Prossa Nova 8 (04/2015)

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Prossa Nova

n° 8 Aprile 2015 Genova

INSERTO DI PROSA DELLA RIVISTA POETICA Fischi di carta

EDITORIALE In 240 giorni accadono: 5.760 ore, 345.600 minuti, svariatissimi secondi, 16 racconti, 8 editoriali e 2 prosse dei lettori: Prossa Nova tra compaesani spaesati, mendicanti dimenticati, abiti rinfusi, guardie e ladri, lance e coltelli, ananas e scatolette di Simmenthal, va avanti a raccontare le sue storie da otto mesi e in otto mesi ha pianino piantato le sue radici narrative. E non tardano a spuntare le prime ramificazioni: il mese scorso è nata on-line la sezione Prosse dei Lettori, che mensilmente accoglierà i racconti che vorrete inviarci, e a fiorire sono sempre nuove idee e nuove collaborazioni che allargheranno le maglie di Fischi di Carta in rete e il ritaglio di pubblico che ci segue su carta. I racconti che vi presentiamo in questo numero sono l’agitato Diamanti, scarpe da rapper di Amelia Moro, e l’agitante Giallastro di Matteo Valentini, rasserenati dalla ‘prossa del lettore’ di Matteo Ferrari. Vento in salamoia, inchiostri latinissimi e reti da pescatore: anche questo mese insomma, “Estote parati”.

Milo Karoli

DIAMANTI, SCARPE DA RAPPER «Questa è la zona aperitivo: qui gli invitati attenderanno l’arrivo delle star della serata…» e li guarda, ammiccando: «Voi naturalmente!» poi distende il braccio in un gesto trionfante e onnicomprensivo: «Da qui a… là, vi prego di immaginare un lungo tappeto rosso. Voi lo percorrerete tutto, ecco, così, e a fianco si disporrà tutto lo staff, con tutto lo staff intendo camerieri, aiutocamerieri, sommelier, maggiordomi, cuochi, aiutocuochi, il primo chef, il capo chef e i musicisti, e vi accoglieremo con un bell’applauso. In sottofondo ci sarà la vostra canzone, naturalmente» ma quando vede i due futuri sposini che gli rivolgono uno sguardo smarrito prontamente li tranquillizza: «Abbiamo anche un ricco repertorio di canzoni tra cui potrete scegliere, se lo preferite! Canzoni di tutti i generi, e con tutti i generi intendo: romantiche, trionfanti, dolci, sentimentali, festose, celebrative, vitaminiche, abbiamo di tutto, di tutto tranne le marce funebri! Ma prego seguitemi, ecco immaginate che ora inizi il banchetto, questo, riuscite ad indovinare cos’è?» e indica una strana costruzione dalla forma imprecisa, coperta da più strati di un telo plastificato per proteggerla dal cattivo tempo e dalla polvere: «Questo è il carretto dei formaggi: qui si troveranno formaggi freschi e stagionati, a pasta dura e a pasta morbida, italiani e francesi, e sette tipi di mozzarella di bufala!» quelli sgranano gli occhi, ma non sembrano convinti. Non deve mollare la presa: «Allora, prego seguitemi ancora, prego» questa volta è facile indovinare di cosa si tratta: vicino ad una piscina profonda appena po-

chi centimetri (ora è vuota, sul fondo solo qualche foglia secca, fradicia) c’è un’altra costruzione avvolta nella plastica, con una rude, salmastra, finta, rete da pesca che spunta da un angolo. «Questa sarà la barca del pescato! Ci saranno ostriche, frittelle di baccalà, insalata di polpo, polpo alla portoghese, gamberetti, gamberoni…» poi li conduce alla torre dei salumi e alla fontana di cioccolato, che sarà circondata da quindici tipi di frutti e una collezione scelta di dolci. «Ma dovete avvisare i vostri amici di non riempirsi troppo… perché questo è solo l’aperitivo! Ecco la sala al coperto per la cena» e li conduce in uno smisurato salone, con giganteschi lampadari di cristallo nero e il soffitto coperto di pesanti tendaggi bianchi, mollemente ricadenti in mille pieghe tra cui si nascondono (ma non troppo) alcune mosche morte. «Ed ecco la vetrata da cui potrete ammirare i fuochi d’artificio!» Paolo guarda Anna e la vede disperata, quasi in lacrime. «Grazie signor Kevin, ci dia qualche minuto per pensare e per guardarci intorno!» e poi gli lancia l’ennesimo sorriso, forzato al punto che gli fanno male gli angoli della bocca. «Eh pazienza, nelle foto sembrava bello, però certo i posti bisogna vederli di persona… insomma non potevamo immaginare… vabbè un pomeriggio sprecato… e che sarà mai?» Paolo parla, parla a raffica per compensare il silenzio di Anna, tutta compresa in un ostinato mutismo. È seduta vicino ad un enorme vaso dipinto di bianco (a Paolo ricorda sinistramente una cuffa da muratore) che

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ospita un’altissima palma, anche lei avvolta nella plastica, per non prendere freddo. «O forse a te piace? Ma se ti piace si può fare, guarda, basta che mi fai venire qualche giorno prima con un sacco nero così butto qualcosa, ecco tipo quell’enorme poltrona fucsia… Anna…?» sa benissimo, anche senza guardarla, che si sta torcendo le mani, tormentando il dito a cui porta l’anello di fidanzamento. Quel maledetto brillantino cattura ogni più piccolo riflesso di luce, e l’angolo del suo occhio, dolorosamente consapevole, intuisce ogni movimento. «Le avessi preso una cosa scema, una cosa da ridere» pensa tra sé e sé «un anello con un teschio o un porcellino, e invece no, un diamante è per sempre, così dicono. Ma lo so, lo so che ora se lo sta sfilando, vedi te che adesso me lo ridà e mi dice: -Tante grazie, non sono pronta per questo passo-» La guarda, è incupita, con i capelli sugli occhi. Ai piedi, per la giornata umida e fangosa, porta delle scarpe vecchie, quelle grandi, morbide, sformate, da rapper, e la sua caviglia al contrasto sembra così piccola, così bella e perfetta. «Potessi ti sposerei adesso» pensa Paolo «Ti direi: Anna vorresti tu… con il naso arrossato, con le scarpe da rapper… vorresti tu… oggi… con il tuo giaccone verde… al di là dei parenti, al di là degli invitati, di tutti quelli che vogliono trasformare in un circo il nostro amore, il nostro amore che è serio, è puro è…» «Eddai Paolo... E non fare quella faccia torva da predicatore degli stati del Sud!» ride Anna. «Ogni volta che qualcosa va storto tu ti immagini che il matrimonio non si farà e che andrà tutto a monte. Non puoi essere così catastrofico, sai quante cose dobbiamo ancora organizzare? La lista nozze, il viaggio, le bomboniere… Aiutami ad alzarmi!» Kevin gusta con calma profonda l’ultima boccata di sigaretta, senza fretta. Tanto sa che non torneranno: lui ne ha viste tante di coppie, le valuta con un solo sguardo. Fa anche delle personali statistiche, sul se e sul quanto dureranno, ma non gli piace divulgarle, se le tiene per sé. Quando la sigaretta è ridotta al minimo la lancia a terra con un gesto elegante, e quella cade giù, nel punto preciso in cui voleva che finisse. Poi si sfrega le mani sui calzoni e fa per rientrare, tra venti minuti ha un altro appuntamento. «Se almeno quella stronza mi rispondesse» pensa, e torna dentro.

Amelia Moro

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GIALLASTRO Michele spalancò con un calcio la porta della palestra vuota. Più che una palestra, a dire il vero, era una stanza, un ex alimentari isolato dal resto del paese, che la nonna aveva gestito prima di morire. Michele infilò la borsa con il cambio nella cella frigorifera spenta. Si portava sempre mutande, calzini, spugna, sapone nella speranza che la doccia funzionasse. Tutto lì dentro avrebbe potuto funzionare, se acceso. La doccia nuova no. La stanza sembrava non voler rassegnarsi al fallimento dell’alimentari. Quando si riusciva a farla andare, lasciava uscire acqua e terra, finché non si inceppava. Un’altra innovazione maldigerita era il tapis roulant: ogni tanto, una misteriosa interruzione della corrente elettrica lo spegneva e ciò provocava un’inevitabile ruzzolo di chi si stava allenando. Michele salì sopra al tappeto, vi assestò un pestone e questo cominciò, faticosamente, a girare. Lo aveva sistemato proprio di fronte alla vetrina che dava sulla strada, così che i passanti potessero vedere cosa si facesse lì dentro. Poi da cosa sarebbe nata cosa e quella sarebbe diventata la palestra più frequentata della zona. Michele, correndo, aspettava. Palestra. Esterno notte. Il brigadiere scende dalla macchina tenendosi il cappello per non lasciare che il vento glielo porti via. Si dirige verso Parato e Remazzi mentre l’appuntato Govoni va in direzione della palestra con la macchina fotografica. BRIGADIERE: Buonasera Parato. Buonasera Remazzi. PARATO: ‘Sera. REMAZZI: Salve. BRIGADIERE: Ricominciamo. Buonasera Parato. Buonasera Remazzi. PARATO e REMAZZI: Buonasera. BRIGADIERE: Così questa è la palestra di Michele Cerino. Quando lo avete trovato? PARATO: Appena prima di chiamarvi. Stasera ci saremmo dovuti allenare tutti e quattro. BRIGADIERE: Quattro? PARATO: Sì sì. Armando, Armando Bo non so se lo conosce, aveva detto che sarebbe venuto, ma non si è visto. BRIGADIERE: Cerino arrivava sempre per primo? PARATO: Sì. Regolarmente alle 8 di sera si chiudeva dentro e cominciava ad allenarsi. Era l’unico ad avere le chiavi. BRIGADIERE: E voi quando siete arrivati? PARATO: È arrivato prima Remazzi, per le 9. Appena visto il corpo, mi ha chiamato e dopo un po’, un quarto d’ora al massimo, sono arrivato. Poi insieme abbiamo chiamato voi. BRIGADIERE: E lei dov’era quando Remazzi le ha telefonato? PARATO: Ero in macchina. Tornavo da lavoro. BRIGADIERE: Siete entrati dentro? PARATO: Siamo

Prossa Nova


entrati insieme. Ma siamo usciti subito. Dopo aver spento il tappeto. BRIGADIERE: Ma Remazzi lei non ha niente da dire? PARATO: È un tipo silenzioso, lo lasci stare. E poi è ancora sconvolto. BRIGADIERE: E lei non lo è? PARATO: Sto solo cercando di rendermi utile, brigadiere. Vorrei andare a casa, sono molto stanco. BRIGADIERE: Capisco. Date all’appuntato Govoni i vostri numeri di telefono e i vostri indirizzi. Non è escluso che riparleremo. Il brigadiere avanzò a lunghi passi sulla ghiaia verso la palestra. Arrivato sul gradino di cemento appena fuori dalla porta, le suole delle scarpe cominciarono a far scricchiolare le schegge della vetrina, che l’assassino aveva infranto per afferrare con la mano la chiave nella toppa, girarla ed entrare nella stanza. Un ladro? Eppure era strano, perché a Cerino non sarebbe servito neanche un secondo per bloccare la porta: il tapis roulant le era quasi di fronte. E possibile che Cerino non presentasse altri segni di lotta che non fossero quei due solchi in cima alla testa? Il corpo era intatto, se si escludeva la raschiatura che il movimento del tappeto aveva prodotto sulla guancia sinistra e se si escludeva anche il segno nero, quasi in cima al sottile tricipite, lasciato scoperto dalla maglietta. Era un tatuaggio, una B. Il brigadiere si soffermò sugli attrezzi della palestra: 7 manubri e una cinquantina di pesi. Strano che una palestra con tre persone fisse avesse 7 manubri. E poi perché 7? «Forse Bo ha un braccio solo», scherzò l’appuntato che aveva capito su cosa rimuginasse il superiore. «Chi?» «Bo, il ragazzo che stasera non è venuto. Il quarto.» «Ah giusto, Armando Bo! Andiamo a fagli una visita a casa. Te l’hanno dato l’ indirizzo?» «Ma è mezzanotte passata.» «Non credo stia dormendo.» Casa di Bo. Interno notte. Bo è seduto sul divano con un fumetto. Sembra in attesa. Dopo aver sentito bussare energicamente, corre in camera, si mette il pigiama, arruffa i folti capelli neri e va ad aprire. Alla porta ci sono i due carabinieri, che entrano in salotto senza chiedere permesso o per favore. BO: «Ma che succede? Cosa volete? Mi ero appena...» BRIGADIERE (con un cenno al fumetto aperto sul divano): «Ci risparmi il teatro e si accomodi.» BO: «Non so perché lo abbiano ucciso»BRIGADIERE: «Di chi sta parlando?» BO: «No di nessuno. L’ho detto così. Sono molto agitato.»BRIGADIERE: «Si calmi allora. Come mai non è andato in palestra questa sera?» BO: «Ho scaricato molta legna oggi pomeriggio e mi è venuto mal di schiena.» BRIGADIERE: «Curioso. Lei non è andato in palestra proprio la sera in cui hanno ucciso il suo amico.» BO: «Non so cosa dirle. Boss sul cellulare ha provato a convincermi, ma

non riuscivo proprio ad alzarmi.» BRIGADIERE: «Non sembra così malconcio. Ma chi è Boss?» BO: «È così che chiamiamo Parato. Boss, perché è il più grosso di tutti e ci fa da motivatore. Riesce a sollevare anche 30 chili con un braccio.» BRIGADIERE: «Ma il padrone della palestra non era Cerino?» BO: «Sì, ma cosa vuol dire, Boss è più grosso di lui. Per questo litigavano sempre.» BRIGADIERE:«Ah litigavano?» BO: «Sì ma non stia a pensare male: si volevano bene. Dopo allenamento si fermavano un sacco a parlare, anche dopo che io e Remazzi ce ne andavamo.» BRIGADIERE: «Era un bel gruppo di amici no?» BO: «Sì, qualche volta ci siamo visti al di fuori dalla palestra. Per bere qualcosa.» BRIGADIERE: «Forse più conoscenti in buoni rapporti, allora.» BO: «Sì, dipende. C’è chi è in maggior confidenza, chi più timido. A seconda.» BRIGADIERE: «Mmm...Sa se hanno tatuaggi?» BO: «Siamo tutti tatuati. Boss ne ha uno sulla scapola, una fenice mi pare, con una frase in latino che penso gli abbia suggerito Cerino, perché lui il latino non lo sa. Io ho una chiave di violino qui, sulla spalla, vede? Remazzi ha un proiettile sull’avambraccio. Cerino ha una B che sta per, come si chiama, Bicocca, la sua gatta. Ma cosa c’entra?» BRIGADIERE: «Come? Remazzi ha un proiettile?» BO: «Sì, un proiettile. Va matto per il soft air, non so se...» BRIGADIERE: «Sì sì ho presente. Quante chiamate per quei deficienti che sparano. Non ci tratteniamo oltre, le facciamo leggere in pace il suo fumetto. Arrivederci.» Arrivati in caserma, i due carabinieri presero strade diverse. L’appuntato Govoni, dopo aver portato i suoi appunti al brigadiere, se ne andò a dormire. Il brigadiere restò nel suo ufficio, con i gomiti appoggiati sulla scrivania scura e zeppa di fotografie. Provava a inserire nelle immagini che aveva sotto agli occhi quel carnevale di voci, indirizzi, numeri, facce che aveva in testa. La soluzione era lì, in quel carnevale. E l’aveva trovata. Una manata e il brigadiere spalancò la porta della stanza dove dormiva il suo collega: «Appuntato! Appuntato sveglia! Usciamo!». All’appuntato per poco non venne un infarto: «Ma che cazz... Dove?». «A casa di Bo, svelto o ci scappa.». Govoni crollò fuori dal letto e, infilandosi la camicia nei pantaloni, tenne dietro al brigadiere che già era salito in macchina: «Per questa volta guido io». L’auto fece una leggera sgommata e, silenziosa, si lanciò nella notte. Casa di Bo. Esterno notte. Il brigadiere parcheggia poco prima della palazzina. Fa segno al collega di fare piano, chiude la portiera e si avvicina al cancello del giardino con la pistola in mano. Il cancello è stato scassinato e ora è socchiuso.

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Il brigadiere fa per aprirlo con accortezza e quello: sgneeeek. Un’ombra dalla scala esterna salta nell’erba, corre verso la grande siepe e cerca di scavalcarla. L’appuntato Govoni spara in aria e l’ombra si immobilizza a terra. I due carabinieri la sovrastano. BRIGADIERE: Buonasera Parato. PARATO: Siete pazzi? Mi avete fatto prendere un colpo. Cosa volete? BRIGADIERE: Non poteva restare a casa sua anziché intrufolarsi in quella degli altri? PARATO: Ma cosa sta dicendo? Non si può più andare a confortare un amico? Siamo tutti a pezzi dopo quello che è successo e voi cosa fate? Anziché cercare chi ha ammazzato Cerino mi fate le imboscate. BO (esce dalla casa, accende la luce e va sulla scala esterna): Cosa succede lì? BRIGADIERE: Ah, Bo, questa volta dormiva per davvero. Mette il suo sonno nelle mani sbagliate. BO: Parra! Pensavi che gliel’avrei detto? PARATO: Stai un po’ zitto. BRIGADIERE: Che cosa non mi avrebbe detto? Che Parato e Cerino erano fidanzati? Che si vedevano prima e dopo gli allenamenti? O che sa che Parato ha ucciso Cerino? PARATO: Ma cosa...? BO: Dai Parra, basta palle. Lo sa. BRIGADIERE: Ce lo racconti dall’inizio. PARATO: E va bene. Io e Cerino ci siamo resi conto di piacerci durante gli allenamenti, in questo ultimo anno. Non avevamo mai avuto un’esperienza del genere e tendevamo a tenerla nascosta. Ci vedevamo ogni sera intorno alle 8 in palestra. Dopo mezz’ora io uscivo, prendevo la macchina posteggiata a casa mia e mi facevo un giro. Aspettavo che Remazzi e Bo entrassero e subito arrivavo anche io, dicendo che ero stato al lavoro. Alla fine dell’allenamento stessa storia: facevo finta di andare a casa, stavo nascosto per un po’ e poi tornavo dentro. BRIGADIERE: Per questo Cerino non superava nessuno di voi in muscolatura anche se iniziava prima l’allenamento e lo finiva alcune ore dopo: non poteva trattarsi solo di costituzione, doveva fare dell’altro. Prosegua. PARATO: Una sera, da dentro il box della doccia rotta, sentiamo qualcuno bussare alla porta. Cerino va subito nella stanza per aprire, io d’istinto gli corro dietro per bloccarlo e lì, attaccato alla vetrina a guardare, c’era Bo. È stata una catastrofe. BO: Non ve l’ho mai fatto pesare. PARATO: Sì è vero, ma da allora Cerino è cambiato. Ha cominciato a mandare qualche segnale, capisce? Qualche sfogo di questa storia, che doveva stare segreta. BRIGADIERE: E qui entra in gioco la B tatuata in cima al tricipite, sbaglio? PARATO:

Quella è stata la cosa che mi ha fatto più incazzare in assoluto. Oltre al fatto che rischiava di far insospettire Remazzi, mi avviliva il fatto che mi avesse segnato come B, come Boss. BRIGADIERE: E non c’è nessuna Bicocca, vero Bo? Le era quasi scappato quel “Boss”, ma poi ha tirato fuori quella balla del gatto veramente incredibile. Lei è un pessimo pallista Bo, se lo faccia dire. In ogni caso, quella B era la prova provata che lui volesse a tutti i costi manifestare il vostro rapporto, sentirlo riconosciuto. PARATO: Già. E io questa sera ho provato per l’ultima volta a pregarlo di stare zitto, ma lui era deciso a parlare. BRIGADIERE: E lei lo sapeva Bo. Negli sms, Parato non aveva cercato di spronarla a venire, ma le aveva confidato che avrebbe chiesto per l’ultima volta a Cerino di tacere. Forse era una richiesta di aiuto, di un consiglio. E lei se n’è lavato le mani. BO: Io non avrei... Se fosse stato per me... BRIGADIERE: Lasci perdere il suo tremolio. Non poteva sapere che l’avrebbe ammazzato, non ci sarà carcere per lei. Continui, Parato, che ora arriva il bello no? PARATO: Come ogni sera lui mi aspettava sul tapis roulant. Mi sono fatto vedere e mi ha aperto. L’ho pregato. E lui cos’è che ha detto? Che non voleva essere la mia troia per tutta la vita. Mi ha detto di lasciar perdere le suppliche, di iniziare pure ad allenarmi. Allora io ho preparato il mio solito manubrio, mettendo tutti e quattro i pesi da una parte sola, e gliel’ho fracassato in testa. Una e due volte. BRIGADIERE: Poi ha spaccato il vetro della palestra per fingere che fosse stato un ladro o uno squilibrato a compiere l’omicidio, ma scioccamente l’ha rotto dall’interno e le schegge sono finite tutte sul marciapiede. Si è portato dietro il manubrio. Ha fatto il solito giro in macchina. Ha visto arrivare Remazzi, ma Bo proprio non si vedeva. Lì ha capito che Bo sapeva e che andava fatto tacere, ma prima doveva aspettare che noi ce ne fossimo andati. Ho sbagliato qualcosa? PARATO (mentre si alza per farsi mettere le manette): No. BRIGADIERE: Ho un’altra domanda Parato. Qual era la frase latina che Cerino le aveva consigliato di tatuarsi sulla scapola? PARATO: Amicus certus in re incerta cernitur. BRIGADIERE: Sa cosa vuol dire? PARATO (mentre esce dal giardino e si infila nella volante): No. Matteo Valentini

Prossa Nova è eccitata e citata da Milo Karoli, Amelia Moro, Matteo Valentini Sul sito www.fischidicarta.it è nata la sezione Prosse dei Lettori: il racconto di questo mese è Vento di Matteo Ferrari. Alla prossima Prossa!


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