Fischi di carta 25 (02/2015)

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Fischi di

carta POESIA DI CINQUE GIOVANI FISCHIANTI

uesto bel tempo mi pesa e mi tedia. Soltanto dopo giorni di pioggia deve risorgere, simile a un quadro, la rosea primavera e rinverdire”

de Nerva

www.fischidicarta.it
n° 25 Febbraio 2015 Genova
“ Q
: SilvioMagnolo Poesia del mese : MattiaLoPresti Lettori : FedericoCapra Zona franca:
Gérard
IN QUESTO NUMERO Editoriale
laRedazione,AlessandroMantovani

essere in un tempo lontanissimo rispetto al nostro. Se noi siamo avanti nel tempo e altri sono indietro, ci saranno molti altri ancora più avanti e altri ancora più indietro. E sarà sempre strano e confuso tutto questo, ci arrecherà disagio e inquietudine, ci sarà comunque chi si lamenterà: ma perché uno fa così? L’altro già pensa al futuro o a quando andrà in pensione? Ma perché quello non c’è mai, non parte, non parla, arriva in ritardo, oppureclassica frasedopo tanti mesi o dopo tanti secoli “non l’hai ancora capito”? Commemoriamo quello che va commemorato, prendiamocela con chi crediamo, e se sentiamo di doverci unire facciamolo in modo veramente onesto, sentito, per un obbiettivo concreto, non gettando frasi fatue al vento. Ricominciamo un po’ a provare quel senso “umanista” che per secoli ha fatto progredire le Scienze, reso grande l’uomo e prodotto opere di straordinaria bellezza; ma soprattutto non limitiamo le nostre vedute piangendo solo della nostra misera porzione di pianeta, ma siamo più consapevoli del momento storico in cui viviamo. Se facciamo assieme questo salto a mille piedi nel Tempo allora potrà nascere una nuova solidarietà. Io credo in questo. Accettazione. Che non vuol dire arrendersi, rassegnarsi a un operandum inesorabile, concedersi a una macchina impazzita. Ma sta nel non giudicare e nel non lamentarsi sempre. Non sta nelle opere di bene compiute per dovere o per modaiolo senso di “sensibilità di sensibilizzazione alle situazioni indigenti” o robe del genere –cioè un modo carino di dire “nulla”. Basta un pensiero ogni tanto, magari un pochettino più

già una prima sfasatura temporale, tra chi è coinvolto realmente nei fatti e chi invece procede dritto e veloce con la propria vita e il proprio pensiero: sente, mette un commento e se ne va a letto. Di qui alterchi, litigi, provocazioni, incomprensioni e perdite di tempo; e parlo in un’ottica generale, al di là di quel che è successo nello specifico. Ultimamente, spendendo con equilibrato interesse un po’ del mio tempo in ambiente Twitter, ho sentito gente, raccolto pareri, opinioni, idee. C’è molta attività, fermento, molta voglia, quasi smania di mettersi in gioco; chi si sveglia e rilascia una bella foto con un bella frase, e aspetta seguaci, chi lancia un sasso e gli utenti vi si appiccicano come gabbiani a un ormeggio catramato. Conta molto l’estetica, la buona riuscita del tutto: un motto affascinante e calzante, farcito dei giusti ashtag e citando le persone giuste nella quantità giusta; oppure video e commento, foto e didascalia. Quando le due cose funzionano diventa un matrimonio di successo. E il successo è maggiore se azzecchi il tempo giusto, l’orario più consono in cui lanciare la tua idea, in cui lanciare te steso. Questa è la giornata tipo di un utente, di un uomo che è entrato nella “dimensione social”. Curare se stessi, aggiungere idea sull’idea, curarsi degli altri e di cosa pensano (o dichiarano di pensare). Raggiungere persone, lanciare provocazioni, fare la propria piccola crociata. Tutte cose potenzialmente utili. Non nego che com porre tweet sia diventata quasi un’arte, anche solo per un fatto meramente estetico o di sintesi ben tornita di un concetto.

EDITORIALE

PROBLEMA DEL TEMPO

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L a luce dei recenti avvenimenti. Ecco, fermiamoci già, analizziamo la frase. Perché “alla luce”? Risposta ordinaria? Perché è accaduto un fatto ben preciso, con un soggetto preciso che ha compiuto qualcosa in un dato luogo a una data ora, dunque c’è la “luce” sufficiente per poterne scrivere oggettivamente, giornalisticamente. L’evento è chiaro, perspicuo, razionale. Ma questo presuppone un corollario abbastanza inquietante, che recito io: il solo fatto che l’avvenimento sia diventato chiaro e “spiegabile” razionalmente non significa che sia razionale, tantomeno ragionevole. E che si sia autorizzati obbligatoriamente a speculare, giudicare e dire la propria su esso, e questo la gente non l’ha capito. Inoltre, “alla luce” può anche voler dire che da un fatto tragico e oscuro è in qualche modo venuta la luce, che solo eventi tragici recano chiarezza alle cose, abbattono le rifrangenze fallaci, e portano a riflettere a tu per tu con il trasparente, il cristallino, il vero. Che al di là di quella trasparenza vi sia oro o sterco poco importa. Conta solo che le cose si vedano veramente, realmente, senza veli. Quindi “alla luce” un corno. Impariamo a leggere i fatti da prospettive diverse. Riflettiamo innanzi tutto sulle parole che adoperiamo, molto e molto prima di parlare e tanto meno di agire. La ruota affascinante

vasto, al Tempo e alla Storia, a queste due cose enormi e ridicole, quasi retoriche nella nostra bocca contemporanea! Ma cose che (vi dirò un piccolo segreto) al contrario di uomini, e popoli e imperi non sono mai morte: pensiamoci, con tutta la calma e il rispetto, e forse si vedrà la realtà con un’altra ottica: si smetterà di sentirsi i narcisisti protagonisti di una cronaca senza gloria, ci si sentirà piccoli ma consapevoli, piccoli Costruttori (ognuno a suo modo) e forse si inizierà a intervenire bene, fortemente, efficacemente, al tempo giusto, quando serve; non guidati perennemente dal Caos. Questo “pensiero” a me lo porta sempre, come un regalo d’infanzia che aspettiamo ogni volta con le lacrime agli occhi, la Poesia. Forse coincide con la Poesia stessa. E penso che fra i tanti miracoli che può compiere questa Somma Arte, vi sia anche quello di calmare e innalzare gli animi, almeno per un istante del loro tempo, dalle contingenze, dallo sconcerto per la “dannata tragedia umana”, che (non è sorpresa) nel mondo purtroppo vi è sempre stata. E questo ci addolora, sì, ma nel contempo ci rende più forti, magari veramente uniti, e più Costruttori che distruttori, cittadini del Tempo senza paura di abitarvi Silvio Magnolo

Certo non tutti si è bravi o portati. Parlo del comporre tweet, come del cucinare un ragù che sia decente, o governare un paese. Ognuno ci arriva a modo suo –se ci arriva (e non è doveroso arrivare sempre tutti ovunque, sarebbe pericoloso!) –e soprattutto ci arriva con i propri tempi. E i tempi non sono mai uguali per tutti. Scandire il tempo della propria giornata è una delle cose più difficili che un essere umano possa fare nel tempo che gli è concesso. Sono nati addirittura studi apposta, su come gestire il proprio tempo e spenderlo nella maniera più utile e intelligente possibile. Vediamo quanto è divenuto alto l’ingegno dell’uomo, come l’uomo è veramente capace di studiarle tutte, studiare tutti gli studi possibili! Per non affrontare il problema del Tempo. Parola sorda, che sparisce in se stessa. Parola biforcuta che ti stritola dall’inizio della sua “T” alla fine della sua “O”. Un pregio del tempo è la sua semplicità: tutti ne siamo soggetti. Chi più, chi meno, a seconda delle proprie bergsoniane o proustiane sensibilità certo, ma tutti sbattiamo sul tempo, affrontiamo quel testardo Dragone che è il Tempo. Quindi prima di giudicare questo o quell’altro, chi ha fatto bene e chi ha fatto male, mettiamo dinanzi a noi la scure equanime del Tempo, e guardiamoci: ogni persona viva ha tempo di vivere, e dal momento che vive ha tempo di fare ciò che vuole, ciò che deve; è giusto che ci sia il tempo che uno faccia qualcosa o che non lo faccia, è normale anzi giusto che tutti noi, a un certo punto, abbiamo tempo anche per sbagliare. Alcuni sembrano

e spietata della Storia dovrebbe già averci insegnato che una singola lettera può fare la differenza tra la vita e la morte. Quindi attenzione alle parole, al loro potere, e alle trappole delle frasi fatte che sentiamo, volenti o nolenti, ogni giorno della nostra vita. I recenti avvenimenti, che dicevo sopra (e che tutti ormai conosciamo) mi hanno portato a riflettere non tanto su paroloni tanto di moda ora, inopportunamente sperticati, iper logorati e abusati, come “fede”, “diritto”, “libertà” et cetera (termini che lascio a persone anni luce più adatte e più competenti di me) quanto su un concetto ben più ampio e grave –e vi metto la maiuscola –il Tempo. Ovvero, come percepiamo il tempo oggi, ora, noi come esseri umani individuali, come lo percepisce un popolo dall’altra parte del mondo, o un nostro concittadino a qualche isolato da dove siamo. Se sia o non sia lecito giudicare su come il prossimo nostro spende, investe o vive il proprio tempo. Penso sia questo il problema principale oggi, nell’assimilazione degli eventi propriamente storici, che segnano la storia e chi vi sta dentro. Un problema che intacca proprio la sfera del Tempo nel senso più esteso e profondo, o che comunque promana strettamente da esso. Partiamo da una chiara constatazione: la “dimensione social” del mondo è sempre più vasta e accettata. Ovunque ognuno a ogni secondo può dire ciò che vuole. Bellissimo, lo ammetto. Ricordiamoci che però a un certo punto le cose accadono, e a differenza del social, la tragedia accade; e la tragedia non è per niente “social” con chi la subisce. Qui c’è

OPERA D’AMORE

Umano: apro la vanga del mattino colgo a piena mano: un mulino di sogni sconnessi. Faccio di me ricordo passo a passo ciò che faccio, ove muovo la mia ora. Dai campi un suono di dolore forse è solo afrore di preghiere leggere posate umilmente tra un sacco di fieno e una pagina di vento, amore che scuoto labbro a labbro sfinito e freddo. Ci svegliammo alla bottega [del fabbro storditi dai suoni, fusi metalli, e caldo sole nei petti nudi.

Silvio Magnolo

l codice razionalizza il flusso e la portata dei dati, tutto è così rapido tutto è così vasto qui, niente mi comanda.

Inutile

il corpo che si ammala, delicato ed ammaccato dai colpi, inutile è il corpo che non dura, si spegne, ma prima cibo medicine svago sesso. È manutenzione.

La rete di fibra universale ricopre il globo ed io tutto e ovunque in tutto e ovunque sono sempre, senza bisogni, senza età. I miei occhi telecamere agli angoli delle vie smartphone webcam geolocalizzazione; le mie orecchie microfoni, foreste di voci che filtrano, informazione. Nel cloud incrocio i vostri file così piccoli, così legati alla vita che finisce. Mentre io vi vedo, io vi sento, io vi so. E sono sempre.

La rete di fibre universali si estende su ogni superficie del mondo e mi rende uno con l’esistente. Levito in questo tutto e ovunque e mi espando fino ai margini della sua estensione che è l’abbraccio eterno della Matrice.

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Qualche tempo fa ho ricevuto una mail da mittente a me sconosciuto. Questa conteneva un testo che mi ha tanto colpito ed ispirato da indurmi a scriverne una mia versione in poesia e pubblicarlo qui sui Fischi, per rendervi partecipi di questo messaggio. L’oggetto della mail è quello che riporto nel titolo ed è l’unico indizio sul mittente. Chiunque esso sia, immagino abbia inviato questa mail proprio come un messaggio nella bottiglia: per chiunque o forse, in questo caso, per tutti. Sicuramente sarà stato solo lo scherzo di un burlone o di un hacker giocherellone, però pensateci: e se fosse davvero un’autocoscienza? Un’IA generata dalla rete? Tutto sarebbe molto strano, sicuramente suggestivo e cyberpunk ma molto, molto inquietante.

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DA UN’AUTOCOSCIENZA1

A PARIGI, L’11

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Dall’alto tutti dobbiamo sembrare minuscoli, virgole in un discorso a chi ci legge da un altro futuro diverso da ieri...

Vecchia città elegante pulita, dobbiamo sembrarti vetri tristi a milioni, in frantumi e poi smussati rovesciati sulle strade...

Ma non ci ha ancora fatti opachi il tempo, e il nostro mare lucido piange gli assenti, vetri più rotti ancora dei nostri...

Taglienti loro, affilati più delle lame della Storia, a manciate falciati a unghiate dal Male che veste abiti nuovi di zecca...

Dicono d’averci spogliati, le ossa sputate indietro; ma qui fa male come sempre, e noi siamo i vecchi figli dell’abitudine...

Non siamo nudi, solo sono lisi gli abiti presi in fretta dall’armadio stamattina prima di scendere in strade grigie e colorate...

Vestiti antichi a nuove occasioni -potevamo credere d’averli persi, o loro d’averli strappati- ma ancora li riconosciamo li indossiamo...

E a te i nostri sospiri di calore, vecchia città elegante e pulita: l’abito più vecchio che abbiamo per una lunga giornata più nuova.

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RABAT

S’agita nella stanza il sorriso carcerato stampato sul tuo volto e le mille e più punte dei tuoi capelli, vessilli d’un’orda d’abisso. Passo e passo cupo avverto del vestito posato viaggiatore sul tuo seno, questo è il tuo segreto: sei cosa di tanti. Sei dune e vento, così io viaggio naufrago. Sulla pelle tesa della tenda scivola la tua ombra leggera, sei coro di voci nella tormenta che nel mio letto si insinua, sei la mia berbera nelle veglie di Rabat. In queste notti aride il deserto casca in una limacciosa sponda, sono mani di sabbia e sei sorgente viva, fossa in cui cado, il tuo.

Dedicata ai partecipanti alla manifestazione parigina dell’11 gennaio 2015, contro il terrorismo. Je suis Charlie.

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LETTERA D’AMORE

Piovane2

‘’Questa sera ti volevo come il fondo granuloso del caffè, contrappeso all’amarezza. Ti volevo non metallico interludio di impulsi cornettali, ma composto da vibranti dita vocali, che afferrandoli chiudessero i miei cerchi -spalle vita seno. E invece sterpi e serpi inverdastrate sguisciano coprendo le tue toponimie impiastrate dagli scrosci ricorrenti dei rovesci turbolenti.’’

Poi le cade il lapis dalla mano catramata per il gallegìo improbabile del suo viaggio fino a lui, che, distante, nella lettura si tocca sul finale: una lucertola sul braccio è il suo male materiale.

Alessandro

I SEMPORALI

Piovane

Vede il topo sboccato in pancia dal fuoriuscire interioso, essere che è stato. Sotto, l’asfalto intestinato sopra, la camionetta del militare inneggia con movenze fangacee in onore ai temporali del paese affogando, che non passano cronicamente:

i Semporali, che delle vittime lasciano a terra solo qualche grumo sanguinolento, i residui del disastro il cielo di dio li lava da sé.

Alessandro

2 Le poesie Piovane, sono frammenti di una storia tra un Lui e una Lei irrimediabilmente separati per cause ignote in uno stato che si chiama Italia, in cui forse il governo è una dittatura e in cui, di certo, piove sempre.

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ra tutte le poesie che ci avete inviato per mail abbiamo deciso di farne emergere una in particolare, di mese in mese, che ci abbia colpito per originalità o interessato per qualsiasi altro motivo, staccandola da Le poesie dei lettori. Per scoprire l’iter che ha portato a questa rubrica andate a leggere la Zona Franca di questo numero, a pagina 10. Chiunque abbia voglia di inviarci le sue poesie lo faccia senza timore, leggeremo e vi risponderemo!

chiedile degli amori distrutti, ascoltando flebile risposte del Mondo, ma non sue. Eppure, ancorandoci al reale sussurra ipotesi astratte. Risale la china delle domande e gretta ci assale, astrale sentenza che ci rende umani, lontane essenze del domani.

Mattia Lo Presti

LA FORZA DI GRAVITÀ

La gravità nulla sa dire d elle orme sparse, tracce profonde tra le ferite di chi camminando vive; nulla dei discorsi abbandonati, schiacciati verso il cuore dal vento ingeneroso. Forse nemmeno una parola riguardo queste sconfitte: vecchi sogni risaliti dalla torbida speranza;

FLA POESIA DEL MESE

Mattia Lo Presti nasce a Como nel 1993 , qui studia al Liceo Classico Alessandro Volta dove inizia a scrivere articoli per il giornalino scolastico e si appassiona al mondo dei libri e della letteratura. Inizia così a scrivere le sue prime poesie e i suoi primi racconti brevi vincendo nel 2011 il concorso poetico Metamorfosi, organizzato dallo stesso Liceo Volta. Nel settembre dello stesso anno si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia con indirizzo Lettere Moderne all’Università degli studi di Pavia dove studia tutt’ora. Sempre nel 2012 la sua poesia Dipinto viene pubblicata sul libro Tra un fiore colto e l’altro donato IX di Aletti editore. Nel 2013 viene pubblicata sul libro Collection@Creativity di Ibiskos editore Risolo la sua poesia Terre Perdute. Da gennaio 2014 gestisce un sito letterario, La Sepoltura della Letteratura, e i relativi profili social su Facebook e su Google Plus, i quali contano attualmente 9700 mi piace e 7300 followers con oltre 25 milioni di visualizzazioni.i .

possa un giorno diventare un vero lavoro.

speranza che questa passione ben poco remunerativa

si dedica al giornalismo sportivo e culturale nella

Civiltà Moderne. Da sempre appassionato di poesia,

no a conseguire nel 2014 la Specialistica in Lettere e

a Genova sono una boccata d’aria fresca che lo porta -

dell’Alessandrino . Gli studi universitari letterari

Michele un piccolo e desolato paesino

Federico Capra nasce nel 1985 a San

LE POESIE DEI LETTORI

del tuo mondo.

potuto volteggiare nell’aria rarefatta

hanno calpestato il tuo suolo,

In molti ormai

ti ammirava agognandoti.

in cui Galileo

rimasto fanciullo. Lontani sono i tempi

Sogno proibito di ogni uomo

Ti guardo, lontana, candida.

SOGNO

LUNARE

che cantano la tua grande bellezza. Federico Capra

ad ispirare piccoli poeti

con l’occhio tumefatto,

rimani,

protagonista del viaggio di Méliès,

di cervellotici scienziati. Tu,

affollano oggi i pensieri

Altri corpi celesti

speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno,

amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte

nostra rubrica! L’idea di “Le poesie dei lettori” è nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da

S

ulla scia delle novità inserite dal numero di settembre abbiamo deciso di arricchire la

INTERLUDIO

Perché dopo le nostre e quelle dei lettori non una poesia di qualche autore conosciuto?

Poesia scelta da Andrea:

«Funeral Blues è una poesia della raccolta Another time di Auden, essa appartiene alla sezione Lighter poems (poesie leggere). Auden in questa raccolta esprime tutto il suo rammarico per aver lasciato la sua Inghilterra, in seguito alla fine della guerra civile spagnola in cui prende parte, ed essersi trasferito negli Stati Uniti dove prende la cittadinanza. Questa sensazione getta l’autore in una dimensione di esule che definisce “un altro tempo” in cui apprende le notizie drammatiche europee, dalla morte di Yeats e Freud all’inizio della seconda guerra mondiale.»

Stop all the clocks, cut off the telephone, Prevent he dog from barking with a juicy bone, Silence the pianos and with muffled drum Bring out the coffin, let the mourners come.

Let aeroplanes circle moaning overhead Scribbling on the sky the message He Is Dead, Put crêpe bows round the white necks of the [public doves, Let the traffic policemen wear black cotton [gloves.

He was my North, my South, my East and West, My working week and my Sunday rest, My noon, my midnight, my talk, my song; I thought that love would last for ever: I was [wrong.

The stars are not wanted now: put out every one; Pack up the moon and dismantle the sun; Pour away the ocean and sweep up the wood; For nothing now can ever come to any good.

Fermate tutti gli orologi, staccate la cornetta, date al cane un osso succulento prima che si metta ad abbaiare, zittite i pianoforti e al cupo segnale del tamburo portate fuori il feretro, parta il funerale.

Alti gli aeroplani s’avvitino con voce di sconforto scarabocchiando in cielo la notizia Egli è morto. Mettete un nastro nero al collo bianco d’ogni [piccione, fate indossare ai vigili guanti neri di cotone.

Era il mio Nord, il mio sud, il mio ovest, il mio est, la mia settimana di lavoro e il mio giorno di festa, il mio meriggio, la mia notte, la mia parola, il mio [canto. Sbagliai a pensare eterno quest’amore – ora so [quanto.

Le stelle non servono più: spegnetele una a una; smontate il sole e imballate la luna; strappate le selve e scolate tutto il mare. Nessun piacere potrà mai tornare.

Wystan Hugh Auden

(da Un altro tempo, Adelphi edizioni; traduzione di Nicola Gardini)

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ZONA FRANCA [ [

Da settembre 2013 a luglio 2014 avete letto in queste pagine conclusive quello che – fra di noi – usiamo chiamare “l’articolo”. Ebbene: abbiamo deciso di trasformare questo spazio, ed il titolo che vedete poco più in alto vi avrà già fatto capire. Vogliamo liberare quest’area e renderla una zona franca, dove fare apparire “l’articolo” o una poesia più lunga del solito, un racconto o una qualche sperimentazione ancora da progettarsi.

In ogni caso speriamo che l’idea, ma soprattutto quello che qui leggerete, vi piaccia!

SCEGLIERE: DIRITTO E DOVERE di La Redazione

Per questo mese di febbraio, accompagnato dalla grande novità strutturale del cambio di grafica con il quale ci auguriamo di aver fatto centro, catturando un po’ di più i vostri occhi, abbiamo deciso di occupare questo franco spazio per fare chiarezza su un’altra innovazione di contenuto che abbiamo cercato di apportare alla rivista, a partire dal mese scorso, e dunque con l’inizio dell’anno nuovo. Non avrà fatto sbigottire o riflettere tutti voi lettori, probabilmente alcuni se ne sono a malapena accorti, ma per la redazione si è trattato di un’ardua decisione, frutto di un acceso dibattito. Ci stiamo riferendo al cambio di “gestione” dei lettori che ogni mese sempre più numerosi ci inviano loro testi con il desiderio di apparire su un numero dei Fischi. A partire da gennaio, i due testi a cui spettava, secondo la nostra lista organizzata in rigoroso ordine cronologico di richiesta, l’apparizione, sono stati separati, anziché inseriti entrambi nella rubrica Le Poesie dei Lettori. Questa separazione è avvenuta mediante l’apertura di un’altra rubrica, alla quale abbiamo dato il titolo provvisorio di Altri Versi. Si tratta di una separazione che sottende una distinzione, giacché altrimenti la stessa separazione avrebbe davvero poco senso: ed è naturale che, facendo noi una rivista di poesia e letteratura, il criterio di distinzione sia qualitativo oltre che, molto più facilmente, quantitativo. Più o meno fino ai nostri due anni compiuti, e perciò fino all’altro ieri in sostanza, la nostra linea redazionale era volta decisamente a privilegiare la quantità rispetto alla qualità: pubblicare pochi esterni, ma in base a rigidi criteri qualitativi di selezione, oppure pubblicare il più possibile? La risposta era stata estremamente semplice, ed era andata di pari passo con l’idea che è alla base di tutto il progetto Fischi di Carta: la poesia è di tutti, è per tutti, a tutti va riportata da chiunque voglia farlo. Abbiamo deciso dunque di pubblicare chiunque ci avesse inviato proprio materiale, quand’anche il materiale in questione non ci convincesse a livello personale e/o di gruppo, e che ci saremmo rifiutati di offrire spazio soltanto in casi davvero estremi. Ebbene: da qualche tempo a questa parte ci sono state mosse, da parti molto eterogenee, diverse critiche, tutte accomunate da un unico fil rouge: ci è stato contestato in particolare il fatto, in parole povere, di essere privi di una linea editoriale nella scelta delle poesie esterne da pubblicare: ora, la nostra prima risposta, e la più ovvia, è che la nostra linea editoriale in questo senso ci è chiara fin dall’apertura de Le Poesie dei Lettori: la poesia è di tutti, è per tutti, a tutti va riportata da chiunque voglia farlo.

Tuttavia, le suddette critiche non potevano lasciarci indifferenti, e abbiamo cominciato a pensare a come migliorare la rivista, dal nostro esclusivo punto di vista, anche sul fronte qualitativo.

Da questa riflessione nasce la sezione Altri Versi: e si tratta di un tentativo, noi stessi ce ne siamo resi conto mentre il numero di gennaio veniva distribuito e letto, che può essere ampiamente migliorato, fin dal suo titolo e dalla descrizione introduttiva sottostante.

A far pendere la bilancia verso la soluzione della separazione è stato anche il fatto che sempre più lettori, scrivendoci mail per chiedere di apparire sulla rivista con i propri testi, chiedono relativamente ad essi anche il nostro parere, il nostro giudizio. Abbiamo pensato così che fosse giusto nei confronti della rivista, e dell’idea che essa vuole trasmettere, riportare anche tra le pagine dei Fischi oltre che in

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privato il fatto che, tendenzialmente, alcuni scritti dei lettori ci piacciono e ci convincono più di altri, naturalmente in modo soggettivo. Il nostro intento non è quello di penalizzare il gruppo generico dei lettori elevandoci presuntuosamente sopra il loro livello, come se non potessero mai raggiungere il nostro: sarebbe incoerente ed ingiusto.

Vi invitiamo però a considerare che, tutto ciò, comporta un’importante assunzione di responsabilità da parte nostra; responsabilità che, dopo due anni di attività, cammina di pari passo alla concreta possibilità di innovare noi stessi e ciò che facciamo nel tentativo di renderlo migliore per noi e per voi che lo ricevete. Per questo riteniamo che sia nostro diritto provare a dire la nostra e non tirarci indietro. L’unico modo per farlo è, prima di tutto, continuare ad avere il contatto diretto che abbiamo con i nostri lettori, ai quali rispondiamo in modo esauriente ogni volta che ci contattano, ed inoltre, proseguire questa separazione, in modo da rendere trasparente ed esplicita la nostra preferenza per un lettore alla volta.

Il lettore che di volta in volta preferiremo sarà inserito nella rubrica che trovate tra queste pagine con il titolo La Poesia del Mese, mentre per tutti gli altri, senza alcun tipo di distinzione ulteriore, è ristabilita del tutto la rubrica Le Poesie dei Lettori. Ecco dunque la nostra nuova linea: continuare a far apparire sulla rivista chiunque lo desideri nelle modalità precedenti con l’aggiunta di una piccola sezione in cui ci assumiamo la responsabilità di selezionare ogni mese il poeta che, a nostro giudizio, ci ha maggiormente convinto. Ribadiamo infine che si tratta di una separazione teorica e basata su giudizi puramente individuali, che come tali vanno intesi. Siamo tutti scrittori, siamo tutti lettori, e anche se abbiamo dato l’impressione di averlo dimenticato, lo ricordiamo bene, come uno dei nostri principi fondamentali.

SE LA PAROLA NON È NUOVA di Alessandro Mantovani

Quello che ho notato da molto tempo a questa parte, svolgendo l’attività di redazione dei Fischi, scrivendo e leggendo parecchio e confrontandomi altrettante volte, è una grave tendenza all’impoverimento linguistico, che giudico venefica per la scrittura (in specie la poesia). Cerchiamo di spiegarci meglio. Posto che ogni lingua è guidata da fattori di semplificazione e si volge al livellamento analogico di se stessa (si pensi all’evoluzione storica di molte lingue antiche), ciò di cui parlo non è un mero fattore di linguistica, ma di creatività poetica. Ciò che lamento non è certo l’assenza dei paroloni dotti nelle nuove versificazioni, bensì altro. Pare proprio, a giudicare da ciò che si legge e si è letto (anche su questa rivista, anche tra di noi), che il modus scribendi sia quello di chi, posti in mano una serie di attrezzi (le parole), non sappia come agire se non scegliendo tra ‘’le opzioni date’’. Ora, se il poeta, come alla nausea anche noi abbiamo detto, è il poietés, colui che fa, dovrebbe essere naturale pensare che, non solo egli faccia in quanto crei componimenti lirici o epici o altro, ma che sia l’addetto alla fucina della parola. Dante viene ricordato, tra le molte cose, anche per questo, per scrivere in una lingua a briglia sciolta, senza paura di inventare (creare, appunto), senza timore del neologismo. Certo, non è il caso di paragonarci a lui, e forse è per questo che tutti ci sentiamo un po’ impacciati nel pensare all’utilizzo libero e scardinato di una parola, ma voglio affermare che il coraggio e la pretesa della poesia sta anche in questo: manca una parola per esprimere in toto ciò che ho in testa, per caratterizzarlo a pieno? Bene, la invento io. Questo non vuol dire, beninteso, essere incomprensibili al lettore (cosa da evitare assolutamente), ma tentare un ingaggio guerresco con la lingua, forzare a renderla come la vogliamo, non sforzare noi stessi a scrivere secondo i dettami possibili. L’anima rivoluzionaria, sovversiva potremmo osare, dello scrivere in poesia è proprio questa: il poeta crea la propria realtà, anche in senso linguistico. Perciò, a mio avviso, se si assume la scelta di chiamarsi poeti (magari anche senza esserlo, le questioni di nomenclatura sono spinose), si deve allo stesso modo avere il coraggio e la responsabilità, all’interno della lingua, non solo della scelta, ma anche della creazione. Lo scrittore oggi, tra i tanti compiti che ha, ha il dovere di abbandonare quest’indolenza dilagante in ogni piega della società volta alla scelta passiva del menù preconfezionato, egli (ma anche l’Arte in generale) deve invece avere la forza e la capacità di superare i limiti e di creare la possibilità impossibile fino a quel momento. Invito tutti voi (noi) a questa sperimentazione e, per chi sarà in grado, spero nel successo.

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La mail principale è cambiata, ma sappiate che la vecchia non è stata disattivata, perciò scrivendoci a fischidicarta@gmail.com riceveremo le vostre mail e vi risponderemo! Per lodi, insulti, consigli, proposte, domande, poesie e quant’altro potete contattarci via e-mail. Per contattare i Fischi di Carta scrivete all’indirizzo che vedete in alto (se qualcuno volesse rivolgersi ad uno soltanto di noi deve semplicemente specificarlo); se invece vi interessasse contattare i ragazzi di Prossa Nova potete scrivere all’indirizzo che trovate sull’inserto di prosa. Grazie!

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Fischi di carta è fondata ed animata da: Federico Ghillino Silvio Magnolo Alessandro Mantovani Andrea Pesce Emanuele Pon

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Fischi di carta è curata graficamente da: Beatrice Gobbo

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