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Umberto
Giacomo
AcciUGA sotto DALETH
Claudia Calabresi Gaia Cultrone Federico Ghillino
Morello
Simoni
Nasce nel 2015, per iniziativa di un gruppo di studenti universitari e giovani artisti già attivo dall’annoprecedente.
Si tratta di un’associazione culturale no-proft volta a promuovere le forme d’arte che, al di fuori e all’interno della scuola, sono meno valorizzate rispetto alle altre: prima fra tutte, la poesia – ma non solo. Soci e collaboratori si impegnano a organizzare eventi ad “arti miste” che coinvolgano teatro, musica e letteratura in molteplici forme, creandoun’originaleinterazionetradiesse.
La nostra visione della cultura è dinamica ed egualitaria; il coinvolgimento artistico di organizzatori e spettatori mira ad arricchire entrambe le parti, allontanandole dal sapere statico, inerte e elitario portato avanti dalle istituzioni.
Claudia Calabresi
Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere classiche presso la facoltà di Lettere e Filosofa. È segretaria dell’associazione culturale Daleth ed articolista presso la rivista letteraria Fischi di Carta. Nel 2015 ha conseguito il premio “Miglior autrice under 25” del concorso nazionaledipoesiainedita Ossidiseppia.
Ti sto cercando
Ti sto cercando nella mia casa dove striscia il veleno senza sapere bene dove esistere (in quale angolino, in quale fetta di ricordi avanzata, ancora possibile da sbocconcellare)
Mi hai tolto tutto (la pelle, ad esempio, l’amore... l’amore nostro che ci ha fatto aquiloni e poi pianoforti buttati giù da una fnestra da un pazzo con le braccia forti, da un pazzo che lanciava i pianoforti e per questo si sentiva un musicista).
Abbiamo litigato ieri sera ti è dispiaciuto un sacco, però dopo; dopo che ormai stavo piangendo; siamo andati via abbiamo fatto una salita sconosciuta senza sapere dove stessimo esistendo (per mano, ancora.
Forse per l’ultima volta?) forse per la prima volta avrei voluto essere brava in matematica
quando mi hai detto dimmi esattamente
cosa non va fammi un esempio concreto sennò non ci credo e io ti ho detto il nostro amore non è un’equazione non è così facile da risolvere però lo vorrei vorrei che lo fosse così basterebbe rimettersi a contare
Forse lo pensi spesso
Forse lo pensi spesso: che alle domande siano connaturate risposte ma è un’illusione nostra, residui illuministici che il mondo vada dove vada per un motivo a noi comprensibile, come si afferra un pallone e invece è per il senso di vivere che nessun portiere sa intercettare, nessun calciatore toccarlo col piede: nessuna speranza, nessuna ambizione non nutro presagi di gloria nel corso di noi che sentiamo – io devo cadere –ma fnché resiste la mano aggrappata alla tua, edera al muro ruggine al ferro braccio in cancrena al suo corpo ti guardo, so la risposta e per questo vorrei solo una domanda senza la sua naturale aggregazione affermazione sì o no, oggi o domani, precipitare: inesorabile addio a te che da quando ti ho stretto sei la cosa più cara al mio cuore
Vado a vivere all’Ikea
Oggi siamo andati all’Ikea –
mi sono comprata le cose necessarie alla partenza metafsica si trattava di un catino e poco altro.
L’Ikea è romantica nel 2015
ci puoi far fnta di avere una casa le cucine hanno la vista
sulla carta da parati
sulla carta da parati
c’è il mare.
Mi sono commossa a guardare i guardaroba insieme a te,
a sapere
che mi ami così tanto
da comprarmi un armadio.
Io me ne vado da una casa che non è la mia
vado a stare nella tua
che è più mia dell’altra e così mi volto sempre continuamente indietro
a cercare soluzioni
che non corrispondono...
Nel 2015 non si può essere sfortunati se si passeggia mano nella mano
nelle fnte stanze calde dell’Ikea che qualcuno ha scaldato per te.
Vado a vivere all’Ikea, dico davvero.
Gaia Cultrone
Nasce nel 1994 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofa. Collabora con l’associazione culturale Daleth ed è direttore della sezione Planetario della rivista letteraria Fischi di Carta. Ha vinto la menzione speciale come “Miglior poetessa under 25” del 22° concorso nazionale di poesia inedita OssidiSeppia.
Pulizie di primavera
Non è mai facile dare via Le piccole polveri che ti scrolli di dosso nel corso dei tuoi continui crescere. Non è facile perché poi Quella polvere Ti manca, e quando la conservi ti si attacca ai vestiti, riempie le stanze, ingombra. Non trovi più nulla, talvolta neppure riconosci Le tue stanze. Poi arriva qualcuno a metterti davanti a quella polvere Indicando le tue impronte con l'aria di chi Non ha capito E ti dice "guarda cos'hai fatto, gettassi via qualcosa ogni tanto!" E tu vorresti dirgli che la polvere non ti piace, anzi proprio non la sopporti, Che ogni tanto ci provi a prendere la scopa, ci provi a scegliere almeno una parte
Della polvere
A fare un po' di spazio Ma la polvere si solleva e poi ricade Dov'era prima E non sempre le parole Sono semplici. Non si sa più dove metterle Tutte queste Primavere malinconiche Non si sa più dove metterci Nelle stanze che erano nostre.
Il paese delle cose di fretta
Presto che è tardi L’orario dei treni, – Che Dio non voglia! –dovevo già farlo ieri
“Bisogna, si deve” domani scade, Entro quell’ora rincorri la pace
Non c'è più tempo per il tempo la scritta sul muro lo dice Nel paese delle cose fatte di fretta Non ho neppure posto per una sigaretta
IoQuando c’è troppo rumore o troppo silenzio. Quando ci sono pochi altri E troppi io Corro tra questi labirinti di stanze
Io che non mi so trovare fguriamoci cercarmi; Come il mio gatto inseguo rifessi, mi stupisco a non trovare mani, se non le mie.
Io e le mie bugie sotto il letto e le tue promesse rubate al sonno. Ci siamo detti di chiudere gli occhi ci siamo detti di fermarci a respirare.
Tu tienimi senza farmi cadere Io
In punta di piedi cercherò di non svegliarti.
Federico Ghillino
Nasce nel 1992 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofa. Ha pubblicato Rintocchi d’ombra (Habanero, 2011) e Corrosione (Habanero, 2013).
Nel 2012 fonda con altri quattro poeti genovesi la rivista letteraria Fischi di Carta. Collabora con l’associazioneculturale Daleth.
Lana scotta
La felicità è mediocre. Non picchia, non rugghia, non scuote. Ti lascia un vuoto monco, come un arto tagliato. Te ne fai niente.
Nella scala di un bar che frequento ho visto due baci stampati da una donna col rossetto sul muro.
Ed erano rossi. E vomitavano scuro. Erano pieni di freddo, quello giusto che ci vuole, che si nasconde dentro tutti, l'umido gelo del muro.
E freddo in fondo agli occhi te lo vedevo quando ti tagliavi i capelli per essere come nuova, e freddo me lo vedevo nelle mani quando pagavo alla cassa senza i soldi vestiti nuovi, perché anch’io cercavo di essere come nuovo, con lo stesso freddo dentro.
Non raccontiamocela: tengo la giacca in casa, al cinema, pure nei bar. Ho freddo. Vedo torme di labbra livide fra chi si ama, chi ha i soldi, chi sta bene solo, chi si fa il culo, chi è povero o senza un lavoro, e si mette le mani in tasca. – Ho freddo, ho detto. –
Riscaldamento o no, al parco, in casa, al baretto, è inutile, hai freddo: tanto te lo vedo negli occhi quando mi sorridi, mentre ingurgiti bevande calde, cibi caldi, ma non serve: c’è ed è di tutti quel freddo lì, che se ce l’hai ce l’hai, non è colpa tua, non dipende da niente, è che esisti.
Ed io làncino. Lo prendo.
Ragazza immagine alla fera dell’auto
L’eroe col casco è nell’abitacolo e affronta la pista con stile da rally. Sgasa sul rettilineo: è come un susseguirsi razionale.
Dentro, la ragazza formosa in formalina affonda i fanchi nella carrozzeria dell'auto. “Come ti senti ad appoggiarti a un’auto, un’auto da trecentomila?” “Tutti mi fotografano: sono bella. Le auto sono una scusa per le mogli, i mariti si sentono uomini guardandomi. Io formosa e bella più di loro, più di queste.”
Il picco fra accelerazione e decelerazione prima della curva ad U: la svolta di un pensiero. Mi chiedo come sia vivere così,
ad essere una cosa desiderabile vicino a una scusa così grossa. “Come ti senti?” “Boh, non lo so. Forse normale. Ma non so bene cosa sia stare normali.”
Altro rettilineo, in fondo altra U. Il pensiero si dirama: sgommare e corrispondere alla strada o andare dritto fuori. Dico fuori contro il cemento: attento. È la fase in cui a volte muori.
Le sue colleghe meno formose, più plastifcate, chiacchierano annoiate, in mezze pose su due auto vicine. Col culo schiacciato alla portiera le ammazzano di foto. Forse quello è stare normali: calzare una vita con pungente senso d'assedio, stare, truccarsi di mediocrità, far del proprio medio.
Umberto Morello
Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofa. Nel 2013 vince il premio Alexandria Scriptori. Nel 2014 è tra i cofondatori dell’associazione culturale Daleth col ruolo di presidente.
Due di uno
Prima che tu sia tutta l’aria sorpresa di uno stralcio, la porta riscopre la superfcie della distanza, (a ritmo infnito) e cigola su sé, e il minuto acceca le ore, e l’amore, da tempo, oltrepassa l’amore.
Nuvolas 2
Adesso il cielo ci trema rovesciato. E i tetti affevoliscono come fondali, tremano come tremo quando per nessuna casa è spazio di ascoltarmi camminarla, quando per me la tua attesa rinuncia a qualcosa che c’è.
Il giostraio del silenzio
Stanotte avrò sei anni e un gettone per la giostra d’altre persone, ma respirano male i ricordi.
È all’oscillare dell’inferriata che le mattine tornano vecchie, e tutto quel primo freddo o l’ansia di prendere per mano una risposta fnisce nell’abbraccio di una gonna.
– Erano i primi tempi era quando inciampavo su di me –.
Allora il capriccio dei silenzi apriva alcune fotografe.
(la foto non piangeva) lei sì. (Non poteva più tenere in piedi la propria storia.)
Il gettone consumato in controtempo. (sperava una giostra conclusa meglio).
– E alle fnestre mancheranno quelle tue mattine forzate da un pianto,
le tue braccia sole la vigilia del mezzogiorno –. Anche. (è diffcile, è diffcile aprirsele da soli)
Giacomo Simoni
Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofa. Dal 2012 al 2014 ha lavorato a Torino come attore nella compagnia teatrale Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa. Collabora con l’associazioneculturale Daleth.
1.
Allora al tavolo, attraverso i vetri del vino (torri cantanti, schermi rubino) una molle marea di parole ciondolava da uno sguardo di sogno a una bocca di aperto mattino e con i suoni i silenzi rombavano luci e la luce si spense per pochi minuti e tu eri l’eclissi che insegna la notte facendomi dire a piena voce un racconto di Walser che aveva il mio nome.
2.
La camera è davvero chiusa? Forse si stagna sempre in un tempo che non si srotola, graffati da unghie incapaci di sangue per meglio nascondersi nella fretta di nulla. Si rigetti la domanda, troppo ha consumato la corda tra i sistemi del cuore. Il verme si inabissa appena nato per ritornare nell’urna di terra. Un attimo di vita scampato alla sala d’attesa.
Ora che di nuovo è apparsa la tua voce nello spiraglio sbilenco del mondo corrivo, diluvio di sentenze con violenza affsse nei grumi d’alfabeto della carne, ora che si può saltare ogni promessa con il passo di una danza irosa, le parole delle dita tamburellano i segni che lasciasti a sflar per proprio conto nella marea indistinta del suono in corsivo. Non può più ritenersi alto ne vero l’acuto tentato ad ogni brivido notturno, ora che la grotta è piena e l’eco negata e il salto della pagina è un fruscio che fa paura. Se dalle fronde d’aria non s’accende il tuo occhio, cielo che annega, punto di non ritorno come quello da cui solo si presume di cominciare, non si può colorare la mappa con esempi a nolo e sentimenti strappati dalla cellulosa del sole. Se, in effetti, il manichino acquista la grazia d’essere nudo ed eterno fronteggia la materia in delirio, cosa può fendere la luce di un istante che pensa, che si pensa? Come giocarsi il vero in un eccidio romantico per dirti pian piano che il legno ora è attivo? La folgore dolente dell’amore che non si può mangiare cade a proposito; buona norma atta a rendicontare.
3.
Antologia redatta in occasione dell'evento ACCI(UGA)
SALE
daleth.associazione@gmail.com • Copia numero su 50
SOTTO
svoltosi presso gli ex Magazzini del Sale di Sampierdarena. Genova, 16 aprile 2016.