Amabile annata - Dario Gattiglia (03/2017)

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Amabile annata

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poesie darie

Dedica al genitore ricevente

a mia mamma, che non ha buttato via i miei giocattoli, ed è pure riuscita a recuperare i suoi. o a mio padre, che è calvo e non lo sembra; non esiste per me complimento migliore.

Su, su

Entra nel solaio, e tutto quel che io, osserva, solleva quel che si riposa, poco a poco adagia un poco il capo sulle cose. Tu solo sembri averne fatto un buon frasario, scoiattolo mio dirimpettaio.

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Colpo grosso, se ritrovo un sento, che è lo scemo proposito del bombo diretto in largo al cielo, a forse lidi. È un ostico. Di tic tic tic, antro il vetro. Vola giovinotto te ne prego ci penso io qui.

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Lo sconquasso che ricevo di fronte il cassettone il tale, e quale, quello che rotola risate e il timido barbaglio verso il cuore. Sono loro. E se è rapporto adesso l’immagine covata l’infanzia topolinia allora persino la verdura era candita e il tuffo nella vasca, un fondo di tesori. Dobloni. Lì nella gran cassa giochi!

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Il gesto che rimbalzo nell’acquario del chi vive, è quello di una stanza tutta sola. Balocca e strabalocca, la nuvola si lascia dietro al sole solo oggi, perché gioca, può cantare cantar “Vittoria!”

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Quando ero parlavo bambino, e al tempo del tempo, rendevo, coinciso il buono ed il blu «scelgo il mirtillo perché è il più bello» Un privilegio, da ambasciatore d’un, il futuro questo qui dove si truffa: le cose sono mosse, il sole non è più. il lupo mangia frutta. Adyna tu.

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Questo che guarda la luce del sole è un pirata (buon maschio vecchio Dario) giocattolo nel tempo. Ha la pelle lucida, da serpe, come l’occhio coperto dalla benda deve essere lì sotto. Questo occhio guarda a tutto il mio che andato e se vede non sfuggo l’altro occhio che si alza lì nel basso: quel piccolo archibugio plastificato.

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Il vento, che geloso, di tutti quei costumi, sussurrami, geloso «Ti puoi se cuci senti affetti il gobbo e il cavaliere il sesso il ninja, storie. Parole, e d’alta boria, musichiere»

Rispondo: «Non ti sento non ti sento non qui, dentro

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Stanotte il fortunale. Ha messo nuova luce: il letto nel castello, la stanza dove dentro sostava la sua linea (nonna e mamma, se non vecchia, ecco, antica) la stanza dunque dunque, che appare molto nuova, se non tanto, l’impedita, dal tentare l’ardimento: l’incantesimo o volendo provare e riprovare e l’andarsene dal tetto. Nelle stelle. Ma non cresce, resta sola se non riesce, se la sente la statura: è ad un’ora casa e bambola sé per sempre. Niente.

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~ Scendi, scendi dal solaio sii il Ser Che Andato Via, sciocco, riridi di quello che ha poi scritto, e in sorriso riapri un poco al tempo delle cose, le storie. Se solo sapessi speziartele in augurio unico, amatissimo, mio

Canti di Natale

Un affetto

Hai osservato, penso, ogni oggetto di casa: ma sei rimasto ospite (è un tratto di signore straordinario) e, ancora, siedi al mio tavolo con garbo e deferenza. Spero che la cena ti piaccia, sono scapolo da molto e cucino con frequenza: spero ancora di essere in gamba, nonostante il paradosso. Ora dimmi di te.

Un bel gesto

Sono portato a pensare che basti il solo gesto, ma non era il caso. Allora, chiamato l’ultimo giro, ho aggiunto di mio il brindisi: “chi meglio di noi?” è da sempre il mio preferito, ma “agli amici assenti” mi è rimasto. Tuttora ci penso.

Un enigma privato

L’inverno qualche cosa ti ha portato, ne sono certo. C’è un’aria di famiglia oggi: usciti all'aperto, e sembrava di starsene al camino! Anche se fa freddo, in casa tua. Pensa, stavo per aggiungere «metaforicamente parlando», ma mi sono accorto.

Guardati le spalle da oggi in poi, ti avverto. Quando meno te lo aspetti ti approccerò da dietro, per darti un grande e grosso abbraccio. E godermi il tuo rosso, un colpo da maestro.

Una scusa a lungo rimandata

In casa non mi faccio sentire molto, ma sotto le feste va stranamente meglio: non so perché il pavimento risulti così lucido, di fatto vengo beccato molto più spesso. Direi che potrebbe, potrebbe forse, venirmi il sospetto, ma non ci penso. Per parlarmi è un onore che fanno, a cui non crederebbero.

Saluti finali

Il ragioniere e l’elefante

– al genitore –

Cosa ho trovato: l’elefante accade, di per sé, sei volte al giorno. È uno scherzo.

Io non sono un tipo da domande: lo stock abituale di frasi fatte bastano allo scopo. Ma mi chiedo.

Se io, un uomo a modo lo vedo e non gli chiedo cosèdadoveviene, non presento me, il suo anfitrione, non penso molto a dargli un soprannome, non sono un uomo a modo. E forse sono stanco.

Concludo: l’elefante, come è noto, è grigio, bolso, enorme, forse vuoto in tutto quello spazio c’è forse un altro spazio, per fare un passo avanti e stendere la sdraio. Riposarmi.

– alla genitrice –

Quando mi temo morto in odore di bravo ragazzo penso a lei: vive felice, tutto d’un fiato. Dice: “Mio Aidan caro, è un mondo 1 dentro il camino: lì ribolle la vita, ha l’eleganza del tè. Siedi vicino a me”.

Nel parco di Richmond vige l’umanissima usanza di dedicare ai cari 1 defunti alcune panchine; una di queste, posta di fronte a uno stagno (pond, in un inglese amabilmente rotondo), recita: Aidan’s bench – sit next to me –

Leggendo un buon professore

– a e.t. (non scherzo) –sotto il bel cielo color settembrino siam tutti a ridosso. è un duello – bellissimo –di caldo ed eterno più il nostro piccino l’inferno o, meschino, quel paradiso: un lumino

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