Fischi di carta 24 (01/2015)

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Fischi di carta

Gennaio 2015 Numero 24

Poesia di cinque giovani fischianti

E se il poeta, massime il lirico, non è ardito nelle metafore, e teme l'insolito, sarà anche privo del nuovo. Giacomo Leopardi, una nota al testo sull'autografo dei Canti conservato a Napoli

Editoriale Cos'è la poesia?

La domanda posta nel titolo è una di quelle a cui rispondere è troppo difficile avendo la pretesa di trovare una verità che vada bene a tutti. Potremmo liquidarla dicendo che sia una questione soggettiva, ma sarebbe una risposta eccessivamente semplificatoria, ed in quanto tale insincera nei confronti di ciò che è, dunque errata.

In questo editoriale voglio esporvi la mia riguardo questa faccenda, e soprattutto smentire una verità (che in realtà si smentisce da sola se si guarda alla letteratura del passato) che oggi dilaga. Non penso di vaneggiare affermando che, se andassi per le strade ponendo la domanda del titolo ai passanti, una delle risposte più frequenti sarebbe: «Una forma d'arte che permette alle persone di esprimersi in modo diretto e sincero, parlando dei propri sentimenti» o qualcosa di simile, detto più o meno così. Avete capito cosa intendo. Questa risposta a prima vista sembra essere giusta e, sicuramente, rispecchia la poesia maggiormente diffusa oggi; si può affermare senza tentennamenti che una grande fetta delle poesie apparse su questa stessa rivista corrispondano alla definizione che vi ho proposto come la più comune. Fin qui nulla da eccepire. Il sottile problema – che forse non si nota quando si sente pronunciare la risposta alla fatidica domanda –è uno soltanto: che la poesia oggi più diffusa sia lirica è una verità da avere chiara in testa, ma La poesia più diffusa è lirica non deve assolutamente diventare La poesia è lirica, cosa che sembra accadere sempre più spesso. Spero che a nessuno sfugga l'enorme differenza fra le due frasi: la prima ammette altri generi di poesia pur dichiarando che il più diffuso sia quello lirico. La seconda no, dice che la poesia è esclusivo lirismo, non altro.

Il problema è che pochi risponderanno alla mia domanda così: «La poesia è una forma d'arte varia, che può parlare delle cose fuori di noi, del rapporto fra queste e la nostra interiorità, esclusivamente della nostra interiorità, ma può anche raccontare storie, descrivere ed avere tante forme diverse», che sarebbe sicuramente una risposta più veritiera, più sincera. Il problema è che, guardandomi attorno, mi sembra che tantissimi siano quelli che intendono la poesia solo come lirismo e che accettano con difficoltà – o, peggio, rifiutano – la possibilità di una poesia di altro tipo, tra cui individuo tra i più “disprezzati” la poesia narrativa o la poesia prosastica (o prosaica che dir si voglia).

Buffo. Davvero buffo. Dico che lo trovo buffo perché se penso a certi libri su cui si fonda la nostra cultura (non dico capolavori perché non avrebbe senso: ormai hanno trasceso questa condizione e sono entrati nell'inconscio collettivo occidentale) come possono essere Iliade ed Odissea, poi l'Eneide – che chiude la “trilogia delle nostre origini” –, oppure se penso alla Commedia, mi vengono in mente dei libri che contengono tanto, tanto nel modo più ampio che possa intendersi. Contengono l'uomo, con tutte le sue sfumature. Contengono la società, con tutti i suoi casi e le sue inaspettate condizioni. E contengono storie, belle, da raccontare a chi non le sa, perché ne vale proprio la pena. Un sinonimo di raccontare è narrare, dunque vi rendete conto di come queste quattro opere immense che vi ho citato poco fa siano opere anche narrative, e lo siano pur essendo poesia.

Considerando l'enormità di Iliade, Odissea, Eneide e Divina Commedia, se avessi pensato che la vera poesia fosse solo lirica, mi sarei già ricreduto, ma se non vi basta vi faccio un altro esempio, riagganciandomi tra l'altro a ciò di cui parla Amelia nello scorso editoriale di Prossa Nova Il Fantasy. Oggi è tanto diffuso, ci piace, lo leggiamo e si espande – parte dalla letteratura ed invade fumetti, film, videogiochi eccetera –. È un genere molto complesso, ma, semplificando senza voler essere maligni, possiamo dire che chi ha reso davvero celebre il genere Fantasy nel nostro tempo moderno è stato un signore inglese: John Ronald Reuel Tolkien, e chi non lo sapeva (me compreso) l'ha imparato sulla poltroncina del cinema – o, dopo, a casa – da Peter Jackson grazie alla sua trilogia del Signore degli Anelli. Dirò una banalità imbarazzante ora, ma meglio essere chiari: tutta la roba che John Ronald Reuel ha messo nei suoi libroni (che scrive in prosa) non se l'è inventata tutta lui.

L'ha presa da tanti spunti di tante epoche e tanti posti diversi. Per esempio l'ha presa dalla canzone di gesta (o chanson de geste) e dal romanzo cavalleresco. Per la canzone di gesta ricorderò un solo nome: la Chanson de Roland. Per il romanzo cavalleresco vi dico due autori: Chretien de Troyes e Wolfram von Eschenbach, per partire proprio dai primi più famosi. Poi Tolkien non sarà stato certo sordo a Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e a Torquato Tasso. E nemmeno ai grandi poemi come l'Edda (che venne scritta in prosa e poi in poesia) o la Canzone dei Nibelunghi.

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Ora non sono qui a sciorinarvi le fonti di Tolkien (se volete saperne di più rivolgetevi a Wikipedia), ma vi ho citato tutti questi scrittori ed opere per poi dirvi che Tolkien, che scrive i suoi romanzi in prosa, si rifà a testi che sono enormi narrazioni raccontate in versi. Dunque nella poesia c'è tanta di quella narrazione che non riesco a comprendere chi si oppone o comunque non sente come vera poesia il verso che racconta. Ora qualcuno mi dirà «Ma scusa, mi dici di tutta questa poesia e poesia, e poi Tolkien scrive in prosa. C'è qualcosa che non quadra.», e qui tocchiamo un altro punto di vista della stessa questione che ho esposto all'inizio.

Oggi questa evoluzione (involuzione?) della poesia, che da grande contenitore, come era anticamente, si restringe ad espressione prettamente lirica, va di pari passo ad un altro fenomeno, e vi riassumerò tutto in questo modo, scientificamente: poesia : lirica = prosa : narrativa (leggasi la poesia sta alla lirica come la prosa sta alla narrativa). Mentre la poesia è sempre più intesa come lirica, la narrazione viene totalmente assorbita dalla prosa; quindi mi risulta comprensibile che le nuove generazioni (che, come ogni generazione, anche se studia il passato, vive il proprio tempo) crescano entrando in questa ottica stringente e che – se si metteranno a scrivere, anche solo per se stessi –avranno un orecchio che troverà stonato accordare la narrativa ai versi o, viceversa, un esclusivo lirismo alla prosa.

Se andate su Youtube e cercate “Edoardo Sanguineti parla della sua poesia sin dalle origini” potete vedere un'intervista a Sanguineti risalente al 2006, nella quale lui, dopo aver parlato del vero spirito delle avanguardie, dice: «[...] Per parte mia io cerco di mantenere questo spirito di rivolta e se possibile di rivoluzione, questo credo sia il compito attuale della poesia e, da quello che dico risulta che – parlo del programma, poi spetta a chi legge decidere se la cosa è riuscita o non è riuscita – [lo scopo] è quello di combattere

il clima attuale dominante, che invece è estremamente piatto [...]».

Io penso che queste parole siano illuminanti: lui parla di avanguardia, ma io penso che la lezione delle avanguardie, interpretate come forza contraria al piattume, che spazza il marcio e dà nuova vita, sia una lezione troppo importante per essere abbandonata e penso che ognuno di noi dovrebbe farla propria, nell'arte come in ogni aspetto della vita quotidiana; una lezione che ci dice di fare sempre forza contro ciò che tende ad ingabbiare, contro i binari che incanalano verso delle vite di monotonia ed ottusità.

Quindi io vorrei che al prossimo Trofeo RiLL (concorso per il miglior racconto fantastico), ricevessero solo manoscritti di poemi Fantasy in ottave di endecasillabi (o in qualche altra forma metrica di nuova invenzione, che sarebbe ancora più bello e sorprendente). Vorrei che alla RAI, per il concorso letterario La Giara, ricevessero solo narrazioni sperimentali dalla trama inesistente e fondate totalmente sul lirismo.

Nella prima colonna vi ho detto che tra i generi più “disprezzati” di poesia individuo quello narrativo e quello prosastico. Ho parlato finora della poesia narrativa, ma purtroppo non ho più spazio per dirvi di quella prosastica, anche se vorrei. Quindi mi impegno con voi a trovare una nuova occasione, magari uno dei prossimi mesi nella Zona Franca, per parlarvi anche di questo altro tipo di poesia. Nel frattempo – conscio che le idee sulle tematiche trattate sono molte e molto varie – sarei interessato a sapere la vostra. Scriveteci per mail, su Facebook, su Twitter o – soprattutto – sul sito (www.fischidicarta.it commentando questo editoriale), in modo da farci sapere cosa ne pensate ed aprire un dialogo. Ci piacerebbe, il prossimo mese, pubblicare sulla rivista una "selezione" dei pareri più interessanti, quindi fateci sapere senza timore!

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Federico Ghillino

La posizione dell’escluso

Ambientata in via Balbi 4, cortile interno.

Tutte queste dame – da reclusione castellana con tanto di drago e di torre incantata così piene di fascino che tutto gli esce da boccoli ciglia sguardo che tutto si cosparge sulle loro labbra così rosse rosse di rossetti che ti verrebbe da baciarle tutte ma così troppo assolutamente piene di fascino assolutamente piene di cultura nei palazzi antichi in biblioteche affreschi facoltà di letteratura che non si può fumare staccando troppo la sigaretta dalla faccia dalle labbra rosse così assolutamente piene di rosso assolutamente piene di fumo così acutamente ricche di cultura umanistica: vi prego ditemi ancora degli eroi del vostro immaginario libresco raccontatemi ancora del vostro amato nichilismo novecentesco –sono così vuote che mi emoziona di più il matto che canta sull’autobus come porti i capelli bella bionda tu li porti alla bella marinara tu li porti come l’onda come l’onda in mezzo al mar le strofe marinaresche dei suoi vecchi e probabilmente dei suoi vicoli col quarto verso tronco che se lo canta lui è così pregno che non mi dà nemmeno fastidio ho montato l’ascensore del Bigo ho montato i vetri dell’Acquario ho messo i quadri del Vaticano sulla nave Italia direi che il mio contributo a Zêna l’ho dato che poi non l’ha nemmeno detto a qualcuno ma in realtà l’ha detto a tutti noi e la signora che scendeva con me l’ha capito e gli ha detto grazie e noi che siamo qui con le nostre sigarette vicino alle nostre facce le nostre facce piene del nostro fumo e il nostro fumo a riempire le nostre letture e le nostre parole esuberanti di grossi ragionamenti quotidiano alla mano più che il senso civile abbiamo il buonsenso di non essere sinceri che forse è anche meglio così e allora a me riesce di pensarlo ma di tenermelo per me: grazie Zêna nostra lurida che hai tanto d’acque e tanto di mare da riuscirci a sciacquare tutti tu e noi òmmi tu e noi sùcidi tu e noi màrsci1

1 òmmi, sùcidi e màrsci sono, rispettivamente, uomini, sudici e marci in genovese.

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Federico Ghillino
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Odore d'Inverno

Filtra fermo silenzioso in pace senza fretta come senza origine - senza meta – non dal caldo dal cuore ma dal calore di corpi riavvicinati;

è legno dopo il naufragio, tiepido respira di nervature nel colore del fuoco, o di un bosco muto:

è travi impregnate di fumo di vino - staccare la corrente, vedere l'origine incerta nella buccia d'arancia che s'arrotola nel camino.

Volute bussano senza volere alle finestre per uscire, chiuse dentro da reti di lana pesante:

maglioni intrecciati come pane di forno, spezie scaldano bruciando da nord, conserve da aprire e cogliere pronte, distinguere caldarroste tra le foglie cadute.

E' l'umido che fuma di panni bagnati strizzati stesi sulle porte - si alzano piano gocce di pioggia:

come fossero lì da sempre sospese nascoste di nuovo insieme ai baci, quei baci impensati, prima mai nemmeno creduti, da dare di fretta

sotto gli ombrelli che guardano dal basso il cielo rugoso di ferro immobile che sembra cadere,

tenuto là appeso dal fumo vivo esperto, su dai tetti vecchi di case dove qualcuno ha sentito arrivare ancora l'inverno.

Ad una ballerina

Quando danzerai sul palco di cristallo, specchio dei miei giorni, non guardarmi, sarò già statua di sale. Quando alzerai lo sguardo sul mio volto tumefatto, avrai terrore e brividi. Sarò livido d’odio, sarai ancora più esile. Dopo di te ci sarà il lampo e dalla corrente d’acqua sarò diluito e sarai stanca, sul palco affranta. Io sarò giunto a quel punto alle foci, per poi campare nel mare. Infine berrai dopo la fatica di uno spettacolo solo tuo: berrai, berrai, berrai e sorso per sorso ti colerò dentro dalla bottiglia che tieni, affaticata. Dalla platea alla tua bile, dalle notti all’intimo tuo. Saprai dunque quando già me ne sarò andato che sarò dentro di te. Vedrai, vivrai, varrai quanto il mio cuore rinchiuso nelle briglie del tuo essere cristallo. Navigherò a vista in quel mare di vetro.

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Emanuele Pon
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Adelante

Lo blocca alla stazione la pioggia, mollo, tra l'albero e la goccia e sente sotto le case, l'asfalto, la panca, un senso che non vede e che lo stanca.

Poi la gente, spettatori, gli spagnoli pronti a chiedere indicazioni, ma non sa per quali vie li conduca questo fiume, e allora -Adiòs! Adiòs!vocalizza tra allume di marmitte -Andate, andate! Io resterò nelle strade a rabberciare i pensieri sotto le nuvole irate che sconquassano il cielo.”

Fioretto di natale

Ora è tempo di seguire l’inverno, freddare i rami, tagliare la tremula indecisione delle parole, l’affetto finto dei parenti, gli amici morti a ridere assieme per strada si sfaldano come pani di burro bruciati dalla luna.

In vino non sempre Veritas, la notte è una cucina cruda di coltelli semichiusi. Non sopporto chi pensa che un dito di polvere sia Abisso, chi si vanta, dannato, di aver traversato l’Orco ed essere rinato, chi nella vita ha solo abbozzato un nome sulla tomba di uno sconosciuto. Aver vissuto, lo chiami.

Hai paura, sei invidioso, latri come un cane contro cani che non pensano. Sei lo spento sussiegoso ripiego di chi mostra solo l’oro della notte, chi prega non ricordando nemmeno il suo natale. Una vecchia impellicciata balbetta preghiere sul treno, occhiali da sole di notte, mille matrimoni alle dita, non una lacrima di oscurità. Bisogna essere bravi, non fissare l’anima, chè si vergogna. Abbracciami sì siamo sangue amici fratelli parenti amore, noi stessi. Siamo posti spenti. Vicoli urinati e cosmici che tra loro non si toccheranno mai, muri di memorie opposte, feste solo in guerra.

Papà metti le luminarie! Anche quest’anno è notte.

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Le poesie dei lettori

Le poesie dei lettori nasce dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere i loro testi. Abbiamo deciso di farne una cernita, e pubblicare in questa pagina le poesie che più ci sono piaciute. Vogliamo ringraziare coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno e sperando che la nostra idea vi piaccia invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

Pietro Pàncamo scrive per il sito Beyond Thirty-Nine. Ha collaborato, come recensore, con il Corriere della Sera. Dopo essere stato incluso nell’antologia Poetando (Aliberti) curata da Maurizio Costanzo, si è visto pubblicare una breve raccolta di versi dal blog Poesia della Rai e dedicare una puntata del programma Poemondo dalla radio nazionale della Svizzera italiana.

Morte antologica permanente

Siccome la vita ci rovina la vita (sempre!), a giugno ho visitato (un po’ turista, un po’ becchino e un po’ parente sconsolato) l’interessante morte antologica permanente delle mie speranze migliori: quanti sogni falliti imbalsamati in bella mostra!

Li guardavo e piangevo desolato nero, dannandomi frenetico la salute.

E adesso è soltanto stanchezza rabbiosa resistere ogni giorno al ripetersi ingombrante del respiro e della luce.

Pietro Pàncamo (da Gli intercalari del silenzio)

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Interludio

Perché dopo le nostre e quelle dei lettori non una poesia di qualche autore conosciuto?

Poesie scelte da Alessandro: «Scelta perché Paolo Valesio è un poeta la cui esperienza linguistica conduce la parola ad una nuova flessione che, ricordando la lezione dantesca, porta a dire esattamente quello che vuole, forzando i limiti della morfologia e della semantica, dimostrando e ricordando come il poeta debba essere un artigiano forgiatore di lemmi, che, nello scrivere a ruota libera, faccia liberamente deragliare la mente dai binari prestabiliti.»

San Francesco d'Assisi davanti al bar “Tric-Trac”

Appena discesi a Spoleto nel scendente crepuscolo ancora prima di aprire le valigie eran venuti in piazza per ritrovare qualcosa della trascorsa estateforse il piccolo gatto nubiloso che era, fantasmatico, guizzato tra le colonne lungo il porticato deserto del Duomo là giù in fondo alla piazza desertata e li aveva seguiti saltellando alla larga giù per la Via delle Mura Ciclopichema l'anno già intercorso aveva ritessuto un labirinto e poi spezzato il filo: la piazza era immutata loro due non diversi, e proprio questo aveva cambiato tutto.

Lui ti ha visto, Francesco, improvviso mentre opaco fissava le lastre di pietra di Via dell'Arringo in discesa declivante alla piazza del Duomo, tutto era sghembo, anche il tavolino sul selciato davanti al bar “Tric-Trac”. Non sapeva che dire, si annoiava di se stesso e di lei. Ma poi, d'un tratto: ti ha veduto strisciare come un gran verme seralela pallida lunetta della tonsura, i gomiti in alto sporgenti a puntellare le mani che arrancavano

strascinandoti lungo la discesa. Francesco stralancato discongiunto bistorto: ti sei preso l'inutile peso della loro noia. Questa così gratuita penitenza ha fatto finalmente vergognare l'uomo seduto al tavolino; è pronto –a che cosa?

Non ha avuto la forza di narrarle ciò che stava vedendo. Continuano a tacere in uno sgomento silenzio che già sta cancellando interi mesi dell'anno che per essi si prepara. Ma tu, Francesco, continui: aggrampellato al suolo serpeggiando e sopra gli scalini rimbalzando tenti di far sentire ai due seduti che si sono irretiti in teleragne di dubbi e di pensieri troppo piccoli; che oscillano nell'altalena della dialettica frode: desiderio, non-desiderio... Ma via, via da questi involvimenti! Ognuno di quei due deve tentare di visibilizzare l'altro; e il prezzo per questo da pagare è rendere invisibile se stesso.

Paolo Valesio (da La mezzanotte di Spoleto, Raffaelli editore)

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Altri versi

Fra Le poesie dei lettori potete leggere tutte le poesie ricevute dal pubblico che ci sono piaciute. E gli altri? Gli Altri versi potrete leggerli qui. Poesia gratuita, voce di tutti, per tutti.

Roberto Aidei (in arte Niemand), nasce ad Aulla. Dopo le scuole superiori inizia a lavorare ma da sempre coltiva la sua passione per la letteratura. Ha una buona serie di raccolte inedite nel cassetto, da L'acqua nel lavabo (1981) alla più recente La Spezia (2007). Crede nel viaggio e nell'importanza tanto del percorso quanto della meta.

Quando la notte

Quando la notte ti penso mi sovviene la finezza del tuo mento ed il sorriso giocondo rende il tuo bel viso un tuttotondo. I tuoi occhi azzurri come la copertina di Linus sono il mare in cui mi perdo, il tuo profilo da panettiera mi resta negli occhi ogni sera. E mentre bevo il mio vino fermo e sento che funziona – perché lo stomaco, forte, risuona –il mio cuore spurga d'amore per te e vorrei bagnarti come uno zampillo di fontana.

Ma bastano i cinque euro dell'ombrello dell'Ikea per innalzare un muro, il più alto, che il mio cuore non può superare. E posso solo sperare di morire mentre a terra mi asciugo, sotto il sole felice del tuo splendido viso.

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Zona Franca

Da settembre 2013 a luglio 2014 avete letto in queste pagine conclusive quello che – fra di noi – usiamo chiamare “l'articolo”. Ebbene: abbiamo deciso di trasformare questo spazio, ed il titolo che vedete poco più in alto vi avrà già fatto capire. Vogliamo liberare quest'area e renderla una zona franca, dove fare apparire “l'articolo” o una poesia più lunga del solito, un racconto o una qualche sperimentazione ancora da progettarsi. In ogni caso speriamo che l'idea, ma soprattutto quello che qui leggerete, vi piaccia!

MESSA DI UN POETA-GIORNALISTA

2 di Silvio Magnolo

[Ore 8:30, il poeta sale sul pulpito e inizia a leggere]

Umberto Eco, il grande saggio, sostiene che «L'Erasmus ha dato vita alla prima generazione di giovani europei ed ha segnato una rivoluzione sessuale»

[Cala il silenzio in platea]

«Eh su basta! Sempre lì si va a parare!»

«Fa pure lo spiritoso quello!»

«Non è per il sesso eh, è solo che certe cose, certe verità archetipiche, insomma, non si dicono, non bisognerebbe andare così a fondo nelle cose, tantomeno poi divulgarle! La gente poi va in crisi, è già c'è crisi...»

«Ma no, dai, insomma ha ragione, bom! Fa moda parlare di 'ste cose. E poi dicono che c'è poco turismo, ma si sa che cosa tira sempre, su dai bom!»

[Il poeta legge ancora qualche riga della citazione]

L'Erasmus dovrebbe essere obbligatorio, e non solo per gli studenti: anche per i tassisti, gli idraulici e i lavoratori

[Il poeta cambia tono impersonando ora l'autore dell'articolo]

Non sono proprio certo che il religioso Desiderius Erasmus da Rotterdam apprezzerebbe il fatto di essere sinonimo di rivoluzione sessuale

[Il poeta prende coraggio e inizia il suo monologo]

Cosa mi irrita di più, oltre alla gente che rivanga continuamente il passato? Mi irrita questa irritante tendenza a (passatemi il neologismo) "patologizzare" qualsiasi forma di diritto, preferenza o legittima rivendicazione, facendo passare queste ultime come malattie modaiole e endemiche di un sistema già compromesso in nuce.

Così si ammazza l'idea stessa di mamma!

Sì concordo, non hanno più senso le idee, le parole, ora. Non pensi alla "parola", mediamente, quando parli. Chiedi a uno, così, a sangue freddo... Cosa pensi del concetto di "mamma"?

2 Liberamente ispirato da un articolo della Repubblica data 09/12/2014 e a ritagli di quotidiani vari del 10/12/2014

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Ti risponde:

“Eh? Mi scusi?”

Oppure

“No grazie!”

Oppure

“Cosa hai detto di mia mamma?”

Parte tutto dal rapporto con la madre, eh già, cari vecchi psichiatri barbuti, avevate proprio ragione; eppure c'è qualcosa che ancora non mi quadra, non saprei, forse sono io che sono sempre capzioso, paranoico, ossessivocompulsivo, anzi sicuramente è così (e chiedo già venia in anticipo per questo, ovvero, non prendete assolutamente sul serio quello che dico perché è dettato dalla mia malattia!)... C'è qualcosa... Ho perso il filo del discorso...

[La platea ride platealmente]

Volevo dire che ancora non mi quadra qualcosa, ecco sì, il fatto che siate sempre tutti così tranquilli Voi, che Ve ne state dietro a una cattedra di legno massiccio, a fumare, a incenerire i libri col Vostro fumo, a dire che sono tutte fantasticherie, sono tutte baggianate che col tempo passeranno, bisogna solo stare tranquilli e avere un po' di pazienza, ché passerà tutto. Anche la vita passerà, magari!

Le parole sono importanti! Vi sembra follia questa? L'amarezza supera quella a Bruxelles simbolo di distanza tra élite e i cittadini!

«Ma cosa sta dicendo?»

«Non dice così! Ha saltato delle parti! Non si capisce niente!»

«Vergogna per l'America!»

«Devi morire!»

No no no, aspettate un attimo, io vi ho solo letto le parti evidenziate! Non fate sempre così anche Voi? Che saltate tutto e andate al sodo, perché siete bravi in gamba sempre pronti e brillanti cappuccio cornetto giornale e non avete tempo per le perdite di tempo?

«Al voto!»

«Cercasi crescita!»

«Nessuno eviterà più il carcere!»

Va bene, ho capito che con Voi non posso dialogare, né tantomeno monologare o monolocale, visti i prezzi delle case! Eh sì, sono proprio lepido e divertente, forse dovrei fare il comico e non il poeta, oppure tutte e due le cose assieme, ma giornalista non lo so... insomma... La mattina tv sempre accesa caffè che si raffredda... i sogni di una persona poi ne risentono. E poi chi sono io per documentare le cose, giudicare fatti accaduti ad altri? Io sono un poeta, e qualcuno devo pur esserlo. Ma il giornalista non so... Qualcuno deve pur essere anche quello. Ungaretti diceva che tutto sommato è una professione rispettabile, beh io mi fido di lui. E poi insomma abitiamo nel Mondo, bisogna pur sapere che cosa succede da quelle parti! La Cultura Occidentale, accidenti, l'Europa!

«Forza arrabbiatevi. Prendetevela con noi. Ma cambiate l'Europa. Bisogna farlo.»

[A un certo punto il poeta si accorge che la voce della gente è diventata la voce stessa dei giornali, e si spaventa: la platea ormai è vuota]

Viva rifulse in me la luce delle gazzette!

[Il poeta sente quest'ultima voce, e sorride un po' tra sé il poeta, mette via i giornali e va al lavoro il poeta, perché è già tardi]

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Contatti

info@fischidicarta.it

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Fischi di carta è illustrata da: Sara Traina

Fischi di carta è fondata ed animata da: Federico Ghillino

Silvio Magnolo Alessandro Mantovani Andrea Pesce Emanuele Pon

Prossa Nova è fondata ed animata da:

Carlo Meola

Amelia Moro Matteo Valentini

Fischi di Carta & Prossa Nova sono stampate presso:

Genova Marassi

Via Tortosa, 51r

Tel. 010.837.66.11 www.nextgenova.it centro.stampa@nextgenova.it

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