La Fonte di Sajano

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COMUNE DI PESARO

LA FONTE DI SAJANO Ricerche di Silvio Picozzi




Prefazione

Il Comune di Pesaro da lungo tempo è impegnato nella scoperta e riscoperta della storia della città e anche in questa occasione non ha voluto far mancare il proprio impegno, nella intima convinzione che le testimonianze storiche che comunemente vengono classificate come minori, rappresentano realtà più essenziali e percepibili per lo studio della eredità storico e culturale del territorio. Ingenti lavori di recupero e restauro sono stati eseguiti con grande soddisfazione dalla Amministrazione Comunale di Pesaro in accordo con la Soprintendenza Regionale per ridare vita alla Fonte di Saiano che rappresenta una pagina vera e vissuta del nostro passato. E’ stato un po’come rimuovere la polvere dell’oblio che troppo spesso si deposita sulla nostra storia vissuta, nascondendola, per riscoprire una struttura ricca di significati e di vita. Tutto ciò è ben rappresentato in questa ricerca di Silvio Picozzi in modo attraente e piacevole degno di essere apprezzato e divulgato. La fatica dell’autore, la sua paziente indagine di archivio, ci documentano in maniera rigorosa e puntuale ma anche assolutamente stimolante per la nostra curiosità, sulla storia e le origini dell’antica Fonte di Sajano. Con la meticolosità di uno scavo archeologico risalendo nel tempo, ordinando le fonti storiche, Picozzi non solo ci fa riscoprire nella sua materialità questa testimonianza della storia della città, ma riporta “in superficie” un frammento certamente circoscritto ma non per questo meno importante, delle nostre radici, del camminare nel tempo della nostra comunità, simile allo sgorgare lento ma continuo dell’acqua della fonte, vera metafora della vita. Come accaduto in altre occasioni di recupero di “frattali“ di pesaresità, fondamentale è stato il sostegno economico della Fondazione della Cassa di Risparmio di Pesaro cui rivolgiamo un sentito ringraziamento per la sensibilità e disponibilità da subito mostrate.

Ilaro Barbanti Vice Sindaco del Comune di Pesaro



Premessa

Il lettore voglia considerare questa pubblicazione come una semplice raccolta, a volte attenta a volte meno, di notizie e documenti, molto spesso già pubblicati e non certo il risultato di approfonditi studi o di serie ricerche storiche che richiedono preparazione e capacità che purtroppo non possiedo. Il mio impegno principale è stato quello di riunire, in queste poche pagine, tutte le notizie, trovate durante la lettura di testi più o meno conosciuti, o la consultazione di vecchi documenti, notizie che rispondessero al solo requisito di avere qualche riferimento, diretto o indiretto, all’antica fonte di acqua sorgiva che si trova nell’area a sud di Pesaro, quasi al confine con il comune di Fano, detta Fonte di Sajano. Escludendo quindi motivazioni legate a profonde ricerche storiche, il solo scopo di questa raccolta di appunti, documenti o di proposte, è quello di fornire elementi al lettore per una migliore conoscenza di una ristretta area della campagna che circonda Pesaro con l’auspicio che il racconto della microstoria di questa porzione di terra possa suscitare interesse e curiosità. Come frequentemente si può rilevare, per differenti ragioni e in epoche diverse, la microstoria di un borgo o di un territorio, che ha visto svolgersi fatti significativi o di un certo interesse, si ricollega molto spesso alla vita della più vicina città, o dei suoi abitanti più famosi. Nel nostro caso ho riscontrato frequenti legami con la vita e la storia della città di Pesaro. Questa raccolta di dati ha quindi la sola presunzione di offrire un piccolissimo contributo per rendere migliore la conoscenza del territorio in cui viviamo. Ogni persona cha “ha cultura del suo territorio” sa che è un suo impegno fare in modo che quanto ha ricevuto dal passato venga conservato nelle migliori condizioni per poterlo trasmettere alle future generazioni. E in molti casi dovrebbe essere, più che un impegno, un dovere.


Edicola della Fonte di Sajano ristrutturata.


La fonte di Sajano

Dopo tantissimi anni di totale abbandono, la fonte di Sajano è stata recentemente oggetto di un restauro che ha permesso di recuperarne l’aspetto esteriore ma che non ha potuto “ritrovare”, a causa dell’opera altamente inquinante della nostra civiltà, la stessa acqua, tanto rinomata per la sua grande purezza e le qualità terapeutiche, come sgorgava dalla primitiva sorgente. Per molti secoli la Fonte ha fornito, al viandante assetato, un’acqua limpida e fresca che possedeva inoltre proprietà curative come vedremo nelle pagine successive. Un restauro quindi atteso da tanto tempo che ha finalmente ridato un aspetto dignitoso a questo settecentesco monumento rurale e che, ci si augura, abbia come risultato quello di fermare l’opera devastatrice del tempo e dell’incuria degli uomini. La fonte, in tempi recenti, è rimasta esclusa dai percorsi abituali e, per questa ragione, non sono molti gli abitanti di Pesaro, anche dei quartieri più vicini alla Fonte, che ne conoscono l’esistenza.

La Fonte di Sajano in fase di restauro

Ora che è stato completato il suo restauro, ci si augura che l’interesse sia tale da convincere i pesaresi, ed i turisti, a dedicare una passeggiata per “scoprire” la fonte e a fermarsi per ammirarla. Sono certo che in molti riusciranno a percepire il fascino dell’elegante struttura settecentesca, e apprezzeranno il suo inserimento in un paesaggio, ricco di suggestioni, che contribuisce a trasmettere piacevoli sensazioni.


Per queste ragioni, tutta l’area circostante, ha le capacità per diventare anche la meta di turistiche passeggiate lungo i tranquilli sentieri della nostra campagna. Il mio personale auspicio è che la Fonte di Sajano, restaurata e restituita all’utilizzo originale, oltre ad essere importante per l’equilibrio ambientale dell’area circostante, possa essere valorizzata anche sotto il profilo turistico. Inoltre la ristrutturazione del manufatto risponde alla nuova sensibilità che i cittadini di Pesaro dimostrano per tutto ciò che si riferisce al recupero di testimonianze legate alla vita e alla storia della città e delle sue colline. Ritornare col pensiero, e con l’aiuto di qualche immagine, a quello che la fonte è stata negli ultimi decenni del secolo scorso può essere di esempio per altre situazioni analoghe ancora da risolvere. Il caso ha voluto che la struttura della fonte, negli scorsi anni, si è in parte salvata dall’aggressione degli ignoranti, dei vandali e dall’incuria di molti, solo perché è rimasta parzialmente nascosta e “protetta dalla natura” che l’ha ricoperta con la vegetazione e con una grande quantità di terra portata da piogge e smottamenti, oltre che dall’opera dell’uomo che, con le ruspe, tentava di “confondere” la strada di accesso.

Beveratore su ponticello prima e durante il restauro


Ricordo che la prima volta che vidi la Fonte di Sajano fu solo per puro caso durante una passeggiata per i campi in quanto non esisteva più alcun segno dell’antica strada e neppure un sentiero per raggiungerla. E pensare che tanti secoli fa, come vedremo, quella strada era una parte del tracciato della Via Flaminia! A mano a mano che ci si avvicinava alla fonte si rimaneva sorpresi dallo stato di degrado e dai gravi danni arrecati dal totale abbandono e dalle ingiurie del tempo e degli uomini. Si rimaneva però colpiti dal forte fascino che riusciva ancora a trasmette, quello di un nobile manufatto che aveva avuto per secoli una rilevante importanza per le sue fresche acque che davano sollievo ai viandanti assetati e a chi ne traeva vantaggi salutari per le riconosciute proprietà curative. Nei primi anni ’80 dello scorso secolo, l’opera di alcuni privati e l’intervento del Comune di Pesaro riuscirono a ripristinare la strada poderale che dalla attuale Via Flaminia porta alla Fonte. Solo nel 1992 un gruppo di studenti di una scuola pesarese, sotto la guida di illuminati insegnanti, ha compiuto una prima, dopo tanto oblio, opera meritoria di pulizia della Fonte.

La Fonte nel 1980


Lavori di pulizia della fonte nel 1992

In pochi giorni fu liberata dalla terra, dalle sterpaglie e riportata ad una condizione almeno di visibilità. Acquistano interesse ed importanza le fotografie scattate a quell’epoca che testimoniano lo stato di abbandono e di degrado ma nello stesso tempo si rimane sorpresi dal constatare che la struttura muraria dell’edicola, la vasca ed il mascherone originario della fonte e il lavatoio, siano riusciti, almeno in parte, a salvarsi dopo tanti anni di totale abbandono. Oggi la vasca, posta sul fronte dalla fonte e che un tempo raccoglieva l’acqua che usciva con un forte getto dalla bocca del mascherone, è stata riportata nelle originali condizioni anche con l’inserimento di nuovi elementi in sostituzione di quelli risultati inutilizzabili o andati persi.

Lavatoio prima e dopo il restauro


Vista generale da monte - 1992

Vista generale da valle - 1992


Oggi è ritornata chiaramente leggibile,, la bel la epigrafe in latino, scolpita su una lastra di marmo, e che fu dettata dal nobile studioso Annibale degli Abbati Olivieri Giordani. Prima del restauro ancora più evidente era il contrasto tra la totale incuria e questa scritta in latino che metteva in risalto tutta la grande cultura degli uomini che avevano studiato la progettazione e la realizzazione di quella bella ed elegante edicola. Lo storico Domenico Bonamini ci informa che nel 1773

“Il bravo D. Giovanni Andrea Lazzarini ne fece il

disegno, ed opera dell’Olivieri fu l’elegante Iscrizione, ch’adesso in marmo ivi si legge. Ricopiamo il testo inciso sulla lapide:

SAIANI FONTIS VENAM NATURA PURISSIMAM SPLENDORE ET RIGORE GRATISSIMAM CUIUS CONCEPTACULUM POPULEA RADICE CONCLUSUM PENE IAM DILABI VIDEATUR SENATUS PISAURENSIS CIVIUM COMMODO SALUBRITATI URBIS PROSPICIENS CONTINENDARUM SCATURIGINUM CAUSSA OPERE LATERITIO CIRCUMSEPSIT SUBSTRUCTIONE MUNIVIT LACU ET SALIENTIBUS IN USUS PUBLICOS EROGAVIT PASCH. CARD. ACQUAVIVIO DE ARAGONIA PRAES. PROV. METAUR. FRANC. IO. BAPT. F. MARCH. PETRUTIO CAROLO IO. F. CO. MAZZIO AND. FABR. F. CO. HONDEDEIO CURATOR AQUAR. PUBL. M. DCC. LXXIII.


Riportiamo qui di seguito la traduzione:1 La vena della fonte di Saiano, per natura purissima gradevolissima per limpidità e freschezza, la cui sorgente chiusa da radici di pioppo pareva ormai quasi essere persa, il Senato pesarese, provvedendo al vantaggio dei cittadini e alla sanità della città, per regolamentarne la sorgente cinse di strutture murarie consolidò con fondamenta e la destinò ad usi pubblici con una vasca e zampilli. Cardinale Pasquale Acquaviva d’Aragona presidente della Provincia Metaurense Marchese Francesco Petrucci figlio di Giovan Battista Conte Carlo Mazza figlio di Giovanni Conte Andrea Ondedei figlio di Fabrizio provveditori alle acque pubbliche nell’anno 1773

Ritroveremo nelle successive pagine questo testo soprattutto quando ricorderemo e documenteremo le effettive proprietà curative di questa acqua. Il progettista di questa elegante edicola è quindi Gian Andrea Lazzarini un artista che è bene ricordare in quanto fu un grande architetto2, pittore e ceramologo. Nacque a Pesaro nell’anno 1710 e visse fino al 1801 lasciando una notevole quantità di opere a testimonianza delle sue grandi capacità artistiche che l’hanno reso famoso come figura di grande importanza per la cultura pesarese del suo secolo. Suo, come già detto, il disegno dell’edicola della fonte che evidentemente aveva molto a cuore perché negli anni precedenti l’aveva immortalata in sue importanti opere pittoriche ispirate all’episodio “riposo durante la fuga in Egitto” di Maria, Giuseppe e Gesù e realizzate in anni 1 2

Traduzione elaborata con il prezioso aiuto del Prof. Guido Arbizzoni

Architetto validissimo realizzò opere importantissime, quali il Palazzo Olivieri, attuale sede del Conservatorio ricco anche di splendidi affreschi da lui eseguiti, il Palazzo Mazzolari in Via Rossini ed il vicino Palazzo del Seminario.


precedenti. Evidentemente questo “modello”architettonico, forse da lui visto durante uno dei soggiorni romani, e annotato su i suoi famosi “taccuini”, deve essergli piaciuto tanto da inserirlo nelle sue tele trasformando la vasca e l’edicola della fonte come se fosse un “trono” su cui far riposare la Madonna.


Qualche anno fa, venne anche elaborato un progetto di restauro della


Fonte di Sajano, studiato con molta attenzione dall’Ing. Aldo Benvenuti di Pesaro. Ho avuto la possibilità, grazie alla cortese collaborazione offertami dallo stesso Ing. Benvenuti, di consultare tutta la ricca documentazione. Personalmente ho trovato questo progetto estremamente interessante, non solo per le soluzioni che allora proponeva, ma sopratutto per lo studio di ricerca e la passione che traspariva da tutto l’elaborato per il recupero la conservazione dell’antica Fonte. La completa ristrutturazione della fonte era studiata per la conservazione di un’opera ritenuta importante come legame con testimonianze di tempi remoti e come esempio della cultura del settecento pesarese. Un aspetto da non sottovalutare era anche quello di rendere la fonte, e il suo “ambiente,” adatti per essere inseriti in percorsi turistici già previsti nei programmi del “museo diffuso” tenendo conto che la fonte di Sajano è inserita in una piccola e suggestiva valle tra le colline a sud della città.

Vallecola di fosso Saiano foto aerea


Con il permesso dell’autore, riporto alcune frasi dalla relazione dell’Ing. Benvenuti, allegata al progetto per il restauro della fonte di Sajano: “”L’antica fonte di Sajano … attiva da epoca remota, è ubicata nel territorio del Comune di Pesaro in una piccola vallecola appartenente al bacino imbrifero del torrente Genica. Più precisamente con le sue acque alimentava il braccio del Rio Genica che confluisce all’altezza del Cimitero nel tronco principale del torrente. Il luogo è inserito in un paesaggio tipico delle colline pesaresi: un paesaggio in gran parte costruito, antropizzato, caratterizzato dalle dolci ondulazioni dei dossi collinari solcati dalle depressioni dei numerosi fossi presenti. La vegetazione è costituita da siepi, fratte, alberature isolate, piante da frutto, residui di macchie, selve. Queste colline sono inoltre solcate da una delicata trama viaria formatasi in secoli di storia. Si tratta sempre di stradine con sinuosità armoniche al paesaggio naturale, affiancate quasi sempre da una ricca vegetazione che ne sottolinea il tracciato. Strade ormai spesso abbandonate, perfettamente inserite nel contesto ambientale, di piccola dimensione destinate ad essere percorse a piedi o da mezzi a trazione animale. Percorrendo queste strade, sempre di notevole suggestione, si possono ammirare ogni tanto elementi di notevoli del paesaggio naturale o costruito come vecchie case coloniche, alberi monumentali, elementi tipici della vegetazione locale, bellissimi scorci panoramici sulle colline, sulla città o sul mare Adriatico. Con l’abbandono dell’economia mezzadrile, la pressione antropica su questa parte del territorio si è fatta più aggressiva e recentemente sono state costruite numerose villette isolate e il nuovo villaggio Ledymar. Si è inoltre sviluppata l’orticoltura con conseguente realizzazione di capanni, tettoie, recinzioni, abbattimento di alberature scavo di nuovi pozzi per l’innaffiamento, interventi di adeguamento sulle stradine. L’approvvigionamento idrico della città di Pesaro venne assicurato fino a tutto l’ottocento, dal sistema di sorgenti e pozzi di piccola profondità scavati a mano, insieme al vecchio acquedotto romano. Spesso le fonti di piccola portata disseminate nel territorio costituivano o un sistema di integrazione per l’acquedotto principale o dei sistemi esclusivi ed autosufficienti per l’alimentazione di piccole comunità decentrate rispetto al nucleo principale. Era presente quindi in tutto il territorio un sistema di fonti e lavatoi perfettamente tutelati da bandi rivolti espressamente alla loro conservazione e pulizia. Le fonti e i lavatoi vennero abbandonati di pari passo allo sviluppo delle nuove tecniche che consentirono di ampliare e potenziare il sistema di approvvigionamento idrico della città e delle campagne.””





I sentieri della fonte

Si può raggiunge la “Fonte di Sajano” percorrendo delle strade di campagna, in parte semi-asfaltate o rimaste veri e propri sentieri dal fondo sconnesso, ma tutte di grande interesse paesaggistico ed immerse nel verde bellissimo delle colline pesaresi. I percorsi che possono essere seguiti per raggiungere la fonte sono riportati nella mappa che viene riprodotta nella pagina successiva e, per facilitarne la comprensione, il loro tracciato è indicato con il colore blu. In rosso è invece indicata l’attuale “Strada Panoramica Ardizio” che da Muraglia porta a Fossosejore La mappa inoltre ci permette anche di cominciare a “vedere” quello che è tutto il territorio che circonda la fonte e che sarà l’area in cui svolgeremo alcune nostre ricerche.

Strada di Sajano


Cartina dei sentieri


1° percorso - partendo dalla zona di Muraglia bisogna percorrere la Via Flaminia, da Pesaro in direzione di Fano, superare quindi il nuovo complesso ospedaliero, raggiungere il bivio per Trebbiantico, proseguire quindi, sempre verso Fano, iniziando la salita della Strada Panoramica Ardizio. Dopo poche decine di metri, sul lato destro, attenzione che inizia il primo dei nostri percorsi, una stretta strada Via Fonte di Sajano, semi asfaltata, che scende verso i campi e si insinua nella vallata fino a raggiunge la Fonte. Questo tracciato, per molti anni rimasto in condizioni quasi impraticabili, è oggi percorribile anche in auto. Dopo aver raggiunto e superato la Fonte ci si può ricollegare alla Via Flaminia in un punto quasi a metà della discesa che, iniziata “alla bettola”, porta verso il Fossosejore per l’innesto con la statale adriatica. Il suggerimento è quello di percorre a piedi questa strada, come an- che gli altri due percorsi che segnaliamo successivamente, e raggiun- gere la Fonte dedicando tutto il tempo necessario per apprezzare la bellezza della natura e “assimilare” l’atmosfera particolare di questa zona. Questo primo percorso ha anche una sua importanza “storica” in quanto, a detta di molti studiosi, ha probabilmente rappresentato, per secoli, il tracciato forse della primitiva Via Flaminia o meglio della via, ripresa poi dai romani, che collegava anche in epoche più antiche gli insediamenti dei Piceni esistenti nell’ area di Fano con quelli di Pesaro. . Per gli antichi sicuramente questo percorso offriva due prerogative ritenute importanti: la prima rappresentata da un tracciato con una altimetria quasi costante, quindi agevole per i mezzi trainati da uomini o da animali, e la seconda dovuta proprio alla presenza della nostra fonte che dissetava gli uomini e gli animali nei faticosi spostamenti. Questo sentiero, come


spesso accade quando si percorrono le strade antiche del nostro paese, riesce a trasmettere una sensazione particolare, cioè quella di un percorso, un tratturo, già calpestato da tanti uomini prima di noi. Si percepisce quasi l’impronta lasciata da ognuno di loro quale segno del passaggio all’ombra dei filari delle querce secolari. Quanti abitanti del luogo, per tanti secoli, hanno camminato lungo questo tracciato per recarsi alla fonte e riempire i loro orci, quante donne si sono recate al lavatoio, quanti pastori hanno portato ad abbeverare le loro greggi, quanti viandanti, pellegrini, commercianti e per finire quanti soldati e soldataglie di tanti, troppi, eserciti ? Tutti cercavano e trovavano giovamento dalle fresche a salutari acque della fonte. 2° percorso - un sentiero inizia dopo il terzo tornante della strada che, salendo ripida e con molti tornanti dalla Strada dei Colli conduce al Ledymar. Questo sentiero, dal fondo inizialmente non asfaltato, costeggia tutta la colli- na del Ledymar ed è interessante per i suggestivi panorami che propone a chi lo percorre. Querce secolari sono ai lati della strada che alla fine (Via delle Primule) con una leggera discesa raggiunge la Fonte dalla parte opposta del precedente percorso. 3° percorso – forse quello più bello da un punto di vista pa-noramico, lo si raggiunge percorrendo tutta la Via del Ghetto partendo da una nota e tipica trattoria “La Vecchia Cantina” all’ingresso dell’abitato di Trebbiantico e percorrendo tutta la Via del Ghetto tutta in salita.

La fonte nel 1992


Dopo aver raggiunto la cima della collina, la strada prosegue e comincia a sscendere verso il mare. Subito sulla sinistra c’è un sentiero che, immerso nel bosco porta fino alla Fonte, offrendo a tratti delle suggestive visioni, dall’alto del suo tracciato lungo il fianco della collina, del litorale di Sottomonte e del mare. Come si può rilevare anche da queste semplici fotografie, tutta la zona che circonda la Fonte di Sajano, oltre che trasmettere una piacevole sensazione per la bellezza ed il fascino della natura delle nostre terre, risente sicuramente dei segni del passato. Questi percorsi acquisterebbero maggior valore se fossero opportuna- mente “predisposti” per diventare dei percorsi turistici. Si potrebbero arric- chire con pannelli descrittivi per richiamare l’attenzione dei visitatori e for- nire informazioni storiche e naturalistiche che aggiungerebbero valore anche alle motivazioni che hanno portato alla ristrutturazione della Fonte. Come già detto non mancano lungo i tracciati dei punti panoramici di notevole suggestione, che potrebbero diventare zone attrezzate per invitare alla sosta ed ammirare le bellezze della natura. Anche la stessa Fonte potrebbe esser maggiormente valorizzata rica- vando alcuni spazi circostanti e arredandoli con alcuni sedili rustici per invitare ad una sosta dopo il raggiungimento della meta della passeggiata. Si offrirebbe così al visitatore e al turista l’opportunità per ammirare l’ar- monia della costruzione della Fonte ed ascoltare il rumore dell’acqua che dovrebbe sempre sgorgare dalla riattivata struttura.

1968 – Anna Maria e Paolo Morbidelli hanno raggiunto la meta della loro passeggiata


La Fonte di Sajano in epoche remote

L’acqua è sempre stata un elemento prezioso e indispensabile per la sopravvivenza dell’uomo e molto spesso ha fortemente condizionato la scelta dei luoghi dove creare i primi insediamenti. L’uomo ha sempre saputo che avere la disponibilità di buone fonti d’acqua era essenziale per la sua vita, non solo per dissetarsi ma anche per ottenere dalla terra i prodotti per il suo sostentamento. L’uomo primitivo, scoprendo l’importanza dell’acqua, ne fece spesso oggetto di culto e di venerazione. Da sempre infatti l’uomo ha considerato sacra l’acqua e i nostri progenitori romani, usavano il termine latino fons per indicare la sorgente d’acqua ma lo stesso termine era attribuito anche alla divinità protettrice delle sorgenti, una figlia di Giano, la più antica divinità italica, a cui era attribuito, tra tanti altri poteri, anche quello di far scaturire dal terreno sorgenti o polle d’acqua.

Una fonte a Sant’Angelo in Lizzola. Disegno di Romolo Liverani (1809-1872)


Per il cristianesimo l’acqua riveste una grande importanza rappresentando la “fonte di vita” ed è l’elemento essenziale del battesimo, il primo sacramento della vita di un cristiano. Con il fonte battesimale la religione cristiana ha portato in ogni chiesa l’immagine della fonte d’acqua purificatrice. Nel Duecento, San Francesco, ricambiando con amore fraterno quanto l’acqua dava all’umanità, così pregava “Laudato si’, mi Signore, per sor’Acqua la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta.”.

Assisi, San Francesco – Giotto – Miracolo della fonte

Passando dalla poesia ad un aspetto pratico non va dimenticato che, in tempi lontani, l’acqua era più che abbondante, per il basso numero degli abitanti, ma molto spesso non era poi così buona come facilmente si è portati a pensare. Era frequente che le fonti, da sempre dispensatrici di buona acqua, diventassero improvvisamente inquinate; bastava la contaminazione di un animale, caduto accidentalmente nella fonte, per trasformare l’acqua in un veicolo di infezioni estremamente dannose alla salute dell’uomo. Il prezioso apporto che l’acqua può oggi fornire per l’irrigazione dei campi non è sempre stato così facile da realizzare in tempi remoti. Basti pensare che fino a quando la tecnica non ha fornito i mezzi di sollevamento dell’acqua, l’uomo poteva irrigare i campi, e far crescere le sue colture, usando l’acqua solo per caduta con un rendimento alquanto basso. Rimane comunque essenziale l’importanza che le fonti d’acqua hanno avuto per la vita dell’uomo e sempre, lungo i tracciati dei percorsi più frequentati, era presente una fonte. Oggi si parla spesso dell’acqua come risorsa limitata per un mondo


industrializzato che “consuma” quantità impressionanti di acqua. E proprio il nostro mondo dovrà imparare a considerarla sempre più spesso come una merce rara e come elemento di cultura. Ma ritornando alla nostra Fonte di Sajano, si può ipotizzare la tesi, aiutati da un poco di fantasia, ma sostenuti comunque da alcuni dati storici, che fin dal IX sec. a. C. gli abitanti delle nostre zone, i Piceni, già si dissetavano alla fonte di Sajano. Sappiamo infatti da documenti certi che, circa tre mila anni fa, i Piceni avevano creato un insediamento nella zona e avevano scelto un luogo, a metà strada tra Novilara e Trebbiantico, per la sepoltura dei loro morti. Inoltre sappiamo per certo che avevano acquisito anche una notevole esperienza nella costruzione di imbarcazioni che utilizzavano per scambi commerciali e per difendersi o attaccare le barche dei nemici. L’antico porto naturale utilizzato da questa popolazione picena si ritiene fosse collocato nell’insenatura natura- le all’altezza dell’attuale foce del Fossosejore. Possiamo quindi immaginare, che la nostra Fonte, posta a poche decine di metri da questo porto naturale, poteva essere utilizzata per rifornire le barche dell’acqua dolce tanto preziosa per chi naviga e soprattutto allora per dissetare gli stremati rematori. In ogni caso questi primi abitanti della nostra terra, che vivevano dei frutti dei campi, della cacciagione e degli allevamenti di animali, avranno sicuramente sostato alla nostra Fonte per dissetarsi dopo aver percorso i vicini sentieri per raggiungere il mare o i villaggi confinanti per scambiare i prodotti della terra o i primi manufatti oppure ... per fare la guerra.

Paesaggio con fonte di Alessio De Marchis (1684-1752)


È certo che la fonte di Sajano ha avuto una grande importanza in tutti i tempi per la sua posizione lungo un percorso obbligato tra i territori del nord e del sud della sponda adriatica dell’Italia. Bisogna ricordare infatti che, fino a tempi non molto remoti, il mare Adriatico s’infrangeva contro le pendici delle colline pesaresi e questo non permetteva la realizzazione di una strada lungo la costa. Il tracciato della sola via di comunicazione doveva necessariamente utilizzare un percorso “interno” e lungo una quota di livello tale da garantire una certa sicurezza ai viaggiatori sempre soggetti ad attacchi e imboscate di predatori Fino all’epoca dei romani, la strada della nostra Fonte di Sajano, fu sicuramente la sola via di collegamento tra Pesaro e Fano. Con molta probabilità fu anche il tracciato della primitiva strada che prese successivamente il nome di Via Flaminia. E che la Via Flaminia passasse dalla nostra fonte è opinione di molti studiosi. Ne cito uno per tutti, Paolo Campagnoli 1 che in una sua ricerca sul tracciato della Flaminia tra Fano e Pesaro riporta: “ Raggiunto il Fosso Sejore, …. la strada consolare proseguiva lungo i rilievi costieri in direzione della Fonte di Sajano, e poi imboccava la vallecola del Fosso Genica che costituiva una via naturale fino alla città” Cartina

a pag. 126 del libro “Sulle tracce del passato” - Provincia di Pesaro e Urbino 2002 1


La Flaminia, fu fatta costruire dal Console Gaio Flaminio Nepote nel 220 a.C., e ancora oggi riveste l’importanza, che tutti conosciamo, per collegare città che sono nate e si sono sviluppate proprio lungo il suo tracciato. All’epoca dei Romani facilitò il transito dell’imponente macchina militare romana e quindi fu impiegata essenzialmente per la rapida conquista dei territori dal Tirreno all’Adriatico, collegando Roma a Fano, e poi i territori a nord spingendosi fino a Rimini. E che all’epoca dei romani tutta l’area che circonda la Fonte risentisse i benefici di un notevole transito commerciale, viene confermato dagli importanti reperti ritrovati in diverse epoche di cui riferiamo nelle pagine successive. Per secoli infatti, e fino a pochi anni fa, la fonte di Sajano ha dissetato i viandanti, i pellegrini, e i contadini hanno abbeverato alle sue acque le mandrie di bestiame e i mercanti i loro cavalli impiegati per il trasporto delle merci. Ma non dimentichiamo gl’innumerevoli eserciti che sono purtroppo transitati davanti alla fonte. Tutte le soldatesche e i predatori, che per tanti anni hanno trasformato i nostri campi e le nostre città in zone di conquista e di scorribanda, dovevano necessariamente percorrere questa strada che collegava il nord al sud dell’Italia. Documenti storici ci forniscono più di una testimonianza in questo senso ma l’avvenimento che più colpisce per le sue cruente dimensioni è quello relativo alla battaglia che si svolse sul crinale dell’Ardizio, alla fine della guerra greco-gotica, nell’estate del 554 d.C.. I Romani comandati dal greco Artabane attesero le truppe di Leutari, circa 3.000 Goti che avevano fatto razzie nel centro-sud d’Italia, in un punto obbligato di transito, tra Fossosejore e la cima del colle di Sajano e quindi nella zona della nostra Fonte. La battaglia vinta dai Romani, fu comunque un massacro con migliaia di morti molti dei quali gettati dall’alto della collina nelle onde del mare. Si racconta che i pochi Goti sopravvissuti abbandonarono il bottino nelle mani dei vincitori e ripiegarono, lasciata la costa, verso nord cercando altri percorsi interni.


Origini del nome: Fonte di Sajano

Lo studio dell’etimologia del nome della fonte, “Sajano”, non è mai stato approfondito e riporto, solo a titolo informativo, alcune delle numerose ipotesi. Una ipotesi fu che il termine Sajano fosse una derivazione dal nome proprio latino Sallius (o Salius) mentre, ipotesi più valida, è che possa derivare dal nome del dio romano Giano (Janus) che, tra l’altro, era ritenuto anche il dio dell’acqua capace di far scaturire dal terreno delle ricche sorgenti. Altra ipotesi, che nei tempi è stata presa in considerazione, è quella che considera la fonte sacra, per i romani, e dedicata alla Dea Seia, una divinità protettrice dei campi, invocata durante il periodo della germinazione delle sementi. Si è anche ipotizzato, in alcuni casi, che “Sajano” fosse una derivazione del nome del console romano Seiano sulla vita, e la morte, del quale ho raccolto alcune notizie che riporto nelle ultime pagine Il toponimo Sajano lo ritroviamo inoltre in due località. Non lontano da noi, nei pressi del paese di Verrucchio, nella stupenda vallata del Marecchia, vi è il borgo di Sajano-Torriana, noto per il Santuario della Madonna del Carmine e per una torre antica. In quella località esiste infatti, sopra un masso a picco sul fiume, una torre d’avvistamento di origine bizantina che si chiama Sajano. Nel santuario è custodita una statua in gesso, ritenuta miracolosa, risalente al XV secolo, detta “Madonna di Sajano”. La torre è invece citata in un documento del 962 d.C. quando l’Imperatore Ottone I investì del suo feudo il conte Uldarico di Carpegna. Gli studiosi locali, anche in questo caso, sono propensi a far derivare questo toponimo dalla presenza, in antico, di un tempio dedicato al dio Giano. La seconda località è Rodendo Sajano non lontana da Brescia, e famosa per un castello e per un monastero francescano. L’ipotesi, che io ritengo più valida delle precedenti, ma che in ogni caso sottopongo all’attenzione degli studiosi, è quella, che fa riferimento ad una nobile famiglia pesarese, e che si basa sulle seguenti considerazioni: • è esistita a Pesaro, dai primi anni del quattrocento alla fine del cinquecento, una nobile e ricca famiglia, quella dei “da Sajano”

come


descritto nelle prossime pagine. • dai primi anni del quattrocento in poi, e non prima, una vasta area a sud di Pesaro viene identificata, sui documenti dell’epoca, con il toponimo Sajano o “fondo di Sajano”. • Infatti non era solo la nostra Fonte ad essere chiamata “di Sajano” ma anche l’attuale monte Ardizio fu chiamato per secoli “Monte Sajano”. E poi una rocca, o un “castello” posto in cima alla salita dell’attuale Flaminia, nell’area detta “della Bettola” , poco lontano dalla nostra fonte, è ricordato in molti testi storici come “Castello di Sajano”. • Infine la chiesa di San Nicola, che fu all’epoca dedicata a “Santa Maria in Sajano”. La cartina, qui riportata, rappresenta in termini grossolani quello che doveva essere tutto il vasto territorio detto in antico “ fondo di Saiano”, territorio che partendo dalla costa fino alla chiesa di San Nicola copriva la fascia delimitata a nord dall’attuale Flaminia e a sud dal confine con il


territorio di Fano, il tracciato del Fosso Sejore. A questo punto l’ipotesi che sembra essere la più logica è che la potente, come vedremo, famiglia dei “Da Sajano” abbia esteso le sue proprietà, dalla fine del trecento alla seconda metà del quattrocento, su questa zona creando un vasto “fondo Sajano”. Seguendo poi le rapide ed alterne vicende storiche dai Malatesti agli Sforza fino ai Montefeltro, queste terre hanno cambiato padrone e la famiglia dei Sajano ha mantenuto la proprietà di vasti territori in aree limitrofe come indicato nel Catasto Sforzesco del 1506 che li segnala proprietari terrieri oltre che nell’area cittadina anche in zone come Monte Baroccio, Montesantamarina, Montegaudio, Monteciccardo e Ginestreto. Per dare infatti una corretta valutazione dell’importanza della famiglia da Sajano nella vita di Pesaro, nel quattrocento, bisogna consultare il Catasto voluto dagli Sforza che ha una grande importanza per la storia pesarese sia perché risulta essere il primo catasto pervenutoci sia per la ricchezza di informazioni contenute. Il Catasto Sforzesco ci fornisce una documentazione importantissima e dimostra che nel 1500 i maggiori proprietari terrieri, fra le ricche famiglie pesaresi, erano i fratelli d.nus Nicolaus et Bernardinus q. Antonii de Saiano che possedevano complessivamente terreni coltivabili per un totale di 48.396 canne cioè circa 132 ettari. 2 Inoltre d.na Sveva et Elisbet q. d.ni Guidonis Antonii d.ni Iacobi de nobilibus de Saiano, sorella e figlia di Guido Antonio 3, due donne della famiglia, possiedono altre 19.404 canne ( 53 ettari). Non bisogna dimenticare che allora i terreni strappati al bosco, dissodati e coltivati non potevano raggiungere grandi estensioni dato che tutte le relative lavorazioni venivano quasi sempre eseguite con la forza delle sole braccia umane o con un limitato impiego della forza di cavalli o dei buoi.

- Notizie tratte da “I catasti storici di Pesaro - Catasto sforzesco “ – di Girolamo Allegretti e Simonetta Manenti 2

3

- Biblioteca Oliveriana – Estimo

di San Nicolò (156) Vol I – N° 88 ….D. Sveva et Elisabeth sorores et filie q. d. Guidonis Antonimi d. Jacobi de Nobilibus de Sayano…..

Quindi se una sola famiglia, quella dei “da Sajano”, proprietaria di terreni per una estensione di circa 180 ettari, rappresentava la maggiore proprietà terriera di Pesaro, significa che era anche la famiglia più importante, economicamente parlando, in quanto, noi oggi facciamo fatica a pensarlo, ma da sempre, la sola vera “industria” è stata quella di coltivare i terreni. Essere i proprietari di vasti poderi e godere dei ricchi raccolti dei prodotti delle campagne ha rappresentato infatti la vera ricchezza per tanti secoli, direi da sempre, fino ai giorni nostri. Se è il territorio, a sud di Pesaro, che ha preso il nome dalla famiglia Sajano, rimane allora da capire quali possono essere state origini della famiglia “Sajano”.


La famiglia Sajano

A seguito delle ricerche fatte presso gli archivi storici di Pesaro si è potuto ricostruire, anche se con qualche lacuna, l’albero genealogico del ramo principale della nobile famiglia dei Sajano.

NERIO DA SAJANO

GIOVANNI (Mattea Balignani)

ANTONIO Consigliere nel 1459

GIACOMO

DIANA (Pierantonio Bertozzi)

MARIOTTO 1462 - 1532

NICOLO’ (Inviato dal Papa 1484 Consigliere nel 1504)

JACOPO 1501

BERARDINO Consigliere nel 1513

SVEVA

JULIUS Consigliere nel 1519

GUIDO ANTONIO

LUCREZIA

ELISABETTA

Famiglia Sajano (ramo principale)


Il capostipite di questa famiglia risulta essere il nobile Nerio da Sajano che potrebbe essere giunto a Pesaro quale capitano di ventura al seguito di Pandolfo III Malatesta, o dalla vicina Rocca di Sajano sulle rive del Marec- chia, e feudo dei Malatesti, o dal territorio di Brescia dove esiste ancora oggi il paese di Rodengo-Saiano. Pandolfo III Malatesta, abile condottiero, era riuscito infatti ad ottenere ai primi del quattrocento la signoria di Brescia e Bergamo, ma nel 1420 lasciò queste signorie e si trasferì a Fano. I meriti ac- quisiti in battaglia da Nerio di Sajano potrebbero infatti essere stati ripagati dal Malatesta con la concessione di vasti territori a sud di Pesaro. In ogni caso Nerio è un importante rappresentante della nobiltà pe- sarese della fine del trecento e dei primi anni del quattrocento. Nerio ha un figlio, Giovanni che sposa Mattea Balignani figlia di Nicola Balignani nobile pesarese, e una figlia, Diana, che sposa il nobile fanese Pierantonio Bertozzi. Da Giovanni e da Mattea nasce Mariotto da Sajano,nel 1462, nobile signore del Castello di Poggio, personaggio di cui il tempo ha conservato fino ai giorni nostri una ricca quantità di no- tizie relative alla sua vita. Le ricerche condotte dalla Prof. ssa Giuseppina Boiani sono preziosissime e sono riassunte alle pagine 60-75 del libro “Storie di antiche Pievi” firmato da Marco Belogi.

Pietra tombale di Mariotto da Sajano


Mariotto da Sajano (1462-1532), dopo una vita che l’ha visto capitano di ventura, ricco signore del Castello di Pog- gio (tra San Giorgio e Orciano di Fano) e possidente di va- sti territori, riceve con bolla di Papa Adriano VI nell’anno 1523 la licenza di poter fondare un convento e ritirarsi a

vita

monastica con altri 12 frati, seguaci di San Francesco, con i quali visse e pregò, forse anche per i peccati commessi in gioventù, fino al 1532. Alla sua morte i frati fecero porre sul suo sacello, all’in- terno della chiesa del convento, una bella pietra tombale che riportava la seguente epigrafe ora persa: “Mariottus De Sajano armis moribus et fama integerrimus amicus pacis et pauperum omnia sua bona huic Ecclesiae re- liquit et suis sumptibus hoc nobile coenobium a fundamentis erigendum curavit aetatis suae anno LXX obit MDXXXII. (Mariotto Da Sajano in guerra e nella vita di tutti i giorni, da tutti stimato, amico della pace e dei poveri, lasciò a questa chiesa tutti i suoi averi e con i suoi beni fece erigere dalle fondamenta questo convento. Morì all’età di anni 70 nel 1532) Questa pietra tombale policroma 4 che lo raffigura in abi- to semplice, e con i fianchi cinti dal cordone francescano, si trova ancora oggi nella Chiesa di San Pasquale al Poggio, salvata miracolosamente da vandalismi e distruzioni. Accanto alla figura di Mariotto è stata riportata, per non dimenticare il suo passato, anche la sua fedele spada con la lama a sezione rombica che è tipica di una spada da stocco quattrocentesca. Da ricordare che lo stocco veniva allora dato dai pontefici ai capitani che avevano combattuto per la fede. Inoltre sulla pietra tombale è stato riprodotto uno scudo con fondo “d’oro a tre bande di rosso” che rappresenta l’Arma dei Sajano.

- immagine tratta dal libro “Itinerario storico e religioso nella terra di San Giorgio e Poggio” di Marco Belogi - 1994 4


Di Mariotto da Sajano esiste anche il testamento, conservato nell’archivio notarile di Pesaro ASPs, notaio Anto- nio Galvani di Orcia- no Vol. 19, cc. 67r.-70r. Da questo documento rileviamo l’importanza del personaggio che no- mina quale esecutore testamentario il Duca di Urbino Francesco Maria della Rovere al cui servizio nel 1521 aveva probabilmente combattuto per il Papa e la Repubblica Veneta. Il testamento di Mariotto doveva avere anche una notevole importanza in termini “economici” se giustifica, nel 1539 successivamente alla sua morte, una supplica, perché venga “commutato”, inviata direttamente al Papa da un suo nipote, Nicolò da Sajano, di cui abbiamo trovato altre testimonianze che riportiamo nelle righe successive. La famiglia Sajano ha dato infatti a Pesaro anche altri personaggi famosi di cui troviamo notizie importanti e interessanti su diversi documenti storici: • Antonio da Sajano, sposato con Ginevra la figlia di Pandolfo Collenuccio, e suo fratello Jacopo da Sajano furono vittime della violenza di Cesare Borgia che, diventato Signore di Pesaro nel 1501, volle eliminare subito fisicamente i probabili sostenitori di Giovanni Sforza. In questo caso i due fratelli fecero una fine atroce perché vennero impiccati alle finestre dei loro palazzi nel centro della città. • Nicolò da Sajano, quale ulteriore dimostrazione dello stretto legame della famiglia Sajano con gli Sforza e quale posizione di privilegio ricoprisse nella vita cittadina, viene citato nell’atto notarile datato 7 settembre 1484, e redatto dal notaio Giovanni Germani, con il quale Camilla e Giovanni Sforza, gli conferivano l’incarico di presentare la loro obbedienza al Papa Innocenzo VIII.

Stemma della famiglia


Con un altro atto notarile, a Niccolò da Sajano fu conferito l’incarico di rappresentare a Roma proprio Giovanni Sforza nel matrimonio per procura con Lucrezia Borgia. Ancora di Nicolò si parla negli atti del notaio Giovanni Germani, custoditi nell’Archivio notarile di Pesaro, dove si legge che “die veneris septeima maii 1490 se partì da Pesaro la Ill. Donna Camilla per la renunctia del stato del quale lei fo intestata in vita cum lo Ill. Signore messer Johanne suo figliolo adoptivo, … accompagnata da Ill. Signore marchese Francesco de Manta et alchuni cittadini tra li quali era Messer Nicolo da Sayano…..” Nicolò da Sajano, nel 1499 viene citato in un documento notarile (Asp. Np, 17/XIV, c. 116v) quale arbitro per una controversia fra il pittore Bartolomeo Gentile e la Comunità di Ginestreto, mentre sempre nel 1499 troviamo suo fratello, il nobile Jacopo da Sajano, citato in un atto notarile (Asp. Np, 15/XIX, c. 64r) Sempre di Nicolò da Sajano abbiamo un’altra interessante notizia perché nell’atto redatto dal notaio Domenico Zucchella, in data 8 giugno 1499, vengono precisati i termini dell’incarico da lui dato a due ebanisti di “…construere unum legium in ecclesia S. Augustini de Pesauro in coro esistenti…” Lo stesso notaio in data 31 dicembre 1511 redige il testamento di Nicolò che indica come suo unico erede il fratello Bernardino e chiede di essere sepolto nella chiesa di San Francesco dove esiste il sepolcro dei suoi genitori e dona alla stessa chiesa “unam anconam cum immagine annuntiationis beate Marie Verginis”.



Il castello di Sajano

Presso la Biblioteca Oliveriana è conservata una pubblicazione del 1789 dal titolo “ Della Fondazione e delle Antichità di Pesaro “ dove l’autore, Giuseppe Colucci, 5 a pagina 338 riporta quanto già descritto dallo storico Annibale degli Abati Olivieri Giordani in merito ad una “ …. mirabile costruzione di cui ne appariscono tuttora gli avanzi lungo la strada che corre tra Fano e Pesaro dopo passato il rio di Catignano; essendo queste reliquie d’una delle più celebri opere pubbliche che si ravvisano dentro il territori di Pesaro.” Quest’opera pubblica, secondo il Colucci, doveva essere considerata solo come una robusta struttura atta a rendere più stabile e sicuro il tracciato della via Flaminia come voluto dall’imperatore Traiano. Nelle pagine successive il Colucci scrive: “…La mentovata costruzione, tutto ché abbia in gran parte ceduto alle ingiurie del tempo e degli uomini, e siasi tratto tratto rovesciata in mare, sussiste però ancora, e ne restano pezzi tali, che sorprendono e che hanno dato luogo ad una popolare favoletta, che ivi fosse una volta un forte castello, detto Sajano, ma che all’occhio antiquario si presentano tosto come opera dell’età di Traiano.” “…nel 1731 l’Olivieri…esaminati que’ pezzi, non dubitò di francamente asserire esser quella una costruzione fatta a’ tempi in circa di Trajano, per assicurare ivi la strada. Il Colucci, riportando il pensiero dell’Olivieri, descrive i resti di una grande costruzione in cima al “passo di Pantalone” che, secondo il grande studioso pesarese, doveva essere stata realizzata per garantire l’agibilità e la “stabilità” della Via Flaminia all’epoca di Traiano. In particolare, nella pagina successiva a quella qui sopra pubblicata, mette in dubbio l’esistenza del Castello di Sajano e definisce, quanto è stato in passato tramandato oralmente, una “popolare favoletta”. “La mentovata sustruzione, tuttoché abbia in gran parte ceduto all’ingiurie però ancora e ne restano pezzi tali che sorprendono e che hanno dato luogo ad una popolare favoletta, che ivi fosse una volta un forte castello detto Sajano,….” - Biblioteca Oliveriana. Giuseppe Colucci “ Della Fondazione e delle Antichità di Pesaro “ 1789 cap. XLI, pag. 338-340 5

Dai ruderi rimasti a quell’epoca, dopo le ingiurie del tempo e degli uomini, forse non si poteva dire di più, ma nulla esclude che oltre a rafforzare la stabilità della strada, con opere ritenute così importanti, i Romani avessero costruito proprio nel punto più valido una struttura a difesa e per la sicurezza


della via Flaminia. Una eventuale costruzione, castello o semplice torre di avvistamento, posta in un punto dall’ampia visuale sul mare e dominante il percorso della Flaminia, era certamente corrispondente alla logica militare degli architetti romani. Sempre il Colucci riporta, trascrivendo quanto ha trovato in un manosritto, ricco di notizie degli avvenimenti della città di fine secolo, opera di Andrea Tebaldi, un nobile Pesarese discendente dal Pontefice Clemente XIV e che fu anche magistrato di Pesaro nel 1687 : “ In occasione dell’Anno Santo 1700 fu risarcita la strada pubblica, principiando dalla porta di Fano fino al fosso di Sanjorio, per la via detta di Pantalone, con imbrecciarla, siligarla quasi tutta in fondo con grosse pietre…” “..Nel rompere alcuni muricci fatti con breccia ritrovati nella cima del monte vicino alla riva del mare, per servirsi di detta breccia per l’accomodamento di detta strada, fu ritrovato fra detta breccia un mezzo medaglione, o medaglia di ordinaria larghezza, di metallo, la quale da una parte ha una figura sedente in terra, che tiene alla destra una ruota, e alla sinistra un ramo, attorno vi è impressa l’iscrizione S. POP. ROMAN. OPTIMO PRINCIPI, sotto la figura VIA TRAIANA, e di sotto S.C. dall’altra parte una testa colle seguenti lettere attorno IMP. CAES. NERVAE TRAIANO AVG. GERMANICO DACICO P. M. TRIB. P. CON. VII P.P. …” Da quanto riportato si ha una conferma che ancora nell’anno 1700 veniva utilizzato materiale di questa antica costruzione, soprattutto pietre squadrate, usate per il consolidamento della strada e quindi si può desumere che la struttura costruita in epoca romana doveva essere qualche cosa di più di una pur imponente opera di sustruzione della via Flaminia. Ad aiutare l’ipotesi che nella zona sopra descritta fosse stato costruito un edificio di carattere militare va ricordato che la realizzazione di torri o fortilizi lungo le coste , in posizioni dominanti, favorivano la difesa delle stesse dagli attacchi via mare o permettevano la trasmissione di messaggi con segnalazioni luminose modificando sostanzialmente i tempi abituali nelle “comunicazioni” di allora. Ed una testimonianza a favore della tesi dell’esistenza di un “castello” la troviamo leggendo il rapporto scritto nel 1612 per descrivere il momento del ritrovamento di un cippo miliare romano, che fu scoperto ad una profondità


di otto piedi “nel cavarsi un fosso su un campo poco distante dalla strada che va

verso Saiano castel dirupato…” Vi è anche un altro documento che ci fornisce sempre una testimonianza dell’esistenza, ancora nella seconda metà del ‘700, dei ruderi di un Castello. Si tratta un manoscritto, redatto con uno stile semplice ed una “difficile” calligrafia, da Don Domenico Pasquale Andreoli, rettore della chiesa di San Giuliano di Trebbiantico nell’anno 1780; uno “storico” molto meno importante del grande Olivieri, ma forse “più vicino” ai luoghi descritti. L’Andreoli parlando in merito alle origini della chiesa di Trebbiantico, così scrive: “ Io porto opinione … il castello di Sajano, del quale oggi appena se ne veggono la vestigia di là della Fonte di tal nome, nei recenti anni da nuda fontanella naturale ridotta a fontana racchiusa in nobile edificio, e che la chiesa sotto tal titolo o sia stata sempre ab antiquo nel luogo ov’è, o che vi sia stata trasportata nel saccheggio e distruzione accaduto al detto Castello…” Manoscrito di Don Andreoli, rettore della chiesa di San Giuliano di Trebbiantico nel 1780

Difficile capire se il “saccheggio e distruzione” del citato castello sia, come già visto, opera del tempo e degli uomini o se sia opera di una azione militare.


È comunque importante sottolineare quanto “pesi” questa memoria dell’Andreoli a conferma dell’esistenza del Castello. L’area interessata rientrava infatti nel territorio della parrocchia di Trebbiantico ed era a poche decine di metri dalla chiesa di San Cristoforo, oggi non più esistente, dove Don Andreoli si doveva recare per svolgere le sue mansioni sacerdotali. Difficilmente avrebbe riportato, sul suo quaderno di memorie, notizie di cui non fosse certo avendo per di più la possibilità di una frequente personale e concreta verifica. Una riflessione va fatta anche in merito a quanto riportato dai “portolani “ disegnati fin dal 1472 da Grazioso Benincasa, e oggi conservati al Museo Correr a Venezia, oppure da quello disegnato dall’anconetano O. Freducci nel 1539.

Portolano quattrocentesco del Benincasa


Su questi documenti, che riportano riferimenti geografici degli approdi o dei punti di orientamento visibili dal mare, venivano normalmente indicati elementi noti o di immediato rilievo per facilitare al massimo la navigazione sotto costa. Le indicazioni riportate dovevano quindi essere conosciute da chi doveva utilizzarli e possibilmente ben radicate nella memoria popolare. Ecco che troviamo che la zona dell’attuale Monte Ardizio viene individuata come “Monte Cateiam” o “Monte Catigliano” o “Monte Castigliano”. Prendere in considerazione l’ipotesi che “castigliano”, sia un toponimo dovuto alla presenza di un castello posto sul monte tra Fano e Pesaro, e quindi ben visibile dal mare, non sembra essere una proposta del tutto azzardata. Ad avvalorare questa ipotesi esiste un antico disegno tratto da un codice

di mons. D’Aste offerto nel 1701 a papa Clemente XI e realizzato probabilmente da un ingegnere militare che riproduce molti particolari della città di Pesaro vista dal mare con grande attenzione. Questo disegno sicuramente interesserà molti appassionati della storia pesarese perché non è molto conosciuta ma quello che interessa a noi, a


conferma della nostra tesi è un particolare che non lascerebbe alcun dubbio sull’esistenza di una torre sulla cima del colle Ardizio almeno fino agli ultimi anni del XVII secolo.


La chiesa di S. Maria di Sajano

L’attuale chiesa di San Nicola, da molti pesaresi conosciuta e posta sulla collina detta di Valmanente, fu fondata dai frati Agostiniani. Dedicata alla Vergine Maria fu a quell’epoca chiamata “Santa Maria in Sajano”, come risulta da antichi documenti. Troviamo infatti scritto che nel 1316 la chiesa di S. Maria in Sajano era annessa al convento dei frati Agostiniani e dipendeva dall’Abate della chiesa di S. Tommaso in Foglia. Da un altro documento, datato 22 dicembre 1386, Giovanni da Tuderano, neo Abate del Monastero di San Tommaso in Foglia, ordinava a tutti i suoi Rettori e Governatori, tra i quali troviamo il “Rector S. Marie in Sajano”, di “comparire in capo a quindici dì alla di lui presenza nel castello di Montelabbate” per discutere alcune questioni molto importanti. Una logica e dotta spiegazione dell’aggiunta “in Sajano” la possiamo leggere nel manoscritto dello studioso Annibale degli Abati Olivieri-Giordani, “Memorie della Badia di san Tommaso in Foglia”: “in Sajano, poiché resta situata appunto in quella estensione di terreno, o di quel fondo, che fu detto di Sajano, che si rende sempre più noto per la salubre acqua che scaturisce, e che negli scorsi anni a pubblica utilità con una non ordinaria fabbrica venne assicurata.” 6

Tarsia del coro della chiesa di Sant’Agostino a Pesaro realizzata nel 1475. Raffigura il Santo Nicola da Tolentino, al momento dell’Elevazione, nella chiesa di Santa Maria in Sajano. A destra sullo sfondo, in cima elle colline , il castello di Novilara e la chiesa di San Giuliano di Trebbiantico.

- La chiesa di S: Maria in Saiano fu chiamata di San Nicola dopo la permanenza di San Nicola da Tolentino. Da un antico documento si legge: “Convento di S. Maria, ma hora di San Nicola per havervi habitato il medesimo San Nicola dell’Ordine Agostiniano circa l’anno 1267 come narra S. Antonino terza parte Historiali…” 6


Il colle di Sajano

Il colle di Sajano è ai giorni nostri chiamato ...“Monte Ardizio” e tutti i pesaresi lo conoscono perché caratterizza, con la sua bellezza, tutta la zona a sud di Pesaro. Visto dal mare, con le sue suggestive e ripide pareti, fa da contrapposizione al Monte San Bartolo posto a nord della città. Il monte Ardizio viene indicato in alcuni documenti notarili o su alcuni portolani del quattrocento con il nome di “Monte Catejan” ma anche con la dicitura “Colle Sajano” a partire dalla seconda metà del trecento fino a metà del XVI secolo. Noi sappiamo con certezza che nello stesso periodo la famiglia Sajano gode di grande importanza nella vita politica ed economica della città e possiede vastissime terre, facile quindi dedurre che anche questa zona fosse compresa nei possedimenti della famiglia Sajano. Il nome “Colle Sajano” è sicuramente rimasto per molto tempo nella memoria dei pesaresi, anche molti anni dopo il cambiamento del nome in “Monte Ardizio”. Lo conferma il fatto che ancora nel settecento, un erudito come Giannandrea Lazzarini, lo citava nelle sue opere poetiche. Nella famosa opera dell’Olivieri, “Memorie di Novilara” sono riportate le seguenti ottave scritte dall’architetto, pittore e poeta, Giannandrea Lazzarini, che descrivono con l’enfasi dell’epoca i due colli di Pesaro, al lato “sinistro” il Colle Accio, l’attuale Colle San Bartolo, e alla destra, dove “nasce il sol” il Colle Sajano: …………… Sajan si estese in guardia al detto lito, dove il nascente sol la tremolante sals’onda investe: ed al sinistro sito un altro colle alzò sue rupi infrante sovra cui cantò poi con piè vestito di tragico coturno Accio, ch’errante ombra tuttor per l’erto suo si aggira e degli eroi sul fato ancor sospira. ……………. Aprirò Accio, e Sajan qual foce un varco al bel pian, dove Pesaro troneggia; e a se, come a due capi, uniron l’arco de’ colli, che la valle ampia costeggia….


Il cambiamento invece del nome da Monte Sajano a “Monte Ardizio” risale a circa la fine del quattrocento quando “Maestro Gasparino degli Ardizi”, “medicophisico de Mediolano”, dopo aver presa la cittadinanza pesarese, sposò una certa Pacifica Samperoli. I documenti dell’epoca raccontano che il matrimonio non fu certo per amore ma venne richiesto dall’allora Signore di Pesaro, Alessandro Sforza, per risolvere una situazione difficile venutasi a creare con la Samperoli che era, o era stata, la sua amante. Il signore di Pesaro, in segno di riconoscenza per l’aiuto fornitogli da Gasparino degli Ardizi, ritenne buona cosa concedergli onori e proprietà, compreso tutto il monte che prese, da allora fino ai giorni nostri, il nome del nuovo proprietario. Questa notizia è riferita da Giulio Vaccaj che riporta quanto ha appreso dalla lettura del manoscritto “Memorie di Pesaro” dell’enciclopedico Fra Ludovico Zacconi, nato a Trebbiantico, dell’ordine degli Agostiniani del Convento di San Nicola.


La fonte di Sajano nel settecento

“L’acqua di Saiano, la cui fonte trovasi due miglia distante da Pesaro, presso l’antica Via Flaminia, che passa sul ciglio della collina, che da Fano conduce a Pesaro” Così inizia una cronaca, pubblicata sulla “Gazzetta di Pesaro” del 12 luglio 1774 che illustra le qualità terapeutiche dell’acqua che allora sgorgava copiosa dalla fonte lontana due miglia (tre chilometri circa) dalla città. Due miglia allora non erano poche, soprattutto se dovevano essere fatte a piedi o a dorso di somaro, e quindi la fonte avrebbe dovuto essere nota solo agli abitanti delle campagne circostanti o a quelli della città che, molto spesso per ragioni inerenti a scambi commerciali, uscivano dalle mura cittadine e si dirigevano verso sud. Ma le qualità dell’acqua della fonte di Sajano erano tali da far si che non solo tutti i cittadini la conoscessero ma che gli amministratori della città si preoccupassero di richiedere ai tecnici un nuovo progetto per valorizzarla rendendola più ricca di acque e con una struttura muraria elegante come la rivediamo ora dopo il restauro.

Progetto dell’architetto Luigi Baldelli - 1741

Infatti nel 1741 viene dato l’incarico all’architetto Luigi Baldelli di presentare un progetto sia per far confluire alla tradizionale Fonte di Sajano anche altre sorgenti per incrementare la portata d’acqua che per darle un aspetto di maggior prestigio. Il bel disegno in pianta della fonte, con prospetto e spaccato della fonte di Sajano, venne allegato al progetto firmato dall’architetto Luigi Baldelli ed il relativo manoscritto è conservato presso la Biblioteca Oliveriana. ( “”Notizie e documenti, capitoli e condizioni, fatti ed obblighi da osservarsi per la custodia degli acquedotti e fontane di Pesaro”” ms. Oliv. 1551,2 1 maggio 1741)


Dal libro di Antonio Brancati “Una statua, un busto e una fontana di Lorenzo Ottoni” riportiamo integralmente dalla pagina 274 il seguente testo : ….La Tavola del Baldelli presenta in alto la sezione della cosiddetta “opera di presa”, formata da due ambienti in muratura a cupola, destinati a coprire la sorgente e a costituire il serbatoio di raccolta e di carico. In mezzo, il prospetto dell’intera opera, che dalla sorgente alla fontana aveva come necessario raccordo un condotto lungo 90 palmi romani (m.20 circa). In basso, in pianta, sono rappresentate la sorgente principale o “bollore maggiore” (A), racchiusa all’interno dell’opera muraria” di cui sopra, verso la quale da varie parti confluivano numerose piccole vene (bolloretti); una camera di raccordo (G), collegata al condotto (H), che portava acqua alla fontana e quindi anche all’abbeveratoio (I) e al pubblico lavatoio (L); nonché un canale di scarico in direzione del fosso, che correva quasi parallelo alla condotta e che era scavalcato da un ponticello (M), collegato a sua volta all’abbeveratoio e alla strada di Sajano….7 I lavori vennero poi eseguiti solo nel 1773 e furono realizzati in evidente “variante” rispetto a quelli previsti. Infatti la configurazione attuale della fonte, pur mantenendo gli elementi del progetto, risulta sostanzialmente modificata rispetto al progetto originario. Forse una ragione che può giustificare un così lungo periodo di tempo fra la stesura del progetto e l’inizio dei lavori la si può trovare leggendo “Il repertorio dell’archivio di S. Domenico di Pesaro” 8 che registra alla data del 14 ottobre 1770 la “cessione dell’acqua di Sajano fatta dal Convento (di San Domenico) all’Il (lustrissima) Comunità “. Quindi fino all’ottobre 1770 il Convento di San Domenico è proprietario della fonte e solo dopo questa data viene acquisita dalla Comunità di Pesaro che può quindi iniziare l’opera di restauro. Una interessante cronaca dei lavori eseguiti e delle qualità delle acque della Fonte di Sajano sono riportate su una pubblicazione, di grande importanza per la vita cittadina di quei tempi, la “Gazzetta di Pesaro”. Questo primo esempio della stampa periodica locale, edito dalla Stamperia Gavelli in formato di soli 15 X 21 cm., riportava essenzialmente cronache da Roma e dalle capitali delle allora più importanti nazioni europee ed extraeuropee. Tutte le cronache erano relative quasi esclusivamente ad avvenimenti che avevano interessato il mondo della Chiesa ed il mondo della nobiltà e dei regnanti. Pochissimo spazio veniva dedicato in realtà alla cronaca di Pesaro e anche quel poco era dedicato ai soli argomenti sopra citati. Bisogna quindi sottolineare il fatto che nei due anni, 1773 e 1774, le sole notizie di vita locale pubblicate dalla Gazzetta di Pesaro, una per anno, siano dedicate alla Fonte di Sajano, notizie che evidentemente venivano giudicate di notevole interesse per i lettori pesaresi.

- Testo tratto dal libro di Antonio Brancati – “Una statua, un busto e una fontana di Lorenzo Ottoni”- Cassa di Risparmio di Pesaro - 1981 8 - L. Fontebuoni e A Frank-Kiss – “Il Repertorio dell’Archivio di San Domenico di Pesaro” Frammenti N° 5 – 2000 pag. 140 7



Riportiamo ora il testo integrale apparso sulla “Gazzetta di Pesaro” n° XXIX di martedì 20 luglio 1773 relativo ai lavori eseguiti,: Pesaro, 20 luglio Non molto lungi dal corso dell’antica via Flaminia, che passa sul ciglio della collina, che da Fano conduce in questa Città, in distanza di due miglia dalla medesima, trovasi una Fonte, detta di Sajano. Era antica tradizione, che quest’acqua, la quale per sua limpidezza, e leggerezza facevasi di tuttodì trasportare in Città per uso dei Cittadini, servisse altre volta ancora per uso medico; onde comune in tutti era il desiderio, che qualche opera si aggiungesse, acciocché rimanesse assicurata alla Città un dono così pregiato della Natura. Quindi lo zelo dei nostri Magistrati, de’ Signori della Congregazione delle Fonti, e de’ Deputati principalmente, eccitati dalla vigilanza dell’Em.o Acquaviva d’Aragona, Nostro Presidente, s’indusse a far cingere di congruente lavoro di terra cotta la natural conca di quell’Acqua, di munirla con una forte costruzione, e di far a pubblico benefizio sortir l’Acqua pe cannelli, e tenerla esposta in vasca proporzionata, adunando tutta l’opera con semplice, ma grandiosa simmetria, e collocandovi nel mezzo la seguente iscrizione: SAIANI FONTIS VENAM NATURA PURISSIMAM SPLENDORE ET RIGORE GRATISSIMAM CUIUS CONCEPTACULUM POPULEA RADICE CONCLUSUM PENE IAM DILABI VIDEATUR SENATUS PISAURENSIS CIVIUM COMMODO SALUBRITATI URBIS PROSPICIENS CONTINENDARUM SCATURIGINUM CAUSSA OPERE LATERITIO CIRCUMSEPSIT SUBSTRUCTIONE MUNIVIT LACU ET SALIENTIBUS IN USUS PUBLICOS EROGAVIT PASCH. CARD. ACQUAVIVIO DE ARAGONIA PRAES. PROV. METAUR. FRANC. IO. BAPT. F. MARCH. PETRUTIO CAROLO IO. F. CO. MAZZIO AND. FABR. F. CO. HONDEDEIO CURATOR AQUAR. PUBL. IO. ANDR. LAZARINO ARCHITECT. M. DCC. LXXIII.


Ma qui non si restrinse solamente l’attenzione del Magistrato; mentre desiderando, che tutti trar potessero ogni maggior vantaggio dalla pubblica spesa, ordinò che, sotto la direzione dei due primari Medici di questa Città, Sig. Dott. Nicolò Giannantoni, e il Sig. Dott. Giacomo Grassi ne fosse fatta una analisi, la quale è stata eseguita dal Sig. Giuseppe Piazza, Ministro della Speziaria di questo Ospedale. Da essa analisi dunque moltiplicata per più sperimenti, molti dei quali si tacciono ancora per più brevità, si è rilevato in primo luogo, che lasciata in bocce di vetro la medesima Acqua per nove Mesi si è mantenuta incorrotta, ne à dato segno alcuno di sedimento; chiaro indizio, che in quella non trovansi parti eterogenee, grasse o viscose. Pesata la medesima in paragone a quella di Nocera si è trovata di ugual peso, e messovi il Sapone lo scioglie in breve tempo, come al fuoco pure presto si riscalda, e presto ancora si raffredda. Dalla evaporazione di dodici libbre di quell’Acqua si sono ritrovati dodici grani di Sale, ed in altrettanta quantità all’istillarvi il deliquio di tartaro inalbò leggermente il fluido e si ebbero grani sei di bolo bianchissimo. Sciolta poscia la tintura di Viole in detta Acqua, ed unitavi porzione ancora del medesimo Sale, mantennesi per del tempo del suo colore violaceo, senza veruna alterazione colla soluzione del Mercurio, videsi precipitata al fondo una polvere ruginosa vitriolica. Il Sale di quest’Acqua messo poscia al gusto pel palato, lasciò un saporetto stitico, e non disgustoso. Furono versate sopra detto Sale poche gocce di olio vitriuolo, fermentò immantinente, esalando un vapore pungente di odor grave, e passeggiero; lasciato indi esposto all’aria, tosto s’inumidì. Si proseguirono le diligenze, e si mise mano ad esaminare la materia mucillaginosa, che a luogo a luogo trovasi ai lati della Vasca di questa Fonte, e fattane seccare porzione, furono ritrovati mediante la calamita alcuni framenti di ferro, i quali raccolti, e posti al microscopio, alcuni dei quali erano d’un color gialloro. Di tutto questo, e di altre osservazioni fatte si conchiude di poter con fondamento asserire, che la natura abbia industriosamente provveduto l’Acqua di Sajano d’un sale neutro, fiancheggiato da qualche porzione di Marte; e però sia diuretica, attenuante, aperitiva, e corroborante, valutandosi anche questo dalla pratica avutasi da molti soggetti che ànno fatto uso di quest’acqua, come segnatamente ne fa fede il sig. Dottore Francesco Razzi sulla persona della F.M. del Sig. Card. Merlini, qui Presidente, di cui era Medico, il quale fu sempre difeso in tutto quel tempo di sua Presidenza dal laborioso cruccio di calcoli, renella e podagra, cui era soggetto il mentovato Porporato. Altre testimonianze pure meritissime si potrebbero qui addurre, le quali si stimano superflue, perché troppo note, bastando di aver resa palese al pubblico sotto buona fede le celebrità di questa Fonte, e di poterla predicare fatto l’uso continuo di questi molti Professori per capire la via a chiunque volesse profittare di un tanto beneficio.


Dopo aver letto di tanti esami a cui veniva sottoposta l’acqua della fonte, riportiamo le immagini di strumenti usati all’epoca proprio per eseguire alcuni di questi esami.

Come si rileva dal documento sopra riportato, al termine dei lavori voluti dal “Senatus Pisaurensis”, venne posta, sulla mostra della fontana, una lapide con incisa l’iscrizione in latino voluta dal grande studioso e storico pesarese Annibale degli Abbati Olivieri Giordani ( 1708-1789).

Strumenti usati nel XVIII nei laboratori per le analisi delle caratteristiche delle acque

Nella versione pubblicata nella “Gazzetta di Pesaro”, nella penultima riga, viene ricordato l’impegno di un suo grande amico, l’architetto Giannandrea Lazzarini, per la ristrutturazione della bella fonte. In realtà il testo inciso sulla lapide, stranamente, dimentica la riga dedicata a questo grande pesarese. Importante inoltre ricordare che alcuni, anche autorevoli cittadini, mossero subito delle critiche in merito ai risultati ottenuti con questi lavori per “l’ammodernamento” della fonte, critiche che con il passare degli anni si dimostrarono in parte fondate. Il tempo dimostrerà infatti che in effetti l’acqua della fonte, con queste opere, aveva perso molte delle proprietà che l’avevano resa celebre per secoli e anche la quantità d’acqua che la fonte poteva fornire non corrispondeva alle aspettative. È interessante, a questo proposito, leggere il diario di un nobile contemporaneo, la “Cronaca della città di Pesaro” di Domenico Bonamini, 9 che in corrispondenza all’anno 1773, a proposito dei risultati ottenuti con l’attuazione del progetto Baldelli, e relative varianti, scrive testualmente: “”Era in questo tempo in grandissima voga l’acqua della fonte di Sajano lontana circa tre miglia dalla Città.

- Testo pubblicato nel 1971 a cura di Giancarlo Scorza – R. Pantanelli Editore – e ricavato dal Ms. Oliv. 1070, c. 23r 9


I Medici, che ne fecero l’analisi, la paragonavano per leggerezza a quella di Nocera dicendola salubre per mille conti. Fu pensato dunque di farle un ricettacolo, giacché prima non avea, se non che una piccola vasca, che la Natura le aveva fatta. Il bravo D. Giovanni Andrea Lazzarini ne fece il disegno, ed opera dell’Olivieri fu l’elegante Iscrizione, ch’adesso in marmo ivi si legge. E’ invalsa tuttavia l’opinione ora nel popolo, che tale abbellimento abbia piuttosto pregiudicato di quello che giovato alla bontà di quest’acqua a cui essendo vicine altre vene, che forse non erano della stessa bontà e perfezione, allacciandole assieme per far la fonte più copiosa, ora più non sia quell’istessa acqua tanto prima e bramata e lodata. Tanto è vero, che molte cose belle e buone sono nel loro stato naturale, e quando l’arte le tocca le guasta piuttosto e le pregiudica.””

“Paesaggio con contadini presso una fontana” di G. Zucchi (1713-1767)


La prima “acqua minerale ” della storia

Un anno dopo questo giudizio abbastanza critico del Bonamini, appare invece, sempre sulla “Gazzetta di Pesaro” (N° XXVIII -1774), un altro articolo di cronaca che, riprendendo in parte i concetti già espressi nel 1773, ribadisce i giudizi estremamente positivi e ci fornisce interessanti notizie. Ma leggiamolo insieme nel testo riportato fedelmente e scritto con lo stile di allora: Pesaro, martedì 12 luglio. L’acqua di Saiano, la cui fonte trovasi due miglia distante da Pesaro, presso l’antica Via Flaminia, che passa sul ciglio della collina, che da Fano conduce a Pesaro, resa già nota fin dall’anno scorso sotto il dì 20 luglio colla Gazzetta di quella settimana, acciocchè dopo una ben diligente analisi ordinata dal Magistrato e dai Deputati alle Fonti, ed eseguita alla presenza di quelli due Medici primarj, venisse riconosciuta con quella giusta riputazione, la quale da molti si voleva e per l’antica tradizione, e per gli mirabili effetti, che in alcune morbose affezioni alla giornata si veggono, trovasi in quest’anno in Fiera a Senigallia presso i Sig. Casali e Calegari, fabbricatori di questa maiolica, a comodo di chi la vuole a baiocchi 6 al fiasco, giacchè l’uso della medesima, torna eccellente ancora fra i cibi, essendo l’acqua suddetta limpidissima, leggerissima e con gran prontezza passante. Siffatta determinazione è stata presa da chi presiede con molta vigilanza ed amorevolezza al reggimento delle Fonti, per non rendere de- fraudata l’aspettazione di moltissimi, che l’ànno ricercata; siccome di continuo viene chiesta da lontano ancora da Personaggi di qualità, pel buon incontro della medesima, tanto usandola fra la mensa, quanto per difesa di chi principal- mente soffre il doloroso cruccio di Renella, Calcoli e Podagra, conforme fu detto già nella Gazzetta di allora; avvertendo che a scansoo d’ogni inganno saranno I fiaschi ben chiusi e sigillati con cera lacca e impronto del Sig. Co. Carlo Mazza, uno dei Deputati. Si avvisa per altro, che chi vorrà provvedersela da se alla Fonte o dirittura, non avrà altro dispendio, se non se quello di farsela trasportare. Questo documento, del 1774, rappresenta un’importantissima teestimoniianza d i una “avveniristica” iniziativa di validi imprenditori pesaresi che reealizzano, forse per la prima volta nel mond o, l’imbottigliamento e la commeercializzazione d i un’acqua minerale. Se per un istante ci dimentichiamo del mondo in cui viviamo, con tutte le sue comodità e la sua tecnologia, e torniamo indietro di 230 anni, rimaniamo sorpresi ad immaginare che allora si sia arrivati a pensare e realizzare l’imbottigliamento dell’ acqua e la sua commercializzazione.


Il nostro documento testimonia quindi, senza ombra di dubbio, che la nostra Fonte di Sajano deve essere stata, con grande probabilità, la prima sorgente nel mondo “sfruttata” a fini commerciali. Interessante inoltre sottolineare che l’acqua della nostra fonte aveva proprietà tali da poter essere conservata a lungo se si pensa che non solo veniva portata alla Fiera di Senigallia ma che era messa in vendita per degli acquirenti che molto spesso giungevano dall’altra sponda dell’Adriatico. La Fiera di Senigallia, detta “della Maddalena”, a partire dalla seconda metà del seicento e per quasi due secoli raggiunge una grande importanza grazie alla franchigia del porto. Negli anni di maggior splendore attraccavano nel porto fino a 500 imbarcazioni e vi affluivano oltre 50.000 forestieri provenienti dalle nazioni levantine, dall’Italia centro-settentrionale e dall’Europa centrale. Per Senigallia, durante il periodo della fiera che durava tutto il periodo estivo, transitavano fino al 40% delle merci importate dallo Stato Pontificio. Un’ultima sorprendente notizia che ci fornisce il prezioso documento sopra riportato, è che i “venditori” dell’acqua sono indicati anche come i produttori dei contenitori, cioè dei “fiaschi in maiolica”. Si tratta di due nomi, Casali e Callegari, di due famosi produttori di ceramica artistica decorata, che firmavano le loro opere ceramiche di estrema bellezza come sopra riportato, e che sono riconosciuti in tutto il mondo come grandi maestri ceramisti .

La sigla della fabbrica Casali e Callegari da una ceramica conservata presso i Musei Civici di Pesaro

Bisogna ricordare che la loro produzione artistica ha contribuito a rendere famosa in tutto il mondo la città di Pesaro per le bellissime maioliche con il decoro alla “rosa di Pesaro” e “al ticchio” o “alla margherita”. Si rimane sorpresi, dato che li si immagina come grandi decoratori, scoprirli invece come produttori “di fiaschi” in maiolica utilizzati quali semplici contenitori d’acqua.


Evidentemente Casali e Callegari avevano capito che, per far quadrare i bilanci della loro bottega, bisognava dedicarsi anche ad una produzione più semplice e non basarsi solo sulle commesse di facoltosi clienti disposti a spendere cifre considerevoli per il piacere di avere tavole imbandite con ceramiche finemente decorate. Ma quale sarà stata la forma di questi fiaschi? Purtroppo le nostre ricer- che presso le raccolte private di ceramiche di quella epoca e presso i nostri Musei Civici, non hanno dato alcun risultato positivo e non si sono trovati manufatti di semplice fattura come dovevano essere questi primi contenitori di acqua. I pezzi di pregio artistico, prodotti nel 1700, sono conservati nei nostri musei e catalogati con la dicitura “fiaschi”, dicitura ereditata probabilmente da documenti dell’epoca. Questi presentano forme che poco si adattano al concetto di economia e a quello della praticità di trasporto, caratteristiche a cui dovevano, si presuppone, rispondere i “fiaschi” per quanto sopra detto.

Profilo comune ad alcuni Manufatti del XVIII sec.


Bando e provvisioni

Guardando una immagine come questa, ripresa poco tempo fa, si rimane colpiti dallo stato di degrado e di abbandono, e sono evidenti i danni causati dal tempo e dall’uomo. Risulta quindi interessante leggere il “Bando” datato 9 g i u g n o 17 97 dell’allora Luogotenente e Magistrato di Pesaro che pone delle logiche regole per l’uso delle fonti. Ed è bene sottolineare un punto in cui dice: “ Nessuno, fuori della città, né dentro ……..ardisca di propria autorità in qualsivoglia modo pigliare l’acqua (inteso evidentemente come collegarsi direttamente alla sorgente), o per altro effetto turare, scuoprire, o far altra cosa, che sia di pregiudizio alla conservazione, e mantenimento di dette fonti, sotto pena di scudi venti.” Nel successivo capoverso, il Magistrato, per i colpevoli d’altre cause di danni alle fonti, prevede oltre agli Il bando è stato tratto dal libro “L’approvvigionamento idrico di Pesaro, dalla sua più antica realizzazione al 2000” a cura di Antonio Brancati.

scudi venti anche tre tratti di corda. Al pagamento di quanti scudi e a quanti tratti di corda avrebbero dovuto essere condannati i responsabili delle disastrose condizioni in cui si è trovata per molti anni la nostra Fonte di Sajano ?.


Le fonti nel territorio di Trebbiantico

Per meglio individuare l’area della nostra Fonte, abbiamo consultato il Catasto Pontificio, il primo catasto “piano”, iniziato nel 1825 e oggi conservato all’Archivio di Stato. Al Foglio 2 di Trebbiantico risultano intestate al n° Fonte di Sajano dal Catasto Pontificio del 1873 - Archivio di Stato di Pesaro

160 -Comune di Pesaro - la particella 324 (fonte pubblica - fonte di Sajano) e la particella 325 (prato naturale-fonte di Sajano). Dallo studio delle tavole del Catasto Pontificio, quelle che si riferiscono alla ristretta area di Trebbiantico, si può subito osservare che, oltre alla nostra Fonte di Sajano, vi sono indicate altre fonti, come “Acquabona”, “La Fonte” e “La Fonte Rosa”. Tutto questo su una superficie estremamente limitata e confinante con il territorio di Novilara dove esistono, e sono attive da almeno 2000 anni, le fonti che alimentarono per secoli l’acquedotto di Pesaro e che ancora oggi forniscono acqua per usi diversi da quelli potabili. Una area quindi, quella da noi presa in considerazione, ricca di acque sorgive che hanno sicuramente favorito insediamenti produttivi, garantendo vita e sostentamento per gli abitanti perché l’acqua rendeva fertili i campi e dissetava uomini e animali.


San Terenzio e la fonte “”L’acquabona“”

sorgive che hanno sicuramente favorito insediamenti produttivi, garantendo vita e sostentamento per gli abitanti perché l’acqua rendeva fertili i campi e dissetava uomini e animali. Un’altra fonte nella zona di Trebbiantico, la Fonte “Acquabona”, oggi forse non è più esistente ma della sua presenza rimangono delle tracce nei vecchi documenti. La sua collocazione era ai confini a sud dell’insediamento Ladymar e quindi poco lontana dalla Fonte di Sajano. La fonte “Acquabona fu un tempo molto famosa in tutta l’area pesarese. Infatti un manoscritto del 1650 circa, conservato alla Biblioteca Oliveriana, dello storico F. Fabbri dal titolo “Historia della vita et morte del glorioso San Terenzio martire, tutelare et protettore della città di Pesaro” riporta con profonda convinzione una leggenda che all’epoca dell’autore era evidentemente molto diffusa fra i cittadini di Pesaro. Narrando la vita di San Terenzio l’autore così descrive il Suo martirio: “…Seguitò poi il Santo giovineto il suo viaggio ansando d’arrivare al tanto bramato Martirio onde entrato nel distretto di Pesaro vicino al Borgo detto Trebbio Antico vicino alla fontana vocitata all’hora Acquaa Mala, fu assalito da alcuni pagani per rubarlo, ma conosciutolo…..lo condussero nelle selve di quelle fore, deliberarono di martirizzarlo, lo spogliarono dei suoi drappi nobili e tanto batterono le sue nude carne con bastoni per spatio di tre hore….et Santo giovinetto rende la sua Anima al Benedetto Dio……” e in un altro punto del manoscritto riporta questa nota: Giovani Antonio Bellinzoni da Pesaro 1448 – San Terenzio – Musei Civici di Pesaro

“nella Villa detta Trebbio Antico vi è la chiesa parrocchiale di San Giuliano nella Via Flaminia, dove è


un ponte in pietra cotta e c’è una fontana di campagna detta ai tempi nostri Acqua Bona e nel tempo del martirio del glorioso Santo Terenzio, era detta Acqua Mala.” La leggenda riportata dal Fabbri è sopravvissuta evidentemente, nella credenza popolare, per molto tempo se la ritroviamo riportata nel volume II° di un manoscritto del Conte Carlo Emanuele Montani (1767-1818) dal titolo “Memorie istoriche ecclesiastiche e civili della città di Pesaro e suo territorio”, trovato presso l’Archivio Stroppa-Nobili di Pesaro: “”...detta Villa (di Trebbiantico) è situata prossima alla via Flaminia dove vi è un ponte di terra cotta, e sotto una Fontana di campagna, per quanto ne dice il Fabbri, detta ai nostri giorni Acquabona, laddove in quelli del martirio del glorioso San Terenzo appellavasi Acquamala. Nel 1776 essendosi scoperti in poca distanza da questa degli avanzi di Mosaici, di grosse muraglie, di colonne, e di altre pietre, fanno congetturare che anticamente in quel tratto presso alla via Flaminia vi fosse qualche Vico , o Pago da cui la sovrapposta Villa prese il nome di Trivioantiquo.”” E il “ponte di pietra cotta”, anche se nascosto dai rovi, è stato da noi individuato lungo la Via dei Colli in un punto dove il tracciato è stato evidentemente, nel tempo, modificato. Come si può rilevare dalle foto il ponte ha resistito nel tempo, forse anche lui come la fonte di Sajano perché nascosto agli occhi della gente. Anche la fonte Acquabona, fotografata nel mese di luglio in un momento di massima siccità, presenta nonostante tutto una polla d’acqua sorgiva. Da notare il tubo abusivo di una pompa di un vicino orto che aspira l’acqua per portare beneficio ai campi riarsi. Consultando il catasto sforzesco del 1506 e quello roveresco del 1560 si trovano delle proprietà con case coloniche registrate sotto il nome di Fondo Acquabona nella zona di Trebbiantico.


Inoltre si riscontra una “possessione” nel “Fondo Acquabona” nel manoscritto “Quaderno di Trebbiantico”, conservato alla Biblioteca Oliveriana, un vero quaderno di interessanti appunti e disegni utilizzati per la formazione del catasto Innocenziano del 1690. Infine anche dal catasto Pontificio del 1872 troviamo un fondo Acquabona con tanto di casa colonica. Nei secoli successivi, la leggenda del martirio di san Terenzio subì numerose modifiche, relativamente alla attribuzione del luogo dove dovrebbe essere avvenuto. Alcuni documenti storici riportano infatti la “Valle di San Terenzio” vicino a Caprile ed una tesi, avvalorata dallo studioso Gabucci, ritiene che la sorgente dell’Acquabona sia una fonte di acque sulfuree vicino alla Abbazia di San Tommaso. Noi riportiamo solo quello che Fabbri ha scritto basandosi probabilmente su testi antichi che purtroppo non ci sono pervenuti e quanto da lui riportato possiamo solo considerarlo come un ulteriore interessante tassello della storia delle fonti della zona di Trebbiantico, anche se, alla luce di quanto ha scritto in merito l’ Olivieri, quasi sicuramente tutta la vita di San Terenzio fu ben diversa da quella ricreata dalle leggende popolari.

Fonte di Acquabona dal Catasto Pontificio del 1873 - Archivio di Stato di Pesaro


Fondo della “Fonte”

- L. Fontebuoni e A. Frank-Kiss “Il Repertorio dell’Archivio di S. Domenico di Pesaro” – Frammenti n° 5 – 2000 – pag. 114 10

Un’altra fonte, meno “famosa” delle precedenti, era situata a poche centinaia di metri prima di arrivare al trivio, quello che ha dato il nome alla Villa di Trebbiantico, sul lato destro dell’attuale Strada dei Colli. Non sarà stata famosa ma doveva essere comunque importante per tutte le famiglie dei contadini che vivevano lì vicino, lavorando quei terreni resi fertili dall’acqua della fonte, tanto che, per secoli, quelle aree agricole furono indicate, nei catasti, col termine “Fondo della Fonte”. Nel catasto del 1560 si legge che “Montani, magnifico ms. Alessandro, medico fisico da Mondolfo…possiede una possione con casa, arativo, piantata…nel foondo della Fonte …”” e si può ritenere che difficilmente fosse lui a lavorare quel terreno. La troviamo anche citata nel “Repertorio dell’Archivio di S. Domenico di Pesaro”10 che riporta all’anno 1775 la seguente nota: “Il convento cede all’il(lustrissima) Comunità la Fonte di / Trebbiantico coll’annesso terreno giusta il valore fissato dai Periti”

Da una tela del settecento, una fonte simile alla nostra


La “Fonte Rosa�

Un’altra fonte, la Fonte Rosa, la troviamo indicata, sul Catasto Pontificio, come toponimo di un fondo situato al termine della strada che oggi, dopo aver raggiunto la zona del cimitero di Trebbiantico, prosegue scendendo lungo la collina ai piedi della quale inizia il suo breve percorso il Fosso Sejore. Facile dedurre che le acque sorgive di questa fonte contribuissero ad alimentare il Fosso che con la sua acqua irriga tutti i terreni coltivati lungo la stretta valle del fosso Sejore.

Fonte Rosa dal Catasto Pontificio del 1873 - Archivio di Stato di Pesaro


La Fonte di Sajano ai giorni nostri

L’acqua della Fonte di Sajano è stata utilizzata fino agli anni ’60 dello scorso secolo sia per uso pubblico sia per rifornire il vicino Ostello della Gioventù con delle condutture poste durante dei lavori eseguiti nel 1955. Successivamente con lo sviluppo della rete idrica comunale, la fonte rimase completamente disattivata ed abbandonata. Terminiamo con un auspicio che la Fonte di Sajano, ora che è stata restaurata possa essere restituita all’utilizzo originale. Come già detto, potrebbe risultare importante per l’equilibrio ambientale dell’area circostante, per essere idoneamente sfruttata sotto il profilo turistico per la sua importanza storica e per il valore naturalistico.


Appendice 1 Ritrovamenti archeologici nella zona

Nell’area chiamata “ffoonnddo SSaajjaannoo”, sono venuti alla luce, in diverse epoche, notevoli reperti di indubbio valore storico. Il loro ritrovamento viene segnalato solo come elemento che potrebbe fornire motivo di studio e di ulteriori ricerche. A) - un vaso di alabastro bianco, viene trovato nel 1787 nel “fondo Sajano verso Trebbiantico poco più in là del passo detto di Pantalone” come viene riportato dalla pubblicazione “Studia Oliveriana N.S. Vol. XVII-XVIII” che riproduce il disegno e le note del manoscritto della Biblioteca Oliveriana (Ms. Oliv. 479,c. 86 v): Il vaso di alabastro doveva essere di una bellezza tale da meritare l’attento disegno e le seguenti due osservazioni che risultano scritte con due diverse calligrafie: “Sugli ultimi giorni del mese di ottobre di quest’anno 1787, in una possessione di queste Monache di S. Caterina fondo Sajano verso Trebbiantico poco più in là del passo detto di Pantalone, fu trovato il vaso qui sopra espresso di alabastro bianco, e venato di alcune vene pendenti al color rossiccio assai tenero. Questo è alto palmi Rom. ni uno, e oncie sette, e nella grossezza ha di diametro un palmo. Qu u e s t e S a n t e M o n a c h e d i S . C a te r i n a te n n e r o p e r un tempo con somma gelosia questo superbo vaso. Pooi per mezzo del Sig. M archese Francesco M osca, lo reegalarono al Sig. C ard dinale D oria L egato, affin n c h é tu tto qu uello che si trova di bello a Peesaro, vada fuori, come è acccaduto di tanti insigni moonumenti, che originariiamente appartenenti a qu u e s t a C it t à , s e r v o n o o r a di fregio a straniere Galleerriiee (Ms. Oliv. 479, c. 87 r) Quest’ultima

nota,


dopo l’attenta descrizione dell’oggetto e del suo ritrovamento, risulta appassionata ma purtroppo non ha evidentemente avuto una sufficiente azione persuasiva per i posteri che hanno continuato a disperdere per il mondo molti tesori del nostro territorio. B) - un cippo stradale, un miliario di marmo, visibile al Museo Oliveriano e catalogato CIL,XI, 6632 . Fu trovato nel 1612 “nel cavarsi un fosso su un campo poco distante dalla strada che va verso Saiano catel dirupato…“”. Questa cippo marmoreo, già descritto dall’Olivieri nel suo trattato “Marmora Pisaurensia” ha richiamato l’attenzione di molti studiosi ed in modo particolare di L. Braccesi nel suo scritto “Inscriptiones pisaurenses. Tituli imperatorum domusque imperatoriae” pubblicato in “Studia Oliveriana” 17, 1969, (pag. 63-65). Anche lo studioso Mario Luni considera questo reperto storico molto importante , nel suo trattato “Topografia storica di Pisaurum e del suo territorio” pubblicato in “Pesaro nell’antichità” 1984 (pag. 143), e nel libro “Archeologia nelle Marche” in quanto rappresenta un documento che conferma senza possibilità di errori, le caratteristiche dell’antico tracciato della Via Flaminia. Sulla faccia “A” del cippo viene infatti indicata la distanza da Roma in 187 miglia (oltre alla dedica all’imperatore Costanzo II databile dal 352 al 361, mentre sulla faccia “B” vi è una dedica, inserita in un secondo tempo,agli imperatori Valentiniano e Valente databile tra il 364 e il 367). C) - una base marmorea con iscrizione sepolcrale visibile al Museo Oliveriano e catalogata CIL, XI, 6350. Fu rinvenuta nel 1817 “n nel luogo Saianoo”. La base riporta sul fronte una scritta mentre è scolpita sui due lati. Da un lato riporta la figura di un cavaliere mentre sull’altro lato viene rappresentato un soldato con lancia e gladio.

foto del cippo tratta dal libro di Mario Luni


Appendice 2 Il console Seiano

Del Console Seiano abbiamo accennato in quanto secondo alcune ipotesi, il nome della fonte poteva da lui derivare. Durante il regno dell’Imperatore Tiberio, (dal14 al 37 d.C.) il console Seiano aveva acquisito, con mezzi più o meno leciti, grande potere tanto da ritenere di aver diritto alla nomina a successore di Tiberio. La storia racconta che Seiano, per accelerare i tempi, abbia infine cercato di ordire una congiura ai danni di Tiberio che, venuto a conoscenza dei suoi piani, lo fece condannare a morte e il giorno stesso la sentenza fu eseguita perché venne strangolato (anno 31 d.C.). L’imperatore Tiberio, figlio dell’imperatore Augusto e di Livia, aveva sicuramente a cuore la città di Pesaro. Sua madre Livia, la più celebre fra le matrone romane, era infatti nata a Pesaro in quanto figlia di M. Livio Druso Claudiano, il più illustre dei pesaresi antichi, citato da Cicerone e da Svetonio e rappresentante della gens patrizia con incarichi importanti nella vita politica di Roma. Tiberio può aver dato l’incarico al suo console di studiare e migliorare le difese della costa pesarese e quindi l’ipotesi che un nuovo castello, o torre di difesa, potesse prendere il nome di Seiano potrebbe anche essere plausibile. Si riporta, solo a titolo di curiosità, la nota che, eseguendo delle ricerche, sulla base dell’ipotesi sopraddetta, si è trovata, per puro caso, una sentenza del giurista Pomponio e riportata nel Corpus Iuris Civilis di Giustiniano. Nel Libro Ottavo delle Pandette al punto 8.3.20si legge: “Si fundo Seiano confinis fons fuerit, ex quo fonte per fundum Seianum aquam iure ducebam, meo facto fundo Seiano manet servitus.” “se al confine del fondo Seiano ci sarà una fonte dalla quale avevo il diritto di trarre l’acqua attraverso il detto fondo Seiano, diventato mio il fondo Seiano, persiste la servitù”. L’accostamento dell’esistenza di una fonte, evidentemente conosciuta ed importante tanto da essere prese come esempio da Pomponio , nel fondo detto di Seiano, ha fatto credere per un istante, che si parlasse della nostra fonte. In realtà vi è un paese di Seiano, alle falde del Vesuvio e sicuramente il giurista Pomponio si riferiva ad una fonte di quella zona. Da notare che il paese di Seiano in provincia di Napoli ha preso il suo nome proprio dal console di Tiberio.


Paesaggio italiano con fonte dipinto da Alexandre Dunouy (1790 circa)




BIBLIOGRAFIA

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- Antonio Brancati – L’approvvigionamento idrico a Pesaro dalla sua più antica realizzazione al 2000. Pesaro -2000

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Lorenzo Braccesi – Lineamenti di storia pesarese in età antica

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Mario Luni – La Via Flaminia dagli Appennini ad Ariminum – in “Dove si cambia cavallo” – 1995

G. Colucci – Antichità Picene, IV, Fermo 1789

Studia Oliveriana - N.S. Vol. XVII-XVIII –1998

Giulio Vaccaj – Pesaro, pagine di storia e topografia – Pesaro – Federici 1909



Lavori di restauro alle Fonti di Sajano Centro Operativo del Comune di Pesaro

Iter progettuale e lavori di restauro Il progetto preliminare riguardante i lavori di restauro e di risanamento della Fonte di Sajano è stato redatto dal Geom. Aroldo Pozzolesi del Comune di Pesaro, responsabile del Procedimento, approvato con Determina Dirigenziale n. 2051 del 20.10.2003 esecutiva il 12.11.2003.

Fonte vista retro

Il progetto definitivo ed esecutivo riguardante i “lavori di pulizia e sistemazione di elementi lapidei delle sorgenti di Sajano in Pesaro”, è stato affidato all’impresa Etra snc di Pagani Michele e Rocchi Maria Lucia – Via Mariotti 22 – 48022 Lugo (RA) e si è svolto sulla base di una precisa metodologia d’in- tervento che è stata prevista dal contratto n. 143 DI REP del 19.12.2003. Riportiamo due punti importanti del contratto: Sttato di conservazione: La struttura ad edicola della Fonte risalente alla fine del sec. XVIII costituita da una struttura in mattoni originariamente a faccia a vista e una serie di elementi in pietra quali cornici sagomate delle due vasche, maschera di fontana, lapide e cornici del timpano che ne abbelliscono la struttura. Attualmente il manufatto si trova in stato di abbandono in parte ricoperto da vegetazione spontanea, la vasca retrostante adibita a lavatoio è in parte interrata mentre la vasca principale è in parte mancante del bordo sagomato in pietra. L’edicola attualmente appare intonacata con intonaco cementizio e le parti visibili della struttura in mattoni è ricoperta da muschi e licheni. Alcuni elementi decorativi architettonici in pietra sono distaccati dal loro supporto e in parte sono ricoperti da plagioclasi che ne anneriscono la superficie. In n te r v e n to : dopo aver liberato la struttura in mattoni dall’intonaco cementizio verranno effettuate le fasi di trattamento biocida con nebulizzazioni di preventol e benzalconio cloruro applicati a più riprese per poter garantire una buona disinfestazione dai muschi e plagioclasi.


L’apparato murario verrà ripulito con un sistema ad idrolavaggio a caldo il quale rimuoverà solo gli strati di deposito vegetale e le tracce di vecchie stuccature cementizie. Le parti lapidee saranno pulite con un sistema combinato di impacchi eseguiti con polpa di carta e composto idoneo che serviranno per ammorbidire gli strati di croste nere che verranno definitivamente rimosse con un sistema di microsabbiatura eseguito con pistole ad ugelli di diametro di 2-3 mm. e ossido di alluminio veicolato sulla superficie marmorea ad una pressione non superiore alle 5 atmosfere. La finitura a bisturi delle croste più persistenti servirà per meglio definire la qualità della pulitura. Il consolidamento prevede il fissaggio con perni in vetroresina del diametro variabile dai 0,5 ai 0,8 mm. Delle parti frammentate e successivamente verranno riallettate con malte idrauliche a base di calce Lafarge e inerti di media granulometria. Le parti di cornici del bordo della vasca mancanti verranno ricostruite con la stessa tipologia di materiali ad imitazione delle sagomature esistenti, mentre le piccole crepe e lacune verranno colmate con un legante idraulico e polvere di marmo ad imitazione del colore della pietra. Il consolidamento delle superfici in mattoni verrà effettuato con silicato di etile distribuito sulla superficie fino al suo completo assorbimento. Le parti in mattone a faccia a vista verranno stucate con malta idraulica composta da calce Lafarge e sabbia di fiume di fine granulometria e integrate cromaticamente con polvere di cotto rendendo la superficie con un effetto simile alle tracce di sagramatura che ancora sono visibili sotto l’intonaco cementizio. Il trattamento di fintura delle superfici lapidee sarà eseguito con cera microcristallina incolore mentre l’iscrizione della lapide verrà evidenziata attraverso l’iscurimento degli incavi delle lettere con colori in polvere quali terre e ossidi naturali addittivati con collanti di tipo acrilico. Tutti i lavori i lavori di restauro e di risanamento della Fonte di Sajano sono stati eseguiti sotto la Direzione Lavori del Geom. Aroldo Pozzolesi del Comune di Pesaro e si sono regolarmente conclusi e certificati in data 05.10.2004.

I lavori di restauro sono quasi ultimati La soddisfazione a lavori ultimati


Lavori alle Fonti di Sajano Relazione del Centro Operativo del Comune di Pesaro La Fonte di Saiano collocata in un punto strategico del nostro territorio, più precisamente nel fianco del monte Ardizio, raggiungibile attraverso una piccola strada riaperta grazie all’intervento del Centro Operativo crea un punto di riferimento valorizzando il nostro territorio già ricco di testimonianze e riferimenti storico culturali. L’espressività architettonica e la cura dei particolari sommata all’essenzialità funzionale rivela il valore che la civiltà attribuiva ad una sorgente d’acqua. Valore che col tempo si è dissolto, tanto da far dimenticare l’utilità primaria della Fonte e con essa gli scambi relazionali fra prodotti culturali diversi, creando sempre nuove dinamiche evolutive abbandonando l’unitarietà tipica del sistema . La volontà del Centro Operativo Ha permesso di riportare alla luce le fonti che da tempo erano rimaste sepolte dai detriti e dalla vegetazione . Infatti al momento in cui iniziarono i lavori le fonti erano completamente sepolte , e nessuno poteva immaginare quello che di li a poco si sarebbe visto . Il primo elemento emerso dagli scavi, è stato il volto di un giovane scolpito nella pietra bianca d’Istria, subito si è capito che il terreno aveva conservato la fonte più della memoria storica . I giorni successivi furono una scoperta dopo l’altra fino a far riemergere la fonte come la si vede oggi . Il Centro Operativo, grazie alla sua tenacia e nonostante gli impegni di tutti i giorni, è riuscito nell’intento di raggiungere l’obiettivo prefissato. Oggi la fonte è visibile da tutti, e forse anche se non ha più la funzione primaria di fornire l’acqua come in passato, mantiene comunque il fascino e la patina di un vissuto di altri tempi. In particolare I lavori eseguiti dal Centro Operativo riguardano la pulizia e il disboscamento dell’area circostante la fonte, compreso la riapertura della volta sottostante la vasca , riapertura della strada al traffico veicolare , sistemazione delle coperture a cupola dei due pozzi a monte della fonte, sostituzione della piccola vasca in muratura con una in pietra, ripristino dell’impianto idraulico e elettrico, compreso di un punto luce sovrastante la fonte.

Centro Operativo del Comune di Pesaro


Finito di stampare nel mese di settembre 2007 dalle Arti Grafiche Stibu - Urbania (PU)



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