svoltosi presso la libreria Bookowski 26 ottobre 2016, Genova
Silvia Venturi
La natura illustrata
Il ghepardo è arrivato dall’America
Il ghepardo è arrivato dall'America Stampato in occasione dell’evento
Un documentario
Eugenio Montale, La bufera
Claudia Calabresi
(i suoni di cristallo nel tuo nido notturno ti sorprendono, dell’oro che s’è spento sui mogani, sul taglio dei libri rilegati, brucia ancora una grana di zucchero nel guscio delle tue palpebre)
Immaginatevi la situazione: una metro qualunque, le luci fredde, i sedili color circostanza. E all’improvviso mi spunta la coda. Niente panico: avevo il cappotto. Spuntava soltanto di poco. Ma sono arrivate le orecchie. E le macchie. E poi tutto il resto. Lì per lì ho fatto nta di niente, ma mi guardavano terrorizzati. Ho pensato che fossi in un lm: il protagonista ritrova se stesso sulle pendici innevate in Himalaya e torna uomo grazie a un santone una volta redento dal multitasking. Ma è dif cile andare in Himalaya se sei un ghepardo, e non è il tuo habitat. Il WWF mi denuncerebbe. Sono scappato e basta. Niente santoni, quaggiù. Ho galoppato invano, veloce come una Porsche. Mi hanno inseguito ovunque. Non mi hanno acciuffato. Di notte, verso le quattro, quando ci sono soltanto i tossici, ho vagato per strade deserte. Aspettavo l’inverno, e un po’ mi mancavi. Vivacchiavo, rubando il tonno e qualche carezza ai gatti randagi. Le vecchiette non si spaventavano: mi credevano un grosso gatto. Si è fatto più freddo. Aspettavo la neve. Mi hanno preso, portato al gattile. Ma non sono riuscito a integrarmi, non ho il pedigree, non so farmi valere. Sono scappato. Ed eccoci qui. È scesa la neve. L’ho aspettata perché pensavo ancora all’Himalaya. Sono salito sui monti, tra le pale eoliche (bello spettacolo, un po’ postmoderno). Ma tu non c’eri.
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Lì ho quasi visto un santone, un uomo vestito da Babbo Natale. Che ci faceva lì in mezzo, non so: forse era stufo di ngersi allegro. Vedendomi ha riso di gusto, gli si è persino staccata la barba.
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Un documentario “Che ci fa qui un ghepardo?” “Storiaccia. Tu sei un santone?” “Ma che stai dicendo?” “I santoni, in certi kolossal, fanno tornare gli uomini umani.” “In che senso gli uomini umani?” È rimasto un po’ zitto, pensava. Nel frattempo mi hanno sparato, ho sentito il latrare dei cani. Scappavo, l’ennesima volta. Mi sono trovato a seguire per sbaglio le mie tracce scure sul bianco, girando in tondo, mezzo contento, mezzo arrabbiato. Mezzo contento? La vita è dif cile se sei un ghepardo, non puoi più prendere i mezzi pubblici, e non puoi chiedere ad una ragazza nalmente, una volta per tutte di vedere un lm sul divano, che magari ci scappa l’amore. Ho corso sempre più piano. Casa tua, come sempre, lontana, in cima a un’immensa salita da fare in macchina. Ho capito perché i milionari cavalcano Porsche e non i ghepardi. Un quadro perfetto, da illustrazione: io moribondo, tu stavi portando la spazzatura nella spazzatura. Non hai detto una sola parola, sapevi chi fossi. Ho visto nero. Quando mi sono svegliato stavi guardando Sette anni in Tibet. “Ti sei salvato. Niente di grave” mi hai sussurrato. Volevo piangere, ma i felini non sanno commuoversi. Non so cosa sia successo: forse l’Himalaya alla televisione, forse che tu, sei tu il mio santone, ma sono tornato umano. Quanti prodigi, nell’era moderna! Ti ho guardato con attenzione, controllato più da vicino. “Non hai più la neve su un occhio.” Mi hai sorriso.