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Sylvie Fleury
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JEFF KOONS
Jeff Koons è una delle icone più rappresentative degli anni ’90. In un primo momento si occuperà di borsa a Wall Street, dedicandosi all’arte solo in seguito. Un’indecisione tra diverse vie che riguarderà molti artisti della sua generazione, preoccupati soprattutto di trovare un inserimento sociale, per scoprirlo in seguito realizzabile anche attraverso l’arte.
La lettura che l’artista fa della società e del tempo in cui vive è una lettura molto cinica, ma strettamente aderente alla realtà: proprio per questo ne diventa una delle icone più rappresentative. Le sue opere incarnano bene gli ideali, i sogni dell’immaginario collettivo del proprio tempo. Essi sono dei semplici oggetti più che delle opere strutturate esteticamente, che possiedono una superficie che si esige sia realizzata perfettamente. Anche se nella sostanza gli oggetti prescelti che diventano delle sculture a tutti gli effetti, sono in fondo inconsistenti, anticaglia kitsch, ninnoli, strumenti del quotidiano, palloncini, giocattoli, degli oggetti quotidiani privi di qualsiasi concettualismo come gli elettrodomestici. In questo modo si rende uno dei migliori interpreti degli anni ‘90 e migliore erede della poetica pop di Andy Warhol, un continuatore della cinica osservazione della Pop art sul consumismo e sul tipo di società che l’ideale dei consumi avrebbe comportato. E nelle opere di Jeff Koons l’estetica diventa la superficie levigata, il colore trasparente e metallizzato con il quale i suoi giocattoli a misure ambientali vengono decorati; conta più la vernice, il packaging anziché la sostanza. Specchio della sfera sociale, dove ormai la comunicazione appiattita scivolava su banalità e messaggi elementari e superficiali. L’immagine era diventata la forma più veloce ed efficace di comunicazione, ma un tipo di immagine superficiale e riflettente più che significante.
Jeff Koons passerà, nel corso della sua ricerca, dalle sculture di formato ridotto a quelle ambientali e alle litografie e stampe con molta spregiudicatezza, e a dei quadri che simulano le stampe. Ha realizzato fusioni in bronzo di oggetti insignificanti come salvagenti, palloni per il calcio o il basket. O ancora rendendo opera, sempre tra stampe e sculture levigate, il suo matrimonio con la pornodiva Ilona Staler, producendo un ciclo di opere, Made in Heaven, dal 1989 al 1992, data in cui finirà il loro matrimonio. Opere che sancirono definitivamente la fama dell’artista presentandolo alla Biennale di Venezia, con una sorta di performance-scultura in legno policromato, che lo riprendeva nell’atto di possedere la sua futura moglie. In questo ciclo l’artista scoprirà che più il materiale usato era frigido come il vetro, ad esempio, più le immagini potevano scendere persino nella degradazione del porno, fino a trovare una sorta di equilibrio.
Tutto ciò rappresentava la formula creativa ed estetica realmente “scoperta” dall’artista. Un processo operativo che presto lo porterà a raffinare il materiale delle sue sculture, utilizzando l’acciaio cromato con il rivestimento di colore trasparente. Una raffinatezza che lo condurrà a rivisitare anche il suo ciclo di gonfiabili, con una serie di grandi sculture che simulano i palloncini modellati, tipici delle feste dei bambini, con cinque versioni di colori diversi dal titolo tautologico di Balloon Dog.
Precedentemente l’artista aveva anche realizzato una grande scultura ambientale completamente diversa dalle sue serie artificiali, un cagnolino alto come un palazzo, con un sistema di irrigazione interna che alimentava diverse vasche dove crescevano dei fiori veri, quasi un’opera di “arte e natura”. L’opera è stata realizzata in Germania e replicata in diversi musei del mondo, ed è un’opera permanente al museo di Bilbao in Spagna e alla Brant Foundation nel Connecticut.
Koons è stato capace di cogliere nell’arte la forza di superamento, inarrestabile, e in grado di sublimare ogni forma degradata e superficiale che sia. Al punto che la sua arte si è sposata perfettamente con una macchina di risonanza magnetica nell’ospedale pediatrico Advocate Hope Children’s nel 2010, trasformandola da un oggetto pauroso qual’era, a un giocattolo vitale e rassicurante. [6]