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Poesie – E. Pon, G. Cultrone, F. Ghillino

ALLA STAMPA

di Emanuele Pon

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I (Primavera 2016)

La piazza vogliamo che sia come avesse il nostro nome inciso sui tavoli in ferro battuto di fuori, nelle gocce di liquore dell’ultimo bicchiere sorbito;

e vogliamo urlarci al quadrato imperfetto dell’eco incastrata alla Stampa, da padroni di strada: predoni di sole, qui ed ora abitiamo la bolla di tempo che abbiamo fermato. II (Primavera 2017)

Ora ci ha trovati la piazza fatti di un sole più fresco uguale e diverso, inaspettato portato dal vento nell’isolato – forse adesso per restare, forse adesso addomesticato.

Così ora a capitare è lo sguardo riaperto di getto sulla Stampa a posarsi su tavoli e bicchieri e volti rimasti in attesa l’uno dell’altro, alla finestra di quella bolla che sembra ieri.

Ci ha aspettati la piazza ferma – forse di noi si ricorda –, non una mossa: ci guarda conoscerci, studiare la smorfia rossa del cielo (esplode la bolla), tornare nell’orma e capire che questo tutto, torna.

RACCONTO IN DUE TEMPI

di Gaia Cultrone

Chissà cosa avevo udito di quando mi facevi respirare, per vedere se qualcosa rimaneva appannato sulle vetrate.

Primo tempo, ovattato.

Restavi a guardarmi le vertebre, contarle come le sillabe dei miei versi tutti sbagliati.

C’era vetro spesso due dita, da spezzare tenere lontano per non tagliarsi.

Giocare a farci le smorfie le mani ad aderire contro come mimi, come soffocare

Guardandoti essermi pioggia mio malgrado, guardandoti io non ho saputo urlare. Secondo tempo, rumoroso.

Il vetro caldo non brucia le mani di carne; l’urlo non si teme, ride piuttosto, danza sguaiato, anche se non si vede.

Sentirmi corpo senza tremare, senza vedere i contorni ma dietro il vetro, sento, sorride.

Guardandoti essere sole consapevole, credo insomma, sì, che il vetro si sia rotto.

Da sempre bambina irrequieta, a chiedere di aprire le finestre, «oggi fuori c’è il sole», accechiamoci, guardiamoci.

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