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Damien Hirst
MIKE KELLEY
Mike Kelley nasce nel Wayne, Michigan, da una famiglia cattolica di estrazione operaia. Si laurea all’University of Michigan, ad Ann Harbor e nel 1973 Kelly e i suoi compagni di studi fondano la band rumorista “Destroy All Monsters”. Le loro esibizioni consistono in esperimenti di dissonanza, fondendo loop di nastri preregistrati, distorsione e parti improvvisate. Nessuno di loro è davvero in grado di suonare uno strumento, ma nonostante ciò producono musica con qualsiasi mezzo possa emettere un suono. Le loro canzoni passano da una orchestra ipnotica alla freeform jazz con effetti fantascientifici. Nel 1978, consegue un master in belle arti alla CalArts. Il suo pensiero si esprime attraverso performance, videoregistrazioni, disegni, installazioni, sculture e saggi che hanno come temi centrali l’arte concettuale, il femminismo, la sessualità, la rock music, il formalismo e la politica.
Durante i suoi studi, Mike Kelley inizia a lavorare ad alcuni progetti, esplorando opere a sfondo poetico. Negli anni Ottanta diventa famoso soprattutto per l’utilizzo di nuovi materiali dal facile reperimento, quali bambole di stoffa o pezza e coperte all’uncinetto. A questo periodo appartengono opere come Plato’s Cave, Rothko’s Chapel, Lincoln’s Profile, che ingloba anche la band Sonic Youth, in cui storie, personaggi e miti dialogano all’interno di un environment sonoro, e l’opera More Love Hours Than Can Ever Be Repaid and The Wages of Sin, un assemblaggio di bambole di pezza, peluche e coperte recuperati da negozi dell’usato, ricreando una scena infantile ricca di pathos. Gli animali di pezza vengono usati dall’artista come elementi di critica alla società dei consumi e all’arte minimalista, in questo caso, per esempio l’orsacchiotto consumato è rappresentazione del negativo, materiale e morale, degli oggetti di consumo proposti negli stessi anni nelle opere di Jeff Koons o di Haim Steinbach. Pay for your pleasure è un lungo corridoio rivestito su entrambi i lati da una serie di ritratti di uomini illustri, con le rispettive citazioni sul rapporto tra arte e crimine. Il corridoio termina con un quadro di John Wayne Gacy, un uomo d’affari di Chicago condannato per aver abusato e ucciso circa 30 ragazzi, dove si raffigura nelle vesti di un giullare. In questo momento concentra il suo lavoro sulla memoria personale e sul potere delle istituzioni esplicati in Educational Complex (1995), un plastico in scala che riproduce gli edifici scolastici in cui egli stesso si forma, inserendo anche le parti che non riusciva a ricordare. Con quest’opera vuole sollevare il tema degli abusi perpetuati sui minori dalle istituzioni educative e il problema della sindrome della memoria repressa, come lui stesso afferma “l’idea comune che certi eventi traumatici sono stati repressi e solo rimossi dopo attraverso la terapia”. Educational Complex è il punto di partenza per gran parte dei lavori successivi dove continuano a intrecciarsi le riflessioni pseudo-autobiografiche e la critica sociale su temi come l’adolescenza e i suoi riti di passaggio, la formazione artistica e la ricerca dell’identità. Nel Novembre del 2005, Mike Kelley mette in scena Day is Done nella Gagosian Gallery mostrando installazioni multimediali, oggetti di arredamento in movimento, come poltrone rotanti o simili, e filmati di partite sportive, di produzioni teatrali e di cerimonie ispirati agli album fotografici scolastici, ”una sorta di studio antropologico della cultura folk americana”.
L’ultimo importante progetto dell’artista è Mobile Homestead, un’opera site-specific completata nel 2010 e realizzata in collaborazione con l’organizzazione londinese Artangel e il MOCAD (Museum of Contemporary Art Detroit). L’opera consiste nella riproduzione della casa dove Mike Kelley aveva trascorso l’infanzia.
In generale al centro della sua opera c’è l’analisi della memoria collettiva e individuale esplorate con molteplicità di temi: dalla satira dell’arte alla cultura popolare, dai miti della società americana ai suoi aspetti folkloristici e vernacolari, dalla musica ai linguaggi del cinema e della televisione. L’arte di Kelley nasce da un percorso di decostruzione e di analisi antropologica del presente e si ricompone in molteplici forme espressive. [9]