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L’egemonia sottoculturale del centrodestra
Per una sintetica ma compiuta ed efficace ricostruzione storica del regionalismo, si rinvia all’agile ebook di Roberto Zanon, ex Segretario Regionale del Consiglio Regionale del Veneto, che ne ha vissuto e sperimentato direttamente le attese, le prime realizzazioni ed anche le disillusioni287 .
Un ecosistema culturale per il Rinascimento etico-civile in Veneto (parte 6 di 7)
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6. L’egemonia sottoculturale del centrodestra Nel corso degli anni ’90, cessata traumaticamente, sotto i colpi della Magistratura e per implosione interna, la cosiddetta Prima repubblica, si sarebbe reso necessario anche in Veneto un aspro e veritiero confronto (prima di tutto sul piano etico-culturale) sulle cause che avevano determinato l’evaporazione dell’egemonia democristiana, ma l’insipienza e l’ignavia dei gruppi dirigenti co-protagonisti del tracollo e la famelica presenza, nelle retroguardie del mercato politico, di gruppi lobbistici e di nuove formazioni politiche, pronti a subentrare ed impadronirsi del Palazzo, ha determinato una traumatica e repentina ‘rottamazione’ e l’affermazione di un nuovo sistema di potere. I protagonisti della inedita governance regionale andata in scena nel ’95, hanno così potuto giovarsi sia dell’effetto sorpresa che della possibilità di incardinare con spregiudicatezza e senza i freni inibitori propri del ceto politico che li aveva preceduti, quella catena di comando e di corruzione che sarebbe venuta pienamente alla luce successivamente (solo) con i libri di Roberto Mazzaro ed a cui sarebbe seguita (!?) l’iniziativa della Magistratura che ha scoperchiato il malaffare cresciuto all’ombra dell’egemonia forzaleghista e lega-forzista.
Purtroppo, anche i movimenti di opposizione che negli anni ’90 si erano candidati a diventare un’alternativa democratico-riformista di governo hanno fallito miseramente la loro scommessa operando scelte strategiche (sia sul piano culturale che su quello programmatico) che ne hanno sancito la subalternità, ovvero l’incapacità di coagulare alleanze sociali e proposte che consentissero loro di uscire dal cono d’ombra dell’egemonia forza-leghista prima e lega-forzista poi.
Va puntualizzato che in una prima fase tale collocazione è stata per così dire attenuata e per alcune componenti dell’opposizione — nella fattispecie di una componente storica della sinistra veneziana — addolcita dal poter esercitare il ruolo di ‘compagni di merende’ nella compartecipazione alle logiche spartitorie della spesa pubblica e degli appalti.
La presenza in Consiglio Regionale è andata scolorendosi, per finire poi, nel corso delle due ultime legislature, in una sorta di posizione inoffensiva ed inconcludente su quasi tutti i piani.
Ed oggi, anche alla luce dell’atteggiamento sterile — senza infamia e senza lode — assunto nella vicenda referendaria dal Gruppo regionale del PD (il SÌ critico che ha agevolato la vittoria di Zaia) diventa necessario rivisitare criticamente i programmi ed i tentativi di costruzione di un’alternativa elaborati nel corso dell’ultimo ventennio.
Ciò per due ragioni sostanziali: a) dapprima per immettere nella dialettica politica interna al Consiglio Regionale del Veneto elementi di contrasto alla deriva demagogica di una maggioranza attraversata nella sua
287 Sinone https://bit.ly/3swbr7I
componente leghista da impulsi regressivi e reazionari su diverse questioni (oltre che dalla latente vocazione secessionista); b) in secondo luogo per porre mano alle sfide ed alle attese che la Regione Veneto deve affrontare in un tempo che ha mutato strutturalmente il contesto nazionale ed europeo nel quale è chiamata a giocare le proprie carte ed esprimere la propria vocazione ad implementare le relazioni e gli scambi internazionali.
Con il ripensamento si deve essere in grado di recuperare i valori e le intuizioni progettuali dei democraticiriformisti protagonisti dell’ultimo ventennio, ma anche individuarne i limiti e le contraddizioni, per non perpetuarne il gioco alla lunga rivelatosi perdente.
In particolare, è opportuno focalizzare:
• il contributo alla elaborazione e divulgazione di quello potremmo definire ‘aggiornamento identitario’ del Nordest e della sua inedita funzione di traino nell’opera di rinnovamento (innanzitutto etico) politico-istituzionale del Paese offerto da Giorgio Lago288 . • Il tentativo generoso, vivace e proficuo del Movimento dei Sindaci che ha fatto emergere una nuova generazione di leader locali: non solo Massimo Cacciari — la cui candidatura alle elezioni regionali del 2000 con il Movimento Nordest ha costituito l’occasione per immettere nell’agenda politica i contenuti innovativi dell’Autonomia statutaria — bensì la lunga filiera di Amministratori locali che hanno portato una ventata di partecipazione popolare, di rilegittimazione del rapporto fiduciario con i cittadini a livello locale, di sperimentazione e concretizzazione di nuovi e più qualificati modelli di gestione. Sarebbero numerosi i protagonisti da segnalare, ma vale ricordare soprattutto le città e le Province in cui hanno operato, in un contesto di ristrettezze finanziarie: Belluno, Venezia, Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, Castelfranco, … E ciò per dire che di quel recente passato restano solo le macerie resocontate ex-post dai due libri intensi e sconvolgenti di Roberto Mazzaro.
Ma bisogna andare oltre, con lucidità ed onestà intellettuale, per non perdere di vista — soprattutto dal punto di osservazione democratico-riformista — i “vuoti” e le contraddizioni con cui il vasto e variegato schieramento dei cultori di un ritenuto Nordest vincente, solo che avesse potuto avere dallo Stato briglie più sciolte e ristorni più cospicui di risorse, (non) hanno esercitato il ruolo di classe dirigente che gli spettava:
a. non ci resta nessun documento di programmazione dello sviluppo degno di nota e ciò conferma un sostanziale allineamento con le Giunte regionali avversarie che hanno abbandonato qualsiasi intento regolatorio, ovvero di intervento pubblico di orientamento della qualità della crescita fin dagli anni ’90; b. non risulta alcun allarme premonitore della questione morale che sarebbe scoppiata clamorosamente (segnale inequivocabile del consociativismo diffuso ed accettato); c. non risulta nessuna avvisaglia dei rischi per il sistema creditizio e per le gestioni autocratiche delle Banche Popolari che avrebbero provocato il dissesto finanziario che abbiamo conosciuto e constatato ex-post; d. non ci sono state manifestazioni di contrasto all’uso dissennato del project financing che avrebbe caricato sul Bilancio della Regione un peso debitorio pluriennale impressionante; e. non ci è giunta nessuna seria disamina del necessario processo di ristrutturazione del sistema produttivo per affrontare l’innovazione e l’internazionalizzazione delle imprese; f. si è avuto soltanto un vago sentore della rivoluzione digitale in corso e delle sue conseguenze per le necessità ed opportunità di ristrutturazione organizzativa delle Imprese (oggi manifattura 4.0) e del sistema pubblico ed amministrativo nel suo insieme (oggi Agenda
288 Giorgio Lago https://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Lago 138