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Post Human Exhibition
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Nelle pagine seguenti un breve excursus in merito ad alcuni degli artisti che hanno preso parte all’esibizione, e altri che non ne hanno avuto l’occasione ma hanno trattato a proprio modo tematiche vicine a quella del post-umanesimo. La breve digressione in merito a queste personalità può avvicinare il lettore a diversi punti di vista e fargli aprire un occhio su diversi approcci alla società tecnologica nella quale siamo completamente immersi al giorno d’oggi, considerando un evento che ha lasciato il segno nella storia dell’arte americana, il cui eco ha in seguito raggiunto il globo intero.
MATTHEW BARNEY
Nell’età delle Neo-avanguardie la realtà sembrava ancora un’utopia possibile, una meta raggiungibile per tutti. L’uomo sognava di poter conseguire ideali democratici come realtà inconfutabile, che esprimeva bene quella dignità di tutti, per appartenenza all’intero pianeta. L’arte del periodo delle Neoavanguardie è stata soffocata dal cambiamento improvviso del contesto reale, dalla distopia: la perdita degli obiettivi che riqualificavano la vita umana, di libertà ed equità.
L’uomo perpetuerà comunque nel raggiungimento di questo sogno negli anni successivi, e in quest’era di mezzo definita postmoderna, si assiste alla nascita di vari artisti idolatrati della Vetrina Nazionale che si impone come Sistema dell’Arte, sostituendosi al contesto reale e condannando gli ideali democratici delle Neo-avanguardie come utopie irrealizzabili. Matthew Barney è tra questi artisti.
Umile ragazzo di provincia, dell’Idaho, attraversa la sua adolescenza impegnandosi per arrivare a New York ed entrare quasi subito nell’acropolis della città, ammaliando la sua mentore e successivamente mecenate, la gallerista Barbara Gladstone, che finanzierà il suo ciclo The Cremaster, una serie di cinque film (1994-2002). Il linguaggio surreale, tratto per lo più da una cultura popolare fantasy, si incentra su sculture che riprendono delle forme ancestrali, riprese per assurdo dalla realtà quotidiana ed evocano luoghi pubblicitari: qualsiasi forma, anche quella commerciale, ha una relazione inconscia con un archetipo universale e ancestrale.
CREMASTER 1 - Il primo film è girato nello stadio della città di Boise nell’Idaho, città d’infanzia dell’artista. Il film è amplificato da una ricca scenografia, composta da un corpo di ballo che ricorda i musical di Hollywood.
CREMASTER 2 - Il secondo è ricco di paesaggi americani, un potpourri di icone della cultura popolare americana: cow boys a cavallo su una chiatta di ghiaccio che galleggia sul mare, o su un lago al tramonto. Il ghiaccio è l’elemento protagonista.
CREMASTER 3 - Nel terzo compaiono le Giant’s Causeway, imponenti scogliere di basalto irlandesi, che sorgono direttamente dall’oceano svettando nel cielo con colonne geometriche a forma di pentagono regolare. Il film ha anche numerose riprese subacquee. Tramite simboli massonici, senza consequenzialità di trama, l’artista introduce il museo Guggheneim, animato con personaggi fantasy, totalmente frutto del proprio immaginario, mescolandoli con altri brutalmente reali, collocati ognuno in un diverso piano del museo.
CREMASTER 4 - Il quarto film è girato nell’isola di Man in Florida, con due sidecar realizzati con i colori del logo Good Year, che percorrono in velocità tutta l’isola.
CREMASTER 5 - Infine, il quinto ha come protagonista Ursula Andress, vestita come una regina futuristica di guerre stellari. Insieme all’autore, che compare in quasi tutti i film, la regina governa la pellicola con la sua maestosità. Le scene sono principalmente girate nelle terme Gellert di Budapest.
Il ciclo offre il senso del viaggio della vita, facendo un ampio affresco dei lacerti di culture anglosassoni e mitteleuropee, un’interpretazione di come oggi è la realtà statunitense. Dove spezzoni di culture diverse sopravvivono come icone, galleggiando in una superficie comune, per poi ibridarsi senza nessuna reale necessità, per pura casualità e in questo caso per affinità estetica. [6]