Fischi di carta
Gennaio 2015 Numero 24
Poesia di cinque giovani fischianti
E se il poeta, massime il lirico, non è ardito nelle metafore, e teme l'insolito, sarà anche privo del nuovo. Giacomo Leopardi, una nota al testo sull'autografo dei Canti conservato a Napoli
Editoriale Cos'è la poesia?
La domanda posta nel titolo è una di quelle a cui rispondere è troppo difficile avendo la pretesa di trovare una verità che vada bene a tutti. Potremmo liquidarla dicendo che sia una questione soggettiva, ma sarebbe una risposta eccessivamente semplificatoria, ed in quanto tale insincera nei confronti di ciò che è, dunque errata.
In questo editoriale voglio esporvi la mia riguardo questa faccenda, e soprattutto smentire una verità (che in realtà si smentisce da sola se si guarda alla letteratura del passato) che oggi dilaga. Non penso di vaneggiare affermando che, se andassi per le strade ponendo la domanda del titolo ai passanti, una delle risposte più frequenti sarebbe: «Una forma d'arte che permette alle persone di esprimersi in modo diretto e sincero, parlando dei propri sentimenti» o qualcosa di simile, detto più o meno così. Avete capito cosa intendo. Questa risposta a prima vista sembra essere giusta e, sicuramente, rispecchia la poesia maggiormente diffusa oggi; si può affermare senza tentennamenti che una grande fetta delle poesie apparse su questa stessa rivista corrispondano alla definizione che vi ho proposto come la più comune. Fin qui nulla da eccepire. Il sottile problema – che forse non si nota quando si sente pronunciare la risposta alla fatidica domanda –è uno soltanto: che la poesia oggi più diffusa sia lirica è una verità da avere chiara in testa, ma La poesia più diffusa è lirica non deve assolutamente diventare La poesia è lirica, cosa che sembra accadere sempre più spesso. Spero che a nessuno sfugga l'enorme differenza fra le due frasi: la prima ammette altri generi di poesia pur dichiarando che il più diffuso sia quello lirico. La seconda no, dice che la poesia è esclusivo lirismo, non altro.
Il problema è che pochi risponderanno alla mia domanda così: «La poesia è una forma d'arte varia, che può parlare delle cose fuori di noi, del rapporto fra queste e la nostra interiorità, esclusivamente della nostra interiorità, ma può anche raccontare storie, descrivere ed avere tante forme diverse», che sarebbe sicuramente una risposta più veritiera, più sincera. Il problema è che, guardandomi attorno, mi sembra che tantissimi siano quelli che intendono la poesia solo come lirismo e che accettano con difficoltà – o, peggio, rifiutano – la possibilità di una poesia di altro tipo, tra cui individuo tra i più “disprezzati” la poesia narrativa o la poesia prosastica (o prosaica che dir si voglia).
Buffo. Davvero buffo. Dico che lo trovo buffo perché se penso a certi libri su cui si fonda la nostra cultura (non dico capolavori perché non avrebbe senso: ormai hanno trasceso questa condizione e sono entrati nell'inconscio collettivo occidentale) come possono essere Iliade ed Odissea, poi l'Eneide – che chiude la “trilogia delle nostre origini” –, oppure se penso alla Commedia, mi vengono in mente dei libri che contengono tanto, tanto nel modo più ampio che possa intendersi. Contengono l'uomo, con tutte le sue sfumature. Contengono la società, con tutti i suoi casi e le sue inaspettate condizioni. E contengono storie, belle, da raccontare a chi non le sa, perché ne vale proprio la pena. Un sinonimo di raccontare è narrare, dunque vi rendete conto di come queste quattro opere immense che vi ho citato poco fa siano opere anche narrative, e lo siano pur essendo poesia.
Considerando l'enormità di Iliade, Odissea, Eneide e Divina Commedia, se avessi pensato che la vera poesia fosse solo lirica, mi sarei già ricreduto, ma se non vi basta vi faccio un altro esempio, riagganciandomi tra l'altro a ciò di cui parla Amelia nello scorso editoriale di Prossa Nova Il Fantasy. Oggi è tanto diffuso, ci piace, lo leggiamo e si espande – parte dalla letteratura ed invade fumetti, film, videogiochi eccetera –. È un genere molto complesso, ma, semplificando senza voler essere maligni, possiamo dire che chi ha reso davvero celebre il genere Fantasy nel nostro tempo moderno è stato un signore inglese: John Ronald Reuel Tolkien, e chi non lo sapeva (me compreso) l'ha imparato sulla poltroncina del cinema – o, dopo, a casa – da Peter Jackson grazie alla sua trilogia del Signore degli Anelli. Dirò una banalità imbarazzante ora, ma meglio essere chiari: tutta la roba che John Ronald Reuel ha messo nei suoi libroni (che scrive in prosa) non se l'è inventata tutta lui.
L'ha presa da tanti spunti di tante epoche e tanti posti diversi. Per esempio l'ha presa dalla canzone di gesta (o chanson de geste) e dal romanzo cavalleresco. Per la canzone di gesta ricorderò un solo nome: la Chanson de Roland. Per il romanzo cavalleresco vi dico due autori: Chretien de Troyes e Wolfram von Eschenbach, per partire proprio dai primi più famosi. Poi Tolkien non sarà stato certo sordo a Matteo Maria Boiardo, Ludovico Ariosto e a Torquato Tasso. E nemmeno ai grandi poemi come l'Edda (che venne scritta in prosa e poi in poesia) o la Canzone dei Nibelunghi.
Ora non sono qui a sciorinarvi le fonti di Tolkien (se volete saperne di più rivolgetevi a Wikipedia), ma vi ho citato tutti questi scrittori ed opere per poi dirvi che Tolkien, che scrive i suoi romanzi in prosa, si rifà a testi che sono enormi narrazioni raccontate in versi. Dunque nella poesia c'è tanta di quella narrazione che non riesco a comprendere chi si oppone o comunque non sente come vera poesia il verso che racconta. Ora qualcuno mi dirà «Ma scusa, mi dici di tutta questa poesia e poesia, e poi Tolkien scrive in prosa. C'è qualcosa che non quadra.», e qui tocchiamo un altro punto di vista della stessa questione che ho esposto all'inizio.
Oggi questa evoluzione (involuzione?) della poesia, che da grande contenitore, come era anticamente, si restringe ad espressione prettamente lirica, va di pari passo ad un altro fenomeno, e vi riassumerò tutto in questo modo, scientificamente: poesia : lirica = prosa : narrativa (leggasi la poesia sta alla lirica come la prosa sta alla narrativa). Mentre la poesia è sempre più intesa come lirica, la narrazione viene totalmente assorbita dalla prosa; quindi mi risulta comprensibile che le nuove generazioni (che, come ogni generazione, anche se studia il passato, vive il proprio tempo) crescano entrando in questa ottica stringente e che – se si metteranno a scrivere, anche solo per se stessi –avranno un orecchio che troverà stonato accordare la narrativa ai versi o, viceversa, un esclusivo lirismo alla prosa.
Se andate su Youtube e cercate “Edoardo Sanguineti parla della sua poesia sin dalle origini” potete vedere un'intervista a Sanguineti risalente al 2006, nella quale lui, dopo aver parlato del vero spirito delle avanguardie, dice: «[...] Per parte mia io cerco di mantenere questo spirito di rivolta e se possibile di rivoluzione, questo credo sia il compito attuale della poesia e, da quello che dico risulta che – parlo del programma, poi spetta a chi legge decidere se la cosa è riuscita o non è riuscita – [lo scopo] è quello di combattere
il clima attuale dominante, che invece è estremamente piatto [...]».
Io penso che queste parole siano illuminanti: lui parla di avanguardia, ma io penso che la lezione delle avanguardie, interpretate come forza contraria al piattume, che spazza il marcio e dà nuova vita, sia una lezione troppo importante per essere abbandonata e penso che ognuno di noi dovrebbe farla propria, nell'arte come in ogni aspetto della vita quotidiana; una lezione che ci dice di fare sempre forza contro ciò che tende ad ingabbiare, contro i binari che incanalano verso delle vite di monotonia ed ottusità.
Quindi io vorrei che al prossimo Trofeo RiLL (concorso per il miglior racconto fantastico), ricevessero solo manoscritti di poemi Fantasy in ottave di endecasillabi (o in qualche altra forma metrica di nuova invenzione, che sarebbe ancora più bello e sorprendente). Vorrei che alla RAI, per il concorso letterario La Giara, ricevessero solo narrazioni sperimentali dalla trama inesistente e fondate totalmente sul lirismo.
Nella prima colonna vi ho detto che tra i generi più “disprezzati” di poesia individuo quello narrativo e quello prosastico. Ho parlato finora della poesia narrativa, ma purtroppo non ho più spazio per dirvi di quella prosastica, anche se vorrei. Quindi mi impegno con voi a trovare una nuova occasione, magari uno dei prossimi mesi nella Zona Franca, per parlarvi anche di questo altro tipo di poesia. Nel frattempo – conscio che le idee sulle tematiche trattate sono molte e molto varie – sarei interessato a sapere la vostra. Scriveteci per mail, su Facebook, su Twitter o – soprattutto – sul sito (www.fischidicarta.it commentando questo editoriale), in modo da farci sapere cosa ne pensate ed aprire un dialogo. Ci piacerebbe, il prossimo mese, pubblicare sulla rivista una "selezione" dei pareri più interessanti, quindi fateci sapere senza timore!
La posizione dell’escluso
Ambientata in via Balbi 4, cortile interno.
Tutte queste dame – da reclusione castellana con tanto di drago e di torre incantata così piene di fascino che tutto gli esce da boccoli ciglia sguardo che tutto si cosparge sulle loro labbra così rosse rosse di rossetti che ti verrebbe da baciarle tutte ma così troppo assolutamente piene di fascino assolutamente piene di cultura nei palazzi antichi in biblioteche affreschi facoltà di letteratura che non si può fumare staccando troppo la sigaretta dalla faccia dalle labbra rosse così assolutamente piene di rosso assolutamente piene di fumo così acutamente ricche di cultura umanistica: vi prego ditemi ancora degli eroi del vostro immaginario libresco raccontatemi ancora del vostro amato nichilismo novecentesco –sono così vuote che mi emoziona di più il matto che canta sull’autobus come porti i capelli bella bionda tu li porti alla bella marinara tu li porti come l’onda come l’onda in mezzo al mar le strofe marinaresche dei suoi vecchi e probabilmente dei suoi vicoli col quarto verso tronco che se lo canta lui è così pregno che non mi dà nemmeno fastidio ho montato l’ascensore del Bigo ho montato i vetri dell’Acquario ho messo i quadri del Vaticano sulla nave Italia direi che il mio contributo a Zêna l’ho dato che poi non l’ha nemmeno detto a qualcuno ma in realtà l’ha detto a tutti noi e la signora che scendeva con me l’ha capito e gli ha detto grazie e noi che siamo qui con le nostre sigarette vicino alle nostre facce le nostre facce piene del nostro fumo e il nostro fumo a riempire le nostre letture e le nostre parole esuberanti di grossi ragionamenti quotidiano alla mano più che il senso civile abbiamo il buonsenso di non essere sinceri che forse è anche meglio così e allora a me riesce di pensarlo ma di tenermelo per me: grazie Zêna nostra lurida che hai tanto d’acque e tanto di mare da riuscirci a sciacquare tutti tu e noi òmmi tu e noi sùcidi tu e noi màrsci1
1 òmmi, sùcidi e màrsci sono, rispettivamente, uomini, sudici e marci in genovese.
Odore d'Inverno
Filtra fermo silenzioso in pace senza fretta come senza origine - senza meta – non dal caldo dal cuore ma dal calore di corpi riavvicinati;
è legno dopo il naufragio, tiepido respira di nervature nel colore del fuoco, o di un bosco muto:
è travi impregnate di fumo di vino - staccare la corrente, vedere l'origine incerta nella buccia d'arancia che s'arrotola nel camino.
Volute bussano senza volere alle finestre per uscire, chiuse dentro da reti di lana pesante:
maglioni intrecciati come pane di forno, spezie scaldano bruciando da nord, conserve da aprire e cogliere pronte, distinguere caldarroste tra le foglie cadute.
E' l'umido che fuma di panni bagnati strizzati stesi sulle porte - si alzano piano gocce di pioggia:
come fossero lì da sempre sospese nascoste di nuovo insieme ai baci, quei baci impensati, prima mai nemmeno creduti, da dare di fretta
sotto gli ombrelli che guardano dal basso il cielo rugoso di ferro immobile che sembra cadere,
tenuto là appeso dal fumo vivo esperto, su dai tetti vecchi di case dove qualcuno ha sentito arrivare ancora l'inverno.
Ad una ballerina
Quando danzerai sul palco di cristallo, specchio dei miei giorni, non guardarmi, sarò già statua di sale. Quando alzerai lo sguardo sul mio volto tumefatto, avrai terrore e brividi. Sarò livido d’odio, sarai ancora più esile. Dopo di te ci sarà il lampo e dalla corrente d’acqua sarò diluito e sarai stanca, sul palco affranta. Io sarò giunto a quel punto alle foci, per poi campare nel mare. Infine berrai dopo la fatica di uno spettacolo solo tuo: berrai, berrai, berrai e sorso per sorso ti colerò dentro dalla bottiglia che tieni, affaticata. Dalla platea alla tua bile, dalle notti all’intimo tuo. Saprai dunque quando già me ne sarò andato che sarò dentro di te. Vedrai, vivrai, varrai quanto il mio cuore rinchiuso nelle briglie del tuo essere cristallo. Navigherò a vista in quel mare di vetro.
Andrea PesceAdelante
Lo blocca alla stazione la pioggia, mollo, tra l'albero e la goccia e sente sotto le case, l'asfalto, la panca, un senso che non vede e che lo stanca.
Poi la gente, spettatori, gli spagnoli pronti a chiedere indicazioni, ma non sa per quali vie li conduca questo fiume, e allora -Adiòs! Adiòs!vocalizza tra allume di marmitte -Andate, andate! Io resterò nelle strade a rabberciare i pensieri sotto le nuvole irate che sconquassano il cielo.”
Alessandro MantovaniFioretto di natale
Ora è tempo di seguire l’inverno, freddare i rami, tagliare la tremula indecisione delle parole, l’affetto finto dei parenti, gli amici morti a ridere assieme per strada si sfaldano come pani di burro bruciati dalla luna.
In vino non sempre Veritas, la notte è una cucina cruda di coltelli semichiusi. Non sopporto chi pensa che un dito di polvere sia Abisso, chi si vanta, dannato, di aver traversato l’Orco ed essere rinato, chi nella vita ha solo abbozzato un nome sulla tomba di uno sconosciuto. Aver vissuto, lo chiami.
Fischi di CartaHai paura, sei invidioso, latri come un cane contro cani che non pensano. Sei lo spento sussiegoso ripiego di chi mostra solo l’oro della notte, chi prega non ricordando nemmeno il suo natale. Una vecchia impellicciata balbetta preghiere sul treno, occhiali da sole di notte, mille matrimoni alle dita, non una lacrima di oscurità. Bisogna essere bravi, non fissare l’anima, chè si vergogna. Abbracciami sì siamo sangue amici fratelli parenti amore, noi stessi. Siamo posti spenti. Vicoli urinati e cosmici che tra loro non si toccheranno mai, muri di memorie opposte, feste solo in guerra.
Papà metti le luminarie! Anche quest’anno è notte.
Silvio Magnolo