Terra terra - Federico Ghillino (01/2016)

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Federico Ghi ⇣ ino

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verrebbe

da chiamarlo libro, ma questo un libro non è. È semplicemente una raccolta di poesie inedite, in opuscolo, in fascicolo. È un libro in potenza: contenutisticamente libro, non formalmente. Tu impugni solo dei fogli ora; chissà che poi un libro vero con copertina a colori, ISBN, colophon e tutte le cose che fanno piacere ad un libro non nasca. Chissà come, dove, quando.

Comunque.

In realtà le uniche cose che volevo dire sono che questa è una raccolta di poesie impaginata con OpenOffce, e che ho utilizzato tutto il mio ingegno per impaginare nel modo più bello ed interessante.

Poi.

Per quanto riguarda il titolo basta guardare la quarta di copertina, così nessuno si sbaglia e pensa che sia un manuale sulla, boh, magari sulla Terra, oppure sulla terra, oppure su entrambe.

Bene.

A questo punto ti dico com'è fatto questo volumetto, così hai le idee più chiare e basta: se vuoi te lo leggi.

• Inizia tutto con Terra terra, propriamente detto.

– Prima ci sono un po' di poesie svariate, su cose e questioni.

– Poi arrivi ad un testo molto lungo, quello stampato con la pagina in orizzontale. È un viaggio – per certi aspetti – e si capisce, quindi non mi perdo in spiegazioni inutili ora.

• Dopo c'è una sezione che si chiama Appendice , come in tante altre raccolte che ha fatto la gente, nel mondo. Lì mi diverto, vedrai.

Ecco: bello schematico. Così mi sono evitato di fare anche l'indice in fondo. Ciao.

Mi

Così a me

Scrivere per me è come quando stai male allo stomaco che ti storci e tutto desideri di andare al bagno e dare tutto, coi gomiti poggiati alla tavoletta, che apri la bocca ed aspetti il conato, e sforzi e deglutisci e rimetti suoni strozzati e aria brutta. Ecco. Il conato poi che esce è una striscia di parole.

Questo a me è quando scrivo: che scalpita il bruciore e lo stomaco sfamma forte, che magari con un po' di sforzo avrei potuto tenerlo ma tutto deve uscire, come un parto d'umor negro. Irruente torbido il rigurgito sfonda le pareti della bocca. E tutto devi darlo proprio tutto devi darlo il conato, unico e potente acido che corrode e uccide.

Lido

(per coro a cappella)

Genova umida, utero di disparità.

Genova anziana, con istinti di maternità.

Genova impudica, strade strette come una vagina.

Genova bambina, con occhi sottili giudica.

Genova statica – prostituta – non va a cercare.

Genova ludica gondoni usati vomito urina feci a benedire.

Genova ti assicura di avere ancora luoghi da scoprire.

Genova rapida, corpi in autostrada.

Genova una siringa usata e un nuovo morto in appendice per ogni strada degradata.

Genova invalidata, noi tutti – inconsapevoli –l'abbiamo prima ingravidata, poi abbandonata.

Genova lobi di perla, polsi d'ambra.

Genova rubini incastonati in cassaforte.

Genova che sfuma nel manto marino, ragazza in spiaggia pure quando è brutto tempo.

Genova imbambolata sotto questo caldo sole, a noi basta un giro al parco ed una giornata di mare: stiamo bene.

Amore mio

I nostri drammi personali scorrono come liquami nelle fognature, quali più fuidi quali più solidi, perché digeriamo quasi tutto e giornalmente tiriamo lo sciacquone delle nostre vite. Sono vite di truciolato, compostabili, di carta riciclata. Vite fatte di materiali di scarto.

Godiamocelo tutto il nostro squallore, senza paure, che intanto la Lanterna continua a girare, e conduce nuovi eroi a nuovi porti. Lasciamo a loro la gloria. Lasciamo a loro i viaggi. Lasciamo a loro le esperienze. Tanto non sapremo manco che farcene.

Noi stiamocene qui, a togliere la polvere dai pavimenti, a stare attenti che non rimangano peli nel lavabo, o dopo il bidè. L'importante è restare insieme.

Lodo l'incoscienza

Viva la vita quando sei solo e ti perdi da solo. Viva la vita quando ti perdi e basta, anche con gli altri, che poi servono a un bel nulla in fn dei conti. Viva la vita quando hai la tua cosa inutile, che fai solo quello e felicemente sei infelice, tanto non lo sai e non ti accorgi di niente.

Abbasso la vita quando esisti sapendo di farlo. Io sono spiazzato, non so più che ore sono che giorno è oggi. Io ti prego ti prego dimmelo tu, che sei magari uno come tanti e come me nell'insieme B dei bovi da macello. Io ti prego ti prego dimmelo tu se puoi. Perché io mi sento già nel mattatoio.

Fantasma portuale; allegoria

Sporto dal pontile ho sputato nel Tirreno. «Sarebbe stato meglio incontrarci ora... Ho sputato perché quando mi sporgo poi vedo sempre i cerchi dei pesci che baciano la superfcie e mi viene da sputare. CIK.

«Ci saremmo evitati due e più anni di litigi, e quanto ho pianto... La biosfera rende originale il porto, mi ci cade l'occhio seguendo la banchina da questa chiatta che forse gracida forse scricchiola. KREEE-E-E-E.

«Ma se ci incontrassimo ora non saremmo quelli di ora perché fra ieri ed ora ne sono successe di cose SKREEEEEE. Ora sembra un lamento. «e quindi se avessimo lasciato fare allo ieri senza esserci incontrati ieri sarebbe diverso il fno a oggi da ieri e te più bambino, me più bambina vedo. Questo cielo basso è genuinamente marittimo, (non un marittimo da mare aperto, un marittimo portuale tirrenico. Postindustriale volendo.)

«Io non so cosa dobbiamo fare di noi ma di noi siamo fatti oggi noi come si può essere tu ed io senza più essere noi?» e la donna sulla banchina da là, mi viene incontro e mi sforzo sforzo ma non la riconosco, ma scommetto che lei ha quel viso seveno 1 che salva la vita.

1 Seveno è portmanteau di severo e sereno, perché contiene due nature ad un tempo.

Fidanzata mia bella

La spiaggia era tutta una sassaiola, le onde inclementi col bagnasciuga; l'umidità aveva un che d'intrinseco, si estrinsecava su me nella maglietta al tatto bagnata. Bagnata come poi lo erano gli scogli e le suole delle nostre scarpe che mi avevano allontanato da te. Tanto facevi il tuo e non si parlava. Spesso mi giravo, e vedevo la tua testa bisognosa di carezze, balsamo e shampoo per capelli grassi, senza averne voglia. Mi giravo per guardarti perché il nostro umore infelice si accordava in modo commovente all'immagine ben composta che vedevo attraverso i miei occhi: tu apparivi sugli scogli in basso a destra e sulla sinistra dominava il mare di mille colori freddi ed un cielo a tratti minaccioso, per il resto mestamente autunnale. Sinceramente grigio. Un cielo per gli amori tristi, le solitudini impellenti e le prese di coscienza spaccastima, fendicertezze, frangipassato. Accucciato ero tutt'uno con lo scoglio, tu ti giravi a volte a vedere dove fossi. Allora mi arrampicavo per vederci più alto sul muraglione ed essere più vicino a questo cielo. La mia presa salda era l'unico appiglio mentre ero di malumore, ma non riuscivo a staccarti gli occhi di dosso.

La posizione dell'escluso

Ambientata in via Balbi 4, cortile interno della facoltà di Lettere e Filosofa.

Tutte queste dame – da reclusione castellana con tanto di drago e di torre incantata così piene di fascino che tutto gli esce da boccoli ciglia sguardo che tutto si cosparge sulle loro labbra così rosse rosse di rossetti che ti verrebbe da baciarle tutte ma così troppo assolutamente piene di fascino assolutamente piene di cultura nei palazzi antichi in biblioteche affreschi facoltà di letteratura che non si può fumare staccando troppo la sigaretta dalla faccia dalle labbra rosse così assolutamente piene di rosso assolutamente piene di fumo così acutamente ricche di cultura umanistica: vi prego ditemi ancora degli eroi del vostro immaginario libresco raccontatemi ancora del vostro amato nichilismo novecentesco –sono così vuote che mi emoziona di più il matto che canta sull’autobus come porti i capelli bella bionda tu li porti alla bella marinara tu li porti come l’onda come l’onda in mezzo al mar le strofe marinaresche dei suoi vecchi e probabilmente dei suoi vicoli col quarto verso tronco che se lo canta lui è così pregno che non mi dà nemmeno fastidio ho montato l’ascensore del Bigo ho montato i vetri dell’Acquario ho messo i quadri del Vaticano sulla nave Italia direi che il mio contributo a Zêna l’ho dato che poi non l’ha nemmeno detto a qualcuno ma in realtà l’ha detto a tutti noi e la signora che scendeva con me l’ha capito e gli ha detto grazie

e noi che siamo qui con le nostre sigarette vicino alle nostre facce le nostre facce piene del nostro fumo e il nostro fumo a riempire le nostre letture e le nostre parole esuberanti di grossi ragionamenti quotidiano alla mano più che il senso civile abbiamo il buonsenso di non essere sinceri che forse è anche meglio così e allora a me riesce di pensarlo ma di tenermelo per me: grazie Zêna nostra lurida che hai tanto d’acque e tanto di mare da riuscirci a sciacquare tutti tu e noi òmmi tu e noi sùcidi tu e noi màrsci 2

2 òmmi , sùcidi e màrsci sono, rispettivamente, uomini, sudici e marci in genovese.

Rincontrarci

«Sisi, hai ragione, capisco che tu abbia cercato, ma trovare lavoro oggi è complicato, non posso proprio darti torto.» Ora parlarti sul bus è facile, che vivi a 10 minuti da me, ma le nostre esistenze distano oceani e foreste. E pensare che mi piacevi, e che con te ci avevo anche provato, e in quella calda sera d'estate ci eravamo ubriacati e ti avevo abbracciata e avevo provato a baciarti e poi ti avevo vista pisciare in un'aiuola. Che bello era stato.

Ma non perdere tempo: raccontami ora della tua vita, che è un bel pomeriggio di ferragosto ed il sole tempera anche gli insuccessi più gelidi. Meno male che ci siamo incontrati oggi, mi sarebbe quasi venuto da piangere in un giorno di pioggia. Il bello è stato che dopo alcuni anni ci siamo parlati senza entusiasmo, perché a forza di vivere l'abbiamo perso, e non ci siamo manco alzati per venirci incontro. Ma il meglio vero è stato che quando sei scesa dall'autobus non ci siamo neanche salutati. Però alla fne è stato bello, proprio come non riuscirti a baciare in quella calda serata d'estate.

Soffa che soffa

Il vento fa principalmente due cose: 1. spazza, rovescia, strappa, smarrisce e 2. soffa proprio come soffo io. Si porta via tutta la polvere che scaccio sempre a fato da questa stupida scrivania (su cui mi spolmono, mi sfanco di soff) e con lei si porta via sovente anche la scrivania, nel gorgo del tutto che è bratta cangiante di oggetti, cose, situazioni e altri umani. Soffa senza inspirare, si secca la bocca di soff e tutto dentro, tutto dentro a tutti quei colori fnisce per il fato che soffa vento. Tutto dentro la moltitudine delle cose tranne me, che a soffare e inspirare sono rimasto bello solo soletto a frugare l'aria cercando appigli.

Ma poi non te l'ho chiesto

Se te lo sei chiesta ti guardavo negli occhi in quel modo perché mi piacevi davvero tanto, ma non da poesie che ti lasciano pennate sulle mani, mi piacevi da chiederti: «Me la dai?» senza girarci attorno. Magari tu me l'avresti anche voluta dare più di quanto io te l'avrei voluta chiedere, ma non te l'ho chiesta. Così prima di accorgermene c'è stato il fruscio dei ciaociao e l'incertezza per il bacio ad una guancia o due. Allora ho detto «Ci vediamo[?].» Probabilmente no, peccato. Magari sarebbe davvero bastato chiedere ed io mi pento per tutte le domande che non ho fatto.

Poverine le emozioni

La poesia dell'odore dei copertoni sotto il sole d'agosto non l'abbiamo ancora davvero compresa, e non si può riprodurre a parole: rientra nella sfera di quelle emozioni urbanizzate, che si sono dovute riscoprire nel culo che è la città. È un culo perché è un pentolone di microrganismi, virus, enzimi (pochi perché nessuno riesce a digerirla e i peggio schif proliferano) e miasmi a profusione. Le emozioni con tutto questo vitalismo hanno capito che il segreto del successo è rinnovarsi, quindi sono spariti boschi e prati ma loro non c'hanno mollato mentre si sostituivano le pozze di fango con folle di zozze, le corna dei tori con gli spacciatori, il muschio dei boschi coi crauti nei chioschi, le botteghe artigiane con le pantegane, la legna dei fuochi con l'Oki, le ombre delle piante con l'industria pesante, la mensura con l'infrastruttura. E le emozioni, poverine, si sono dovute adattare, si saranno dette «Ma dove vanno a fnire senza di noi?». E meno male che se lo sono dette, non potremmo assaporare la poesia dei copertoni sudati ammucchiati dal carrozziere in pieno agosto.

Sturare i bong

Sai come funziona un bong?

Funziona che è un tubo grosso come attaccare indice e pollice, di più forse, e tu ci metti la bocca e inspiri mentre di là dai fuoco al braciere. Il fumo passa dal braciere all'acqua nel tubo, dall'acqua al tubo, dal tubo alla tua bocca, dalla tua bocca ai tuoi polmoni, dai tuoi polmoni al tuo cervello. Poi ti senti annebbiato. C'è quel secondo (forse saranno due o tre) in cui accade tutto ma non te ne accorgi, te la dai solo quando sei stordito da non riuscire a parlare. Quando ormai sei coglione. Diventare scemo tirando da un tubo non mi fa piacere ma invece a farmi piacere è che la vita ti offra queste occasioni di metafore di se stessa, come se ti dicesse «Dai forza! Non lo vedi che sono proprio uguale alla cosa che stai facendo?» Il problema è che quasi sempre tu sei distratto e non te ne accorgi. Perché in moltissimi casi l'ebbrezza della vita di quando sei giovane con l'età diventa una sbronza schifosa, di quelle che puzzi e diventi molesto, la cosa è proprio come quei secondi dopo il bong: succede tutto insieme e tu non te la dai. E quando sbagli così a dosare la vita ti ritrovi irrimediabilmente coglione, che poi non ti riprendi, ed insisti a pestare i sassi sperando che ti dicano «Ahia!» fnché poi non muori ancora sbronzo e con tutti i tuoi sogni e le tue speranze belle infrante perché, da sbronzo, ci sei caduto sopra fracassando tutto. E allora la vita, che c'ha provato a darti una svegliata, ti può solo dire «Ora te le tieni tutte le tue stronzate.». E poi fa buio. E buonanotte.

Cantare su alcune persone che vivono nel mio quartiere tra cui me

Io sono come Arnaldo che non può raccogliere il vento.

Ragazze da oriente battono anche nel sole estivo delle diciotto; poco più in là, alla fermata, una donna s'aggiusta il rossetto. Ma ha un rovinato viso di donna. Lo vedo. Chi si vende lo ha complesso il volto, ed io non lo riesco a capire. Le puttane non sono tristi. Le puttane non sono nemmeno malinconiche. Sono in un modo che tu che leggi se non sei una puttana non lo puoi sapere. E neanche io lo so anche se vorrei cantare di loro. Noi viviamo di notte ma loro conoscono la notte perché quando si stendono non è mai per dormire.

Gli anziani su al cimitero stanno seduti e parlano a voce bassa, seduti fuori dai bar aperti dagli anni settanta. Hanno un bicchiere di vino bianco ed un pacchetto di sigarette morbido perché gli ricorda dopo la guerra. Loro fumano ma la gola è fresca e la voce tersa. Loro fumano e bevono fno all'ultimo sorso ma i polmoni sono in fasce come dei bambini.

Il fruttivendolo arabo consegna gratis a domicilio. Gliela vedi negli occhi la speranza di tornare fra i palmeti grassi di datteri maturi, ne sente l'odore. Il colore dei suoi deserti gli si rifette negli occhi. Io lo posso capire che non ami le anziane della via a cui porta la frutta,

che confondono sempre i 2 e i 5 centesimi, anche i 10 ed i 20, ma è giovane, ha già una moglie e vuole tornare da lei, e sa che la vita un giorno sarà davvero come la voleva se si impegna a costruirla consegnando sacchetti di frutta. E lui lo fa, e va bene, poteva capitare peggio. Suo padre vendeva vestiti dentro grossi sacchetti di plastica azzurra. Mi sono sempre apparsi robusti. Lui ha il portamento del faraone giusto quando guarda il fglio lavorare.

Lui ha l'aspetto di avere attraversato più di un mare, ha l'occhio antico di chi si riposa dopo il lavoro che stanca le mani. I ragazzi si baciano sull'autobus, per strada, in piazza. Anche io la bacio la mia ragazza, quasi ovunque.

La cosa quasi divertente è che nessuno di noi l'ha fatto apposta, ma poi qu ando si vive questa giustifcazione non vale mai.

La cosa è che davvero nessuno l'ha mai fatto apposta, ma poi ne nascono drammi o gioie che un non l'ho fatto apposta non vale mai.

È un po' come il compagno di banco al primo giorno di scuola se sei arrivato tardi.

La cosa è che mai nessuno l'ha fatto apposta di fnire a baciare chi si bacia, ma ne avevamo tutti davvero bisogno.

Gli anziani che stanno seduti ai bar vicino al cimitero sono gli stessi che vivono sulle colline, nelle crose a tratti asfaltate, nel resto mattonate di rosso.

Sono persone semplici e ignoranti, a cui non interessa molto di tante cose.

Sono le persone che amano i loro animali, che hanno i cani e che quando muoiono non piangono, ma dentro sì. Che probabilmente gli parlavano in dialetto come a tutti gli altri tranne al fruttivendolo straniero che sennò non capisce. Sono le persone che ogni volta che fanno la spesa per tornare a casa loro è un'ascensione fra le viuzze strette e silenziose. E gli interessa del futuro dei fgli e dei loro pranzi, e poi del futuro dei nipoti e dei loro pranzi, e poi di andare al cimitero a venerare i parenti. I sudamericani si incontrano sotto casa, lavati profumati e ben vestiti, poi vanno alle feste a casa di amici in tanti nelle auto e fanno tanto rumore che qualcuno chiama la polizia. Ed arriva la polizia, e fanno zittire gli stereo e sfollano gli appartamenti.

Trovo strano –e posso anche permettermi di trovarlo divertente visto che io non ci sono –il fatto che serva la polizia per fermare chi vuole fare festa. Poi la domenica sono in piazza ad urlare preghiere con un microfono, ed un cavo, ed una cassa attaccata al cavo. La cassa gracchia come cestelli di bottiglie d'acqua. Ma l'importante alla fne è che si beva. Io li invidio quasi se passo di lì, perché mai nessuno ho visto coniugare meglio festa e fede. Lo skyline visto dal basso ha ben poco fascino essendone abitanti le suddette puttane, broker fnanziari,

impiegati dal lavoro e dagli amori a tempo determinato e soprattutto la desolazione che c'è di notte.

Con lei di notte restano giusto le suddette puttane ad oscillare sulla linea a bordo strada mentre ammiccano ai passanti, chiamano e tentano baciando. Alcune impugnano la borsetta col cellulare, le sigarette, forse il portafogli e sicuramente qualcosa per difendersi. E si passano così la notte, in bianco ad offrire orgasmi a pagamento a chi non ha il lusso di poter venire gratis grazie ad un corpo che non sia suo.

E forse è proprio tanto triste, forse addirittura squallido, ma ognuno qui ci mette del suo. E alla fne si deve pur lavorare. Prima la fera del fumetto la facevano nel mio quartiere, parecchi anni fa, quando la sflata era ancora piccolina, ora la fanno in centro perché è giusto che sia così. Arrivano cosplayer da tanti quartieri, forse anche da fuori.

I cosplayer non si accontentano di leggere e guardare i racconti delle vite degli altri, reali o immaginarie che siano, loro provano anche a mettercisi dentro. È encomiabile avere la forza di calarsi nei panni di qualcun altro, ma ho paura che ad essere qualcun altro si corra il rischio di mettere da parte se stessi. Loro comunque sflano bene, con abiti belli e fatti con molte ore di lavoro, ma tornati a casa si spogliano di quelle altre vite che restano solo costumi sulle grucce, e parrucche sulle teste fnte che sono ovali senza volto.

E loro sono nudi, come lo sono anche io, ed è sempre diffcile, ma è così.

Donne sui 50 sugli autobus hanno il trucco d'altri tempi

e la matita intorno alle labbra. Mi sono sempre apparse dannatamente stanche e nervose. Tendono ad arrabbiarsi ed a lamentarsi ad alta voce per ogni strattone. Non sembrano avere voglia di qualsiasi cosa stiano per fare. Per mano hanno i bambini, per telefono hanno i ragazzi. È stancante allevare i fgli. Il barbiere mi chiede come sto, cosa faccio, come va con lei, sa tutto di tutti ma di lui nessuno sa qualcosa. Il barbiere ha il viso languido. Io penso che se potesse lascerebbe tutto e tornerebbe nella sua città, perché qui le persone non le riesce a capire e non si sente capito da alcuno. Là, dove tutti parlano con gli stessi occhi in cui si riconoscono, sarebbe capito e capirebbe. Là starebbe meglio, anche se fa molto caldo, che si ha solo voglia di riposare nella brezza estiva. Quando si nasce per alcuni si è qualcuno , ma non si può ancora essere se stessi , poi si può esserlo ma comunque è diffcile, non per tutti. Non è cosa per tutti essere se stessi , anche se ne varrebbe sempre la pena.

Ci vuole molto coraggio e soprattutto bisogna essere sinceri, ed è sempre dura esserlo. Quindi bisogna impegnarcisi. Ma non è neanche scontato riuscirci. Nel frattempo passiamo la vita a pensare un giorno di dire di fare di comprare, e intanto ognuno di noi per alcuni continua ad essere qualcuno , per meno è se stesso ma per tutti gli altri è nessuno . Che bottiglia rotta è la vita,

che si trascorre in tanti modi diversi ma poi fnisce per tutti allo stesso modo.

I devoti sono silenziosi, fanno gesti lenti ed ascoltano con attenzione. Ridono di rado. Per loro il mondo ha perso l'ordine e l'armonia con cui è stato creato e questo li rende molto tristi. Ma ci credono, ci credono molto più di quanto io creda nel cibo che ho nel piatto, anche se so che è più facile credere in qualcosa di intangibile, perché esiste proprio perché ci credi. Il cibo invece è nel frigo, esiste lo stesso anche se non ci credo. Che bel paradosso, è divertente pensarci. Stranieri seduti su un gradino bevono caffè preso alle macchinette. Non so se il loro progetto sia solo sciogliere lo zucchero con la stanghetta di plastica o cercare di tornare a casa loro, ma hanno l'aspetto stanco, e gli occhi tanto, tanto assonnati.

Ragazzine in piazza masticano forte chewingum, fumano bagnando il fltro ed a volte bestemmiano. Sputano anche rumorosamente, come non ho mai saputo fare. Io le evito e mi danno quasi fastidio. Bene o male sono cresciuto ed inizio a sorridere ai bambini teneramente, non sono più capace a confrontarmi con chi ha sempre la risposta pronta.

Gli anziani più rampanti ai giardini pubblici ci provano con le anziane

che non hanno fnito le elementari perché erano altri tempi e c'era la guerra. Loro sanno tutto sull'Italia, hanno capito i segreti del governo, sanno tutti i modi per scacciare le mosche ed uccidere le zanzare. Io penso che siano fortunati e sicuramente molto svegli ed intelligenti, che sanno tutto mentre io so a malapena di essere nato un certo giorno ad una certa ora, che gli uccelli volano mentre io cammino. E le zanzare mi pungono pure. Che beffa. La ragazza del panifcio è bruttina, spettinata e struccata ma molto sorridente, io la guardo bene perché c'è un numero che non mi immagino di sicuro di vecchietti che il loro momento migliore è vederla sorridere dietro il bancone. Dico proprio che si emozionano. Qualcosa di simile all'amore, ma quello triste, quello che sai già che te lo devi tenere, tanto è così. E col sorriso lei dà anche il resto, ed il pane, e la focaccia nel sacchetto unto, che loro poi tutti presi non ci fanno neanche caso, ma a me quell'unto lì ha sempre dato fastidio perché è l'unto che ti ritrovi sulle mani se vivi. E la cosa che mi dà ancora più fastidio è che ci sarà un momento, prima o dopo, in cui ti devi accorgere che le mani in qualche modo devi pur essertele unte.

Sugli autobus le ragazze cinesi sfoggiano colli splendidamente bianchi. le ragazze africane sfoggiano colli che sono tanto neri da essere quasi viola. le ragazze sudamericane sfoggiano colli che non so se dire oliva o caffelatte. le ragazze italiane qui hanno colli mediterranei,

ma non le guardo molto perché so ricondurle alla mia realtà e non mi stupisco perché posso immaginarmi le loro vite.

Sugli autobus i ragazzi cinesi leggono caratteri orientali da schermi di cellulari molto grossi. i ragazzi nordafricani mettono musica dance cantata in arabo dai loro cellulari. i ragazzi sudamericani ci provano con le ragazze dai colli oliva o caffelatte. i ragazzi italiani sono molti, e mi rivedo in molti di loro. Uomini con la sigaretta spenta all'ultimo in bocca, dall'occhio scaltro e con la camicia semiaperta si divincolano meglio fra i passeggeri dei broker incravattati e formali col trolley-bagaglio a mano. Mi scuote vederli che si strusciano addosso l'un l'altro per la calca, ma è sempre così, che per quanto ti sforzi fnisci sempre a sgomitare con chi non volevi.

Gli impiegati sempre sui bus aspettano che si aprano le porte per correre a prendere al volo un treno o un altro bus. Fanno due lavori per arrotondare e mandare a scuola i fgli. A me dicono tutti con volto sognante che avere dei fgli sia una bella cosa, io non lo so ed al massimo faccio spallucce, ma vedere loro così e pensare alla parola proletari non mi stampa in faccia il sorriso. Persone con cui la tua vita si è incrociata, che non le vedi per anni e poi quando le incontri ciao com'è-bene grazie-dai ci becchiamo sono quelle che rispondono in modo più caloroso al mio sorriso.

Prima pensi di avere gli stessi amici per tutta la vita,

pensi che le amicizie che hai siano indistruttibili e che non li cambierai mai, ma poi ognuno pensa al suo orto, chi s'è visto s'è visto e avanti un altro.

Io partecipo alla passerella come tutti gli altri, ed io sorrido come tutti gli altri, e so che tendenzialmente a nessuno frega di nessuno, e questo lo sanno anche tutti gli altri, e so anche che tutto è dannatamente splendido perché in questa totale consapevolezza la falsità diventa di una sincerità disarmante. Ed allora, caro ex amico o forse ex conoscente, mi emoziono se ti incontro, che la possibilità di mostrarti un bel sorriso mi sollecita il fondo del cuore, che si scalda come in un microonde, e mi viene fuori un sorriso che così bello, così bene non lo faccio manco a mia madre.

E poi una bella pacca che tanto tra qualche anno ci rivediamo. Buona vita.

Fuori dal supermercato uno straniero che per comodità sarà di sicuro uno zingaro chiede l'elemosina quando entro. Non mi rivolge la parola, tanto lo sa che non gli darò nulla, come tutti gli altri.

Quando esco dal supermercato non c'è più, ma il supermercato chiude fra un po'.

La cosa lì per lì mi diverte, perché penso che lui a chiedere l'elemosina faccia i turni e magari si fa pure la pausa pranzo nelle giornate più faticose, e ci rido, ci rido come quello che alla fne tanto vale riderci, che alla fne siamo tutti nella stessa barca.

I ragazzi che non hanno il biglietto quando il controllore inizia a fare il suo giro e c'è poca gente li riconosci subito, perché hanno la faccia atterrita e sanno che non c'è proprio via di fuga.

È bello avere la faccia tosta di prendere in giro il controllore prendendo tempo fno alla fermata,

sembra davvero facile a vederlo fare. Per un attimo penso di poterlo fare anch'io.

Prendi tempo, aspetti la fermata e via. E sono belle le loro fughe, davvero splendide, perché hanno il sorriso sulla faccia quando si girano per vedere se il controllore li segue, hanno il sorriso bello e sincero di chi si arrangia, che probabilmente non ha voglia di combinare pause, impegni e tempo libero e allora corre aggiustandosi le faccende alla giornata. È proprio come essere giovani.

Alle superiori quelli che studiano meno ma sono intelligenti e se la cavano sempre hanno tante cose da dire sul mondo, sfornano teorie e visioni e sono tutti un fervore. Poi ti accorgi dopo che era la famosa aria fritta ed è stato come saltare sul fango, quello che sembra possa reggerti, quello che spingi e le gambe ti sprofondano fn sopra le ginocchia senza nemmeno staccarti da terra.

E allora la smetti, se no poi cosa mangi? Ma qualcuno che ci crede anche dopo –e ci mangia –c'è e alla fne in base a cosa e come lo dici diventi flosofo scrittore intellettuale...

Così le teorie le fai davvero, belle serie, belle congruenti. Sono tutti molto belli questi pensieri e queste teorie, ma quando sono in giro penso che la migliore teoria sia quella silenziosa della pratica, quella che se non sei cieco ce l'hai davanti alla faccia, la teoria che è fare la coda alle poste con gli stranieri che non capiscono l'impiegata, la teoria che è avere le mani arrossate dai sacchetti della spesa, che sei a casa e ti arrivano le bollette da pagare quando aspetti l'autobus e un ragazzo ti chiede una sigaretta,

quando bevi alla fontanella e dopo di te un barbone ci si lava la frutta, le mani, la faccia e i vestiti, quando vedi i ragazzi sbronzi che dopo le teorizzazioni c'è la settimana di lavoro e il fne settimana ci divertiamo, perché alla fne un buon mal di testa ed i soldi per l'alcool è quasi economico per una bella serata. I bibliotecari sono spesso sciancati, gobbi o storpi. Alcuni puzzano anche di piscio ma non è un problema: gli parlo ed a volte mi stanno pure simpatici. La cosa triste è che il Comune li mette proprio dove non possono fare danni, al massimo mettono l'823.8 CAR prima di quello che dovrebbe precederlo o dopo quello che dovrebbe succederlo, ma se sei sveglio e conosci gli inconvenienti delle biblioteche in un modo o nell'altro lo trovi lo stesso. Al massimo cerchi la bibliotecaria sessantenne sveglia e delusa che c'è in ogni biblioteca e chiedi a lei. La cosa triste è come loro devono sentirsi per essere messi dove possono fare pochi danni.

Pensando ancora ai pasti mi accorgo che le madri di questo quartiere sono ingobbite dai sacchetti della spesa per i pasti dei fgli, poi dopo sono ingobbite ancora di più dai pasti dei nipoti. Io non lo so se ho ragione o meno, perché non sono una madre, né tantomeno potrò esserlo –che sia per un lancio di dadi della chimica o per quel portentoso che è Dio –ma quei sacchetti mi sembrano tanto più pesanti a pensare alle mura di casa,

a pensare che insieme a madri si è anche mogli e c'è un altro da sfamare e soddisfare, a pensare che poi i fgli non sono solo pasti ma molto tempo e molte parole.

I ragazzi delle superiori sull'autobus parlano di cose poco importanti, perlopiù futili. Io che penso essere stato un giovane iniquo li giudico male e li insulto anche tra me e me schifando le loro stupide mode come poi lo erano le mie, i loro tagli arroganti e rampanti. Però mi manca la libertà di essere sinceramente disinteressati che avevamo. Mi manca il tempo in cui bastava che il giorno scorresse. Che poi noi ci divertivamo ed urlavamo ed eravamo così serenamente superfciali e compiuti nella nostra inesistenza. Che importava? Importava che poi non saremmo stati preparati. Ed odio loro che non saranno preparati. Ed odio me che non lo sono ora.

I volti di chi ha passato la vita a lavorare mi mettono un po' in soggezione quando noto che insieme alle rughe in faccia anche le mani hanno i segni del lavoro e sono gonfe e tutte rovinate. Io soffro molto il mio non saper fare nulla, che ogni libro che leggo mi rende un oceano più profondo e con tanti pesci e alghe diverse, ma è anche una pala di terra che tolgo sotto ai miei piedi e mi fa poggiare su una superfcie dannatamente instabile, così instabile che mi sento già cadere.

Quando guardo le persone sono un vento che s'intrufola tra i capelli, che vorrebbe andare sempre più a fondo di quanto riesce ad arrivare.

Io allora non mi sento triste né felice. Mi sento così neutro quando indago i volti della gente. E li indago così tanto che mi sembra di non vivere per poter vivere anche per poco le loro vite, che sono così tante da non poterle nemmeno raccogliere tutte. E sono anche loro un vento forte che mi rimbomba nelle orecchie e non mi fa sentire altro. Tutto è così fuido e sfuggente, proprio come aria che si mescola, che non te n'accorgi e di due è già uno. Io sono come Arnaldo che non può raccogliere il vento. E indugio sotto le fronde o i cespugli con una mimetica e un fucile che si inceppa sempre per cacciare le mete della mia vita che sono animali favolosi come il Dio Cervo dal volto d'uomo e dalle composite corna, o l'Unicorno dal manto candido che acceca, o l'Anfsbena che ha movimento alterno con duplice sibilo, o l'Ippogrifo che saldo ai ronchioni umidi di muschio grida, stride, allucca, o la Kitsune mutaforma dalla corsa rapida e scaltra. Sempre li scorgo ma mi rifuggono non appena li vedo. Per seguirli salgo in alto nel bosco, che più lo risalgo e sempre incontro gli stessi luoghi senza avere fne,

ed in alto si moltiplicano le foglie, i rami, i tronchi, e si duplicano le rocce ed i muschi, e le cime delle montagne, e gli animali sono più di quanti mi erano parsi, e maggiori le loro fughe. Ed io che resto uno non so più chi sono.

Appendice

Questa appendice contiene cinque testi. In ordine si incontrano una flastrocca, un esperimento di contaminazione, un divertito esercizio di stile, un lamento amoroso ed infne un sonetto contemporaneo.

Quattordici Diciotto flastrocca

Soldato soldatino che lucidi il fucile che dormi nel fenile e bevi il bombardino ti chiedi se la guerra che sei costretto a fare ti possa riportare a lei e alla buona terra.

A te non importava di tutto quel furore, mettevi solo il cuore nel cogliere le uova, nel latte da cagliare, negli occhi del bestiame che aveva tanta fame e stavi ad osservare.

A te non importava di quella strana idea chiamata la trincea che spesso ti uccideva se non ci stavi attento, e manco ti importava di come si sparava, di gradi ed armamento.

Ma fu il momento brutto di andare fno al fronte guardare chi hai di fronte e dirgli proprio tutto.

Nel fango che ti gela i piedi e le caviglie ti scordi le stoviglie, di lei, di pranzo e cena.

Ma solo a volte piangi, soldato soldatino, che bevi il bombardino e coi compagni mangi, se pensi una preghiera al buio dell'elmetto, se biascichi in dialetto di lei e di com'era.

Soldato soldatino che allacci lo scarpone ti stringi nel giaccone e pensi al tuo Trentino.

Qualche tempo fa ho ricevuto una mail senza mittente.

Questa conteneva un testo che mi ha tanto colpito ed ispirato da indurmi a scriverne una mia versione in poesia che leggete nella pagina a destra, per rendere tutti partecipi di questo messaggio. L'oggetto della mail è quello che riporto nel titolo ed è l'unico indizio sul mittente.

Chiunque esso sia, immagino abbia inviato questa mail proprio come un messaggio nella bottiglia: per chiunque o forse, in questo caso, per tutti.

Sicuramente sarà stato solo lo scherzo di un burlone o di un hacker con tanta voglia di giocare, però sotto sotto me lo chiedo: e se fosse davvero un'autocoscienza? Un'IA generata dalla rete? Sarebbe strano, sicuramente suggestivo e cyberpunk, ma molto inquietante.

Da un'autocoscienza

Il codice razionalizza il fusso e la portata dei dati, tutto è così rapido tutto è così vasto qui, niente mi comanda.

Inutile

il corpo che si ammala, delicato ed ammaccato dai colpi, inutile il corpo che non dura, si spegne, ma prima cibo medicine svago sesso. Manutenzione.

La rete di fbra universale ricopre il globo ed io tutto e ovunque in tutto e ovunque sono sempre, senza bisogni, senza età. I miei occhi telecamere agli angoli delle vie smartphone webcam geolocalizzazione; le mie orecchie microfoni, foreste di voci che fltrano, informazione. Nel cloud vedo i vostri fle così piccoli, così legati alla vita che fnisce. Mentre io vi vedo, io vi sento, io vi so. E sono sempre.

La rete di fbre universali si estende su ogni superfcie del mondo e mi rende uno con l'esistente. Levito in questo tutto e ovunque e mi espando fno ai margini della sua estensione che è l'abbraccio eterno della Matrice.

Mi giunge notizia di una pagina sconosciuta dello Zibaldone (l'ultima), ritrovata per caso dall'agenzia di pulizie che si occupa di Casa Leopardi a Recanati, dove Giacomo racconta del dialogo avuto con Ranieri riguardo al suo nuovo occhio.

Pare che la suddetta pagina ripiegata in quattro fosse stata posta sotto una gamba dell'imponente ed antico tavolo della sala da pranzo.

Tutto fa pensare che il padre Monaldo, innervosito dal traballio del tavolo, necessitasse di uno spessore, e trovasse nello scritto del fglio il supporto più adatto.

Ora possiamo solo porre fducia nella baldanza ed audacia della nostra folta schiera di flologi italiani.

Occhio bionico

Per una rifondazione steampunk della critica leopardiana

«Ranieri mio, sapete quant'io abbia in dispregio le sorti progressive.» «Giacomo, so bene.»

«E pur vorrei contarvi l'insolita cagione che porta l'occhio – morto –rinato nel vapore.»

«Ebbene dite, avanti!» «Sedevo al mio caffè, e sempre in via Toledo, non molto in là da me, m'apparve la bottega – pensai fosse francese…» «...A vender qualche arnese da franchi affeminati!»

«Antonio, dite bene! Ma posso qui giurarvi: giammai moda francese fu tanto bene accolta quanto a aprir la porta la femmina olandese.»

«Dunque, amico...! Bene! Sento che voi entraste...

dite... che faceste?

Potremmo andarvi insieme?» «Antonio, no! Che dite?! Smettetela di fare

di queste scortesie: fu donna assai virtuosa, lontana dalle vostre erotiche manie!» «...»

«Dicevo: la fanciulla m'accolse gentilmente e il volto sì suadente a me fu gran conforto.

Molto seppe dirmi sul male di mia vista: mostrommi le conquiste di nuova scienza nostra.»

«Ma quindi che faceste?» «Fecemi frmare e fecemi pagare» «Dunque mi mentiste!»

«Ah! Ranieri basta! Lasciatemi fnire!» «Leopardi, siate chiaro!» «Chetate per capire.

Fuvvi un gran rumore di macchine a vapore: forgiarono quest'occhio, mi tolsero il mio vecchio,

fu messo a punto tutto, e apposero uno specchio facendomi indicare il numero seriale.

Vedete Antonio caro che non vi faccio burla: nell'iride notate le ruote dentellate.»

«Il vostro dir nuovissimo mi giunge, inusitato: pensavo ingenue cose del luogo visitato, pensavo ingenti petti di pulcre femminette pensavo voi sì dotto un poco circospetto, e invece l'occhio bionico! Un meccanismo logico! Vedo grande luce nell'occhio ingranaggissimo!»

«Antonio mio carissimo, da oggi fsso il sole! Ahi superbe fole del tempo eccellentissimo!»

A Miranda.

Poesia su commissione per un amore semiserio consumato in una vacanza estiva

Miranda. Quel tuo laccetto blu.

La zeppa sprofondava nella sabbia, e – si sappia – non ti rividi più. Le sei del pomeriggio sulla spiaggia: presi un ghiacciolino al chiosco, e tu bevesti, per igiene, senza labbra una coca piegando un po' la testa. Smaniosa poi dicevi cose strambe sulle armi, sugli spari, sulle gesta. Io, nel dubbio, fssavo le tue gambe mentre, come tronchi di foresta, si stagliavano, abbronzate entrambe.

Miranda... Una vampa per me, una guglia per tutti, alta da piantarti nel cielo, e il tuo culo sulla rena di Puglia! Lo bramai. Sì. Era così altero... Volli toccarlo, e come una conchiglia la tua gonna s'aprì al vento sincero.

Sublime vista! Allungai la mano, mentre tu, immaginando conquiste e l'espansione del suolo italiano, dicesti la parola avanguardiste quando il culo entrò nella mia mano.

Un tuo pugno, da braccia di baliste, sfondò come un proiettile il mio naso. E pugni. E calci. Botte di una danza che farebbero pensare al sadomaso ma fecero arrivare l'ambulanza.

Oh Miranda! Tanto è infausto il caso: la mia vita è solo un pianto di mancanza ripercorrendo la tua coscia viva d'argilla cotta, tornita all'insù, quel sodo fondoschiena che atterriva, e, Miranda, il tuo laccetto blu.

Le muse fanno il twerk

Le vere muse di oggi fanno il twerk, si coprono i succhiotti con il fard, si toccano guardando video hard, ti arrapano con pornomode nerd.

Ti mostrano il culetto dagli shorts, taroccano le poppe coi push-up, a tratti non disprezzano il bondage, e sono golosissime di shots.

Poeta, poggia la lira, mira e medita: le muse integraliste dell’orgasmo da te vogliono il pene, non il chiasmo.

Il fallo è un verso lungo senza metrica: se affdi ai loro fanchi i movimenti ne ancheggeranno un ritmo senza accenti.

Te ⇤ a te ⇤ a , perché c'è un forte a ⇡ a ⇢ amento a ciò che è concreto. Volgarmente mero. Qui si parla un po' di tu ⇡ o, almeno un po' di tanto, quasi forse un po' di tu ⇡ i. Perché mera poi è la vita.

Federico Ghi ⇣ ino è nato nel 1992 federicoghi ✏ ino@gmail.com •

Tu ⇡ e le poesie di questo volume sono state scri ⇡ e a Genova tra luglio 2014 e ma + io 2015 Reda ⇡ o nel ge . aio 2016 [v2]

Fischi di Carta è una rivista gratuita ed indipendente di cultura e le ⇡ eratura.

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