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Elementi riflessioni – F. Asborno, D. Porcheddu

ELEMENTI riflessioni IL DÉJÀ-VU DI ROGER WATERS

di Federico Asborno

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A venticinque anni dall’ultimo lavoro da solista, dal 2 giugno è disponibile in Italia il nuovo album di Roger Waters (ex bassista, voce e compositore di gran parte dei testi dei Pink Floyd) intitolato Is This The Life We Really Want?. Nelle ultime settimane, sono stati rilasciati i tre singoli: The Last Refugee, Smell the Roses e – soprattutto – la già monumentale Déjà-vu, subito acclamata come uno dei migliori lavori di Waters. La canzone presenta un testo ricco di significati e rimandi a una tradizione letteraria ben nota all’autore, oltre che a inserirsi perfettamente nella sua linea poetica e nella sua dialettica. I topoi ci sono tutti: le urla; le esplosioni; la critica all’avidità; l’ambientalismo; il pessimismo verso un’umanità ottusa e ancora prigioniera del muro già cantato trentotto anni fa, e infine l’amore, l’unica, catartica palingenesi capace di riabilitare l’essere umano.

Si comincia con un primo verso programmatico (e che in origine doveva anche essere il titolo della traccia): «If I had been God», ripetuto anaforicamente come una sorta di mantra polemico. Il concetto è semplice: che Dio esista o meno, viste come stanno andando le cose del mondo, il poeta si sente autorizzato a fingersi nei panni della divinità fantasticando su cosa avrebbe fatto se fosse stato Dio. La conclusione della prima strofa è forte e polemica: «I believe I could have done a better job» («Ritengo che avrei potuto fare di meglio»). Il tema del rapporto invertito tra uomo e Dio era già stato indagato nel precedente album solista di Waters, Amused to Death (1992), nella canzone What God Wants (suddivisa in tre parti e della quale Déjà-vu costituisce un ideale seguito). La riflessione che ne scaturiva era appunto quella su un Dio lontano, distante, incapace di fare il suo lavoro in un mondo ormai annichilito da avidità, egoismo e guerre. Proprio il tema bellico è l’ideale protagonista della seconda strofa, sintetizzato nella figura del drone che diventa la seconda e ultima maschera dell’Io lirico.

La terza strofa è composta invece da un caleidoscopio di immagini evocative, simili a uno stream of consciousness di orrori, utile a riepilogare quali sono i problemi cruciali che Waters ravvisa nella società odierna: la cultura sempre più residuale, dimenticata e lasciata ad appassire, vestigia cadente di un passato che stiamo smarrendo («The temple’s in ruin»); l’avidità dilagante, fonte di disuguaglianza e sopraffazione («The bankers get fat»); un ambiente avvelenato dall’incuria e dall’inciviltà dell’uomo, concetto simbolicamente espresso con l’estinzione del bisonte («The buffalo’s gone»); l’incapacità di accettare le diversità sessuali che

derivano dalla stessa natura, tematica espressa con l’efficace immagine della trota ermafrodita; infine l’incoscienza politica di chi predica bene, ma razzola male, sostenendo la sinistra, ma votando una destra malvagia e inumana, della quale Trump è il campione indiscusso (durante tutto il Us + Them Tour, Waters ha proiettato sui maxischermi la poco fraintendibile scritta «Trump is a pig»).

All’ultima strofa è affidato il melanconico lamento finale, unito però a una commovente dichiarazione di umanità, di fraternità, di sopravvivenza, che non può non ricordare il «Together we stand, divided we fall» con cui si chiudeva Hey You in The Wall. Con «And it feels like déjà-vu / The sun goes down and I’m still missing you / Counting the cost of love that got lost» Waters dichiara allo stesso tempo che dalla galleria di orrori precedentemente descritta non esiste via di fuga, ma che nonostante tutto nell’amore – e nel ricordo di un amore – è racchiusa la forza per sentirsi di nuovo umani, aggrappati a un sentimento non alienante, anche nel dolore, anche nello spiacevole conteggio di tutto ciò che a causa dell’amore si è dovuto soffrire.

Dopo quest’ultimo baluginio di positività si ritorna nell’onnipresente dimensione pessimistica del poeta: dopo aver indicato agli uomini qual è l’unico appiglio che hanno per salvarsi dal naufragio, Waters si paragona a un ciclone circolare, cupo e minaccioso, sovrastante un’umanità alienata e smarrita, composta da «drunkards and fools» (ubriaconi e folli).

Da Leopardi (l’amore e le illusioni come strumenti per allentare la morsa soffocante della vita) a Foscolo (l’uomo come mero ingranaggio di una realtà alienante); da Orwell (la critica al potere) a Thoreau (il ritorno a una vita più in contatto con la natura), passando anche attraverso Kafka (l’individuo che ha smarrito il suo posto nella società, paragonabile a un ubriaco o un folle) e Proust (il ricordo dotato del potere di far rivivere la realtà del passato) si può vedere come la poesia di Waters non sia assolutamente da relegare all’ambito esclusivo della musica, ma debba essere valutata anche e solo come testo, senza che perda nulla della sua forza, della sua veemenza polemica e della sua capacità di trasmettere messaggi scomodi, antifrastici, ma non per questo meno validi solo perché accompagnati dalla musica (sublime, sia chiaro!) di uno dei più grandi poeti, cantanti, musicisti e pensatori dell’età moderna

GLI ALTER EGO NEI ROMANZI DI CAROFIGLIO

di Diletta Porcheddu

Gianrico Carofiglio, classe 1961, ex sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Bari, è ormai stabilmente riconosciuto come il padre fondatore del legal thriller all'italiana, grazie alla fortunata serie I casi dell'avvocato Guerrieri, pubblicati da Sellerio all'inizio degli anni 2000.

Questa è la frase per cui opterebbe un editor che volesse una quarta di copertina sintetica e rassicurante: un ex magistrato con la passione per la scrittura, che utilizza la sua competenza legale per descrivere correttamente l'andamento dei processi nel romanzo. Tutto chiaro, anzi, cristallino. E tuttavia, da essa rimarrebbe esclusa la vera essenza dei lavori dell'autore, il vero quid pluris che dovrebbe spingere il lettore a portare il libro dallo scaffale alla cassa. Sarebbe difficile infatti immaginare un così forte, profondo, quasi adolescenziale desiderio di comprensione di se stesso, e di riflesso degli altri, da parte di un uomo adulto, di un professionista affermato. Addirittura poi da parte di un giudice, che dell'animo umano dovrebbe essere esperto, in quanto chiamato a categorizzarlo in buono o cattivo.

Eppure la forza dei romanzi di Carofiglio è paradossalmente appunto la sua debolezza, i dubbi sulla sua integrità, sulle sue scelte professionali e di vita: in sostanza, il suo mettere da parte i panni del freddo leguleio per raccontare la storia di una personalissima catarsi, delegata interamente ai personaggi principali delle sue numerose opere. Che, attenzione, non appartengono tutti al mondo dei processi e dei tribunali, come ci si potrebbe aspettare. Abbiamo sì l'avvocato dei primi romanzi, ma andando avanti con la bibliografia troviamo anche poliziotti, carabinieri, scrittori, editor, le cui vicende sono spesso inframmezzate da flashback in cui la loro versione adolescente, rigorosamente in prima persona, racconta episodi emblematici nel percorso verso la ricerca della propria identità.

Quelli che Carofiglio tratteggia sono eroi solitari e riflessivi, con un forte desiderio di entrare in contatto con il senso più profondo del proprio essere, ma senza un'idea precisa di quale sia la loro vera natura; per questo molto critici verso se stessi e verso gli errori compiuti durante la loro vita, spesso a loro dire vissuta in modo passivo e distaccato, lasciandosi influenzare da fattori esterni o da convinzioni poi rivelatesi errate. Questo struggente desiderio di comprensione di se stessi li porta a cercare l'ordine e la razionalità nel mondo esterno, ricavandone solo aspettative deluse.

Rivela il protagonista di Non esiste saggezza (2010) a una signora appena incontrata in aeroporto: «Ho fatto il poliziotto perché pensavo che avrebbe reso più semplice le cose: buono e cattivo, giusto e ingiusto. Ovviamente

non funziona così».

Non è infatti un caso che un leitmotiv ricorrente nelle vite dei personaggi sia il loro rapporto tormentato con la facoltà di giurisprudenza, universalmente ritenuta l’anticamera di un futuro chiaro, solido e prestigioso, una garanzia di sicurezza, che nei romanzi di Carofiglio non viene però mai scelta per passione, ma piuttosto per imporre un’autorevole e artificiale direzione ai propri fumosi desideri e alle ancor meno definite inclinazioni e capacità. E così gli studi vengono o portati a termine con dubbi e rimpianti, o addirittura abbandonati a pochi esami dalla laurea, come nel caso di Giorgio, protagonista di Il passato è una terra straniera (2004), che preferirà dedicarsi a truffare sconosciuti nelle bische del sordido quartiere Libertà. Della sua vita prima della svolta egli dirà: «Avevo ventidue anni e, fino a pochi mesi prima, nella mia vita non era successo quasi nulla».

La mancanza di definizione dei protagonisti, (in questo vagamente sveviani, anche se non certo inetti), combinata con la loro incessante e mai soddisfatta ricerca fa sì che si ritrovino in relazioni sentimentali di cui non saranno mai davvero convinti, ma che porteranno avanti per illudersi di mantenere una sorta di ruolo, di appartenenza a qualcosa. Oppure che prendano parte a gruppi politici, ma sempre dal punto di vista laterale del soggetto troppo indipendente per esserne davvero partecipe, o per giustificare rapine che portano il nome fittizio di «espropri proletari» come accade ne Il bordo vertiginoso delle cose (2013) al futuro scrittore Enrico Vallesi.

Tuttavia non si ha la sensazione che la sehnsucht del personaggio sia definitiva, insormontabile. O meglio, essendo strutturale al suo carattere, forse non se ne andrà mai completamente, e anche lui ne è consapevole: fatto sta che ogni romanzo termina con un episodio, un incontro, un'epifania, che ha il sapore di una flebile speranza.

Di una pace non raggiunta, ma che, magari sotto il cielo azzurro barese, sembra più vicina.

Pensi che non hai alcun motivo per tornartene a casa a Firenze, che nessuno ti aspetta per festeggiare con te. Te lo dici senza commiserazione, ma anzi, con un brivido di allegria. Come se qualcuno ti stesse offrendo gratis una nuova possibilità.

Chissà cosa succede poi, dopo aver parlato.

Dopo l'ultima pagina, quando il romanzo finisce.

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