Daleth spiazza! (06/05/2016)

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DALETH SPIAZZA!

Claudia Calabresi Gaia Cultrone Federico Ghillino Umberto Morello Giacomo Simoni

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Nasce nel 2015, per iniziativa di un gruppo di studenti universitari e giovani artisti già attivo dall’annoprecedente.

Si tratta di un’associazione culturale no-profit volta a promuovere le forme d’arte che, al di fuori e all’interno della scuola, sono meno valorizzate rispetto alle altre: prima fra tutte, la poesia – ma non solo. Soci e collaboratori si impegnano a organizzare eventi ad “arti miste” che coinvolgano teatro, musica e letteratura in molteplici forme, creandoun’originaleinterazionetradiesse.

La nostra visione della cultura è dinamica ed egualitaria; il coinvolgimento artistico di organizzatori e spettatori mira ad arricchire entrambeleparti,allontanandoledalsaperestatico, inerteeelitarioportatoavantidalleistituzioni.

Claudia Calabresi

Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere classiche presso la facoltà di Lettere e Filosofia. È segretaria dell’associazione culturale Daleth ed articolista presso la rivista letteraria Fischi di Carta. Nel 2015 ha conseguito il premio “Miglior autrice under 25” del concorso nazionale di poesia ineditaOssidiseppia.

Lì a casa tua

Ciao, scusami tanto volevo sapere soltanto se per caso ho lasciato il mio cuore da qualche parte lì a casa tua

Ho una durezza, dentro, che m’impedisce di amare davvero per questo con te non è stato un film con un degno finale il regista si è perso i pezzi la storia risulta banale

Ritornando al discorso del cuore c’è la mia roba, lì a casa tua calze, mutande, giacche, strumenti di musica mi chiedevo se non fosse il caso di fare un salto, lì a casa tua qui a casa mia mi sento un po’ sola senza il mio cuore

Prendo lo zaino e le costole e vengo da te passo tra poco ti restituisco, già che ci sono, pure le chiavi non dirmi che non ti va non lo sai ma mi tieni ostaggio ho bisogno di dimenticarti dai retta a me.

Fatti trovare, lì a casa tua così ci beviamo un caffè ci guardiamo occhi negli occhi qualcuno si dice ti amo ma non siamo noi, non siamo più noi ad andare insieme alle feste ora io se ne va da una parte e tu dall’altra: niente più noi.

Ho bisogno di dimenticarti, ho davvero bisogno di dimenticarti ma prima ho bisogno di dirti ti amo guardami in faccia ridammi il mio cuore

La vita non nasce dal tè

Non rimane parola idratante che io voglia dare alle nostre sabbie voglio che muoia la conversazione, si estingua il sorriso. Ti voglio far fuori da me, ti voglio lontano, disidratato.

Ti immagino ridere, che sputi “Fiele, ne vogliamo?” tu che mi guardi e poi sempre dilegui ti vorrei mordere fare del male ti vorrei dire che perdo colpi, ma qui si tratta di pezzi di me: mi è rimasto un reticolo nero di squame sono una tazza di tè senza tè. “Cosa c’è in te che non è più te?” Questo: sono una serpe da quando ti ho perso. Eri tu la sorgente dell’io quando ancora era oasi.

No, non aggiungere parole al nulla. Il sole prosciuga una voce di ossa. Porgimi ancora il cucchiaio di fiele. Fatti ingoiare dal sale delle mie labbra

Da qualche parte in Canada

Esistono case felici da qualche parte nelle praterie del Canada. (Forse la mia casa è triste perché non si trova in Canada?)

In ogni caso sarà meglio posare un piede dopo l’altro andare avanti con pazienza piluccare aperitivi senza piangere morire per rinascere sentirsi un po’ più grandi e vuoti noi, recipienti di qualcosa che non c’è ma che verrà perché prima o poi verrà quella mia casa in Canada ma lì ci andrò senza di te l’amore non è in Canada

Gaia Cultrone

Nasce nel 1994 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Collabora con l’associazione culturale Dalethed è direttore della sezione Planetario della rivista letteraria Fischi di Carta. Ha vinto la menzione speciale come “Miglior poetessa under 25” del 22° concorso nazionale di poesia inedita Ossidi Seppia.

Chissà

Chissà dove sei quando mi scrivi di cose e cose lontane; chissà dove sei quando ti scrivo, mentre rincorro la parola giusta da dire. Io non mi so guardare indietro, ho un mio posto su quel gradino consumato, chissà.

Scendo nella notte in cui non trovo mai una canzone che ho voglia di ascoltare; la mia testa cade lungo il finestrino. Chissà se sono ancora in qualche modo dove ero partita.

Da qualche parte qualche tempo prima avevamo parlato, ridendo tanto di cose e cose che di solito ci fanno paura, ma non lì, non allora. Era un luogo ed era un tempo che volevo conservare Chissà cosa rimane.

Prossemica

Qualcosa che assomiglia a correre in una piazza immensa senza la paura di cadere.

La nostra prossemica (spesso molesta) oggi sembra avere una sua scadenza, oppure dirci “Beh dai, ci vediamo dopo”.

E stringerci, piano, forse per paura di romperci, lasciarsi per continuare a correre, ma sempre nella stessa piazza sempre senza distanziarsi mai per davvero.

Poi con voi all’improvviso mi vedo fissare il vuoto, forse il cielo: è sempre stato bello guardare il sole e sapere una cosa semplice. Ora, va tutto bene.

Briciole

Bastavano le briciole per ricordarmi qualche cosa e cancellare tutto. Bastava dire che ormai la vita va avanti bastava ridere, almeno. Ma la notte non dormo, faccio domande a una finestra da cui stasera si vede il cielo (non il mio); e cammino sulle tue briciole ma non so cosa ricordo.

Forse merito un cielo migliore: Forse sarebbe bello dormire.

Federico Ghillino

Nasce nel 1992 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Ha pubblicato Rintocchi d’ombra (Habanero, 2011) e Corrosione(Habanero, 2013). Nel 2012 fonda con altri quattro poeti genovesi la rivista letteraria Fischi di Carta. Collabora con l’associazione culturale Daleth.

Strobo

Mi sono ritrovato in biblioteca: ho guardato i libri, poi lei, e tutti gli altri. Studiavo saggi, romanzi e poesie ma quando ho alzato ancora la testa ho capito che forse, più che la letteratura io amavo le persone.

Alla fine quei libri li ho lasciati e siamo andati fuori, a parlare di noi usando tante parole, fumando sigarette, bevendo caffè. In certo modo ci siamo toccati, quasi fino in fondo e senza cercarci con le mani perché non serviva: bastava faccia a faccia confessarsi di essere persone. Quando poi lei mi ha detto non preoccuparti, va bene allora anche io le ho detto ok, va bene e ci siamo fermati, poi guardati, accettati, forse addirittura riconosciuti.

Negli occhi aveva il cosmo suo ed io l’avevo visto con un telescopio di parole. Era strano, ma la chiamai universalità, e capii davvero che eravamo due.

Ci siamo presi per i fianchi allora per le spalle, per tutti i corpi ridendo e dopo aver pensato e parlato e analizzato, una sera abbiamo deciso di bere, urlare ed andare a ballare.

L’uomo all’ingresso della discoteca diffidava degli ubriachi ma ha capito che la nostra era solo ebbrezza,

e ci ha fatto entrare.

– Io lo ringrazio che se penso a un altro vorrei così che fosse lui. –

La stanza dentro era un grande incerto buio e un’informe affastellarsi di persone dove ci siamo subito persi. Eravamo tutti altri che cercano altri. Le strobo di secondo in secondo ci cambiavano, rendevano noi un rinnovamento inarrestabile, perché naturale.

E quindi nelle luci che mitragliavano cercavamo stralci dei nostri volti ma non potevamo trovare altro che occhi diversi.

Umberto Morello

Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Nel 2013 vince il premio Alexandria Scriptori. Nel 2014 è tra i cofondatori dell’associazione culturale Dalethcol ruolo di presidente.

Nuvolas 1

Dico sul serio, assieme schiariscono i vetri d’acqua, riassorbiti in nuvole, o da poco voltati, come chi brilla fuori da quel nembo impensierito che il brusio lo bagni freddo; e non lo dice spesso ma spesso non è, non ha il sempre desiderato

Sola suite

Tra figure angolari e piovane che offuscano uno scomodo risveglio, e non credono che aprire gli occhi sia chiudere uno strumento sbagliato, due porte non sempre s’innamorano di una distanza.

Sulla strada delle volte

Un passante mio ad un altro tuo scorre la sua cartolina estranea, a tratti, per il cenno che il granito affila scontornando come una fitta, ed è invece uno sguardo lungo più di un viso. (Sorridevamo maldestramente)

E più che le ceneri avvengono i trifogli, e l’acredine è vera se a lampi, se un palmo si ritrae su anime e anni. Poi la soglia capì di essere una nostra sagoma.

La capimmo. (Le figure volevano scendere, scendevano scesero).

Attorno, indistinto e frontale, indistinto e preciso: – se mi spengo, rincontrami –.

Giacomo Simoni

Nasce nel 1993 a Genova, dove frequenta Lettere moderne presso la facoltà di Lettere e Filosofia. Dal 2012 al 2014 ha lavorato a Torino come attore nella compagnia teatrale Marcido Marcidorjs e Famosa Mimosa. Collabora con l’associazione culturale Daleth.

1.

Allora al tavolo, attraverso i vetri del vino (torri cantanti, schermi rubino) una molle marea di parole ciondolava da uno sguardo di sogno a una bocca di aperto mattino e con i suoni i silenzi rombavano luci e la luce si spense per pochi minuti e tu eri l’eclissi che insegna la notte facendomi dire a piena voce un racconto di Walser che aveva il mio nome.

2.

La camera è davvero chiusa?

Forse si stagna sempre in un tempo che non si srotola, graffiati da unghie incapaci di sangue per meglio nascondersi nella fretta di nulla. Si rigetti la domanda, troppo ha consumato la corda tra i sistemi del cuore. Il verme si inabissa appena nato per ritornare nell’urna di terra. Un attimo di vita scampato alla sala d’attesa.

Ora che di nuovo è apparsa la tua voce nello spiraglio sbilenco del mondo corrivo, diluvio di sentenze con violenza affisse nei grumi d’alfabeto della carne, ora che si può saltare ogni promessa con il passo di una danza irosa, le parole delle dita tamburellano i segni che lasciasti a sfilar per proprio conto nella marea indistinta del suono in corsivo. Non può più ritenersi alto ne vero l’acuto tentato ad ogni brivido notturno, ora che la grotta è piena e l’eco negata e il salto della pagina è un fruscio che fa paura. Se dalle fronde d’aria non s’accende il tuo occhio, cielo che annega, punto di non ritorno come quello da cui solo si presume di cominciare, non si può colorare la mappa con esempi a nolo e sentimenti strappati dalla cellulosa del sole. Se, in effetti, il manichino acquista la grazia d’essere nudo ed eterno fronteggia la materia in delirio, cosa può fendere la luce di un istante che pensa, che si pensa? Come giocarsi il vero in un eccidio romantico per dirti pian piano che il legno ora è attivo? La folgore dolente dell’amore che non si può mangiare cade a proposito; buona norma atta a rendicontare.

3.

Antologia redatta in occasione dell'evento SESTRI SPIAZZA: UGA NIGHT! SESTRI SPIAZZA: UGA NIGHT! svoltosi in piazza Tazzoli a Sestri Ponente. Genova, 6 maggio 2016. daleth.associazione@gmail.com • Copia numero su 50

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