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Ragioniamoci sopra. Dalla pandemia all'autonomia Condividi
pandemica e quelle etiche e programmatiche di un schieramento democratico-riformista progressivamente inariditosi, a confermare la fosca previsione di Trentin:
“A meno di un nuovo ’68, questa volta con un percorso più virtuoso. L’attuale generazione – la più giovane –dei leader professionisti della politica è infatti, a mio avviso, e, con lei un immenso esercito di aspiranti e di dirigenti intermedi, completamente compromessa almeno dal punto di vista della cultura e dell’umano sentire con questo lessico e con questo orizzonte della politica. Quello della governabilità e non quello della trasformazione del rapporto tra governati e governanti” (19 ottobre 1998). A compensare tale comprensibile e realistico pessimismo, mi piace concludere con il riconoscibile ( e da me tanto amato) spirito di combattente indomito di Pierre il quale – quasi un testamento – conclude l’intervista confidenziale ad un Paolo Feltrin strepitoso nella sua capacità maieutica di estrarre dall’anima dell’anziano leader il distillato delle convinzioni più intime e dei giudizi più feroci, con le seguenti parole, che mi commuovono e mi fanno imbestialire perché rendono evidenti la mis-conoscenza, i travisamenti ed i tradimenti operati dalla nomenclatura cislina che ha ‘beneficiato’ della sua Opera, ma non ne ha saputo e voluto trarne l’ispirazione per darne una continuità, aggiornando strumenti interpretativi e programmi, ma perpetuando una lezione di coraggio, generosità e testimonianza in grado di sfidare l’opacità di assetti, poteri e compromessi con la forza di un riformismo irriducibile all’opportunismo ed al grigio burocratismo nell’esercizio della Rappresentanza. “Nonostante tutto continuo. Ne vale la pena? Ho ancora cose da dire? Io, Pierre Carniti, avendo fatto quasi solo il sindacalista, avrei le mie idee e le mie proposte: su cosa ci deve stare nei contratti nazionali e cosa in quelli aziendali; sulla differenza tra concertazione e informazione di cortesia; sulla necessaria flessibilità per chi va in pensione; sul ruolo essenziale dei corpi intermedi per la democrazia; sulle nuove tecnologie, il lavoro che manca e le trentacinque ore; su come combattere le disuguaglianze crescenti nel capitalismo d’oggi. Avrei qualcosa da dire perfino su come si cambia la Costituzione in punta di fioretto. Ma so bene di essere inattuale, un ‘sindacalista postumo’, per questo cerco di parlare il meno possibile. A chi possono interessare i pensieri e le divagazioni di un ex sindacalista? Si sa, i vecchi perdono il diritto a fare prediche. Ma se mi si interroga, sono ancora qui, non mi tiro indietro”.
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di Luca Zaia. Marsilio, 2021 https://bit.ly/3HozOYS
Grazie di esistere Luca. Ora, però, esci dalle bollicine ed atterra con noi cittadini (non follower)
“Ragioniamoci sopra. Dalla Pandemia all’Autonomia“(Marsilio Editori 2021), il libro con cui il Presidente del Veneto ha inteso aprire un canale di comunicazione con il pubblico nazionale (non casualmente presentandolo a Roma e non a Venezia), caratterizzandolo con un proprio distintivo pensiero che configura un vero e proprio impegnativo Manifesto politico, potrebbe essere riassunto con alcuni brevi sottotitoli:
molta nostalgia e retorica sparse a piene mani e massicce dosi di placebo e senso comune; alcuni notevoli sprazzi di lucidità e denunce coraggiose; diversi generosi ed intelligenti propositi insieme a numeri importanti da ricordare; l’audacia di una suggestione visionaria per un europeismo alternativo: modello ‘svizzero’ dei cantoni (regionali), incardinato sul sentimento comunitario. Tutto questo rappresenterebbe un messaggio forte, persuasivo, legittimante, ed andrebbe a rafforzare la tesi di Federico Moro, con il quale
nelle settimane scorse abbiamo avviato un’animata discussione sulle pagine di Luminosi Giorni, Rivista veneziana di Cultura Politica.
La ‘contesa’ riguardava le prospettive di un’affermazione di Luca Zaia e l’effettiva ‘caratura nazionale’ della sua leadership: “L’uomo è capace di conciliare gli opposti e di incarnare il sentimento di un paese, l’Italia, in gran parte moderato, qualunque cosa l’aggettivo significhi, e per questo terrorizzato da ogni possibile novità. Risulta rassicurante. A differenza di chiunque altro nella Lega, può contare su una solida base territoriale” (questa l’opinione espressa dal mio interlocutore, in risposta alle contestazioni che avevo mosse ad un suo articolo nel quale esaminava le performance passate e future del ‘Governatore dello Zaiastan: vedi lo scambio in Appendice).
Purtroppo, debbo segnalare, confermandomi nella mia posizione avversa a quella dell’amico Federico, che nel testo dell’autoagiografia zaiana (copyright Alessio Mannino) appaiono anche numerose e colpevoli amnesie volontarie, ripetuti scantonamenti e furbizie del ‘ragazzo di Bibano’ che fa della propria piccola ed immacolata patria personale lo scudo protettivo per oscurare ed annullare le scelte contradditorie che macchiano indelebilmente il curriculum di un Politico di lungo corso, indubbiamente dotato di notevoli energie e meriti, ma che per emergere e sopravvivere ha dovuto assumere troppe parti nella commedia del malmostoso ambiente leghista (di questo parlo e documento nel Profilo senza veli e veline che trovate sempre in Appendice).
Ma soprattutto il libro è attraversato dalle annotazioni quasi compulsive che fanno trasparire una personalità segnata da un pericoloso disturbo ossessivo, ovvero da un egotismo che si manifesta in tutte le vicende narrate, all’interno delle quali il faro che dovrebbe illuminare la scena è puntato sempre ed esclusivamente su un unico protagonista: il Presidente – Governatore, ispirato nelle decisioni da De Gaulle, impegnato ad orientare scelte di un Governo nazionale in ritardo nel contrasto alla Pandemia, sul piede di guerra per rovesciare il modello istituzionale europeo, critico sull’eccessiva fiducia nella governance di Draghi che, vada per l’uso delle risorse del Pnrr, ma senza l’iniezione del federalismo alla veneta non potrà andare lontano(sic!).
Perché, il vero fil rouge della narrazione è dato dagli episodi, dalle analisi e proposte che illustrano e danno corpo all’Autonomia immaginata e descritta come la palingenesi di un Paese destinato irrimediabilmente a perire se non assume come baricentro del proprio sviluppo le ricette e le pratiche adottate dal Presidente regionale per il ‘suo’ Veneto (si, perché il concetto è più volte ribadito, si parla sempre e soltanto del ‘suo’ Veneto).
E naturalmente per rafforzare una prospettiva che poggia su piedi politico-istituzionali fragili per non dire virtuali, viene evocata come leva rivendicativa e giustificativa la solita gigantesca fake sul residuo fiscale, il mitico ‘tesoretto’ con cui i veneti potrebbero liberare tutte le finora inespresse potenzialità dei loro sogni di sviluppo sociale ed economico.
In realtà la citazione dei 15 miliardi di ‘credito esigibile’ nel rapporto dare/avere tra Regione e Stato è la conferma di due fatti politici che costituiscono una pesante macina sul collo per la carriera politica di Luca Zaia: l’uso di una cifra che è la risultante della manomissione di una Tabella del Bilancio dello Stato, crea visibilità politica non certo reputazione; l’approccio dell’analisi conferma un atteggiamento orgoglioso ed isolazionista che comporterà un’ulteriore marginalizzazione del Veneto nel dibattito politico nazionale, in particolare laddove entrano in gioco le riforme istituzionali.
Ai meriti, alle performance ed ai buchi neri che hanno caratterizzato la sua lunga carriera politica ho dedicato nel recente passato analisi sin troppo dettagliate e puntigliose, per ripeterne in questa occasione gli elementi che mi hanno fatto nutrire una sincera ammirazione per la capacità di costruire una macchina perfetta nella comunicazione trasformata da istituzionale a propaganda attraverso l’uso di risorse pubbliche destinate ad alimentare la sua personale ‘Bestia’ insediata (questo lo stratagemma che lo ha 228
consacrato come il più abile PRM, Public Relation Man, tra i Presidenti di Regione) proprio dentro Palazzo Balbi.
E contemporaneamente mi hanno messo sull’avviso di valutarne criticamente la retorica populista, le affermazioni roboanti ed inconcludenti, i ripetuti e sconcertanti cambi di rotta, gli opportunismi e l’indeterminazione, il doppio registro di linguaggio, gradevole e sobrio in pubblico, violento e demagogico nei raduni leghisti e nel chiuso di assemblee convocate per ‘riscaldare gli animi’ e fidelizzare la base. Nel procedere quindi a commentare il suo libro mi propongo di esprimere semplici sottolineature ed interrogativi dettati da una lettura che mi è risultata piacevole e che mi sento di consigliare per una molteplicità di ragioni. Che sia autentico o meno lo spasmodico tentativo di voler sembrare ‘uno di noi’, l’impegno e la passione di Luca Zaia vanno presi maledettamente sul serio. I primi che debbono concentrarsi e riflettere sulle cose scritte dal Presidente del Veneto, sono i suoi colleghi di Giunta e di Partito perché li aiuterà a ri-conoscerne le pulsioni più profonde e gli intenti che ai loro occhi appaiono sicuramente velleitari e personalistici (basta raccogliere i giudizi espressi off the record) ma costituiscono l’unica farina non avariata presente nella cucina leghista portata agli altari e poi devastata dal sottopensiero salviniano.
Suggerirei la lettura più attenta di Ragioniamoci sopra anche ai molti snobbisti o ruffiani che ne hanno tratto interpretazioni superficiali e sbrigative, su un leader venetissimo in ascesa (su questo ha ragione Federico Moro) che molta parte d’Italia ci invidia e che dobbiamo imparare a identificare meglio sia per le sue specchiate virtù, ma anche per le componenti oscure del suo pensiero e del suo discorso pubblico rivolti alle bolle dei suoi follower più che ai cittadini veneti in carne ed ossa, con la conseguenza di alimentare una progressiva infantilizzazione dell’opinione pubblica ed impoverimento della governance regionale, coadiuvata dalla Corte servile dei media locali.
Al di là, comunque, di ogni rilievo polemico su stile e contenuti della pubblicazione, ritengo che il Presidente del Veneto abbia fatto bene a dedicare buona parte dei testi alla ricostruzione dei giorni di passione e di dolore vissuti negli ultimi due anni, con la Pandemia, perché la sua testimonianza costituisce una fonte preziosa di conoscenza e memoria storica per l’intera Comunità regionale (che non deve mai dimenticare il picco di 34.000 pazienti ricoverati e 500 in terapia intensiva).
Certo non si può non rilevare che l’ingombro del suo corpo, delle sue analisi e delle sue opinioni presenti nel libro, fanno sparire nel retroscena tutti i protagonisti effettivi e sul campo della lotta al Covid-19, omaggiati con parole di circostanza, ma senza indicarne la funzione decisiva: posso capire la ‘dimenticanza’ sulla presenza scientifica fondamentale nella vicenda di Vò Euganeo, di Andrea Crisanti, ma come si fa a non degnare di una citazione il Generale Francesco Paolo Figliuolo – vero architrave della strategia di vaccinazione salvifica – allo scopo di esaltare solo ed unicamente la illuminata attività di un Presidente di Regione che, senza il soffocante centralismo ministeriale e degli esperti romani, avrebbe potuto scatenare la sua potenza operativa, magari procedendo anzitempo all’acquisto sul mercato dei vaccini? In molte ricostruzioni emerge un esasperato narcisismo che si sarebbe dovuto evitare, anche perché la rivendicata, eroica ed innovativa funzione di Amministratore (del condominio Veneto), non avrebbe certo potuta essere pensata e tanto meno esercitata senza le sinergie istituzionali ed operative con gli architetti e ingegneri dell’aborrito centralismo. Ma andiamo a ripassare le pagine prendendo sul serio l’invito a ‘ragionarci sopra’.