Prossa Nova 9 (05/2015)

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Prossa Nova

n° 9 Maggio 2015 Genova

INSERTO DI PROSA DELLA RIVISTA POETICA Fischi di carta

EDITORIALE

Ci sono due modi per movimentare una situazione stagnante: il fuoco d’artificio o la granata. Il Premio Strega nasce nel 1947 dalla spinta dei coniugi Bellonci e dalla sponsorizzazione di Guido Alberti, proprietario dell’azienda produttrice del liquore da cui il premio prende il nome. Ogni anno, un Comitato Direttivo designa una giuria di “Amici della Domenica”, incaricata di segnalare i libri di narrativa più interessanti tra quelli pubblicati dal 1° aprile dell’anno precedente al 31 marzo di quello in corso, di farne una scrematura e di eleggere il più valido. Un libro può essere ammesso in gara solo se appoggiato da due Amici della Domenica. Il passato dello Strega è illustre. Nel 1959 viene premiato Il Gattopardo, due anni dopo la morte dell’autore; nel 1963 Lessico famigliare vince contro giganti quali La tregua e Un giorno di fuoco; nel 1955 La Malora e Ragazzi di vita gareggiano assieme, ma il primo nemmeno emerge dalla scrematura, il secondo arriva nella cinquina finale e viene battuto da Un gatto attraversa la strada. Da alcuni anni il fascino del premio si è ossidato: non sono poche le voci che parlano di un imperterrito scambio di favori tra grandi case editrici. Il risultato è la perdita di interesse verso una manifestazione da cui potrebbero emergere, e a volte nonostante tutto emergono, autori molto interessanti. Ci sono due modi per movimentare una situazione stagnante: candidando Dimentica il mio nome di Zerocalcare, Daria Bignardi e Igiaba Scego hanno deciso per lo strepito del fuoco d’artificio, capace di attirare l’attenzione ma non di andare oltre un cambiamento del sistema-Strega che non sia solo di facciata. Per il secondo anno consecutivo viene giocata la carta del graphic novel. Col pretesto di abbattere le barriere tra letteratura “bassa” e quella “alta”, le due scrittrici hanno inserito un’opera valida e intelligente come quella di Zerocalcare in un contesto però a lui estraneo, dove tutti i partecipanti usano un linguaggio diverso dal suo, né più appropriato né meno evoluto, ma diverso. Roberto Saviano e Serena Dandini, presentando Storia della bambina perduta di Elena Ferrante, hanno invece capito che per intaccare un poco il meccanismo stregato è necessario lanciare una granata, non alimentare soltanto la curiosità del pubblico ma, affidandosi all’apparente inconsistenza dell’anonimato, “sparigliare le carte” mettendo in imbarazzo la giuria con un libro fulminante e fuori dal circuito della grande editoria. Su www.fischidicarta.it verrà presto inaugurata una sezione dedicata al commento di nuove uscite o nuove edizioni di qualsiasi genere. Nei prossimi mesi il nostro impegno sarà diretto, in particolare, alla recensione dei romanzi in concorso per il premio. Nel frattempo aspettiamo il 10 giugno e lo spoglio della cinquina dei finalisti, per sapere se lo Strega riuscirà a rinnovarsi o sarà costretto a saltare per aria. Matteo Valentini

MARIA MADDALENA (PT.1) «È appropriato andare a messa il giorno di Natale, in mezzo a tutti quei pacchetti, insegne, colori. Sono vere e proprie anche le famiglie che escono di chiesa, e il calendario che ricorda a tutti di vestirsi bene per la festa e consumare bene per l’economia del paese. Dovete sapere che Magdala era diventata il centro di una fiorente attività di lavorazione del pesce, e Maria potrebbe avere ereditato una delle grandi ditte conserviere che producevano salamoia (da qualche familiare o dal marito) e in questo modo permettersi di finanziare la missione itinerante di Gesù. Donna

generosa, devota, Maria di Magdala non ha mai smesso di viaggiare: dopo la morte di Gesù fuggì per mare dalle persecuzioni in Terra Santa e sbarcò infine a Saintes-Maries-de-la-Mer, vicino ad Arles. Successivamente arrivò a Marsiglia, da dove intraprese l’evangelizzazione della Provenza, per poi ritirarsi in una grotta (La Sainte Baume) dove avrebbe vissuto una vita di penitenza per trent’anni. Quando arrivò l’ora della sua morte fu portata dagli Angeli in Italia, e il suo corpo fu seppellito in un oratorio costruito nella regione di Villa Lata, dove si racconta fosse una

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grande quercia nera secolare. Maria gli strinse la mano sinistra: salute alle tue mani, disse. Durante i suoi viaggi, Maria aveva appreso questo tipo particolare di saluto, da rivolgere a coloro che di lavoro usano le mani soprattutto. Di lavoro in effetti faceva il facchino, o vuoi portaborse, per una società che aveva in appalto gli allestimenti di un piccolo teatro a Pedona in provincia di Lata. Diceva il contrato to, Operaio di 6 livello. E quando non portava borse andava porta porta, quartiere quartiere a vendere accessori per il cucito. Vendeva forbici, forcine, spazzole, spoline, aghi, rocchetti, bottoni, bobine, spilli e spille, ferri e fibbie, chiusure, alamari, mussole e ditali, tutto il necessario: diceva il contratto, Procacciatore di Affari. Aveva lasciato la casa del padre il settimo giorno prima di Natale, 18 Dicembre 2014, e solo la solitudine, sapeva, lo avrebbe aiutato a scacciare i demoni: tanto è che una notte, quando Maria gli apparve, si spaventò. In verità non capiva se fidarsi di lei, in particolare aveva tatuate dietro le mani delle linee allungate. Maria, lei, veniva da un paese chiamato Mondsee, Lago di Luna, a tracciare una retta sullo schermo da Pedona facevano 511.07 km, e da quando era ragazza non aveva mai smesso di viaggiare lungo quei percorsi che aveva voluto tatuarsi, sbarcata quella notte a quella stretta di mani. Posso leggere i segni del mondo, rispose. Intendeva dirle, che intuiva il significato di quelle linee, e ancora in qualche modo domandarle, se era all’altezza, o se anche lei lo avrebbe fatto solo che soffrire. L’apparizione di Maria comunque lo segnò, si scambiarono il telefono a celle (+43 il prefisso straniero) e il secondo giorno volle rivederla per essere certo di non avere sognato. Gioverà sapere che nel 1896 il Museo di Berlino acquistò un papiro proveniente da Akhmim, poco più a nord di Nag Hammadi (Egitto). Alla vendita seguì il ritrovamento di alcuni fogli del perduto Vangelo apocrifo conosciuto come di Maria: qui, Maria di Magdala ricopre il ruolo di discepolo prediletto. Prezzabile testimonianza: si era a Cafarnao, a Nord del Mare di Galilea, e giunti a compieta Gesù istruì i suoi discepoli con queste parole: Il Sogno è oltrepassare il sogno delle frontiere, le frontiere sono la sofferenza perché la sofferenza è il Tu e l’Io che si sognano come essendo due. La separazione è un gioco, 2

come la sofferenza, e la sofferenza nasce dall’orgoglio fondamentale che gioca a separare. La Materia, vi dico, è un sorriso dell’Eterno. Si raccolsero sulla cima di una altura. Avevano risalito una ferrovia a cremagliera lunga 1130 m, una delle più antiche di Italia, costruita nel 1901 per iniziativa di una società privata che intendeva promuovere la lottizzazione dei terreni siti sulla collina. Maria, lei, non aveva il biglietto. E una volta seduti gli raccontò di quando da ragazza aveva rubato in un negozio di scarpe. Disse, la commessa correva fottutamente veloce. In quel tempo infatti, la commessa fu veloce abbastanza da raggiungere Maria fuggitiva, ma per dirle una frase che non avrebbe dimenticato fino a giunta l’ora della sua morte: se non hai i soldi per le scarpe be’, le disse, amen, vai a farti fottere. Dall’alto guardavano Pedona affacciarsi, precisamente la cittadina si estendeva per alcuni chilometri lungo il Mediterraneo, a formare una specie marina di parentesi che cessava risalendo le colline della regione circostante. A circondarla la si direbbe il sorriso infinito del mare, quella materia che non ha frontiere e nasce dall’acqua che sta in mezzo alla terra. Così, sulla cima di un’altura, cessava nel mondo il gioco della separazione e della sofferenza: il Tu e l’Io furono una sola carne. Non sei il mio tipo comunque, disse Maria. Quella domenica Maria di Magdala e Maria di Cleofa si recarono alla tomba di Gesù, e videro che il Santo Sepolcro era stata profanato. Corsero ad avvertire l’apostolo Pietro che assieme a Giovanni entrassero nella tomba del Signore, per scoprire che era vuota, e che, per giunta, bende e Santa Sindone erano state ripiegate in un angolo. Alle tiepide dispiacenze dei due uomini, le due Marie non potevano rassegnarsi, e stettero a piangere vicino alla Tomba fino all’arrivo dell’Angelo. Gesù, anche lui, arrivò, e quando che lo ebbero riconosciuto esclamarono: Rabbunì! che in ebraico vuole dire ‘maestro buono’. Erano soli ora, formavano un triangolo sulla terra umida del mattino, le due Marie e Gesù, a dire loro di lasciarlo, per fare di corsa ad annunciare la buona notizia. E com’è il tuo tipo? rispose. In effetti, Maria, lei, un tipo lo aveva: era innamorata di una ragazza del suo paese. E da Mondsee, Lago di Luna, Maria sapeva che l’avrebbe raggiunta a Pedona,

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ultima tappa di un lungo viaggio che aveva toccato Norvegia, Francia, Saintes-Maries-de-la-Mer, giù fino a Città del Capo e poi ad Akmihm, in Egitto, a raggiungere quella cittadina estesa tra il mare e le colline e lei e quel camallatore di borse, venditore di accessori per cucito. E Maria, lei, avrebbe attraversato la cruna di un ago pur di

rivederla. Sta arrivando un’amica, annunciò. Si chiama Maddalena». (continua nel prossimo numero) Milo Karoli

TUTTA MIA (LA CITTÀ) Potevo ancora tornare indietro. Ma poi la porta si spalancò e apparve Anastasia. Anastasia, Ottavio, Ottavio, Anastasia. Studiare all’estero-vantaggi esclusivi. Imparare a parlare fluentemente una lingua straniera. Diventare una cosiddetta “persona di mondo”, caratteristica molto apprezzata da tutti, in particolare dalle grandi aziende di successo. Capacità di relazionarsi con gli altri e acquisire una certa dose di leadership. Fine, fregato già al momento delle presentazioni. Mi illustrava la casa e una serie di informazioni inutili e prosaiche (le bollette, la luce, il gas, la differenziata…) e io intanto pensavo ai suoi occhi scuri ed enormi, alla sua voce cinguettante e a quell’accento spagnolo che rendeva cangiante e luminosa ogni sua parola. Già la amavo. Un’esperienza di studio all’estero ti mette in contatto con molte persone e amici che stanno facendo anche loro un’esperienza simile alla tua e magari hanno voglia di condividere esperienze ed impressioni. Cercavo di immaginare come avrebbe potuto reagire se le avessi detto la verità, ma l’unica battuta che riuscivo a metterle in bocca suonava da telenovela, qualcosa di simile a: «Tu sei pazzo, Ottavio» e dopo, ovviamente, il bacio. Imparare a reggersi sulle proprie gambe. Studiare all’estero ti costringe per certi aspetti ad allontanarti da casa e questo, ti assicuro, è solo un bene per la tua persona. Certo è bello immaginarmi in uno di quei college inglesi, così massicci e severi, con un prato verdissimo intorno e la nebbiolina… ma non so l’inglese e non ho abbastanza coraggio. O forse sto solo cercando una scusa per lamentarmi. Io, io, io, voglio stare qui. Ma poi gli amici partono, ma poi tu parti, ma poi lei parte e io, io, io, mi sento come se mi stessi perdendo qualcosa. I segnali che non ho colto, le occasioni che ho lasciato passare, la For-

tuna è calva, ha un solo lungo ciuffo, devi afferrarlo prima che ti sfugga dalle dita. Forse sarei più felice in un college inglese. Ma perché non potrei essere felice qui? Non sono come Anastasia, che ha lasciato la Spagna per venire nella mia città. Io (io io io) non sono che un bugiardo venuto per un giorno a spiare la sua vita, a guardare come se la cavano le persone che acquisiscono una certa dose di leadership e sanno reggersi sulle proprie gambe. Un Erasmus di un giorno, così mi sono detto. Volevo solo vedere davvero che cosa mi stavo perdendo. Ho visto l’annuncio e ho chiamato, sembrava divertente, non ho pensato ad altro. Nell’appartamento vivono tre spagnole, due tedeschi, due portoghesi e una messicana. Dietro ogni porta c’è una camera, dietro ogni camera c’è una persona, ma io non ne vedo nessuna. Posso solo immaginarli, basandomi su quel poco che mi dicono le loro porte: la locandina di un festival di musica elettronica, una cartina del mondo, un poster con una tigre e una farfalla. La cucina è in comune, “dopo cucinare, pulire - siamo in tanti” dice il cartello. «E la casa è tutta qui! Che ne dici, la prendi la camera… Attilio? Oh, scusa, Ottavio. Ma tu, esattamente… da dove vieni?». (Per fare un prato occorrono un trifoglio e un’ ape. Un trifoglio un’ape e il sogno. Il sogno può bastare, se le api sono poche.) Anastasia ed io giriamo tutta la città, una città stranissima, che non conoscevo affatto. Lei si immobilizza davanti ad angoli a cui non ho mai fatto caso, che mi sembra di non aver mai visto. Si ferma di fronte ai lampioni, ai pappagallini verdi, ai cavoli, alle statue senza naso. E fotografa tutto, e tutto filtra, filtro giallo antico, filtro blu freddo, filtro bianco e nero contrasto, filtro seppia malinconia. E sotto scrive frasi così adorabilmente retoriche: “La mia nuova casa. La grande bellezza.

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Superba. Sweet sunset”. Dalla finestra della mia classe del liceo vedevo una statua di Atena. Svettava da qualche tetto, apparsa come dal nulla, dritta come una lancia nelle rigide pieghe del chitone. Le rivolgevo ardenti preghiere, che mi aiutasse, che ispirasse la mia traduzione, ma lei -con un atteggiamento che mi sembrava filologicamente corretto- mi volgeva le spalle, severa e invincibile. Non so come Anastasia nel suo vagare tra scale di ardesia e corridoi sbucò su una terrazza da cui si vedeva tutto il porto, una scena da cartolina, da turista, e subito si applicò con diligenza nella sua arte del filtro. E fu lì che di fronte a noi rividi Atena, svettava da qualche tetto, apparsa come dal nulla, riemersa dai miei ricordi del liceo, e allora, per la prima volta, la fissai nelle sue pupille dure, bianche. «Ottavio, ma tu sei troppo serio! Sei troppo serio e nascondi qualcosa. A penny for your thoughts.» «Anastasia, secondo te è possibile che Ulisse dopo la guerra sia tornato subito ad Itaca, con un viaggio breve, una traversata tranquilla? Dopo dieci anni di guerra, dieci anni di strage (how my brave young life was for ever changed) quello scoglio perso nel mare gli doveva sembrare insopportabile. Forse era anche un po’ uscito di testa. Te lo immagini, mentre si volta di scatto perché gli sembra di aver sentito uno sparo? O la notte, quando si sveglia con le mani che brancolano nel buio, cercan-

do il fucile? E forse quegli altri dieci anni famosi vagò come un pazzo per Itaca, inventando storie folli, scambiando mulini per giganti -come fece quel vostro Don Chisciotte- ma lui li chiamò Ciclopi, e se stesso chiamò Nessuno. (Darlin’ give me your kiss, only understand, I am the nothing man). Dieci anni a girare su stesso, da una parte all’altra di uno scoglio grande come un pugno.» «Uhm… è una bella storia, Ottavio, ma non ci ho capito niente.» «Forse allora hai letto L’amico ritrovato. No? Male, è un classico.» «Allora lo comprerò» «No, non farlo, è orribile. Comunque, l’unica cosa che devi sapere è che i genitori del protagonista lo convincono a partire per l’America e salvarsi. Loro invece restano in Germania perché non possono andarsene. E si uccidono con il gas. Ma perché? Perché Anastasia non possono andarsene?» «Tu sei pazzo, Ottavio» e dopo, ovviamente, il bacio. Anastasia non l’ho più rivista. Mio amore di un giorno, forse mi aspetti ancora, fedele come una qualsiasi penelope, rigiri tra le dita il post-it col numero che ti ho dato, ma che non è il mio. Molto si perdona agli egoisti, perché molto perdonano a se stessi: e così fai anche tu con me. Amelia Moro

Per scrivere questo racconto ho rubacchiato qua e là da alcuni autori, li ringrazio, mi scuso e li cito qui: il blog Come studiare velocemente, Emily Dickinson, Bruce Springsteen, Fred Uhlman.

Prossa Nova è nomata e rinomata da Milo Karoli, Amelia Moro, Matteo Valentini Per contattarci e inviarci i vostri racconti scrivete a: prossanova@fischidicarta.it Sul sito www.fischidicarta.it è nata la sezione Prosse dei Lettori: il racconto di questo mese è Il tocco del cantafiabe di Massimo Croce. Alla prossima Prossa!

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