Fischi di carta 29 (estate 2015)

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Fischi di carta

POESIA DI CINQUE GIOVANI FISCHIANTI

Caro bambino, come il cieco Omero, se non potrai vedere la bellezza, tu puoi sentire e raccontare il vero, l’odore e il suono del mondo, l’ebbrezza… Gianni D’Elia, Fiori del mare, Fiat Lux

IN QUESTO NUMERO

Editoriale ipertestuale - F.Ghillino Poesia del mese | Alba di un dubbio ricorrente - A.Semino Poesie dei lettori | Nave. - G.Vasile Interludio + Zona Franca Una mostra di parole-onde contrarieE.Pon Prossa Nova La prima sera di maggio - A.Moro Maria Maddalena (pt.2) - M.Karoli

www.fischidicarta.it
n° 29 Numero estivo 2015 Genova

EDITORIALE IPERTESTUALE

Questo mese un sacco di materiale sulla rivista (e non solo!): oltre alle consuete poesie nostre, alle vostre ed ai racconti, qui sui Fischi abbiamo lo speciale con inedito su Gianni D’Elia di cui s’è occupato Emanuele ed invece, sulla Prossa, la nostra Amelia ci parla di una news riguardante il sito. Questo editoriale invece è un giochetto sperimentoso, quindi non siate pretenziosi.

REGOLE DEL GIOCHETTO SPERIMENTOSO DI CUI NON SARETE PRETENZIOSI:

I paragrafi numerati che seguono non sono da leggere in ordine numerico ascendente né discendente.

Ma comunque si parte dal numero uno, questo è importante.

Leggete sempre tutto il paragrafo, poi scegliete uno degli apici che avete incontrato ed andate al numero corrispondente.

Andate sempre avanti con la lettura, non tornate mai sui vostri passi.

Se volete leggere tutti i paragrafi riniziate da capo e provate un altro percorso.

Da bravi, non barate.

di coscienza 16 . L’unica differenza vera che ci trovo è che mentre fruendo di un ipertesto scelgo di volta in volta che direzione prendere, quando la mente è a briglia sciolta va per associazioni di idee, quindi fa viaggiare da un ricordo ad un altro, come muovendosi apparentemente in modo casuale (sicuramente senza il nostro dominio) in una foresta di testi conservata nella nostra mente. 13. Avete presente la collana Librogame che andava tanto negli anni ottanta? Materiale da nerd, certo, non lo nego, però erano libri tutti ipertestuali, dove l’autore non pensa una vera e propria trama, ma pensa un insieme di possibilità e le dirama, in modo che poi, chi legge, scelga il suo percorso, terminante non sempre con la vittoria del protagonista. È proprio come se l’autore avesse voluto scrivere un romanzo tradizionale, lineare, e nel compiere l’esercizio del “what if...?” avesse infine deciso di mantenere più possibilità, non sapendosi decidere fra una possibilità e l’altra 15 . Magari si sarà detto « mah... non capisco quali siano i risvolti più interessanti per la trama... Li scrivo tutti, lascio due indicazioni e così sceglie il lettore ad ogni incrocio narrativo.» 14. Ma se non in linea retta come si può fruire un testo? Spezzettandolo e viaggiando da una parte all’altra, navigando liberamente in base a ciò che preferiamo 2 . Allora è come se si creassero dei nuclei, dei nodi testuali, i quali sono legati in modo vario e non lineare 5 . Qui c’è l’arbitrio: andare da una parte o dall’altra senza che a sceglierlo sia stato precedentemente l’autore 13 . 15. Uno scaricabarile narrativo epocale da parte degli autori di questi li bri, non c’è dubbio. Della serie: «Le possibilità 18 le ho date, ora la trama fatevela voi come più vi garba, però se morite cavoli vostri.» Io, tra l’altro, quando morivo baravo sempre: tornavo all’ultima scelta, quella dove avevo

1. Un testo è un documento che si fruisce in forma lineare 2 . Direi che è abbastanza intuitivo: se ho un romanzo lo leggerò dalla prima all’ultima parola, se ho un film lo guarderò dal primo all’ultimo secondo, con linearità, proseguendo come su una linea retta 14 .

2. Quando la fruizione non avviene in forma lineare si può parlare proprio di scrittura non lineare o di ipertesto . Dovete immaginare una struttura a rete di ragno 9 , costituita da legami che collegano vari nodi, che a loro volta aprono le vie per altri nodi. Proprio come tanti crocicchi 13 . Ogni nodo è un testo (cioè un documento: un insieme coerente di parole, un’immagine, un video, ecc ecc) che ha tendenzialmente a che vedere in qualche modo con quelli a cui è legato, ma non necessariamente 16 . Quindi si può passare da un testo all’altro attraverso il legame 4 , autorizzato da una correlazione di qualsiasi tipo che amplia la qualità e la quantità di informazioni contenute in un solo testo 3 . 3. In tale modo si struttura una rete espandibile, potenzialmente all’infinito 17 .

4. Difatti link (sostantivo inglese, da noi usato principalmente nell’ambito di internet e più genericamente dei pc) significa proprio legame, connessione : “dare un link”, “linkare”, sono espressioni che usiamo spesso, e non significano altro che passare a qualcuno “il binario”, la “strada giusta” (espressa in forma di www.esempio.it ) per arrivare a quel tale documento, di qualunque natura esso sia (testo, video, immagine ecc ecc). 12 5. Infatti per la mancanza di linearità, uno dei problemi dell’ipertesto è la sua potenziale capacità di sviare e far vagare completamente a vuoto e per tempo potenzialmente infinito, proprio come fare zapping alla televisione 6 . Perciò vi consiglio di ripartire dall’inizio se c’è qualcosa che non quadra 1 .

10. Sapere... Da quando in casa mia c’è internet, se ho bisogno di sapere qualcosa mi rivolgo a Wikipedia. Ed è servito: una fetta bella grossa di cose che so le ho imparate su Wikipedia, soprattutto se si parla di cultura 20 generale, cose che ci sono nel mondo e che sicuramente non si studiano nelle università. Per specializzarsi, certo, non ci si può affidare alla rete, ci vogliono i libri e gli studi. 11. E qui si potrebbe giocare a lungo sul fatto che internet sia una ragnatela che, in quanto tale, cattura ed uccide 5 . Io dico solo che con un po’ di preparazione tecnica (ma poca roba in fin dei conti), con esperienza e accortezza (quest’ultima assolutamente), si può facilmente evitare di rimanere incollati nella trama della ragnatela ed usarla invece a proprio favore ed in modo positivo. 12. Questo discorso dei rimandi, dei link, mi ricorda moltissimo il flusso “sbagliato”, e ne facevo un’altra. Peccavo di vigliaccheria. 16. Pensare 19 a briglia sciolta, quindi in stile flusso di coscienza, significa dare alla nostra mente la libertà di creare tutti gli ipertesti che vuole, apparentemente senza regole 17 . 17. Se vi guardate intorno non vedete mai soltanto delle cose, vedete anche una serie di correlazioni ad oggetti, luoghi, fatti e persone della vostra vita che ad approfondirle probabilmente vi sviscererebbero. Una specie di realtà aumentata: addizione di una sola ed oggettiva contingenza ad infiniti dettagli, storie, vite e possibilità, magari simulate con l’immaginazione. Ed andando avanti di correlazioni si può potenzialmente riunire tutto il mondo e l’esistenza, in ogni senso ed in ogni direzione 20 . 18. Immaginare è un solidissimo modo per espandere la realtà ed allargare la propria esperienza del mondo. Sarebbe triste vivere affrontando la realtà per come ci è posta dai sensi: il nostro privilegio è quello di espanderla all’infinito con la nostra mente, attraverso tutta una serie di spunti, rimandi, ricordi, invenzioni che si possono fare solo guardando dalla finestra 20 . 19. Pensare è, spesso, praticare l’ipertesto. E questo si può dire perché, progredendo, il pensiero dell’uomo ha saputo indagarsi e comprendere il proprio funzionamento. Comprendendolo abbiamo saputo imitarlo, e riproporlo in varie forme ovviamente semplificate, come questo piccolo insieme di parole che leggete, come i libro game che scrive Joe Dever, come il grande romanzo Rayuela di Cortàzar 18 e come internet, che quindi non è altro che una grossolana imitazione della nostra testa. 20. Quindi anche la conoscenza si sviluppa in forma ipertestuale: quante volte vi hanno detto di non studiare “a camera stagna”? È un modo per invitare a fare dei collegamenti (come nella tesina di quinta superiore), perché la conoscenza, lo scibile, è proprio come una grandissima rete dove tutto porta a tutto il resto. 21 21. Tutti questi apici per dirvi che l’ipertesto lungi dall’essere arido oggetto dell’informatica, anzi, si basa su fondamenti prettamente umani, perché è proprio una soluzione tecnica fatta ad immagine e somiglianza dell’uomo, a misura d’uomo. Se poi ha funzionato particolarmente bene per creare una cosa come internet tanto meglio, non può fare che piacere.

6. Immagino che zapping alla televisione l’abbiamo fatto tutti almeno una volta nella vita. Ma avete mai pensato che quando siete su internet e passate senza soluzione di continuità da una pagina all’altra di Wikipedia 7 oppure da un video all’altro di YouTube (attraverso i correlati magari) state facendo zapping? (Tra l’altro lo zapping su wikipedia non serve a niente, serve giusto a sapere quante cose non sai e non stai imparando 10 ) 7. Per esempio se andiamo su wikipedia a guardare la pagina di Ted Nelson, scopriremo che è un sociologo , filosofo e pioniere dell’ informatica statunitense . A lui si deve la coniazione del termine “ ipertesto ” nel 1963 , pubblicata in seguito nel 1965 . Fra tutte queste ci sono delle parole blu (sono quelle che vi ho sottolineato). Le paroline blu si chiamano link 4 o, più esattamente in italiano, collegamenti ipertestuali 8 . 8. Ed allora siamo ad un bivio: continuare a leggere fruendo sempre dello stesso testo 1 o scegliere una via alternativa passando ad un altro testo a mia scelta 2 ? Nel secondo caso avete messo in atto un collegamento ipertestuale: siete passati ad un altro testo finito in se stesso ma che al suo interno ha tanti riferimenti ad altri testi, essendo quindi una specie di nodo, un crocicchio, un luogo in cui passare ma non fermarsi. 12 9. Www vuol dire World Wide Web , si sa. Personalmente la cosa che non sapevo è che la parola web , inglese, significasse proprio ragnatela. Quindi www significa qualcosa tipo “ragnatela vasta quanto il mondo” 11 , una ragnatela di documenti interconnessi 4 tra loro che ricopre il globo.

Federico Ghillino

il sole si inabissa nell’incommensurabile l’uomo percepisce l’immensità e gli è cara la notte. Credo che in nessun altro momento gli sarebbe più facile morire.”

C’ERA UNA VOLTA

C’era una volta... io questo pomeriggio io che mi leggo un libro: del fuoco sacro del dio che s’innamora, e tutta la creazione.

Leggo la terra e la tocco, quotidianità che leggo e che mi legge io questo pomeriggio (e quell’ora non è stata rimossa) un po’ di semi alle tortore danzanti come coriandoli a mezzanotte; rinnovo le parole buone come pane, sbaglio, calderina rotta, in blocco o come si dice... La realtà è davvero noiosa. Il sogno la sommuove – sembra tanta gente in fiamme –senza chiedere il tuo nome. Lascio il lento decoro fluirsi ciclico stilarsi delle stelle sciapide invisibili al sereno m’abbronza di quiete – intanto –Luce e Vita e tutto quanto. Se in breve ammanto la voce si confronta, confonde nelle ali condominiali (dolci attenzioni!) dal facondo paniere dei balconi, che vorrei da tanto addentare, per immergere vita nella vita, proprio come ti affogò nel mondo il primo bacio.

ATARGATIS

Abissi che mai vidi negli occhi mi hanno scavato dentro. Viscere d’un cono di tenebra: un bacio in un vortice di cielo. Alrisha, che muove le volte, nodo della mia gola, è fonte d’anima di quell’ingorgo in cui s’immerse Afrodite: s’innalzano polvere d’ombre late. Salto le rapide di rocce aguzze in un alveo d’un rivo irrequieto che muta di eco in eco in una corrente di voci; e sarà negro tempo e sarà mattino e sarà tocco di aspra tortura lasciare il lido di quell’antro di mare in cui dieci volte sonno ho dormito. Ubicano nella risacca parole che mutano in pietre di sillabe venturi muri di secco rumore. Arresto improvvido l’ali d’un sogno nostro: murmure laconico tra i denti perso nelle grotte anguste di mare.

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Fischi di
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“Quando

ALL’INFINITO

Ingrigire con il cielo seguire il mattino, il verde di collina, nuova ombra rapida dal finestrino;

fermare i passi in fronte alla foce di un’acqua ristretta a picco nel mare – feroce la voce, e farla tremare,

tremare in parole d’avanguardia d’amore – culto incensato – parole che dicono “ne è rimasta la sabbia”,

e tra il detrito del tempo passato vitabonde discernere le onde lievi, e quei fiori rimasti alla fonte.

Mangiare con gli occhi il porto il molo la musica in coro, chi vive di giorno dando al normale occhi e ali di volo: a bocca assaggiare fresco il pescato, dal pescatore far pendere labbra dal mare dal tempo da cui l’ha rubato;

guardare all’operaio mani e schiena nodose al cantiere, e i tetti in salita in mansarda, tegole per la sera.

Presagi tranquilli urlati lontano nell’ascoltare e mangiare conchiglie, noi ferme barche attendere la mano della corrente alle vele, alle chiglie.

VIA GENOVA

Al passaggio mi incrocia opposto il 27 la scritta elettrica pedestre recita “Via Genova” e allora come seguendo infinite rette sono in una strada verde a Sant’Eusebio o ancor più fuori la città, colline pratose al fondo della Val Fontanabuona.

– Il fantasma di mio nonno ancora intento a cambiare la catena della moto, slittante nel cambio della marcia, mi guarda con l’aria colpevole e un po’ triste di chi sa essere mancato ad un impegno prefissato. Forse non lo riconosco, ma chiedo – Via Genova? –è indeciso all’incrocio e non ricorda, non gli importa di tornare e si scherma malamente con disimpegno.

– Poi sotto le torri, il clacson dell’autista mi chiede interrogativi anche lui di Genova o di mio nonno, forse è un meccanico di motocicli, un angelo in taxi qui, per riportarci tutti, proprio tutti a casa; eppure non ho risposte da elargire impalato al semaforo che mi invita a non passare: da molto ho scordato ogni direzione.

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Sono Alessio Semino, ventun anni, studente di Lettere Moderne all’Università di Genova. Amo leggere tutto ciò che è poetico, e talvolta mi ci butto dentro io stesso. Può essere un modo per evadere dalla realtà.

ALBA DI UN DUBBIO RICORRENTE

Ti basteranno due mani per sorreggere l’incoerenza della natura umana, ma non avrai posto dove metterla e occhi coi quali orientarti. Nell’afoso deserto delle nuove sensazioni, quello delle esperienze imperdibili, lì sosta un capo cieco. Attraente, ben curato, non basterà, forse, per scamparla.

Alessio Semino

LA POESIA DEL MESE

Fra tutte le poesie che ci avete inviato abbiamo deciso di farne emergere una in particolare, di mese in mese, che ci abbia colpito per originalità o interessato per qualsiasi altro motivo, staccandola da Le poesie dei lettori . Per scoprire l’iter che ha portato a questa rubrica andate a leggere la Zona Franca del #25 , a pagina 10. Chiunque abbia voglia di inviarci le sue poesie lo faccia senza timore, leggeremo e vi risponderemo!

interessato a scriverci!

che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia

che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo

raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro

e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove

di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti

idea di Le poesie dei lettori è nata dalle richieste

L’LE POESIE DEI LETTORI

temi, capitano! Gioele Vasile

La nave si ferma,

cosa non quadra?

Vento in poppa,

dall’altro il sole sorgente.

Da un lato il tramonto,

ma quale strada?

NAVE. Vento in poppa

storico del mio animo, ricerco il vero in me e negli altri.

2003 vivo in Liguria. Diplomato in scienze sociali, da sempre

Sono Gioele Vasile , ho 21 anni, sono nato a Catania e dal

INTERLUDIO + ZONA FRANCA

Anche in questo numero vi presentiamo uno speciale riguardante un poeta contemporaneo: Gianni D’Elia. A cura di Emanuele Pon.

Gianni D’Elia vive e lavora a Pesaro, dove è nato nel 1953. Ha pubblicato svariate raccolte di versi, la maggior parte delle quali sono edite dalla Collezione di Poesia “Bianca” Einaudi. Tra le altre, si ricordano: Segreta (1989), Notte privata (1993), Congedo della vecchia Olivetti (1996), Sulla rive dell’epoca (2000), Bassa stagione (2003), e Trovatori (2007). Lo scorso aprile ho avuto l’onore di conoscerlo di persona. Al mio arrivo a Pesaro, D’Elia mi ha accolto così, con un regalo, che qui riproponiamo.

RELIGION OF MATTERS

Un’altra grande morte, un’altra Estate, covò per lo sciamano americano Parigi, dove Jim Morrison cade, il dionisiaco Orfeo del sogno umano…

Oh, Lirica antica, rifatta Canzone, lamento parossistico e animale, risarcimento musicale dell’orrore, incantamento e sfrenamento abissale…

Se viene dalla Lira, la chitarra, cari ragazzi, nel secolo scorso, la Lirica riemerse nella massa con la Canzone, vitale soccorso…

Con l’arte di vedere e di cantare, lanterna magica e caverna sonora, col fuoco e con lo specchio del guardare, le ombre ci placano, e il suono consola…

Con l’eco della Voce, la materia si rifà religione dell’Immagine, e la Visita dell’Estasi s’insedia, s’immerge e riemerge dalla voragine…

Così, il voyeur si muta in nuovo flâneur, lo spettatore in passeggero attivo, e in corpo danzante l’occhio passivo, nell’Alchimia, che corrisponde al Ver…

Oh, Ars Magna, Scienza Erotica del VERS, Eccitazione, Ipnosi, Rock, Folk, Blues, Jazz…

Gianni D’Elia, inedito

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DEDICA

Al caro Mario Richter

Principe dei baudelairiani Con tutta l’amicizia Più umile e profonda

Come tele d’una mostra Lunga d’ansia e di letizia Offro questi nostrani Fiori del mare e dell’onda

Questi quadri parlanti Cullati sulla riva Per anni di varianti Spuma retrospettiva

Tra l’ultimo ventennio Del fosco Novecento E il gran fuoco d’incendio Del Terzo Millennio

Nature morte e schizzi Ritratti e paesaggi La Riviera dei vizi E dei mille miraggi

Dell’ultima raccolta poetica di Gianni D’Elia, Fiori del Mare, uscita per Einaudi il 15 maggio scorso, ho scelto di proporre la Dedica iniziale: in essa il poeta si rivolge non solo a Mario Richter (noto studioso italiano di letteratura, ed in particolare di Baudelaire, poeta nei cui confronti D’Elia sente e paga positivamente un pesante debito, fin dall’invenzione del titolo della raccolta), ma a tutti noi. A chiunque si avventuri nella lettura. Lettura, certo, ma anche visione, e forse addirittura “sguardo d’insieme”. E’ questo che il poeta ci chiede di avere accostandoci alle sue poesie: uno sguardo d’insieme che è necessario, in primo luogo, per co-

Questa viola seccata Nel libro del pensiero Farfalla frantumata Alata del suo vero

Quella vela spiegata Che ribatte lontana Sulla mistica rada Dell’arte corsara

A guida del lettore Spinto di sala in sala Come un visitatore Spettatore che chiama L’Utopia che non muore Nella galleria umana Lo sgranato stupore Dell’amorosa trama

Tra sconcerto e candore La Bellezza e l’Orrore…

Gianni D’Elia, poesia di apertura di Fiori del mare

gliere la natura “sinestetica” dei versi. La sinestesia è quella figura retorica attraverso la quale si vogliono coinvolgere, in un verso o in un testo, sfere sensoriali diverse. Ora, pur essendo rari o assenti gli episodi, nella raccolta, di sinestesia “canonica” (il profumo colorato con cui la si spiega nei manuali), è proprio su questo espediente che ogni testo, e la raccolta nel suo complesso, sono costruiti. Fin dall’inizio, almeno un altro senso, un altro sguardo è coinvolto, diverso da quello comunemente adottato per leggere un libro di poesie. Non si tratta qui, infatti, soltanto di una raccolta di poesie “da leggere”, collegate o meno tra di loro: i Fiori sono presentati da D’Elia non

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UNA MOSTRA DI PAROLE-ONDE CONTRARIE di Emanuele Pon

come testi, ma come “tele d’una mostra”, “quadri parlanti”, “nature morte e schizzi, ritratti e paesaggi”.

Questo libro chiede, dunque, di essere letto con la stessa attitudine con cui ci si appresta a visitare una mostra di quadri, o una pinacoteca: ogni testo è considerato e inteso come un dipinto, fatto di elementi (i versi, le strofe) incastonati tra loro a formare una visione d’insieme attingibile da più punti di vista, da più sguardi, da più visioni, sempre diverse. D’Elia sembra suggerirci, così, il motivo per cui la poesia oggi è in via di putrefazione: relegata a qualcosa di semplicemente, scolasticamente “scritto” per poi essere “letto”, essa ha perso la sua linfa vitale, il suo spirito primigenio, capace di coinvolgere, appunto, tutti i sensi, e di essere percepito “a trecentosessanta gradi”. Quasi come un’opera d’arte figurativa, verrebbe da dire. Che la poesia debba in qualche modo “sollevarsi dalla pagina” e vivere in autonomia, come qualcosa di a sé stante, è un’idea che attraversa l’intera opera poetica di D’Elia, e specialmente, per istituire un confronto diretto, l’ultima raccolta prima dei Fiori del mare, ovvero Trovatori (Einaudi, 2007). In essa il motivo strutturale, atto a fornire coerenza e compattezza ai testi, come un tessuto sotterraneo e imprescindibile, è quello del dialogo teatrale, in cui i personaggi si confrontano tra loro in maniera “concreta” eppure eterea, sospesa tra i puntini di sospensione (frequentissimi in D’Elia), in cui “varie voci parlano in un sogno”.

Nei Fiori del Mare la struttura non è più dialogica, teatrale, ma fatta di tele appese al muro, da guardare e riguardare, scoprendo ogni volta un particolare che prima poteva essere sfuggito, ma ad un tempo senza mai perdere la visione (o, per meglio dire, la sensazione, l’emozione) d’insieme. L’impressione. Altra definizione riassuntiva dei Fiori potrebbe essere, infatti, quella di “poesia impressionista”. E, proprio come in una mostra (impressionista e non), la suddivisione interna dei testi è affidata alle Sale, portando così a definitivo compimento l’equazione, chiara fin dalla Dedica,

lettore = spettatore. Così, procedendo in questa mostra verbale, abbiamo la possibilità di attraversare la Sala del preludio, la Sala dei primi fiori, la Sala degli esercizi dal vero, la Sala della rêverie, la Sala dei ritratti, la Sala dei fiori proibiti, il Salone del cuore della città, la Sala dell’elegia e del madrigale, la Sala dei viaggi, la Sala del lungo tema, la Sala della nostalgia, la Sala del paesaggio della stanza, ed infine la Sala dei congedi. Esattamente come in una esposizione artistica o in un’esibizione temporanea organizzata da qualche museo, il lettore può, innanzi tutto, decidere autonomamente se servirsi o meno della traccia, una sorta di audioguida (per non abbandonare la metafora): si può leggere il libro da cima a fondo, seguendo l’ordine e la struttura che D’Elia ha pensato per i suoi testi; ma si può, altrettanto facilmente e proficuamente, porre particolare attenzione ad una Sala verso la quale ci si sente più attratti, ci si può concentrare sul tema o sul “genere” che si preferisce. Così, se la prima sala contiene una serie di “bozzetti” impressionistici ed immediati, brevi (appunto i Primi Fiori), nelle sale centrali (i Ritratti, i Fiori Proibiti e il Cuore della città) si incontrano, rispettivamente: i “dipinti” di alcuni personaggi che assumono un valore quasi mitico, archetipico, ma descritti con una precisione a tratti fotografica (si vedano La Nuotatrice, La Casalinga, L’Antennista); altri ritratti, sul filo del provocatorio, del perverso, dell’orrido e di un erotismo ambiguo e disperato (valga ad esempio, appunto, L’Ambiguo); ed infine, dei canti in lode e in amore/odio per l’ambientazione che fa da cornice a tutta la raccolta: la città, incastonata in una Riviera Adriatica senza tempo. Ambienti che ricordano la Parigi di Baudelaire (un accenno ad un titolo così apparentemente “facile”, quasi “parodistico”, bisogna pur farlo), carica di personaggi, di situazioni, e di spleen. Anche in D’Elia si trova tutto questo, e lo si trova sempre presente e assente, come in un movimento ciclico di andata e ritorno. Come le onde, che sono i veri e primi Fiori del Mare; le onde di un mare che è la chiave di lettura, la cornice, il filo, estremamente personale (quando non autobiografico)

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della raccolta.

Come nei grandi canzonieri della storia della nostra poesia, ogni Fiore si regge sulle proprie gambe e sui propri versi, è estraibile da un contesto per esservi subito reimmerso, senza perdere dunque i fili rossi che lo legano agli altri componimenti. E il paragone con i nostri grandi canzonieri (uno su tutti, quello di Umberto Saba) non è casuale, per una serie di altre ragioni. Prima fra tutte, il fatto che la genesi di questa raccolta sia in realtà molto dilatata nel corso del tempo, addirittura trentennale. Alla fine del congedo finale, Salut, si può infatti leggere, quasi come un ultimo verso parentetico, l’indicazione [19842014]. Trent’anni nel corso dei quali D’Elia ha messo e rimesso mano ai suoi testi e alla struttura dei Fiori, considerando i versi come una vera e propria materia malleabile e duttile, da plasmare quasi come una vita umana; trent’anni in cui alcune cose sono finite, altre sono cominciate, ed altre ancora si sono trasformate, con la penna e la Olivetti del pesarese sempre pronte a darne testimonianza.

Come Saba, anche D’Elia maneggia e rimaneggia il suo materiale, da quasi eterno insoddisfatto nostalgico, spingendosi addirittura a considerare “interscambiabile” la posizione di alcune quartine (tanto che i suoi manoscritti appaiono alla vista come veri e propri collages di pezzi scritti a macchina provenienti da altri testi precedenti o diversi). Un lavoro di taglia-copia-incolla da encomiare e rilanciare senz’altro, non tanto perché reso difficoltoso dal lavoro su una Olivetti Lettera 32 e non su un MacBook Pro, ma per il fatto che, per “sopportare” questo labor limae estenuante, ogni verso deve necessariamente essere dotato di una forza capace di farlo sopravvivere e di renderlo evocativo e bello come assoluto, ovvero, dal latino ab-solutus, slegato dal contesto e dalla sintassi circostante. Quasi ogni verso, quasi ogni quartina di D’Elia sono dotati di questa forza. Da un Canzoniere come quello di Saba, D’Elia può aver ereditato il lavorio sul materiale, ma anche la sua tematica principale (se è possibile indicarne una soltanto),

che si potrebbe riassumere in quel “sublime popolare” a cui il poeta stesso chiede di brindare alla fine dei Fiori. I personaggi dei ritratti del poeta di Pesaro ricordano da vicino quelli della prostituta, del marinaio, dei vecchi e degli ubriachi sabiani. L’autore dei Fiori del Mare porta tuttavia questa tendenza all’estremo, e lo fa facendo cozzare in maniera non violenta, ma positiva, sintetica, il contenuto con la forma. Arrabbiato col mondo e con l’Italia attuali, banalizzato e commercializzato “palco di guitti e di dementi che da decenni rifanno l’affronto di uno show di bugiardi e di violenti”, D’Elia si è sempre (anche in epoca neo-avanguardistica) rivolto polemicamente, “in direzione ostinata e contraria”, verso la tradizione, almeno dal punto di vista formale. Ed è così che trovano il loro ruolo, fondamentale, e la loro ragione d’essere le riflessioni gnomiche a cui aprono le descrizioni minute, bozzettistiche ed impressionistiche, in un costante movimento retorico e semantico dal particolare al generale; ma anche la terzina, la strofa metricamente scandita e chiusa, la rima (perfetta o imperfetta ha poca importanza, ciò che preme è la sonorità, per riportare la poesia all’equazione con la musica ed il canto).

A far da cornice al tutto, una lingua impervia, in continuo movimento come le onde del mare, mai “difficile”, piuttosto evocativa, in costante battaglia contro la banalità e la linearità che colpiscono oggi anche le parole; e la lingua, per l’appunto, fa da correlativo oggettivo e da estensione al mare, un profondo verde Adriatico immenso protagonista silenzioso della raccolta, che sta sullo sfondo come un vero e proprio deus ex machina di ogni cosa, di ogni Fiore del Mare.

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CONTATTI

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Fischi di carta è illustrata da: Sara Traina

Fischi di carta è fondata ed animata da: Federico Ghillino Silvio Magnolo Alessandro Mantovani Andrea Pesce Emanuele Pon

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Fischi di carta è curata graficamente da: Beatrice Gobbo

Fischi di Carta & Prossa Nova sono stampate presso:

Genova Marassi Via Tortosa, 51r

Tel. 010.837.66.11 www.nextgenova.it centro.stampa@nextgenova.it

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