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Prossa nova racconti – A. Moro

PROSSA NOVA racconti

FORCINE

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di Amelia Moro

La sveglia sembra non suonare mai, ma quando finalmente squilla, Federica non è pronta ad alzarsi. Eppure è sveglia già da un pezzo, la penombra della camera la opprime… Perché adesso non vuole tirarsi su? Ha fatto un sogno orribile, che le è rimasto in testa a tratti: ricorda solo che c’era un serpente nero, arrotolato tre volte e mezzo sul fondo della sua colonna vertebrale.

Allo specchio, mentre si veste, si ferma ad osservare la sua pancia. È gonfia, o così le sembra. La tira, la pizzica, la carezza, la guarda prima davanti, poi a destra, poi a sinistra. Non sa più che cosa è il suo corpo, se le appartiene. Sabato sera è uscita a cena con delle colleghe – perché non le vede già a sufficienza in ufficio – e hanno mangiato una pizza. Federica ha ordinato una delle più caloriche e ha riso tutta la sera, fingendo di trovarsi perfettamente a suo agio, perché le stronze non devono sapere i fatti suoi. Ha mandato giù ogni boccone a fatica, con lunghe sorsate d’acqua, sentendosi sempre più gonfia e più tesa, col corpo che le scoppia nei vestiti, nella gonna stretta.

Il giorno dopo, domenica, ha bevuto tre litri d’acqua e un caffè doppio. Le parole “caffè doppio” la fanno sentire bene senza alcuna ragione, le fanno pensare ad una donna d’affari al bar: mentre nel suo caso si è trattato solo di bere tutto il contenuto di un caffettiera da due. Avrebbe voluto anche mangiare una scatoletta di tonno, ma dopo aver aperto la latta del paté del suo gatto, la somiglianza tra la consistenza, l’odore e l’imballaggio dei due prodotti le ha tolto ogni traccia di fame. Nel digiuno c’è qualcosa di puro, di ascetico, che la fa sentire appagata. I suoi sono digiuni segreti, che non racconta a nessuno, nulla a che fare con i blateramenti isterici delle colleghe, pronte a buttare soldi e speranze in macchine per i centrifugati e barrette ipocaloriche. Quando le chiedono ragione della sua magrezza, con occhi da vampire, Federica sbotta: “Seguo la dieta del melone. Mangio tutto, tranne il melone!”. I suoi digiuni sono un fatto privato, che ha – così si dice – pochissimo a che fare col peso. Sono una prova della sua forza di volontà, un modo per forgiare il suo carattere. Sentire la pancia vuota, la sensazione di uno spago teso tra la gola e lo stomaco, il ronzio sulle tempie, le dicono che è pura, che è forte, che è tosta.

Allo specchio, quella mattina, si scontra con il suo viso pallido, giallastro, con le tracce blu delle occhiaie. Tutto bene, niente a cui non possa porre rimedio. Sceglie una canzone dal suo telefono – il vecchio espediente per non sentire il rumore che fanno gli oggetti in casa quando sei solo – e apre la scatola con i trucchi. Scalda con le dita il correttore e lo stende nella zona d’ombra tra l’occhio e il naso. Ha dormito male e passato la domenica al computer, a lavorare da casa, ma non c’è nessun bisogno che altri lo sappiano. A questo scopo stende il fondotinta su tutta la pelle del viso – il suo fondotinta si chiama dress me perfect, dress me perfect è un suono così bello, bello come “caffè doppio”, e in effetti, forse, lo ha comprato solo per il nome – e ter-

mina con il blush. Il blush, (o fard) è il tipico trucco che viene enormemente sottovalutato, perché se non lo sfumi bene sembri Heidi, con due bottoni fucsia sulle guance. Restano solo il mascara e il rossetto rosso. Da qualche parte Federica ha letto che ogni donna si merita un rossetto rosso: e anche se non sa bene cosa significhi, non se lo fa mancare. Ecco una ragazza stupenda che ha passato il week end a leggere riviste di moda sulla sdraio. C’è una vena che pulsa nella sua palpebra, il mal di testa batte il tempo ritmicamente sulle tempie, ma l’unica cosa che conta è che nessuno lo sappia.

Nello specchio, ora, Federica si riconosce. Così ogni mattina, con un preciso atto di volontà, mette al mondo la persona che vuole essere. Lei ha studiato legge e ora è finalmente diventata avvocato, dopo tante notti insonni sui libri e un lungo tirocinio di code negli uffici e cartelle da mettere in ordine alfabetico. Ma il titolo non è sufficiente, se non sai dimostrare quanto vali: con il lavoro, con lo studio, ma anche con l’aspetto. Chi si rivolge ad un legale cerca una persona che gli ispiri sicurezza, una guida di cui fidarsi. Perché la legge sarà pure uguale per tutti, ma è risaputo che il diritto è interpretabile e che un buon avvocato ti farà strada per una via lecita, certo, ma più furba. Per questo il suo mestiere è fatto anche di apparenze: gli uomini hanno una propria uniforme, la cravatta, il completo, i gemelli. Per le donne non è lo stesso, non ci sono elementi precisi dell’abbigliamento che possano distinguere Federica – giovane avvocato in carriera – da una segretaria o da una praticante. Ma lei non ha passato i suoi anni di tirocinio invano, e nelle lunghe, snervanti code in tribunale, con i talloni che urlavano e le punte dei piedi che dolevano, ha osservato tutti quelli che contano. I gesti, il modo di tenere sollevato il collo, di portare la borsa, il tono di voce: c’è un modo giusto e uno sbagliato, c’è un atteggiamento che può far capire a tutti che sei una fuoriclasse. Per questo Federica cerca ogni giorno di essere la migliore, o per essere precisi, lei è la migliore, se lo ripete, lo ripete, lo ripete. Il suo corpo lo ripete. Il modo in cui accavalla le gambe lo ripete. Il sorriso, le guance color pesca, l’orologio costoso lo ripetono. Non vedete come faccio tutto con efficienza e senza fatica? Sono io l’avvocato per voi, sono la migliore, sono forte, sono tosta. Sono anche un po’ stronza, ma è giusto così non è vero? Così mi volete. La gente è stupida, sono tutti così ingenui, così passivi, credono a quello che gli ripeti, se gli dici ogni giorno che il burro d’arachidi Mc Collins è il migliore e che ne hanno bisogno per essere felici, lo compreranno. Per questo Federica deve ripetere ogni giorno ai suoi colleghi, ai suoi clienti, a chi la urta per la strada, a chi cerca di sorpassarla in coda al supermercato, che lei è la migliore, che conviene fare gioco di squadra e non farsela nemica. Per questo le sue colleghe non hanno simpatia per lei, ma la rispettano. Hanno smesso di origliare le sue telefonate dalla porta socchiusa, o di frugare tra le cartelle sulla sua scrivania quando non c’è. Sanno che anche lei, all’occorrenza, può giocare duro. E se la sera escono a prendere una pizza, la guardano con attenzione, in distanza, come se fosse un serpente, nero lucido e pericoloso. Quieto, avvolto su stesso, tre volte e mezzo. Ma guardingo e minaccioso.

Federica ha terminato di truccarsi e adesso sistema i capelli. Vanno portati raccolti, non sciolti, il raccolto è più professionale, più serio. Li acconcia con cura, studia un ciuffo che le ricade ad arte, un poco spettinato. Fissare tutto per bene, con tante piccole forcine,

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