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Cosmotecnica. La questione della tecnologia in Cina Condividi

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4 Pseudoscienza

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Quei sei anni entreranno a far parte della storia di un’istituzione che ha saputo rinnovare il suo patto con Padova, la città che nel 1222 accolse studenti e professori alla ricerca di un luogo in cui poter coltivare, nella libertà, lo studio e il sapere. È un vincolo che si riscrive continuamente e che, in occasione delle prossime elezioni, dovrà non solo indicare nuove tracce in un mondo in grande cambiamento, ma misurarsi con le solide impronte lasciate. “

Cosmotecnica. La questione della tecnologia in Cina Condividi

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di Yuk Hui. Produzioni Nero, 2021 https://bit.ly/3qsb6QC

Perché la Cina non punta solo a surclassare economicamente l’Occidente, ma anche ad egemonizzarlo culturalmente

Vi costerà molta fatica, lo premetto, perché il libro che vi propongo con la settima puntata della rubrica –richiede un’intera estate per essere letto, compreso nel messaggio universale che l’autore, filosofo cinese, vuole lanciare, e giunti al termine delle fitte 287 pagine, ineluttabilmente costringe a fare i conti con le enormi dissonanze cognitive che provoca, ovvero con il radicale cambio di paradigmi culturali che propone per illustrare il paradosso di una Nazione diventa rapidamente una Potenza economico-militare globale attraverso un’accelerazione dello Sviluppo poggiato sulle innovazioni tecnologiche più portentose e spettacolari.

E tutto ciò nonostante che nel Pensiero filosofico cinese non sia mai esistita una concezione della tecnica.

Pensate al baratro culturale che un tale vuoto può determinare con un Occidente i cui pensatori più sensibili ed illuminati sono stati ossessionati dagli impulsi e dalle conseguenze della ricerca Faustiana di dominio sulla Natura, oppure dall’angoscia esistenziale leopardiana dell’avvento di una Scienza che l’immenso recanatese pensa e dice essere il modo migliore per “spiegare come va il mondo”, ma non può spiegare “il senso del mondo”.

Per non affrontare la questione, per molti versi drammatica nel nostro Paese, della frattura tra una Cultura umanistica, scolastica e rarefatta, con le profonde influenze crociane e gentiliane, e la Cultura tecnicoscientifica che pur poggiando su una solidissima base ed esprimendo esponenti di altissimo profilo, ha sempre dovuto scontare resistenze e passività che hanno inciso sul processo di modernizzazione del Paese.

La stagione pandemica, tra le altre cose, ha fatto emergere la sacca di subculture antiscientifiche che si annidano anche in pensatori e filosofi magari brillanti sul terreno delle loro discipline accademiche, ma balbuzienti quando si tratta di comprendere e valutare l’impatto di innovazioni tecnico-organizzative necessitate le politiche pubbliche finalizzate alla tutela della salute.

Non posso astenermi dal citare una vicenda veneta che ha visto una gigantesca Infrastruttura progettata e realizzata con il ricorso alle risorse più raffinate della Ricerca e della Tecnologia, contestata con argomenti capziosi da un filosofo restio ad accettare che le sue mappe conoscitive – oltretutto oscurate dalla presunzione intellettuale - non sono in grado di penetrare la rarefazione e la complessità della pianificazione di un’opera straordinaria e potente come il Mose.

Beh, ora immaginate che queste difficoltà, queste aporie, nelle menti delle classi dirigenti cinesi non esistono e non condizionano le scelte di sviluppo, ispirate come sono da un concetto nuovo, quello di cosmotecnica, cioè “l’unificazione tra ordine cosmico e ordine morale per mezzo di attività tecniche”. 218

Le conseguenze sono state nel recente passato enormi e visibili nell’esplosione di un’economia le cui realizzazioni stupefacenti abbiamo visto con le Città sorte dal nulla, i collegamenti stradali e ferroviari portentosi, la fuoriuscita dalla condizione di povertà endemica per una larghissima quota di una popolazione enorme.

Ma esse saranno ancor più formidabili nell’immediato futuro nel quale si gioca la supremazia mondiale nell’ambito di tutti i settori della Ricerca e dell’innovazione tecnologica, dalle neuroscienze alla guerra cibernetica, dalla conquista dello spazio alla logistica terrestre e marina… Capite bene che Europa ed Usa sono sollecitate a dotarsi di una visione e di un pensiero in grado di competere non solo sul terreno prettamente economico, ma anche filosofico-culturale.

Cosmotecnica diventa una lettura essenziale perché aiuta a comprendere l’approccio antropologico del Dragone e nello stesso tempo propone un testo basico per orientare la riflessione ed il confronto sul passaggio epocale dal tempo dominato dalla concezione occidentale della modernizzazione a quello di un’accelerazione dello sviluppo ipertecnologizzato nel quale la Cina si propone con convinzione e determinazione ad esercitare il ruolo trainante e dominante.

Siamo in presenza di un testo per molti versi imbarazzante perché, per usare un’espressione forte, l’autore Yuk Hui “ci scava sotto i piedi”, anche se non intende – diversamente da alcune componenti della classe dirigente comunista cinese – seppellire la nostra storia culturale, le nostre chance di essere coopetitivi nella gara che si è aperta.

Un segno di tale imbarazzo lo si può riscontrare nella recensione che riporto di seguito che ha il merito di avviare l’analisi ed a a segnalare i rischi derivanti dall’incipiente egemonia culturale cinese. Un lavoro a cui dovranno dedicarsi in molti: dalle leadership politiche ed imprenditoriali agli esponenti della decadente ed autoreferenziale cultura umanistica.

Naturalmente, un impegno anche per noi che in questa occasione ci siamo limitati ad un primo assaggio.

In Cina l'idea di tecnica è diversa perché è diversa la metafisica

Alfonso Berardinelli, il Foglio, 31 luglio 2021

Il filosofo cinese Yuk Hui scrive "Cosmotecnica": noi abbiamo sempre separato mente e corpo, natura e spirito, loro no. Una diversa antropologia culturale che aiuta a elaborare una nuova e comune concezione della tecnologia.

Benché la mia etica o deontologia giornalistica sia difettosa e instabile, mi permette tuttavia di capire che in un articolo di giornale è quantomeno acrobatico, o anche un po’ comico, affrontare grandi problemi filosofici. Mi consolo con un pensiero del grande poeta spagnolo Antonio Machado, che in uno dei suoi aforismi dice che “la prosa non si deve scrivere in tono troppo serio” e “quando si dimentica l’umorismo, buono o cattivo, si cade nel ridicolo”. Molta prosa filosofica attuale (ma questo succede da più di mezzo secolo) è non consapevolmente ridicola per mancanza di senso del limite. E quando ridicoli sono i libri, non si può temere di essere comici in un articolo. Soprattutto se l’umorismo è il solo modo che permetta di prendere le misure di ciò che viene scritto e del modo in cui si scrive iperfilosofando… Mi azzardo perciò a dare poco più che notizia di un libro senza dubbio non facile da leggere, ma il cui contenuto e tema è sia filosofico che politico, geopolitico, storico e antropologico.

Si tratta di Cosmotecnica. La questione tecnologica in Cina di Yuk Hui, filosofo cinese, docente alla City University di Hong Kong, che conosce bene la tradizione filosofica occidentale dai Presocratici a Husserl, Heidegger, Marcuse e vari contemporanei. Il libro, appena uscito da Nero Edizioni (pp. 287, euro 20), è tanto

interessante quanto impegnativo. Mi chiedo quanti studiosi di filosofia abbiano una sufficiente competenza in materia di pensiero orientale e occidentale. Ma l’impegno che un tale libro richiede al lettore è compensato dall’interesse, come dicevo, della notizia che trasmette: il gigante economico, sociale e politico che oggi è la Cina, destinata probabilmente a superare gli Stati Uniti anche nella produzione di nuove tecnologie, non ha però della tecnologia la stessa idea che si ha in Occidente. Un’idea fin troppo ispirata da vari cortocircuiti semplificanti dovuti all’interpretazione che Heidegger ha dato della metafisica greca; ma anche dalla separazione tra pensiero e materia stabilita da Cartesio; e infine dall’opposizione di Kant tra fenomeno (ciò di cui si può avere esperienza sensibile) e noumeno (ciò che le cose sono in sé, cioè pensabili ma non esperibili). Ecco, dice Yuk Hui, la cultura cinese pensa la tecnologia e i suoi problemi secondo una tradizione culturale del tutto diversa anche nella sua terminologia, in cui si mescolano taoismo, confucianesimo, buddhismo e quanto resta del marxismo maoista (di quest’ultimo, però, mi pare che Yuk Hui non parli abbastanza).

Cosmotecnica si divide in tre parti. Dopo una lunga introduzione si esaminano separatamente da un lato il pensiero tecnologico cinese e dall’altro il rapporto fra modernità occidentale e coscienza tecnologica. In Cina non è mai esistito, per esempio, ciò che in Occidente è indicato con il termine “modernità”. L’ipotesi sostenuta da Yuk Hui è che “in Cina la tecnica nel senso in cui la intendiamo oggi – o almeno in cui è definita da alcuni filosofi europei – non è mai esistita”. All’origine di questa diversità c’è una diversa cosmologia e metafisica, una diversa idea del rapporto fra il cosmo e il genere umano. In questo senso la tecnica è sempre una “cosmotecnica”, cioè un modo di concepire quella che in Occidente si presenta come una opposizione fra tecnica e natura, fra gli strumenti che usiamo e l’intera realtà non umana, fra le nostre azioni e lo sfondo dell’intera realtà. Dove noi occidentali separiamo e opponiamo, i cinesi tendono a unire. E questo non dovrebbe servire semplicemente a comprendere la diversa antropologia culturale dei cinesi rispetto a noi, potrebbe aiutare tutti, sostiene Yuk Hui, oggi e nel futuro, a elaborare una nuova e comune concezione della tecnologia. Una prima e fondamentale differenza è che mentre in Occidente, dopo il pensiero critico di Kant, che stabilisce i confini del sapere scientifico, la metafisica è considerata un oltre razionalmente inaccessibile, la metafisica cinese è invece un aldiquà pragmatico, tuttora dentro l’agire umano, non aldilà e al di fuori di esso…

Qui mi fermo! Dubito di aver capito bene, ma temo anche, per esempio, che una versione ideologicamente, politicamente attuale di concezioni metafisico-pragmatiche tradizionalmente cinesi possa essere oggi usata come una specie di religione di stato. Un bel guaio e forse un altro, prossimo venturo, “scontro di civiltà”. Il culto dell’Armonia e dell’Unità può facilmente diventare, in politica, dogma dell’unanimismo, cioè: guai a chi dissente. Pensavo di poter essere comico, vedo invece che sono preoccupato. E se il modo di filosofare cinese, invece di formulare problemi, si segnalasse per la sua comoda capacità di eliminarli, i problemi?

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