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POSTFAZIONE
La mia passione viscerale per la democrazia, le sue suggestioni e le sue laceranti contraddizioni, è un sentimento di lunga durata, incubato agli inizi degli anni ’70 dentro il fervore ideologico che pur essendo ‘inebriante’ non è mai diventato estraniante, insomma non mi ha fatto deragliare verso i binari morti dei ‘riflussi’, solipsismi, delle scelte utilitaristiche dell’individualismo metodologico. D’altronde la matrice di emigrato che dalla portineria in cui prestavo servizio in quel di Milano osservavo il fiume di tute blu che fluiva per le strade nelle vicinanze della Stazione Centrale aveva impresso nella mia mente uno stupore adolescenziale, ma soprattutto un’attrazione per la pregnanza e concretezza di un mondo del lavoro che emergeva prepotentemente nella seconda metà degli anni ’60 e che avrebbero segnato un pensiero nutrito di curiosità, di avvicinamento e successiva immersione totale, con la scelta ideale – ma anche necessitata - di ‘entrare in fabbrica’ inteso come il luogo di una autorealizzazione e di una testimonianza esemplari.
Con tale opzione interrompevo traumaticamente il percorso universitario (ripreso molti anni dopo) degli amati studi di Filosofia, per esercitare una sorta di sacerdozio laico la cui vocazione era temprata da un curriculum nel quale si intrecciavano la canonica frequentazione della Parrocchia veneta (con un’onorata carriera da chierichetto ad insegnate della dottrina cristiana) e la scoperta dello straordinario ambiente cattolico ambrosiano nel quale l’intensa pratica religiosa veniva coniugata con una pratica sociopolitica tutta dentro le tensioni ed aspirazioni di movimenti che scuotevano alle fondamenta vecchie certezze e dogmi sostituiti da nuovi paradigmi culturali abbracciati come liberanti per una nuova umanizzazione e modernizzazione delle relazioni sociali – attraverso varie tipologie del conflitto di classe - e delle istituzioni comunitarie, con l’assaporare la nuova fragranza della partecipazione democratica. Non intendo fare dell’amarcord: il mio breve profilo biografico – per chi ne fosse interessato – lo si può trovare nel sito personale (www.dinobertocco.it) , in sono riassunte tappe e documentazione di un quarantennio di impegno, ricerca & professione, militanza, assillanti-continui-intrecciati.
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Più banalmente con questo flash back intendo rimarcare il tratto distintivo di un ‘nativo democratico’ irriducibilmente fedele a valori e principi costantemente innestati e sperimentati nelle variegate forme organizzative della Rappresentanza con le quali mi è stato dato di misurare e mettere alla prova la mia visione ed i miei progetti di emancipazione sociale e protagonismo politico.
Ed è questa inesausta energia primitiva che non mi consente – pur non eludendo l’usura del mio tempo - di osservare inerme la molteplicità di segnali, indicatori e fenomenologie che stanno a indicare e testimoniare il precario stato di salute di quella Democrazia indagata e ‘rendicontata’ lungo i capitoli di questa pubblicazione sotto i diversi profili, storici, socioculturali ed economici, prestazionali.
Naturalmente esistono ben evidenti le ragioni, i dati ed i fatti strutturali per essere preoccupati del suo declino, delle crisi che gettano un’ombra regressiva in molti di quei Paesi che il Presidente americano Joe Biden ha chiamato a raccolta il 9 e i 10 dicembre scorsi nel Summit for democracy da Biden per fronteggiare la crescente minaccia delle autocrazie.
E sono le sue parole di apertura a fornircene un quadro realistico:
“È da tanto tempo che penso a questo incontro per una ragione molto semplice: alla luce delle sfide sostenute e allarmanti per la democrazia e per i diritti umani universali, la democrazia ha bisogno di campioni. E ho voluto organizzare questo summit perché qui, negli Stati Uniti, sappiamo, come tutti, che rinnovare le nostre democrazie e rafforzare le nostre istituzioni richiede uno sforzo continuo”.
C’è un’affermazione in particolare che mi preme sottolineare perché dà un senso inequivocabile anche al titolo del mio libro, laddove Biden ha ricordato che la “democrazia non nasce per caso” e che è necessario “rinnovarla di generazione in generazione”, esprimendo preoccupazione per i trend osservati negli ultimi anni che “rivelano un peggioramento delle libertà e delle democrazie nel mondo, con tendenze che sono esacerbate da sfide globali complesse che richiedono un impegno comune per essere affrontate.” D’altronde abbiamo sotto gli occhi quotidianamente le pressioni da parte delle autocrazie e dei loro modelli repressivi e la fenomenologia dei movimenti fluttuanti nel mare della digitalizzazione che creano polarizzazioni sociali e politiche e alimentano una crescente insoddisfazione verso le istituzioni democratiche, sottoponendole a dei veri e propri stress test diventati una sfida globale sia sotto il profilo della governance delle Piattaforme partecipative che per quanto attiene i nuovi modelli di cittadinanza attiva.
Ma, rilevando che i miei sentimenti personali sono sintonizzati con il discorso di chiusura del summit, sento di poter condividere e sottolineare che: “Le autocrazie non potranno mai spegnere la passione per la libertà che brucia in ogni parte del mondo. Non conosce frontiere. Parla tutte le lingue. Vive in ogni attivista che lotta contro la corruzione e difende i diritti umani, nei giornalisti, nei dimostranti pacifici in tutto il mondo. Vive nei consigli comunali, nelle elezioni sindacali, in tutti quei gesti quotidiani che si verificano quando le persone si uniscono per risolvere problemi e superare le differenze e in tutti i modi in cui la società civile garantisce il potere agli individui di esprimersi su temi che riguardano le loro vite. Difendere le democrazie richiede uno sforzo di tutta la società, di tutti noi” .
Certo, bisogna focalizzare bene quali sono le caratteristiche ed i terreni con cui e nei quali deve essere praticato, concretizzato lo sforzo.
In primis è necessaria la consapevolezza della crescente divaricazione determinatasi tra la società politica delle rappresentanze a legittimazione stretta (burocratizzazione, delegittimazione, corruzione, reputazione decrescente, esodo dalle elezioni) e la società larga a crescenti e diversificate domande di qualità sociale: da parte delle fasce di popolazione messe ai margini e/o letteralmente fuorigioco alle comunità colpite ed in molti casi travolte dalle emergenze climatiche, dai cittadini piagati dalle sofferenze indotte dal mutamento dei contesti di con-vivenza a quelli disorientati e travolti dalla rivoluzione digitale che ha frammentato, atomizzato e reso più difficilmente accessibili i servizi e le prestazioni, in particolare dell’universo pubblico. In secondo luogo va compresa la profondità delle conseguenze del climate change in corso, ma soprattutto la progressiva trasformazione dell’ambiente umano e relazionale causato da quello che possiamo definire psycological climate il cui effetto più diffuso, generalizzato e potenzialmente devastante per gli assetti democratici è la paura, che costituisce una sottovalutata pandemia in corsa, un virus che da tempo sta abbassando i livelli di autodifesa degli organismi democratici con la rarefazione della partecipazione insidiata e sostituita dal sentimento della sfiducia.
Essa si riflette in una pericolosa ‘recessione democratica’ che mina le fondamenta delle nostre istituzioni, monitorate dagli indicatori di Freedom House296 (che da anni misura le condizioni di salute dello stato di diritto e delle elezioni a livello globale) che segnalano preoccupanti passi indietro in molti Paesi, a partire dagli stessi Stati Uniti che hanno assistito all’orrendo assalto al Congresso il 6 gennaio scorso.
Solo dare un’idea del degrado e dei rischi connessi, è sufficiente uno sguardo ai sondaggi di opinione riguardanti la disaffezione popolare rispetto al funzionamento della democrazia e alla qualità delle sue decisioni: nella Ue gli insoddisfatti sono in media il 46 % degli elettori, in Italia il 60 %.!
296 Freedom House. Nation in Transit 2021 https://bit.ly/33YD4vA 231
Naturalmente tutto ciò è direttamente influenzato dalla pandemia che ha reso espliciti e ‘scomodi’ i vincoli che la democrazia condivide con ogni forma di governo attraverso i poteri e le procedure della costrizione, non casualmente diventati l’oggetto di una lunga e sconcertante stagione di polemiche nelle quali sono emersi da un lato la sottostimata realtà di un analfabetismo funzionale di massa, espresso nella punta dell’iceberg dei movimenti no vax, dall’altro l’insofferenza (anche nell’ambito di segmenti del ceto ‘intellettuale’) contro il volto coercitivo delle decisioni democratiche e finanche della competenza scientifica, addirittura non riconosciuta laddove si è manifestata clamorosamente e miracolosamente con la scoperta e produzione tempestiva di vaccini salvifici.
Ciò su cui, però, abbiamo inteso raccogliere le annotazioni ed i testi raccolti in questa pubblicazione e soffermarci con particolare cura e puntigliosità, è stata la problematica circoscritta della crisi del ‘motore’ fondamentale per la funzionalità democratica, ovvero la struttura partito e la sua rappresentazione da parte delle forze politiche della sinistra liberaldemocratica e riformista.
Ne abbiamo scavato in profondità i meccanismi ed indicato diverse terapie, compresi gli strumenti e le metodologie resi praticabili dalla rivoluzione digitale che ha creato le precondizioni per il rilancio della partecipazione dei cittadini e ha visto negli ultimi lustri l’accavallarsi di eclatanti esperienze di successo e subitanei declini, dei quali non si è ancora sufficientemente compresa l’origine proprio a ragione di quel deficit di cultura politica democratica che abbiamo illustrato nei 40 capitoli della prima parte del libro.
Dobbiamo altresì sottolineare che molte delle nostre argomentazioni e dei tentativi di innovazione che vi avete trovati descritti, vengono ora confermati sia nelle più recenti pubblicazioni che affrontano, con una notevole carica di pessimismo - che invero non mi appartiene - i tratti di un declino occidentale già pronosticato, da autori che ne hanno segnato la temperie culturale, il secolo scorso.
Mi limito a due titoli esemplificativi: il primo di Anne Applebaum che con Il tramonto della democrazia. Il fallimento della politica e il fascino dell’autoritarismo, certifica come la fine della guerra fredda e delle ideologie non hanno portato a una laicizzazione del pensiero, ma a un neotribalismo culturale che trascina ad un triste tramonto la civiltà del dibattito pubblico.
Il secondo, Così finisce la democrazia. Paradossi, presente e futuro di un’istituzione imperfetta, gioca con l’oscillazione tra il messaggio predittivo che esso contiene e la problematicità ispirata dal sottotitolo che prelude alla visione offerta da David Runcinan attraverso la quale vengono sciorinati tutti i dubbi ed i timori sulla ‘crisi di mezza età’ della democrazia che in questo dato momento storico sembra particolarmente stanca e non gode certo di buona salute. Ciononostante, essa risulta ancora qualcosa di speciale in quanto sistema imperfetto. L’autore ne evidenzia soprattutto la risorsa vitale nella capacità di ‘autointerrogarsi’ sui propri limiti e di correggersi in corsa come nessun’altra forma di governo, per suffragare l’aspirazione delle comunità umane a ri-assestarsi nell’assetto democratico dato.
Certo, tale ipotesi operativa necessita del presupposto ideologico-culturale che sperimentarla storicamente e concretamente non è una passeggiata, o meglio, non costituisce ‘un pranzo di gala’! Un’altra conferma la riscontriamo anche nella crescente e pressante attenzione di alcuni editorialisti italiani, segnatamente Ernesto Galli della Loggia e Sabino Cassese, alla criticità ovvero all’inconsistenza delle ‘Agenzie politiche’ che dovrebbero farsi carico di promuovere i processi di rilegittimazione della rappresentanza dei cittadini e di ripristino di soddisfacenti prestazioni delle istituzioni democratiche.
Talvolta nei loro interventi e nelle loro rampogne sui Partiti, appaiono delle Cassandre che preconizzano la sventura del ‘dissolvimento’: “gusci vuoti quasi delle pure sigle”, “ascoltano più gli umori che gli orientamenti”.
Essi purtroppo si limitano a scrutare e fotografare la nuda e cruda realtà fattuale: interpretarla e farne volgere la prospettiva verso il superamento dell’inedia e delle difficoltà esorbitanti, è un compito per uomini dotati 232
di una lucidità e capacità di pensiero straordinari, così come sono straordinari gli eventi, i vettori ed i fattori che stanno caratterizzando il cambiamento d’epoca in corso. Bisogna aggiungere che Cassese ha operato un passo ulteriore, dedicando un saggio, Intellettuali, alla descrizione delle caratteristiche e responsabilità civili di tali uomini, ai quali chiedere di fornire chiavi di lettura, ordini di priorità che fungano da filtro e dunque umile aiuto a pensare a favore di una cittadinanza che, oggi più di ieri, è invasa da informazioni, tali per cui potenzialmente ‘sa’ tante cose, ma non ne comprende il ‘senso’. La considerazione del brillante costituzionalista, oggi presente con un’intensità e qualità di interventi ammirevoli nel discorso pubblico è da abbracciare e condividere pienamente: una democrazia in buono stato di salute prevede molti intellettuali, non solo pubblici, visibili o da palcoscenico, ma anche, e soprattutto, dietro le quinte. Redazioni di giornali, editori, insegnanti e molte altre figure professionali possono/debbono svolgere e svolgono concretamente quel tipo di funzione.
L’intellettuale non deve essere necessariamente un erudito, tanto meno un saccente, ma una persona dotata di spirito critico che aiuta la società a crescere in modo civile.
Sicuramente una tale figura è stata è stato Remo Bodei, in grado di leggere la precarietà esistenziale di un tempo il cui ‘buco nero’ è costituito dal ‘futuro debole’ che ci rende prigionieri di un presente senza prospettive.
Ed è ciò che crea l’incertezza imperante, “anche per l’intensificarsi dei processi di modernizzazione e d’innovazione di cui non si riesce ancora a valutare la portata e che seminano, insieme, paure e speranze, diminuiscono drasticamente la capacità di pensare a un futuro collettivo, di immaginarlo al di fuori delle proprie aspettative private”. Egli ha appuntato la sua indagine illuminante sull’asimmetria potenzialmente deflagrate tra l’accelerazione cognitiva di macchine e dispositivi attrezzati di intelligenza Artificiale e la persistente lentezza umana nel suo lavoro di “srotolamento dei pensieri, delle decisioni e degli stati d’animo, per consentire la sopravvivenza di una democrazia in grado di deliberare in base alla discussione ragionata di progetti piuttosto che affidarsi a piattaforme di votazione rapida”. Ecco dunque il compito immane che si prospetta a quanti vogliono contribuire ad arrestare la regressione e la delegittimazione, delle istituzioni democratiche, che trovano un terreno socioculturale favorevole in quanto “Malgrado la maggiore diffusione dell’alfabetizzazione e il maggiore peso del bagaglio di nozioni generali, si moltiplica infatti anche il numero degli idioti (nel senso greco del termine, ossia di persone private incapaci di partecipare con una sufficiente consapevolezza alla vita politica e culturale, perché chiusi nella particolarità del proprio lavoro e nei limiti dei loro immediati interessi)”. Ma una tale mission, decisiva per rinsaldare le basi traballanti della Democrazia in molti Paesi, può essere accolta ed attuata se è suffragata da quello che Papa Francesco nell’enciclica Fratelli tutti chiama “un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole”. Per chi tale sogno è apparso sin dall’età adolescenziale, è stato chiaro – e continua ad esserlo – che non si tratta certo dell’evasione che fa perdere il contatto con la realtà della vita quotidiana, bensì della combinazione virtuosa di energia emotiva interiore e visione razionale capace di orientare, di indicare la direzione di marcia, di spingere al cambiamento, ovvero “cercare di identificare bene i problemi che una società attraversa per accettare che esistano diversi modi di guardare le difficoltà e di risolverle”. Occorre sottolineare che con questo libro abbiamo inteso corrispondere proprio a tale invito?