Fischi di carta 15 (03/2014)

Page 1

Fischi di carta

Marzo 2014 Numero 15

Poesia di cinque giovani fischianti

Come un'allegoria, una fanciulla appare sulla porta dell'osteria. (Alle sue spalle è un vociare confuso d'uomini – e l'aspro odore del vino).

Giorgio Caproni, Come un'allegoria, Borgoratti

Editoriale Allegoria

Dopo le riflessioni sull'arte (o forse dovrei dire l'Arte) dell'ultimo mese c'è un tema che vorrei trattare assieme a voi lettori e riguarda questo: le alternative. Lo spunto mi è stato dato dalla visione dello spettacolo di Ascanio Celestini, Discorsi alla Nazione, in scena a Genova lo scorso autunno e attualmente in giro per l'Italia (sarà a Bologna dal 10 al 13 Aprile). Uno dei personaggi da lui interpretati è un normalissimo uomo che conduce un'esistenza decisamente mediocre, oberato dal lavoro, con una vita sentimentale logorata ed insoddisfacente, un grigiore costante attorno a lui, vessato dalla vita e perfino dal barista sotto casa. Ma, per contro a questo, egli è morbosamente arrogante e attaccato a quel nulla che possiede e quel che possiede è, in buona sostanza, una pistola. Il fatto paradossale si riscontra poi nel fatto che quest'uomo qualunque non abbia nemmeno il coraggio di usare l'arnese e che lo scopo di possedere l'arma da fuoco non sia quello del suo utilizzo, ma dell'idea stessa di possederlo e della sua possibile applicazione pratica. Così capita che, qualora si trovi in una penosa riunione d'ufficio o venga preso in giro dal barista davanti casa, lui stringa forte il calcio della pistola, immaginando un piccolo puntino rosso colante in fronte al suo antagonista e, con esso, la soluzione dei suoi problemi e soprattutto la sua rivincita. Ogni volta che il mondo gli mette un piede sulla schiena, lui si lascia schiacciare, ma nella mente apre molteplici vie di fuga, di arroganza e cattiveria, un desiderio di vendetta contro tutto e tutti (dalle ingiurie gravose alle cose più banali) che concretizza solo nella stretta attorno alla pistola e in pensieri su spari, pallottole e morti. Pensieri, esatto, astrazioni psicologiche, perché non sparare, così come il non far vedere la pistola, è una delle regole, quasi biblicamente imposte a se stesso, da rispettare assolutamente, in modo da garantirsi la via di fuga, la scappatoia. E se, appunto, la scappatoia è per definizione l'espediente attraverso cui fuggire, viene naturale chiedersi: da cosa sta scappando quest'uomo x? Da se stesso e dalla propria miserabile esistenza: egli tenta di dipingersi quadri davanti agli occhi per non vedere la propria debolezza e, anzi, cosa peggiore cova nella sua frustrazione un cruento e represso desiderio di vendetta. Ecco, dopo quest'introduzione forse troppo dettagliata, ma che serve da base e da

modello, desidero arrivare al punto; io mi chiedo e vi chiedo: quante pistole nascoste abbiamo che aiutano la comodità mediocre della nostra vita? Quante alternative che crediamo di possedere, porte che ci basterebbe solo aprire per cambiare la nostra vita, sono in realtà disegni che facciamo su un muro? E soprattutto perché scegliamo l'alternativa alla realtà? Il mio personalissimo e davvero modesto pensiero è che quando ciò capita è solamente per paura e per pigrizia. È decisamente più comodo arrendersi alle evidenze e ritagliarsi spazi mentali, sogni di gloria, vendetta, successo in cui godere del tepore di un alternativa che sta lì, a portata di mano, che solo a deciderla potremmo ottenerla, basterebbe stendere le dita... eppure mai nulla, eppure mai un cambio. E questo perché, se le alternative sono così facili? Forse perché non lo sono, forse perché ci vuole tutto l'umano coraggio solamente per essere onesti con se stessi, forse perché non si ha la forza di cambiare e nemmeno, a volte, si sa davvero cosa sia meglio. Nondimeno, oltre a ciò, mi sento anche di affermare che frustrati, per qualche aspetto della nostra vita, lo siamo un po' tutti, anche se in misure diverse; forse perché ci hanno insegnato che la felicità si ottiene, che è il meritato premio dopo una prova, dopo una fatica, dopo un esame, una gara e che, una volta raggiunta la si possegga come un bene, mentre bisognerebbe ricordarsi che la felicità è una cosa che accade; εὐτυχία in Greco è il ''buon accadimento'', ciò che accade bene e la stessa radice di happiness deriva da to happen: accadere. Tuttavia non apprezziamo gli sconvolgimenti tanto quanto la stabilità e le certezze, non amiamo il cambiamento, l'accadimento, perché generalmente lo intendiamo in maniera negativa, più come la μεταβολή della tragedia (''cambiamento'', in questo caso, rovinoso) che come la folgorazione paolina. A noi fanno paura i gozzaniani “casi della vita”, quelli che ci impongono delle scelte concrete e rifuggiamo da essi pensandoli costantemente forieri di sventura. Ora, nessuno chiaramente sta facendo un'apologia del cambiare totale su ogni piano, ché le radici sono importanti e senza di esse non si sta in piedi; quello che sto cercando di demolire è la pusillanimità delle alternative, delle scappatoie che ci costruiamo per fingere di non vedere. Perché, e qui arrivo al punto, scrivere è soprattutto questo: essere onesti e avere coraggio. Coraggio di capire e di vedere, coraggio

Fischi di Carta
2

di sentire e di parlare, e, se necessario, fronteggiare il cambiamento con ciò che porta, il che non deve essere per forza un male. In fondo, il cuore è vivo quando batte e il piattume è suono di morte. Perciò concludo: non usiamo le mani per toccare armi, che notoriamente servono per distruggere, per farne

fittizie speranze dando spazio alla nostra viltà e sprofondando nelle paure, usiamole per costruirci, sudando e faticando, ma sempre con il palpitio di chi sa di essere vivo.

Pane bianco

“Io ti vorrei, compagna che mangia il mio pane.”

Il tuo animo è pane bagnato, dolce, delicato ed è bastato solo scoprirsi guardarsi negli occhi, dirsi ''oh quanto vorrei...'' per sentire ancora più vivide le carezze sul volto, promesse che immaginerei, collane che sognerei non fossero solo nomi ma molto altro. E dietro a queste ho intravisto le difficoltà dei ruoli, il peso delle conseguenze e poi quello delle assenze, del mio freddo per le disanimate zone pedonali del tuo sedere a letto, battiti bitonali – tonfi di martello. E noi, separati dalle ombre, ormai cuori in appello.

Punto e a capo

E adesso aspetterò più forte che prima sotto cieli diradantisi di nubi -sole azzurro, mio mare d'osteria senza irrigidirmi nel malore che mi copre come brina. Tu muovi passi tra Colossei, archi Traianei, io i movimenti miei li compio un po' più lenti per le strade tra le torri nei corpi assiepati delle genti e se gli occhi porto non fuggo intenti ma mi fermo a quel che provo e che tu senti: -le mani sulle guance, labbra, i capelli gli occhi ridenti i tendini ardenti del mio cuore e poi il fresco delle tue dita cullate nel mio palmo, rollio di barca salmo d'amore sussurrato leggero su di un gradino di marmo, piano zero da cui riparto -dal miele dei tuoi occhi.

Alessandro Mantovani
3

Perfezione

Sulla terrazza della biblioteca Benzi, Voltri.

Fuori dalla biblioteca c'è silenzio ma un silenzio così diverso un silenzio aperto ai rumori generato da esatti rumori. Il mare è più crespo per il vento che per le onde, è un vento dolce, che vive nel rimbombo delle orecchie e sulla superficie dell'acqua. Acqua di carta carta d'acqua crespa. Lui non danza. Lui non parla. Tutto raccoglie questo vento, a volo d'uccello, radente la superficie. La gente è giù nella passeggiata, bambini si scontrano e fanno rumore, una ragazza s'è pure sciolta i capelli.

Ed io non ho niente da dire, non ho proprio niente da dire. Davvero niente da dire.

Fischi di Carta
4

La Grande Bellezza1

Da giovane, ho scritto mille frasi sull'amore su una donna sulla vita che non sapevo ancora; era un tempo colorato, il domani era di altri.

Ora guardo dal monumento bianco sul colle una città d'anima vacua come un bambino sorridermi in fretta: non so risponderle, non so se è vera.

Non si vede più l'apparato umano in questo circo ritmico di danze e il mio sistema si perde nel ballo loro, tra un drink e un fuoco d'artificio.

Da anni ogni notte entro piano in quel vuoto frenetico, dove i nulla di tutti in frantumi si mescolano, entro per dipingere in quel tutto il niente; e cantare il niente nell'orgoglio d'esservi immerso, e lottare col vuoto dall'interno, e dire di conoscerlo, d'essere il suo sovrano argentato.

Cercando sempre la grande bellezza del sorriso o del pianto più veri al di là di ogni trucco da svelare ho visto cosa sono diventato:

l'ho persa, e con loro ho dimenticato da dove vengo dove andrò più tardi, ho sputato tutte le mie radici; le rimastico ora, spero in germogli.

E ogni mattina a letto guardo un mare che non c'è: non so dove altro cercarmi.

Dove piove

Vieni, prendi la mia mano scivolosa tieni in equilibrio il cuoio dei miei stivali senza più suola, bagnati dei soliti passi come quest'altro mattino già fradici e non lasciarmi cadere nel marmo del portico con chi vende ombrelli quasi già rotti.

Vieni, diamo il nostro sorriso da bere a questo tempo ubriaco – chiede attenzione come un vagabondo un'altra sigaretta per far passare la sera – racconta ancora la sua storia a volte arrabbiata a volte triste fatta di gocce e di nuvole, e guardiamo gocciolare i nostri tetti -ormai il rumore è familiare, il tempo è scandito così nell'attesa dei giornisono rovesci e risvegli, litigi tra i temporali e solo tra le schiarite i sorrisi di un attimo: ma vieni, bagniamo il tempo il giorno gli occhi di pioggia, per sapere che ovunque piova dove piove arriverà il sereno che accende già qualche altro cielo.

1 La poesia è un omaggio a Paolo Sorrentino, regista del film La Grande Bellezza, vincitore del premio Oscar come miglior film straniero (che all'Italia mancava da La Vita è Bella di Roberto Benigni). Nella poesia a parlare è Jep Gambardella, protagonista del film.

Fischi di Carta
5

Attese

È bello pensare di non avere nulla di cui soffrire e non porsi il dubbio della ragione del dolore. Un poema di vorrei ho letto boccheggiando l’altro giorno inumidendo le dite sui muri fradici di calde lacrime degli illusi. Sei apparsa sgargiante con capelli setosi lanciando un manto sul mio cuore in apnea. La tua formosità simpatica mi si gettava addosso vicino ai miei occhi liquefatti come cera e tremavo perdendo il senno dalla rabbia. Anche oggi non sta a me averti ? Riempire lo spazio di fiato non mi occorre ad ingannare l’attesa del mio turno. Non sono il cliente d’un salumiere! Vorrei tastare la lapide dei miei giorni piuttosto che attendere il tuo volto oggetto di dubbi e desideri. Ti vedo uscire dal portone, ti corro incontro e mi sento un asse di legno alla deriva, ti voglio, ti parlo, ti bacio e poi il niente. M’inalbero in silenzio perché tutta l’attesa è risultata insapore. Ceno con fusilli e noia, è successo ancora: sul mio palmo le chiavi della tua vulva ma nulla di sereno in me, solo l’immagine della mia vita nel letto d’una notte all’ombra dei vicoli.

Serena

Lasciami un bacio sulla salsedine nuda, colmami il viso con lo zefiro profumato e ti ringrazierò incrociando il naso al tuo viso e tastandoti il ventre. Trascinami sulle tue guancie fresche da nereide e io ti consacrerò prima di affogare nel centro di te naufrago arso e solo. Donami le labbra, bagna le mie flebili vorrei che tu fossi il cappio annodato al mio collo appeso, la tagliola che mi straccia i tendini nodosi e fermi. Vorrei avere il tuo ricordo come Angelo della morte per rasserenare il precipizio della fine. Attende l’ora di sparire tra i profili della notte il bacio che mi dai. Dammi un ultimo desiderio poi mille anni ancora tuoi sui mie occhi spenti. Mille e altri ancora pensieri viaggiare tra i fumi gassosi di Andromeda e le porte di Bragi saggio del Valhalla. Il resto è brivido ora d’una donna avuta sola. - La sera s’alza, Serena, senza sapore di sete. –

Fischi
di Carta
Andrea
6
Andrea Pesce

Iniziazione

Credo che morire

Sia come aver riso Tanto la notte Sino a perdere i sensi

Sentirsi inclusi Nel flusso delle cose, Insensate, perfettamente Inconsapevoli

Del crudo accadere. Urla dal corpo, parole Udite da lontano Vedo vivermi

Ed è strano come apprezzi La stanchezza Del continuo dolce decubito Tra ansia e sonno

Si muore e poi subito Svegli, in un cuore lunare, Una frenata di foglie Al cielo, in qualche modo tornare

A vivere La serata cosmica Delle amicizie forti E i futuri che iniziano

Freddo

L’aria immobile Tra i rami nudi Di un acero

Gli occhi crudi Impercettibili Di un insetto

confortevole – 33 versi per risorgere –

Che affonda fiducioso In un lenzuolo D’acqua verde

E d’algore silenzioso, Mentre un usignolo Sbiadisce e si perde. Anche l’uomo s’è arreso Al suo giaciglio gelato E dolcemente vilipeso

Dal freddo si ferma E riflette, incantato Da un docile suono.

È il gelo, che imprigiona Le gesta del tempo E colleziona la morte:

Con le fusa rischiose Di spiriti e cristalli Iberna di luce

Gli esseri e le cose, Riflessi nell’immondo Diamante della verità.

L’inverno rende solo Più evidenti i passaggi, Incastonando miracoli

E vite invisibili, Angeli scheggiati Ma ancora impassibili.

Fischi
di Carta
7

Le poesie dei lettori

Sulla scia delle novità inserite dal numero di settembre 2013 abbiamo deciso di arricchire la nostra rubrica! L'idea di Le poesie dei lettori è nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

L'autore della prima poesia che vi presentiamo ci ha chiesto di rimanere anonimo e noi intendiamo rispettare la sua richiesta. Possiamo solo dirvi che studia Lettere Moderne presso l'Ateneo genovese.

A A.T.

Lisbona sfavillava, mentre oscillavo tra un avenida e Alfama e Pereira ancora si affannava arrampicandosi cercando di sciogliere quel nodo di Gordio che è la morte.

Fischi di Carta
8

Il secondo autore che vi presentiamo questo mese è Marco Silvaroli. Marco nasce a Campobasso nel 1988. Dal 2010 è a Genova, città nella quale conduce gli studi universitari. Non volendo mentire sul suo carattere e cioè, non volendo limare gli elementi – anche i più spinosi – che formano la sua personalità, si presenta come una persona profondamente solitaria con una forte propensione alla sedentarietà. Tale stato di equilibrio alcune volte viene frantumato da un senso di inquietudine che perseguitandolo come un demone, lo spinge a compiere lunghi vagabondaggi. Altre volte – fortunatamente poche – un senso di noia paralizza le sue facoltà impedendogli di svolgere le sue attività ordinarie. Si sta laureando in Storia al polo di Scienze Umanistiche.

Al rito delle esequie

Al rito delle esequie vedi la gente avvicinarsi ai parenti del defunto per porger loro “le più sentite condoglianze”. Sembrano automi che spinti da un impulso meccanico, compongono la luttuosa brigata di sguardi tristi e afflitti.

Al rito delle esequie li osservi in volto, assorti nella preghiera e nell’ascolto della parola: è il modo di sentirsi più vicini a chi, innanzitutto, è lacerato dalla sofferenza…

In realtà bramano l’ora della fine per tornare agli interessi mondani e al piacere, così sensuale e di voluttà signore: vogliono chiudere quella seccante parentesi e immergersi di nuovo nel mare della gioia.

Al rito delle esequie sono ipocrite quelle condoglianze, maschere di bronzo di fronte al mistero della morte. Ma tanto non importa alla salma protagonista passiva di quella commedia. L’anima è già in cielo a contemplare il volto dell’eterno creatore.

Fischi di Carta
9

Ultimamente mi sono trovato a rileggere per l'ennesima volta le Cento quartine di Patrizia Valduga. Sono quattrocento versi organizzati in quartine. Quartine di endecasillabi rimanti, proprio come le prime due strofe dei sonetti da 800 anni circa a questa parte. Un vero e proprio poemetto. Parliamo di un'opera scritta nel 1996, fra giugno e dicembre, come indica l'autrice stessa dopo la centesima quartina. Leggetelo e poi parliamone: parla di sesso questo libro? Se si leggesse superficialmente si potrebbe rispondere con una certa sicurezza di sì, ma leggendo a fondo e con coinvolgimento anche solo i versi che stanno in copertina (sapendo dove l'autrice li contestualizza, ovviamente) rispondereste alla mia domanda nuovamente «Sì»? Io non credo. Vogliamo dire che sia pornografia? Beh, diciamolo: vi risponderò che nella Letteratura la pornografia non è mai sperpero, e si dà il caso che questo libro lo confermi. Il sesso rientra nelle nostre vite – più o meno rude che sia, più o meno affettuoso che sia – e noi saremmo dei vigliacchi se non volessimo parlarne e, a maggior ragione, scriverne. Patrizia Valduga dice la propria, e lo dice con la voce della protagonista delle cento quartine, che oscilla tra monologo e dialogo col suo uomo, con tutte le vicissitudini, le contraddizioni dell'atto (quando non si sa se quello scuotersi dei sensi sia sesso o amore), e la forza rinvigorente ed esorcizzante di quell'atto (quando, forse, il possesso del corpo si vive come unica salvezza dalla solitudine, unica salvezza anche dalla peggiore persona con cui stare, che spesso diventa noi stessi). Vi ripeto: leggetelo e parliamone, una cosa che bisogna avere ben chiara in testa è quanto coraggio ci sia in un'opera come questa, sia nella scelta delle tematiche che nella forma con cui vengono sviluppate, cose su cui vorrei tornare dopo avervi parlato del libro. Ogni singola parola pronunciata o pensata dai personaggi viene detta durante il rapporto sessuale fra di essi, e c'è spazio per tante questioni personali ed emotive ben più complesse di un orgasmo femminile. Quindi è chiaro che la gretta materialità dei liquidi e degli umori sia tanto contrapposta ai pensieri ed alle corde dell'animo quanto vi sia legata. Il sesso diventa, come dicevo, via di salvezza e di sublimazione del male, anche se (come nella 78esima quartina ci viene esplicitamente detto) questa caccia è destinata a non avere prede e stragi, è una caccia che vive di sé e può soltanto continuare a vivere se non ha una

definitiva preda, si autoalimenta. Una condizione di vita ben complessa e che non può che affrontare in modo altrettanto complesso il sesso. Giunto a questo punto vorrei però affacciarmi ad un'altra questione, pur affine: quella della relazione tra forma e contenuto. Ho letto in vari scritti, online e non, che il caratteristico endecasillabo della Valduga che porta con sé una carica eroticopornografica così forte, è unità di misura che regola un flusso sensuale troppo potente che ha conseguentemente la necessità di essere regolato. Inoltre c'è, microscopicamente parlando, un erotismo della parola che la fa esistere in tutta la sua corposità sonora, ed è, proprio come quel sesso che si sta facendo, sensuale e ricca di significato ad un tempo, duplice. Questo aspetto è davvero pregnante, tanto da andare a riflettersi nella macrostruttura con le sonorità di endecasillabi che scivolano, endecasillabi davvero sinuosi. Vorrei proporvi una riflessione che ho fatto leggendo questo libro, una riflessione di ordine generale. Come dicevo prima Patrizia Valduga è coraggiosa a mettere insieme endecasillabi così ardenti. Bene. Lei sostanzialmente prende una cosa considerata da molti vecchia, una cosa che da alcuni è considerata rigida a tal punto da sforare nel limitante, e ci mette dentro il sesso con tutta la sua flessuosa carica interiore, no? E non si tratta di un risibile gioco sull'oscenità dell'atto, tutto è molto serio, il sesso è una cosa molto seria e di cui è giusto parlare (quest'ultima una conquista del novecento). Trascurando i moralismi e i reazionarismi, questo processo è vedere qualcosa di nuovo usando una forma passata. Usare forme tradizionali (o, per chi vuole – non per me –, vecchie) per vedere le cose nuove e svelarne nuovi punti di vista, con la conseguenza di sapere vedere le cose in modo più elastico. Mi sorprende quasi quanto la scelta di questa poetessa – che potrebbe meramente risolversi nella speculazione letteraria –sia invece foriera di concetti molto più ampi che sicuramente possono aiutare tutti a comprendere le cose in modo più profondo. Quindi io, affrontata questa questione, vi invito a riflettere sull'importanza di usare mezzi sempre nuovi (ed a volte il nuovo è il riutilizzo del vecchio ormai da molti trascurato) per analizzare i casi della vita, dai minimi e particolari ai massimi e generali, cercando, forti della varietà dei punti di vista, di comprendere tutto al meglio delle nostre capacità.

Ora lo sai: ho bisogno di parole. di Federico Ghillino
10

it.ulule.com/fischi-di-carta

Ulule.com è un sito europeo che si occupa di crowdfounding, ovvero uno spazio online che consente a chiunque di proporre un progetto che, chi desidera, può finanziare attraverso un'offerta online in cambio di una “ricompensa”. Noi Fischi di Carta vogliamo tentare la via del crowdfounding ed al link che vedete più in alto potete trovare il nostro progetto. Per donare basta accedere col proprio account Facebook o iscriversi direttamente al sito Ulule. Essendo la nostra rivista totalmente autofinanziata ed autoprodotta, abbiamo ancora più bisogno del vostro sostegno, del vostro passaparola e delle vostre donazioni per ampliare e migliorare sempre di più la quantità e la qualità dei contenuti.

Seguiteci per aggiornamenti!

Grazie a tutti!

Fischi di Carta ▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼ NEWS
Giovedì 27 marzo Stanza della Poesia Palazzo Ducale (Piazza Matteotti 78r, Genova) ore 17.30 preview del numero di aprile con la partecipazione di Joel Cathcart, polistrumentista irlandese ▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼◄▲►▼ 11

Contatti

fischidicarta@gmail.com

Per lodi, insulti, consigli, proposte, domande e quant'altro potete contattarci a questa mail. Usiamo un solo indirizzo in comune, perciò se qualcuno volesse contattare uno soltanto di noi deve semplicemente specificarlo. Grazie! www.facebook.com/FischiDiCarta www.twitter.com/FischidiCarta

Tutti gli arretrati sono liberamente consultabili all'indirizzo www.scribd.com/FischiDiCarta

Fischi di carta è fondata ed animata da:

• Federico Ghillino

autore di Rintocchi d'ombra (Habanero, 2011) e Corrosione (Habanero, 2013)

• Silvio Magnolo autore di Guglie di vento (Ibiskos Editrice, 2013)

• Alessandro Mantovani

membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)

• Andrea Pesce autore di gebEnut (Ibiskos Editrice, 2013)

• Emanuele Pon

membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)

Fischi di carta è illustrata da:

• Sara Traina per contattarla direttamente scrivete all'indirizzo sara_traina@hotmail.it

Fischi di Carta
12

Turn static files into dynamic content formats.

Create a flipbook
Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.