vivere il presente immaginando il futuro
l’INTE GRA LISMO gennaio|2015 numero zero
sperimentazione animale | cavoli & co. | MACROBIOTICA| LA LANA |CINOFILIA, SPECISMO, ANTROPOCENTRISMO 1
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06 08 18 integrità o integralismo?
sperimentazione animale
cinofilia, specismo, antropocentrismo
ESSERE è un progetto di Stefano Momentè. Giornalista, scrittore, esperto di comunicazione, Momentè ha lanciato il circuito Ristoranti Verdi ed è stato per anni membro di Società Scientifica di Nutrizione Vegetariana. Promuove la scelta vegana con conferenze, corsi, seminari, articoli, libri. Veganitalia Cooking School è la sua scuola di cucina itinerante per la diffusione della cultura vegan e crudista.
ca e consapevole, per dare a chiunque la possibilità di decidere senza preconcetti e chiusure in merito allo stile di vita e all’alimentazione da seguire. Per fare ciò,Vegan Italia attinge a tutte le fonti possibili, raccogliendo documenti, studi e statistiche e provvedendo alla loro diffusione, fornendo anche consigli e suggerimenti a tutti coloro che ne fanno espressa richiesta.
VEGAN ITALIA è nata nel settembre 2001, sia come associazione che come sito. La sua attività si svolge principalmente attraverso la rete. Ma non solo. Cerca in tutti i modi di promuovere un’informazione completa, libera, criti-
Redazione: info@veganitalia.com Siti: veganitalia.com, cucinavegan.info Fb: https://www.facebook.com/zeptepi
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CONTATTI
contributors EUGENIA BRINI
Art director e grafica, docente di cucina naturale, startupper di Merende Diverse e foodblogger. Studiosa curiosa e appassionata di alimentazione e salute, organizza corsi di cucina vegetariana/vegana/ macrobiotica per aiutare le persone a stare bene e risolvere piccoli problemi di salute partendo da quello che mettono nel piatto. ladispensadichloe.blogspot.it iugeni@gmail.com
LUISA DE SANTI
Fiber artist e designer tessile, è nata a Trieste nel 1967. Sito internet: www.crochetdoll.net blog: veganormal.blogspot.com in Facebook come Luisa De Santi (pagina personale) e fan page Crochetdoll
MICHELA KUAN
Laureata in Scienze Biologiche, specializzata in Biodiversità ed evoluzione con dottorato internazionale in biologia evoluzionistica. Responsabile nazionale LAV dal 2007 per il settore vivisezione, consigliere direttivo di IPAM (Piattaforma italiana per i metodi alternativi) e rappresentante per l’Italia nelle Coalizioni internazionali ECEAE (European Coalition to End Animal Experiments) ed Eurogroup for Animals. Dal 2012 è anche biologa nutrizionista Specialista in Scienze dell’Alimentazione e della Nutrizione Umana. Vincitrice del premio DNA2013 conferito dall’Ordine Nazionale dei Biologi. www.michelakuan.it
FABIANA ROMANO
Giornalista, ha scritto per varie riviste a diffusione nazionale (ClassEditori, Management, i Nostri Cani, TerraNuova). Educatrice Cinofila riconosciuta FICSS e Consulente Educazione Relazione a + Zampe (RPO Siua/ Educatore Cinofilo ThinkDog/ Consulente Riabilitativo in formazione CReA). Studiosa di nutrizione e appassionata di cucina, ideatrice di ricette a base di prodotti biologici e autoprodotti ha affrontato in prima persona una terribile allergia e curato i suoi cani con l’alimentazione. https://www.facebook.com/AnimAEquilibritas
PAOLA SEGURINI
Si occupa da anni di diffusione di temi legati alla scelta alimentare consapevole ed all’adozione di uno stile di vita il più delicato e giusto possibile nei confronti degli animali e del Pianeta. E’ responsabile nazionale del settore veg della LAV, ne cura il sito cambiamenu. it e le campagne ad esso correlate, come il MercolediVeg. p.segurini@lav.it
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riflessioni
SULL’integralismo
/ stefano momentè
La Treccani sul termine riporta: integralismo s. m. [der. di integrale]. – In senso ampio, ogni concezione che, in campo politico (ma anche sociale, economico, culturale), tenda a promuovere un sistema unitario, ad abolire cioè una pluralità di ideologie e di programmi, sia appianando contrasti e divergenze tra gruppi contrapposti e conciliando tendenze ideologiche diverse, sia, al contrario, respingendo come non valide posizioni ideologiche e programmatiche differenti dalle proprie e rifiutando di conseguenza collaborazione e alleanze, o compromessi, con altre forze e correnti.[...] Qual è però la differenza tra coerenza, integrità e integralismo? Tra chi crede fermamente in ciò che fa - che poi magari corrisponde all’imperativo al quale la maggior parte delle persone dichiara di aderire (non uccidere) - e chi sostiene tesi dogmatiche solo perché una qualche autorità gliele ha proposte? Tra una scelta come quella vegan, fondamentalmente etica, dettata dal senso di giustizia, dalla pietà, dalla compassione, e il fondamentalismo religioso, al quale spesso chi appartiene a questo movimento-non movimento viene erroneamente accomunato? Integrità non è integralismo. Non lo è la coerenza consapevole. Non lo è il pensiero critico. Praticare la virtù (astenersi dall’uccidere o far uccidere, dalle devianze alimentari, dalla crudeltà) e non il vizio, non è integralismo. Oggi le cose si sono rovesciate. Il buono è diventato cattivo. Praticare la virtù è integralismo. Non lo è, invece, cibarsi di animali uccisi senza necessità, per il godimento dei nostri sensi. Non lo è continuare a nutrire il nostro corpo con alimenti innaturali e portarlo ad ammalarsi. Non lo è in-
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segnare ai nostri figli le stesse cose. Non è considerato criminale uccidere, sfruttare e torturare essere privi di diritti. Chi non si scopre irremovibile (e non integralista) di fronte alla necessità di difendere ciò a cui crede? Sono integralisti i genitori che difendono i propri figli dalle insidie della vita? Sono integralisti gli ecologisti che difendono l’ambiente? I lavoratori che tutelano i loro posti di lavoro? E chi si oppone alla guerra, alla dittatura, alla corruzione, alle ingiustizie? Chi difende gli ultimi? Forse è sbagliato il modo in cui a volte le tesi vengono proposte, quasi con arroganza da qualcuno, ma la diversità è nella natura umana, non nel veganismo. Una persona non è integralista, arrogante, aggressiva, perché vegan, lo è perché individuo. In verità il punto dolente è che non viene considerato sbagliato uccidere, sfruttare e torturare altri esseri viventi, che tutto questo risulta normale. Scriveva Plutarco in De esu carnium:
«Tu mi chiedi in base a quale ragionamento Pitagora si sia astenuto dal mangiare carne: io invece domando, pieno di meraviglia, con quale disposizione, animo o pensiero il primo uomo abbia toccato con la bocca il sangue e sfiorato con le labbra la carne di un animale ucciso, imbandendo le tavole con cadaveri e simulacri senza vita; e abbia altresì chiamato ‘cibi prelibati’ quelle membra che solo poco prima muggivano, gridavano e si muovevano e vedevano. Come poté la vista sopportare l’uccisione di esseri che venivano sgozzati, scorticati e fatti a pezzi, come l’olfatto resse il fetore? Come una tale contaminazione non ripugnò al gusto, nel toccare le piaghe di altri esseri viventi e nel bere gli umori e il sangue di ferite letali?»
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saggi
L’animale come referente assente / PAOLA SEGURINI
Il saggio The Sexual Politics of Meat: a Feminist-Vegetarian Critical Theory, scritto nel 1990 da Carol J. Adams e ristampato qualche anno fa, è un’opera base per la comprensione di alcune delle istanze che costituiscono i fondamenti del movimento per i diritti animali americano. L’autrice americana – che si occupa fin dagli anni Settanta di portare avanti le battaglie contro gli abusi nei confronti della minoranze etniche, contro la violenza sessuale in ambito familiare e sociale e per i diritti degli animali non umani – ha sviluppato, per spiegare il motivo per cui la gente si ciba di animali e le difficoltà che si incontrano nell’affrontare l’argomento, la struttura del referente assente, teoria che può sembrare ostica da comprendere ma che, a mio avviso, è illuminante ai fini dell’analisi delle strategie che l’essere umano adotta per potersi nutrire di animali senza sentirsi in colpa. Per una migliore comprensione della teoria vediamo come Carol Adams è diventata vegetariana (oggi è vegan). In diversi dei suoi testi ella racconta di quando, tornata nella sua cittadina in campagna durante le vacanze universitarie, venne chiamata da un vicino che le comunicava l’uccisione, da parte di ignoti, del suo pony. La sera stessa, disperata per questa morte, improvvisamente aveva smesso di addentare il panino con hamburger che stava mangiando, fulminata dal pensiero di piangere la
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morte di un animale mentre si nutriva di un altro. Si era chiesta la differenza tra il pony, che avrebbe seppellito con dolore il giorno seguente, e la mucca morta, ma non era riuscita a trovare nessuna difesa di tipo etico per giustificare un favoritismo che avrebbe escluso la mucca dalla sua compassione solo perché non l’aveva conosciuta e un anno dopo era diventata vegetariana. Dietro ogni pranzo a base di carne c’è un’assenza: la morte dell’animale del quale la carne prende il posto. Tramite la macellazione, spiega Adams, gli animali diventano referenti assenti, cioè vengono resi assenti in nome e corpo come animali, per permettere alla carne di esserci. Le loro vite precedono e permettono l’esistenza della carne, gli animali vivi però non ne permettono l’esistenza, così il corpo morto rimpiazza l’animale vivo e, nel momento in cui il linguaggio rinomina il suo cadavere, prima che i consumatori partecipino all’atto di mangiarlo, la sua presenza diventa assenza. La funzione del referente assente è di mantenere la nostra carne separata dal fatto che una volta era un animale, per evitare che qualcosa sia visto come quello che era stato qualcuno. La nostra cultura mistifica ulteriormente il termine carne tramite il linguaggio gastronomico, così le parole non evocano più animali morti macellati, ma cuisine. Mentre il significato culturale del
cibarsi di animali muta storicamente, una parte del carnivorismo rimane statica: non è possibile mangiare carne senza la morte dell’animale. L’animale vivo diventa così referente assente nel concetto di carne. Tramite il referente assente possiamo quindi dimenticare l’animale come essere senziente. Carol Adams descrive il ciclo di oggettificazione, frammentazione e consumo degli animali (che essi hanno in comune con il processo subito dall’immagine della donna, nella condivisibile ottica femminista dell’autrice) e conduce il lettore a un’analisi di come la macellazione converta gli animali da esseri viventi che respirano in oggetti morti. A livello verbale il processo fisico della macellazione viene riassunto con termini che ne sanciscono l’oggettificazione. Gli animali sono trasformati in non-esseri, in unità produttive di cibo, ridotti a consistere di parti commestibili e parti non commestibili. Essi, dopo l’uccisione, scorrono su una catena di smontaggio e perdono parti del loro corpo ad ogni fermata. L’essenza della macellazione è quindi, tramite gli strumenti utilizzati, la sparizione totale di creature indifese, che debbono essere considerate come oggetti inerti, da sezionare fino a renderli adatti al consumo. Il consumo è il completamento dell’oppressione, l’annichilimento della volontà, dell’identità separata.
Questo articolo non è nuovo ma ci piaceva l’idea di ripubblicarlo per tutti quelli che ancora non l’avevano letto.
Attraverso la frammentazione, l’oggetto viene scisso dal suo significato ontologico e quando viene consumato esiste solo tramite ciò che rappresenta. I pezzi dell’animale, rinominati, permettono al consumatore di cambiare la propria concettualizzazione dell’animale, per allontanare ancor di più l’animale vivo, il cucciolo. La cottura, l’aggiunta di spezie, aromi e altro contribuiscono a oscurare la vera natura di ciò che si trova sul nostro piatto. Privata del referente-animale macellato e sanguinante – non dimentichiamo che i macelli sono da sempre luoghi chiusi e separati dalla realtà sociale – la carne diventa un oggetto consumabile. La macellazione è un atto che appartiene solo agli esseri umani, gli animali carnivori uccidono e consumano direttamente la preda, per loro non esiste un referente assente, ma solo un referente morto. Il consumo da parte degli esseri umani del referente assente-animale reitera l’annichilimento di quest’ultimo come soggetto importante in se stesso e nello stesso tempo evidenzia il tristissimo contrasto tra i vegetariani, che nella carne vedono la morte, e i carnivori, tanto convinti che la carne sia vita da voler oscurare e camuffare con tutti i mezzi e a tutti i livelli ciò che essa è in realtà. Ritengo che, nel complesso, l’analisi effettuata da Carol Adams sia un utile strumento chiarificatorio della (ahimé!) solidità culturale del carnivorismo e nello stesso tempo costituisca un metodo per tentare di smontare con decisione le ragioni di chi si ostina a non capire.
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etica
la sperimentazione animale / michela kuan*
La sperimentazione animale è un fenomeno che non accenna a diminuire, infatti nonostante lo scenario scientifico europeo sia sempre più rivolto alla promozione di metodi sostitutivi all’impiego di animali tramite la destinazione di fondi e la strutturazione di progetti internazionali, i numeri legati alla sperimentazione in Italia continuano ad essere altissimi arrivando a quasi 900’000 animali all’anno (fonte G.U. n.53); dati fortemente sottostimati in quanto non includono invertebrati, forme fetali e animali, o parti di essi, utilizzati già soppressi. Ancora più tragiche le ultime statistiche (fonte Ministero della Salute relative al triennio 2010-2012) in merito alle sperimentazioni “in deroga” (ovvero l’impiego di cani, gatti e primati non umani, l’utilizzo a fini didattici o il non ricorso ad anestesia), quindi quelle che dovrebbero rappresentare un’eccezione e possibili solo in caso di inderogabile necessità, che arrivano alla cifra impressionante di 726 procedure di cui 640 relative a procedure fatte senza anestesia con un numero indefinito di animali, esperimenti che hanno comportato intensi e prolungati
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livelli di dolore senza alcuna forma di lenizione. Solo per citarne alcuni: sfinimento fisico fino alla morte, studio del dolore acuto, induzione di stati psicotici, attività cerebrale investigata tramite scatole impiantate nel cervello, perfusioni, schizofrenia, trapianti di organi e impianto di chiodi midollari. I campi di applicazione degli animali sono molteplici, la maggior parte viene impiegata per lo sviluppo di nuovi farmaci e apparecchiature, ma è sbagliato fare una relazione univoca tra modello animale e farmaci, infatti vengono impiegati anche per indagini legate alla ricerca di base, studi di tossicità, diagnosi di malattie, formazione universitaria, esperimenti bellici e test cosmetici: ambiti che spesso non richiedono nessun vincolo normativo e nei quali, quindi, ci si aspetterebbe un drastico calo nel ricorso alle cavie come previsto da tutte le norme legiferanti in materia, nazionali e non, che da decenni vedono prioritari i metodi alternativi. In Italia è entrato in vigore a marzo del 2014 il nuovo decreto che ha preso il numero 26, frutto di un lungo processo
Direttiva europea di recepimento della 63/2010UE. mo riusciti a Dopo anni di lot ta sia mente reior inserire vincoli magg comunitario, to tes strittivi rispetto al fficiente perché ov viamente non è su ricerca libera a il vero traguardo è un no state messe so ma , ne zio ise viv dalla hanno iniziato a e ch ri delle pietre milia so e inattaccabile scardinare il silenzio sperimentazione muro silenzioso della rimento di div iese animale grazie all’in tra cui l’allevamento ti, unici in tutta UE, ati da laboratorio e, di cani, gatti e prim “Green Hill” non quindi, il famigerato fabbrica di beagle, potrà riaprire la sua sito del prossimo a prescindere dall’e di scimmie antroprocesso e l’utilizzo impanzè pomorfe come lo sc (per magg iori info: a-facciamo/v iviseht tp://w ww.lav.it/cos sezione). ivi zione/nuova-legge-v
La sperimentazi one animale ha comportato, e che in fase di pr continua a farlo oget tazione e at ,g errori e ritardi ne di un esperi nella scienza, di randi mento prima si tuazioventando la q uarta prov ino i metodi altern ca ativ U.S.A. per reaz usa di mor te negli si riesca ad ot te i e solo nel caso non ioni av verse ai nere un risulta farmaci non individuate to corra all’ anim du ale, ma nei fatti , si ritazione pre-clin rante la sperimenav il viene pr ocedimento co ica sull’animale, solo l’8% dei fa inoltre Fort unatamente ntrario. rmaci passa la il fase clinica sull’uom sta ribellando ad mondo scientifico si o, con un indice in successo altis di condiv ide ed i una ricerca che non si se un ingente spre mo (Pipin 2008) e tra cui: il bando g nali sono molteplici co di fondi e m totale dei test pe enti che lavorano per pr cosmet ri od e produrre una urre dati inutilizzabili men ici su animali nel 2013, la rego tazione REACH ricerca obsoleta la(7FP troppo legata al ancora prise l’utilizzo dell’an europea per i m ), DG enterimale e e cr non volta al po tenziamento de itiche al model etodi alternativ i lo animale in re i metodi alternativ i in g pubb centi rado di tutelare , nei fatti, Es licazioni scientifiche. anche la salute istono, e molti umana. sono in fase di Al momento at zione, metodi al va tual ternativ i alla sp lidaimportanti scop e vi sono molte er ta zi imenon er e animale, essi vengono accetta te mediche che non vengono definiti tramite il princi te perché non po pio delle essere “provate ssono ment, ” nel caso l’anim 3R: Replacemali, benché si da esperimenti aniale venga com pletamente sost an ituito, Reductio sull’ev idenza cl o solidamente basate n se si riesce ad at tuar inica. Un esem e pio è la scoper ta che un con un numero lo stesso esperimento basso livello di in zione su di un ra di aterza R, Refinem feriore di animali e la padre o una m en adre può causare la leuc ne della soffere t ov vero diminuzioem nza e dello stre anche se la radi ia nei discendenti, ss legato alla procedura az o del concepimen ione av viene prima sv iluppo neurol ricorso a specie con to. og ico inferiore. Questa scoper Tra i metodi so ta stitutiv i più noti esperimenti an non è confermata da citiamo le tecniche in vi im tr Poiché gli anim ali. ricerca clinica o, analisi chimiche, ali da laborator (su mat io i risultati più sv ariati, si può di danno umano, analisi gene eriale biolog ico m tiche, tecniche re o confermar ostradi imag ing), st e q ualsiasi ipot ud esi si desideri. dimostratisi fond i epidemiolog ici, amentali nella lo Per q uanto rig cancro, model tta al uarda consider li bioinformatic azioni in ambito genetic i e nuove tecnolog ie com o, bisog na cons e iderare come la diffe lari per indag in microcircuiti cellure i di tossico e fa genetica nell’uo nza intra-specifica rmaco cinetica o dina m mic differenze feno o è dello 0.1% con e il data sharin a, organi bioartificiali tipiche ev identi g (i e molteplici differenz aziendale in am nfat ti la competitiv ità e ul bi che farmaci iden tra-strut turali. Tanto ceutico, compo to chimico e farmatic rta, spesso, la sificati su indivi i hanno ef fetti diver- za di mancandu di diverse o con ab i di aree geog rafiche vers ffusione di dati). L’approcci o o tali metodi no itudini diverse; n deve essere sperimenta su concepito com animali che si di si e rapp stanzia- q ue no da noi del 15 lli che si basano or to 1:1 con % su modelli catastrofiche ne , con conseg uenze ma come una ll’ strateg ia integ animali, che sempre più espressione genica rata che prenda in esam si distanzia da e q umana, anche alternativ i seg un set di test. I metodi gli organismi ch uella uono imera nei q uali veng ne lungo, che im un iter di validazioono introdot ti ge piega mediam umani non pren ni ente 10 anni pe do la risposta a ca no in considerazione todo r essere approvato, infatti il mescata che seg ue deve essere rico traduzione del nosciuto a livel internazionale gene, escluden la lo e validato dal C do tutta la proteomica de entro della Commissi lla molecola. one Europea pe Fermo restando r la validazione de l’erroneità del m i metodi altern animale per l’u od el lo ativ i alla sperimentazion omo; il principi e animale - ECVAM o operante dovrebbe . essere basato sul fatto * respon sabile
settore vivisezio ne
LAV
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etica
intervista a gianluca felicetti
una questione di civiltA'
/ stefano momentè
«Gianluca, cos'è la vivisezione?» «Per vivisezione, o sperimentazione in vivo, si intende qualsiasi esperimento eseguito su animali. Non tutti i test prevedono la dissezione dal vivo, ma tutti sono cruenti ed invasivi nei confronti degli animali. Per questo e per ragioni giuridiche, il termine vivisezione si usa come sinonimo più efficace e preciso del generico sperimentazione animale. I test su animali si effettuano spesso in risposta ad antiquate prescrizioni di legge e i risultati ottenuti sono aleatori e inutili. Una volta praticati sugli animali, i test si ripetono poi sull’uomo, con altre forme e tempi, spesso senza informare esaustivamente sui rischi e sui benefici che corre chi subisce la sperimentazione». «È realmente utile alla ricerca?» «Questi esperimenti ostacolano l'impiego di sostanze e di tecniche valide, causando molti danni, di diversa portata. Solo in Italia quasi 3000 animali al giorno vengono utilizzati: cani, primati, cavalli, ratti, topi, mucche, maiali, pecore, piccioni, furetti, rettili, pesci, uccelli, provenienti da allevamenti o, per alcune specie, catturati in natura. Ogni specie si differenzia per struttura fisica e biochimica dalle altre, perciò non esiste una specie che possa essere considerata modello sperimentale per un'altra. Gli animali da laboratorio, spesso
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frutto di selezioni e manipolazioni genetiche, frequentemente differiscono perfino dai loro simili in libertà. Anche le malattie indotte sugli animali a fini sperimentali sono diverse dalle patologie che si manifestano naturalmente. è un metodo empirico, altro che scientifico». «Perché ci si ostina a perseguire questa strada?» «Perché c’è chi sa fare solo questo, lo ha reso un dogma e perché così quando si manifestano i danni sull’uomo, legalmente si è a posto». «Come può essere sostituita?» «Esistono centinaia di metodi alternativi, come i modelli informatici , le analisi chimiche, le indagini statistiche (come l’epidemiologia e la metanalisi), gli organi bioartificiali, i microchip al DNA, i microcircuiti con cellule umane. I veri metodi scientifici sono solo quelli che sostituiscono del tutto gli animali, per la definizione stessa di modello sperimentale, ossia la riproduzione del fenomeno oggetto dello studio dalla quale sono state eliminate delle variabili, in modo da renderlo più semplicemente analizzabile. Nessun animale, di qualsiasi specie esso sia, può considerarsi un uomo semplificato. I metodi alternativi stanno già sostituendo le sperimentazioni cruente in alcuni settori.
Oggi non si utilizzano più animali in crash test di automobili, test di gravidanza, test per verificare la contaminazione batterica di farmaci, molti casi di verifiche igienico–sanitarie su alimenti, molte esercitazioni per scopo didattico, diversi test di tossicità su sostanze chimiche, comel’assorbimento cutaneo, la mutagenesi e la genotossicità, la fototossicità, l’embriotossicità. Il 70% della ricerca biomedica, ovvero della biologia della medicina, non fa uso di animali secondo l’Istituto Superiore di Sanità. Fino a non molti anni fa si pensava che gli animali non sarebbero mai stati sostituiti, eppure gli esempi sopra riportati dimostrano il contrario. Basta volerlo e attivarsi insieme per informare e sensibilizzare le Istituzioni, il mondo della ricerca e le persone». «La Lav come si sta battendo a riguardo?» «La Lav opera sia nell’ambito dello sviluppo della ricerca alternativa come cofondatrice di IPAM, la Piattaforma Italiana per i Metodi Alternativi, sia nell’educazione, sia nel settore della legislazione. Proprio su quest’ultimo punto è in corso la battaglia in queste settimane al Senato per confermare l’articolo restrittivo di recepimento della direttiva europea che cambierà la legge italiana».
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ETICA ALIMENTAZIONE SALUTE
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ALIMENTARSI
tempo di cavoli & co.
/ MICHELA KUAN*
Il clima mediterraneo è caratterizzato da ampi sbalzi di temperatura, fattore che insieme all’intensità delle radiazioni solari , inf luenza la ciclicità delle piante. è importante, sia per motivi nutrizionali che ambientali, rivolgere le proprie scelte verso alimenti tipici del periodo stagionale, evitando frutta e verdura di origine esotica o provenienti da serre. Purtroppo siamo abituati a vedere sulla tavola pomodori, melanzane e peperoni in inverno e finocchi in estate; cibi che non sarebbero disponibili in natura e poveri di elementi come vitamine e sali minerali fondamentali per il nostro organismo. Le rigide temperature, che caratterizzano questo periodo, sono caratterizzate da un’ampia disponibilità di cavoli, infatti, le crucifere chiamate così per il fiore a forma di croce (o anche brassicacee) sono una famiglia con più di 2000 varietà note per le qualità alimentari, le proprietà antitumorali e il largo uso in fitoterapia. Tali virtù sono conosciute da secoli, anzi millenni, rappresentando una fonte preziosa dai cinesi ai romani e nelle scorte navali dell’epoca delle grandi colonizzazioni visto l’alto contenuto di vitamine A, B1, B2, B6, C, D, E, K, PP; di bromo, calcio, cobalto, ferro, fosforo, iodio, rame, manganese, magnesio, potassio, zinco, zolfo, diversi aminoacidi, mucillagini, saponine e di acido folico indispensabile per la gravidanza. Conosciamo più da vicino le specie più diffuse Il cavolfiore: utilizzato come antinfiammatorio e per ascessi, artrosi, artriti, foruncoli, cistiti ed emorroidi. Si può consumare anche crudo, centrifugandolo ad esempio insieme a una mela; il succo, infatti, può essere impiegato in caso di ulcera gastrica grazie alla sua attitudine a rinforzare la parete dello stomaco. Inoltre ha basso indice glicemico ed è indicato in caso di diabete.
I broccoli: alleati per l’apparato respiratorio, sistema immunitario, apparato circolatorio, intestino, circolazione linfatica, occhi e ossa. Sono, inoltre, ricchi di vitamina C e hanno alto potere antiossidante, una proprietà importantissima in un contesto inquinato come quello in cui viviamo. I cavolini di Bruxelles: particolarmente ricchi di acido folico (o vitamina B9), sono consigliati alle donne in gravidanza per prevenire la spina bifida e perché, agendo in modo positivo nei confronti del metabolismo degli ormoni, aiutano a prevenire i tumori al seno. Ottimi anche per i soggetti celiaci. La rapa: preziosa contro la stitichezza, è molto utile perché facilita la digestione e il funzionamento del fegato. I succhi estratti dalla polpa sono ottimi anche in ambito cosmetico per combattere le dermatiti. In generale, questi straordinari vegetali hanno un potere riequilibrante, antitumorale, antinfiammatorio, antiossidante e sono utili contro il deterioramento delle articolazioni. Controindicazioni Un loro consumo eccessivo può peggiorare eventuali problemi di f latulenza e meteorismo, inoltre particolari cautele vanno prese per soggetti ipotiroidei per i quali è meglio consumarli previa cottura. *Biologa nutrizionista Albo dei Biologi sezione A-n°65942 Indirizzo: Via Morgagni 22, 00161-Roma Presso Psicologia Insieme mail: kmichela@libero.it
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ALIMENTARSI
Macrobiotica: regime alimentare o filosofia di vita? / eugenia brini
Parlare di dieta macrobiotica dopo i vari bombardamenti ai quali siamo sottoposti ogni giorno, dalla televisione, dai giornali, nei blog, sembra fuori luogo e anacronistico, vista la non originalità dell’argomento. Dieta del gruppo sanguigno, dieta a zona, dieta minestrone, dieta Dukan, insomma ce n’è per tuti i gusti ed è ovvio che la reazione di fronte ad un argomento simil-salutistico un po’ estremo, come ci hanno sempre fatto pensare, possa in qualche modo creare un po’ di scetticismo o timore, ma non dobbiamo preoccuparci: la macrobiotica non è una dieta! In questi anni ne sono state dette tante di verità e falsità a riguardo. Sfatiamo subito un mito: la macrobiotica non è un dittatore che entra nelle nostre dispense e ci obbliga a operare chissà quali scelte, buttando via tutto quello che ci piace, per il semplice gusto di farci soffrire. È un compagno di viaggio che sa ascoltarci e prenderci per mano, ci incoraggia a raggiungere la consapevolezza, con i nostri tempi, anche sbagliando, mettendoci alla prova e ascoltando il nostro corpo, il quale ha il potenziale per guarirsi, per stare bene ed è sede di tanti pensieri ed emozioni che possiamo in qualche
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modo sviluppare e guidare per raggiungere la serenità ed essere in pace con noi stessi e con gli altri. Il termine macrobiotica deriva dal greco makros= grande o lungo e bios= vita, quindi possiamo facilmente tradurla come lunga vita o come grande vita. Insomma: vita alla grande, si direbbe ora. Come può spaventarci una vita alla grande? Il fatto che George Oshawa e Michio Kushi siano i padri di tale cultura, a volte fa pensare che questo regime non sia applicabile alla nostra vita, essendo giapponesi e del secolo scorso. Ma è grazie a loro e a tutti quelli che sono venuti dopo, che siamo giunti fino a qui: Renè Levy, Martin Halsey, Mario Pianesi e moltissimi altri ancora, veri pionieri e ricercatori, curiosi e inventori di nuovi metodi, nuove scoperte e modi per venire incontro alle persone. Perché deve essere così questa filosofia di vita: per le persone, per il contesto storico e il luogo in cui si è e si vive. La scelta e la varietà dei prodotti locali e stagionali, le esigenze, il clima e le mentalità sono diverse. Questa filosofia di vita si basa sulla ricerca dell’equilibrio, non come meta finale, ma come ricerca continua. Perché la vita è fatta di equilibri.
Il benessere fisico, quello mentale, quello spirituale ed emotivo fanno parte di un unico concetto: la salute intesa come pienezza, come equilibrio di energie. Ma quando si parla di energie, di Yin/yang, subito gridiamo allo scandalo, come se si volessimo fare gli hippy, i figli dei fiori che parlano di cose senza basi scientifiche. Yin e yang sono due concetti meravigliosi ed estremamente semplificati per riassumere gli opposti! La vita è fatta di opposti: caldo/freddo, solido/ liquido, pieno/vuoto, giusto? Yin e yang sono questo: due opposti, il sale e lo zucchero, l’energia contraente e l’energia espansiva. In alcune diete bisogna pesare anche il sale, in questo regime alimentare bisogna imparare a capire cosa ci serve per stare bene, cosa mangiare, cosa cercare di diminuire, cosa fare in caso di piccoli o grandi malanni. Il corpo si cura da solo se lo aiutiamo in maniera intelligente e il cibo, come diceva Ippocrate, diventa la nostra medicina. Forse il problema è la continua ricerca, da parte di chi si avvicina a nuovi regimi alimentari, di soluzioni, di una dieta da seguire, senza dover troppo pensare o mettersi in gioco. Ma la macrobiotica non è questo, essa racchiude in sé una serie di conside-
razioni legate alla crescita interiore e a quella esteriore intesa come equilibrio. Queste due parti di noi, il corpo fisco e quello invisibile, fatto di pensieri ed emozioni, non sono intese come due entità separate ma legate in maniera invisibile ma percepibile. Parlare di macrobiotica cercando di dare delle linee base non è semplice, ma un metodo esaustivo e puntuale potrebbe essere analizzare la piramide sulla quale si basa questo regime. Innanzitutto ci si riappropria del trittico già conosciuto dalle nostre nonne: cereali, verdure e legumi, che sono la base della piramide. I cereali integrali sono il pilastro del nostro pasto, ma è importante che siano integrali, dopo tutti questi anni a divorare cereali raffinati che mettono a dura prova la nostra f lora intestinale. Le verdure devono essere di stagione per darci le energie di cui necessitiamo nel momento in cui spuntano naturalmente dalla terra. I legumi sono le proteine migliori da assimilare, mattoni essenziali per aiutare i muscoli e i tendini a lavorare e a riprendersi dopo gli sforzi. Tutto il resto, frutta, insalatini, che sono verdure pressate e in salamoia, condimenti di buona qualità, alghe, dolci di ottima qualità, frutta secca e, volendo, pesce, sono altri piani della
nostra piramide. Lo zucchero e il sale ovviamente sono integrali o sostituiti, nel primo caso da malto ricavato da cereali, da melasse, sciroppi d’agave o d’acero. Non ci sono alimenti vietati: ognuno di noi ascolta il proprio corpo e la propria coscienza e decide cosa mettere nel piatto. Le regole basi sono semplici e razionali: seguire le stagioni, scegliere i cibi utilizzando quella che viene chiamata la “bussola yin e yang” per capire quali sono i cibi migliori per la nostra condizione e per creare equilibri; introdurre cereali in chicco e integrali, legumi; ridurre al minimo i cibi di origine animale, in molti casi li si elimina del tutto; utilizzare i dolcificanti naturali quali malto, succo di mela concentrato o altri non raffinati; usare zuppe, soprattutto quella di miso che riassume in sé l’essenza della macrobiotica avendo alghe, verdure di tutte le forme ed energie e una base fermentata che aiuta la f lora intestinale. Ma l‘aspetto più importante è: variare l’alimentazione, cercare di avere colori, forme e abbinamenti diversi che ci soddisfino e ci coccolino un po’. L’equilibrio si ottiene, però, non solo mangiando. Si parte dal principio:
dalla spesa, e prima ancora dalla scelta delle ricette, al modo di cucinare e poi nel modo di predisporre le pietanze e di mangiarle. È importante anche la respirazione e la postura, e soprattutto la masticazione, che è la prima digestione. Scegliamo con cura il luogo nel quale mangiamo, le persone con le quali condividiamo il pasto e le azioni che compiamo o non compiamo. Ci vuole ordine fuori per avere ordine dentro: magiare tre volte al giorno, con calma, non facendo altre azioni che ci possano distrarre, quali guardare la televisione o leggere, o comunque azioni che potrebbero innervosirci. Queste sono regole ovvie, razionali e non trascendentali, forse è la sua semplicità che la rende un po’ poco accessibile? O la fa sembrare di difficile mantenimento? Non ci sono regole ferree ma ricerche personali. La vita è fatta di tanti momenti diversi: impariamo a capire cosa ci serve per affrontarli al meglio, aiutandoci con quello che mettiamo nel piatto, con la cura di noi stessi, del nostro corpo e della nostra sfera interiore e avremo davvero una grande vita!
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ABBIGLIAMENTO ABBIGLIAMENTO
LANA, tutTa la veritA' / LUISA DE SANTI*
Per anni mi sono lasciata guidare nella scelta dei materiali da criteri unicamente di natura estetica. Ho sperimentato accostamenti di filati di natura molto diversa:, scartando solo per un caso la lana (troppo costosa, troppo delicata, colori troppo smorti) Da quando sono vegana la scelta di evitare del tutto qualunque materiale di origine animale è stata cosciente e moralmente significativa. Trovo indegno anche solo il pensiero di esercitare creatività e desiderio di bellezza manipolando materiali che vengono prodotti inf liggendo torture, costrizioni e morte a creature miti ed innocenti. Non possiamo giustificarci con l’ignoranza. Sono convinta che chi acquista e consuma un certo prodotto unicamente per abitudine, consuetudine ignorando tutte le alternative possibili è di fatto defraudato di un sacrosanto diritto: quello di scegliere. Se non si conoscono le modalità di produzione e lavorazione di un prodotto non si è in
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grado di conoscerlo veramente, quindi di sceglierlo in modo consapevole. In questi anni, stiamo imparando a diventare consumatori sempre più consapevoli, attenti e scrupolosi. Controlliamo gli ingredienti, leggiamo le etichette dei capi d’abbigliamento, evitiamo acquisti incauti dai venditori abusivi, badiamo a non incrementare i commerci di chi trasgredisce ai principi di rispetto dell’ambiente e dei diritti dei lavoratori. In sostanza siamo diventati consapevoli che ogni prodotto ha una storia, è frutto di un sistema di produzione che vogliamo conoscere il più possibile. Io non so se chi sta leggendo in questo momento sia vegetariano parziale o integrale, oppure no. Penso che in ogni caso sia doveroso sapere, proprio per quel diritto all’informazione, indispensabile per la scelta consapevole di cui sopra. Abbiamo imparato noi animalisti e vegetariani, che acquistare pellicce è espressione di ignoranza e crudeltà, che i capi d’abbigliamento in pelle grondano sangue, abbiamo imparato a rispettare il mondo animale evitando l’acquisto di oggetti in avorio, tartaruga e corallo? MA... abbiamo mai
pensato alla lana? migliaia e migliaia Accetteremmo che un’esistenza di creature vivessero i innaturali, spaz misera, costrette in , sottoposte ad itto dir ni og di te priva atiche dolorose pr a i intervalli regolar lat tie e sofferenza che causano loro ma finire la loro vita prolungata, per poi che le porta pressate in un camion quale arrivano a all , alla macellazione per sete? No? spesso già cadaveri acquistare un bel Eppure accettiamo di re una spilla di pu giaccone in loden, op to di lana senza pe tap feltro, oppure un una. Forse è posprovare vergog na alc ndo, ritenersi parla sibile, teoricamente nza di miti creare ffe so a all ili sib insen mente vediamo ture che presuntuosa se è altrettanto e for come a noi inferiori une categorie di alc re tta tra le possibi fossero oggetti esseri viventi come lità e sistema ibi ns privi di diritti, se te questo penso nervoso....Nonostan possibile rimanere sia umanamente im ne personale della indifferenti alla visio à, dell’azione vera pratica della crudelt guardare questo e propria. Andate a filmato: tylyf ht tp://bcove.me/hih tificarci con l’iNon possiamo gius eno. Nell’era di alm gnoranza. Non più re “allevamento internet basta dig ita satura pecore” per pecore” oppure “to
trovare centinaia di pagine sull’argomento e soprattutto immagini e video. C’è di che inorridire... Solo dopo aver visto immagini sulle modalità di allevamento (luoghi di ricovero degli animali), tempi e modi della tosatura, attività correlate (castrazione, amputazione della coda e marchiatura, in cui ovviamente “anestesia” è pura fantascienza), trasporto e macellazione, soltanto DOPO si può essere consapevoli di quanto l’acquisto di un maglione di lana non sia affatto un’azione innocua. Poi ovviamente teniamo conto anche che l’industria della lana e quella della carne sono legate e che dalle stesse greggi di pecore “da lana” vengono prelevati gli agnelli macellati a Pasqua e alle madri viene rubato il latte per i prodotti caseari. Vorrei precisare che ho scelto alcune immagini non troppo dure e crude per salvaguardare la tranquillità di chi è più sensibile(quindi meno bisognoso di vedere orrori con i propri occhi per capire che bisogna fermare questo massacro). Non possiamo giustificarci con l’ignoranza. Non possiamo neppure cullarci nella speranza che quello che abbiamo visto sia un’eccezione: sono pratiche comuni, considerate normali. Il mulesing è vero che non viene praticato che in Australia, ma ovunque nel mondo sono invece praticate senza anestesia castrazione, amputazione della coda e marchiatura. Ad aggravare la situazione il basso valore del singolo individuo: il valore in moneta di una pecora è molto al di sotto del costo di un semplice antibiotico. cco il motivo per cui queste creature raramente vengono curate: si curano e in modo aprossimativo solo le patologie che potrebbero intaccare il vello. I pastori ed allevatori sono consapevoli di procurare dolore a queste creature, ma (dicono) non importa a nessuno. Il punto che voglio sottolineare è che noi con le nostre scelte possiamo essere complici di tanta ingiusta sofferenza, oppure possiamo scegliere di non farlo. Esistono ora in commercio materiali tecnici e fibre moderne, innovative, leggere e molto più efficenti quanto a calore e comfort della lana: aprofittiamone. Non si tratta di rinunciare a qualità estetiche
di alcun tipo: i filati e i tessuti moderni studiati per tenere al caldo sono bellissimi! Troviamo tessuti tecnici come il goretex, tessuti elasticizzati, viscose con interno in cotone, felpe, micrifibre. Alcuni di questi materiali sono realizzati seguendo le esigenze del nostro tempo come per esempio il riciclo della plastica da cui si ottienere il pile. I tessuti artificiali di concezione moderna poi se di qualità, sono realizzati nel pieno rispetto dell’ambiente (colori atossici e sistemi di produzione che impiegano poca acqua) e non saranno costati neppure una goccia di sangue o un secondo di sofferenza e prigionia contro natura di alcun essere vivente. Basta dare un’occhiata un po’ più attenta a ciò che troviamo nei negozi leggendo con attenzione le etichette cucite all’interno dei capi per scoprire la composizione dei tessuti e filati di ciascuno di essi. . Siamo consapevoli di come spendiamo il nostro denaro e non esercitiamo pigrizia e vigliaccheria solo per abitudine, o peggio per vanità. Cosa penseremmo di chi soddisfa un proprio effimero piacere godendo di qualcosa la cui realizzazione provoca sofferenze a creature incolpevoli? Proveremmo repulsione, disgusto e rabbia? Ok, proviamo repulsione, disgusto e rabbia verso chi sfoggia un maglione firmato? Se la risposta è no, allora dovreste chiedervi se avete avuto informazioni sufficienti... oppure di che pasta siete fatti! Jeffrey Moussaieff Masson scrive: «Se inf liggiamo dolore agli animali e li uccidiamo con tanta leggerezza, cosa ci impedisce di farci del male a vicenda?».
Queste malcapitate creature sono state immobilizzate per praticare loro una sevizia che viene chiamata “mulesing” praticata in larga scala ora solo in Australia. Viene loro scuoiata l’area che circonda gli sfinteri, una pratica venduta come metodo di prevenzione di alcune infezioni. In realtà risparmia all’allevatore (io preferirei chiamarlo aguzzino) un passaggio nel trattamento della lana nella filiera di produzione della fibra tessile. Il sangue scorre dalle ferite, quindi non illudetevi che siano le foto di pecore morte! In più, se riuscite a staccare gli occhi dalla ferita e guardate lo sfondo della foto qui sopra noterete l’amenità del luogo. Quando vediamo le greggi all’aperto che pascolano in un prato all’interno di qualche pubblicità o depliant che pubblicizza gli antichi mestieri dei pastori, ricordiamoci queste immagini.
*fiber artist e designer tessile, è nata a Trieste nel 1967. sito internet: www.crochetdoll.net blog: veganormal.blogspot.com in Facebook come Luisa De Santi (pagina personale) e fan page Crochetdoll
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etica
L’antispecismo
/ stefano momentè
L’antispecismo è il movimento filosofico, politico e culturale che afferma l’assoluta uguaglianza tra specie e che l’uomo non è il più importante tra gli animali, esattamente come l’antirazzismo rifiuta la discriminazione basata sulla razza e l’antisessismo quella basata sul genere sessuale. Il termine specismo è stato coniato nel 1970 da Richard Ryder, proprio sul calco delle definizioni di razzismo e sessismo. L’approccio antispecista ritiene che le capacità di sentire, di provare sensazioni come piacere e dolore, di interagire con l’esterno, di manifestare una volontà, di intrattenere rapporti sociali, non siano prerogative unicamente della specie umana, ma che l’attribuzione di tali capacità agli animali di specie non umana comporti un cambiamento essenziale del loro status etico, da equiparare a quello normalmente riconosciuto alla specie umana. Da ciò ne consegue una trasformazione profonda dei rapporti tra individui umani e non umani. L’antispecismo, in sostanza, si oppone allo specismo come pensiero unico dominante nell’attuale società umana, basata sul diritto del più forte e sulla repressione del più debole. Per gli antispecisti il veganismo non viene considerato un obiettivo, ma un mezzo per il raggiungimento del loro fine ultimo: una nuova società umana capace di rispettare e di vivere in armonia con le altre specie viventi e tale fine è possibile solo attraverso la lotta per la liberazione animale.
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opera di Paola Pivi
etica
CINOFILIA, SPECISMO e ANTROPOCENTRISMO / FABIANA ROMANO*
Cosa hanno in comune questi termini? È possibile che chi ama i cani sia anche specista e antropocentrico? E in che modo? In questo articolo, proveremo ad analizzare queste visioni nella loro evoluzione mettendo in evidenza i tratti specisti. Innanzitutto, chiariamo i significati dei termini nella loro accezione etimologica e di uso comune. Lo specismo è il pensiero che specie differenti abbiano valori diversi e moralità diverse tra loro. Si manifesta come antropocentrismo, di cui è l’effetto, ossia quando l’uomo si attribuisce la superiorità sulle altre specie, in base solo all’elezione di nascita, grazie alla quale diventa capace di evolversi e progredire, come nessun’altra specie è in grado di fare, mettendo in pratica il suo apprendimento, la sua inventiva, la sua abilità manuale, risolutiva e dialettica, la sua cognizione, la sua spiritualità, la sua cultura, la sua moralità, la sua etica. Il termine cinofilia deriva dal greco ed è formato da cino- (dal greco κuων cioè “Cane”) e -filo ( dal greco -ϕιλος ossia “caro a”); significa “amante dei Cani”, quindi racchiude tutte le attività relative all’universo del cane che implicano l’amore per i cani. E chi sono i cinofili? Leggo dai vari dizionari: chi ha cura, interesse per l’allevamento e l’addestramento dei cani. Chi utilizza i cani per operazioni varie, tipo unità cinofila o pattuglie cinofile, con compiti antidroga, antiterrorismo, antiaggressione
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e antivalanga. Sono cinofili anche gli operatori, gli educatori, gli istruttori; come i proprietari, i dog-sitter, gli animalisti, i volontari, gli etologi, i veterinari, tutti coloro che ruotano attorno all’universo cane. E poi c’è la Treccani che definisce cinofilìa come amore per i cani, inteso particolarmente come interesse per l’allevamento e il miglioramento della loro razza. Si parla quindi d’amore, ma anche di utilizzo, di allevamento e di addestramento. Arrivano così alla mente immagini di un cane che nel bosco cerca tartufi o da punta che indica la preda al suo compagno cacciatore oppure un magnifico pastore tedesco attento guardiano e, perchè no?, un maremmano che difende il gregge dagli attacchi dei lupi. Un cane che gioca con un bambino sulla spiaggia, il compagno di un signore anziano che ogni mattina va a fare colazione al bar o un piccolo muso che spunta dalla borsetta di una signora che fa shopping. Un cane diverso per ogni esigenza. Insomma, tutte proiezioni che nell’immaginario comune rispettano la definizione di cinofilia, perché si sa, dove c’è amore c’è condivisione e collaborazione. Ma quello che vediamo o vorremmo vedere corrisponde a realtà? E quanto, siamo inf luenzati dal nostro punto di vista umano? E torniamo allo specismo. E quali sono le figure che nel tempo hanno contribuito allo sviluppo della visione specista?
CENNI di DOMESTICAZIONE Tralasciamo parte della storia della domesticazione e passiamo direttamente alla seconda metà dell’Ottocento con Charles Darwin che, nonostante avesse presentato al mondo l’Evoluzionismo, una teoria rivoluzionaria che permise la liberazione di alcuni studiosi dal paradigma specista, inconsapevolmente avvallò una degenerazione dello specismo in antropomorfismo, rafforzando la convinzione della legittimità dell’uomo nel dominare sugli animali. Scrivono i biologi Ray e Lorna Coppinger in Dogs (2001): «Darwin e coloro che vennero dopo di lui semplicemente supposero che i nostri antenati addomesticarono i cani scegliendo tra le variazioni presenti nelle popolazioni di lupi; dato che, ai tempi di Darwin, le persone creavano razze di cani, era per lui logico supporre che l’avessero fatto anche in passato». Oggi, a distanza di più di un secolo, la teoria più accreditata è quella dei Coppinger, che dopo una quarantina di anni di studio sui cani e sul loro comportamento hanno capovolto la selezione forzata ad opera dell’uomo di Darwin, con la selezione naturale: la teoria dell’avvicinamento spontaneo da parte dei lupi e il loro progressivo stanziare sempre più vicino alla fonte di cibo (discarica e avanzi) ha condotto naturalmente due specie ad incontrarsi, «l’unica cosa che i nostri antenati hanno dovuto fare è stato vivere in villaggi»
(Coppinger, Dogs pag.76). Questa ipotesi cambia i presupposti della prima relazione Uomo/Cane, che da sfruttamento diventa uno scambio mutualistico. Purtroppo per più di un secolo, la visione darwinista, insieme a quella di filosofi e studiosi in vari campi fin dai tempi di Archimede passando per Cartesio e attraversando l’umanesimo del Novecento, ha continuato ad alimentare e giustificare un atteggiamento specista e di dominanza dell’uomo nei confronti del cane (e degli altri animali) che tuttora è presente, non solo come negazione del loro stato di esseri viventi in alcuni Paesi (animali allevati per essere utilizzati come cibo, la cui pelle e pelliccia è conciata per accessori per l’abbigliamento) ma ancora come animali oggetto da far riprodurre a fini commerciali per vari scopi. L’ALLEVAMENTO L’allevamento di cani si consolida iniziando dall’Inghilterra, nel 1873, con la costituzione del primo Kennel Club, un’organizzazione che iniziò la registrazione dei cani di pura razza. Seguirono man mano altri Stati, tra
cui l’Italia, dove nel 1882, fu fondato il Kennel Club. Oggi si chiama ENCI, Ente Nazionale Cinofilia Italiana, agisce sotto le direttive del Ministero dell’Agricoltura ed è affiliato alla Federazione Cinologica Internazionale. L’ENCI è un’associazione di allevatori che ha lo scopo di tutelare le razze canine riconosciute pure, migliorandone ed incrementandone l’allevamento, nonché disciplinandone e favorendone l’impiego e la valorizzazione ai fini zootecnici, oltre che sportivi. (riferimento D. M. n. 20640 del 24 febbraio 2000 da Statuto Sociale ENCI). Compito dell’Enci è catalogare le razze, raccogliere i dati dei cuccioli nati dai soci aderenti che possono essere allevatori con affisso e privati: è l’unico Ente che può rilasciare pedigree. Organizzare manifestazioni nazionali e internazionali di esposizioni, mostre canine, sport cinofili e prove lavoro per ogni gruppo di razze. È un’associazione a carattere tecnico-commerciale. Da poco ha costituito un albo addestratori, con relativa formazione interna all’Ente. Nonostante cerchi di adeguare le sue attività con regolamenti e corsi di aggiornamento per allevatori, insieme
all’ordine dei Veterinari, non riesce ad effettuare controlli su tutte le cucciolate iscritte, attirandosi le critiche di tanti allevatori o cinofili storici che lo accusano di «voler agevolare più i ‘produttori compulsivi’, che gli allevatori seri, quelli che fanno nascere poche e selezionatissime cucciolate all’anno» (Valeria Rossi). Di fatto, serio o meno, l’allevamento dei cani in Italia è perlopiù di tipo zootecnico. Pochi sono gli appassionati, che hanno cani che vivono in famiglia e che si fanno guidare, per gli accoppiamenti, da veterinari genetisti per scongiurare al minimo o addirittura escludere riproduzioni di individui malati. Senza considerare l’aspetto commerciale che, nel tempo, ha attirato sempre più persone, spesso inesperte, ad iniziare il lavoro dell’allevatore con i danni che oggi possiamo verificare in termini di maltrattamento genetico. Gli stessi meticci, un tempo considerati forti e sani, si sono indeboliti per incroci tra cani portatori di tare fisiche e spesso anche neurologichecomportamentali. Osteggiati dagli animalisti antispecisti, sia per il modello zootecnico, sia per il commercio di esseri viventi, gli allevatori si difendono affermando
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antispecismo
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che sì c’è l’improvvisato che inquina la categoria ma esiste anche il serio, colui che non vende vite ma il suo lavoro, la sua esperienza, il suo impegno e la sua passione, riconosciute nelle prove di lavoro e manifestazioni di bellezza. Nonostante ciò, sulle ricevute non si riporta “Consulenza di allevamento” ma “Vendita del cucciolo x”. Lungi dall’essere considerati soggetti, i cani trovano anche nel codice civile, i termini del loro essere oggetti (art. 1496), la cui vendita è totalmente giustificata e regolamentata al pari di un bene di consumo, dove il venditore è tenuto a garantire che “la cosa venduta sia immune da vizi che la rendano inidonea all’uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre il compratore in presenza di tali vizi può scegliere tra la risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo”. (art.1490 e ss.). Non sarebbe il momento di cambiare? Potrebbe essere una prova di serietà e professionalità per gli allevatori seri di allontanare quelli che loro stessi definiscono “cagnari”. L’ADDESTRAMENTO Poi ci sono gli addestratori. Coloro che rendono abili i cani a eseguire compiti adatti alle caratteristiche di razza. Fino agli anni ’70, i metodi di addestramento si riferivano ad una tipologia di tipo militare. Erano i tempi in cui tenere il cane a catena anche solo per punirlo, esigendo un’obbedienza ferrea, era normale, in quanto i cani erano considerati ausiliari dell’uomo. Oggetti da utilizzare in base alle loro diverse caratteristiche di razza, sollecitati a eseguire ordini, in modo meccanico e in alcuni casi violento. Molti dei momenti passati col cane, sono in funzione dello svolgimento di esercizi ai fini di un risultato da portare in prove di lavoro (attacco e difesa, prove di pista e di caccia, condotta, ecc…). Affianco a questa “élite”, ci sono le famiglie, le persone che comprano cani da compagnia o da lavoro e vengono coinvolte dagli stessi allevatori a partecipare alle esposizioni di bellezza e ai vari eventi e gare sportive. Da metà degli anni ’80 in poi si assiste ad una escalation di nascite, acquisti di cuccioli, soggetti malati e abbandoni, con aumento dei canili, vendita di accessori, gadgets a forma di cane; aprono supermercati dedicati, con cibi preconfezionati per ogni esigenza, giochi ecc… Cani per tutti, secondo i modelli dei film americani, dove ogni famiglia felice
ne ha almeno uno in un giardino e in una station wagon. Cani ubbidienti, servizievoli che vivono al fianco dell’uomo secondo i suoi bisogni. Messaggi che dipingono una realtà dove al centro c’è sempre l’uomo e un cane felice di soddisfare le sue richieste. Se alcuni mandano il cane a scuola dall’addestratore, a imparare a comportarsi bene, a fare la guardia (proprio come nei film), altri educano il cane a modo loro, ognuno secondo la propria morale o il sentito dire, che solitamente è un atteggiamento dell’uomo a capobranco. E così iniziano ad affiorare i primi problemi comportamentali derivanti da errori educativi “fai da te”. La soluzione è ancora troppo spesso la catena oppure il giardino, i rimproveri o le botte, pena un morso che decreta il giudizio senza appello: il cane è aggressivo. Perché tutti sognano un Lassie, un Rintintin, un Pongo e una Peggie della carica dei 101 o una Lilly con Vagabondo, così, in pieno boom capitalistico, se il cane non corrisponde all’immaginario che ci si è costruiti, si abbandona, si regala al parente in campagna con la scusa che lì c’è spazio (e forse finirà a catena) o si porta dal veterinario consenziente per una puntura che risolve i problemi comportamentali. Un vero delirio specista. Tra gli anni ’80 e i ‘90, la scuola di riferimento rimane la tedesca e il principio di sottomissione accentua il concetto di uomo-capobranco. Ma le linee addestrative iniziano a dividersi tra coloro che cominciano a sentire di dover trattare i cani con maggiore gentilezza , quelli che preferiscono punirli e gli altri che induriscono la linea tedesca con l’addestramento dei paesi dell’Est Europeo. I primi accolgono il metodo inglese gentile del rinforzo positivo, basandosi su testi come la “Psicologia canina”, di William Campbell, premiando il cane che fa ciò che gli si chiede. I secondi “infastidiscono” il cane, creando disagio e cercando la sottomissione finché non ubbidisce, lavorando perciò con il rinforzo negativo. I terzi, convinti che il cane non soddisferà mai il volere del conduttore se non prova dolore impiccano i cani con collari a strangolo, se non adottano il collare elettrico. Ammettiamolo, nelle performance di lavoro i risultati li ottengono gli addestratori che appartengono alla terza categoria: è più veloce ubbidire che
apprendere. Tuttavia, il metodo gentile si conferma come quello preferito dalla maggioranza dei proprietari e da sempre più addestratori che vedono non solo un vantaggio personale ma anche una migliore disposizione da parte del cane. Dal punto di vista dei modelli comportamentali, si passa dal macchinomorfo, che nega l’esistenza della mente animale a quello antropomorfo, (la mente esiste, come nell’uomo) al mentalistico (la mente è capace di elaborare). Il cane è pur sempre ausiliario dell’uomo, quindi oggetto ma pensante. Il metodo inglese si adatta bene alle esigenze della famiglia a cui non interessa fare sport con il proprio cane ma che desidera una serena e pacifica convivenza, dove ognuno ha il suo ruolo. Il rinforzo positivo viene adottato anche da alcuni addestratori tradizionali e si afferma velocemente soprattutto grazie al sorgere di discipline sportive, come l’agility, l’obedience, il free style, disc dog, dog dance, ecc… che portano sui campi cinofili, non solo il cane, come avveniva in passato ma tutta la famiglia. Queste performance sono utili ad alcuni cani di razza, selezionati dagli allevatori per svolgere compiti particolari, perché non cadano in derive comportamentali in una vita cittadina spesso frustrante. Dagli ’90 ad oggi, si sono adoperati molti metodi, il più gettonato è quello basato su condizionamento operante, rinforzo positivo e negativo, che, di fatto, snaturano un vera relazione e chiudono le porte alla possibilità di creare empatia condivisa. Questo modo di addestrare il cane si basa quindi su un metodo che riconosce all’uomo il “potere” di determinare uno stimolo da rinforzare per poi ottenere una risposta, performativa. È il concetto del Clicker, una scatoletta con un levetta metallica che emette un suono neutro, che funge da intermediario relazionale tra uomo e cane. Inizialmente usato per addestrare i delfini, il clicker viene applicato da Karen Pryor e Gary Wilkes anche al cane. Ancora, però il cane è ancora considerato “da qualcosa”, come del resto gli altri animali allevati in maniera zootecnica (da cibo, da vestiario, da accessori) da guardia, da difesa, da caccia, da compagnia. Leggiamo da “il Cane Utile” di Piero Scanziani: “ il nostro prestigio e il nostro puntiglio vanno posti nel comprendere l’animale che ci è ausiliario e compagno. La collaborazione tra uomo e cane si basa dunque sulla capacità di comunicare, ossia
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sulla nostra comprensione del linguaggio canino”. Si crea sì una relazione tra Uomo e Animale, dove l’essere umano considera diverso da sé l’animale, anche nella capacità di governare gli istinti (“il cane è un cane”) e gli riconosce della cognizione, ma prevalentemente in funzione delle cose che il cane stesso riesce ad imparare, secondo schemi umani. Un pensiero oppositivo: «sei diverso da me, perché animale-cane», «in quanto diverso, non sei uomo». Negazione dell’alterità, che non impedisce un legame affettivo tra proprietario/ padrone e i suoi cani ma ne limita l’estensione ad una profonda e concreta conoscenza delle modalità di interazione della specie e dell’individuo cane. Nell’addestramento, c’è ancora una perdita dei valori autentici, legati alle caratteristiche individuali e istintuali degli esseri viventi e un delimitare la relazione ad un sorta di competizione volta a stabilire chi domina l’altro, per ottenere un risultato. Con la diffusione della Zooantropologia e dell’approccio zooantropologico-cognitivo si cercherà di superare questo limite. La ZOOANTROPOLOGIA e Il COGNITIVISMO «La zooantropologia è interessata alla scintilla che scocca tra i due poli
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umano e non-umano: nel rispetto delle loro peculiarità e attitudini; nella costruzione del tessuto relazionale specifico; nella capacità ibridati; nell’emergenza di nuove qualità espressive e performative; nello sviluppo di contenuti referenziali che modificano e arricchiscono i due partner; nella soddisfazione dell’intesa performativa e nell’accordo di partnership». (R. Marchesini, Fondamenti di Zooantropologia, p.160) «Le parole chiave dell’approccio cognitivo sono: sviluppo armonico delle componenti mentali del soggetto; arricchimento del piano prossimale di esperienza; potenziamento delle dotazioni cognitive del soggetto; aumento della f lessibilità di risposta dell’individuo; costruzione dei meccanismi di autoreferenza (memoria, somestesi, cinestesi) e di autoefficacia». (R. Marchesini, Pedagogia cinofila) Per la prima volta si parla di relazione, dove si cerca di strutturare una base teorica a sostegno di un interazione tra due specie diverse finora vissuta come spontanea, utilitaristica, zootecnica e addestrativa. Cambia l’attenzione al cane, al suo modo di comunicare e l’uomo è chiamato a modificare i suoi paradigmi relazionali: per esempio, il concetto di capobranco inizia ad essere superato dal ruolo di “genitore”. Osservare i cani nelle loro dinamiche interattive sia con altri conspecifici
sia con noi umani, offre la possibilità di comprendere l’altro. Sembra che finalmente stiamo superando lo specismo e l’antropocentrismo… Ma non è facile come sembra. Al supporto teorico si deve affiancare necessariamente la pratica e un continuo aggiornamento: «… all’improvviso mi imbattei in una scienza che mi gettò letteralmente nel caos: l’etologia cognitiva. L’etologia cognitiva è la disciplina che indaga le cause mentali del comportamento degli animali non umani, come le emozioni, le credenze, i pensieri e l’elaborazione delle informazioni. Realizzai che se avessi capito come applicare le conoscenze del paradigma cognitivo al dog training, i risultati che avevo – già soddisfacenti – sarebbero ulteriormente migliorati». (Angelo Vaira, “Dritto al cuore del tuo cane”) L’EDUCAZIONE e ALTRO Marchesini e Vaira sono i fondatori di due Scuole, rispettivamente SIUA e THINKDOG che hanno il merito di aver diffuso su larga scala una cultura di base diretta agli operatori dei canili fino agli istruttori. Tutte figure che seguono l’approccio zooantropologico-cognitivo. Angelo Vaira nei suoi corsi come nel suo libro, parla di “agevolatori della relazione”, che aiutano il binomio cane/compagno umano a comprendersi. Altre non
meno rappresentative, come la CReA, si occupa anche di formare Consulenti Riabilitativi. Permangono l’uso del clicker e una notevole varietà di esercizi che per la SIUA sono atti a formare anche cani coinvolti in programmi di pet-therapy oltre a costituire un modo per condividere momenti educativi relazionali. “Noi “thinkdoggers” non intendiamo gli esercizi come un modo di mettere il cane al nostro servizio ma, al contrario, come il mezzo attraverso cui soddisfare i suoi bisogni e poterlo gestire in caso di necessità”. (A. Vaira). Da qualche anno si stanno affermando varie attività rivisitate dal punto di vista zooantropologicocognitivo, sia di lavoro (protezione civile) sia sportive, vissute non con fini performativi-competitivi ma come gioco, sviluppo, rafforzamento dei legami, socializzazione, realizzazione e soddisfacimento dei bisogni. Come viene accolta questo approccio dai vecchi cinofili? Senza entrare nel merito delle polemiche, dei contrasti, delle gelosie, invidie, critiche tra i vecchi cinofili e i nuovi, basti dire che in un processo in evoluzione è facile trovare resistenze al cambiamento, che si manifestano con affermazioni legittime di superiorità di esperienza, di pratica, di metodi… Ma non sarà che, in queste lotte tra umani, i cani, spesso usati come prova della validità di un
approccio versus “metodo” versus “tutto ciò che non siamo noi” e viceversa, siano stati un po’ “dimenticati”? Se la risposta è sì, potrebbe essere un sintomo di specismo tra umani. Certo è che siamo ancora in una fase di transizione. Molti errori sono stati fatti. La cinofilia specista e antropocentrica non ha più senso di esistere di fronte a delle necessità concrete di “superproduzioni”, di abbandoni, di cani malati, di milioni di esseri viventi imprigionati senza aver recato danno e di adozioni sconsiderate. Sarebbe auspicabile che l’approccio zooantropologico, fosse adottato anche nell’addestramento dei cani che collaborano in polizia, nel soccorso, come compagni dei portatori di handicap, ecc.. CONCLUSIONI Siamo ancora in “work in progress”, nell’allevamento, nell’addestramento, nell’educazione. Le esigenze di trovare nuovi equilibri, in questo rapporto con gli animali ci spingono a non fermarci e cercare di individuare in ogni momento i germi specisti in noi, accettando il cane (e tutte le specie) senza specchiarvici. Nel procedere il rischio potrebbe essere quello di cadere nell’antropomorfismo. Imparare a leggere il linguaggio, a percepire le emozioni, ad ascoltare
soprattutto gli animali domestici, se conduce ad un inizio di presa di coscienza verso una animalità di non solo istinto (stimolo/risposta), porta in sé anche dei “peccati” che finiscono, in nome dell’antropocentrismo, di cui è affetto l’essere umano, ad attribuire caratteristiche e qualità umane agli animali oltre ad una sorta di estremizzazioni che vanno dall’eccesso di cura al credere che le necessità animali siano in tutto e per tutto uguali a quelle umani. L’esasperazione dell’amare talmente tanto ha condotto spesso molti ad immedesimarsi in un cane che soffre o in un randagio, in modo così emotivo e ansioso da non lasciare spazio all’animale stesso, non considerare oggettivamente la sua situazione e i suoi bisogni ma sviluppando una smania di salvarlo a tutti i costi. Questo atteggiamento oscura la consapevolezza e la capacità di riconoscere l’alterità animale, con lo stesso diritto alla libertà di vivere e di essere secondo il suo etogramma (filogenenesi e ontogenesi). Tale degenerazione è riscontrabile, per esempio, nei tanti casi in cui cani liberi, considerati sofferenti o mal supportati sul territorio sia da amministrazioni locali sia da “persone competenti e consapevoli”, vengono sradicati dal loro contesto ed esportati come oggetti contro la loro volontà, per poi essere chiusi in case, giardini, rifugi o canili, con il solo obiettivo
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etica
di essere”tolti dalla strada”. Un male minore, questo, che produce effetti comportamentali a volte devastanti in termini di paure, fobie e aggressività. Un’esasperazione animalista che finisce per ricadere nello specismo e nell’antropocentrismo. D’altro canto, il non considerare, l’ignorare, il non agire, come l’astensione per non giudicare, rappresentano il rovescio della medaglia. E allora che fare? Mettersi in gioco, in discussione come umani (finalmente) con una visione dinamica non f lagellante, consapevole e serena. Provare a migliorarsi, a considerarsi né padroni né salvatori del mondo ma semplicemente abitanti, insieme ad altri che non vivono per noi ma con noi. Vuol dire questo, l’assurgere al valore più alto di essere Umano? Comprendere l’Altro, senza proiezioni di sé, così come è, coi suoi bisogni, la sua specie, filogenesi e ontogenesi e il suo diritto alla vita? E come correggere l’interpretazione di un rapporto con l’alterità Cane che dal fraintendimento darwinista ha portato ad un certo tipo di allevamento, di addestramento e di educazione ecc…, dove l’uomo si considera guida e leader indiscusso nella relazione con il cane, ancora oggi spesso condizionato a comportarsi secondo regole imposte? Potrebbe essere risolutivo ricordare come nasce il nostro incontro, abbracciando la visione più reale: dei cani e degli Uomini che imparano ad avere fiducia l’uno nell’altro, vi trovano reciproca sicurezza, diventano componenti della stessa famiglia, crescono, si addomesticano reciprocamente, si rispettano per identità e bisogni diversi, realizzando se stessi come individui unici e interi che cooperano, camminando insieme. Perché non provare da ora in poi a scrivere una nuova storia, facendo tesoro dei passi percorsi, mettendo da parte le teorie (una volta apprese) e immergersi nella realtà per creare
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una antica rinnovata convivenza con il cane? Infine, ampliare la visione, perché dopo aver osservato e riconosciuto nel cane abilità cognitive, capacità di provare sentimenti, soffrire e gioire, è necessario accettare la diversità di tutti gli Animali, non solo come specie ma anche e soprattutto come individui, compresa la specie umana, il che può porre l’essere umano a recuperare realmente in se stesso l’animalità perduta. Un istinto, troppo a lungo negato che permette di sviluppare empatia e relazione. Dare vita ad una nuova realtà, dove tradizioni dogmatiche e consuetudini ego/antropocentriche lasciano il posto all’ impegno di portare avanti scelte coraggiose e coerenti a 360° antispeciste ed ecocentriche, nel rispetto delle biodiversità? Sarà questa la sfida del secolo? *giornalista,educatrice cinofila
Bibliografia: Treccani, Wikipedia, Barbara Gallicchio “Lupi Travestiti” Ed.Cinque, Valeria Rossi “Ti Presento il Cane”, sito ENCI, Raymond e Lorna Coppinger “Dogs”, Piero Scanziani “Il Cane Utile”, Codice Civile, William Campbell “Psicologia Canina”, Peter Singer “Liberazione Animale”, Tom Reagan “I diritti animali“, Konrad Lorenz “E l’uomo incontrò il Cane”, Melanie Joy “Perchè amiamo i cani, mangiamo i maiali e indossiamo le mucche”, Roberto Marchesini “Fondamenti di Zooantropologia, Zooantropologia Applicata”, Karen Pryor “L’Arte di addestrare il Cane” e “Addestrare con il Clicker”, Sándor Bökönyi “Il Mondo dell’Archeologia”, Fabiana Romano “Test Etologia Relazionale”, David Mech “Prolonged Intensive Dominance Behavior Between Gray Wolves, Canis lupus”, Marc Bekoff Ph.D. in Animal Emotions “La dominanza sociale esiste ma è stata fraintesa ed usata impropriamente”, 2012, M. Bekoff “The emoziona lives of Animals”, “Dalla Parte degli animali, Etologia della mente e del cuore”, Angelo Vaira, “Dritto al cuore del tuo cane”.
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le ricette
halawah temar / stefano momentè
200 g di datteri denocciolati qualche prugna secca morbida 60 g di noci tritate 60 g di mandorle tritate 1-2 cucchiai di farina di cocco Tritare i datteri. Se si utilizzano datteri confezionati passarli prima sotto l’acqua corrente per eliminare un po’ della loro zuccherosità. In una ciotola mescolare i datteri con le noci e le mandorle tritate per rendere omogeneo il composto. Formare della palline. Spargere la farina di cocco su un tagliere e passarci le palline appena formate. Per un tocco più occidentale si può utilizzare al posto del cocco della polvere di cacao. Servire.
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hummus del sole
Lasagne di pane carasau
2 spicchi d’aglio 2 cucchiai di tahina 1 limone 1 mazzetto di prezzemolo 1 pizzico di peperoncino e/o paprica 2 cucchiai di olio extravergine di oliva 80 g di pomodori secchi rinvenuti in acqua bollente 1 avocado sesamo nero sale
1 confezione di pane carasau 250 g di pomodori 550 g di patate lesse 1 cipolla bianca media 1 manciata di capperi sotto sale lavati 1 l di besciamella lievito alimentare, origano (ma anche salvia), sale e olio extravergine d’oliva 4 cucchiai di latte di soia per la besciamella (1 litro): 9 cucchiai di farina di riso 6 cucchiai di olio e.v. di oliva 1 l di brodo vegetale sale un pizzico di noce moscata
Mettere nel frullatore i ceci, la tahina, il succo di limone, gli spicchi d’aglio pestati, se necessario dell’acqua, e il sale; frullare a bassa velocità per 30 secondi fino ad ottenere un composto omogeneo abbastanza denso. Aggiungere i pomodori tagliati a striscioline e fare ancora un giro di frullatore Disporre in una ciotola comune e decorare con il prezzemolo tritato, un pizzico di peperoncino e/o paprica e un filo di olio d’oliva. Servire su pane tostato, con delle fettine sottili di avocado e una spruzzata di semi di sesamo nero.
Hummus del sole foto di Alessandra Schettino
In una padella scaldare un po’ d’olio e farci saltare i capperi, la cipolla tagliata a pezzettini piccoli e le patate lesse fatte a dadini. Salare e condire con origano a piacere e un pò di pepe e spegnere. Lavare e tagliare a pezzettini i pomodori e condirli con olio e sale. Mischiare i pomodori al composto di patate e cipolle. Prendere una teglia e iniziare a fare gli strati: besciamella sul fondo, pane, composto di patate e pomodori, besciamella, pane, composto fino a finire gli ingredienti. Terminare con pane coperto di besciamella. Cospargere con qualche cucchiaio di lievito alimentare e un pizzico di sale. Bagnare con il latte. Fare riposare un’oretta e infornare a 180° fino a doratura della superficie.
Lasagne di pane carasau foto di Alessandra Schettino
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le ricette
seitan veneziano balsamico 500 gr di seitan al naturale 2 grosse cipolle rosse aceto balsamico q.b. sale (assaggiare prima) olio extra vergine di oliva Tagliare le cipolle a metà e poi a fettine sottilissime. In una padella larga versare un paio di cucchiai d’olio, poi le cipolle. Farle imbiondire un po’ e quindi spruzzarre almeno un cucchiaio d’aceto balsamico, lasciarloevaporare, e quindi versarvi il seitan. Far cuocere lentamente, aggiungendo un po’ d’acqua ogni tanto. Quando il seitan sarà un po’ gonfiato e le cipolle saranno tenere, spegnere il fuoco e lasciare insaporire per una decina di minuti almeno. Riscaldare e servire.
barbabietole e arance in insalata 350 gr di barbabietola cotta 2 arance sbucciate e tagliate a fette 20 gr di noci 2 cucchiai di succo d’arance 1/2 cucchiaino di succo di limone sale e pepe 2 cucchiai di olio extravergine d’oliva Asciugare le barbabietole e affettarle. Sistemare barbabietole e arance sovrapponendo a raggiera le fette su un piatto di portata o sui piattini Tostare le noci in forno preriscaldato a 175° per circa dieci minuti. Tritarle finemente e spargerle sopra barbietole e arance. In un frullatore, mescolare il succo di arancia, quello di limone e un po’ di sale e aggiungerevi l’olio mescolando
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continuamente. Versare il condimento sull’insalata. Cospargere di pepe e servire immediatamente. fonduta al cioccolato con frutti rossi e gialli cacao amaro q.b. mezzo bicchiere (o meno) latte di soia zucchero moscovado q.b. aroma di vaniglia o arancio tofu cremoso (opzionale) mele, pere, ananas sbucciati e tagliati a piccoli pezzi banane a rondelle di un paio di centimetri fragole intere o (se grandi) divise a metà Le quantità da utilizzare variano a seconda delle dimensioni del recipiente per fonduta. Calcolare che bisogna ottenere una crema di cacao, latte di soia e zucchero, aromatizzata a piacere, molto densa. A piacere, per renderla più cremosa e ricca è possibile aggiungere del tofu cremoso frullato. Una volta stemperato bene il cacao, far riscaldare bene la crema a bagnomaria, sempre mescolando, e poi passarla nel recipiente per fonduta da portare in tavola. Accendere il fornelletto o la candelina e immergere la frutta, già sbucciata e tagliata, con le apposite forchettine.
evento esaustivo
vegan.
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