Fischi di carta 17 (05/2014)

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Fischi di carta

Maggio 2014 Numero 17

Poesia di cinque giovani fischianti

Chi non ha la forza di uccidere la realtà, non ha la forza di crearla. Francesco De Sanctis, Storia della Letteratura italiana, 1870

Editoriale

L'arte del togliere

Di recente ho seguito un corso di pittura molto interessante, “La Via Del Rosso”, tenuto dall'artista Carla Benvenuto. Precisamente un percorso di ricostruzione storia, tecnica, “alchemica” del pigmento rosso nell'arte pittorica, antica e moderna. Il rosso, solo il colore rosso. Come nasce, come si rende, come si sviluppa. Ora, chiunque sa che appena l'oggetto del pensiero diventa uno solo ci si deve focalizzare, concentrare. Allora una compagine di altri pensieri secondari, assurdi, completamente "casuali" inizia a scrosciare nella testa come un torrente di fuoco; regna il Caos, con tutte le sue conseguenze. Siamo di fronte a una delle sfide umane più curiose: la concentrazione, la capacità di prendere il pensiero, sfibrarlo fino a ottenere un sottile filo di cotone, distillarlo, appuntirlo a senso unico. Il focus, il punto focale è e dev'essere uno solo: ma ciò solo tramite un potente gioco di cernita, filtro, esclusioni. Bisogna togliere tutto ciò che è superfluo. Così, nei pomeriggi genovesi, bagnati di quella bella luce rutilante un po' color pesca e mattone, ci si è piazzati corpo a corpo davanti alle opere di un Rubens o di altri grandi Maestri, come davanti a una tavola o a un banchetto già imbandito; ci si è messi a scomporre, dalla pittura quasi al mosaico, al singolo tassello, isolando e analizzando le sole parti di rosso. Panneggi, vestimenti regi, velluti, velature, tappeti, colletti vaporosi, quel magenta di pezzi di corone, quel tessuto di particolare porpora, impresso, unico e puro per sempre nella tela, segno di una maestria che va ben al di là della semplice imitazione o del manierismo. È quel qualcosa che penetra l'essenza delle cose, crea un legame speciale, una chimica quasi erotica, di sana deferenza e di incondizionata adesione alla tela, al legno, al suolo su cui poggia ogni Arte. Così che il colore alligna e fiorisce, corposo, pennellato o appena velato, latebre di terre sovrapposte. Si è visto che per rendere un'atmosfera, una sfumatura precisa non serve usare tubetti interi ma lavorare di leggerezza, e per trovare spazi nuovi non cambiare tela ma togliere colore, levare. Levare, da levis: rendere lieve appunto. Uno spunto interessante; un fitto lavoro di zappa su se stessi, innanzi tutto. Sconvolge scoprire che per fare una cosa devi disfarla.

Mi sono ritrovato ad avere negli occhi un solo colore, a lavorare su di esso come su di una unica

terra arsiccia, desertica, dal colore uniforme e desolante. Coltivare un deserto, ecco. Il deserto è solo quello, unico, indivisibile, un punto fermo, aperto a trecentosessanta gradi. Il deserto toglie, è “tolto”, ha già tolto tutto il superfluo, e vive così, tranquillo, concentrato su se stesso. Noi tutti, sempre gonfi di parole, slogan, canzonette, pensieri inutili, pieni un po' di tutto e di niente, abbiamo bisogno di calarci in un mondo, anche immaginario, o riprodotto su una tela 20 x 20, dove ogni cosa superflua è tolta, dove togliere tutto il resto è indispensabile per raggiungere il proprio obbiettivo. Ogni grande artista (musicista, pittore, scultore o poeta che sia) sa e ha sempre saputo questo. Perché “la più grande qualità del genio è d' intendere il suo argomento e diventare esso, risecando da sé tutto ciò che non è quello”, dice benissimo Francesco De Sanctis. Per fare qualcosa di vero, autentico, bisogna immedesimarsi in quella cosa, farsi quella cosa, scolpendosi a sua immagine e somiglianza; giù, spietati, a colpi di scalpello su tutto ciò che non serve: vestiti, clavicole, capelli, denti, polsi, sciarpa orologio? Tutto è lecito. Togliere i contorni, le persone (che saranno facce amorfe ma anche volti con un nome, volti amati) gli affetti e le affezioni, i luoghi in cui si è immersi o lo si è stati (metaforicamente quindi anche il proprio passato) e vedere solo il fuoco finale della propria Opera: qui, ora. Astrarsi completamente a contemplare l'idea pura platonica; e “ciò è vera felicità, che per contemplazione della verità si acquisita” dice il Sommo Poeta Dante. Creazione vuol dire anche annullamento, cancellazione di una parte di sé a benefizio di un'altra. Senza sensi di colpa o nostalgie. Un'epoca dentro si sé finisce e un'altra ha inizio. Come i “periodi” dei pittori famosi, gli stili degli scrittori, il linguaggio dei bambini piccoli. Dal proprio inverno alla propria personale primavera. Ognuno ha il suo metodo, ognuno ha le sue stagioni; a volte è doloroso disfarsi dell'usuale, e si pensa sia giusta una cosa solo perché vi si è abituati. Uno allora sbotta e getta via bruscamente, in modo radicale, un altro invece si sforza, toglie piano piano una cosa dopo l'altra, soppesa ogni oggetto, giorno dopo giorno gradualmente fa tabula rasa. Ognuno così facendo arriva a un dunque. Lo zero è un buon dunque a cui arrivare. E per farlo bisogna applicare un'arte, un'arte forse un po' negletta e

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malvista in un mondo dove più hai, più sei. Mi piace chiamarla “arte del togliere”. La capacità di spogliarsi di qualcosa, che sia materiale o mentale. Liberarsi garbatamente di pensieri, cose, (e anche ove necessario persone) che in qualche modo sono nocivi, fanno da intralcio, creano un “velame” di confusione negativa che ci fa perdere la razionalità e ci porta spesso a litigare, far male, distruggere. Avere il coraggio di “staccare” e staccarsi da pensieri, paure, situazioni. E questo non significa fuggire, ma prendere le dovute distanze per poter avere la lucidità necessaria ad affrontare le cose. Come un naufrago che sta per annegare: non potrà mai pensare a come trovare la terraferma se prima non si sbriga a risalire in superficie e tornare a galla! Solo allora, “tornati a galla” si ha veramente più spazio e libertà. E spesso questo coincide con un paesaggio piano e dolce, una “sillaba paziente” (scomodando Wallace Stevens), quel pensiero

semplice che magari avevamo scartato perché lo reputavamo troppo semplice e dunque banale. Vale in tutti i campi: un ritmo pulito ed essenziale ha più forza e potenzialità espressive di un assolo intricatissimo già pieno di tutte le note o dei colpi possibili. E vi dirò, care lettrici e cari lettori, il mio non vuole essere uno sterile elogio della semplicità o un ritorno all'Uno plotiniano, ma uno spunto per analizzare se stessi, ciò che si fa e come lo si fa. Più volte dipingendo ho provato a dare un senso e una forma a tutto quel rosso. O scrivendo ho provato a mettere insieme il nero delle parole. Riempire una tela o un foglio è facile. Avere il coraggio di stravolgere tutto ciò che si è fatto (o che si è), quello è difficile. Togliere. Togliere per trovare quella luce che, davanti al bianco uniforme del nostro terreno di partenza, non avevamo colto.

Gradualità

I miei giorni si sono allungati ultimamente. Oltre, si coltivano le notti da sole, Quando esiste di noi solo respiro.

Fuoriescono ricordi infiammati Di me che magari neanche amavo, Di te che magari non c’eri ancora.

Sotto la polvere ascosa di arabeschi Un più segreto nome mormorano I tetti, gli scaffali, i tappeti muti:

È un paese che non capisco, Mi dicono tante cose, salve, saluti, Vengo da lontano, “qui è tutto chiuso”

Fuori due pini di trecento anni, E la levità erbacea delle tende Marce che levo dalle porte

Chiodate; spalanco le mie tre finestre Godendone il gesto, accontentato, Come chi sorride in un sogno appannato

Imbizzarrito!

Il mio pensiero! È polvere sulla bilancia. Di quel poco che serviva Ho alzato una tempesta.

L’arena ora mi inghiotte Trapestio di zoccoli Che mi investono E confondono.

Ma prima stavo bene, Con una mano tesa Al cielo, e l’altra Dolce sul cavallo.

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Giahuar

Una birra tra amici e poi scherzi con le bocche piene. È bello sentire qualcosa di comune nella compagnia, ma è mia costante la sensazione insistente come d’amante ferita: isolarmi. Sbarro il viso e mi dono all’abbandono. Reso equestre dal riposo percorro il Wessex e’l suo perenne umido, partecipo al branco su di una collina Mangio, Vivo, Canto.

Poi sulla pelle i raggi lunari e il sole lontano a sparire tra le pieghe sabbiose nelle lunghe sere ad El Fayun. Veloce non si ferma il viaggio e bevo dalla Marna e dal Don sorseggio ciò che mi fa vivo. Queste sono le stanze della mia grande casa, i brani d’un anima passeggera. Cullami gioia mia ! Fa che non viaggi più, accarezzami e danzami sui lobi che le ore volgono al termine e non voglio rimpiangerti. Toccami e tastami come il fluire della sabbia e la consistenza dell’acqua. Bevi e leccami le lacrime di gioia di quando sul Don il cosacco scorge il miraggio della salvezza. Sussurra ai tuoi capezzoli il suono che mi piace sentire poiché vorrei essere marito e bambino. Centellina il piacere carnoso, svolgilo lentamente e provocami tracimando i sedimenti fini della Marna sul tuo grembo.

Persino il suono del tuo sudore mi scava la pelle come la corona e l’INRI del salvatore, mentre ci uniamo.

Odo delle grida riconosco ora d’esser desto ti rivedo di là dall’irreale il tuo viso è il Golgota impresso nel mio cranio.

Plumbeo

In un campo di viole ho colto la mia. Un giorno confuso pesava sulle case, quando le ombre si mescevano ai focolari. Io avevo due manciate d’anni sugli zigomi, lei due nere cascate di lacrime di gioia trucco e scia di quei verdi occhi di giovane donna. Ci unimmo restii all’affanno corte le attese tra i sussurri d’amore e libido ed io avevo presentimento della fine. Giunse con scarno preavviso ma non ci fermammo volevamo filtrare ancora il caldo buio d’un abbraccio.

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Mattine d'Aprile

E tu sei la dolcezza del miele colato il risveglio a mezzogiorno, l'occhio abbassato il solaio assolatoil calore del corpo mio assiepato alle tue mani – ieri notte il buio l'ho lasciato sotto le ruote della bicicletta poi ho rotto la lancetta per un eterno adesso nostro e ho anche baciato il mostro sotto il letto per insegnargli ad amare.e tu sei sempre occhio di castagna spiga di campagna mia piccola montagna e vulcano e pelle liscia lucore siciliano, occhio di lontano sperso sui flutti omerici, mio cuore nella mano – ai sogni credici.

Oggi mi sento sporco della plastica di smartphone, il mio bagno di onde radio chi mi chiedon ''dove sei? a cosa pensi?'' oggi non mi fa godere. Non godo poi alla masturbazione ditale del clic della foto a me stesso e nemmeno mi interessa che vi piaccia, commentate bla bla bla di dati per me già dispersi. Non godo stipato in una curva tra bandiere, come vessilli medioevali partite di pallone – guerre comunali. Mi sporca il cibo eccessivo che mi colo addosso tutto gonfio e gravido sul divano pomeridiano. Traspiro malessere, fiato a fatica non muovo le dita se non per il telecomando. È svanita oramai la gioventù ed il passo.

-ora sono un sasso e l'unico ordine che riesco ad imporre è la sequenza dei canali sullo schermo colorato.

Bestie1

In medio non stat e allora brucio l'università e i libri d'accademia d'ottocento: luminosità d'intelletti impolverati male interpretati stantii e riutilizzati, che a noi insegnano il modo e la compostezza, a lavorare sul prodotto, una pozza di esistenza ignoranti del mare. E allora bare per chi in piazza si siede solo per sentire la lezione per chi non alza la mano e nega la mozione per chi nega il veto e resta quieto in una diurna indifferenza, sua notturna insonnia.

Se della vita fate senza allora abbiamo perso. La sentenza? Il cervello come i manzi datelo da mangiare a chi vi tiene per la lenza. Non avranno avanzi.

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Alessandro Mantovani
1 Dedicata all'UniBo 5

Lido

Genova umida, utero di disparità.

Genova anziana, con istinti di maternità.

Genova impudica, strade strette come una vagina.

Genova bambina, con occhi sottili giudica.

Genova statica – prostituta – non va a cercare.

Genova ludica gondoni usati vomito urina feci a benedire.

Genova ti assicura di avere ancora luoghi da scoprire.

Genova rapida corpi in autostrada.

Genova una siringa usata e un nuovo morto in appendice per ogni strada degradata.

Genova invalidata, noi tutti – inconsapevoli –l'abbiamo prima ingravidata, poi abbandonata.

Genova lobi di perla, polsi d'ambra.

Genova rubini incastonati in cassaforte.

Genova che sfuma nel manto marino, ragazza in spiaggia pure quando è brutto tempo

Genova imbambolata sotto questo caldo sole, a noi basta un giro al parco ed una giornata di mare: stiamo bene.

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La schiuma dei giorni

Non capisco perché con l'infanzia passata da bambino perfetto insieme a stormi di altri perfetti bambini a scoprire il mare di tutte le cose nuove, non capisco più il senso di quelle onde che ci hanno insegnato così grandi inevitabili quando vengono avanti.

Non capisco

perché è stato così duro così bello imparare accettare di farsi travolgere - così hanno detto loro, così grandie poi adattarsi a seguire il rifluire. “Non aver paura se non capisci, per quello avrai tutto il tempo del mondo davanti.” Forse hanno sempre mentito. Hanno mentito.

Solo la schiuma è rimasta adesso d'ogni onda in cui ci tuffavamo ridendo, solo ciò che resta in superficie simile a tutto quello che è più facile - tutto quello che conosciamo è schiuma e solo la schiuma bevono loro della birra importata stappata ogni giorno. Non ci sono più onde. Di ogni giorno resta un velo di schiuma.

Balconi

Le finestre che si svegliano al mattino mi fanno pensare che forse tutti sì siamo uguali; i comignoli dei condomini fumano ed è quell'ora in cui riesci a sentire anche lontano ogni rumore, una campana un animale una macchina che s'accende, un cane abbaia mentre le prime donne del mattino escono sui balconi, sentono l'aria che tira la giornata e aspettano si chiedono se è il caso di svegliare tutti gli altri - quanto c'è da fareo rimanere e godersi l'esser sole ancora o finalmente, il non sentir parlare che il cielo; forse un gabbiano di ritorno da un altro mare somiglia a loro, libero a volare dopo la notte, vivo e intirizzito - i suoi sogni incastrati tra ali aperte come nelle vestaglie annodate lente alla vita, e sul fuoco il primo caffèsomiglia a loro quando vola lento nell'acqua dell'alba, nell'eco del suo battito a rimbombare quasi immobile, somiglia a loro quando si ferma su un tetto a guardare in attesa del viaggio del giorno, e quando alla fine chiama e sveglia il suo stormo con un sorriso paziente, e nasconde tutto quello che è stato prima, dalle prime luci del mattino.

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Emanuele Pon

Le poesie dei lettori

L'idea di Le poesie dei lettori è nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

~~~~~~~~~~~~~~~~ 1 anno di “Le poesie dei lettori”! ~~~~~~~~~~~~~~~~

Questa rivistina è nata sì perché noi cinque ci siamo trovati casualmente a frequentare una stessa forma d'arte, ma fin da subito si è configurata come un fischio flebile di resistenza mai sopita che vuole richiamare, stimolare, avvicinare le persone alla Poesia. Che poi è come dire di dedicarsi a se stessi ed al mondo che ci circonda, ascoltandosi e ascoltando, dicendo e dicendosi. Dal maggio scorso vi abbiamo presentato 21 poeti che già conoscevamo o che hanno avuto voglia di contattarci: per noi questo è un traguardo (e chiaramente una nuova partenza) davvero importante; forse siamo davvero riusciti a stimolare qualcuno e speriamo di riuscire a farlo ancora a lungo.

Grazie a tutti!!

Il primo autore che vi presentiamo questo mese è Carlo Meola Battezzato a Genova nel 1992, Carlo riceve un secondo battesimo nel giorno del suo primo compleanno, il 13 Ottobre 1993. Tale sovrabbondanza di sacramenti lo porterà in età matura ad un allontanamento dalla fede cristiana e alla ricerca di una propria spiritualità. A 19 anni, un intero anno di iscrizione alla Facoltà di Fisica gli darà numerosi frutti, dalle prime relazioni sentimentali fino alla rinuncia agli studi scientifici. Oggi scrive articoli musicali su www.tomtomrock.it e coltiva l'amore per la poesia e per la prosa; nel tempo libero fuma e studia Lettere Moderne presso l'Università degli Studi di Genova.

La strada dei cigni

Non sai nuotare stai sul bordo della terra la guardi sai nuotare la guardi ti scervella vuole dire vita e paura e morte metafora di sé la più bella che poi non la puoi raccontare se non tuffi la strada dei cigni.

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L'autrice Deborah Bellè presenta così la sua poesia:

« Si ha quando ti viene in mente un ricordo e rimani a sognare ad occhi aperti senza parlare, se è brutto vorresti spaccare tutto e gridare, se ti fa star male vorresti cancellarlo e se è bello – ma non parli è perché non ce l'hai più. E solo tu sai quello che hai dentro e quello è l'urlo dentro di noi. »

L'urlo dentro di noi

E come potrei rimanere al di fuori Quando sento le sue urla Gridare

E con voce alta le sento rimbombare Nella mia testa ormai stanca

Di sentire la sua voce ormai rauca Ma quando il suono sembra spegnersi e il mio cuore sembra arrendersi È proprio lì che la sua forza gli fa riprendere fiato Come se non si fosse mai stancato Tutto questo mi tocca Subire proprio io che di buono ho il sentire Ma di cattivo ho il sorbire Ed è la mia anima ormai Stanca che ha capito Che deve arrendersi

A quell'urlo Che la voleva solo far tacere Per rimanere in silenzio e ascoltare finalmente il suo volere.

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Deborah

L'altra

Superba – II di Andrea Pesce

Bentornati amici lettori, in questo articolo che segue vi presento il secondo appuntamento con la mia rubrica “L’altra Superba”. Lo scorso articolo vi avevo parlato di due tra le più stupende chiese di Genova. In questo numero ho pensato di proporvi due altre categorie di tesori artistici: un oratorio e un santuario. Il primo è sconosciuto ai più e si situa nella periferia di ponente di Genova, il suo nome è oratorio dei disciplinati di san Giovanni Battista. La prima testimonianza di questo edificio si ha poco prima della metà del 1300 quando i confratelli dei Disciplinati della parrocchia di San Giovanni Battista decisero di erigere ufficialmente la loro sede. I Disciplinati di Cristo per chi non lo sapesse sono un movimento spirituale sorto nel 1260 in Italia come afferma il grande storico A. Muratori nella sua opera “Antiquitates Italicae medii aevi”. Le prime testimonianze parlano di un incontro ad Imola da cui prese campo una vera e propria migrazione del culto verso tutti i più grandi centri abitati di allora come Reggio, Modena, Parma, Piacenza, Tortona e infine Genova. Le prime attività di questi individui sono assimilabili a quelle dei Flagellanti e Battuti di tutta Europa e consistevano nell’ organizzare delle manifestazioni pubbliche di collettiva penitenza, preghiera e autoflagellazione. Ben più importante ai fini della nostra analisi è un altro aspetto dei disciplinati, ovvero il fatto che col tempo si organizzarono in veri e propri presidi territoriali e regionali fissi chiamate confraternite. Queste organizzazioni divennero un tramite importantissimo della beneficienza nei secoli tra il XIII e il XV secolo giacché fondarono e diressero ospedali e presidi di mutuo soccorso in molte città d’Italia. Uno di questi è proprio quello di cui vi sto parlando che a partire dalle origini fu adibito a più usi: sede della confraternita, luogo di preghiera, ritiro spirituale e, anche se dibattuta lazzaretto per i malati di peste. Dopo avervi fatto una veloce panoramica sulla storia dell’oratorio e della confraternita che lo presiede, vorrei parlarvi dell’oratorio in se. Pochi sanno che le opere d’arte costudite all’interno sono veramente di gran pregio. L’oratorio infatti possiede uno dei pochi cicli completi di tele della vita di San Giovanni Battista ad opera di grandi pittori del ‘500 e ‘600 genovese quali Gregorio De Ferrari, Giovanni Raffaele Badaracco, Giovanni Lorenzo Bertolotto e altri. Inoltre tra le reliquie dell’oratorio è presente anche una teca a forma di croce in argento e pietre

preziose databile attorno al 1542 contenente un frammento della vera croce di Cristo. La reliquia più importante e famosa conservata all’interno dell’oratorio è il Taumaturgo Crocifisso. Quest’opera databile tra la fine del XIV e il XV secolo è una statua lignea composta dalla croce in faggio e dal cristo in fico. Il legno del corpo è spalmato con uno strato di gesso per preservarlo dai tarli ed è colorito con una tinta cenere-scuro. La croce invece è ornata da fregi d’argento ed è elevata su un podio di alabastro. Infine è ornata da un drappo prezioso per ricami e ornamenti in filamenti d’oro. A rendere particolare il tutto vi è anche un angioletto con un calice d’oro in mano che posto dalla parte del costato sembra voler raccoglierne il sangue. Questa statua stava molto a cuore al benemerito cardinale Siri tanto che veniva spesso a pregare e meditare nell’oratorio; in seguito il suo incredibile affetto verso i confratelli e quest’oggetto di culto lo spinsero a portare la statua in S. Lorenzo dove fu esposta e venerata da tutto il pubblico genovese prima di essere riportata all’oratorio, dove tutt’ora è costudita. Consiglio vivamente a tutti i lettori di andare a fare una visita per vedere di persona questo piccolo scrigno di antichità e tradizione che vi assicuro ne vale la pena, anche se un poco lontano dal centro. Il secondo luogo di cui vi voglio parlare è il santuario del Gazzo. Questo edificio è situato sulla sommità dell’ omonimo monte del Gazzo ed è uno dei più conosciuti ed amati santuari mariani di Genova. Il luogo in verità iniziò ad essere oggetto di culto nel 1645 quando venne eretta una gigantesca croce di legno poi affiancata da una statua della Madonna costruita con le donazioni e le elemosine dei fedeli dopo la peste del ‘600 che decimò la Repubblica di Genova. A partire dal 1660 fino al 1700 venne disposta dal capitano Giacomo Giustiniani e dal senato di Genova la costruzione di una cappella dedicata alla Madonna del Gazzo. A partire dal 1873 è presente sul tetto della cappella una statua di cinque metri della Madonna ad opera dello scultore savonese Antonio Brilla che attira pellegrini e fedeli da ogni dove sul cammino verso la più celebre Madonna della Guardia. Voglio ricordare che nelle strutture del santuario è ospitato anche il museo speleologico delle grotte calcaree del monte Gazzo a cura del gruppo speleologico di Genova Bolzaneto. Infine ricordo che il museo raccoglie una serie di quadri votivi ispirati alla Madonna e alla sua vita di artisti

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famosi e non di tutto il genovese. Rinnovo il mio personale invito a vistare questi luoghi artistici lontani dal centro di Genova che meritano senza ombra di dubbio un'attenzione particolare per la

loro bellezza e intrinseco valore storico. Vi saluto e vi aspetto al prossimo articolo dove vi parlerò delle bellezze della Genova sotterranea.

– Ulule –

it.ulule.com/fischi-di-carta

La nostra avventura su Ulule è iniziata il 28 febbraio ed è terminata il 28 aprile. Ce l'abbiamo messa tutta ma il progetto non è andato a buon termine, raccogliendo il 41% dei 3000€ che ci eravamo preposti. Noi non disperiamo, solo tiriamo il fiato e vi informiamo, perché dopo tanta divulgazione è giusto che sappiate l'esito finale. In ogni caso non ci dimentichiamo di chi ha creduto nel progetto ed in noi donando: quindi ricordiamo – riportando precisamente la lista che potete leggere su Ulule – e ringraziamo con forza chi ci ha voluto sostenere. Grazie a:

• pierpon

• valeio

• marisamantovani

• massimomantovani

• luisacevasco

• les

• lolio

• mircoghillino

• luciamigliaccio

• sdeodato

• lorenzopon

• al1751

• mararossi102

• seleneporchi

• matteovalentini16

• bugowaine

• momi

• jessicasigismondi5

• magicsoundschool

• fabrizioridolfi112

• angelamerello

• chiaramorabit

• edoardobardi

• hank816

– Eventi –

sabato 17 maggio Teatro Garage via Paggi 43b, Genova San Fruttuoso ore 21.30 lettura in accoppiata allo spettacolo I Dodici – Una marcia suggerita dal vento prodotto dal gruppo artistico Matrëška

• lauracardone1

• gattosa • boerisg • jack-16 • lina91 • ilariamanferdini7

mercoledì 28 maggio La Passeggiata librocaffè piazza di Santa Croce 21r (subito dietro piazza Sarzano), Genova Centro ore 18 lettura in collaborazione con Edoardo Garlaschi, Umberto Morello e Alessandro Panichi

All'interno del Festival Internazionale della Poesia:

venerdì 6 giugno piazza San Matteo dalle ore 18 labirinto poetico interattivo Labirintum into se sotto l'egida di #leggiecrea

sabato 7 giugno Villa Croce primo pomeriggio (orario da definire) lettura poetica

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Contatti

fischidicarta@gmail.com

Per lodi, insulti, consigli, proposte, domande e quant'altro potete contattarci a questa mail. Usiamo un solo indirizzo in comune, perciò se qualcuno volesse contattare uno soltanto di noi deve semplicemente specificarlo. Grazie! www.facebook.com/FischiDiCarta www.twitter.com/FischidiCarta

Tutti gli arretrati sono liberamente consultabili all'indirizzo www.scribd.com/FischiDiCarta

Fischi di carta è fondata ed animata da:

Federico Ghillino

autore di Rintocchi d'ombra (Habanero, 2011) e Corrosione (Habanero, 2013)

Silvio Magnolo

autore di Guglie di vento (Ibiskos Editrice, 2013)

Alessandro Mantovani

membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)

Andrea Pesce autore di gebEnut (Ibiskos Editrice, 2013)

Emanuele Pon

membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)

Fischi di carta è illustrata da: Sara Traina per contattarla direttamente scrivete all'indirizzo sara_traina@hotmail.it

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