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Riaprire il Cantiere delle riforme Costituzionali
cui non si è stati in grado di contrapporre delle proposte alternative popolari e comprensibili dall’opinione pubblica; b) del rapporto con le constituency dei due alleati di Governo per coglierne le linee di dissenso, disagio e finanche frattura che nel corso del primo anno di legislatura sono emersi qua e là, con intensità crescenti, ma con scarsa capacità dell’Opposizione di canalizzarli nell’alveo di una rappresentanza sociale e politica di dissenso esplicito.
Tali considerazioni costituiscono la premessa di un discorso metodologico rivolto alla necessità di abbandonare le illusioni su un prematuro collasso dell’alleanza M5s-Lega e concentrarsi piuttosto sulla formazione di un ‘Governo ombra’ che si assuma la funzione e la responsabilità di rappresentare per il Paese una garanzia di serietà, affidabilità, governabilità alternative allo sfasciume gialloverde.
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Ma per procedere in tale direzione ed essere credibili, bisogna mettere in campo una progettualità di conio raffinato e di valenza complessiva, che richiede al tanto invocato e prefigurato vasto campo democraticoprogressista, più che retoriche chiamate all’unità ed all’aggregazione, la elaborazione e la condivisione di scelte strategiche sulle molte materie, dal campo sociale a quello economico, dall’ambito istituzionale a quello della politica internazionale, dalle politiche dell’immigrazione a quelle della giustizia, nelle quali i nodi da sciogliere e le contraddizioni restano numerosi, rendendo finanche più facile la navigazione ad un Governo che può giovarsi di un’Opposizione fragile ed ondivaga. Da qui parte il nostro discorso per tracciare le coordinate di un Progetto di rigenerazione Italia.
Aria, idee e leadership nuove. Con il civismo, per la rinascita della Democrazia Italiana. (parte 17di40)
“Vorrei proporre di togliere dall’agenda delle cose urgenti da fare le riforme costituzionali. Non si tratta solo di un pregiudizio, che pure c’è. Sono infatti sempre più convinto che Edmund Burke non avesse tutti i torti nelle sue riflessioni sulla Rivoluzione francese: sperare di cambiare radicalmente le modalità di organizzazione del potere politico attraverso leggi e decreti non è una pretesa sensata. Certo, molto può cambiare a causa di un decreto, ma — purtroppo — quasi mai nella direzione che il legislatore avrebbe voluto imprimere: nessuna riforma costituzionale è riuscita a realizzare l’immagine ideale che essa avrebbe voluto perseguire. Ma c’è di più: nessuna riforma costituzionale può assicurare un governo migliore, perché questo dipende da virtù che non stanno (almeno in misura sufficiente) nelle leggi, ma negli uomini: e non solo in quelli che ci governano” Roberto Bin — Cose serie, non riforme costituzionali
Purtroppo per tutti coloro che, con una certa dose di entusiasmo ed ingenuità, si erano gettati impetuosamente a sostenere la battaglia per la Riforma con il Referendum costituzionale del 2016, le parole sagge e caustiche del prof. Roberto Bin sono state pronunciate invano… E, nonostante le cicatrici ancora doloranti di un’avventura finita con la clamorosa ed inequivocabile bocciatura del PdL Boschi-Renzi, il desiderio per la riapertura di un ‘cantiere’ per rimettere in pista un processo di ristrutturazione istituzionale, a partire dal mettere mano all’elefantiasi ed al parassitismo procedurale del Bicameralismo, diventato ancora più assurdo e paradossale in una Legislatura in cui la
patologica competizione interna della coalizione di governo gialloverde evidenzia l’effetto di una progressiva emarginazione del Parlamento98 , perché:
“Se nelle intenzioni della maggioranza c’era quella di rimettere il Parlamento al centro delle dinamiche legislative, certamente quello che è avvenuto in questi sei mesi va nella direzione opposta99”; questa è la valutazione di Openpolis, numeri alla mano.
Non appare un intendimento velleitario quello di riaprire la discussione e l’iniziativa sull’impianto costituzionale, alla luce dei pronunciamenti e delle concrete azioni avviate e sostenute a livello parlamentare dal Ministro per le riforme istituzionali Riccardo Fraccaro100
Certo, il clima politico generale caratterizzato dai due focolai dell’accesa conflittualità nel rapporto M5s-Lega ed in quello Governo-Opposizione non prelude all’assunzione di un atteggiamento pragmatico da parte di Deputati e Senatori che per ragioni contrapposte correlate alle posizioni assunte il 4 dicembre 2016, coltivano sentimenti che non inducono alla conciliazione bensì al contrappunto polemico101 .
Eppure, un po’ di bonaccia gioverebbe a tutti gli schieramenti, per riportare la discussione sul terreno proprio di un riformismo operoso e non ‘minaccioso’, che è l’approccio giusto per alimentare le resistenze e gli alibi a tutti i conservatorismi che abbiamo visto in azione in occasione dell’ultimo Referendum.
L’auspicio ad assumere un atteggiamento ‘proattivo’ è quello espresso da Andrea Pertici, Professore ordinario di diritto costituzionale nell’Università di Pisa, che giudica “L’approccio alla nuova stagione di riforme costituzionali è quello giusto”. Non ci fa velo il fatto che tale valutazione venga da un esponente del NO, per la ragione che riteniamo prioritario e fondamentale privilegiare il riavvicinamento dei cittadini ai temi in discussione e l’avvio di azioni concrete di efficientamento e semplificazione dell’intero sistema. Condividiamo quindi, al di là dei giudizi di merito sui singoli punti di una materia che si presenta complessa, l’analisi proposta sul piano metodologico:
“Il ministro Fraccaro rilancia le riforme costituzionali con uno stile molto distante da quello con cui esse sono state affrontate nella scorsa legislatura. Anzitutto gli intenti di riforma sono misurati. Non intendono mettere a soqquadro l’intera seconda parte della Costituzione, ma intervenire su alcuni punti specifici, che, se si è ben capito, riguardano il numero dei parlamentari, il quorum di validità del referendum, le proposte d’iniziativa popolare, il referendum propositivo, il Cnel e il giudizio delle Camere sulle elezioni dei propri componenti”…. “Le proposte di modifica sarebbero contenute in disegni di legge distinti, per non mettere insieme questioni diverse e dare agli elettori, in caso di referendum, la libertà di scegliere su ciascuna, votando anche in modo differente per le diverse modifiche costituzionali. Si tratta di un approccio che condividiamo. Anzi, che avevamo proposto più volte, durante la lunghissima discussione sulle riforme costituzionali della scorsa legislatura102”. Il fatto su cui bisogna ritornare a riflettere è che, come ha sottolineato Stefano Semplici:
98 Così il Governo giallo verde ha emarginato il Parlamento https://bit.ly/3dyxIJ0 99 Scardinare lo stato di diritto, ecco il vero programma del governo gialloverde https://bit.ly/3EFyMqC 100 "Aboliremo il Cnel". Intervista a Riccardo Fraccaro https://bit.ly/3oALL7s 101 Riforme, il ministro Fraccaro al Tg1: con primo sì a ddl taglio parlamentari abbiamo posto prima pietra per nuovo Parlamento https://bit.ly/3EJyMG3 102 L'approccio alla nuova stagione di riforme costituzionali è quello giusto https://bit.ly/3y8s221 56
“Non basta riformare le istituzioni, ma bisogna ritrovare le ragioni etiche e culturali della ’solidarietà politica, economica e sociale’ che l’articolo 2 della Costituzione affida come obiettivo e come impegno a tutti gli italiani. Potrebbe essere però un primo passo”. C’è stata, sulla questione costituzionale, davvero troppa ostentazione ‘muscolare’ nei Palazzi e intorno alle urne; esauritasi la causa scatenante dello scontro sulla Riforma Costituzionale, essa si è riversata sulla questione immigrazione e si è trasformata in una sorta ossessiva propensione al contradditorio senza ascolto, al pregiudizio ostativo di ogni confronto anche nei casi, come la riorganizzazione della struttura dello Stato che è auspicata da tutte le parti politiche, seppur con opinioni articolate sulle soluzioni operative.
Seppur datate, risultano pregnanti e valide le considerazioni espresse da Semplici103 .
La visione ed il pragmatismo auspicati per il ‘Cantiere nazionale’ dovrebbero risultare scelte tanto più convincenti ed operative per quanto attiene gli atti e le iniziative in corso per il rafforzamento delle Autonomie Regionali.
Ma dopo l’Accordo fra lo Stato (Governo Gentiloni) e le regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto in attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione, che aveva incanalato un processo che sembrava focalizzarsi su misure e cambiamenti realistici e concreti, il confronto e la discussione sono precipitati nella malmostosa querelle tra i litigiosi partner grillini & leghisti che ha spostato il focus dal modello della ripartizione delle competenze tra Centro e Periferia al conflitto della redistribuzione delle risorse finanziarie, chiamando in causa il fantasma della ‘secessione dei ricchi’ (del nord) a scapito delle penalizzate Regioni del sud.
Si è così determinata una situazione paradossale, particolarmente in Veneto, nella quale si è assistito ad un crescendo rossiniano di balle raccontate ai cittadini sul ‘miracoloso’ progetto autonomistico e di bolle mediatiche di un racconto del tutto disancorato dalla realtà.
Cosicché c’è una domanda che qualsiasi veneto, non appartenente al Gruppo degli aficionados del ‘Capitano’ Salvini, si pone da tempo in modo pressante, ancor di più dall’avvento del Governo gialloverde: può il Presidente della regione Luca Zaia, che (con il supporto di un imponente staff di comunicatori, giornalisti e avvocati) ci tiene ad essere riconosciuto e legittimato per l’equilibrio ed il pragmatismo che lo contraddistingue, fidarsi di e subire passivamente la leadership di un personaggio che nel corso di 25 anni di carriera politica intrisa di logorroica propaganda ed inconcludenza operativa, ha manifestato caratteristiche antropologico-culturali e percorsi di vita personale da farne un professionista del voltagabbanismo?
Anche evitando valutazioni moralistiche e sorvolando sugli innumerevoli cambi di felpa e di opinione su questioni cruciali (dall’euro ai ‘terroni’), come può un cittadino veneto laborioso ed autonomista, cioè orientato dai valori dell’impegno personale, della sfida imprenditoriale, della cultura della sussidiarietà e del rifiuto del centralismo burocratico-parassitario, dare credibilità al Segretario leghista e vicepresidente del Consiglio che in 9 mesi ha partorito una sequenza di provvedimenti che hanno rappresentato autentiche coltellate alla schiena delle Regioni settentrionali (dal Decreto ‘dignità’ alla deriva assistenzialistica fino al sostanziale blocco delle infrastrutture)?
Tali considerazioni portano a ritenere che la strada lepenista imboccata da Salvini costituisca una scelta senza ritorno, difficilmente conciliabile con un disegno di riforma dello stato di impronta federalista.
103 È tutta colpa del proporzionale? Un’idea per un bicameralismo del rispetto https://bit.ly/3EIlgTg e Riaprirà il cantiere delle riforme? https://bit.ly/3oDtJBB