Fischi di carta
Marzo 2013
Poesia di cinque giovani fischianti
Editoriale
Mi piacerebbe iniziare ricollegandomi all'intervista uscita il 5 febbraio sul sito online Era Superba (http://genova.erasuperba.it/interviste/fischi-dicarta-rivista-poesia-genova), dove forse siamo riusciti a definirci nel migliore dei modi poiché veicolati da domande ben precise. Amo definirmi fischiante perché parte di un gruppo con un determinato modus operandi e determinate idee sulla letteratura, su come farne (noi, con amore, ci proviamo, a voi il giudizio finale) e su come diffonderla. Tuttavia - ed è un "tuttavia" puramente avversativo, scevro da qualsivoglia accezione negativa - sussiste una varietà di poetiche fra di noi, di concezioni del mondo, che ci porta ad affrontare percorsi artistici profondamente diversi ma con la volontà di essere anche un po' imprenditori (e forse "imprenditori" è troppo ma, in sincerità, ora non trovo di meglio) di noi stessi nel momento in cui voi, ignari del nostro lavoro casalingo, trovate questa rivistina affissa ad un muro di via Balbi o in una biblioteca. Questo è il nostro prodotto in quanto noi ne siamo i fattori. Ecco, ci tenevo a ribadire brevemente questo nostro aspetto che amo molto. Ora vorrei raccontarvi di come appunto - ci pensavo poco fa, mentre ero sul balcone - questa nostra differenza mi abbia portato a discutere accoratamente con Alessandro di visioni delle cose ed inevitabilmente di come, col tempo, abbiamo imparato ad interpretare il fenomeno che è la vita nell'altro immane fenomeno che è il mondo. Parlando con lui mi sono trovato a dovermi delineare mettendomi in discussione con una precisione che non avevo effettivamente mai esercitato su di me, sulla mia concezione. Il fatto è che pur avendo in chiaro le idee ed avendole definite distintamente non avevo mai fatto una revisione panoramica. Beh, l'ho fatta tacitamente mentre lui mi parlava qualche sera fa e, seguendo l'uso di "presentarci" che abbiamo assunto in questi primi editoriali, vorrei farvi un breve resoconto, affinché possiate capire meglio ciò che provo a dirvi con le mie poesie. Partiamo dalla crisi religiosa di terza superiore (presumo sia un classico adolescenziale, anche perché non si può crescere senza mettersi in
discussione e farsi delle domande, o meglio: si può, ma allora è un crescere male). Dopo anni di catechismo con tanto di comunione e cresima mi sono trovato a cercare Dio seriamente. Ebbene non vi tedio con le dinamiche ma il punto - vi prego non siate lapidari: vi porgo le palme - è che non l'ho trovato. Da lì è stato un continuo snellirsi, fino all'annullarsi, della prospettiva trascendente, metafisica, fuori di me ed un rinsaldarsi dell'immanenza del mondo e della mia mente (mente come ego, es e super-io, insomma, non me ne vogliate, ma vi dico che per me l'unica prospettiva metafisica, etimologicamente, è quella chiusa dentro la nostra testa, la nostra psicologia). Quindi, a puntelli, vi propongo il mondo come: razionalità dentro e fuori di noi (non per forza compresa né, nel caso questa comprensione vi fosse, manovrabile, gestibile), materia di cui noi siamo fatti e che fa anche il resto ed infine l'enorme possibilità che ci dà questa nostra psicologia (attraverso il pensiero e strumenti come fantasia ed immaginazione) in cui rientra la fondamentale emotività. Insomma, lettori, vi voglio dire che se ne “La compagna” che vi ho mostrato nel numero precedente, la Solitudine accavalla le gambe io vorrei parlarvi di due cosce che si poggiano ed assumono l'una la forma dell'altra, vi parlo di quella pelle che è pelle, materia, oggettivamente nulla di più. Ovviamente quell'accavallare è anche un chiudere, stritolare, quindi è a suo modo simbolo, ma il simbolo non è nella materia di quelle due gambe, ma solo nell'interpretazione che noi ne diamo. Infine, dopo essere partito per la tangente con le mie teorie - ho capito vivendo che esternandomi non faccio altro che capirmi meglio - vorrei ringraziarvi a nome di tutti i fischianti per il sostegno che ci state dando e soprattutto per la calorosa accoglienza che abbiamo ricevuto. Inoltre vorrei chiudere informandovi dell'uscita della prima raccolta poetica della Società dei Masnadieri per Noirmoon Editore, che verrà presentata a breve (vi rimando a pagina 7) e per tutti noi è un importante evento. Buona lettura!
Federico GhillinoIl sensibile
Immagino delle linee che partono dall'occhio e giungono alla mente. A volte le perdo e quando ad esempio passa un treno che non aspetto non lo vedo e mi spavento, non lo ascolto e mi spavento, allora ogni pensiero sfuma via avvolto in volute di vento; sì, nel vento.
Federico GhillinoMercoledì sera
mercoledì sera: usciamo andiamo a cercare di evadere in centro andiamo a un concerto sento sento qualcosa dal seminterrato; andiamo ci piace: volti conosciuti altri mai visti alcuni amici ritrovati diciamo che forse ci sentiamo un po' meglio forse solo meno soli. poi niente: c'è chi torna al proprio amore alla propria passione al proprio rigore alla propria mansione; domani l'ordine si ristabilisce chi mente chi non saluta chi fallisce chi si assopisce davanti alla televisione. tanto infine siamo il rude gocciolio di acqua dai balconi: lo scarto di una maglia pregna l'avanzo minerale della terra (che forse eruttava fiori)
Federico GhillinoPellicole
Anche stasera ho comprato sogni per pochi centesimi, ed un sorriso: non cerco, qui, la luce più viva del giorno, non voglio rincorrere sogni spezzati sul marciapiede.
Nel tuo ventre buio, pelle fresca o velluto caldo mi accolgono, simili a corpi di donna senza tempo, e placidi, rubano in silenzio baci mai dati, lacrime mai versate.
Chi sono, chi ero non importa; chi sarò imparo in questa sala scura, lo cerco nel faro trasparente sopra di me, profumo di memoria nella sua polvere, nel riflesso lucente delle pellicole.
Mi dimentico in quelle spirali vive: le ombre nei miei occhi si accendono, ancora.
Emanuele Pon (da Dalla Parte della Notte)
Deriva
Vagano perdendosi le nostre mani naufraghe dell'amnesia, sconosciute cavalcano la corrente degli abissi.
Vorticano cercandosi le nostre mani sospinte intorno da un vento qualunque; non si curano di specchiarsi nel vetro, ma nella risacca livida della memoria il mare freme e respira con loro.
Si sfiorano sussurrando le nostre mani, ferme navigano nel mare di seta: tra le onde scivolano lontane infreddolite fuori dalle lenzuola, mentre ancora si tingono di deriva.
Emanuele Pon
Gioventù
Siamo
Vinti dal mutare Del vivere umano. Vogliamo
Nella sabbia del mare Imprimere il disegno Del nostro futuro. Rigettiamo
L’illusione di chi promette Acquedotti nel deserto. Finiamo
Sempre per costruire Emozioni feroci, Che affamate Ci divorano.
Questi i vantaggi e la croce Di navigare inesperti Senza del futuro Le carte.
Andrea Pesce
Vuoto
Polvere e fanali Su una strada di città Telefonate, Musiche da un kebab Brulicare convulso. Mi sorprende Guardare
Il regolare passare Di chi chiede altro tempo, Finché si svuota il pub Come in un teatro In scena la festa Del movimento. Pieno si restringe
Lo spazio del vuoto, Congiunti al nostro Triste giuoco Rimangono il barista E un ubriacone Guardarci di piombo. E' dipinto su tela Questo incontro, Mentre gonfiamo
Il freddo della stanza Con il crescere del niente Tra i nostri sguardi.
Andrea Pesce