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Kiki Smith

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Palus Lotorum

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GEORGE LAPPAS

Da greco della diaspora, George Lappas fa un uso intensivo della geografia e della cartografia nel suo lavoro, in cui i paesaggi si trasformano in una mappa del mondo. La sua vita è stata segnata dai suoi innumerevoli viaggi, a partire dalla sua città natale, Il Cairo, in Egitto nel 1950. In Grecia completa gli studi secondari ad Atene. Studia poi psicologia clinica al Reed College di Portland, dedicandosi alla ricerca e partecipando a programmi psichiatrici presso cliniche a Salem, Oregon, così come a San Francisco e San Diego, California. Nel 1974 si reca in India con una borsa di studio della Watson Foundation per documentare la scultura e l’architettura indiane. Visita l’Afghanistan e la Persia. Nel 1975 studia all’Architectural Association School of Architecture di Londra e prosegue con un seminario in Italia. Studia poi alle Belle Arti di Atene con Yannis Pappas e Giorgos Nikolaidis, diplomandosi con lode. Nel 1984 ottiene una borsa di studio statale francese per l’École nationale supérieure des Beaux-Arts di Parigi, dove studia scultura. Nel 1991, una borsa di studio della Fondazione Cartier lo porta a Jouy-en-Josas. Tra il 1987 e il 2016 insegna come professore di scultura alla Scuola di Belle Arti di Atene, introducendo un metodo completamente nuovo e innovativo per la formazione di giovani artisti. Nel frattempo continua a viaggiare in Canada, Cina, Giappone, Russia, USA, Brasile, Corea e in tutta Europa, non rinunciando a questa insaziabile curiosità che lo porta alla propria utopia. George Lappas è rappresentato esclusivamente da CITRONNE Gallery. La mostra personale postuma di George Lappas presenta trentaquattro opere, sculture, studi e disegni che coprono il periodo 1978-2015. Queste opere costituiscono un’unità che si concentra innanzitutto sulla figura umana, il tema principale della sua creazione nel suo insieme. L’unità è scomposta o addirittura elaborata da elementi apparentemente esogeni, che segnalano però una peculiarità funzionale dell’artista: il punto di partenza e l’idiosincrasia di George Lappas sono quelli di un viaggiatore, di un viaggiatore. La sua traiettoria non ha confini, geografici, culturali o nazionali; in modo simile le sue creazioni artistiche risultanti trascendono la realtà sensoriale. Il segno distintivo di questa ricerca ai confini del mondo conosciuto o immaginabile è l’emblematico “zaino con le orecchie”, accessorio indispensabile che permette al viaggiatore di udire il più piccolo suono dell’universo umano.

Figure grandi e piccole di bronzo, alluminio, tessuto, plastica, luci al neon, compongono il mondo scultoreo di George Lappas. Sono incorniciati dallo spazio espositivo, che fa parte di una tradizionale casa locale. Lì “l’artista con i suoi pensieri” dialoga con sciamani, funamboli, giocolieri, maghi, divinità. Queste figure sono “in movimento” o ferme ai margini della realtà, ignare delle leggi della fisica e dell’equilibrio. Il corpo naturale è abolito; pensiero, memoria e narrazione lavorano secondo una logica interna, senza conseguenze percepibili. I materiali inaspettati creano un senso di paradosso, di perturbante, richiamando connessioni oniriche inconsce, associazioni indecifrabili. Il dialogo tra il Solone egiziano che si rilassa sulle rive del Nilo e le figure dei suoi compagni di viaggio è imprevedibile per lo spettatore, e si basa su rimandi tematici che risalgono ai molteplici punti di partenza riconoscibili dell’artista.

Oriente e Occidente operano artisticamente con tratti distinti, pur in una composizione archetipica originale. Le sculture ricordano l’Egitto ei geroglifici, l’India ei templi del Brahman; fanno emergere il paradossale e accennano alla magia – indizi forse di nostalgia per il passato “metafisico” all’opera nei paesi dell’Est. L’Occidente, al contrario, impone una tirannia razionalista che provoca all’artista il “dolore dello spazio”. L’unico antidoto a questo è l’opera d’arte, l’unico modo per colmare le antitesi, per appropriarsi di ciò che non è familiare, cioè per portare a compimento il “mondo straniero”. Non solo gli sciamani e i prestigiatori, i funamboli e gli acrobati, ma anche gli uomini con una gamba sola e i giardinieri pensili raccontano attraverso la performance il desiderio perpetuo dell’uomo di superare ogni volta le sue frontiere, sia del mondo fisico che lo circonda sia dell’intelligenza finita e conoscenza. Sotto lo stesso atteggiamento trascendentale un sedile o una stella possono stare in equilibrio sulla testa di una figura, estendendo i confini e la resilienza del corpo e reinterpretando liberamente la simbiosi visibile dell’essere umano e dell’oggetto. [12] [13]

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