Fischi di carta 21 (10/2014)

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Fischi di carta

Ottobre 2014 Numero 21

Poesia di cinque giovani fischianti

Siamo tutti in cammino. Sant'Agostino

Editoriale

Fuori da questa terra

Nell’aprire il neonato numero di Ottobre, oltre ad avere la voce per decantare nuovamente i cambi strutturali della rivista (ossia l’apertura della rubrica Interludio e del movimento tellurico che ha portato alla formazione di Zona Franca), non posso che essere fiero per trovarmi ad essere latore di un altro grande annuncio che riguarda i Fischi: dopo un cantiere durato tutta l’estate costato fatica, tempo e denaro posso e possiamo dire che è nato il sito internet ufficiale dei Fischi di Carta: fischidicarta.it. Qui ogni mese potrete osservare, leggere e commentare il nuovo numero, potrete seguire gli eventi in calendario, leggere le poesie dei lettori, iscrivervi alla nostra newsletter e orientarvi tra la nostra poesia e i testi di Prossa Nova; infine potrete leggere e/o scaricare tutti i numeri della rivista, fin dal primo: assieme alla carta, venite a trovarci anche sul web!

Saltando un po’ di palo in frasca, nel piccolo spazio concessomi dall’editoriale, vorrei trattare, o almeno esporre, qualche argomentazione suscitatami dalla partecipazione bolognese ad un ciclo di conferenze inerenti gli esodi, in particolare da un appuntamento tra questi, quello al quale, nell’aula magna di via Castiglione, hanno presenziato Remo Bodei e Silvia Avallone (giovane promessa della narrativa italiana, autrice di Marina Bellezza e di Acciaio, editi Rizzoli). Ancora prima del viaggio, fin dalla storia dell’uomo, viene l’esodo e la cacciata. Fin da quando le scritture hanno memoria, anche se fantastica ed inventata, si parla di partenze forzate da guerre o divinità, di viaggi, di ricerche vane. La bibbia, la guerra di Troia, Enea, gli Argonauti, Gilgamesh, Orlando e Dante stesso, sono tutti in un certo modo esodati e viaggiatori forzati o meno alla ricerca di qualcosa. L’esodo è quindi un particolare tipo di viaggio, anzi, mi spingerei a dire che l’esodo sta dietro il viaggio, ne è la base e l’archetipo. In effetti, il primo viaggio di ognuno è un esodo, quotidiano: è l’esodo dal cordone ombelicale che ci sputa dentro la realtà. Se prendiamo l’essere umano come prodotto alla costante ricerca di qualcosa, come i nostri predecessori mitici, va detto che l’uomo, nella sua realtà e non nel suo mito, è la creatura delle utopie. Come mai questo? Certamente perché l’uomo si auto-raffigura come il destinatario, eletto

e poi decaduto, della completezza che lui stesso si raffigura a partire dal proprio corpo umano. Jacques Lacan, uno dei maggiori psicanalisti post Freud, sostiene, tra le altre cose, che l’idea di completezza (e quindi la formazione di un Io completo) giunga al bambino dalla visione della propria immagine corporea e che quindi egli non ne abbia una coscienza pregressa. A questo punto, vedendosi come integrità unita e completa, l’uomo non potrà che ricercare questa integrità nella vita, nelle cose, in se stesso, dimenticandosi che l’unità è un concetto che egli si è formato nella mente e che, di base, non sente suo. Ciò poi sarebbe anche avallabile dal fatto che, assumendo, secondo qualche dismessa teoria, l’età preistorica come “l’infanzia dell’uomo”, le rappresentazioni grafiche o fittili degli esseri umani sono tipicamente segmentate, non unite ed armoniose. L’uomo si sa a pezzi. Ed ecco che l’antichità, abituata all’immaginazione e non alla psicanalisi, pone questo desiderio di completezza e perfezione non in qualcosa di fumoso ed astratto come il pensiero, ma nella concretezza del luogo: la terra promessa. Così comincia la nostra storia, da sempre. Due uomini cacciati da un paradiso in terra per amor di conoscenza o popoli passati dal bere nettari e mangiare fruttificazioni spontanee, a dover battere ferro per le guerre. L’esodo del singolo e l’esodo dei popoli si mischiano in una pasta di colori indistinti in una perdita della perfezione e nel desiderio della riconquista cosicché ancora oggi cerchiamo le nostre terre promesse. Ma letteralmente una u-topia è un luogo che non esiste, è l’idea fisica di quella perfezione perduta che, forse, non ci è mai appartenuta; così per secoli si sono spesi tempo e fatica in vane ricerche. Poi, dopo la caduta dell'El Dorado e la scoperta dell’intero orbe terracqueo si capisce che di terre non ce ne sono più e che le promesse sono facili da far svanire. Dunque?

La curiosa peculiarità della modernità sta in un cambio di categorie: sta nell’aver trapiantato la promessa dal luogo al tempo. Riflettiamo. Oggi, nonostante qualche voce che dice ancora “i bei tempi andati”, nessuno pensa che il passato possa esser meglio del futuro. Fin da Marx e dai totalitarismi novecenteschi si è iniziato a lavorare per il poi, per la fatica del domani. “Voi non preoccupatevi del patimento di oggi perché

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domani…”. E così, la modernità, insofferente alla grande impossibilità di trovare nello spazio ciò che cerca, trova l’idea geniale che gli permette di non abbandonare la ricerca: l’utopia diventa ucronia. Se non è più possibile trovarla da qualche parte, questa terra promessa deve avere un’altra forma, che domani riusciremo ad ottenere. Ad aiutarci in questo confronto viene anche la lingua: peculiare delle lingue indoeuropee nella loro fase più arcaica è la mancanza del sistema del futuro, spesso sostituito dall’uso del congiuntivo; il futuro è eventuale, fumoso, immaginario. Oggi invece, pensiamo a quante volte diciamo “la certezza di un futuro”, e cosa è la più grande mancanza che meniamo a gran voce noi giovani se non la mancanza di un futuro, per noi terra promessa in cui arrivare e coltivare la nostra realizzazione più completa? E così, dimenticata l’età dell’oro, diveniamo la prima vera civiltà del futuro che “c’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia…e una bella mattina…”. Lo ha detto anche Fitzgerald. Per chi se lo stesse chiedendo, quella appena conclusa non è una critica dei tempi moderni, bensì una loro mera analisi. Altra cosa importante in seguito è che questa spinta irrefrenabile alla ricerca

è comunque da sempre la spinta motrice dell’uomo a ciò che lo fa sognare. Perciò non si prenda come critica ciò che critica non è: un uomo senza sogni è peggio dell’ultimo animale. La domanda che però ritengo sia importante chiedersi, in questo tempo di futuri incerti, è la seguente: in un tempo come il nostro, chiamato quasi post modernità, come affrontiamo la ricerca della terra promessa? Qual è il tempo promesso per noi? È sempre il futuro, nella quale idea possiamo capitare a crogiolarci per giustificare i fallimenti dell’oggi? Il luogo più distante e disabitato da visitare per de-vertere da noi stessi? Io non sono qui –e direi anche, fortunatamente– a dare queste risposte, ma vorrei semplicemente che queste parole vi e ci stimolino a fermarci e a riflettere. Vorrei che, chi oggi legga queste parole possa fermarsi e chiedersi “Che cosa sto inseguendo?” qualunque sia la risposta. E chiudo esattamente come Remo Bodei, rubando, per un giusto fine, le parole di un grande: “Non fate sì che le vacanze estive siano la vostra terra promessa.”

Diventiamo consapevoli, che si voglia o no, siamo tutti in cammino.

Meduse

Da terra vedo tristi gli scampoli dei turisti, sotto il bollore abrasati pezzi d’alterigia, nobili illibati. Gli ombrelloni sbattono i lembi sopra la terra bianca in un vento che pare essere quello di dio.

Io qui non ho posto, come i venditori di bracciali sudati nei calzari orientali, come la medusa

chiusa morta nella mano del lupo di mare.

Ma in fondo poi a ben guardare in questa fiera di vite siliconate noto solo che l’ombra più lunga del monte ci tocca tutti e che, sciolti gli orpelli in paccottiglia, siamo solo meduse dai filamenti disciolti nelle gore del tempo.

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Alessandro Mantovani

Rincontrarci

«Sisi, hai ragione, capisco che tu abbia cercato, ma trovare lavoro oggi è complicato, non posso proprio darti torto.»

Ora parlarti sul bus è facile, che vivi a 10 minuti da me, ma le nostre esistenze distano oceani e foreste.

E pensare che mi piacevi, e che con te ci avevo anche provato, e in quella calda sera d'estate ci eravamo ubriacati e ti avevo abbracciata e avevo provato a baciarti e poi ti avevo vista pisciare in un'aiuola. Che bello era stato.

Ma non perdere tempo: raccontami ora della tua vita, che è un bel pomeriggio di ferragosto ed il sole tempera anche gli insuccessi più gelidi. Meno male che ci siamo incontrati oggi, mi sarebbe quasi venuto da piangere in un giorno di pioggia. Il bello è stato che dopo alcuni anni ci siamo parlati senza entusiasmo, perché a forza di vivere lo perdiamo, e non ci siamo manco alzati per venirci incontro. Ma il meglio vero è stato che quando sei scesa dall'autobus non ci siamo neanche salutati. Però alla fine è stato bello, proprio come non riuscirti a baciare in quella calda serata d'estate.

Diverse misure d’essere

Boccheggia il sale sparso a riva Il mare Che ritorna

La spola ansiosa di chi setaccia La vita ogni giorno Aspettando quell’ansito Nevoso che pesa Sulle case, o il sole Che scoppia sui pini estivi. Oggi il mare esiste Distrattamente, come pioggia Esaurita.

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Momenti di tutto

Un dettaglio Che apprezzo…

La donna col ventaglio, Saper muovere il calore Che cozza sugli sguardi, Lo stupore che gronda Dagli occhi aguzzi.

Vorrei, così, anche solo Saper riconoscere Dal profumo il ricordo Recato dai giorni D’infanzia, orologio Che pencola rotto D’umore tra sogno e deserto.

Nulla avverto Sul treno, Senza ora, né amore, Accetto il sacramento Del mio sudore (e la fatica di tutti) A esistere tutti insieme.

Il mare è ancora molto lontano.

Un venerdì sera

Anche qui l'estate detta finestre aperte giorno e notte, e danze di sudore in cerca di un filo di vento; è quando sono inutili e spalancati che sento alla fine, e capisco quei vetri doppi pagati metà stipendio.

Non ho nessuna musica, ma la sera ciò che è fuori, da ascoltare; è un ricordo pallido il rituale grigio della settimana -per dormire c'è tempo domani: poggiare il quaderno in un angolo e stare a sentire è il mestiere della mia notte;

e sbirciare vite che non so se vorrei giù, nel vicolo che porta all'altare, la piazza inferocita appiccicata del locale, annusarle tra le pieghe più precise delle voci che insistono a passare e ritrarsi come onde, come petali volare;

e il ritrovo più in là è un prato confuso un assolo di ronzio alle orecchie in cui perdersi, dar forma a quelle storie indistinte, a quel corteo trovare volti: forse vorrei anch'io tuffarmi in quella voce unica come il magma a colare lento dalle strade.

Poi penso che nessuno allora starebbe a sentire, e continuo la mia notte di occhi al soffitto, orecchie alle finestre aperte.

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La danza del rosso1

Estati

Ti ho colto fragola nei miei anni più immaturi, ti ho assaggiata in un dì d’agosto quando il caldo tedioso ti aveva scelto Ifigenia per le miei arse fauci.

Ti ho assaggiata pesca, tinti di vino nel midollo, in fondo al pasto campestre di un ricordo sbiadito che porto nel mio corpo giorno dopo giorno.

Ora non posso più assaggiarti come un palmo di ciliegie o un fico gonfio di dolcezza, la città mi chiama, debbo ritornare ma prima del dovere oso seminarti per il futuro.

Magari ci si vedrà alla prossima stagione.

Dopo la cena

Fluttuanti segni di vita nella penombra sazia affiorano questa sera. Silenzio fra le bocche il tempo si sgretola, attimi di sguardi e braci nelle narici. Abbiamo fame, mentre sulla griglia si scaldano le emozioni, che, dopo la cena, unte di complicità si riempiranno di colore. Il cerchio si compie, si scioglie l’inverno sui suoi seni, lei punta i piedi nel talamo del piacere, il mare convulso nel suo corpo giunge e ritorna tra lo sguardo bramoso e le mani strette alle lenzuola. I lembi palpitanti scivolando nell’umido cingono ancora più forte lui in lei. Una siesta, il morbido profumo tra la sua chioma e il mare di pupille.

1 La danza del rosso è il preambolo dell’autunno, la fine delle avventure estive e il ricordo delle medesime. Il rosso è il tramonto e l’alba che salutano gli amanti.

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Le poesie dei lettori

L'idea di Le poesie dei lettori è nata dalle richieste di collaborazione che abbiamo ricevuto da amici, conoscenti e sconosciuti che ci hanno fatto pensare ad uno spazio dove raccogliere tutte le loro poesie. Quindi, ringraziando coloro che senza timore si sono mostrati e si mostreranno, speriamo che la nostra idea possa farvi piacere ed invitiamo chiunque sia interessato a scriverci!

«Le mie parole non hanno mai chiesto il permesso per uscire e se tornavano tardi la sera non me la sono mai sentita di rimproverarle, anzi, quelle sono le parole che ho apprezzato di più. Le parole che venivano a svegliarmi nel cuore della notte, gonfie di malinconia e noia, volevano uscire, anche in pigiama.»

Maria Dominijanni, 25 anni, quarta di cinque figli, ha una laurea triennale in Lettere classiche conseguita a Perugia, ed è al momento iscritta al terzo anno della laurea magistrale a ciclo unico in Scienze della formazione Primaria a Bologna. Maria lavora per finanziare i suoi studi e all’occorrenza, quando può, dorme (ogni tanto).

Vado a fare la doccia.

Vado a gettare un po' di me in quel sapone.

Forse l'acqua laverà le cicatrici dal mio corpo, Forse riaprendo gli occhi sotto quel getto mi accorgerò di essere di nuovo pura.

Se solo l'acqua, oltre al sapone, potesse far scivolare via l'amarezza insieme allo sporco che mi ha sfiorata.

Se solo potessi asciugare le mie lacrime col phon e acconciare i miei dispiaceri in un elegante chignon, così da farli sembrare belli.

Se potessi metter lo smalto ai ricordi e colorare solo quelli che meritano di essere ricordati.

Potessi vestire le mie frustrazioni di giallo e avvolgere il mio corpo in un asciugamano di calore umano, caldo, sincero.

Uscirei dalla doccia come da un rito di passaggio: Depositerei sul fondo tutto ciò che sono stata per poi appoggiare i piedi nudi su un tappeto di vita nuova.

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Luca Boni, 23 anni, è uno studente del Corso Scienze della Formazione Primaria. Nutrendo un sincero interesse per la letteratura e la poesia, prova a raccontare il suo innamoramento per i paesaggi liguri e le emozioni provate, attraverso questi versi apparentemente semplici, ma vissuti con il cuore.

Il mare d'autunno

L'immensità del mare davanti a noi cattura i pensieri e l'anima; quell'infinito spettacolo celeste riflette l'indescrivibile forza dirompente di ciò che ci lega, il cuore ha voce in quella bellezza senza fine.

Profumi, colori, emozioni, abbracci, tutto dipinge una dimensione surreale, spazio e tempo siamo noi, increduli dell'azzurro dalle cento sfumature che dà voce ai nostri sentimenti.

Ma l'illusione manca, la fredda brezza d'Ottobre ci riporta alla nostra umanità; mi volto, ci sei, nei tuoi occhi l'infinito dell'azzurro, il tuo sorriso riscalda il cuore, dà luce alle passioni che si perdono nel mistero del tuo sguardo.

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Interludio

Perché dopo le nostre e quelle dei lettori non una poesia di qualche autore conosciuto?

Poesia scelta da Silvio: «Ruolo è una parola che non smettiamo mai di sottovalutare. È una ruota che ci segna e ci as-segna a noi stessi e a persone importanti della nostra vita e della nostra memoria: sono ombre che abbiamo sfumato o perduto, passanti silenziosi tra i nostri letti, mentori, avi, maestri che ci crescono, ma non lo capiamo subito. Forse leggere questa poesia può essere un modo, anzi un' Idea, per capirlo.»

The Role of the Idea in Poetry

Ask of the philosopher why he philosophizes, Determined thereto, perhaps by his father's ghost, permitting nothing to the evening's edge.

The father does not come to adorn the chant. One father proclaims another, the patriarchs Of truth. They stride across and are masters of

The chant and discourse there, more than wild weather Or clouds that hang lateness on the sea. They become

A time existing after much time has passed.

Therein, day settles and thickens round a formBlue-bold on its pedestal-that seems to say, “I am the greatness of the new-found night”.

Il ruolo dell'idea in poesia

Chiedi al filosofo perché filosofa, A ciò deciso, forse dal fantasma del padre, Senza concedere nulla al ciglio della sera.

Il padre non viene a ornare il canto. Un padre ne proclama un altro, i patriarchi Della verità. Attraversano a grandi passi e sono padroni

Del canto e del discorso colà, più che un fortunale O nuvole che stendono indugio sul mare. Diventano Un tempo che esiste dopo che molto tempo è passato.

Là dentro il giorno cala e addensa su una forma, Azzurro ardito sul piedistallo, che sembra dire: “Sono la grandezza della notte ritrovata”.

Wallace Stevens (da Il mondo come meditazione traduzione di Massimo Bacigalupo)

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Zona Franca

Dal numero di settembre 2013 vi siete abituati a vedere in queste due pagine conclusive quello che – fra di noi – usiamo chiamare “l'articolo”. Ebbene: abbiamo deciso di trasformare questo spazio, ed il titolo che vedete poco più in alto vi avrà già fatto capire. Vogliamo liberare quest'area e renderla una zona franca, dove fare apparire “l'articolo” piuttosto che una poesia più lunga del solito, un racconto o una qualche sperimentazione ancora da progettarsi. In ogni caso speriamo che l'idea, ma soprattutto quello che qui leggerete, vi piaccia!

Poesia a puntate: seconda parte (prima parte sul numero scorso)

Cantare su alcune persone che vivono nel mio quartiere tra cui me

Donne sui 50 sugli autobus hanno il trucco d'altri tempi e la matita intorno alle labbra. Mi sono sempre apparse dannatamente stanche e nervose. Tendono ad arrabbiarsi ed a lamentarsi ad alta voce per ogni strattone. Non sembrano avere voglia di qualsiasi cosa stiano per fare. Per mano hanno i bambini, per telefono hanno i ragazzi. È stancante allevare i figli.

Il barbiere mi chiede come sto, cosa faccio, come va con lei, sa tutto di tutti ma di lui nessuno sa qualcosa. Il barbiere ha il viso languido. Io penso che se potesse lascerebbe tutto e tornerebbe nella sua città, perché qui le persone non le riesce a capire e non si sente capito da alcuno. Là, dove tutti parlano con gli stessi occhi in cui si riconoscono, sarebbe capito e capirebbe. Là starebbe meglio, anche se fa molto caldo, che si ha solo voglia di riposare nella brezza estiva.

Quando si nasce per alcuni si è qualcuno, ma non si può ancora essere se stessi, poi si può esserlo ma comunque è difficile, non per tutti. Non è cosa per tutti essere se stessi, anche se ne varrebbe sempre la pena. Ci vuole molto coraggio e soprattutto bisogna essere sinceri, ed è sempre dura esserlo. Quindi bisogna impegnarcisi. Ma non è neanche scontato riuscirci. Nel frattempo passiamo la vita a pensare un giorno di dire di fare di comprare, e intanto ognuno di noi per alcuni continua ad essere qualcuno, per meno è se stesso ma per tutti gli altri è nessuno. Che bottiglia rotta è la vita, che si trascorre in tanti modi diversi ma poi finisce per tutti allo stesso modo.

I devoti sono silenziosi, fanno gesti lenti ed ascoltano con attenzione. Ridono di rado. Per loro il mondo ha perso l'ordine e l'armonia con cui è stato creato e questo li rende molto tristi. Ma ci credono, ci credono molto più di quanto io creda nel cibo che ho nel piatto,

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anche se so che è più facile credere in qualcosa di intangibile, perché esiste proprio perché ci credi. Il cibo invece è nel frigo, esiste lo stesso anche se non ci credo. Che bel paradosso, è divertente pensarci.

Stranieri seduti su un gradino bevono caffè preso alle macchinette. Non so se il loro progetto sia solo sciogliere lo zucchero con la stanghetta di plastica o cercare di tornare a casa loro, ma hanno l'aspetto stanco, e gli occhi tanto, tanto assonnati.

Ragazzine in piazza masticano forte chewingum, fumano bagnando il filtro ed a volte bestemmiano. Sputano anche rumorosamente, come non ho mai saputo fare.

Io le evito e mi danno quasi fastidio. Bene o male sono cresciuto ed inizio a sorridere ai bambini teneramente, non sono più capace a confrontarmi con chi ha sempre la risposta pronta.

Gli anziani più rampanti ai giardini pubblici ci provano con le anziane che non hanno finito le elementari perché erano altri tempi e c'era la guerra. Loro sanno tutto sull'Italia, hanno capito i segreti del governo, sanno tutti i modi per scacciare le mosche ed uccidere le zanzare. Io penso che siano fortunati e sicuramente molto svegli ed intelligenti, che sanno tutto mentre io so a malapena di essere nato un certo giorno ad una certa ora, che gli uccelli volano mentre io cammino. E le zanzare mi pungono pure. Che beffa.

Federico Ghillino (continua sul prossimo numero)

NEWS

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Fischi di carta è illustrata da: Sara Traina

Fischi di carta è fondata ed animata da: Federico Ghillino Silvio Magnolo Alessandro Mantovani

Andrea Pesce Emanuele Pon

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Amelia Moro Matteo Valentini

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