Fischi di carta 27 (04/2015)

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Fischi di carta

POESIA DI CINQUE GIOVANI FISCHIANTI

Di fatto, ogni silenzio consiste nella rete di rumori minuti che l’avvolge: il silenzio dell’isola si staccava da quello del calmo mare circostante perché era percorso da fruscii vegetali, da versi d’uccelli o da un improvviso frullo d’ali. ”

Italo Calvino, L’avventura di un poeta

IN QUESTO NUMERO

Editoriale | La fibra del silenzio - A.Pesce Poesia del mese | Sogna la notte - M.Pratt Poesie dei lettori | Poesia senza titolo - K. Mamayusupova Zona franca | Intervista a Michele Camusso - S.Magnolo Prossa Nova Diamanti, scarpe da rapper - A.Moro Giallastro - M.Valentini

www.fischidicarta.it
n° 27 Aprile 2015 Genova

EDITORIALE

LA FIBRA DEL SILENZIO

e l’origine della musica, legando le sue opere letterarie e musicali alla filosofia orientale induista e buddhista Zen. Nelle sue opere Cage, da musicista compositore, assume i connotati del filosofo. Il suo discorso acquisisce con il tempo un’impostazione filosofica con cui ridiscutere il concetto di musica. Musica che viene considerata affermazione della vita, un modo di vivere e non sopravvivere. Il concetto fondamentale delle sue prime composizioni si ricollega all’Alea, meglio conosciuta come musica aleatoria: un tipo di musica in cui alcuni elementi della composizione siano lasciati al caso e/o, nella realizzazione, alle libere decisioni dell’esecutore. Per Cage occorre meditare sul vuoto prima di interrogarsi sul contenuto del ritmo e sulla composizione della musica. Questo modus operandi deve essere perseguito senza fine, scopo o intenzione, perché occorre aggirare il desiderio di trovare sempre l’emozione nella musica, alla ricerca del vero collegamento tra la sensibilità del compositore e i suoni che compone. Da questo crogiolo di riflessioni nasce il libro Silence . Cage si domanda cosa sia il silenzio e, nella sua profondità spirituale, perviene ad una conclusione molto semplice: il silenzio è un mezzo espressivo colmo di significato intrinseco e potenziale. La ragione è da ricercare nel fatto che esso è una condizione del suono e quindi materia sonora. Cage afferma inoltre che il silenzio sottolinea e amplifica i suoni, li rende più vibranti, ne preannuncia l’entrata, crea suggestivi effetti di attesa e sospensione. Tralasciando per un momento il carattere tecnico, questa definizione mi ha lasciato il sapore di quella universalità che

Ho sempre trovato affascinante la meditazione, quella orientale e quella interiore. Grazie ad essa e i suoi silenzi riesco a creare attimi di pura connessione tra me e l’universo delle sensazioni che mi circondano. Il suo intrinseco significato e la sua innegabile utilità nel processo di ricerca intima e personale dell’individuo sono gli elementi che bramo nel mio quotidiano, quando stacco dal lavoro della giornata. Inoltre, scrivendo poesia, mi sono posto spesso di fronte alla necessità di meditare per andare a ricercare e codificare le vibrazioni o il colore degli elementi che mi circondano quotidianamente. Negli attimi in cui mi ritiro, tasto il silenzio, mi nutro di esso, come se avesse una sua forma e sostanza. Nonostante la realtà ci dica che apparentemente il silenzio

[ [

cerco. Il silenzio è per me il mezzo espressivo con cui anche il poeta si trova a confrontarsi, l’attimo creativo che preannuncia la parola, una fucina che assembla i pensieri e filtra le sensazioni. È grazie al silenzio intimo che gli umani ritrovano le giuste connessioni empatiche tra gli individui. Per darvi la mia idea su quale sia la fibra del silenzio ho deciso di non dilungarmi in tante parole, lascio piuttosto che sia un frammento della poesia Silence di Edgar Lee Masters a parlare al posto mio: Ho conosciuto il silenzio delle stelle e del mare e il silenzio della città quando si placa e il silenzio di un uomo e di una vergine e il silenzio con cui soltanto la musica trova linguaggio il silenzio dei boschi prima che sorga il vento di primavera e il silenzio dei malati quando girano gli occhi per la stanza e chiedo: Per le cose profonde a che serve il linguaggio ? Un animale dei campi geme uno o due volte quando la morte coglie i suoi piccoli noi non siamo senza voce di fronte alla realtà noi non sappiamo parlare... Per voi, cari lettori, quale è la fibra del silenzio? Andrea Pesce

sia riconducibile all’accezione dell’assenza, non mi è mai parso, nella mia esperienza, così “assente” o vuoto né negli elementi esteriori né in quelli interiori. Da tutto ciò mi è sorta spontanea una domanda: che cosa è il silenzio? Cercando di darmi una risposta sono partito dalla sua definizione: per silenzio si intende relativa o assoluta mancanza di suono o rumore . Questa enunciazione per quanto precisa non mi soddisfa, perché è al tempo stesso troppo chiara ma umanamente relativa. La definizione che cerco va oltre il concetto di umanità come centro dell’analisi dei fenomeni universali. A questo punto allora si profila un’altra domanda: se il silenzio esiste in natura al di là dell’uomo, di quale fibra esso è composto? Pochi mesi fa ho incontrato un mio caro amico musicista irlandese con cui ho avuto il piacere di discorrere piacevolmente su questi temi; tra una chiacchiera e l’altra mi ha suggerito vivamente di leggere un libro che consiglio a tutti voi: Silence di John Cage. Quest’autore è considerato uno dei più importanti compositori, teorici musicali della musica contemporanea. Costui ha dedicato la vita ad indagare l’intrinseca formazione del suono

CONCHIGLIE

Come queste conchiglie sminuite sotto il ritmico sciabordio del mare indefesso nei saliscendi, nelle sue ascosità e visioni, con le grinze addentellate e saleggiate da forze panerosive;

ecco, come le conchiglie, alcune pure sbrindellate, sono trascorsi i miei giorni umidificati a volte dal balsamo alternato del flutto incandente, altri sotterrati in oblii di grani. -e nel guardarle, metterle in fila come un bambino visposo, aderente alla ludicità litorale, naturalmente edotto al movimento rituale, prima che la mamma mandi a chiamare. Vorrei prenderle e ascoltare infiniti murmuri e brontolii di chi fuori dal mio mondo, puntellato da poche stelle notturnali, ha ancora qualcosa da denunciare. E ascolterei tutto, sì, ascolterei interessato, lo sguardo perso, sfissato sui rivolii cresposi del vento. Ascolterei, ma senza lasciare uscire quelle bocche disobbedienti che alcuni Dei chiusero nelle concavità minute dei miei giorni zigrinati, in cui i pesi, giocosamente, anche loro li ho lasciati, cerchi sull’acqua.

-O conchiglia, mia conchiglia lusso e meraviglia della battigia, sei l’antidoto carapaceo al becco impertinente del gabbiano che gioisce nel beffare chi non ha ali, sei l’ostico ammonimento di ciò che dentro sento, anche ora, anche bambino -ricordo immutabile del tempo disorientante, quando incalzoso a volte sbilenca i nostri giorni, che, da uomini, siamo chiamati a raddrizzare.

Alessandro Mantovani

E PER MEDESIMA MEMORIA

E per medesima memoria ascoltare i muscoli della pioggia assieme ai tuoi muoversi e mormorare, in viaggio verso l’ospedale o verso una bellissima donna

promettere al tempo un trattamento più equo vorrà dire aprire le finestre senza batter fiato.

E non giudicare un giorno di più. Nel suo fabbisogno turchese la cornacchia è senza volto poiché conosciamo di lei solo lo squillo, non c’è lavoro per altri lassù, ai caduti della montagna, qui tra queste tre colonne dipinte color rosso sentiero

la mano bambina del pensiero che ferve e indica falsamente la vera direzione:

la volontà di volare senza ricordi oltre le famiglie e gli alberi e salutar con occhi teneri il nulla.

E per medesima memoria raspare raspare il Nome – e non osi oltre –la visione possibile:

è la città bassa immersa nel caos del sole; e nella difficoltà d’insieme sta l’unico amore.

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A MIRANDA.

Poesia su commissione d’un amore semiserio consumato in una vacanza estiva

Miranda. Quel tuo laccetto blu. La zeppa sprofondava nella sabbia, e – si sappia – non ti rividi più. Le sei del pomeriggio sulla spiaggia: presi un ghiacciolino al chiosco, e tu bevesti, per igiene, senza labbra

una coca piegando un po’ la testa. E smaniosa dicevi cose strambe sulle armi, sugli spari, sulle gesta. Io, nel dubbio, fissavo le tue gambe mentre, come tronchi di foresta, si stagliavano, abbronzate entrambe.

Miranda... Una vampa per me, una guglia per tutti, alta da piantarti nel cielo, e il tuo culo sulla rena di Puglia! Lo bramai. Sì. Era così altero... Volli toccarlo, e come una conchiglia la tua gonna s’aprì al vento sincero.

Sublime vista! Allungai la mano, mentre tu, immaginando conquiste e l’espansione del suolo italiano, dicesti la parola avanguardiste quando il culo entrò nella mia mano. Un tuo pugno, da braccia di baliste, sfondò come un proiettile il mio naso. E pugni. E calci. Botte di una danza che farebbero pensare al sadomaso ma fecero arrivare l’ambulanza. Oh Miranda! Tanto è infausto il caso: la mia vita è solo un pianto di mancanza ripercorrendo la tua coscia viva d’argilla cotta, tornita all’insù, quel sodo fondoschiena che atterriva, e, Miranda, il tuo laccetto blu.

Federico Ghillino

IL COSTRUGGENTE1

L’ho visto in frantumi – a frantumi raccogliere frantumati affilati pezzi che lo restituivano, lo riflettevano informale –deformato come in preda immemore al deserto sformato di chi la forma non la ricorda ché non la fanno ricordare.

Senza guanti senza fretta le mani sollevavano manciate riflesse di vetro, e pensavo al dolore inutile e poi al piacere, pensai che non lo ricordavo – quando si è bambini, non si sa di che si piange – cercavo tra le dita il colore del mio sangue: un vetro volevo lo restituisse senza lasciarsi trapassare. Allora in ginocchio a quell’uomo diedi anche le mie mani alle sue da alternare – “attento” disse, “perdere da ora il sangue a ricostruire sarà il tuo mestiere”.

“Che nome ha il mestiere?”, gli chiesi; disse “è un’arte, fare il costruggente, di quelle che si fanno tra una piega della notte e l’altra, in silenzio rifare da capo il distrutto il disfatto; a dir grazie, a pagare, nessuno”.

Così a costruggere mi misi con lui il distrutto, felice e faticato: facevamo il mondo intorno tutto per noi ri-costrutto. Che importava chi ci avrebbe ricordato.

Emanuele Pon

1 Il «costruggente» è un neologismo nato in una serata di discussioni frivole e meno frivole, ed è, propriamente, colui che ripara, ricostruisce, ricrea, rifà ciò che è stato distrutto e che, molto probabilmente, non andava affatto distrutto. Mancava il nome di questa figura, bella perché immaginaria: eccolo.

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ra tutte le poesie che ci avete inviato per mail abbiamo deciso di farne emergere una in particolare, di mese in mese, che ci abbia colpito per originalità o interessato per qualsiasi altro motivo, staccandola da Le poesie dei lettori. Per scoprire l’iter che ha portato a questa rubrica andate a leggere la Zona Franca del #25 , a pagina 10. Chiunque abbia voglia di inviarci le sue poesie lo faccia senza timore, leggeremo e vi risponderemo!

Kristina Mamayusupova

Come sirene di notte sul mare!

I Cuori son vivi e san cantare,

Dal nulla fan nascere un grande fuoco.

Stan silenziosi, parlano poco,

Un punto debole e uno forte;

Hanno fortuna e malasorte,

In bianco e nero e a colori,

Hanno le gioie e i dolori,

Perché i nostri cuori hanno le ali,

Siamo diversi ma uguali,

Ecco il nostro amore in breve!

Siamo più e meno, sole e neve:

Ti piace il dolce, a me l’amaro.

Ti piace il buio, io amo il chiaro.

Ti sei lo zucchero, io il sale.

Tu sei il cervello, io la spina dorsale.

Di Milo Pratt segnaliamo il blog in spagnolo: lacasadelsimio.blogspot.com , il blog in italiano: lacasadellascimmia.blogspot.it e la pagina Facebook de La casa del simio : www.facebook.com/pages/Milo-Pratt-La-Casa- del-Simio/875256282509258

FLA POESIA DEL MESE

SOGNA LA NOTTE

POESIA SENZA TITOLO

La gravità nulla sa dire Sogna la notte Che tristezza di strade vuote di echi, di finestre chiuse come si agonizzasse il tempo su qualche marciapiede

Un fantasma si agita nell’oscurità contro i muri, si staglia la suo sagoma

sia interessato a scriverci!

nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque

si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la

poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore

pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro

amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto

richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da

’idea di Le poesie dei lettori è nata dalle

LLE POESIE DEI LETTORI

Che tristezza di strade vuote di voci, di macchie nere sull’asfalto come se il tempo piangesse, ai giorni e ai visi già andati

Spunta una farfalla nel vento sogno la mia immutabile pelle di vetro il vecchio sogno della trasparenza Che tristezza di strade altrui di lamenti nelle ultime ore della notte come se essa sognasse il tempo, e il tempo, il passo del vento, la carezza Uno sconosciuto si inquieta nel silenzio si perde fra i muri il suo lamento Una farfalla spunta nel vento sono tristi queste strade lontane questa pelle sulla quale la vita lascia le sue impronte Che tristezza di strade vuote che inquietudine di guaiti e di lamenti che tristezza agognare una pelle di vetro che anche se fragile,

possa resistere la invasione degli eoni Uno sconosciuto viene svegliato dal freddo una farfalla spunta nel vento, lascia scie colorate nell’aria, il suo volo passa il vento nei suoi alberi le foglie si agitano un uccello trilla esce il sole.

INTERLUDIO

Perché dopo le nostre e quelle dei lettori non una poesia di qualche autore conosciuto? Poesia scelta da Alessandro:

«Mario de Andrade (1893-1945) è un poeta brasiliano conosciuto e ricordato nella sua nazione come padre della poesia modernista. Con accenti che noi ricondurremmo al futurismo (o forse, ancor di più ad alcuni esponenti del Gruppo 63), de Andrade spicca, però, anche per una grande sensibilità sentimentale troppo spesso messa in secondo piano dal merito della sua opera principale.»

ACCETTERAI L’AMORE COME IO LO CONSIDERO?

Accetterai l’amore come lo considero?... ...Lievemente azzurro, un’aureola, [soavemente salva l’immagine, come uno scudo contro questi cambiamenti del banale [ presente

Tutto ciò che c’è di migliore e di più raro vive nel tuo corpo nudo di adolescente, la gamba così dondolante ed il braccio, [ il chiaro sguardo imprigionato nel mio, [ perdutamente.

Non esigo più nulla. Non desidero più nulla, solo guardarti, fino a quando la realtà sarà semplice, e appena questo.

Che grandezza...La totale evasione [ dell’imbarazzo che nasce dalle imperfezioni. Il fascino che nasce dalle serene adorazioni.

Aceitarás o amor como eu o encaro ?... ...Azul bem leve, um nimbo, suavemente Guarda-te a imagem, como um anteparo Contra estes móveis de banal presente.

Tudo o que há de melhor e de mais raro Vive em teu corpo nu de adolescente, A perna assim jogada e o braço, o claro Olhar preso no meu, perdidamente.

Não exijas mais nada. Não desejo Também mais nada, só te olhar, enquanto A realidade é simples, e isto apenas.

Que grandeza... a evasão total do pejo Que nasce das imperfeições. O encanto Que nasce das adorações serenas.

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Mario de Andrade (Primo maggio seguito da Il pozzo, Edizioni del Vascello, a cura di Andrea Ciacchi)

IL DOMATORE

Altezza del Corso. Bonde 3. Asfalti. Vaste, alte fontane di polvere sotto l’arlecchinesco cielo oro-rosa-verde... Gli insudiciati complessi dell’urbanizzazione. Filetto di manuelino1. Calvizie della [ Pennsylvania.

Di fronte, il tram dell’irrigazione, dove un Sole mago si disperde in un trionfo perso di smeraldi, topazi e [ rubini...

Languidi Botticelli a leggere Henry Bordeaux in clausura senza draghi delle torri....

Mario, paga duecento reis. Sono cinque al banco: uno bianco, uno notte, uno oro, uno grigio tubercolotico e Mario... Sollecitudine! Sollecitudine!

Ma... guardai, oh i miei occhi nostalgici dello [ ieri questo spettacolo incantato del Corso! Rivissi, oh gauchos paulisti antenati! e oh cavalli dalla collera sanguinante!

Arancia dalla Cina, arancia dalla Cina, [ arancia dalla Cina! Avocado, mandarino e cambucà! Attenzione! Agli applausi dello spumeggiante [ clown, eroico successore della razza degli esploratori [ dei signorotti, biondamente domando un automobile!

Alturas da Avenida. Bonde 3. Asfaltos. Vastos, altos repuxos de poeira sob o arlequinal do céu oiro-rosa-verde... As sujidades implexas do urbanismo. Filés de manuelino. Calvícies de Pensilvânia.

Gritos de goticismo. Na frente o tram da irrigação, onde um Sol bruxo se dispersa num triunfo persa de esmeraldas, topázios e [ rubis... Lânguidos boticellis a ler Henry Bordeaux nas clausuras sem dragões dos torreões... Mário, paga os duzentos réis. São cinco no banco: um branco, um noite, um oiro, um cinzento de tísica e Mário... Solicitudes! Solicitudes!

Mas... olhai, oh meus olhos saudosos dos [ ontens esse espetáculo encantado da Avenida! Revivei, oh gaúchos paulistas ancestremente! e oh cavalos de cólera sangüínea!

Laranja da China, laranja da China, laranja [ da China Abacate, cambucá e tangerina! Guardate! Aos aplausos do esfusiante clown, Heróico sucessor da raça heril dos [ bandeirantes, Passa galhardo um filho de imigrante, Louramente domando um automóvel!

Mario de Andrade

(Primo maggio seguito da Il pozzo, Edizioni del Vascello, a cura di Andrea Ciacchi)

1 Stile architettonico portoghese

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ZONA FRANCA

Da settembre 2013 a luglio 2014 avete letto in queste pagine conclusive quello che – fra di noi – usiamo chiamare “l’articolo”. Ebbene: abbiamo deciso di trasformare questo spazio, ed il titolo che vedete poco più in alto vi avrà già fatto capire. Vogliamo liberare quest’area e renderla una zona franca, dove fare apparire “l’articolo” o una poesia più lunga del solito, un racconto o una qualche sperimentazione ancora da progettarsi. In ogni caso speriamo che l’idea, ma soprattutto quello che qui leggerete, vi piaccia!

le parole possono spennarti, lasciarti nudo, le tue belle penne splendenti andate.

INTERVISTA A MICHELE CAMUSSO1, PITTORE E POETA di Silvio Magnolo

Quello che ho più apprezzato fin da subito di Michele, come persona oltre che come artista, è stata la sua voglia di aprirsi senza paura, di mettersi “a nudo”, come recita il titolo stesso della sua raccolta di poesie. E come dare torto a “coincidenze” semantiche e umane così perspicue?

Tutto ha inizio circa un mese fa, quando vado all’ultima giornata dell’Arte Fiera di Genova – ormai tappa gioiosamente obbligata – e mi metto come mio solito a osservare quadri e autori dei quadri, con lo sguardo molesto e scavatore di chi, prima o poi, attacca discorso alla prima occasione buona. È lì che conosco Michele, e i suoi quadri. Recito nel tempo record di mezzo minuto la parola magica: “Poesia”. Poesia? Ah, anche io! E inizia tutto. Mi dà il suo libro, lo leggo, gli chiedo. Vedo i suoi quadri, vedo Genova, i vicoli, vedo San Matteo tutta colorata, e mi piace immediatamente questa freschezza di mosaici, questo colore che non sta fermo. Questo colore che ricrea le cose come gli pare. “Quel giorno si vuole che il Mondo torni a colori, stufi di viverlo nei toni del grigio”, scrive Michele nella introduzione di “A nudo”. È stato proprio così per me quel giorno all’Arte Fiera. Perché continuare a guardare e riguardare, dire “ah, bello” e poi, nel silenzio, tornarsene a casa con quella comoda sensazione di bellezza spenta? No. Bisogna parlare alla gente. Dire ciò che si pensa ai diretti interessati. Chiunque essi siano. Questa è Umanità, questa è Arte: un offrirsi al prossimo, un mettersi “a nudo”, come fa Michele in questa intervista che ho voluto fargli dal vivo e che qui trascrivo2:

Caro Michele, raccontami della tua storia con la poesia.

A scuola per me la poesia era una cosa inarrivabile, anche abbastanza incomprensibile. Quando ho iniziato a scrivere poesia più o meno avevo diciannove anni. Io ho un fratello, più grande di me, siamo nati a Recco tutti e due... Ho vissuto per trent’anni in Piemonte, ma venivo sempre giù nel periodo estivo... A diciannove anni rimanevo a casa da solo, non avevo più quell’interfaccia, anche conflittuale, che si ha coi fratelli. Ero sempre in ritardo, i miei problemi erano sempre più futili dei suoi, più “infantili”. E quindi ho trovato sfogo – non avendo più uno sparring partner – nella poesia, sempre per sentimenti piuttosto pesanti. Per me la poesia è molto intimistica.

Quanto il sentimento influisce su ciò che scrivi e dipingi?

Direi che sono una persona molto semplice, lineare, malgrado sia complicatamente semplice. Non ho peli sulla lingua. Nella prima

1 Michele Camusso nasce a Recco nel 1969 ma da subito viene portato ad Asti dove frequenta le scuole dell’obbligo ed il Liceo Scientifico F. Vercelli. Si laurea a Torino presso il Politecnico in Ingegneria Meccanica nel 2000.

2 Ho scelto consapevolmente di trascrivere in diretta le parole di Michele. Non ho praticamente apportato modifica alcuna al suo parlato, nella convinzione che questa “ablazione di filtri” possa dare più risalto al vero e al vivo della persona, più calore all’“umanismo” dell’incontro, e rendere maggiormente fede all’artista.

mostra che ho fatto, da una parrucchiera [ride], nel 2007, mia moglie mi dice – “hai avuto coraggio a esporti”. Io in realtà non mi vergogno di nulla di quello che sono, quindi non ci avevo neanche pensato. Per me il sentimento è tutto: sentimento ed emozione sono quello che ci distingue. Tanti dicono l’intelligenza. L’intelligenza ci permette di esprimere il sentimento, secondo me. Non è detto che basti l’intelligenza da sola per essere un uomo... Intendo dire umano.

Parlami un po’ di te, cosa fai ora e che progetti hai.

È la domanda più impegnativa che tu mi possa fare, perché in realtà ogni giorno cerco di capire chi sono. Io ho studiato allo Scientifico, ad Asti, poi al Politecnico di Torino, Ingegneria Meccanica, indirizzo“Veicoli Terrestri”. Dicevo: la mia creatività verrà sicuramente soffocata. Capisco i miei, loro volevano crearmi un futuro più sicuro, ingegnere, sicuramente lavori guadagni ecc. Mi definiscono “tuttologo”. So un po’ di tutto, ma non so mai niente al cento per cento. Penso che sia una pigrizia che ho, ma anche la volontà di non farmi condizionare. A volte ci vuole qualcuno che provi, anche nell’ignoranza o nella fantasia, a dire – “proviamo a fare diversamente”. Io mi considero un pittore naif, primitivo. Condizionato anche un po’ dal mito del fanciullino di Pascoli... Se riesci a mantenere quella parte di te, pura, di ingenuità, ti si apre un mondo di fantasia che è infinito. Non mi fermerei mai. Per me è sempre un inseguimento verso quello che sta arrivando.

[Lo molesto con una domanda fuori programma] Tu nel libro scrivi “cerco di muovermi verso la luce”, cosa intendi esattamente?

Dove c’è luce c’è oscurità, l’oscurità è la parte che mi opprime, mi toglie il fiato, mi toglie i colori. Io vivo di colori. Mi sono licenziato nel 2006 perché mia moglie mi ha detto – “stai diventando un uomo grigio” – [fa una pausa]. Penso... Una settimana dopo mi sono licenziato [ride] non ho resistito tanto. Non riuscivo più a dormire. Pensavo solo al lavoro, allo stress. Era forse un mio modo sbagliato di approcciare il lavoro: sono regole che mi impongo da solo... La poesia è la parte più oscura di me, la pittura invece è la parte più chiara.

Mi sono piaciute le tue poesie “A nudo”, le ho trovate limpide e sincere. Hai intenzione di continuare a fare poesia?

Sì. La poesia è una terapia per me, come per qualcun altro può essere lo yoga, la preghiera. Direi proprio un’esplosione dell’anima, una cosa che non riesco a tenere dentro [fa una pausa]... un tempo mi vergognavo, avevo il mio solito diario da adolescente, dove scrivevo le mie poesie, le stesse che hai visto nella mia pubblicazione “A nudo”... però era la parte più intima, svelarla era un po’ come togliere un’armatura a un cavaliere, renderlo vulnerabile... la società non ti permette di essere vulnerabile, perché ti ferisce subito. Già dall’asilo... C’è una natura morbosa nell’uomo. Adesso io sono questa persona. Posso anche risultare con due facce, però è sempre la stessa persona. Abbiamo il chiaro e lo scuro dentro di noi; la poesia essendo lo scuro di solito è un malessere che viene fuori: se tu lo tenessi dentro finirebbe per essere un tumore, un cancro dell’anima, magari anche del corpo.

Semplice ma brillante la poesia di Michele, ben calibrata e mai lasciata del tutto in balia del mero vibrare dei sentimenti. Una poesia che riflette il suo essere. Commovente e dal sapore ungarettiano il primo componimento, “Incontri”, che riporterò qui a epitome significativa della raccolta “A nudo”.

INCONTRI di Michele Camusso

Nuovi visi sconosciuti attorno si muovono.

Dalla nebbia venuti ad essa diretti privi di lascito.

Tu, fratello, il sentimento ti smaschera mio gemello.

Le stesse rughe,

i nostri occhi riverbero di dentro.

Addio, fratello.

Non parole inutili ma molto è il vederti.

Non siamo soli noi incurabili.

Continuiamo a seguire la luce fuori da questa polvere lattea.

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