’autoefficacia ma per veicolare gli stessi dall’identità dell’essere, all’essere in relazione. Affinché ciò avvenga, non sarebbe auspicabile abbandonare quegli aspetti (credenze, convinzioni, mappe e box mentali, ecc…) che portano l’uomo al massimo controllo di sé? (quasi per garantirsi certezze, annullando l’imponderabile). Lasciare uno spazio aperto, all’inaspettato, libera le modalità espressive e immaginative. Se questo accade tra esseri umani perché non mettere in condizione di esprimersi anche tutti i soggetti non umani, permettendo loro di manifestarsi spontaneamente senza comandi? In questo modo unico e differenziato di incontrarsi, si verifica quell’epifania che si apre all’empatia e all’etica condivisa e al rispetto dell’alterità. La f luidità dell’esperienza condivisa permette l’espansione delle comples-

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etica

se dinamiche che saranno trasferite da un soggetto all’altro, offrendo la possibilità e il tempo di percepirle, assimilarle in se stessi e farle fiorire in altre esperienze. L’incontro zooantropologico inizia con una conoscenza di sé e dell’altro reciproca e continua con la creazione di un “noi”, punto di partenza fondamentale per creare altre avventure che arricchiscono i soggetti e la relazione. Affinché ciò avvenga è necessario conoscere l’etogramma della specie con cui ci si rapporta. Prendiamo ad esempio il Cane. A volte accade che il semplice proprietario non solo ignori la filogenesi ma anche l’ontogenesi del suo amico. Si fida di ciò che ha sentito dire, si affida ad abitudini (“ho sempre avuto cani, li conosco”) e senza accorgersene forza comportamenti o trascina il suo compagno a fare attività che creano problemi. In questo caso, si verifica la proiezione umana sull’animale, a volte fin dal momento in cui si sceglie quella razza. Invece, in Zooantropologia si guarda l’altro in assenza di giudizio, con osservazione etologica senza dedurre, senza proiettare, senza parlare in nome di un altro individuo. Va da sé che se il cane non viene compreso ma solo usato come catalizzatore, dalle coccole alle attività, può andare in derive comportamentali, spesso anche autolesionistiche (esempio: cani che si leccano fino a scorticarsi) e a danneggiarsi sarà anche la relazione con la famiglia. L’animale, sia esso cane, gatto o altro, non è il rifugio per le incomprensioni tra umani. Non si può affidare al cane un ruolo che non gli compete, in quanto animale e non si possono rigettare, sul quel individuo, le proprie difficoltà di relazione. Invece, il vivere con il cane rappresenta una della tante opportunità che ha l’essere umano di mettersi in gioco, per accogliere le parti di sé che lo allontanano dalla sua anima e modificare anche il suo stile di vita, per far felice il compagno animale. Evidenti, non ancora per tutti, sono i casi di sfruttamento consentiti nei laboratori, circhi, delfinari, per trasporto, nella caccia e pesca, negli allevamenti per l’alimentazione e l’abbigliamento. Più sottili e meno identificabili lo sono quando ci si riferisce agli animali domestici come i cani. Purtroppo ancora oggi quan-

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do si parla di diritti animali e del loro rispetto come soggetti senzienti, cognitivi, ricchi di una vita emozionale, affettiva e una percezione fisica che, se non rispettata, inf luisce negativamente sul loro stato interiore, sulla relazione eterospecifica (con altre specie diverse dalla sua) e intraspecifica (con individui appartenenti alla stessa specie), ci si sente rispondere: “Sono solo animali, non sono persone”. Uno dei punti da ripetere è che il modo addestrativo e performativo, inquadra la relazione del cane in base all’utilizzo e al beneficio che ne può trarre l’essere umano e che, esercitarlo o allenarlo in base a condizionamenti di stimolo e risposta che riportano al behaviorismo, mortificano la cognizione propria di ogni individuo. Anche l’uso di strumenti dal collare al guinzaglio, dai giochi di problem solving al clicker, se usati in un metodo educativo (o riabilitativo) generico e rigido, senza tener conto delle individualità ma solo della specie, possono intervenire negativamente sul cane inibendo e inscatolando l’apprendimento, la comunicazione con il compagno umano e l’intero sistema di riferimento. I metodi, le attività, le cose da fare sono mezzi da calibrare, da non schematizzare ma adattare alle specificità e magari da non usare. La meta è il rispetto specie specifico del Cane, di quel Cane, che vive una sua identità anche in un sistema: il difficile è sempre creare il Noi Condiviso che non snaturi nessuno. Ricorrere al clicker, ad esempio, può essere utile a sbloccare una situazione di fissità o di deriva, a decentrare per poi lavorare sul sistema interiore di quel cane e piano piano, nel tempo, far sì che lo stesso cane crei in sé una condizione di resilienza che lo riporti al suo essere Cane. Pensiamo ai bambini con tanti giocattoli a disposizione e immaginiamoli invece con una piccola sedia impagliata: questa può trasformarsi in palco, in cucina, in qualsiasi cosa perché la semplicità accende la fantasia del gioco. Per un cane, dotato di un patrimonio olfattivo accentuato, scoprire il mondo che lo circonda, esplorando oggetti in quanto tali, seguendo piste, equivale a ciò che per un bambino rappresenta la fantasia, significa realizzare i propri bisogni

e desideri o vocazioni. E come con i figli che li si “obbliga al fare”, dallo sport alle arti, anche con i cani, spesso li si porta a fare di tutto e di più: dagli sport agonistici come Obedience, Rally O, Agility, Mobility, Attacco e Difesa ai numerosi Laboratori di propriocezione, clicker, giochi d’olfatto, ecc… Un figlio ad un certo punto si ribella ma il cane no, sembra che gli piaccia tutto ciò che gli propone il proprietario e questa naturale benevolenza che il cane comunica, magari in cambio di premietti e leccornie, gratifica l’umano al punto di ridurre il tempo passato col proprio amico in funzione della frequentazione del campo dove si fanno tante cose e, magari, anche allenandolo a casa. Mantenendo il cane sotto richiesta, senza offrire varietà, prima o poi se ne pagano le conseguenze, in termini di relazione e di benessere inteso come qualità e valore del vivere. Si torna ancora al punto: gli animali che per tradizione sono più vicini all’Uomo sono e sono stati anche defraudati nel loro essere: oggettivizzati, schiavizzati, super amati, legati a catena e per fortuna in molti casi, pochi ancora, rispettati. La Zooantropologia è un incontro tra due specie diverse ma uguali nel loro essere Animali, che permette all’uomo di ritrovarsi e all’animale di poter esprimere se stesso: ambedue separati o insieme recupereranno i reciproci Sé, in una dimensione che richiede l’espandersi del tempo necessario per creare un legame affiliativo. Non si avrà bisogno, evidentemente, di comandi, richieste e forzature ma si baserà su ascolto, percezione, esplorazione olfattiva e comunicazione. LA FORMAZIONE Applicare una teoria così ricca e complessa a percorsi per formare consulenti che saranno chiamati ad analizzare, sostenere e accompagnare un sistema famiglia e un cane a incontrarsi, comprendersi, vivere bene e soddisfatti la loro relazione, secondo i principi antispecisti, richiede elasticità, f lessibilità, preparazione, empatia e chiarezza. Tutte “qualità” che nel nostro esempio dell’albero potrebbero essere i concimi (naturale, organico e dal compostaggio) non


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etica

inquinanti per il terreno fertile dell’Antispecismo. La formazione deve essere, quindi, adeguata e multidisciplinare, in continuo aggiornamento e non può essere emozionale e eccessiva (v. articolo Cinofilia, Specismo e Antropocentrismo, paragrafo ‘Conclusioni’, n° 0 di ESSERE) e nemmeno compulsiva: come in agricoltura biodinamica, c’è bisogno di “periodi di riposo” per rispettare il Tempo e il succedersi delle Stagioni, per permettere al terreno di rigenerarsi e rimanere fertile. Come mai, allora, nei percorsi formativi si insegnano la gestione delle risorse, i metodi di condizionamento operante, i rinforzi e i premi (positivi, negativi) per “gestire” e “controllare? Le scuole di formazione serie ad indirizzo zooantropologico, devono offrire una cultura di tipo generale che fa parte dell’acquisizione delle competenze. Si studiano i principi di pedagogia cinofila, neuroscienze, etologia, alimentazione. Si fa riferimento a tutte le possibili ricerche effettuate a confermare scientificamente ciò che ogni proprietario o meglio, compagno umano, intuisce e sa del proprio amico: la capacità di comprendere il linguaggio umano, di elaborare pensieri, di provare emozioni, di affrontare e risolvere in completa autonomia problemi. Quindi si osserva il linguaggio del cane, i suoi bisogni, il modo in cui apprende, perché si comporta in un certo modo, quali emozioni prova, il modo di relazionarsi a se stesso e all’ambiente, come comunica con i suoi conspecifici e con altre specie ecc..., insomma si studia il cane e lo si ascolta, nella totalità del suo essere e come interagisce con gli umani e con il sistema in cui è inserito. Si presenta, a chi frequenta questo percorso di studi, il maggior numero di informazioni e spunti di rif lessione come i metodi da poter applicare e la capacità di usarli nel modo corretto. Poi sarà responsabilità del singolo approfondire, specializzarsi ma soprattutto sviluppare crescente consapevolezza, innanzitutto verso se stessi per migliorare la relazione con l’animale e saper scegliere come mettere in pratica la propria conoscenza caso per caso senza applicazione di protocolli. Scoprire il talento nascosto del cane è spesso compito dell’educatore o

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consulente di relazione. Allora, dove e cosa si studia? L’offerta in materia è vasta. Occorre saper scegliere per frequentare corsi che siano accreditati e con riferimenti competenti. Ogni scuola ha una sua caratteristica nella formazione: c’è chi offre laboratori esperenziali di comunicazione empatica e linguistica, applicando i concetti della PNL e delle scienze cognitive, il tutto per creare osmosi e empatia nel binomio uomo/cane, puntando anche alla rivisitazione di alcuni sport cinofili, dal punto di vista cognitivo-zooantropologico (ThinkDog). Chi vede nell’approccio integrato la chiave per far leva sui punti di forza del sistema famiglia che accoglie uno o più cani, per risolvere problemi comportamentali ed educativi che creano disagio alle parti e prevede la formazione di consulenti in educazione e in riabilitazione atta a sviluppare non solo competenze per l’educazione del cane ma anche abilità di agevolazione alla persona attraverso un percorso di crescita personale e professionale (Scuola CReA). C’è chi offre una base teorica di sostegno puntando alla formazione di operatori di Zooantropologia didattica, consulenziale (educatori e istruttori) e assistenziale, come la formazione di referenti che possano operare in pet-therapy con cani, cavalli e asini (SIUA). L’Università di Medicina Veterinaria organizza Master professionali nelle sue diverse Scuole (Pisa, Parma e Padova) con veterinari comportamentalisti e Istruttori Cinofili. Inoltre, molti professionisti svolgono anche seminari su singoli argomenti: la dott.ssa Barbara Gallicchio, la dott. ssa Elena Garoni, Michele Minunno, Claudia Fugazza, Simone Della Valle, Anne Bigi, Luca Scanavacca, Ivano Vitalini, David Morettini, Attilio Miconi e tanti altri. C’è chi sviluppa il percorso trasversale dell’Etologia: la Scuola di Etologia Relazionale della Dott.ssa Myriam Jael Riboldi, con la formazione di Operatori di Benessere Animale, amplia lo studio a più animali, con “l’etologia classica, la zoologia, la paleontologia, l’antrozoologia, le basi della biologia. Al contempo è essenziale sviluppare una profonda consapevolezza delle componenti energetiche ed empati-

che oltre che l’abilità di non porsi in modo pregiudizievole di fronte alle circostanze e di contestualizzare ogni evento relazionale tra specie diverse nel qui e ora”. E la Scuola di Etologia Learning Animals di Francesco De Giorgio e Josè De Giorgio Shoorl. I coniugi De Giorgio, dall’Olanda, stanno dando vita ad un fermento cognitivo, inizialmente diretto al Cavallo (Learning Horse), successivamente al Cane e agli Animali-Umani, con tre percorsi volti ad offrire una visione della Zooantropologia applicata diversa da quella affrontata dalle altre scuole. La formazione in Learning Dog è da affrontare sicuramente con una base di conoscenza alle spalle ed è certamente la “ciliegina sulla torta”, per ampliare la conoscenza personale di chi si occupa di cavalli e cani a vari livelli. Il concetto importante offerto da Learning Animals è il ritorno all’Animale che è in ogni individuo. Recuperare questo valore selvaggio, primitivo, ci permette di percepire in modo consapevole l’altro, in una dimensione dove l’immaginazione e la conoscenza etologica giocano un ruolo fondamentale nella relazione che, non si basa su richieste ma su contaminazioni guidate, condotte senza forzature, tenendo conto dello stato emozionale dell’altro. LA DOMINANZA Apriamo una doverosa parentesi per chiarire questo concetto che altera il rapporto tra noi e gli animali (siano essi cani, gatti, conigli, maiali, oche, galline o altri) con cui conviviamo, inseriti, quindi, nel nostro gruppo familiare, che diventa anche il loro. Nella scelta operativa, spesso, si è mantenuto uno status quo, rispetto agli anni del behaviorismo, pur introducendo l’approccio zooantropologico-cognitivo. È il caso, per esempio, quando intendiamo il nostro rapporto col cane come una serie di comandi per farci “ubbidire” è come se esercitassimo con un figlio il ruolo di “padre-padrone”. “…Il cane deve sapere chi è il capobranco”, ancora oggi è questo che alle volte ci sentiamo rispondere da proprietari arrabbiati perché il loro cane è esuberante e (allegramente) “disubbidiente”. Mark Bekoff, Professore Emerito di Ecologia e Biologia dell’Evoluzione, alla Colorado University e ricercatore


all’Institute for Human Animal Connection dell’Università di Denverin, in un’articolo pubblicato il 15 Febbraio 2012 in Animal Emotions chiarisce questo concetto frainteso tanto da condurre, in nome di essere il capobranco, ad usare fin violenza su cani che non vogliono sottomettersi. “Quello di dominanza era e rimane un concetto molto importante che è stato frainteso ed utilizzato impropriamente, spesso da coloro che non hanno dedicato tempo sufficiente a condurre studi dettagliati sugli altri animali, inclusi quelli che vivono allo stato brado. (…) Ciò che si è scoperto negli ultimi 30 anni in seguito ad approfonditi studi comparativi sul comportamento è che la dominanza non è un concetto esplicativo semplice ed universale come qualcuno lo ha inteso. (…) Il concetto di dominanza è senz’altro un argomento delicato, sia per quanto riguarda il modo in cui viene espresso, sia per come le variazioni individuali nella dominanza sociale inf luenzano il comportamento. (…) Molti dibattiti nei quali si critica il concetto generale di dominanza sociale sono estremamente istruttivi; tuttavia sostenere che la dominanza sia una leggenda è in contraddizione con quanto sappiamo circa le sottili, fugaci e complesse relazioni sociali di numerosi gruppi di specie viventi e le dinamiche sociali in atto. Lo studio dell’etologo David Mech sul lupo artico evidenzia come in un branco di lupi in natura, la dominanza non si manifesta rigidamente e sembra avere molto meno significato di quanto risulta dagli studi relativi a branchi di

lupi assemblati in cattività. Ambedue basano le proprie interazioni su un rapporto di legame genitore-figlio”. (Nota Percorso Educatori ThinkDog). Quindi, la dominanza non è quella che ci è stata “venduta” da sedicenti personaggi ma si riferisce ad una leadership interscambiabile, in funzione delle abilità specifiche in cui ogni individuo emerge per predisposizione, tra gli appartenenti alla stessa famiglia. LA PRATICA: DALLA PET THERAPY AI PROGETTI LUDICO-DIDATTICI Come può in pratica questo nuovo concetto teorico, oggi essere garantista per tutte le specie animali, compreso l’uomo? Se l’animale è considerato nella sua alterità, ossia rispettato come soggetto e come diverso ovvero come “partner di relazione”, diventa lampante che nell’applicazione pratica di questa scienza, il rischio è nel modo in cui avviene l’incontro con l’animale, salvaguardato sia dalla strumentalizzazione sia dall’antropomorfizzazione. Soprattutto sul concetto di referenza, il rischio è di considerare solo l’aspetto beneficiale dell’animale e cadere nel suo utilizzo per scopi umani. Rivedere in chiave zooantropologica la relazione con l’animale significa anche trovare il modo di applicare la teoria nei diversi campi, con nuovi paradigmi. Da qui l’esigenza di formare operatori, educatori, istruttori, referenti esperti nella comprensione dell’individuo animale inserito nella sua specie di appartenenza. Un percorso

che Marchesini introduce in collaborazione con le Università e continua con la costituzione della Scuola di Interazione Uomo Animale. Possiamo dire, senza far torto a nessun altro merito, che chiunque oggi operi aderendo ai principi di garanzia del benessere animale, ha una diretta o indiretta formazione SIUA. Per far fronte a delle realtà dove soprattutto il cane è coinvolto in progetti di terapia, i referenti Siua, si affermano come specialisti del benessere animale: “Al fine di realizzare una pet-therapy in linea con le ricerche della zooantropologia, e quindi non come tecnica svincolata da un quadro epistemologico preciso che ne garantisce la scientificità perché basato su protocolli metodologici di prescrizione e monitoraggio, e al fine di evitare che l’alone magico della parola pet-therapy creasse genericismo, banalizzazione e uso improprio, anche per fini non propriamente nobili, ma altresì al fine di salvaguardare la soggettività animale nel processo ed evitare che la pet-therapy divenisse l’ennesimo utilizzo degli animali, si è deciso nel 2000 di aprire un tavolo di lavoro tra tutti coloro che a vario titolo negli ultimi dieci anni si erano occupati di pet-therapy. Ne è sorto un progetto, definito ‘Carta Modena’, considerata la sede che ha ospitato i lavori, teso a sancire i principi e i valori dell’approccio relazionale, ossia dell’utilizzo della relazione uomoanimale a scopo beneficiale. Questo documento non fa altro che annunciare la nascita di attività che non si basano sull’uso dell’animale ma sulla

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etica

costruzione di eventi di relazione, da cui far scaturire referenze beneficiali”. (R. Marchesini - L.Corona, Attività e Terapie Assistite dagli Animali) Lavorare in pet-therapy essendo certificati aderenti alla Carta Modena è una garanzia non solo per il fruitore ma anche per l’animale coinvolto in co-terapia. Ancora oggi si legge purtroppo che “avere” un cane (e già sui termini del verbo siamo fuori dalla zooantropologia e dall’antispecismo, per i principi enunciati in precedenza) apporta dei benefici, in elenco sul bugiardino di qualsiasi farmaco: riduce lo stress, aumenta i livelli di serotonina e dopamina, abbassa i livelli d’ansia, stimola l’attività fisica, aumenta la sicurezza e l’autostima. Se si affrontano progetti di pet-therapy in questi termini e con questa visione, ancora una volta si utilizza il cane per creare benefici all’umano. In una seduta di pet-therapy, il cane “non viene mandato dal malato” che lo tocca e lo accarezza per quasi tutto il tempo. È possibile che questi non intervenga nemmeno e rimanga sulla sua copertina e il lavoro si svolga sull’osservazione e su altri canali dimensionali del fruitore. Ci vogliono competenza e garanzia di benessere per il cane. Negli ultimi due anni si sta affermando un nuovo progetto, che non è terapeutico ma ludico: Bambility della ThinkDog, frutto del lavoro di un gruppo di professionisti nel campo della neuropsicologia, dello sviluppo psicomotorio, delle scienze dell’educazione e dell’educazione cinofila. È un’attività rivolta alla fascia di età tra i 3 agli 11 anni che mira a creare, migliorare e implementare le capacità empatiche, psicomotorie e prosociali per imparare a comprendere e rispettare il cane, creando abilità di cooperazione

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e interazione col gruppo, il tutto attraverso il gioco, come “primo ponte tra fantasia e realtà”. Si svolge con incontri al parco, a scuola, al doposcuola: “Il bambino vivrà in maniera diretta, se pur guidata, la relazione con il cane e potrà godere pienamente dei benefici che questa ha dimostrato di saper portare al suo bagaglio culturale, cognitivo ed emotivo. Giocare con il cane, prendersi cura di lui, osservarne le abilità e le peculiarità costruendo insieme a lui, nel corso dei diversi incontri, una vera e propria storia attraverso cui esprimere creativamente se stessi, crescere, imparare…e tanto altro”. DALLA TEORIA ALLA PRATICA: STORIE DI PERCORSI E DI CONSULENZA Saper applicare o non applicare tutto ciò che si è studiato rientra nell’abilità di discernere cosa è meglio fare in relazione ai casi specifici, tenendo a mente sempre l’obiettivo di preservare intatta la libertà interiore dell’altro. Alle volte più che intervenire, valutando la situazione a basso rischio, è meglio permettere all’animale di attivare un processo di resilienza che lo renda, alla lunga, più sicuro di se stesso e con aumentato senso di autoefficacia nell’affrontare piccoli inconvenienti o paure o stress emotivi, attingendo alle risorse cognitive e comunicative innate per poterne sviluppare delle altre. Pensiamo ad un cane che ha paura delle moto. Ogni volta che ne sente sfrecciare una reagisce con aumento di emotività con conseguente abbaio e lancio verso il mezzo. Sarà vincente tirar via con strattoni, distrarlo adescandolo con prelibatezze varie oppure fargli conoscere l’oggetto poco per volta, rassicurandolo e facendogli scoprire da solo ma insieme a noi che

non c’è da aver paura e stando ad una distanza equa per non farsi investire, lui stesso può tranquillizzarsi che sul marciapiede è al sicuro? Sulla differente modalità di scelta attuata da noi umani, si gioca il rispetto verso l’altro e la fiducia che riusciamo ad instaurare. Gli riconosciamo a parole l’essere soggetto capace di pensare e di risolvere con i suoi tempi e non i nostri un suo stato interiore oppure gli diamo anche la possibilità di sperimentarlo e creare in se stesso coscienza e consapevolezza di sé? La situazione diventa più delicata se ci relazioniamo con cani che presentano fobie, paure, reazioni aggressive, a causa di un passato difficile: abbandoni, anni di canile o di strada, aggressioni subite da altri cani, maltrattamenti, sfruttamento, ecc… La tendenza è di agire immediatamente sul comportamento manifestato e di fermarsi lì senza approfondire il “perché” quel cane, inserito in quel contesto o sistema familiare, abbia manifestato certi comportamenti. Questo porta inevitabilmente a controllare o a gestire il cane, addirittura negando allo stesso tutte le problematiche che lo hanno condotto a certe reazioni. Qui non si parla di azioni, emozioni, cognizioni ma di reazioni, emotività, istinto reattivo. In questi casi, sarà obbligatorio un percorso con il consulente riabilitativo e, se necessario, con il veterinario comportamentalista. Un lavoro in équipe per sradicare delle derive o fissità, arricchire gradualmente delle deprivazioni sensoriali con esperienze calibrate. L’approccio consigliato deve essere di tipo zooantropologico, si analizzerà il sistema per trovare una soluzione di convivenza che non intacchi il benessere profondo del sistema


stesso. Pensiamo ai cani di Green Hill, nati e cresciuti in un laboratorio, abusati, maltrattati. Pensate all’ambiente, ai rumori, al contatto con l’uomo, visto come carnefice. Si può risolvere il loro essere stati deprivati cognitivamente e sensorialmente solo portandoli a casa e offrendo loro cuccia e cibo? Pensiamo ad un cane vissuto da randagio, ai margini della città che viene catturato, sbattuto in canile, derubato della sua libertà per essere adottato da una famiglia, magari con bambini, che vive in centro Milano, Roma, Torino o Venezia. Supponiamo che quel cane sia un pastore maremmano, cane guardiano dei greggi, solitario, non propenso a socializzare che vedrà nella famiglia il suo gregge da proteggere dagli estranei (e in quella famiglia ci sono bambini). In più il cane è terrorizzato dai rumori, dalla gente, dalle auto: che emozioni può provare, che reazioni può attivare? Basterà l’Amore? (spesso volontarie “competenti” se la cavano con questa frase). No, purtroppo, non basta, serve competenza, pazienza, fiducia e… zooantropologia, altrimenti il cane e la famiglia potrebbero andare incontro a una vita non facile. In questa ipotetica situazione, purtroppo molto frequente, le persone umane non sapendosi relazionare, si allontanano, si disconnettono dal cane, destinato a vivere il resto della sua vita elemosinando briciole di attenzione, se gli va bene. In altri casi, non meno frequenti, il carattere reattivo del cane potrebbe manifestarsi e prevalere la sua motivazione di razza: nel nostro esempio, “chiudere il gregge nel recinto” e la famiglia rimane in casa, come ostaggio. Viene chiamato il primo addestratore che lo mortifica nel suo essere Cane, lavora sulle “finezze comportamentali”, lo irrigidisce in una serie di comandi e “guai se non mi ubbidisci,

niente premio o tante sberle”, con il risultato che il cane come una bella pentola a pressione sotto il fuoco dei segnali e del controllo, viene gestito, la famiglia così si illude di aver risolto il problema… Lasciando a voi le diverse possibilità di epilogo di questa storia, passiamo all’affascinante mondo dei cani disabili. L’uomo è intervenuto in modo così invasivo nel rapporto col mondo animale e per troppo tempo, che anche il “suo miglior amico” ne ha pagate le spese ampiamente. Parliamo di vere patologie sorte da maltrattamento genetico: riproduzioni non selezionate allo scopo di elevare il profitto dell’allevamento, puntando all’estetica, hanno generato oltre a danni neurologici (esempio, epilessia) anche più del 40 per cento di casi di cecità e sordità. “(…) vivere la diversità significa arricchirsi della diversità stessa, percepire un nuovo punto di vista e una nuova opportunità per avere una seconda opinione rispetto alla semplice visione che avevate prima”. Luca Scanavacca, nel suo libro Semplicemente Sordo, come nei suoi corsi, offre questo viaggio nel mondo della disabilità canina, “fatto di sguardi e silenzi”. Relazionarsi con un essere vivente parimenti ricco di bisogni, cognizione, emozioni, curiosità e voglia di esplorare un mondo che se anche non può ascoltare, lo guarda, lo annusa e lo assaggia, lo elabora e lo apprende, anche se non può osservarlo, lo sente, lo vive è un’esperienza che prevede il doppio delle precauzioni, per garantire non solo crescita e sviluppo ma anche sicurezza. Partire dall’osservazione, dall’intuizione e dall’ascolto, “proietta il professionista in una relazione più intima con il cane affetto da handicap e con il proprietario che condividerà

la vita con lui” e, permette, man mano che si procede nel percorso di conoscenza, lavorando sulla percezione di “portare il cane verso la capacità di acquisire il maggior numero di informazioni possibili attraverso un canale sensoriale alla volta”. Instaurare una relazione di partnership ricca di fiducia e sicurezza, richiede estrema delicatezza come competenza. Occorre liberarsi dai giudizi e pregiudizi, crescere nell’ascolto e nell’accoglienza anche di se stessi e dei metodi. L’utilizzo del clicker, per esempio, usato nell’addestramento per ottenere un risultato in base al condizionamento stimolo-risposta, ingabbiando la cognizione del cane in sequenze ripetitive pur di ottenere un premio, con i cani ciechi, può diventare una risorsa non condizionante ma fondamentale per aiutarli ad orientarsi e crearsi una prima impressione dell’ambiente in cui sono. Luca Scanavacca, nel suo libro descrive l’appassionante lavoro svolto con la sua amica Taby, ipovedente: “Concorderete con me che non è possibile spiegare a un cane, attraverso l’uso della semantica, la disposizione dei mobili all’interno di una stanza. Sfruttai allora il suono che fino ad allora mi aveva aiutato per indicarle distanza e direzione. Il clicker poteva aiutarla nel processo di sincresi”. Va da sé che quanto più ampia è la nostra conoscenza maggiori saranno le possibilità di applicare in modo zooantropologico, uno strumento talvolta demonizzato, come il clicker. Questo ci riporta al titolo: tra il dire e il fare c’è di mezzo l’uomo, con il suo bagaglio esperenziale, la sua consapevolezza e il suo impegno ad evolversi per sconfiggere e abbattere i pregiudizi che anni di specismo hanno creato in ognuno di noi.

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le ricette

caldo verde / stefano momentè

8 patate tagliate a cubetti piccoli 8 foglie sminuzzate di cavolo 1 cipolla, 1 spicchio di aglio 6 cucchiai di olio extravergine d’oliva 750 ml di acqua 250 ml di brodo vegetale Sale, pepe nero

Vanillà Gelateria nasce a Terenzano nel 2006 dalla passione per il dolce di Vania Bastianutti, che porta con sé il soprannome di “Vanillà” datole dai bambini francesi che seguiva come animatrice sulle navi da crociera. Inizialmente gelateria tradizionale, si è poi gradualmente evoluta in vegana, seguendo il percorso personale di Vania e suo marito Marco, che in tale filosofia hanno trovato il loro benessere. Dalla primavera 2014 nel laboratorio artigianale vengono realizzati gelati, semifreddi, torte, piccola pasticceria e cioccolatini completamente vegan e senza glutine; a questi si affiancano anche spuntini salati per merende o cene veloci. L’intento di Vania e Marco è quello di offrire una serie di golosità, realizzate con materie di prima qualità, adatte il più possibile a tutti, per dimostrare che vegan non è rinuncia ma alternativa.

Gelateria Vanillà

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In una grande pentola fare rosolare l’olio, la cipolla finemente sminuzzata, l’aglio pressato e le patate. Versare l’acqua e il brodo e lasciare cuocere a fuoco medio per circa 25 minuti. Togliere dalla pentola le patate, schiacciarle con una forchetta e rimetterle nel brodo, dopo averlo salato. Aggiungere le foglie di cavolo e lasciare cuocere per circa 20 minuti. Versare la zuppa in un piatto fondo, condire con dell’olio e aggiungervi, a piacimento, sale e pepe. Il Caldo Verde può essere servito più o meno liquido.

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BARBABIETOLE E ARANCE IN INSALATA 350 gr di barbabietola cotta 2 arance sbucciate e tagliate a fette 20 gr di noci 2 cucchiai di succo d’arance 1/2 cucchiaino di succo di limone sale e pepe 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva

Guacamole con crostini foto di Alessandra Schettino

Asciugare le barbabietole e affettarle. Sistemare barbabietole e arance sovrapponendo a raggiera le fette su un piatto di portata o sui piattini Tostare le noci in forno preriscaldato a 175° per circa dieci minuti. Tritarle finemente e spargerle sopra barbietole e arance. In un frullatore, mescolare il succo di arancia, quello di limone e un po’ di sale e aggiungerevi l’olio mescolando continuamente. Versare il condimento sull’insalata. Cospargere di pepe e servire immediatamente. GUACAMOLE CON CROSTINI 2 avocado maturi succo di 1 limone 2 spicchi d’aglio schiacciati 2 cipolle tritate finemente 2 pomodori grossi spellati e tagliati a dadini pepe nero, coriandolo fresco Tagliare a metà gli avocado. Togliere i semi e mescolare la polpa insieme al succo di limone, finché diventa una crema. Aggiungere gli altri ingredienti, mescolandoli nel mixer per pochi secondi. Servire su pane tostato, una fetta tagliata in quattro parti.

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le ricette

LASAGNE AL RADICCHIO TREVIGIANO 250 gr lasagne bianche (senza uova). 300 ml brodo vegetale 50 gr farina di soia 6 cucchiai di olio di girasole 4 cespi di radicchio trevigiano 1 cipolla, 30 ml di vino rosso Uvetta, pinoli, noce moscata Olio extravergine d’oliva Sale e pepe, q.b.

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Tagliare il radicchio lavato a striscioline. Tagliare finemente la cipolla e farla appassire per pochi minuti in un tegame con un filo d’olio. Versare 1/2 bicchiere d’acqua e cuocere per 10 minuti Unire il radicchio. Salare e cuocere a fiamma alta per 2 minuti, mescolando spesso. Irrorare con il vino, ridurre la fiamma e coprire, lasciando cuocere per 15 minuti. A cinque minuti dal termine della cottura aggingere una quindicina di pinoli ed un pugno di uvetta. Mettere in un tegamino l’olio di girasole. Aggiungere la farina di riso. Mescolare fino ad ottenere un impasto liscio e dorato, versare il brodo vegetale continuando a mescolare. Aggiungere un pizzico di noce moscata. portare ad ebollizione e cucinare per tre minuti. La besciamella deve risultare cremosa ma non troppo densa. Mettere il radicchio cotto in una zuppiera, aggiungervi, mescolando con delicatezza 2/3 della besciamella preparata. Ungere una teglia. Lessare le lasagne, in due o tre mandate. Sgocciolarle e stenderle su canovacci da cucina. Adagiare nella teglia, a strati, le lasagne, la besciamella con il radicchio. Ripetere fino ad esaurimento degli ingredienti. Concludere con uno strato di lasagne e coprire con la besciamella rimasta. Cospargere con pane grattugiato. Infornare a forno già caldo a 220°C per 15 minuti.

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