Mevoj

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Associazione Culturale Tapirulan www.tapirulan.it


Mevoj Antologia della 7a edizione del «Concorso di poesia inedita» Associazione Culturale Tapirulan www.tapirulan.it info@tapirulan.it | poesia@tapirulan.it Responsabile del concorso Lorena Montini Segreteria organizzativa Mathyas Giudici, Andrea Rampi Giuria del concorso Paolo Briganti (presidente) Giovanni Catalano, Ilaria Dazzi Alberto Manzoli, Stefano Mazzacurati Luca Rizzatello, Raffaele Sabatino Alessandro Silva Grafica e impaginazione French Stampa Fantigrafica, Cremona, maggio 2014 Con il patrocinio di Università degli Studi di Parma Si ringrazia Mirella Cenni, Padre Agostino Len, Massimo Zilioli QUESTO LIBRO È STAMPATO SU CARTA ECOLOGICA OIKOS DI FEDRIGONI CARTIERE SPA ISBN 978-88-97199-44-1


Indice

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Prefazione

Paolo Briganti

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il palloncino manca [ S’allungano sterili ] [ Forse sarò sempre ] la compostezza [...] Luna nuova Linea Gotica la copertina è rigida Iper voyeur Esuli Educazione in frammenti Salpare Picture in the night Diottrie Allegria [ Le ragazze di Max... ] Necrologio della genuinità A te ti Italia ‘90 [ Eppure laggiù c’è festa ] Anche lui avrà [...] Pi [ Anche i sentimenti ] I tuoi occhi Il profumo del fuoco Indicazioni di regia Il ritorno

Roberto Minardi (1) Ilaria Ampollini Michael Archetti Roberto Minardi (1) Alberto Arecchi Glauco Babini Roberto Minardi (1) Daniele Beghè Fabrizio Bregoli Francesco Gallina (2) Paolo Cardoso Francesco Caroli Francesco Gallina (2) Giulia Colombo Marcello Croce Francesco Gallina (2) Salvatore Dario D’Angelo Gennaro De Falco Vincenzo Maria Oreggia (3) Guido Massimo Dell’Atti Fiorenzo Fedrigo Vincenzo Maria Oreggia (3) Franco Frainetti Luca Gatti Vincenzo Maria Oreggia (3) Fabrizio Ghironi


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Aspetteremo il sole Natale La strada Loop sotto il ciliegio Metempsicosi [ La distruzione mi dono...] Job A volte, quando [...] [ Rientro ] Autoritratto Ho smarrito l’infanzia [...] Ricordi La roba Madre, dormivi La porta fuori [ È nella mia assenza ] Ma il mare è scuro [...] Attesa [ Lego le scarpe ] Ritorno La quercia Sugli altipiani di Bezos La partenza [ Hai visto l’edera? ... ] Made in China Mio padre dipingeva [...] La farfalla e il paese 29 kHz Forse era tutto [...] La dipartita dal raviolo Padre Ci tocca La rivoluzione femminile Strade tortuose [...] Catena di montaggio [ in questo medioevo... ] [ Il più delle volte ]

Attilio Giannoni Davide Astori (4) Marta Izzi Sara Lanfranchini Davide Astori (4) Matilde Vittoria Laricchia Paolo Lucchesi Giovanni Caso (4) David Mandolin Anna Martinenghi Giovanni Caso (4) Michela Massei Valeria Mazza Lucia Diomede (4) Alessandro Mistrorigo Mariapia Morrone Lucia Diomede (4) Silvia Napoleoni Anna Maria Paganelli Caterina Franchetta (4) Maurizio Paganelli Matteo Pelliti Caterina Franchetta (4) Marco Righetti Cecilia Rossini Paolo Ottaviani (4) Mauro Savino Marco Senesi Paolo Ottaviani (4) Alessandra Sicuro Giovanna Silvestri Rodolfo Vettorello (4) Isabella Sordi Rosanna Spina Rodolfo Vettorello (4) Paolo Triulzi Silvia Vecchini

(1) Vincitore (2) Seconda classificata

(3) Terzo classificato (4) Finalista


Indice delle fotografie

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Towards the light Senza titolo Tutti a tavola! Seeker of knowledge A Tomium (1) Messa a fuoco Chiuso Alberi Cerchi Dio Attesa non vista Senza titolo La prigione della Stasi Solo Senza titolo A Tomium (2) Forme Uomo Senza titolo Alta quota Passi nel silenzio Boy jump Profilo

Nicola Fanini Alessio Bonatti Alessandro Vannucci Nicola Fanini Walter Borghisani French Alessandro Biagini Roberto Bianchetti Paolo Di Falco Elena Gatti Nicola Gatti Massimo Mazzorana Gianni Pezzotta Roberto Mascellani Walter Borghisani Paolo Di Falco Maurizio Tieghi Roberto Mascellani Roberto Bianchetti Novella Regalini Linda Vukaj Anna Camorali



Prefazione

Non so dove i gabbiani abbiano il nido Vincenzo Cardarelli

* Stavolta il titolo l’abbiamo suggerito noi al patron di Tapirulan. Lo ha accolto (ed è già una mezza sorpresa), ma, come al solito, ne ha scelto una versione linguisticamente altra dall’italiano: Mevoj. Che in esperanto significa “gabbiani” (e consuona, fallacemente ma efficacemente, con un ispanico me voy, “me ne vado”: che alluda? e a chi semmai? e perché? Crisi del settimo anno?! Boh!). Mevoj, dunque. Ci sono illustri poeti che hanno scritto di gabbiani. Per stare agli italiani, potrebbe venire in mente magari, che so?, Carducci con «e grigio urla il gabbiano su il violaceo mare», o Govoni con «Or che il mare ha soltanto / la bianca foglia morta del gabbiano», o Quasimodo con «e il gabbiano s’infuria sulle spiagge / derelitte»... Ma il più noto – provare (in internet) per credere! – è certamente Cardarelli con il componimento Gabbiani, gettonatissimo: «Non so dove i gabbiani abbiano il nido, / ove trovino pace. / Io son come loro, / in perpetuo volo. / La vita la sfioro / com’essi l’acqua ad acciuffare il cibo. / E come forse anch’essi amo la quiete, / la gran quiete marina, / ma il mio destino è vivere / balenando in burrasca». Sarà... Ma i gabbiani, almeno quelli che vediamo noi, in natura, più che in volo sui mari stanno a razzolare nelle discariche. E quelli in poesia (che invece sembrano ignari di pattumi vari) proliferano in modo preoccupante; almeno nelle nostre letture, ogni anno (any given year!), nei versi che ci vengono sottoposti per il tapirulanico concorso. Sicché a noi (a me) è venuto in mente il testo Ascoltami (censurabile, d’accordo, ma di montaliane ascenden-

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ze e raffinatezze) di Arrigo Biagi: «Gabbiano – immondo uccello / inverecondamente / usato ed abusato da poeti / altro che “laureati”! / (rozzi poeti, semianalfabeti, / poeti da strapazzo) – / sinceramente / ci hai rotto il [...BIP...]». Ecco, in fondo, perché ci è venuto in mente – apotropaicamente, e anche per sottile innocente vendetta – di suggerir “gabbiani” per il titolo. E, senza voler ferire – per carità! – i portatori sani di gabbiano (ce ne sono, tutt’altro che spregevoli, anche tra i seletti di questo volume). Solo quale “memento”, e per una sorta di futura igiene poetico-mentale; un’auto-disciplina insomma: attenti ai gabbiani! In effetti agli aspiranti poeti, oggi, pare resti solo (o quasi solo) da scattivare scarti e cascami e schifezze; linguistiche e affettive. Pattume. O forse no. Magari tesori recuperati dalle discariche poetiche del mondo. Comunque: auguri! E occhio ai Mevoj. Ma altro che gabbiani, poi, a leggere i nostri finalisti e vincitori (le cui identità ci vengono rivelate solo post factum). Primo Classificato. Intanto abbiamo ritrovato – ed è una gradita sorpresa – quel Roberto Minardi, italiano (raguseo) in Inghilterra, conosciuto lo scorso anno quale terzo classificato. Quest’anno è proprio il vincitore, con tre testi sobri ed omogenei, quasi repertati frammenti esistenziali, privi stavolta delle pur sporadiche impennate linguistiche del passato, anzi tutti e tre molto composti in una dimensione definibile come minimalistica,“a togliere”, tranquillizzante forse; se la trasparenza ed innocenza repertuale non fossero in sé in certo qual modo abbastanza inquietanti. Il distico iniziale d’uno dei tre potrebbe essere quasi l’insegna definitoria per l’intera terna: «amore è anche la forza tranquilla / dei passi sparsi con dedizione».“Amore è...”, appunto, nella quotidianità dei gesti e delle vicende: «basta spiarti mentre tu consideri / come mi sta il maglione e poi sistemi, / con fermezza, il collo della camicia» (il palloncino manca); «noi ci raccontiamo com’è stato / il giorno che è appena trascorso» (la compostezza delle nostre cene); «gente che corre o che va in bicicletta, / coppie avvinghiate più o meno» (la copertina è rigida). Come se il fibrillante voyeur si fosse convertito, magari via Xanax (who knows it?), ad una sorta di rasserenato human-watching (se si può dire). Finché dura l’effetto, of course. Secondo classificato. Durante lo spoglio, ci eravamo sorpresi alla lettura – anche con qualche discussione e posizioni diverse (poi quietate) – dei testi di Francesco Gallina, di Parma (che, se 8


non è un perfetto omonimo, che mi par difficile, è o è stato anche un mio studente all’università) in cui leggiamo un disincanto ribelle nei confronti del mondo, delle istituzioni, della vita; disincanto che ci scuote, a partire dalla «blastula di antennaria» di Educazione in frammenti: che non sappiamo neppure bene se sia un coleottero o una pianta, ma certo appare l’inerme controfigura d’un giovane sveglio e critico, fra banchi di scuola e d’università, deluso dall’aria che respira intorno, aria di sfascio e di furbetti. E, in Necrologio della genuinità, il senso dell’inarrestabile venir meno delle ragioni “genuine”d’una società umana a misura “di quartiere”(chiudono tutti i negozi tradizionali) a causa e a vantaggio di «multinazionali / – orticaio di volontà globali – / outlet e ipermarket». Il metro, di vaga misura endecasillabica, ma come deprivato da facili ritmi, mima nel testo di mezzo, Diottrie, la terzina, e, nel piglio, un risentito Montale; e commuove col dubbio ottico «che questa correzione sia un sopruso / al vero, che la realtà non sia pura / non più vista come prima: inquinata / contraffatta, sotto una brutta abiura». Terzo classificato. Vincenzo Maria Oreggia da San Benedetto del Tronto, pur milanese d’origine, nuovo comunque per le nostre tapirulaniche rive. Le sue tre composizioni mostrano una convincente libertà metrico-prosodica, fondata essenzialmente sui ritmi d’una sintassi discorsiva e argomentativa, mentre l’autore osserva realtà ed occasioni diverse col distacco e il disincanto di chi è abituato ad andare oltre le apparenze, a “prendere le distanze”, a non crederci troppo: una festa di paese, che nella distanza panoramica sembra immobile, complice magari l’indifferenza di chi guarda (Eppure laggiù c’è festa); il minor peso, in assenza di gravità, persino dei sentimenti, e la convinzione invece – che spicca – di bambini che giocano, mentre gli schermi ripetono inutili consueti copioni nel «quasi nulla» esistenziale (Anche i sentimenti); infine le Indicazioni di regia, che suggeriscono, per una rappresentazione – una messinscena o la vita stessa –, i comportamenti fintamente naturali di un qualsivoglia interprete (ipostasi oggettivata dell’ioegli come showman di sé, per lo “spettacolo”, per darla a bere agli astanti), perché, fingendo di non seguire il copione, segua invece strettamente le “indicazioni di regia”. E poi i sei finalisti, in ordine alfabetico. A cominciare dunque da Davide Astori (di Cremona, docente universitario, mio giovane collega presso l’Università di Parma), che ci ha fatto un bel9


lo scherzo, giocando sull’anonimia del concorso, visto che, fino a tre anni or sono, faceva parte proprio della giuria di Tapirulan; e così noi ora – ignari della sua partecipazione (la segreteria ha tenuto fermo il mandato del silenzio) – abbiamo selezionato i suoi testi “al buio” (del resto neppure sospettavamo che lui coltivasse in proprio la poesia): ed ecco che l’insospettabile sfodera invece versi di mano sicura e tratto novecentesco in Natale e Metempsicosi: un bel piglio direi, alla chetichella, tra Montale (citato) e Sereni (per quel che ne so io). Sempre alfabeticamente, c’è Giovanni Caso, da Siano (Salerno), habitué di concorsi nazionali, e anche un po’ del nostro Tapirulan, giacché abbiamo incrociato suoi testi in almeno un altro paio di occasioni, finalista già nell’anno di Bunker: ed ora è finalista con A volte, quando il vento s’addormenta e Ho smarrito l’infanzia in altri luoghi, due componimenti endecasillabici di buona fattura, in cui il filo scorre tra fluide argomentazioni colorate d’immagini, come il suo Sud. Altra “vecchia conoscenza” è Lucia Diomede, anche lei da un suo (diverso) Sud (Mola di Bari); con lei è quasi un appuntamento immancabile: ogni anno, da quattro anni, riconosciamo (pur al buio) il valore della sua ricerca e, che sia segnalata o finalista o sul podio (com’è stata), ci felicitiamo ogni volta con lei per la sua poesia, che coglie le più sottili percezioni dell’animo dando loro una forma naturalissimamente classica (questo è il suo pregio maggiore); come, oggi, nei due perfetti sonetti Madre dormivi e Ma il mare è scuro e non specchia i bagliori. Di Caterina Franchetta – che al Tapirulan risulta nome nuovo (nativa di Pescara, vive nella vicina Reggio Emilia) – abbiamo scelto due testi di accorti e calibrati versi liberi, che ci parlano di andate e ritorni (La partenza e, appunto, Ritorno), che potrebbero però essere anche, a rovescio, ritorni e ripartenze, chissà; ciò che conta è che sanno trasmetterci perfettamente il clima – esterno/interno – di queste situazioni legate alla dislocazione, fisica e morale, dell’io: lacerazioni, ricongiunzioni... Anche quello di Paolo Ottaviani, da Perugia, è un nome nuovo, ma solo per noi, non certo in assoluto, avendo lui all’attivo interessanti prove, da cui emerge una precisa vocazione per costruzioni metriche molto particolari; le poesie qui prescelte (Mio padre dipingeva una montagna e Forse era tutto un confuso sognare), di tono memoriale, ed anche onirico, sono composizioni che, metricamente (dieci endecasillabi a rima incatenata), riprendono, ad esempio, certe sequenze narrative

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pascoliane: che non è proprio una forma metrica di tutti i giorni. A noi ben noto, invece, e caro, è infine – last, not least – Rodolfo Vettorello (che vive a Milano da più di cinquant’anni, pur conservando un tenace filo sotterraneo dell’originaria cadenza patavina), alla sua quinta partecipazione e premiazione consecutiva, segnalato o finalista, e unanime vincitore del nostro premio al tempo di Bolle: questa volta di lui pubblichiamo due brani toccanti e disperati, Ci tocca e Catena di montaggio, due tranches de vie – il distacco e l’incomprensione dei figli, una routine di vita-lavoro senza senso... – rivissute in ritmici versi liberi di innegabile sapienza costruttiva, quasi cantabili, dolorosamente, come nostrani blues. Quarantadue sono poi i segnalati, con un testo ciascuno (42 su 600 testi di oltre 200 autori: non male!). Non possiamo, al solito, darne conto capillarmente; sicché ci limitiamo ad alcune informazioni di massima. Anzitutto è rappresentata un po’ tutta l’Italia: stando ai pur incompleti dati, e contando solo le varie residenze (non le origini), c’è il Piemonte, la Lombardia, il Veneto, la Liguria, l’Emilia, la Toscana, l’Umbria, il Lazio, la Campania, la Puglia; e questo attesta la diffusione nazionale del nostro premio. Non solo: c’è persino, tra i testi segnalati, quello di una poetessa italiana, Alessandra Sicuro, da Hellerup, in Danimarca. Poi osserviamo che l’arco delle età è, come sempre, assai ampio: questa volta i due estremi son segnati da un lato dai vent’anni di Giulia Colombo e dall’altro dai settantaquattro di Marcello Croce. Quest’anno l’ideale “premio fedeltà” se lo aggiudicano a pari merito Salvatore Dario D’Angelo, catanese di Parma, e Gennaro De Falco, napoletano di Milano: sono sei volte consecutive che la giuria coglie la dignità dei loro testi e li segnala (sempre senza sapere prima che son loro: anche questo vuol dire qualcosa). Quanto ai generi... eh, i generi poetici rappresentati son tanti... Impossibile darne conto in succinto. Basta leggerli, del resto. E i gabbiani? Gabbiani in senso stretto ce ne sono, dunque, in questi testi? Sì: ce ne sono tre. Dove? Beh, fate qualcosa anche voi: razzolate e cercateli. E, quando li trovate, garrite anche voi. Se volete. E se non temete d’esser presi per pazzi. O per gabbiani.

Paolo Briganti

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Roberto Minardi il palloncino manca (vincitore)

basta spiarti mentre tu consideri come mi sta il maglione e poi sistemi, con fermezza, il collo della camicia e accogliere la solita flessione delle due labbra dischiuse ma poco, per imparare a tessere il vigore di questo stare al mondo. e non c’è peso, nel senso che non grava che un profumo, se noi restiamo ritti ed abbracciati (un poco sollevati i tuoi talloni), come in quel grande dipinto naïf che c’era al mercatino dell’usato. insomma tutto cambia pelle quando noi non c’entriamo niente con il tempo.

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Ilaria Ampollini [ S’allungano sterili ]

S’allungano sterili le ombre rassicuranti della sera tra poco sarà tempo di non guardare.

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Michael Archetti [ Forse sarò sempre ]

Forse sarò sempre il bambino lasciato ad aspettare il ritorno del padre che promise di tornare indietro lÏ, muto, sul limitare della vita, sul sentiero in salita del mio abbandono

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Roberto Minardi la compostezza delle nostre cene (vincitore)

contare sul rituale delle sere per non seccare; illanguidirsi con la vista delle zuppe che prepari quando comincia a fare un po’ di freddo... ora al tigì, con delle carrellate, viene trasmessa una serie di drammi e noi ci raccontiamo com’è stato il giorno che è appena trascorso per sempre; e il nostro bene è lì, rivive, mentre ti verso ancora un po’ di vino e tu mi servi un altro po’ di riso.

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Alberto Arecchi Luna nuova

Nel cuore della notte il cuore sussurra le parole del vento. Le foglie stormiscono lievi. Solo squittii di lemuri sul mio tetto. Ombre furtive nel buio si muovono come fantasmi. Manca la luna nel cielo. Rapida incursione d’un rapace notturno, sul topo che curiosava alla mia porta. Nel silenzio totale laggiÚ, sulla barra dei coralli l’onda ricomincia a salire.

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Glauco Babini Linea Gotica

Quando l’inverno passerà e la Linea Gotica non sarà più che una catena montuosa o il corso di un fiume o colli e ponti e casolari nella pianura bè, allora la resistenza sarà finita e il nemico vinto. Mio nonno e gli altri smetteranno le armi cercheranno di far crescere mio padre e gli altri quanto più liberamente possibile. Mio nonno tornerà a fare il contadino che era stato e ne sarà contento, come prima della guerra. Anche se suo fratello è tornato tardi dalla Germania, e con una gamba mortificata. Anche se dopo la Linea Gotica è rimasta una di noi, sua figlia, nella terra, a testimoniare dove la linea è passata. Io ora penso di essere cresciuto bene e forse a questo pensavano mio nonno e gli altri: a darmi una morale, a dare una morale alla nazione che sarebbe venuta poi. E loro amavano il lavoro nei campi e nei campi hanno seppellito le loro armi.

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Roberto Minardi la copertina è rigida (vincitore)

amore è anche la forza tranquilla dei passi sparsi con dedizione lungo la riva del canale: le anatre e il loro modo sciolto di nuotare, le pieghe e i cerchi sull’acqua, gente che corre o che va in bicicletta, coppie avvinghiate più o meno, ma anche uomini e donne, da soli, in sovrappensiero. sui tetti delle barche c’è legna e sacchi di carbone, per lo più, mentre qualcuno ha un pannello solare. si è trasferita la barca dei libri, che c’era fino all’altro giorno, dove hai preso la versione per bambini e inglese del Pinocchio di Collodi.

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Daniele Beghè Iper voyeur

Di soppiatto osservo il carrello della bionda milf appariscente: prosecco maschio e salatini. Serata divina o divano e film?

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Fabrizio Bregoli Esuli

S’affrettano sulle strisce scansando il traffico dei pensieri dai passi, s’accomodano accalcati cercando sui tram un posto che non troveranno, leggono assorti pagine di pubblicità interrotta da qualche falsa notizia, negli auricolari si frastornano ai suoni che non fanno domande, non li spazientiscono. Alla guida si cullano alle voci di donne, sconosciute ninfe, che li ammaestrano sicure su dove e quando svoltare, nelle code della tangenziale s’inventano un lavoro truccandosi furtive, ammiccando nella luce d’un impolverato specchietto: uomini e donne – li diresti guardando – sotto un sole avventizio, raccogliticcio offuscato tra riflessi d’antenne sul tetto. Se trasgrediscono, è per noia o per passatempo uomini e donne – se sai riconoscerli – per scelta o per sorte, per mestiere o per arte sempre indaffarati – si dice per certo – divisi tra rasoi e rammendi d’una stessa perduta memoria, solo per errore, talvolta, rammentano: una verità, giurerebbero.

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Francesco Gallina Educazione in frammenti (secondo classificato)

Una flebile blastula di antennaria fissa le ricche lezioni di botanica a pagina 6 del libro mezzo sfilacciato, fuori dal finestrino asfittico scruta alienati banconi di università con falli in bell’evidenza (ben rigati) e piange al soffio del vento come le sofferenti strutture che reggono i terremoti delle penne veloci: la trascrizione futurista degli appunti. reggono? ma per quanto? Un moribondo feto di molli rovi aridi da qualche anno, ormai innocenti anime al tatto, funge da spaventapasseri fuori dalle cianotiche porte del liceo: ne fugge chi trova la gratuita scusa del tema non fatto, chi burla il secchione e spera – inetto – il 6 politico per sedere tra i politici (reggono il paese e non san le tabelline) «perché devo studiare, io: meglio buggerare!» reggono? ma per quanto?

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Paolo Cardoso Salpare

Salpare, senza bagagli nÊ ricordi. Le speranze oltre l’orizzonte. Sicuri che solo il mare non ha inganni.

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Francesco Caroli Picture in the night

La bianca casa quadrata Due finestre sul noce La porta chiusa in un assedio di livida luce Due quarti di luna scontornati di giallo Le mille lucciole di questo antiquato presepe Sulla stazione un faro Treni in ombra e binari già morti In alto la gru In basso la città di ruderi in alberi La scuola inerme su figli lontani Là il frinire di cicale per ora non c’è e nemmeno un canto alle stelle, e le rane? Qui il silenzio di un sonno che raspa

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(secondo classificato)

Francesco Gallina Diottrie

Le forme nei turgidi lineamenti all’alba impreparata, fosca e falba di una nuova vista (nuovi pigmenti?) si offrono oltre la lente appena fatta quasi vere, sirene o alme morgane. Ma ecco il fumo, il colore dell’ovatta davanti alle pupille – due ossidiane – che fanno da filtro e vedono opaco se l’occhiale viene tolto: permane l’alone: «ci vedo ben intricato!» dico all’oculista, col destro chiuso e il sinistro che arranca, affaticato. Mostra le lenti: «È un problema diffuso!» è tranquillo: ma io ho una strana paura che questa correzione sia un sopruso al vero, che la realtà non sia pura non più vista come prima: inquinata contraffatta, sotto una brutta abiura. La realtà non mi pare come appaia: un falso abbaglio, penso. Tutta colpa di questa maledetta miopia.

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Giulia Colombo Allegria

E furono i gabbiani a insegnarmi le chiacchiere io che non ne sentivo che il brusio cadente dalle finestre – lunghi sbadigli accartocciati Poi mi dissero – loro, i grandi uomini a cavalcioni dei muretti incrostati – che così proprio non andava: Allegra, ragazzina! Ma che vista dagli scogli: come una rupe, dall’alto non seppe la sula piedazzurri calcolare il salto – Ma visse

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Marcello Croce [ Le ragazze di Max in copertina ]

Le ragazze di Max in copertina sono snelle come i bronzi di Giacometti, ma non hanno, sembra, sensazioni, emozioni, turbamenti: sulla loro liscia pelle di velluto scorre l’aria condizionata dell’acquario e come foche o delfini sono il lato di vetro della vita, l’altra faccia del mondo, quella che finge a un gioco di lampadine d’essere il miracolo degli oceani azzurri, del purpureo corallo, delle rare infiorescenze sottomarine, e ci offrono una rara felicità, quella della creatura che vive smemorata nel fondale del mare, con la loro nudità e il loro sguardo freddo di medusa.

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Francesco Gallina Necrologio della genuinità (secondo classificato)

– Affitasi – chiude pure il libraio: di saracinesca un acerbo schianto al 14 di via Catullo, e il tabaccaio a otto metri dal fiorista, di fianco: tutto serrato (anche Oscar, il fornaio). Da tempo non facevano più banco. Sono sbocciate multinazionali – orticaio di volontà globali – outlet e ipermarket, covi d’amianto.

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Salvatore Dario D’Angelo A te ti

a te ti vorrei dire che ti amo che te tu mi inzuccheri il mattino come una brioche calda, come un panino come ogni buona cosa che mangiamo a te ti vorrei dire che ti voglio che te tu non sai nemmeno quanto o forse sÏ, quanto mi stai accanto, che questo però non si scrive su di un foglio a te ti vorrei dire che ti sogno che te tu sei per me in ogni cosa nella merda, nella terra, nella rosa e di pensare questo, oh no, non mi vergogno.

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Gennaro De Falco Italia ‘90

Lo dicevano tutti che i Tedeschi erano i più forti, che palla al piede facevano paura. Lo ripetevo anch’io, che di calcio non ne capivo niente. Come ripetevo le notizie sui giornali, caduto il muro, cambierà la storia. Ma tu non t’illudevi, i goal di Matthäus ti lasciavano indifferente, come le lattine nuove di Coca Cola. Ridevi, irriverente, dei crucchi che facevano festa e del nuovo capitalismo dell’Est. Briciole di muro vendonsi per corrispondenza.

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Vincenzo Maria Oreggia [ Eppure laggiù c’è festa ] (terzo classificato)

Eppure laggiù c’è festa. Non si direbbe data la straordinaria quiete della sera, il raggio d’oro che scavalca la montagna o l’altro versante della valle inondato da un sole così vivo. Non si direbbe che sia già disceso il grande tronco e i tre colpi di cannone siano esplosi o un migliaio di automobili siano lì tra le viuzze di Spelonga. L’immobilità inganna da lontano, perfino l’orecchio devi poggiarlo quasi contro per sentire il fruscio del vento nella sedia a sdraio. Troppa indifferenza mormora il fantasma acquattato nella chioma, impagliato come un gufo ammonitore sopra il ramo, troppi attributi sovrumani in questo splendore naturale. A tanta pace non resta che rabbrividire nel quadrato sperduto di conifere.

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Guido Massimo Dell’Atti Anche lui avrà per sempre trent’anni

Anche lui avrà per sempre trent’anni ed era barbuto anche lui seguivano i poveri e tremavano i potenti e i nemici di tutte le ribellioni anche lui hanno tradito ammazzato e anche lui lo sapeva che se la cercava ma il Che non è risorto ecco, l’errore l’ha fatto da morto

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Fiorenzo Fedrigo Pi

Da troppi minuti rimescolo il cucchiaino nella tazzina. Né io né lui sappiamo più se lo zucchero è solo un pretesto per affondare in fragili fare. Rimescolare in fondo è amaro comunque quando i gesti prendono il sopravvento e susseguono vuote circolarità a geometriche inadempienze. Percorro circonferenze. Pi greco è un breve infinito. Mi ritrovo a vorticare attorno al cucchiaino fermo, irretito da dettagli minimi, ossessivi. Vivere ha ora un punto sostenibile e strutturale, un cullare circostanziale e ripetitivo, un necessario impalpabile torpore che vorrei non mi lasciasse andare. Non ora, almeno, che mi sento così libero dal potere del tempo.

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Vincenzo Maria Oreggia [ Anche i sentimenti ] (terzo classificato)

Anche i sentimenti senza la gravità si alleggeriscono. Pare che sulla luna siano un sesto di quel che calcoliamo in terra, oppure, scienza a parte, è la perdita degli anni ad alleviare il computo. Guarda i bambini ad esempio, guardali assorti la mattina nella burrasca minore di una semplice partita, come lievita dall’asse del pianeta, come spunta la sfera tra le dita, effetto non terrestre ma stellare, regalo rimediato lungo il periplo di casa. Fanno appena le dieci e sullo schermo terzultimo è l’auspicio di pace in Palestina, penultimo il premier del sorriso, poi, mancava, l’impiccato del telegiornale; destra sinistra e inutili code in capitale, parabole in declino sulla fortezza dei tetti prospicienti. Galleggia qualcosa. Sul quasi nulla ronzano api. Insetti domestici vengono a toccarti le dita. Saltano tra le unghie.

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Franco Frainetti I tuoi occhi

Quando penso ai tuoi occhi non mi appartengo.

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Luca Gatti Il profumo del fuoco

Ti muovi nel sonno. Non girarti, non vedermi vicino e senza luce! Occhio per occhio, parola per parola, sto ripassando la parte della vita. Giovanni Raboni

* C’erano facce familiari, fissi volti sulle porte e a destra uno solo più familiare meno familiare guardava senza guardarlo. La via non riaccorda, era il tempo che più morde la polpa del ricordo. Di cose se n’erano dette tante, di come al volto della vita uno prende la porta e addio ma nel mezzo sempre in fieri cresceva qualcosa – qu’est-ce que je dois faire avec toi? – mi ripeteva la mia recidiva debolezza sempre in ritardo sempre non ancora a qualche passo. “Ci torneremo in qualche bar del mare e quel disco che suona sempre”. Voce non raccoglie sospiri non sempre ritorna alle fronde d’un mantice fra terra e cielo indivisi specchianti eterni.

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Vincenzo Maria Oreggia Indicazioni di regia (terzo classificato)

L’interprete, coltivato in materie musicali, basso, in carne o allampanato poco importa, simuli pure di ignorare il suo copione; avanzi piano, gongolando a tratti, a tratti contenuto ma non troppo, non, almeno, fino al punto di sembrare inesistente o peggio ancora scomparire. Si attenga, ecco, appena può, e sempre che i gesti lo consentano, alla lezione muta. Ma più di tutto non ci creda, per carità, oltre misura: si attrezzi come quel poeta nato a Fiume che si meraviglia in primo luogo di esser lì mentre recita i suoi versi. Se desidera, infine, e dove proprio non si trovi, canti pure, che nei passaggi narrativi è consentito.

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Fabrizio Ghironi Il ritorno

Triste come il treno di notte. Dopo una mensa di sera un procedere lento senza chiaro di luna. China la testa sul corpo assente, vagheggia la mente tra passato e presente. Penetrato nell’ombra da luce invadente, di colpo abbagliato, si ferma il corpo, si ferma la mente.

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Attilio Giannoni Aspetteremo il sole

Avremo figlie diverse. Che non avremmo potuto corteggiare. Bianche, colte, si allontaneranno da noi che avremmo sperato in qualche metro di meno. Dita lunghe, sorrisi discreti, altri interessi. Altra anche la fonte delle lacrime. Sapranno girare Milano. Porteranno in casa nuove parole e noi fingeremo d’aver da fare, di fuori che abbiamo anche smesso di fumare. Nascosti, guardiamo le montagne. Siamo scesi da lì, come dicevano “con le prime frane” che divelsero campi e credenze. Che ci nutrirono di mancanze e di belle canzoni che di assenze cantavano. Ma non fummo più né larici né platani. L’inverno sarà la tua mancanza il pettirosso la tua voce. Aspetteremo il sole dall’America dove avrai gli anni per toccarlo.

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Davide Astori Natale (finalista)

Mi volgo ancora, dopo, quando non te n’avvedi e scivoli veloce nella gente. Mentre io resto (consumato nell’algido il saluto), a fingermi una volta di più d’aver sbagliato. Eternizzandoti nell’ictus di un silenzio.

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Marta Izzi La strada

La pioggia ha una purezza inaspettata quando cade struggente sui noccioli. Anche gli ulivi a un passo dal sentiero cambiano forma e muovono il silenzio a chi mormorando li attraversa. La vita ha un suono che non riconosco in questo luogo che si perde a vista. Mi costringo al mondo, ed è tra questi giorni che ritrovo il coraggio del viandante, impigliato al rimpianto di quei rovi dalle dolci promesse, abbandonate al pasto del compagno pettirosso. E se il vento sospinge i miei pensieri oltre il nodo di rami che ho nel petto posso cullare a lungo l’incertezza e contemplare alto l’orizzonte.

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Sara Lanfranchini Loop sotto il ciliegio

Oggi ho infilato le scarpe di mamma ci ballo un po’ ma son lei, la stessa linea curva del collo che si piega libero, quando raccolti i capelli li intrecciava ai fiori dei suoi pensieri. Gli occhi verdi sono grandi più dei miei non c’è quercia nel suo sguardo, né Oriente. Ma le ombre sulle palpebre e le spalle nude si sovrappongono, identico in foto quel sorriso di ragazza rubato nella luce del mattino. Inforco enormi i suoi occhiali di allora – gli anni Settanta un mito che resiste nel ricordo pure di chi non c’era – e nell’erba corro fino al ciliegio che come il suo ombreggia questo giardino. Mi segue il cane e fiuta naftalina nel mio travestimento, odor desueto. Eppure sa chi sono: vede lei in me me in lei sovrapposta, persino uguale la testa di matrioska dipinta che si ribella ancora al suo destino.

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(finalista)

Davide Astori Metempsicosi

Ma c’è chi non capisce e preferisce il mondo così com’è: immerso in un pattume. Eugenio Montale

Dove poca è la ratio e il buon gusto ancor meno, non si discuta di senso o di giustizia. Né tanto meno di libertà e morale.

*

Solo un dio ingordo possa quanto prima ingurgitarsi tutto, restituendolo, in novella creazione, alla forma che è.

Solstizio d’inverno (attendendo che il sole compia il suo corso).

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Matilde Vittoria Laricchia [ La distruzione mi dona una calma che non ho ]

La distruzione mi dona una calma che non ho, silenzio tra macerie fumanti. Ho intrecciato i sarmenti profumando le mie ali di mirra Ho appiccato il fuoco, la fiamma era morbida e livida La guardavo divampare sul mio letto sulle mie piume, divorarmi le viscere La casa sputava le mie cose, lacrime ferme e nulla potevo i regali scordati nei cassetti, i fogli e i bottoni. Il crepitio mi ha schiantato le ossa ha disciolto gli affetti, meduse al sole. Ora un pigolio sotto la cenere punge questo nulla sospetto. Ăˆ il mercurio dei miei occhi, soli. Salvi.

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Paolo Lucchesi Job

In quanti e per quanto ancora continueranno a credere che la vita sia questa, con un trillo nella testa la mattina, che ti sveglia innaturale. Come fate a non capire quanto fa male tirare a morire. E li vedi tutti in piedi con i ferri in mano, che intanto col brutto tempo che cosa ci stai a fare a casa. Ah sì, è meglio qui. E mettono la macchina di culo per scappare scattando, che poi magari si fermano mezz’ora per arrivare ancora più tardi. Ma come si fa a non capire che in questo modo si tira a morire. Ed io, come gli altri, faccio passare il tempo, preziosissimo tempo. E non mi frega niente di ciò che sto facendo. E se rifletto così è ancora peggio, perché intanto non so cos’altro fare. Il viaggio è nella testa, qui invece, tiro a campare.

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Giovanni Caso A volte, quando il vento s’addormenta (finalista)

A volte, quando il vento s’addormenta, qualcosa mi consola. Certi giorni le mani sono lembi di una foglia nel cuore della terra. Occhi di pergola, labbra ciliegie e fronte di mirtilli cavalcavo il mattino sopra i rami. La brezza mi portava il suo respiro, mi sentivo padrone del mio sangue. Dov’è il sorriso della prima stella che veniva a trovarmi? Anima mia, hai già provato il fuoco dei vent’anni e i cieli che scopristi sulle alture sono velami d’ombra. Ormai la vita è un labirinto d’ore e il corpo avanza come un tramonto. Il tempo va scolpendo papaveri di luce nella carne il cielo ha mappe di comete e lune in cui m’acquieto. A quest’età il silenzio è più forte del pianto e del dolore. Libera nos a malo. E mi accompagna la parola nascosta in fondo al cuore. Amico, un uomo è tanto. È solo un’ombra la morte che si strazia nella stanza e poi svanisce al bacio dell’aurora.

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David Mandolin [ Rientro ]

Rientro, ed anche questa domenica sera è di pioggia. Sul marciapiede, una ragazza dà le spalle al suo uomo. Si è presa l’ombrello, offesa. Lui allarga le braccia, la chiama, con una parola – chissà quale – la ferma. Lei si gira, imbronciata? e aspetta. Già sa di volerlo – l’amore –

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Anna Martinenghi Autoritratto

È così che mi disegno come se non avessi un volto come se mi servissero le ombre per vedere la luce. È così che mi disegno per scavare l’anima per dare un nome ai ricordi. È così che mi disegno a carboncino china sul foglio Smalto sulle unghie, matita intorno agli occhi, il rosso per le labbra Altrimenti la vita mi cancella.

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Giovanni Caso Ho smarrito l’infanzia in altri luoghi (finalista)

Ho smarrito l’infanzia in altri luoghi. Il vento ha sempre pelle adolescente non questo corpo che germoglia e muore. Ho un tremito di lucciole nel sangue, il soffio di una lacrima nel cuore, hanno messo radici nella zolla i miei pensieri. Intorno al mio balcone le stelle sono fiaccole d’argento. Qui l’attimo si fa luce d’eterno e mi trema il geranio tra le dita. Non mi servono più vuote parole. Al calendario i passi della luna con cui ho misurato il mio dolore. Quanti solchi ho scavato dentro l’anima per semi mai interrati. E mi stupisce anche il silenzio che non ho mai avuto. La vita è tralcio intorno al suo mistero come il tramonto al melograno in fiore. La neve si sfarina tra i capelli ed ogni stella è sempre più lontana. Mi avvolgerò, chissà, d’erba gramigna, un giro nella trottola del vento e l’orma bianca impressa sulla sera.

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Michela Massei Ricordi

Ricordi rugginosi ruggiscono rigando raggelate retine rastrellando ruvide relazioni ... rudi rissose rendicontazioni ragazza riccia rossetto rubino rimpiattati respiri ritmici regole rivoltate rimbombano ... rammarico rotola rompendosi resta rasserenato rosmarino raccolto rasente rocce rupestri.

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Valeria Mazza La roba

Nulla possiede, nulla la possiede. Solo gli sfilacci di nuvole spinti dal vento dentro la foresta della sua chioma.

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Lucia Diomede Madre, dormivi (finalista)

... di te, cara, mi sono ricordato, o mia vecchia madre. Sergej Esenin

* Madre, dormivi. Madida l’arcata di ciglia, tremolante nell’incavo accogliente dell’occhio, contemplavo e la pelle del volto, reincarnata quasi bambina. Adagio ti ho svegliata accarezzandoti il braccio.“Sognavo... nuotavo in mare aperto, sì, nuotavo, l’acqua era calda, avvolgente, dorata...” Non nuoto in mare aperto, resto a riva, né l’ho sognato sinora, mi scora il non avere ai piedi un pronto approdo; ma è un’apnea protratta questo snodo abissale di giorni; giova allora, forse, anche, abbandonarsi alla deriva...

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Alessandro Mistrorigo La porta fuori

la porta da fuori e la sigaretta un attimo prima di ponderare l’equilibrio incerto di una piastrella malmessa: al camminare corre dietro la vaga idea che non so piÚ prendermi in giro, nÊ decidere di perdermi sul serio sulla strada del ritorno.

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Mariapia Morrone [ Ăˆ nella mia assenza ]

Ăˆ nella mia assenza che ti vengo a cercare e lĂŹ ti trovo, sempre muto come un ragno pazientemente tessi i miei confini.

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Lucia Diomede Ma il mare è scuro e non specchia i bagliori (finalista)

Di nuovo le nubi su di me si sono radunate in silenzio. Aleksandr Puskin

* Ma il mare è scuro e non specchia i bagliori del cielo; le ombre disegna di dense nuvole bianche e grigie, ferme e immense per un momento; mormora in gonfiori larghi, più scuri e più chiari, sonori respiri, dune d’acqua non propense a propagare onde spumose o intense risacche, ma un rollio raso e fulgori di luce liquida. Lenti e maestosi, i nembi incedono incessantemente mutando forma. Un cerchio di gabbiani placido dondola sull’acqua, grani bianchi di breve inerzia, indifferente al mare e ai suoi malumori sinuosi.

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Silvia Napoleoni Attesa

È di quell’oro stanco che teneramente tratteggia ombre sui muri che attendo la posa mentre nevicano fiori d’acacia e ti immagino ricordare parole mentre dismetti ore silenti pensando stanca ad un futuro ormai remoto così di nuovo attendi di muovere quel passo in bilico come erba paziente sognando l’azzurro profondo ma poi torni ai tuoi angoli perfetti e chiusi e lasci che l’acqua scelga nuovi ponti

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Anna Maria Paganelli [ Lego le scarpe ]

Lego le scarpe in solaio vissi contando i giri del sole lui rientrava dopo il tramonto usciva prima dell’alba.

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Caterina Franchetta Ritorno (finalista)

Prima dell’abbraccio sostare alla soglia, – Oh! casa che hai negli occhi impresso il mio ritorno.– Dopo un solo passo appoggiare i pesi e scalza recarsi alla fonte: lavarsi della colpa di abbandoni. Parlano i fatti. Muta è l’aria intorno, il giorno inizia come se nulla fosse accaduto, tutto è al posto suo come l’ho lasciato, stanca però, nel velo della polvere, filtra la luce da un vetro un po’ scostato.

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Maurizio Paganelli La quercia

Ho meditato sull’enorme ceppo della quercia e nel bel vuoto dipinto e calpestato in fretta dalla mente conchiglie raccoglievano scolari sulla spiaggia e i gabbiani spaventati finivano arsi sui tetti d’ardesia romanzi d’avventura che ho scordati. Sedevo dove era la quercia e altrove e la mia ombra spariva tra le foglie.

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Matteo Pelliti Sugli altipiani di Bezos

Periodicamente aggiorno la mia sterminata “lista dei desideri” amazoniana, pozzo di San Patrizio di un inesauribile “vorrei, ma non posso” dove collassano giocattoli, orologi scadenti, libri introvabili, dischi sperduti, nuovi e usati. La lista si allunga, invecchia con me, dice i miei gusti permanenti come le fissazioni occasionali, come il colore che identifichi il periodo di un pittore, e mi sorprende ritrovare le inclusioni che accolse un giorno: davvero volevo un disco di musica Cajun? Intere mattinate perse errabondo sugli altipiani di Bezos, senza una guida, senza un soldo e con il pericolo costante delle sirene del mio consumo a credito, la magia di un “pagherò”, al quindici del mese seguente. Infine, l’attesa del Messia consustanziato in acronimi di corriere (TNT, SDA) che mai mi troverà a casa ad attenderlo.

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Caterina Franchetta La partenza (finalista)

Fu il saluto come a persona cara; lo sguardo, una carezza al pavimento, poi una lusinga, fino alla vetrina e al vassoio sul tavolo in cucina; quasi furtivamente accostai la porta e presto rimbombò dalla tromba delle scale decisa la doppia mandata della chiave; fuori nell’afa crudele filavano le cicale un’assordante tela: scorreva la mia spola nel computo mentale d’un tempo equidistante da passato a futuro, ma nella calca alla stazione era la valigia il mio pensiero pressante: ricominciava appieno la concretezza e il treno ritardava.

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Marco Righetti [ Hai visto l’edera? Non scala più ]

Hai visto l’edera? Non scala più la sua parete di cielo e anch’io non aderisco più a te ma ad un riserbo che è ormai silenzio È primavera e mi passerai fra le dita come il vento fra i rami come le parole che ci diciamo e si spengono subito ricordo: ci bastava entrare insieme nel chiarore di uno sguardo restiamo con pezzi di vita scoperti qualcuno potrà medicarli? Siamo aghi di brina fiori di neve improvvisa che ha smarrito la stagione.

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Cecilia Rossini Made in China

Topini bianchi e bimbi mangiano noccioline, mani sottili cuciono stoffe e pelli dure, albe e tramonti corrono, estati e inverni dormono.

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Paolo Ottaviani

una bianca memoria che tutela la terra e i boschi dell’immaginare come linea ignota e parallela corre dalla tempesta al limitare del cuore dove nasce lo scompiglio che dura dentro i sogni, in quell’amare confuso tra la neve, il padre, il figlio

(finalista)

Mio padre dipingeva una montagna

Mio padre dipingeva una montagna e faggi e mulattiere dalla tela gemmano ancora, la neve accompagna

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Mauro Savino La farfalla e il paese

Ma tu vivi la tua esistenza di farfalla e varchi la soglia dell’altro mondo, nel paradiso delle farfalle. E ti eserciti al disfacimento con scritte sui muri che sono la ferita acrilica nella carne buia del passeggiatore colto sempre di spalle in una spirale di foglie. Flaubertiano e disperso come un novembre lacerato dalle ringhiere e dalle sere e dalle notti in case come spelonche con la televisione che prende solo un canale immaginando godurie tra i cani che latrano in lontananza e i fochisti che tornano. Lontano il pensiero fallita la giovinezza imbalsamata la carne soprattutto in quelle notti da incubo che il vento soffia e schiaffeggia la pioggia e le finestre dei balconi si ovattano di condensa mentre la morte poggia le mani su un manico di scopa, drogata e ottusa come una mandria di cavalli ottusi e immobili nel tramonto.

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Marco Senesi 29 kHz

Una Sentinella Del Tempo non conosce altro che Veglia. Io sono il testimone ultimo, ultimo custode di un [ cronocomparatore. dall’oscura brughiera vengono pastori e spigolatrici [ con il capo chino mani intrecciate come trame di un canestro da est spira il vento di levante al solstizio d’inverno e quanto cammino ancora, prima di giungere a una [ casa di spiritualità. in me, parole impossibili di un appuntamento mancato e sciami di ricordi restano imprigionati nello scintillio argenteo delle sinapsi cerebrali. Io avverto flebili vibrazioni di promesse lontane ai confini con la ionosfera. Cerco voi, cerco la calibrazione del segnale resto in ascolto, ma qualcosa ha cancellato la tonalità pilota e la tonalità [ sottoportante della trasmissione delle nostre voci, Novembre 1994.

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Paolo Ottaviani

d’autunno?... In un pulviscolo radioso l’aria tremò dal cielo alla montagna... ... su una roccia splendeva il volto erboso, ridente d’una madre... o una compagna?... ... forse era tutto un confuso sognare... ma io ero in piedi in mezzo alla campagna... e vibrò nella tasca il cellulare...

(finalista)

Forse era tutto un confuso sognare

Arrivò trasognato al suo paese, dentro il sole di un vicolo odoroso di fieno e di pannocchie... era un bel mese

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Alessandra Sicuro La dipartita dal raviolo

... dopo l’empia dipartita che dal dolce mio bene feci Francesco Petrarca

* I ravioli di quella pasta, con quel ripieno – la figlia del nostro operaio emigrato in Svizzera che porta la cioccolata a Natale – calare quando spicca il bollore perché tutti, in 15, 25, sono già a tavola e le sorelle o le cugine aiutano e la stanza odora di arancia e ha un certo colore dorato a cui tu appartieni

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Giovanna Silvestri Padre

Mi sussurrasti l’ultima consegna: affidarti al riserbo di un sacello in cemento e sublimarti lieve nella luce e nel vento e mentre il crepitìo delle tue membra mi fremeva in petto quieta, la fornace che sbriglia la materia dalla stringa del tempo intesseva nell’aria minareti d’amore e poi, nel contrarsi delle spoglie in un polverìo grigio si stagliò la tua essenza chiara come l’impronta che lascia un corpo astrale sulla vita che resta perché gli angeli padri hanno ali di terra e depongono nidi nell’istante del volo

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Rodolfo Vettorello Ci tocca (finalista)

Non piangere cara, ci tocca. La vita di un figlio ci sfiora soltanto e non lascia che un’ombra di sé. Se non basta avremo, per gli occhi, la foto che ride, il pupazzo di neve, quel giorno d’inverno, ma dove? Il posto in cucina, la sedia ch’è vuota da tempo aspetta che venga Natale. Non resta che il poco che serve e arriva ch’è stanco e svogliato. Non parla e se dice, capire è difficile a volte. Contesta, protesta e si inquieta con me, per le cose che dico. Non piangere cara, ci tocca; ai vecchi non resta che farsi da parte. Le nostre parole non hanno più ascolto, la voce che occorre non trova il coraggio e piano sprofonda così che alla fine il silenzio divora l’estrema parola che affiora alla bocca. Non piangere cara, ci tocca.

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Isabella Sordi La rivoluzione femminile

La rivoluzione femminile, quella che un piatto di minestra calda la sera e vecchi da accudire bambini da consolare uomini da soddisfare. Quella delle streghe coi reggiseni bruciati in piazza. La rivoluzione femminile, quella delle femmine stuprate e delle madonne venerate. Ma ora one billion rising dita puntate al cielo per chiedere a Dio, per noi, la forza.

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Rosanna Spina Strade tortuose e mani di fatica

Quel pungolio di spine sotto i piedi rinnova la paura dell’inciampo nei vuoti a perdere di ore senza senso; i giorni hanno spigoli tra cui passare evitando che slabbrino la carne, ed è percorso obbligato fra i sentieri delimitati da una crescita di rovi e l’aspra gelosia di qualche ortica, mentre l’occhio benevolo del sole ha una lacrima d’oro e miele da spalmare sulle labbra dolci e tenere dei figli.

“Chi si ferma è perduto”, recita il tempo che ha nascosto i suoi tesori e i cesti con i frutti dell’estate tra il fieno e le giunchiglie; prepara i doni, tira le somme, fa la differenza tra dare e avere... Ma in tasca c’è la fertile semenza che il buon fattore spargerà dal pugno, convinto che la prossima stagione riserverà abbondante mietitura a chi dissoda, senza mai stancarsi, le zolle in cui rinascono i germogli e strapperà con forza la gramigna nel campo tutto verde di speranza

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Rodolfo Vettorello Catena di montaggio (finalista)

Canta la donna ma sottovoce, al posto di lavoro. Sul nastro scorre il pezzo, ora le tocca aggiungere un dettaglio all’ingranaggio. Canta felice e crede che si possa dire felicità la sua giornata. Il tempo di lavoro è vedovanza, è storia complicata, è lontananza. Il nuovo nato è un pacco scaricato a chi ne prende cura fino a sera. È nostalgia che canta il bacio d’uomo all’uscio della casa. Felicità che ignora ribellioni ed incoscienza d’essere, nel ciclo, il piccolo dettaglio che si blocca, solo se muore il canto. Ed io non canto e immobile patisco il senso di una vita senza scopo. Io sono il meccanismo che si ingrippa, il pezzo difettoso, l’ingranaggio che non si adegua, nel posto alla catena di montaggio.

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Paolo Triulzi [ in questo medioevo, in questo basso impero ]

in questo medioevo, in questo basso impero, consumano, malamente conservate memorie, le migliori nostre epoche anteriori, i reperti, nel fumus mali juris di regime, trafugati da storici dietrologi assolutamente relativisti, le titaniche gesta delle nostre sensibilità prime, ridicole cosÏ ridimensionate, le ricordi? eri, con me nelle catacombe, in ginocchio, amor primo: riconoscersi malati terminali, lavorare alla conservazione naturale del corpo: oltre la vita: testimoniare qualcosa di utile. prossimo futuro promette scavi e studi piÚ accurati, un’ulteriore revisione della Storia,un bersaglio nuovo per il bronzo della punta di ogni lancia

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Silvia Vecchini [ Il più delle volte ]

Il più delle volte non serve sprangare le porte bruciare ogni fuso vietarne il possesso, proibire l’uso ci sarà sempre una porticina aperta, una vecchina che fila una scoperta qualcosa che non sai neppure cos’è uno sbaglio fatto apposta per te. Non sempre, ma a volte occorre pungersi sanguinare un poco dormire tutto il sonno che viene dopo sorbirlo come una medicina per svegliarti diversa da com’eri prima.

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1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10.

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11.

Mevoj

N.B. Se trovi questo libro – o qualsiasi altro libro delle Edizioni Tapirulan – in giro, in un bar, su una panchina, per strada, in treno, in autobus, dentro un tombino, sotto una sedia, in mezzo al mare, insomma ovunque, portalo via con te, leggilo, se vuoi commentalo, correggi gli errori, fai un tuo disegno, e poi rimettilo in circolo; abbandonalo in un luogo qualsiasi, altre persone potranno trovarlo e leggerlo. Puoi anche collegarti a www.tapirulan.it e scriverci un tuo parere o dei consigli.




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