Fischi di carta
Luglio 2014 Numero 19
Poesia di cinque giovani fischianti
Luglio 2014 Numero 19
Poesia di cinque giovani fischianti
[…]Così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n'andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia, e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-garbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all'in giù, nella mano d'un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l'alzava per disperazione, ora lo batteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare quelle quattro teste spenzolate; le quali intanto s'ingegnavano a beccarsi l'una con l'altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura. […]
Alessandro Manzoni, I promessi sposi, capitolo IIIQuesto mese le prime copie dei Fischi di Carta distribuite in via Balbi 4 – che, per chi non lo sapesse, è la sede della facoltà genovese di Lettere e Filosofia – sono state estratte dalle buste e strappate in due. Più che la rabbia, che si è estinta come un fuoco di paglia, ciò che ci ha lasciato questo episodio è stata un po' di tristezza per lo spiacevole accaduto. Ovviamente non siamo in cerca di colpevoli ne' tanto meno di capri espiatori, semplicemente vi riportiamo l'avvenuto e la riflessione che ne è seguita, che forse avrete già intuito dalla citazione posta in alto. Dopo la muta perplessità ed un sonoro «Ma perché?...» a cui non abbiamo trovato risposta, l'avvenimento ci ha fatto ragionare sulla mancanza di collaborazione sincera ed aperta che troppo spesso complica le cose, crea dissapori e – nelle situazioni più gravi – rovina i progetti, piccoli o grandi che siano. Nella nostra esperienza dei Fischi di Carta, abbiamo tutti e cinque imparato l'importanza che, prima dell'essere colleghi, ha l'essere amici ed il creare qualcosa da condividere insieme al di fuori della rivista. Operando in questo modo, la mancanza di comunicazione e la voglia di danneggiare manifestata dallo strappo dei Fischi ci ha rattristato. Desideriamo che si parli delle cose, ci si confronti senza odio e sotterfugi, e – se si può –si collabori.
Abbiamo fatto “virtù” della carta da buttare appendendo i resti sulle panchine e sulle bacheche di Balbi 4 ed inoltre abbiamo visto allegoricamente la “ferita” inferta alle copie: lo strappo sui Fischi, operato con chirurgica maestria in senso orizzontale, ci ha fatto pensare, anche per il suo aspetto, alla linea di confine, allo spartiacque,
all'”area” – spaziale o temporale – che varia seguendo la linea retta della vita, e si trasforma in una nuova “area”, e così si prosegue sempre con nuove evoluzioni. Allora perché, dopo luglio, non prenderci il mese di agosto – brevissimo, come tutte le pause – di riposo e ripartire a settembre volendo superare il confine, valicare la catena montuosa, lo spartiacque? Bene, per superarlo dobbiamo essere cooperativi e stringerci attorno ad un baricentro su cui ruotare ma non perché costretti da un laccio, dobbiamo stringerci assieme per passarci le idee ed essere quasi un tutt'uno. I capponi di Agnese questo non lo avevano capito, poverini, e si lacerano le testine a beccate, in attesa del gran finale: farsi tirare il collo, strappare le piume e finire in pentola. E magari sono anche buoni, ma il punto è che noi non vogliamo finire in nessuna pentola, noi come nessun altro, immaginiamo, e, in sincerità, speriamo. Avessero provato a beccare la mano che li teneva per le zampe, quei capponi, magari non avrebbero fatto, tornati dalla gita dall'Azzecca-garbugli, la brutta fine che possiamo immaginare, magari avrebbero ricevuto qualche calcio e qualche insulto da Renzo mentre prendevano la fuga nelle sterpaglie e il romanzo per questa banalità sarebbe finito diversamente o non sarebbe proprio finito e probabilmente Manzoni ci sarebbe pure rimasto male. Comunque per quanto riguarda loro è andata così, e ci dispiace.
Per quanto riguarda noi non ci dispiaciamo ma cerchiamo di unirci per essere più forti, perché le nostre vite sono un viaggio dove tira il vento forte e sferzante delle passioni e delle contingenze, simile
a quello che subiscono quei poveri capponi, spesso non potendo fare nulla. L'unica chance per noi è cogliere le poche occasioni che abbiamo beccando la mano che ci impedisce e cercando di liberarci
con grande ostinazione, per poi mirare a nuove spiagge e nuovi approdi.
Federico GhillinoI nostri drammi personali scorrono come liquami nelle fognature quali più fluidi quali più solidi perché digeriamo tutto e giornalmente tiriamo lo sciacquone delle nostre vite. Sono vite di truciolato, compostabili, di carta riciclata. Vite fatte di materiali di scarto. E godiamocelo tutto il nostro squallore, senza paure, che intanto la Lanterna continua a girare, e conduce nuovi eroi a nuovi porti. Lasciamo a loro la gloria, lasciamo a loro i viaggi, lasciamo a loro le esperienze, perché forse non sapremo manco che farcene. Noi stiamocene qui, a togliere la polvere dai pavimenti, a stare attenti che non rimangano peli nel lavabo, o dopo il bidè. L'importante è restare insieme.
Federico GhillinoSi parte sempre prima, più veloci per andare avanti, si parte ubriachi di mattino con il sole per vedere per la prima volta la sua strada, conoscerla fino alla prossima notte, poi chinare il capo dove si sia, ripartire da capo domani.
Comincia ogni viaggio, all'alba appena nata, con un cuore fatto più forte dal sole più forte di un oceano qualunque, di onde da cui farsi lambire in pace tiepidi -con la calma di chi sa che può affogareper rubare, prima che s'illumini, il nuovo.
Segnavano il limite la fine dello spazio due colonne piccole: sono crollate ora sbattute dal vento dal mare dal tempo che è più forte, il tempo che chiama urlando per non passare e morire sempre fermo in sé: è il primo a diventare più grande.
Cresco con il tempo -vedere il mondo cose pericolose da raggiungere- ecco che cosa vogliamo, sentire di avvicinarsi a ciò che non sapevamo, toccarlo forte con la mani pulite e inesperte, e vibrare tremare soffiare con la nostra anima a vapore.
Ad Occidente non hai un soldo, è vuoto il portafogli riempito piano da tua madre il giorno che sei partito -con o senza permesso-; ad Ovest non hai più bagagli, lascia che sia speranza la tua stella, il tuo segno un accendino vuoto: scroccherai a me
le sigarette e la benzina, a me che appena t'incontro sono tuo fratello da sempre. Non faticare a raccontarmi la tua vita passata: conserva le parole per dire ciò che hai visto al tramonto del sole, per raccontare l'orizzonte anche a chi non lo vuol vedere:
quando tornerai a casa sarai in anticipo, avrai tempo dopo aver fatto il giro più lungo.
Emanuele PonMa io? Ah sì, quello lì, le poesie che non hanno senso! E allora non tiro fuori niente, basta, sto qui in silenzio: ascoltami, dimmi cosa pensi, prima o poi inizierai a parlare a raccontarmi tutta la tua vita anche se non ti ho chiesto nulla, senza che io scuota un labbro. Perché io non sono il “miglior fabbro” ma solo un buon osservatore e sento che mi ha donato abbastanza, sì, basta. Non ti darò un voto, avanti il prossimo! Io non parlerò se ciò che dico è senza senso, trovatelo voi, che sia melenso, o truculento, parlate, parlate senza aver paura di annoiarmi, ditemi qual è il senso, se ve la sentite. Io vi sento anche se guaite o sussurrate o sfilate gomitoli di lacrime alla moda. Il sentimento è un focolare oblioso, nascosto, interrato tra una parete e l'altra, tra casa e un'altra casa. Raramente ci si scalda davvero. E allora sapete? Sono fiero di non avere un senso, nessuno mi ha mai detto quel che ero né una Moira mi ha rovinato la sorpresa di quello che sarò.
Lo dirà - forse - una fotografia sbiadita, il pensiero che fece luce in quel momento preciso sulla mia faccia, per sempre. Terrò in mano il mio tizzone magro, anche se fa male, come un Meleagro masochista, che però non sputa sul focolare da cui è nato. Nato come tutti voi, te, me, che tutto non ha senso e così via.
Ché se ha senso qualcosa qui, tra tutti noi, lo ha solo il mare
che ha il buon senso di non annegarci e lo hanno le colline su cui ora sediamo così ascoltatrici, così antiche, così sensate. E allora basta parlare. Andate, è vero, avevate ragione! Non ha proprio senso. E non vi vi dirò più una poesia, Non me la sento.
Silvio MagnoloLa meteora è passata sulle colonne opache tra la gente indifferente, tra le gambe e le spalle indaffarate.
Una X che vale ameba l’incognita brigante che colpisce guardinga e poi si defila. Piccola moneta che invidia banconota tintinnio degli spiccioli caduti molli dalle dita. Ogni carattere è mio sudore linfa del mio lavoro, demonio e santità ho chiuso in un’urna di sogni e rabbia. Ameba! Lascia che io ti veda al di là del vetro oscuro in cui celi la tua lordura. Questo è il prodotto della mia follia dammi modo di unirla alla tua.
Un’orgia di creatività ti propongo ora che ti plasmi il corpo, ti doni un soggetto e non ti lasci sola.
La cenere che hai lasciato ho sparso nel campo, ora ti porgo la zappa e ti tendo la mano, dalla tua ignota forma si plasmi persona. Coltiviamo assieme l’orto della Parola.
Pesceè il piano delle ville borghesi languenti tra erba e sole, voltoni a botti come i panciotti ipocriti. Rossi, Bombrini, Scassi, Pallavicini, e Doria e Serra1 , ma serva è la mano carbonata del camallo2 al porto, ferrata la strada infangata e lamiere e polvere sotto l'ombra della lanterna, affusolato ciclope, guardiano silenzioso di una prestabilita autofagia.
Alessandro Mantovani1 Tutti nomi di ville della zona genovese Nord-Ponente.
2 Termine genovese a indicare lo scaricatore di porto.
L'idea di Le poesie dei lettori è nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!
La prima autrice che vi presentiamo questo mese è Valentina Casadei.
Valentina nasce a Ravenna nel 1993 ma da due anni vive a Bologna per studiare cinema al Dams. Nel tempo libero evade dalla realtà disegnando, scattando fotografie e scrivendo poesie. La musica è una fedele compagna di viaggio che amplifica i suoi umori e che influenza le sue percezioni.
Non sono di grano Le spighe del tuo campo Quando pungono mi spengo. Con i tuoi raccolti Non sfamo le bocche dei miei figli Ma punisco le lucciole Per avere rovinato la notte. Le spengo.
La seconda autrice che vi presentiamo questo mese è Daniela Maida Daniela dice di sé: «Sin da piccola ho avuto la passione di scrivere, preziosa capacità attraverso la quale poter esprimere i pensieri, fermandoli su un foglio di carta. Dalle emozioni più forti che caratterizzano le varie esperienze della vita emergono delle riflessioni che talvolta possono essere considerate poetiche... Ecco, semplicemente io penso di essere così...»
Ho bisogno di silenzio per regalarmi il sole e tiepide stanze dentro paesaggi innevati.
La quiete del pensiero svanisce nel ricordo groviglio d’estasi mentre spengo l’abat-jour.
Una sera e poi la notte la confusione del sogno intrepido spasmodico desiderio sottovoce geme il respiro.
Potessi catturare l’attimo e spostarlo indietro nel tempo per ritrovarti nel sorriso di un tempo perduto.
Scolpita nel cervello la verde arida prateria sotto rami assolati d’alberi inerti mossi, finalmente, dal vento...
È con questo neutro plurale, sostantivato collettivo, “atti turpi”, che si apre l'ultimo spazio di quello che, almeno tra noi, abbiamo sempre chiamato “articolo”. Lo spartiacque presentato all'inizio del numero, che è guida dello stesso, colpirà anche quest'ultima pagina. È con il neutro turpia dunque, che personalmente mi congedo da questo spazio e dall'intera vicenda che ha toccato i Fischi di Carta nel mese scorso, ricordata ed esposta con puntualità nell'editoriale di Federico. Quello che mi interessa sottolineare a chiusura del tutto, sono in particolare le seguenti, personalissime, considerazioni.
Se la convinzione fosse quella di fare il male e la si accettasse senza remore (cosa che poi in fondo è giustamente accaduta), bisognerebbe portare alla luce che però, in fondo, c'è male e male. Non voglio parlare di male maggiore, male minore, male giusto o ingiusto, né impelagarmi in questioni ontologiche inerenti forze che non posso comprendere (lascio il lavoro ai filosofi, i quali sicuramente lo sapranno gestire meglio), ma -ecco il forte “ma” avversativo che mi permette di parlare e non tacere- c'è un male orgoglioso e chiaro ed un male turpe, oscuro -nel senso di poco chiaro nei suoi intenti- e, per questo, apparentemente o veramente, immotivato. Il male orgoglioso di cui sopra è il male dei grandi antagonisti, il Satana miltoniano è fiero di sé, è il male puro, ma, almeno nell'ottica in cui è presentato, con giuste ragioni (è mai possibile? Iterum philosophis). Il male di Giuda è altrettanto motivato, nessuno può negarlo, ma parimenti è innegabile che il movente che spinge all'azione (la pecunia) sia più gretto e basso. Infine esiste anche il male malato, il furore inconsapevole e dionisiaco delle Baccanti, o dell'Eracle furens, che porta Agave, madre di Penteo, a uccidere (dilaniando) il proprio stesso figlio. Opera di un dio -Dioniso, nel caso-, si diceva, e oggi cosa diciamo?
Personalmente credo che questa specie di graduatoria della “nobiltà del male” possa anche essere smentita o non condivisa, ma quello che vorrei precisare è che con Agave che strappa le membra (o i Fischi), di notte e di nascosto da tutti, nel silenzio oppure con grida inascoltate -che poi non fa differenza-, non sia possibile un dialogo. Non è possibile neppure per un
momento pensare di portare quella civiltà da noi tanto decantata e amata che si fonda sulle norme, ma ancor prima sul λόγος [lògos] in mezzo a chi si comporta in questo modo. E se non c'è dialogo non c'è parola, con tutto ciò che consegue l'impossibilità di emettere suoni differenti dall'animalesco.
Le differenze tra il Giuda e il Satana citati sono di certo più sottili, ma sono persuaso dagli esempi stessi a credere che con il secondo un dialogo sarebbe possibile (tanto che, nello specifico è la figura di Dio ad essere sorda alle proteste dell'angelo). Perché con Giuda no? Perché il Satana è quello che commette, tramite la sua conclamata grandezza, i monstra, cose terribilmente mirabili; è un male enorme, che trascende l'umano, un male potente e fiducioso di sé, che non si arresta avendo degli obbiettivi, per così dire, universali, il quale non si stancherà mai prima di averli realizzati. Ma soprattutto è un male che argomenta, che nasce in opposizione, a qualcos'altro e che quindi ha necessità di definirsi. Giuda invece commette turpia, è il piccolo uomo, l'omuncolo che si fa piccolo proprio a causa delle sue azioni e di ciò che desidera: una scarsella ricolma di monete sonanti. E questa piccolezza, questo ridursi alla materialità gretta e misera -nemmeno “tutto l'oro del mondo”, ma una piccola borsa- è il male dell'uomo egoista e vile, che non è in grado di sostenere l'onere e il rigore del bene, ma nemmeno di sopportare il male che potrebbe produrre. Viene da chiedersi anche, se proprio si debbano fare classifiche -cosa che per parte mia non amo-, se non siano meglio le Baccanti, ottuse nella mente, ma almeno fiere e temibili. Cosa ulteriore da sottolineare è che Giuda è il prototipo dell'ipocrita e dell'uomo medio: è quello che non capisce, che è spaventato o non ha fede (non importa in cosa si abbia, ma la fede è necessaria). Satana ha fede in se stesso, nella sua forza, nel suo male, Giuda no, lui è lo scettico che teme e che preferisce eliminare il problema con un pugnale alle spalle. Giuda tradisce baciando. Tutto questo per la miseria di quattro monete, simbolo estremo della sua sordità agli insegnamenti del maestro. Siamo molto lontani dal sallustiano ne vitam silentio transeant veluti pecora, quae natura prona atque ventri oboedentia finxit. [''perché non trascorrano la vita nel silenzio a guisa di bestie, che la natura ha create prone a terra e schiave del ventre'']. E se teniamo conto che questa frase segue
un'altra come ''Tutti gli uomini che mirano a emergere sugli altri esseri animati debbono impegnarsi con il massimo sforzo'' ci è forse più chiaro che il massimo sforzo è la benedetta parola, il λόγος di cui sopra, fondamento della nostra intera civiltà. Non hanno λόγος le bestie, né le baccanti furenti. Ma non lo ha nemmeno Giuda: λόγος non è solamente parola, ma capacità di ricercare e comprendere. Vorrei solo dire: facciamo in modo di strappare cose per ben più che quattro monete
d'oro, rifuggiamo l'oscurità di intenti in nome di un dialogo costruttivo, almeno tra noi, nel basso del cortile di un'università o tra amici e amori; perché chi è intento a guardare in basso veluti pecora, non potrà che commettere turpia, uomo arcaico e animalesco lontano dalla civiltà, come quello vichiano, lungi, nel bene e nel male che sceglierà secondo il suo libero arbitrio, dall'alzare la testa e vedere le stelle.
Per lodi, insulti, consigli, proposte, domande e quant'altro potete contattarci a questa mail. Usiamo un solo indirizzo in comune, perciò se qualcuno volesse contattare uno soltanto di noi deve semplicemente specificarlo. Grazie! www.facebook.com/FischiDiCarta www.twitter.com/FischidiCarta
Tutti gli arretrati sono liberamente consultabili all'indirizzo www.scribd.com/FischiDiCarta
Fischi di carta è fondata ed animata da:
Federico Ghillino
autore di Rintocchi d'ombra (Habanero, 2011) e Corrosione (Habanero, 2013)
Silvio Magnolo autore di Guglie di vento (Ibiskos Editrice, 2013)
Alessandro Mantovani
membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)
Andrea Pesce autore di gebEnut (Ibiskos Editrice, 2013)
Emanuele Pon
membro della Società dei Masnadieri (www.facebook.com/SocietaDeiMasnadieri) autore di Dalla Parte della Notte (Noirmoon, 2013)
Fischi di carta è illustrata da: Sara Traina per contattarla direttamente scrivete all'indirizzo sara_traina@hotmail.it