TennisBestMagazine n.2

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beST/magazine beST

TENNISBEST.COM

BIMESTRALE MAGGIO/GIUGNO € 4,50 ITALY ONLY

ANA IVANOVIC


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F o r n i t o r e

U f f i c i a l e

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Bergamo ATP Challenger 2012: 11/19 febbraio, 42.500 €

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ATP World Tour 250: 26 settembre/2 ottobre 2011, 551.000 $

If Stockholm Open - SVEZIA

ATP World Tour 250: 17/23 ottobre 2011 - 531.000 €

St.Petersburg Open - ruSSIA

ATP World Tour 250: 24/30 ottobre 2011 - 663.750 $

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ATP Challenger Series - 30.000,00 $ dal 2005 al 2010

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ITF Futures - 15.000,00 $

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Sommario maggio/giugno 2012 Opinionisti 18 ANDREAS SEPPI

20 FILIPPO GRASSIA

26 JACOPO LO MONACO

40 FABIO FOGNINI

SPECIALE ITALIA DA PAG.60

70 ADRIANO PANATTA

Il più grande giocatore della storia italiana raccontato da Cino Marchese. Imperdibile!

74 SIMONE BOLELLI

Resta il piùgrande enigma dell’attuale tennis azzurro: campione o bidone? O nessuno dei due? Lo ha intervistato Marco Bucciantini

82 IL FUTURO DELL’ITALIA

Quali sono le prospettive nei circuiti ATP e WTA del nostro tennis? Mmh...

Ana Ivanovic da teen-ager

86 INCHIESTA QUOTE ROSA

Le ragazze regalano grandi soddisfazioni in campo. Ma come è la vita di maestre, dirigenti, organizzatrici del tennis in Italia?

COVER STORY 50 ANA IVANOVIC Una cover story che non passerà inosservata. Grazie al bikini di Ana e al profilo scritto da Federico Ferrero


Roger Federer

94 DAVID NALBANDIAN

Uno talento pazzesco e un personaggio tutto da scoprire, raccontato da un giornalista che lo conosce bene: Maximiliano Boso

100 FEDERER SÌ...FEDERER NO

Marco Imarisio e Andrea Scanzi hanno discusso via mail del personaggio principe del tennis mondiale: Roger Federer.

108 UNA CORONA PER DUE

Le top finali di Roland Garros rivissute dai protagonisti tramite le penne di Antonio Incorvaia e Federico Ferrero

116 I SIGNORI DEL ROSSO

Hanno vinto Roland Garros ma sono rimasti (quasi) sempre confinati nel recinto della terra battuta. Ma sono comunque riusciti a passare alla storia

124 FENOMENOLOGIA DEL TORNEO SOCIALE

Un mondo a parte, che vede protagonisti i soci nel torneo più importante dei nostri tennis club. E dove può succedere di tutto, come ci conferma Corrado Erba


Sommario maggio/giugno 2012

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130 OSCAR DEL TENNIS

I migliori prodotti del mercato secondo le votazioni dei top negozianti d’Italia

138 I PIEDI NEL TENNIS

Luca Avagnina, podiatra che ha seguito tanti tennisti, ci spiega l’importanza dei piedi nel tennis. E come affrontare le varie patologie

144 QUARTO POTERE

Dietro Babolat, Head e Wilson, c’è un marchio che si sta imponendo nel mercato italiano: Pro Kennex. Ecco come ha fatto

146 TEST SCARPE E CORDE

Dalle nuove Lotto Raptor a vari monofilamenti, passando per le corde in olifene che promettono una nuova rivoluzione

151 TECNICA

Come migliorare con i consigli dei nostri top coach: Emilio Sanchez e Massimo Sartori

161 SQUASH

Una sezione tutta dedicata ad uno sport che sta vivendo un nuovo, entusiasmante boom


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Co di n l’a sc cq ar u p i

io pa a, n u m di gam o st lla e ed


beST/magazine beST magazine Direzione e redazione via Bernabò Visconti 18 - 20153 Milano www.tennisbest.com Direttore responsabile Lorenzo Cazzaniga lorenzo@tennisbest.com

FROM ROMA Si può aver girato il mondo anche più di una volta, ma trovare un’altra città come Roma è dura...

Caporedattore Riccardo Bisti info@tennisbest.com Hanno collaborato Maximiliano Boso, Marino Bombini, Luca Bottazzi, Marco Bucciantini, Marco Caldara, Antonio Di Vita, Corrado Erba, Federico Ferrero, Marco Imarisio, Antonio Incorvaia, Cino Marchese, Jacopo Lo Monaco, Stefano Meloccaro, Cosimo Mongelli, Filippo Montanari, Paolo Moro, Raffaella Reggi,, Massimo Sartori, Andrea Scanzi

FROM ALBA Patria del tartufo e della buona cucina

Pro Player Fabio Fognini, Andreas Seppi Pro Coach Emilio Sanchez, Massimo Sartori FROM BUENOS AIRES Che quest’anno torni a essere la sede della finale di Davis (e che sia la volta buona per l’albiceleste)?

Photo editor Marco De Ponti Photo Agency Getty Images Art director Giuly Marley Der Prinz

Editore XM MANAGEMENT SRL corso Garibaldi 49 - 20121 Milano Stampa Mondadori Printing S.p.A. Via Mondadori 15, 37131 Verona Tel. +39.045.934111 Fax +39.045.934763 info.printing@verona.pozzoni.it Distributore per l’Italia m-dis S.p.A. Via Cazzaniga, 19 - 20132 Milano tel. 02/25.82.1 Registrazione presso il Tribunale di Milano n.75 del 10 febbraio 2012

FROM BORDIGHERA Da Caldaro a Bordighera, ma sempre in giro per il mondo, nella vita da globetrotter dei coach di tennis pro


RACCHETTA, PALLA E INCORDATORE UFFICIALE DI ROLAND-GARROS Andy RODDICK (USA)

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*Nuova Pure Drive: in una racchetta, il lato oscuro della potenza. Massima energia ad ogni tiro.

Na LI (CHN)

Kim CLIJSTERS (BEL)


DREAM TEAM

Giocatori, coach, manager, giornalisti, scrittori, commentatori tv: una carrellata dei complici che ci hanno permesso di sfornare questo numero di TENNISBEST Magazine. 1

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MAXIMILIANO BOSO Da Buenos Aires, dove lavora per la ESPN (e dopo un lungo trascorso a La Nacion), ci ha raccontato la storia di David Nalbandian, lui che ha avuto il piacere di raggiungerlo a Unquillo, la piccola cittadina dove "La Nalba" si rifugia tra famiglia e amici quando smette i panni del fuoriclasse.

MARCO BUCCIANTINI Gli piacciono i tipi difficili, quelli che non sono facili da capire all'istante, quelli che tutti si chiedono perché è fatto così, e nessuno trova una risposta valida. Insomma, quelli alla Simone Bolelli, il grande enigma del tennis azzurro. Ci ha parlato insieme e ha capito che...

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MARCO IMARISIO Generalmente dovrebbe occuparsi di faccende più importanti delle vicende tennistiche. Ma che sia a Kabul o in Val di Susa, state certi che troverà il modo di occuparsi di tennis. Questa volta ha discusso con Andrea Scanzi di Roger Federer.

JACOPO LO MONACO Commenta tennis un giorno sì e l'altro pure e, data la sua enorme competenza, ci è venuto spontaneo fargli vestire i panni del Commissioner e fargli scegliere cosa cambierebbe nel mondo del tennis pro se avesse pieni poteri per farlo.

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GLOBAL PROFESSIONAL TENNIS COACH ASSOCIATION

8 EMILIO SANCHEZ La terra battuta è la superficie che, grazie alla sua lentezza, permette di imbastire gli schemi di gioco più elaborati. Già, ma come scegliere i più efficaci? Ce lo ha spiegato un super coach come l'ex top 10 spagnolo.

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FEDERICO FERRERO Di tennis femminile ne commenta tanto (anche se non sempre troppo volentieri). E chissà che idea si è fatto della Ivanovic, tipa spesso indecifrabile in campo. Ce lo spiega nel racconto della nostra cover story.

FABIO FOGNINI La stagione sulla terra è cominciata e, in vista di Roma e Parigi, ci illustra quali sono i giocatori da tenere sott'occhio. Perché la terra rossa è una superficie che può creare delle sorprese.Anche se al vertice, son sempre quelli che fanno la dffierenza.

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ANDREA SCANZI Ogni volta che scrive (di tennis, di musica, di vini, di politica) fa sempre discutere. Questa volta ha discusso con Marco Imarisio del Corriere della Sera. Motivo del contendere? Roger Federer. Che Scanzi ammette di non amare troppo...

ANDREAS SEPPI L'anno scorso abbiamo scoperto che nei pronostici non è esattamente il numero uno d'Italia. E quest'anno,... non promette di andare tanto meglio! Però non demorde e chissà che non azzecchi qualcosina...

GLOBAL PROFESSIONAL TENNIS COACH ASSOCIATION Nata a New York, è l'associazione che riunisce i migliori coach professionisti del circuito ATP, a partire da Toni Nadal, lo zio-coach di Rafael.Tanti i coach internazionali di primissimo livello che ne fanno parte, tra cui ci piace ricordare i nomi di Alberto Castellani (Presidente dell'associazione) e Claudio Pistolesi. Da questo numero, ospiteremo sempre l'intervento di uno dei top coach della GPTCA. Dopo José Perlas che ha inaugurato la rubrica, è il turno di Raffaella Reggi che offre i suoi consigli su come crescere una giovane promessa che vuole puntare a diventare un giocatore ( o una giocatrice) professionista. G

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GLOBAL PROFESSIONAL TENNIS COACH ASSOCIATION

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3 CORRADO ERBA Appassionato (soprattutto) del tennis dei Gesti Bianchi, è anche un avido giocatore. Per questo, spesso girovaga per tornei sociali, tornei di quarta categoria, campionati a squadre stile Coppa Italia. E, osservando i giocatori di club, ne ha tirato fuori un ritratto da non perdere.


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di LORENZO CAZZANIGA

LA BELLA STAGIONE È partita la stagione più bella, quella che dal Monte Carlo Country Club ci porterà fino all'All England Club di Wimbledon, con la piacevole appendice del torneo olimpico estivo. E anche in questo numero non ci siamo fatti mancare niente, a partire da una copertina niente male :). Oltre alla cover story però ci sono tanti spunti interessanti: dall'inchiesta quote rosa del tennis in Italia al dibattito Imarisio-Scanzi su Roger Federer, dall'intervista al nostro maggior enigma (Simone Bolelli) ai TENNISBEST Magazine Awards dove 40 top negozianti hanno scelto i migliori prodotti del mercato. Insomma, tanti approfondimenti e temi di discussione. Come quelli che ho affrontato, come di consueto, con voi lettori. Ho letto di un'interrogazione parlamentare che riguarda la Federazione Italiana Tennis: ma di cosa si tratta esattamente? (Claudio, Viterbo) Pare che il Presidente Binaghi non goda di soli amici in Campania e che da Napoli sia partita la richiesta per un'interrogazione parlamentare portata avanti dalla deputata Giuseppina Castiello, insieme a undici colleghi del Pdl (anche se alcuni hanno già ritirato la firma). L'otto marzo scorso hanno chiesto alla FIT di rendere conto della gestione dei fondi pubblici che ricevono. Una richiesta del tutto legittima: sarebbe d'obbligo per una federazione pubblica rendere note tutte le spese sostenute. Un tesserato che versa regolarmente la quota associativa, un maestro che paga l'iscrizione all'albo, un presidente di club che versa l'obolo per l'iscrizione ai vari Campionati, hanno diritto di sapere dove finiscono i loro soldi. Un bilancio analitico che mostri i contributi giocatore per giocatore, i rimborsi spese dei dirigenti, le spese per la promozione, eccetera eccetera. Il Presidente Binaghi sempre stato descritto come persona integerrima su queste faccende, quindi sarebbe logico aspettarsi una maggior trasparenza, considerando che parliamo di fondi pubblici. E peraltro non di poco conto: la FIT riceve solo dal CONI quasi 6 milioni di euro all'anno. I ricavi totali ammontano (secondo l'ultimo bilancio disponibile, quello del 2010) a 29.638.681 euro, di cui 9.155.357 derivanti da tasse federali e 13.198.888 dagli eventi internazionali (torneo di Roma, match di Davis e Fed Cup). Il tutto per un utile di 938.624 euro. E fin qui tutto bene, considerando che Binaghi aveva ereditato dei conti in pericoloso disavanzo. Tuttavia, quel che si chiede è semplicemente di spiegare come tali contributi vengono utilizzati. Il canale SuperTennis per esempio, è una manna per gli appassionati ma costa e anche parecchio. La Camera ha fornito un costo annuo per la gestione del canale di circa quattro milioni di euro, tutti a carico di mamma FIT. Si può discutere all'infinito se sarebbe meglio impiegare diversamente quei contributi oppure se, come sostengono dalla Federazione, la promozione tramite il canale tv è tale che i costi vengono pareggiati con la crescita dei tesserati, dei giocatori agonisti, delle squadre iscritte ai Campionati. Certo, non è facile stabilire se un ragazzo ha deciso di avvicinarsi al tennis e di iscriversi alla FIT perché ha guardato l'ATP di Barcellona su SuperTennis; tuttavia, il fastidio maggiore resta l'inopportuna scelta di far presiedere la società che gestisce il canale, la Sportcast Srl, da Carlo Ignazio Fantola, zio del Presidente Binaghi. In più, attraverso la Qua Srl, uno dei soci della Sportcast risulterebbe essere Giancarlo Baccini, che è anche... il direttore della tv. Insomma, manca quella naturale trasparenza che lo stesso Governo Monti ha chiesto e che, ne siamo certi vista la sua onestà intellettuale, il Presidente Binaghi non farà mancare nelle prossime settimane. Caro Direttore, mi sono esaltato nelle sfide tra Nadal e Federer. Poi è arrivato anche Djokovic e tutto sembrava perfetto. Ora mi sto quasi stancando. Non crede che il tennis di vertice abbia bisogno di un volto nuovo? (Filippo, Trieste) Premesso che potessimo godere di una decina di Federer (o Nadal, o Djokovic, a seconda dei gusti) saremmo tutti contenti, questi tre giocatori hanno spostato l'asticella così in alto che pure un talentuoso come Murray (che, avesse giocato una decina danni fa, avrebbe già annesso un paio di trofei Slam) fatica a stare a ruota. Non lamentiamoci: stiamo vivendo un periodo di vacche grasse. Ai tempi dei duelli Sampras-Agassi, ricordo che le loro difficoltà sulla terra rossa ci obbligavano a seguire nelle fasi finali di Monte Carlo, Roma e Parigi i vari Bruguera, Berasategui, Muster, Chesnokov... Mi sono avvicinato da poco a questo splendido sport ma spesso leggo e ascolto critiche molto spinte su giocatori, federazione, maestri, negozianti: potesse disporre della bacchetta magica, quali sarebbero i primi interventi che attuerebbe per migliorare la situazione? (Gianfranco, Padova) Difficile in poche righe. Però, riassumendo: 1. creare un vero centro tecnico nazionale (con vari distaccamenti regionali), maschile e femminile, dove crescere i migliori talenti da affiancare ai nostri top player. Sarebbe opportuno che ci lavorassero i migliori coach, preparatori atletici, fisioterapisti, medici... 2. prevedere una (o più) figure altamente professionali e preparate nel settore del marketing e della promozione per migliorare l'immagine del nostro sport. In Italia sembriamo tutti golfisti, velisti e rugbisti, discipline che invece hanno un numero di praticanti ridottissimo rispetto al tennis. 3. Ricreare una vera Scuola Nazionale Maestri per formare al meglio gli istruttori. E sostenere quelli che vogliono diventare dei coach professionisti. 4. acquisire nuovi eventi ATP e WTA. Alcuni tornei americani stanno morendo: peccato che poi finiscano a Rio de Janeiro. Per cominciare sarebbe sufficiente?

Editoriale


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WHO

Anna Kournikova, Russia

WHERE unknown

WHEN anno 1998

WHY

C’è bisogno di spiegarlo?

WHAT Uno dei fotografi più spettacolari di sempre che immortala la più affascinante, conturbante, sensuale tennista della storia. Non poteva che uscir fuori un ritratto che, a distanza di 14 anni, continua a ritornare nella mente degli appassionati. A.K. è stata la prima vera pin-up del nostro sport, capace con i suoi atteggiamenti sexy di far dimenticare che ha pure raggiunto una semifinale a Wimbledon. Tutti la ricorderanno semplicemente per il suo aspetto, ancor prima che per il suo nient’affatto trascurabile rovescio. E in effetti, per spiegare il fenomeno Kournikova è sufficiente ricordare un affannato Adriano Panatta, allora direttore del Foro Italico, correre fuori dai botteghini a informare gli spettatori che Venus Williams non sarebbe scesa in campo. La risposta fu esemplare: «Ma a’ Kournikova gioca? E allora che ce frega del resto».

photo by David LaChapelle



WHO

Tennis fanatics

WHERE

Swissotel The Stamford, Singapore

WHEN

7 dicembre 2008

WHY

Perché il tennis non ha limiti. Nemmeno di spazio.

WHAT A Singapore gli spazi sono decisamente limitati. Si tratta infatti del secondo stato più densamente popolato al mondo dopo il Principato di Monaco (e guarda caso anche qui il tennis non manca) e quello col più alto tasso di milionari, considerando che parliamo del quarto polo finanziario mondiale. Non mancano dunque gli hotel di lusso che offrono ogni genere di comfort. Ma piazzare anche dei campi da tennis (magari con annesse piscine) non è impresa semplice. Ecco, per esempio, quello che hanno dovuto studiare gli architetti dello Swisshotel The Stamford. Certo, il colpo d’occhio è davvero notevole... photo by Varf



WHO

Addetto ai campi

WHERE

Stade Roland Garros, Paris

WHEN

26 aprile 2011

WHY

Perché dietro un grande evento ci sono figure che restano sconosciute. Ma che sono indispensabili.

WHAT Di Roland Garros ci ricordiamo sempre delle sei vittorie (in otto partecipazioni) di Bjorn Borg. E di Rafael Nadal che quest’anno proverà a superare tale record, eguagliato l’anno scorso. Oppure delle quattro vittorie Slam azzurre, dalla doppietta di Nicola Pietrangeli ai successi di Adriano Panatta e Francesca Schiavone. Oppure dello straordinario successo di pubblico, della meticolosa organizzazione e talvolta del pubblico sciovinista. Ma troppo spesso, a Parigi come a Wimbledon, a New York come a Melbourne, ci dimentichiamo di chi lavora dietro le quinte. E in particolare di quanto sia importante (e difficile, lo notiamo nei nostri tennis club) creare un campo in terra battuta come Dio comanda. Ecco, a Roland Garros ci riescono da 84 anni, quando fu creato questo meraviglioso impianto, in onore dei Quattro Moschettieri. photo by Jacques Demarthon


mo tia t e mm o c S

. . . E H C DREA DI AN

S SEP

PI

La rimonta… il Chelsea… Nadal… 1. Bene, premesso che hai rischiato il ritiro visto che l'Arsenal ha quasi recuperato il 4-0 di San Siro (e comunque il Milan la Champions non l'ha vinta), vediamo di continuare un po' con il calcio. Dunque, al Milan riuscirà la rimonta in Campionato sulla Juve? Chiaro. Certo, se quelli non perdono più... 2. L'Inter riuscirà a conquistare un posto per la Champions League? Aah, aah, aah... Vuoi scherzare? La prossima? 3. Chi vincerà la Champions League, Chelsea o Bayern? Chelsea. Ma sai qual è il problema? Che accadrà come al solito tutto l'opposto! 4. Probabile. Meglio spostarci su qualcosa che dovresti conoscere meglio, il tennis. Sempre convinto che alle Olimpiadi andrete tutti e quattro, tu, Fognini, Starace e Volandri? Perché no? Io ho pochi punti da difendere prima delle Olimpiadi, Fognini si è ripreso bene, Volandri ha già fatto una finale ATP e Poto tirerà fuori un gran risultato sulla terra. Sono ottimista! 5. Chi vincerà Roma? Nadal. 6. Mmh, coraggioso! E chi vincerà Roland Garros? Nadal. 7. E magari resterà imbattuto sulla terra rossa nel 2012? No. Ne perde una. 8. Ma chi sarà il nuero uno italiano a fine stagione? Sorry, ma qui non vorrei che succedesse davvero il contrario di quello che pronostico! 9. Un italiano vincerà un torneo ATP nel corso del 2012? Sì, e spero di essere ancora io quel qualcuno, come l'anno scorso! 10. Juan Martin Del Potro riuscirà ad arrivare in finale in un torneo dello Slam nel 2012? No.

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ASICS nasce come acronimo del motto latino “Anima Sana In Corpore Sano”

SONO IL PROSSIMO PUNTO. NON L’ULTIMO. SAMANTHA STOSUR, VINCITRICE US OPEN 2011

IO SONO LO SPORT E TU?


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IPP DI FIL

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SSIA

Ma tu, sei testa di serie? Un tempo, gli organizzatori di Wimbledon si distinguevano in quanto, infischiandosene delle classifiche mondiali, stilavano la lista delle teste di serie in base allo stato di forma dei partecipanti, al loro feeling sull’erba e agli ultimi risultati ottenuti sui campi dell’All England Lawn Tennis and Croquet Club. Della serie: «Su questa particolare superficie bisogna avere delle caratteristiche particolari per eccellere, e noi quelle prendiamo in considerazione per mettere in fila giocatori e giocatrici». Ne scaturivano differenze importanti rispetto al ranking mondiale. A farne le spese erano in particolare i terraioli, costretti a lasciare il passo agli erbivori puri. Nel corso degli ultimi anni la specializzazione per superficie è venuta a scemare per l’evoluzione di un gioco sempre più omologo, fatto di colpi assassini, portati in anticipo, a velocità siderali, su qualsiasi campo. E gli organizzatori, al guinzaglio delle classifiche robotizzate, hanno perso di vista l’importanza di creare un seeding proprio. Capirei questo comportamento nei tornei su erba e cemento che la fanno da padroni nel panorama mondiale con un’incidenza di circa il 70%, ma sulla terra rossa, signori miei, proprio no. In una umida serata romana, Sampras confessò con molta onestà che giocare sulla terra battuta è molto più faticoso perché il servizio non è devastante come sulle altre superfici, gli scambi sono prolungati e la fatica si fa sentire. Quasi si trattasse di un altro sport. Ma il ranking non è un dogma in quanto rispecchia il rendimento nel corso di un anno, ma non dice quanto effettivamente vale un tennista alla vigilia di un torneo, in un determinato periodo della stagione. Può infatti accadere che un top player sia in crisi, non stia bene, si porti appresso qualche acciacco, paghi uno scarso momento di forma. E allora perché confermarlo fra le teste di serie in base alle classifiche ATP e WTA? Al contrario un atleta di seconda schiera, ma in grandi condizioni di salute, meriterebbe di figurare in una parte più nobile del tabellone. Niente di tutto questo. Si va avanti per stereotipi, e lo stereotipo più assurdo è rappresentato dal ranking. In campo femminile si sono registrate scelte devastanti con alcune grandi tenniste, al rientro dopo soste più o meno lunghe, che sono state trattate come emerite sconosciute. La belga KimCljisters, rimasta lontana dai campi per quasi due anni, ha addirittura vinto lo US Open 2009 battendo le sorelle Williams e la Wozniacki. Essendo però senza classifica, fu ammessa in tabellone solo grazie a una wild card e non fu inserita fra le teste di serie. Eppure aveva ottenuto buoni risultati sia a Cincinnati (quarti) che a Toronto (terzo turno). E in allenamento faceva sfracelli. Identica la storia della connazionale Justine Henin, ritiratasi nel 2008 da leader mondiale, che appena riprese la racchetta andò in finale prima a Brisbane e poi all'Australian Open. Logicamente con wild card e fuori dal seeding. A loro volta, le sorelle Williams (nella foto), fra un pit-stop e l’altro, hanno fatto da mina vagante in più tornei perché escluse dalle prime teste di serie. Se la competenza vale ancora qualcosa, deve essere funzionale al seeding. E il ranking mondiale non può fare da matrice, sic et simpliciter, alla composizione dei tabelloni.

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I CONSIGLI DI RAFFI 1. ESPERIENZA ESTERA Può essere più o meno lunga, ma confrontarsi con altre realtà è un aspetto fondamentale 2. INVESTIRE SU SE STESSI Coach, preparatore, fisio: bisogna diventare imprenditori di se stessi. Per poi guadagnare con gli interessi 3. GENITORI ATTENTI! Affidatevi a persone esperte. E riflettete sugli errori già commessi da tanti vostri "colleghi"

Top

H C A O C

Fuga per la Vittoria

FAE DI RAF

LLA RE

GGI

Per diventare dei giocatori (o giocatrici) professionisti, bisogna avere coraggio. Perché la scelta va fatta ancora giovanissimi e comporta dei rischi notevoli, e molto spesso è poi troppo tardi per fare marcia indietro. Ecco dunque che bisogna trovare in fretta la strada giusta e avere al proprio fianco persone di esperienza che possano consigliarvi al meglio. Personalmente, sono cresciuta tennisticamente negli States, da Nick Bollettieri che negli anni 80 e 90 era l'assoluto top. Senza quell'esperienza, molto probabilmente non sarei mai diventata una professionista, tantomeno la numero 11 del mondo. Ancora adesso sono convinta che una giovane promessa debba provare l'esperienza estera, allenarsi nelle migliori accademie del mondo, confrontarsi con una realtà diversa e con un livello competitivo altissimo. È inutile crescere coccolati nel proprio club, dove tutti ti trattano da campioncino ancor prima di aver conquistato un risultato davvero importante, solo perché sai colpire bene la palla e vinci un titolo regionale. Non bisogna avere paura e guardare quello che succede nel mondo, non solo nel proprio orticello. E capire che vincere le competizioni giovanili è meglio che perderle, ma ancor più importante è crescere tecnicamente, fisicamente e psicologicamente per arrivare preparati al grande salto nel mondo del professionismo, dove tante promesse azzurre si sono arenate. Dopotutto, basta seguire l'esempio di tanti top players italiani per rendersi conto che un'esperienza all'estero può essere solo che formativa. Fabio Fognini è cresciuto ad Arma di Taggia ma esploso in Spagna; così come Flavia Pennetta con Gabriel Urpi a Barcellona, mentre Sara Errani (nella foto) si è proprio formata a Valencia, tanto che ormai la chiamano tutti Sarita. Perché solo affrontando le difficoltà fin da ragazzini si forma un carattere vincente. Mentre ho come l'impressione che la mentalità di tanti giovani italiani sia addirittura peggiorata rispetto a qualche anno fa. E così quella di tanti coach e dirigenti che dovrebbero consigliare le scelte giuste, ai ragazzi e ai loro genitori. E qui tocchiamo un altro tasto dolente. Fare i genitori non è un compito facile, soprattutto quando il figlio dimostra una qualche attitudine sportiva e molti padri li vedono già col trofeo di Wimbledon tra le mani (e loro sugli spalti a festeggiare). Ma quel che mi sorprende è che, nonostante tutti gli esempi negativi che abbiamo vissuto, ancora tanti genitori commettano gli stessi errori di sempre, mettendo addosso ai loro figli una pressione pazzesca. Prendiamo l'esempio di Gianluigi Quinzi: ha un grande talento ma riuscirà a far fronte a tutte le aspettative che lo circondano? A quelle dei genitori, che sono altissime, ma anche a quelle di media e appassionati che aspettano il fuoriclasse in campo maschile da oltre 30 anni? Speriamo. In questo panorama per nulla rassicurante, la figura del coach è fondamentale perché è colui che dovrebbe indicare la strada giusta. Tuttavia, mi sembra ci sia un grande vuoto nella nostra Scuola Nazionale Maestri. Ho visto l'elenco dei prossimi corsi ai quali dovrebbe partecipare l'élite dei nostri insegnanti, e ne conosco giusto un paio su quaranta. E non credo sia colpa mia, perché di coach e maestri preparati ne conosco tanti. Ma è un lavoro duro, complicato e non sempre remunerativo. Però bisogna anche stimolare coloro che vogliono intraprendere la carriera di coach professionista e magari coinvolgere gli ex professionisti più volonterosi, come accade in Spagna e in Francia, non a caso due nazioni sempre ai vertici del ranking mondiale. E invece i vari Mosè Navarra, Tathiana Garbin e Rita Grande, tra i pochi ex giocatori coinvolti in programmi nazionali, sono impiegati parttime. Chissà, forse l'intenzione è davvero quella di creare dei campioni. Ma dei campioni part-time. 22



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LE SIGNORE IN ROSSO LE GIOCATRICI MIGLIORI, MA ANCHE LE PIÙ ANTIPATICHE E LE POSSIBILI SORPRESE. ECCO QUALI SARANNO LE PROTAGONISTE DELLA STAGIONE SU TERRA ROSSA SECONDO SARA ERRANI 1. SAMANTHA STOSUR Al top della condizione, sulla terra battuta è la numero uno. Forse solo Serena Williams dispone di una potenza simile. Il problema della Stosur è che ne ha talmente tanta che non sempre riesce a gestirla a dovere. Ma in quel caso ti fa veramente male. Servizio e diritto sono veloci e pesantissimi e controllare tanto spin non è per niente facile.

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2 AGNIESZKA RADWANSKA

La chiamiamo La Professoressa. Certo, non dispone della forza di una Stosur ma ha un'intelligenza tattica fuori dal comune. E sul rosso, saper variare e "capire" il gioco è fondamentale. E in questo, lei è imbattibile

3. SERENA WILLIAMS

Il dubbio è uno solo: si allenerà prima della stagione sulla terra battuta? Non è la superficie che ama di più, ma comunque sia, se è in condizione è durissima da battere ovunque si gioca. In senso generale e superfici a parte, al top è lei la più forte.

4. NA LI

Fisicamente è fortissima e colpisce molto bene la palla. Il suo difetto? Che qualche volta ha dei cali vistosi, altrimenti è durissima batterla. E poi è la campionessa di Roland Garros...

5. CRISTINA MCHALE Sul rosso può essere la sorpresa perché è molto completa, sa muovere il gioco, ha un ottimo diritto e un rovescio solido. E si muove bene.

6. SVETLANA KUZNETSOVA

Non è sempre al top. E per fortuna! Picchia fortissimo e contenerla non è facile. E sa come si vince un torneo del Grand Slam, Roland Garros compreso.

7. CARLA SUAREZ

Ha un talento pazzesco. Un rovescio bellissimo ma è ancora troppo difensiva. Se osasse di più, farebbe male a tante.

8. VICTORIA AZARENKA

Che sia fortissima lo sanno tutti. Ma proprio non ce la faccio a farmela piacere!

9. MARIA SHARAPOVA Sulla terra battuta non mi convince totalmente. Sia chiaro, è una grandissima giocatrice e l'anno scorso a Roma ha dimostrato di poter vincere un grande torneo sul rosso. Ma sarei davvero sorpresa di vederla alzare il trofeo di Roland Garros.

POST SCRIPTUM

Mmh... preferisco evitare di parlare delle giocatrici italiane. Vado d'accordo con tutte e non voglio dare giudizi!



k a e BrOINT

P DI

O LO JACOP

MONA

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THE COMMISSIONER È giusto che un torneo come il Queen’s abbia lo stesso valore in termine di punti di Casablanca? Vi sta bene che un giocatore che batte il numero uno al mondo e perde al secondo turno ottenga lo stesso numero di punti di un altro che supera una wild card numero 500 ATP e perde subito dopo? Se il regolamento dice che un giocatore può concedersi al massimo 25 secondi tra un punto e l’altro e invece ne lascia passare più di trenta quasi ogni volta, non andrebbe punito? Sono diverse le situazioni che andrebbero cambiate nel circuito ATP e WTA. Eccovi alcune mie idee, più o meno attuabili.

IL CALENDARIO SITUAZIONE ATTUALE Il calendario prevede 60 tornei ATP, 50 tornei WTA e quattro prove del Grand Slam. Attualmente, il ranking maschile viene stabilito dai 18 migliori risultati conquistati, quello femminile da 16. Gli uomini possono contare su quattro Slam, otto Masters 1000 (+ uno, Monte-Carlo che, al contrario degli altri non è un torneo obbligatorio; se però si giocano tutti e nove i Masters 1000 si può contare su tre ATP 500), quattro ATP 500 e due ATP 250. Le donne su quattro Slam, quattro Premier Mandatory, otto Premier Five/Premier/International (con un minimo di quattro Premier Five e un massimo di due International, con quest’ultima regola che vale per le top 10). LA PROPOSTA Ridurrei a 14 i tornei obbligatori sia in campo maschile sia in quello femminile con tabelloni che prevedano lo stesso numero di partecipanti a seconda della categoria. ATP: quattro Slam, sette Masters 1000, due ATP 500, un ATP 250. WTA: quattro Slam, quattro Premier Mandatory, tre Premier Five (che diventerebbero sette Premier Mandatory), tre Premier/International (e un solo International per le top 10). Giocatori partecipanti? Nel Grand Slam, 128 (per due settimane di torneo); Masters 1000/ Premier Mandatory/Premier Three: 64 (per 11 giorni di torneo); tutti gli altri: 32 (per una settimana di torneo). I tornei Masters 1000 e Premier Mandatory da giocare ‘combined’, quindi con tabelloni maschili e femminili, sarebbero: Indian Wells, Miami, Monte-Carlo, Roma, Open del Canada (con format attuale, un torneo a Montreal e l’altro a Toronto), Shanghai e Madrid (indoor). Inizierebbero di giovedì, con conclusione la domenica successiva. giovedì/venerdì: 1° turno sabato/domenica: 2° turno lunedì/martedì: ottavi mercoledì: quarti femminili giovedì: quarti maschili venerdì: semifinali sabato: finale femminile domenica: finale maschile (3 set su 5, senza tie-break nel set decisivo) I tornei ATP 500 diverrebbero dieci: Rotterdam, Dubai, Barcellona, Queen’s, Halle, Amburgo, Cincinnati, Tokyo, Basilea e Bercy. Esattamente come i tornei Premier femminili: Sydney, Doha, Dubai, Stoccarda, Eastbourne, Stanford, Cincinnati, Pechino, Tokyo e Mosca I tornei ATP 250 e WTA International dovrebbero essere trenta con un massimo di due tornei alla settimana. In questo modo sarebbe improbabile avere tabelloni con un numero limitato di giocatori tra i primi 50. In totale, parliamo di 37 settimane di gioco, escludendo gli impegni di Coppa Davis, Fed Cup e Masters di fine anno. PERCHÉ? Punto primo: i giocatori avrebbero un periodo di riposo più lungo a fine anno e più settimane di recupero durante la stagione per preparare al meglio gli appuntamenti più importanti. Inoltre, riducendo il numero di tornei, non ci sarebbero più ATP 250 con tabelloni di poco superiori come livello tecnico ai migliori tornei Challenger. Infine, con meno tornei da giocare, diverrebbe più probabile avere tutti i più forti in campo nelle competizioni a squadre. Inoltre, sarebbe opportuno che ogni cinque anni venisse compilata una classifica dei tornei divisa per categoria (ATP Masters 1000, ATP 500 e 250, WTA Premier Mandatory, WTA Premier e International). Ogni torneo verrebbe giudicato a seconda della forza del suo campo di partecipazione, ovvero facendo una media della classifica dei giocatori inseriti direttamente in tabellone (escluse, quindi, wild card, qualificati, special exempt e giocatori col ranking protetto). Alla fine dei cinque anni, i tornei in fondo alla classifica potrebbero essere retrocessi di un livello e quelli in cima al ranking invece, potrebbero essere promossi. In questo modo ogni torneo sarebbe incentivato a organizzare un evento con un campo di partecipazione di prestigio.

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COPPA DAVIS E FED CUP

BONUS/MALUS POINTS

SITUAZIONE ATTUALE Competizioni che si disputano ogni anno; 16 squadre nel World Group di Coppa Davis, 8 in quello della Fed Cup.

SITUAZIONE ATTUALE Non vengono assegnati punti extra in caso di vittoria contro giocatori di alta classifica, così che battere al primo turno di Roland Garros Rafael Nadal o Joao Souza (con tutto il rispetto) offre lo stesso numero di punti. Stesso discorso vale, al contrario, se un giocatore perde contro un collega di classifica nettamente inferiore.

LA PROPOSTA Organizzare una competizione stile Ryder Cup da disputarsi ogni due stagioni (anni dispari); 16 squadre sia per la Davis sia per la Fed Cup con format attuale della Davis: quattro singolari e un doppio su tre giornate. PERCHÉ? Così facendo, diverrebbe più probabile vedere i top player in campo con maggior frequenza. E portando a 16 le squadre nel World Group di Fed Cup, una nazione tradizionalmente debole non dovrebbe aspettare troppi anni per salire i vari gradini e arrivare in Serie A. Per esempio, se la Danimarca dovesse trovare una seconda giocatrice valida da affiancare alla Wozniacki, entro due edizioni potrebbe (giustamente) essere competitiva ai massimi livelli.

TIME OUT SITUAZIONE ATTUALE Nei tornei ITF (quindi anche nei Grand Slam) e WTA si hanno a disposizione 20 secondi tra un punto e l’altro; nei tornei ATP si sale a 25 secondi. LA PROPOSTA Porterei il tempo a disposizione tra un punto e l’altro a 25 secondi in tutti i tornei. Il tempo verrebbe suddiviso così: 15 secondi per asciugarsi, cambiare racchetta, scegliere le palle con cui servire. I restanti dieci per eseguire il servizio. Nel caso si colpisca il net, il giocatore avrà 10 secondi extra per ripetere la battuta. Se non si riesce a servire la prima palla in tempo utile, si riceve una prima chiamata out (come se il servizio fosse finito fuori o in rete) e quindi si passerà a servire la seconda palla, con altri 10 secondi a disposizione. PERCHÉ? L'anno scorso a Roland Garros si è rischiato di sospendere la semi tra Federer e Djokovic per oscurità. Si iniziò a giocare alle 14.00: per le due semifinali si giocarono sette set in sette ore. E se fossero stati dieci? Quest’anno a che ora le faranno iniziare? Mi auguro almeno alle 13.00, se non addirittura alle 12.00. Senza ricordare la finale 2012 dell’Australian Open (5 ore e 53 minuti). 369 punti in 353 minuti. Se fossero riusciti a diminuire i tempi morti di soli cinque secondi a punto, il match sarebbe durato 37 minuti in meno.

CAMPIONATO DEL MONDO SITUAZIONE ATTUALE Non esiste LA PROPOSTA Manifestazione da disputarsi ogni quattro anni. A seconda del luogo, cambierebbe la data. A ogni edizione cambierebbe anche la superficie (terra, erba, cemento o indoor). Tabellone da 64 giocatori e giocatrici: 54 ammessi di diritto, 4 wild card, 6 qualificati. Un turno solo di qualificazioni (10 giocatori e giocatrici ammessi di diritto, oltre a due wild card). I primi 54 del ranking di fine anno si qualificherebbero di diritto e i successivi dieci giocherebbero le qualificazioni. Il Mondiale verrebbe giocato negli anni pari in cui non ci sono le Olimpiadi. PERCHÉ? Perché no?

OCCHIO DI FALCO SITUAZIONE ATTUALE Un giocatore chiede di utilizzare Occhio di Falco un po’ come gli pare: c’è chi alza la racchetta, chi il sopracciglio, perfino chi domanda al giudice di sedia se sia il caso di chiedere un “challenge”. LA PROPOSTA Darei ai giocatori tre secondi di tempo dalla conclusione dello scambio per richiederlo. E la richiesta deve essere chiara e vocale: “Hawk-Eye, please!”. Punto. PERCHÉ? Per evitare discussioni inutili del tipo «a lui hai permesso di andare a vedere il segno e a me no». E poi è una questione di educazione!

LA PROPOSTA Tornare ad assegnare punti bonus a seconda della classifica del giocatore sconfitto secondo la seguente tabella (ogni giocatore può sommare al massimo 14 vittorie bonus). Vittoria contro il numero uno del mondo: 150 punti; Numero 2: 140 punti; Numero 3: 135 punti; Numero 4: 130 punti; Numero 5: 125 punti; Numero: 6: 120 punti; Numero 7: 115 punti; Numero 8: 110 punti; Numero 9: 105 punti; Numero 10: 100 punti; Numero 11-15: 90 punti; Numero 16-20: 80 punti; Numero 2125: 75 punti; Numero 26-30: 70 punti; Numero 31-35: 60 punti; Numero 36-40: 55 punti; Numero 41-45: 50 punti; Numero 46-50: 45 punti; Numero 51-60: 35 punti; Numero 61:70: 25 punti; Numero 71-80: 15 punti; Numero 81-90: 10 punti; Numero 91100: 5 punti. Inoltre toglierei punti per ogni sconfitta subita contro un giocatore di classifica inferiore. Il numero di punti viene stabilito dalla differenza in classifica tra i due giocatori; se il numero 3 cede al numero 45 ne perde 42 e così via. Ogni giocatore si vede sottrarre le 14 peggiori sconfitte. PERCHÉ? I bonus points sono fondamentali per premiare i giocatori che battono dei top players. A volte succede negli Slam che ci creino dei ‘buchi’ nel tabellone. Credo sia giusto premiare chi li ha creati. Per esempio, se al primo turno batto il numero 10 del mondo (magari al quinto set!) e perdo al secondo turno, non è giusto che mi venga attribuito lo stesso numero di punti di un giocatore che ha sconfitto il numero 100. I malus points servirebbero invece a evitare che ci siano giocatori che si iscrivano ai tornei soprattutto per incassare l’ingaggio e poi perdano immancabilmente al 1° turno. Se ci rimettono dei punti magari si impegnano di più. 27


ub l C USE

Ci sono un notaio che ama l’eliski in Canada, un direttore commerciale chiamato The Teacher non certo per il suo diritto ma per altro genere di esperienza, un (molto) libero professionista che spesso deve arrabattarsi nello scegliere tra il court di tennis o il course di golf, un gestore di fondi d’investimento che la mattina acquista aziende come biscotti e la sera ti implora («Ti prego, fammi provare altri due smash che stasera non la sento…») e Il Dubitatore, pronto a metterli tutti in riga. In comune, una passione sfrenata per il tennis. Ogni numero proporremo loro una tematica relativa al mondo del tennis. E, come in un personalissimo forum, vedremo cosa ne pensano. E ne vedremo delle belle…

HO

“Secondo i numeri sono un milionario. Un appassionato guarda il montepremi che ho guadagnato nel 2011 e pensa che sia ricco: 438.000 dollari. In realtà, da quella cifra bisogna sottrarre mediamente il 30% di tasse. Ne restano 300.000. Inoltre, in un anno spendo 170.000 dollari per giocare sul tour professionistico; solo di voli ne ho spesi 80.000. Gli Slam pagano una cifra enormemente bassa rispetto ai loro guadagni: lo US Open spende in prize money il 5% dei profitti. Dal 2004 i premi nei grandi tornei sono cresciuti meno rispetto all’inflazione. Il numero 100 del mondo, se viaggia con un allenatore, guadagna dai 20 ai 30.000 dollari l’anno. E diamine, sei tra i primi 100 al mondo! Se prendi il 100° calciatore, il 100° golfista, tutti guadagnano di più. Anche il 100° calciatore ucraino guadagna di più” Sergiy Stakhovsky, numero 71 ATP

NOME: Arrigo Roveda

Milano NOME: Corrado Erba

San Donato MI

NOME: Luca Gardella

Milano

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SERGIY STAKHOVSKY LOCATION: KIEV, UKRAIN

ON LINE

Arrigo Roveda ha scritto La questione è, sul piano economico, semplice: il tennis è un business gestito da imprenditori che fanno quadrare un conto economico, il calcio no. Nel tennis si può spostare una certa percentuale di ricavi dall’organizzazione ai giocatori. Nel calcio ci sono alcuni ricchi scemi che decidono la quantità di perdite che sono disposti a generare e sulla base di queste gratificano i calciatori. Non c’è possibilità di comparare i due sport. Corrado Erba ha scritto: Argomento annoso. È palese come il tennis, oltre ad essere lo sport più difficile del mondo a livello di competizione, è quello che ha l’alea più alta, ovvero il rischio di diventare qualcuno è veramente basso. Ovvio che un giocatore di serie C, ovvero forse il ventimillesimo giocatore del mondo, guadagna più o meno come il 50esimo tennicolo del pianeta. Ma come dice giustamente il nostro notaio Roveda, non puoi paragonare gli sport di squadra a quelli individuali. Poi noi siamo calciocentrici, ma pensate a quel che guadagna il terzo portiere dei Boston Bruins della NHL o il quarterback di riserva dei Tampa Bay. Lì ci sono degli sconsiderati che investono cifre folli e, una volta entrato, vivi nella bambagia, sia che tu giochi oppure no. Qui, se non sputi sangue (Conte Dixit) non porti a casa niente. Luca Gardella ha scritto: Il talento ucraino si lamenta? Guadagna poco rispetto ai suoi colleghi sportivi del calcio, del golf, eccetera? Ma se deve solo sputare sangue 2-3 ore la settimana in qualche partita di torneo e allenarsi quando ne ha voglia nei migliori circoli del mondo! Premesso che faccio più fatica io con Silvio Bianchi che Fognini con Nadal, quindi non sono attendibile... Ma è mai possibile che tutti si lamentino? Avrei preferito che il n. 71 del mondo avesse detto: «Ragazzi è vero che guadagno poco rispetto ai giocatori di basket o calcio ma ho raggiunto il mio sogno d’infanzia, gioco sotto le palme o in riva al mare, mi alleno nei posti più belli del mondo, sono famoso, trombo come un pazzo e a volte vinco anche delle partite fra gli applausi dei ragazzini gioiosi! Ho visto il mondo e se mi gestisco con intelligenza camperò decentemente per tutta la vita sulla scia di questi anni gloriosi». Insomma, c’è gente che farebbe quella vita gratis, che non ne può più delle tangenziali, degli autogrill con le promozioni sulla spremuta e della barista sfatta, dei gratta e vinci sfigati e dei cd degli anni 50 con lo sconto 80%. Quindi, che Stakhovsky non mi rompa i maroni con i suoi soldi...


NOME: Antonio Glorioso

Milano NOME: Corrado Erba

San Donato MI NOME: Jack Picchi

Milano

NOME: Jack Picchi

Antonio Glorioso ha scritto: Non credo conti il fatto che si tratti di sport di squadra o individuale, bensì di calcio contro tutti gli altri sport. Infatti nella pallavolo, rugby o basket (USA esclusi) non girano neppure lontanamente i soldi che girano nel calcio. Che poi ci siano dei ricchi poco intelligenti (particolarmente se sponsorizzano squadre dipinte di nerazzurro) che spendono e spandono nel calcio, è verissimo. Ma è altrettanto vero che la notorietà che assicura il calcio non l’ha offre nessun altro sport, questo è innegabile. Corrado Erba ha scritto: Tralasciando il fatto che Gardella approfitta ampiamente della barista sfatta…. diciamo che per uno Stakhovsky che gioca sotto le palme e va alle feste all’Hard Rock Cafe, ce ne sono migliaia che passano gli anni belli giocando le quali nei tornei Futures di Carl Zeiss o di Medellin, scroccando tre racchette allo sponsor di Federer e mangiando panini. Poi, quando gli va di lusso, ma proprio di lusso, finiscono a fare i maestri all’Harbour Club. Jack Picchi ha scritto: Il calcio è il più bel gioco che abbiano mai inventato. Purtroppo, ultimamente non è più un gioco. Troppo business, troppi soldi. È giunto il momento di porre un freno a questo sperperio. I presidenti di calcio hanno ormai perso il controllo e strapagano calciatori e allenatori noncuranti dei bilanci pesantemente in rosso. Sono d’accordo con il grande Michel Platini che vuole implementare il fair play finanziario nel modo del calcio a causa del fatto che ogni anno ci sono miliardi di perdite. Tutt’altro avviene nel mondo del tennis in cui le società che gestiscono il tennis sono altamente profittevoli. È verissimo quello che sostiene Sergiy Stakhovsky perché solo i top ten vengono strapagati, mentre i giocatori oltre la 50°-60° posizione al mondo vivacchiano e quelli oltre la 100° rischiano di fare la fame. Il mio consiglio è quello che il sindacato dei tennisti debba farsi sentire per cercare di dare maggiore equilibrio alla distribuzione dei montepremi. È interesse di tutti che il tennis sia finanziato equamente a tutti i livelli, sia professionistico sia dilettantistico: i giovani devono avere la possibilità di giocare a tennis senza necessariamente essere ricchi di famiglia! Jack Picchi ha scritto: Ma vi rendete conto che Sergiy Stakhovsky è n° 71 al mondo e guadagna 438.000$ l’anno, mentre Balotelli che non gioca mai una partita intera e viene regolarmente cacciato di squadra in squadra, guadagna solo di ingaggio 6,5 milioni di € all’anno???

Milano NOME: Arrigo Roveda

Arrigo Roveda ha scritto Tornando in autostrada mi sono fermato all’Autogrill e ho trovato Stakhovsky che prendeva una rustichella con Gardella...

Milano NOME: Jack Picchi

Jack Picchi ha scritto …e scommetto che stavano anche facendo gli occhi dolci alle bariste sessantenni ;)

Milano

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la storia

Titanic tennis

Un secolo fa, la Nave dei Sogni affondava dopo una collisione contro un iceberg che causò la morte di 1523 persone.Tra i sopravvissuti due campioni di tennis. Ecco l’incredibile storia di Dick Williams e Karl Behr di Lorenzo Cazzaniga

A

l Longwood Cricket Club erano abituati ai grandi eventi: storico tennis club americano, era frequentato dalla Boston che conta.Tanto per intenderci, quel 18 luglio 1912 la maggior parte dei soci si era presentato con un nuovo mezzo di locomozione: l’automobile. Ed erano tutti accorsi per vedere un match che sarebbe entrato nella storia: il 21enne Richard Williams opposto al 27enne Karl Behr. Era l’estate di 100 anni fa: si giocava ancora con i pantaloni lunghi, le polo rigorosamente immacolate, scarpe in pelle e racchette di legno. Si battagliava con estrema sportività e si chiudeva il match gustandosi un brandy in club house. Era l’era ante-professionismo, dove non esisteva prize money e i migliori giocatori erano ancor prima avvocati o businessman. Il match fu un’esercitazione balistica infarcita di acuta strategia. Il giovane Williams cominciò aggredendo e conquistando i primi due set, prima che Behr gli prendesse le misure vincendo l’incontro per 0-6 7-9 6-2 6-1 6-4. Due futuri Hall of Famers spinti al limite del loro talento, al punto che il NewYork Times lo descrisse come “la più grande battaglia vista nei 22 anni di disputa del torneo di Longwood”.Tuttavia, la particolarità di quel match stava nella storia dei due giocatori che solo 12 settimane prima (ed esattamente un secolo fa) erano sopravvissuti al più grande disastro marittimo della storia: il naufragio del Titanic. Il 12 aprile 1912, il transatlantico della White Star Line cominciò il suo viaggio inaugurale. La più grande nave da crociera – ma in generale l’oggetto più gigantesco mai creato dall’uomo - aveva preso il largo dal porto di Southampton, Inghilterra; si era quindi brevemente fermato a Cherbourg, in Francia, e a Queenstown, in Irlanda, e quindi preso la rotta verso New York. A bordo c’erano 1.317 ospiti, tra i quali numerosi personaggi famosi: dal tycoon dell’edilizia John Jacob Astor IV a Benjamin Guggenheim, dal fondatore di Macy’s Isidor Straus a George Widener che aveva viaggiato in Europa con la moglie Eleanor per acquistare libri rari e scovare uno chef per l’hotel di famiglia, il Ritz-Carlton. Tra gli altri, c’era anche Charles Duane Williams, discendente del Presidente degli Stati Uniti Benjamin Franklin, trasferitosi per motivi di salute a Ginevra, in Svizzera. Suo figlio, Richard Norris Williams II, detto Dick, era un elegante tennista, aggressivo quanto composto nei suoi gesti. Una sorta di Roger

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Federer ante-litteram. Padre e figlio soggiornavano in prima classe e stavano tornando negli States, dove Dick avrebbe passato l’estate giocando e preparandosi per il college. Il 10 aprile, i due sbagliarono stazione a Parigi e rischiarono di perdere la coincidenza che li avrebbe portati a Cherbourg. Per papà Williams, mancare quell’appuntamento sarebbe valso la vita. Ma così non è stato. Sul treno, Williams riconobbe un altro grande tennista, Karl Behr appunto, avvocato e consigliere di Teddy Roosevelt, oltre che membro del team Usa di Coppa Davis. Behr aveva raggiunto la finale di doppio a Wimbledon nel 1907 ma era sul Titanic solo per conquistare Helen Newsom, 19enne amica della sorella Getrude. Il buon Behr, armato di anello di diamanti, era persuaso che un viaggio da Cherbourg a New York fosse sufficiente per convincere la madre dell’amata a concederla in sposa. Behr soggiornava nella cabina C-148, piuttosto vicina a quella dei Williams, ma i due non si incontreranno mai, sul Titanic. Durante i primi giorni della traversata,Williams si teneva allenato cercando di demolire il muro del campo da squash e infilandosi in palestra. Behr al contrario, passava il tempo cercando di ingraziarsi la madre di Newsom, preoccupata della differenza di età dei due innamorati. «Una storia d’amore più romantica di quella raccontata da James Cameron nel celebre film - dice Lindsay Gibbs, autrice dell’ottimo libro,Titanic:The Tennis Story -. Behr varcò due volte l’Oceano solo per chiedere la mano di Helen a sua madre». Alle 23.40 del 14 aprile 1912, a mille miglia circa da Boston e 375 a sud di Newfoundland, un membro dell’equipaggio, Frederick Fleet, vide qualcosa spuntare dall’acqua e non esitò a dare l’allarme: «Iceberg! Iceberg!». Il primo ufficiale ordinò una virata immediata ma era troppo tardi. Dick Williams raccontò che lui e suo padre non erano particolarmente preoccupati, convinti che il Titanic potesse comunque navigare 12-15 ore, un tempo sufficiente per organizzare i soccorsi. «Il solo pensiero che potesse affondare, ci sembrava assurdo» disse Behr, tanto che il primo allarme giunse ai passeggeri solo 40 minuti dopo l’impatto. E quando Williams buttò giù una porta per liberare un uomo rimasto chiuso nella sua cabina, uno steward si preoccupò di prenderne le generalità per chiedere il rimborso del danno procurato! Scendendo verso i ponti tuttavia, la situazione era ben più drammatica: Behr, che era sveglio al momento dello scontro, si precipitò sul ponte A e vide i passeggeri infilarsi i salvagenti. Prese con sé la famiglia Beckwiths e li fece salire a bordo di una scialuppa, quando un ufficiale della White Star Lines consentì anche a lui di salire a bordo: un uomo atletico sarebbe servito a remare più velocemente Behr raccontò che c’erano 4050 passeggeri sulla scialuppa «che poteva ospitarne altri 15 o 20».


Nel frattempo, Dick e Charles Williams cercavano di scaldarsi su una cyclette fin quando l’acqua non arrivò fin nella palestra e decisero di abbandonare la nave. Erano sul ponte quando un enorme fumaiolo si staccò, uccidendo sul colpo papà Williams. A quel punto. Dick si gettò in mare. Ad una temperatura di due gradi sotto lo zero, cominciò a nuotare per salvarsi la vita. Per sua fortuna, la Carpathia, nave della Cunard, società rivale della White Star Lines, era in rotta da New York al Mar Adriatico quando, venti minuti dopo la mezzanotte, la raggiunse il segnale di soccorso. Slalomeggiando tra gli iceberg, raggiunse il Titanic alle 4.10 del mattino. Raccolse 712 passeggeri e membri dell’equipaggio, meno di un terzo delle persone presenti sulla nave. Behr, Newsom e la sua famiglia raggiunsero senza problemi il Carpathia dalla loro scialuppa, mentre Williams arrivò praticamente assiderato, al punto che i medici gli consigliarono l’amputazione delle gambe: «Mi rifiuto – intimò Williams -. Queste gambe mi serviranno eccome, in futuro». Cominciò a passeggiare sul ponte per riattivare la circolazione tra fortissimi dolori, “come se migliaia di spilli mi stessero infilzando la pelle». Ed è proprio sul Carapthia che Williams e Behr si incontrarono, entrambi in uno stato d’animo spaventoso perché, come scrisse The London Independent citando Behr, «se il naufragio del Titanic era stato un disastro, i quattro giorni passati insieme ai feriti sul Carpathia sono stati ancora più terribili». La notte del 18 aprile, il Carpathia superò la Statua della Libertà e attraccò al molo 54, nel West Side di Manhattan, non lontano da dove avrebbe dovuto ormeggiare il Titanic. Migliaia di americani erano pronti ad attendere lo sbarco dei sopravvissuti, in parte attirati dalla curiosità, in parte desiderosi di offrire aiuto. Una scena ben diversa da quella che avremmo assistito se la tragedia fosse avvenuta un secolo dopo (e quanto successo col capitano Schettino e il Concordia sono una chiara dimostrazione). Ai giorni nostri, avremmo seguito la vicenda tramite i tweet dei passeggeri, le foto su Flickr, i post su Facebook. Le televisioni avrebbero trasmesso le immagini in diretta, Bruno Vespa avrebbe costruito un mostruoso plastico del Titanic e ora staremmo leggendo libri scritti dai sopravvissuti, diventati ricchi grazie a comparsate in tv. E pensate cosa si sarebbe scritto se sulla nave fossero stati presenti due famosi atleti. Ma la cultura del tempo era ben diversa, certamente meno esibizionistica. La maggior parte dei sopravvissuti ha infatti dovuto lottare soprattutto con lo stress post-trauma, specialmente gli uomini che si consideravano dei codardi per aver lasciato la nave che affondava e dove tanti altri avevano trovato la morte. Behr per

esempio, stando ai racconti dei suoi familiari, si sentì sempre colpevole per essere sopravvissuto a quel disastro. Sua nipote ricorda: «Sperava di riuscire a salvare dalle acque qualche passeggero, per compiere quantomeno un atto di eroismo. In realtà, è stato travolto dalla depressione e da un perenne senso di tristezza». Non a caso, per alleviare i suoi sensi di colpa, Behr testimoniò a favore di un gruppo di passeggeri di seconda classe contro la White Star: la causa fruttò alle famiglie 663.000 dollari, mentre Behr parlò alla stampa solo per chiarire che la sua presenza sulla scialuppa non aveva in alcun modo impedito a donne e bambini di salirci a bordo, visto che il Carpathia era tutto fuorché pieno. Anche Williams è sempre stato restìo a parlare di quanto accaduto quella notte. Arrivato a New York, si spostò fuori Philadelphia, a casa di uno zio. Ripresosi dai dolori alle gambe, poche settimane dopo era già tornato in campo, con i pantaloni lunghi a celare i problemi alla pelle causati dal congelamento. Quella stessa estate, Williams sconfisse una delle grandi promesse del tennis americano, tal Bill Tilden, destinato a diventare il più grande giocatore di quell’epoca. Nel 1912, Williams vinse i Campionati della Pennsylvania e finì al n.2 della classifica nazionale, per la gioia del suo coach all’Università di Harvard. L’anno dopo faceva già parte del team di Coppa Davis e ci volle coraggio per prendere un’altra nave transoceanica e sbarcare a Londra per giocare il Challenge Round a Wimbledon, contribuendo alla vittoria degli States per 3 a 2 contro la Gran Bretagna. Williams era ormai tra i top players mondiali, tanto che il mitico Allison Danzig (quello che inventò il termine Grand Slam) scrisse sul New York Times: «Nelle sue migliori giornate, Williams è pressoché imbattibile. Non conosce la paura e colpisce sempre forte, secco, alla ricerca del colpo vincente». Nel 1914 e 1916, vinse i Campionati degli Stati Uniti, nel 1920 il titolo di doppio a Wimbledon e nel 1924 la medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi nel doppio misto, in coppia con Hazel Wightman. Dopo il loro match a Longwood nell’estate del 1912,Williams e Behr hanno giocato contro in almeno altre due occasioni. Nel 1914 nei quarti di finale dello U.S. Nationals (l’attuale US Open) a Newport.Williams approfittò di una ridotta forza mentale del suo avversario e si impose per 6-2 6-2 7-5. Ma quasi niente si scrisse sulla vicenda che li accomunava. Ci è voluto un secolo per far riemergere la loro storia. 31


Campioni d'Italia All'Accademia Vavassori si sono disputati i Campionati Italiani Indoor di Wheelchair Tennis Ci sono eventi sportivi in cui i principi decoubertiani hanno ancora un senso, dove tutto non si riassume in un semplice risultato agonistico. Parliamo dei tornei di Wheelchair Tennis, dove gli atleti disabili si impegnano nello sport che più si avvicina a quello per normodotati. Se difatti in certe discipline è naturale che si creino strutture e regolamenti ad hoc, nel tennis le differenze sono minime. Anzi, in sostanza è una sola: si può far rimbalzare la pallina due volte. Per il resto, misure del campo, della rete e punteggi (oltre all'attrezzatura) sono totalmente identici rispetto a quelli che utilizzano Rafael Nadal e Roger Federer. Ebbene, uno degli eventi clou della stagione si è concluso nel mese di aprile: l'Accademia Vavassori di Palazzolo sull'Oglio, a due passi da Brescia, ha ospitato per il secondo anno consecutivo i Campionati Italiani Indoor. Un evento importante che ha riscosso un grande successo grazie alla partecipazione di tanti appassionati (e di tanti volontari) e di diverse scuole dell'obbligo della Provincia i cui studenti sono venuti (finalmente) a contatto con una realtà che viene ancora troppo spesso dimenticata in Italia. Invece lo sport è uno degli strumenti grazie al quale un disabile può continuare a competere sotto tutti i pun-

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ti di vista e che può rappresentare un enorme sfogo. Oltre che, come nel caso dei giocatori impegnati nei Campionati Italiani, una disciplina sportiva da praticare con la stessa intensità, impegno e serietà dei normodotati. In tutto ciò, va sottolineate l'impegno dell'Accademia Vavassori, visto che è impegnata in questo settore da diversi anni. Prima dei Campionati Italiani Indoor infatti, i campi di Palazzolo hanno ospitato diverse edizioni dell'ITF Wheelchair Masters che radunava (caso unico per il nostro Paese) i migliori esponenti a livello mondiale della specialità, compresa quella Esther Vergeer che, ancora adesso, è la sportiva col più longevo record di imbattibilità nel mondo dello sport. Ebbene, quando l'ITF ha avuto necessità di spostare in altri Paesi l'evento, Renato Vavassori, sempre molto attento anche agli aspetti sociali della sua attività, non ha voluto rimanere senza un torneo di Wheelchair: «Credo sia doveroso organizzare eventi di questo genere, per chi ha passione per questo sport ed è stato meno fortunato. Ed è utile anche per i miei ragazzi e i loro allenatori che si allenano in Accademia tutti i giorni, per restare a contatto con la vita reale e non pensare solo al tennis agonistico».


Anzi, l'Accademia Vavassori ha incrementato il suo impegno a sostegno del Wheelchair Tennis creando una sezione dedicata ai disabili e con una maestra preparata per chiunque volesse avvicinarsi a questa opportunità. Una maestra che si è subito distinta a tal punto che l'anno scorso è volata in Sudafrica ad accompagnare la squadra femminile nazionale dell'Italia impegnata nei Campionati del Mondo. Tuttavia, l'impegno di Vavassori non sarebbe sufficiente senza il supporto degli sponsor, di aziende disposte a investire in questa tipologia di eventi sportivi che trascendono il risultato. È il caso di Bayer che quest'anno è intervenuta a sostegno sia dei Campionati Italiani Indoor, ma soprattutto dell'Accademia Disabili che permette durante tutta la stagione ad atleti disabili di avvicinarsi al tennis e imparare uno sport in maniera totalmente gratuita. Un esperimento che sta funzionando piuttosto bene in provincia di Brescia e che Vavassori potrebbe esportare anche a Milano, visto che gestisce le scuole tennis dei centri comunali di Milanosport. «L’impegno di Bayer nello sport si concretizza con il sostegno a numerose iniziative sportive che coinvolgono prevalentemente un pubblico di giovani e che hanno anche una particolare valenza sociale - dice Daniele Rosa, Direttore della Comunicazione -. Bayer infatti, crede fermamente nella funzione dello sport sotto il profilo educativo e disciplinare, soprattutto nella fase evolutiva». E ancora: «Disciplina, impegno, rispetto degli altri e accettazione dei propri limiti, questo è il messaggio che Bayer in Italia vuole trasmettere dando sostegno allo sport e in generale ideando progetti in grado di creare valore culturale, sociale ed educativo nella realtà nazionale». Ora, nonostante non rappresentino l'aspetto principale, vale la pena ricordare anche i nomi dei giocatori che si sono laureati Campioni Italiani nelle varie categorie: Marco Innocenti nella categoria Quad (quella con le disabilità totale e permanenti), Mazzei-Lion nel doppio maschile, ancora Fabian Mazzei nel singolare maschile, Marianna Lauro nel singolare femminile e, in coppia con Sabrina Fidaleo, anche nel doppio femminile. Ora si parte con la stagione all'aperto, come al solito ricca di eventi nazionali e internazionali. Anche se quest'anno, gli occhi saranno tutti puntati su Londra che ospiterà dal 29 agosto al 9 settembre le Paralimpiadi il più grande evento sportivo del globo terrestre per disabili. Ma con la speranza che l'attenzione di media e appassionati non si fermi ai grandi eventi ma continui a tutti i livelli. (Marco Portari)

MilanTennis di Mirko Roveda C'è grande fermento nel tennis a Milano, città che da tempo ha perso il suo evento principale (il torneo ATP) ma che continua a essere presente nel calendario professionistico grazie all'impegno dell'Aspria Harbour Club che organizza un importante torneo Challenger. Inoltre, La Grande Sfida organizzata lo scorso dicembre al Forum di Assago da Ernesto De Filippis ha riscosso un tale successo (circa 12.000 spettatori), che è indubbio quanto Milano abbia fame di tennis, soprattutto se di altissimo livello, essendo anche una città esigente e ben abituata. Alcuni dei maggiori tennis club hanno vissuto momenti particolari; al TC Milano sono cambiati tre presidenti in pochi giorni, altri hanno dovuto affrontare momenti più o meno complicati. Ma la realtà è che la pratica è in costante crescita, come anche la partecipazione giovanile nelle scuole tennis. In tutto questo, è risultata fondamentale la conferma di Renato Vavassori e del suo staff a capo della gestione dei centri tennis di Milanosport, cioè quelli comunali. Con l'arrivo del nuovo sindaco, Giuliano Pisapia, sono cambiate anche tante figure: da Chiara Visconti come Assessore allo Sport (e appassionata di tennis, con i figli che giocano al centro comunale di via Washington) a Pierfrancesco Barletta, nuovo Presidente di Milanosport e già impegnato nel Consorzio che gestisce lo stadio di San Siro, per finire con il nuovo Direttore Generale di Milanosport, Raphael Caporali. E proprio parlando con Caporali abbiamo avuto la netta sensazione che ci sia la volontà da parte dell'amministrazione comunale di far crescere lo sport in città. E il tennis può svolgere un ruolo strategico perché ormai il livello delle strutture e dell'insegnamento è del tutto paragonabile a quello dei maggiori centri privati, a dimostrazione che si può avere un servizio pubblico di ottima qualità, a prezzi competitivi. È solo il primo passo, ma è piuttosto incoraggiante. La situazione del tennis a Milano è in continua evoluzione. Già dal prossimo numero (e sul nostro sito Internet) cercheremo di capire (e spiegare) cosa sta succedendo nei vari tennis club della città

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1976 Mark Edmondson vince da numero 212 l’Australian Open. Probabilmente è il più scarso vincitore Slam della storia

Panatta vince Roma, Parigi e la Davis. La trasferta cilena diventerà nel 2009 un documentario del regista Mimmo Calopresti

La bella inglese Sue Barker trionfa a Roland Garros battendo la cecoslovacca Renata Tomanova

Evonne Goolagong, aborigena australiana, perde in finale a Wimbledon da Chris Evert

Bjorn Borg vince il primo titolo ai Championships di Wimbledon. Ne seguiranno altri quattro consecutivi

Tanner perde in finale a Wimbledon ma impressiona il suo servizio col quale abbatterrà una rete allo US Open

Il fotografo Martin Elliott immortala Fiona Butler in quella che diventerà la cartolina di tennis più famosa della storia

Jimmy Connors vince lo US Open sulla terra verde, impugnando la mitica Wilson T2000 creata da Renée Lacoste

Renée Richard, primo tennista transessuale, non è ammesso allo US Open nel torneo femminile

Sports Illustrated dedica una copertina a Tracy Austin, 14enne fenomeno USA. In carriera vincerà due US Open

Spopolano le Adidas Stan Smith, ora utilizzate come sneaker, allora come vere e proprie scarpe da tennis

Apparenze a parte, l’americano Jimmy Connors chiuderà la stagione come numero uno del mondo



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OTTAVA SINFONIA

RAFAEL NADAL HA VINTO PER L’OTTAVA VOLTA A MONTE CARLO. Nessuno ha mai fatto meglio in un singolo torneo (a parte Guillermo Vilas a Buenos Aires, un evento molto meno prestigioso e senza che le vittorie fossero consecutive). Con questo successo, Nadal ha ritrovato la vittoria contro Novak Djokovic dopo sette sconfitte e stacca Roger Federer in testa alla classifica per il maggior numero di Masters 1000 vinti in carriera: 20 a 19. In questa classifica, al terzo posto c’è Andre Agassi con 17, quindi Pete Sampras e Novak Djokovic con 11. Da notare che i Big 3 (Djokovic, Nadal e Federer) hanno vinto 20 degli ultimi 30 Masters 1000 giocati.

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r u To

Tennis Angels L'attività Pro è quantomai costosa. E per provarci c'è chi cerca di affidarsi... ai tifosi Julia Glushko aveva tutto per sfondare nel mondo del tennis. Punto primo, la fortuna di essere figlia di due istruttori di tennis che le hanno messo una racchetta in mano alla tenera età di tre anni. Punto secondo, di essere nata in Ucraina ma cresciuta a Tel Aviv, a due passi da Ramat Hasharon, piccolo sobborgo dove un gruppo di imprenditori ebrei hanno costruito un meraviglioso centro tennis (e scolastico-educativo) dove sono cresciuti i migliori talenti israeliani. Punto terzo, un'ottima predisposizione che le ha permesso di crescere molto rapidamente nel gioco. Julia Glushko aveva tutto per sfondare nel mondo del tennis tranne un piccolo particolare: i soldi. E per pagarsi un'attività professionistico servono circa centomila euro all'anno.Troppi per due insegnanti di tennis; troppi sia per la federazione sia per i vari centri privati come quello di Ramat Hasharon (replicato in oltre dieci città in Terra Santa) che sono sempre sopravvissuti grazie alle donazioni dei ricchi ebrei emigrati perlopiù negli Stati Uniti ma che si fanno sempre meno generose, vuoi per la crisi economica, vuoi perché le nuove generazioni hanno vissuto l'Intifada ma non le deportazioni naziste o la Guerra dei Sei Giorni. Come fare dunque per continuare a vivere il sogno di

fare la tennista professionista? A darle un aiuto ha provato Dan Nagler con un'idea bizzarra ma per nulla assurda: creare un sito Internet che possa coinvolgere i tifosi e che consenta di fare delle donazioni ad atleti poco abbienti ma che vogliono provare a sfondare nello sport professionistico. E così è nato InvolvedFan.com dove compaiono le schede degli atleti che si può scegliere di supportare. Allo stato attuale sono presenti 23 atleti: una golfista e ventidue tennisti (sette donne e quindici uomini). In cambio dell'aiuto economico, si possono ricevere vari benefits: tanto per citare alcuni esempi, per 20 euro viene recapitata una newsletter che tiene informati dei risultati raggiunti dall'atleta, per 200 una racchetta autografata. Ma ci si può accordare anche per parlare via Skype col proprio testimonial personale o anche sfruttarli come maestri per un'ora di lezione. Un'iniziativa interessante quanto lodevole, nella quale Nagler crede tantissimo: «Per questi ragazzi, anche solo giocare un torneo in più, soggiornare in un buon hotel, permettersi tre racchetta in più all'anno, può voler dire qualcosa. Ma soprattutto, vedere che qualcuno crede in loro, li aiuta nella fiducia e nell'autostima». Per la verità, fino adesso i risultati non sono stati incoraggianti se, per esempio, Julia Glushko ha ricevuto offerte per 60 euro.

DI GIANLUCA ROVEDA

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Nonostante abbia tutte le carte in regola perché il sostegno possa realmente contribuire a creare un'ottima professionista. Julia infatti ha fatto bene in diversi tornei ITF, ha giocato le qualificazioni allo US open, ha raggiunto un ranking poco sopra la 200esima posizione mondiale ma soprattutto quest'anno ha vinto il titolo nazionale battendo in finale la sua compagna di Fed Cup, quella Shahar Peer che da varie stagioni naviga tra la ventesima e la cinquantesima posizione WTA. Ha pure assolto il dovere militare, che in Israele è di due anni e tocca anche alle donne, fatto che dovrebbe quantomeno spronare i ricchi israeliani a darle una mano. Ugual discorso vale anche per altri tennisti, tra cui spicca il nome di Gregor Zemlja, sloveno che l'Italia ha affrontato l'anno scorso in Coppa Davis. Zemlja, 25 anni, è numero 127 al mondo, in carriera ha guadagnato quasi mezzo milione di dollari ma in realtà, dieci anni di spese per fare il professionismo, gli hanno consentito di accantonare solo qualche spicciolo. Vorrebbe essere seguito più spesso dal coach e magari da uno psicologo, ma servono soldi: fino adesso ha ricevuto 25 euro... Tra i vari atleti, ci sono anche due italiani: Stefano Ianni e Francesco Vilardo. Il primo in effetti è ormai un ex giocatore. Da qualche mese si è trasferito al sole di Miami e insegna sui campi di Flamingo Park. Comunque, per svernare su Ocean Drive qualche extra serve sempre. E con 300 euro ci vai pure fuori a cena, che è pur sempre un bel ragazzo. Francesco Vilardo invece ha 22 anni, è calabrese di origine ma risiede a Roma. Naviga oltre l'800esima posizione e quest'anno ha racimolato solo un paio di vittorie in primi turni di tornei Futures, dove si portano a casa le spese se il torneo lo vinci, figuriamoci se perdi al secondo turno. Purtroppo per lui, anche nel suo caso le offerte servirebbero giusto a sfamarlo una sera. E non certo in un ristorante stellato. Ma, nonostante i risultati stentino ad arrivare, Nagler resta convinto che la sua idea troverà uno sbocco importante: «Ci sono tanti siti Internet dedicati al crowdfunding, cioè alla raccolta fondi tramite gente comune. Nascono quando si verificano disastri, per aiutare associazioni o artisti. Oppure, per aiutare un politico a diventare Presidente degli Stati Uniti! Ma il settore sportivo non è mai stato toccato, e sapete perché? Perché tutti sono convinti che, a qualsiasi livello, uno sportivo faccia una vita glamour e guadagni dei bel soldini. In pochi sospettano che un giocatore numero 160 al mondo di tennis, in realtà non guadagna un bel niente ed è costretto a viaggiare in condizioni spesso miserevoli, a caccia del minimo risparmio». Verissimo, la vita da nababbi è riservata a pochi eletti: i top 50 sono comunque ricchi, gli altri top 100 piuttosto benestanti; poi l'ingranaggio comincia scricchiolare e ti rendi conto che fare il maestro a Flamingo Park o al Circolo Tennis di Roccacannuccia rende di più ed è quindi meglio abbandonare per tempo l'attività pro. Un peccato per coloro che hanno ambizione, voglia di sacrificarsi e le qualità tecniche per emergere. Come è il caso di Julia Glushko, che però attualmente fatica perché in quattro mesi di attività nel 2012 ha raccattato ottomila dollari lordi, di cui il 75% provenienti dal secondo turno raggiunto nelle qualificazioni dell'Australian Open. In sostanza, sottratte le spese, è sotto di qualche centinaio di euro. Ma se volete aiutarla, se volete dare una speranza ad una giovane promessa del tennis mondiale, se volete sentirvi partecipi di un possibile successo nella vita, ora potete farlo. Con un semplice click. Riceverete i ringraziamenti. Via Skype, che non costa nulla.

Mister Slam di Fabrzio Cruciani

James Cerretani, statunitense, 30 anni, è laureato alla Brwon University in International Relations and Business Economics, è uno specialista del doppio (n.55 ATP)

Gregor Zemlja, sloveno, 25 anni, 127 ATP, questanno si è qualificato e ha superato un turneo a Dubai, prima di perdere da Federer

Che la carriera dei top players si giudichi dai risultati ottenuti nei tornei del Grand Slam è ormai fatto assodato. Miami, Indian Wells, Madrid, la nostra Roma, sono tutti tornei importanti ma l'immortalità tennistica la si conquista nei quattro appuntamenti principali della stagione. Proprio per questo motivo, diventa interessante vedere quali giocatori vantano i migliori record di vittorie/sconfitte nei Major. Non sorprende trovare al primo posto Bjorn Borg, che si è ritirato prematuramente a 26 anni, scelta che gli ha impedito di rimpinguare il bottino di 11 Slam vinti ma che gli ha anche permesso di non sporcare il suo record con sconfitte premature, una volta invecchiato. L'Orso svedese ha dunque vinto quasi il 90% dei match giocati nei tornei dello Slam. A inseguire il record, colui che gli è stato assimilato in più di una occasione: Rafael Nadal, con l'87,6% di successi e già otto vittorie in totale in più (Nadal quest'anno compie 26 anni ma non si ritirerà). Ancor più incredibile il terzo posto di Roger Federer con l'86,9% di vittorie ma su un totale di 267 match giocati, contro i 170 di Nadal e i 157 di Borg. Appena giù dal podio, Rod Laver (al quale sono stati conteggiati solo i risultati post- Era Open, quindi dal 1968 in poi), quindi Pete Sampras e, al sesto posto, Novak Djokovic. Tre dei primi sei sono quindi gli attuali tre migliori giocatori del mondo, a conferma che stiamo vivendo un momento d'oro, almeno al vertice. Chiudono la top 10, tre miti degli anni 80: Jimmy Connors, Ivan Lendl e John McEnroe, tutti sopra l'80% di vittorie. Da notare come solo Federer, Connors, Lendl e Sampras siano andati oltre le duecento vittorie. Ma per Nadal e Djokovic è solo questione di tempo.

LA CLASSIFICA Giocatore

Julia Glushko (anche nella foto in apertura apertura), israeliana, 22 anni, è stata n.10 del mondo da junior. Non è (ancora) entrata nelle prime 200 WTA

vittorie-sconfitte

1. Bjorn Borg 141-16 (89,8%) 2. Rafael Nadal 149-21 (87,6%) 3. Roger Federer 232-35 /86,9%) 4. Rod Laver 60-10 (85,7%) 5. Pete Sampras 203-38 (84,2%) 6. Novak Djokovic 117-24 (83%) 7. Ken Rosewall 92-19 (82,9%) 8. Jimmy Connors 232-49 (82,6%) 9. Ivan Lendl 222-49 (81,9%) 10. John McEnroe 167-38 (81,5%)

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p o T

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LA STAGIONE SU TERRA ENTRA NEL VIVO E ROLAND GARROS SI AVVICINA. MA CHI SONO I GRANDI FAVORITI, GLI UOMINI DA BATTERE SULLA TERRA BATTUTA? CHI TRA I FAB FOUR RIUSCIRÀ A SPUNTARLA? E CHI SONO I MAGGIORI OUTSIDER, TENENDO PRESENTE CHE LE CONDIZIONI DI GIOCO A PARIGI SONO MOLTO VELOCI? CHI CONOSCE BENE QUESTA SUPERFICIE LI HA MESSI IN ORDINE... BY FABIO FOGNINI

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NOVAK DJOKOVIC

A Monte Carlo ha sofferto anche per problemi extra tennistici ma i campi rapidi di Roland Garros (e le palle super veloci) gli permettono di stare allo stesso livello di Nadal. Negli Slam giocano partite che si decidono su pochi scambi e quindi molto dipende con quanto fiducia arriveranno all'appuntamento clou. Di certo, Nole ha dimostrato che se gli dai un'occasione lui ti porta via. E Parigi è l'unico Slam che non ha mai vinto: extra motivazione! 40

MADRE TERRA

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RAFAEL NADAL

ROGER FEDERER

Guardarlo giocare è sempre un tale piacere! A Monte Carlo si è sentita la sua assenza ma lui non ha bisogno di giocare troppi tornei e, anzi, è importante (soprattutto sul rosso) che preservi il suo fisico da eccessive fatiche. Due Masters 1000 per lui sono sufficienti. L'anno scorso a Parigi ha giocato una semifinale grandiosa con Djokovic ma il problema è che deve farli fuori entrambi. E con Nadal sul rosso le chance sono pochine.

Vale quello che ho twittato due minuti dopo che ha vinto il suo ottavo titolo a Monte Carlo: Dio ha creato Nadal, e poi la terra battuta. Impressionante, non ci sono altri termini. Avrà anche qualche dolore al ginocchio, ma se fisicamente non avrà complicazioni, come lo fermi? L'intensità è pazzesca (ma lui è così anche fuori dal campo), anche se a Parigi le condizioni sono più rapide e favoriscono maggiormente Djokovic e Federer.

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ANDY MURRAY

Viaggia ancora a corrente alternata e certamente dei Fab Four è quello che convince meno, anche se quando è al top ha già dimostrato di potersela giocare anche col miglior Djokovic e compagnia. La terra battuta non è la sua superficie ideale perché preferisce giocare d'incontro piuttosto che spingere. Però con le sue variazioni e i suoi recuperi, ti può tirar matto. Però ha più possibilità a Wimbledon che a Roland Garros.


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JUAN M. DEL POTRO

Resta un po' l'enigma del circuito, a livelli altissimi s'intende, perché dopo l'infortunio non è ancora riuscito a raggiungere il livello che gli aveva consentito di vincere lo US Open, se non a tratti. Eppure, potenzialmente vale quelle posizioni perché tira di un forte, ma di un forte. Quando carica il diritto, hai la sensazione che ti stia arrivando un pugno in faccia. Se ha recuperato al 100% fisicamente e mentalmente, è la prima alternativa ai Fab Four.

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THOMAS BERDYCH

Quando tre anni fa l'ho battuto a Monte Carlo, non avrei mai pensato che sarebbe arrivato a certi livelli anche sulla terra battuta. E invece, ha già raggiunto una semifinale a Parigi e a Monte Carlo ha sconfitto Murray. Certo, gli spostamenti non sono il suo piatto forte, però la palla gli cammina comunque veloce.A Parigi, se fa caldo e le condizioni diventano ancora più rapide, può rappresentare un pericolo anche per i grandi favoriti.

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DAVID FERRER

Chissà se ora si trova più a suo agio sulla terra battuta o sul cemento. Hard Court ha giocato piuttosto bene, ma sulla terra è un cagnaccio perché sbaglia pochissimo, si muove come pochi e tirargli un vincente è un'impresa e fisicamente pu stare in campo tre giorni senza fermarsi e senza soffrire troppo. Bisogna però che atleticamente sia al top, altrimenti non può reggere il ritmo dei top players.

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JUAN MONACO

Quest'anno sta giocando alla grande, anche se ormai si esprime meglio sul veloce. Però batterlo non è facile. Non è il tipico giocatore alla Berdych che ti lascia a tre metri dalla palla, però è di una solidità tecnica e fisica spaventosa. Sbaglia poco, gioca lungo, corre tanto, per batterlo devi prendere dei grandi rischi e quindi essere in giornata molto positiva. È partito forte, bisogna vedere quanto regge e come recupera dall'infortunio patito a Monte Carlo.

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JOHN ISNER

Chi lo avrebbe mai detto che sarebbe diventato così forte anche sulla terra battuta? Col servizio fa comunque i buchi per terra e la seconda palla rischia di saltarti sopra la testa! E poi non si muove male considerando la sua altezza, ha un buon tocco e col diritto ti può lasciar fermo. Certo, in prospettiva Slam, sette (o anche solo cinque) match al quinto set sul rosso potrebbe sentirli fisicamente.

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NICOLAS ALMAGRO

Quando è al top è davvero un pessimo cliente. L'ho battuto una volta a Bucarest nel 2009, ma prima di allora mi sembrava perfino impossibile giocarci contro. Tira fortissimo con tutti i colpi: servizio, diritto e soprattutto rovescio. Non è atleticamente un mostro ma se comincia a comandare il gioco son dolori per chiunque. Però non è molto costante a livello di primi dieci del mondo e alla lunga, in un torneo dello Slam, finisci col pagare dazio. 41


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TENNIS E SARDEGNA

VE L’ABBIAMO PRESENTATO LO SCORSO NUMERO, quando ci ha chiamato Paolo Cané per raccontarci del suo nuovo progetto, tecnico e di vita: trasferirsi a Olbia (Sardegna) nel bellissimo Geovillage per ricreare una scuola tennis e organizzare stage per tutti gli appassionati che vogliono unire tennis e vacanza. Un impegno che richiede grande professionalità, soprattutto in periodi economici non facili. Ebbene, i riscontri dei primi stage lasciano sperare in un’attività di primissimo livello perché hanno raccolto un gran numero di partecipanti e consensi. Perché rinunciare al divertimento è impossibile. Soprattutto se i prezzi sono convenienti. Info: geovillage.it

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La Grande Sfida Il top videogame di tennis di EA Sports, alla prova del nostro number one: Andreas Seppi La leggenda del tennis si costruisce nei tornei del Grand Slam. Lo sa ogni appassionato, e lo sa anche il colosso dei videogiochi EA Sports. Il titolo in vendita dallo scorso febbraio è di quelli che esalterebbe ogni appassionato: Grand Slam Tennis 2. Dopo la prima versione dedicata alla piattaforma Nintendo Wii, il sequel è destinato a XBOX360 e PS3, mantenendo una forte impronta verso la simulazione per rendere il videogame il più realistico possibile. Appena fai partire il gioco, ti sembra di essere entrato nel paese dei balocchi. Grand Slam, dicevamo: per la prima volta, un videogame può offrire tutti i quattro Major. Non solo Australian Open, Roland Garros e US Open, ma (finalmente) Grand Slam Tennis 2 propone la novità assoluta e preclusa agli altri giochi tennistici: permettervi di giocare anche sui campi in erba di Wimbledon. Un'aggiunta per nulla banale, anzi. La completezza dell'offerta, sia nel parco giocatori sia nella scelta dei tornei, è uno dei maggiori punti di forza del videogame. Wimbledon, dicevamo: ogni partita sul Centre Court assume un fascino particolare, quasi una sacralità. Il giocatore ha la sensazione di entrare nel campo più importante del mondo, finalmente da protagonista. E in ogni torneo non c’è soltanto il campo centrale, ma tre o quattro “Show Courts” fedel-

mente riprodotti. Ce lo conferma un appassionato che quei campi li conosce molto bene (beh, tranne il Centre Court perché ancora non gli è capitato di giocarvi), il numero uno del tennis italiano, Andreas Seppi: «Mi piacciono i videogame perché quando hai lunghe attese negli aeroporti o in camera d'albergo, sono un buon modo per distrarsi. Ovviamente si gioca anche a tennis e con Grand Slam Tennis 2 la parte più divertente è confrontarsi su tanti campi diversi, anche quelli minori dei Major. Per chi come me è abituato a scenderci in carne e ossa, è una bella emozione. E poi, francamente questo è il modo migliore per riuscire a battere Federer e Nadal!». Ma lo stesso Seppi è d'accordo nell'affermare che la peculiarità che contraddistingue questo gioco è la possibilità di cambiare la storia. In che senso? Grazie alla sezione Grand Slam ESPN Classic, si possono rigiocare, da un certo punteggio in poi, diversi match che hanno scritto pagine significative della storia del tennis. E chiaramente è possibile cambiarne l'esito. «Beh, non è male far vincere a McEnroe la finale di Wimbledon contro Borg!», continua Seppi. In questo caso, il divertimento raggiunge picchi elevatissimi. Già, perché sei un tifoso di Pete Sampras? Puoi provare a battere Federer

DI PIERFRANCESO PARIZZA

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nel leggendario scontro diretto di Wimbledon. Oppure preferisci le more alle bionde? Rigioca la finale dell’Australian Open 2008 dalla parte di Ana Ivanovic. E molto altro ancora. Una delle peculiarità del gioco, oltre al dettaglio della grafica e alla qualità delle immagini, è la sua storicità. Non solo Federer, Nadal o Djokovic. Puoi pescare anche tra undici campioni del passato, simulando sfide epiche nel contesto ultra-tecnologico di oggi. Divertentissimo. La fascetta per i capelli di Bjorn Borg viene riprodotta fedelmente così come il servizio spalle alla rete di John McEnroe. Ma non pensiate che sia facile: per rendere ancora più avvincente (e realistico) il gioco, hanno inventato il sistema “Total Racquet Control” che consente di gestire i colpi senza premere i bottoni ma con lo stick analogico destro. All’inizio non sarà semplicissimo, ma poi il divertimento prenderà il sopravvento. E così il salotto di casa diventerà il centrale di Wimbledon e il vostro controller sarà a tutti gli effetti la racchetta di un grande campione. Spostando lo stick in avanti, avremo un top spin degno di Rafa Nadal, mentre col movimento inverso potremo tirare una rasoiata in slice come quelle di Roger Federer. Ad ogni modo, è possibile utilizzare il sistema di gioco tradizionale, con i tasti che corrispondono a un singolo colpo. Entrambi i sistemi sono attivi in ogni momento, dando così l’opportunità di saltare liberamente da uno all’altro e – soprattutto – di apprendere gradualmente l'utilizzo del Total Racquet Control. Ovviamente ci sono molte possibilità di gioco: per esempio, puoi costruire il tuo giocatore e iniziare una carriera della durata di 10 anni, in cui parti dalla 100esima posizione mondiale con l’obiettivo di diventare numero 1. Per migliorare sono a disposizione anche sessioni di allenamento, in cui puoi affrontare i top player prima di sfidarli sul serio. C’è poi la chicca del commento tecnico, affidato a due mostri sacri come John McEnroe e Pat Cash. Per chiudere, va detto che la versione per PS3 ha il valore aggiunto, rispetto a quella per X360, di contenere il supporto per PlayStation Move. La periferica a rilevazione di movimento di Sony, ovviamente, aggiunge una buona dose di divertimento.

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STYLE IL TENNIS DEL CAVALLINO

DOPO AVERLO VISTO ESPRIMERSI SUL CAMPO DA TENNIS consiglieremmo a Fernando Alonso di... continuare a fare il pilota di Formula Uno! Però chissà che, imbracciando la nuova racchetta Ferrari, anche il campione spagnolo non possa migliorare il suo rovescio, lui che è un vero fuoriclasse della messa a punto. Si tratta di un telaio in fibra di carbonio con l’inserto Energy Bridge (vi ricorda qualcosa?). Il colore non è nemmeno da chiedere, ma per gli amanti dello stile allo stato puro, è imperdibile anche il damper che riproduce il mitico cavallino di Maranello. La cover stampata ha la scritta Scuderia Ferrari. www.store.ferrari.com

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e l y St

La stanza di Roger Damian Villanueva, designer messicano, ha ricostruito la camera ideale di un fanatico di RF Si chiama Damian Villanueva e l'abbiamo scovato in Messico. Nella vita si occupa di architettura e si è specializzato nel creare immagini in 3D, parolina tanto magica in questo periodo. Come insegnano gli esperti, la funzionalità principale del 3D è creare quello... che non esiste. Volete giocare sul Centrale di Wimbledon? Beh, senza adeguato talento è piuttosto complicato, ma col 3D è un gioco da ragazzi. O quasi. Perché serve una mano esperta, ma in ogni caso è più semplice che cercare la via reale. Ebbene, Damian ha in sostanza sfruttato lo stesso concetto e ha ricreato quella che sarebbe la stanza ideale di Roger Federer. O meglio, la stanza ideale di un fan (fanatico) di Roger Federer. «Mi sto specializzando in arredamento d'interno in 3D e lo sport è il mio hobby. In particolare, adoro calcio e tennis» ci ha spiegato Damian. Il risultato è questa opera decisamente accattivante e ricca di particolari. Salta subito all'occhio il logo RF che ormai accompagna tutti i prodotti utilizzati dal fuoriclasse svizzero (vabbé, magari tolto il Rolex, anche se qualche appassionato sarebbe pronto a fare carte false se le sue iniziali fossero incise sulla cassa del nuovo Sky Dweller). Da notare però anche il tappeto che riprende un campo da tennis, la scritta peRFect dietro al letto e il simpatico ventilatore, dove al posto delle palle sono sistemate delle Wilson. Palle, scarpe e cappellino sono oggetti imprescindibili, mentre chissà se Roger sarebbe d'accordo nel tenersi accanto al letto il cesto che di solito è sinonimo di allenamenti sfibranti.

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Il tutto su una base verde che richiama l'erba di Wimbledon, il torneo che Federer ha sempre considerato come il più importante della stagione, e ancor di più quest'anno visto che i campi di Church Road ospiteranno anche il torneo olimpico (dove peraltro, caso unico, il colore trionferà, non essendo valida la regola del prevalentemente bianco che bisogna osservare durante i Championships). «Mi sono ispirato alla sua personalità - ha continuato Damian -. Volevo qualcosa di lineare ma che potesse mixare il classico col moderno. Un'idea che ho sempre trovato affascinante». E una realizzazione perfetta che, tra l'altro, non resterà un modello unico perché la passione per il tennis ha spinto Damian ad andare oltre e non limitarsi a Roger Federer. Per Roland Garros infatti, Damian preparerà (anche per noi di TENNISBEST Magazine) altri esempi di interior design in 3D, questa volta ispirati alla personalità di altri due fuoriclasse della racchetta come Novak Djokovic e Rafael Nadal. Certo, per quanto si possano apprezzare le qualità stilistiche e sportive di questi grandi campioni, è difficile pensare come poter vivere a lungo in un simile ambiente. Nello scorso numero, Federico Ferrero aveva suggerito come fosse perfino il caso di non conoscere i propri idoli. Figuriamoci cosa può voler dire dormire tutte le notti circondati da oggetti e styling che ce li ricordano. Resta apprezzabile il lavoro artistico compiuto da Damian e chissà che qualche fanatico...


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Babolat Roland Garros Come già l'anno scorso in occasione del primo anno di sponsorizzazione di Roland Garros da parte del marchio francese, Babolat lancia una linea di racchette dedicata alla seconda prova stagionale del Grand Slam.Tecnicamente si tratta di una classica AeroPro Drive che però viene prodotta con i colori della terra rossa parigina. Un design davvero accattivante che personalizza il telaio. Tecnicamente, restano confermati i 100 pollici di ovale, i 320 grammi e i 33,2 centimetri di bilanciamento (a racchetta incordata), oltre ai 70 punti di rigidità , lo schema di incordatura da 16 per 19 e un ottimo valore di inerzia: oltre 330 punti. 49



NEL 2008 HA VINTO ROLAND GARROS ED È DIVENTATA LA NUMERO UNO DEL MONDO. POI UN DECLINO PROGRESSIVO L'HA SPINTA LONTANA DALLE TOP PLAYERS. ORA STA CERCANDO UNA DIFFICILE RISALITA NEI PIANI ALTI DEL RANKING, FRA VITTORIE INCORAGGIANTI E SCONFITTE DELUDENTI. MA C'È UN PUNTO FERMO NELLA SUA CARRIERA: ANA IVANOVIC RESTA LA PIÙ BELLA GIOCATRICE DEL PIANETA TENNIS DI FEDERICO FERRERO PHOTO BY RANDALL GRANT / GETTY IMAGES


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Devo dirvi la verità: non capita visita a un torneo senza l’appassionato che si avvicini e, tra una chiacchiera e l’altra, mi faccia quella domanda. «Ma ti piace commentare le donne?» Ho lavorato per qualche anno sulla risposta (non al servizio, quella è una guerra persa) e posso affermare con un certo margine di sicurezza che fino a duetre anni fa avrei confessato, senza tanti fronzoli, di no. Un ‘no’ che conteneva diverse considerazioni: la qualità del tennis maschile è indubitabilmente superiore (non dico che Albert Ramos dia più spettacolo di Serena Williams, ma Roger e Rafa…), l’appassionato medio considera tennis solo quello giocato in calzoncini da eroi nerboruti e, ammettiamolo, qualche volta le ragazze ci hanno messo del loro per farsi considerare una divisione minore dello stesso sport. Col tempo ho imparato ad apprezzarle, le donne del tennis. A conoscerle, prima di tutto. Per conoscerle bisogna guardarle e imparare come giocano, cosa sanno fare e cosa no: ed è più interessante di quanto non possa sembrare scoprire i difetti nel rovescio di Samantha Stosur o quello che non funziona nel gioco di volo di Sharapova e Venus Williams. Come i loro punti di forza, il loro modo di ragionare e di reagire in campo, che non è il nostro (quello degli uomini, intendo). In realtà il tennis femminile è un mondo complementare al tennis maschile ma spesso incompatibile. Per certi versi è una realtà a parte: ci sono tennisti che sputano per terra mentre giocano. Che tirano su col naso, si smutandano tra un punto e l’altro: ecco, un’evoluzione non propriamente virtuosa dei gesti bianchi del primo dopoguerra. Le donne – adesso mi citerete Bethanie Mattek Sands, ma le cellule impazzite esistono da sempre in natura – conservano una buona rappresentanza della grazia delle dive d’antan. Tuttavia, nessuno di noi li ha vissuti gli anni dei pizzi e del leopardato di Gertrude ‘Gussie’ Moran, la vera Anna Kournikova degli anni Cinquanta, non sono inesorabilmente tramontati e, anche se qualche femminista un po’ retrograda lo considererà una diminutio inaccettabile, la bellezza della donna e il tennis rosa non fanno più a gara uno contro l’altra. Anzi, si possono conoscere e spo-

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RIESCE AD ESSERE AGGRAZZIATA ANCHE NELLO SFORZO. È CLASSE E NON PUÒ ESSERE INSEGNATA


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sare. Cos’ha, del resto, il tennis femminile in più, rispetto a quello dei maschietti, dalla nascita dello sport? Il piacere appagante dell’occhio. L’estetica del gesto che è anche sguardo innocente (o meno, ma questo dipende da chi guarda e non dall’osservata) del voyeur. Semmai, il problema si poneva quando vigeva una regola lugubre: le brutte vincevano - e più brutte erano, più trionfavano - ma le belle no, mai. La legge funzionò a lungo, e una Gabriela Sabatini non bastava a evitare che i nemici del tennis rosa si facessero beffe di quello sport frequentato da ragazze che al ballo delle debuttanti sarebbero rimaste a fare tappezzeria in eterno, schifate anche dai nerd. Avete mai sentito parlare di Jana Kandarr? Per forza, nel tennis di élite non ha mai combinato un accidente, o quasi. Oggi c’è una deliziosa ninfa giocante, si chiama Olivia Sanchez ma siamo punto e a capo: best ranking 80, attuale 548 (che disdetta!). La prima contemporanea bella

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e vincente, anche se nessuno si accorse o si curò della seconda qualifica, fu proprio la dea della Russia, Anna K. Vero, non portò mai a casa un torneo: eppure arrivò in semifinale nel re degli Slam, a Wimbledon, quando ancora era una minorenne. E fece punti a sufficienza per diventare l’ottava giocatrice mondiale, nel 2000. Dopodiché si fece male e, a una lunga riabilitazione, scelse la passerella. A ruota arrivò la Sharapova: sei anni in meno, tanta voglia di vincere in più ed ecco la stella cui non manca (quasi) nulla: non avrà la perfezione scultorea di Anna K ma, in fondo, poco ci manca. Non sarà ‘calda’ come Anna, almeno a voler dare retta al leader dei Maroon 5 Adam Levine che parlò delle sue disastrose performance a letto, ma la sua amicizia intima con la despota di Vogue, Anna Wintour , non mente: la ragazza è glamour quanto basta per non infilare nel curriculum i soli Slam. Il vento dell’Est ci ha portato le bionde, i Balcani hanno fatto eco con la bruna: Ana Ivanovic. La Serbia è una patria di bellezze, Ana


PROFILE Ana Ivanovic è nata a Belgrado il 6 novembre 1987. Cresciuta durante il periodo della guerra, si allenava su un campo ricavato dentro una piscina vuota.Aiutata da un benefattore svizzero, è esplosa otto anni fa con i primi grandi risultati nei tornei junior. Ecco, anno per anno, le tappe salienti della sua ancor giovane carriera. 2004 Raggiunge la finale junior a Wimbledon (battendo in semi Victoria Azarenka e perdendo da Kateryna Bondarenko 2005 Finisce la stagione nelle top 20, ma soprattutto conquista il suo primo titolo WTA all'inizio dell'anno a Canberra,Australia. 2006 Vince il suo secondo titolo WTA a Montreal battendo Martina Hingis in finale. Raggiunge sette volte i quarti di finale a Sydney, Indian Wells,Varsavia,‘s-Hertogenbosch, Los Angeles, Linz e Hasselt. 2007 Prima stagione da top 5: vince tre tornei WTA a Berlino (battendo in finale Svetlana Kuznetsova), Los Angeles (battendo Nadia Petrova in finale) e Luxembourg (battendo Daniela Hantuchova in finale). Diventa anche la prima serba a conquistare una finale Slam: a Roland Garros viene però sconfitta da Justine Henin. 2008 Seconda stagione da top 5 ma soprattutto conquista il suo primo (e fino adesso unico) torneo dello Slam a Parigi sconfiggendo la sua connazionale (e rivale) Jelena Jankovic in semifinale (in un match che valeva anche il titolo di numero uno del mondo) e Dinara Safina in finale. Conquista anche la finale dell'Australian Open, persa contro Maria Sharapova. 2009 Dopo una lunga crisi di risultati, raggiunge la finale a Indian Wells e chiude l'anno vicino alle top 20. 2010 Un ottimo finale di stagione le consente di tornare nelle top 20, dopo essere scivolata oltre la 60esima posizione WTA. 2011 Vince il suo 11esimo titolo WTA a Bali e resta a ridosso delle prime 20 giocatrici mondiali. 2012 Va in semifinale a Indian Wells, rientra nelle top 15 ma sopattutto (insieme alla Jankovic) trascina la Serbia alla sua prima, storica finale di Fed Cup che si disputerà in Repubblica Ceca il prossimo mese di novembre.

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sembra raccoglierle in sé, tutte quante, senza avvertirne il peso. Riesce a essere aggraziata anche nello sforzo, quando tutto il suo essere dovrebbe essere proteso alla ricerca della palla e non della posa. È classe, non può essere insegnata. Ivanovic ha rubato la leggerezza a un gatto, gli occhi e la chioma a Sofia Loren, la silhouette a una modella che Gucci avrebbe reso diva: un metro e 84 di grazia. Oh, Ivanovic. Quando essere imparentate con Afrodite può diventare un impiccio. Ana, e la sua perfezione corporea, sono state messe ingiustamente sotto processo. Vuoi vedere che, dopo quel Roland Garros di ormai quattro anni fa, dopo la prima posizione mondiale, la ragazza si è seduta sulla sua fortuna (no, non sono ammesse ironie)? Chissà, inizierà a preferire il contratto con la casa di lavorazione del diamante all’allenamento mattutino. Forse è troppo impegnata con lo sponsor, che l’ha messa sotto contratto a vita pur di strapparla agli squali del marketing Nike. Queste erano e sono le voci delle malelingue. Ana ha cambiato allenatori in serie, vero, ma non per capriccio. Anche una vincente mai bella né vicina a esserlo come Martina Navratilova, che giocava in pantaloncini e avrebbe anche masticato la gomma pur di sentirsi più uomo, le ha sempre concesso credito: è caduta in crisi, fa fatica a riprendersi ma ci prova come l’ultima ragazzina affamata di successi a inizio carriera. A dispetto delle copertine. Forse ciò che non viene tollerato è che un sorriso della Ivanovic faccia più notizia del torneo di Barcellona. Forse, tra quelle che mal sopportano l’affronto di un servizio dedicato a una-che-non-vince-più-niente, ci sono quelle

che neanche con sei US Open di fila otterrebbero altrettanto: chiamasi, in italiano, rosicare. Dal 2008 a oggi, in un saliscendi di risultati che avrebbero tramortito donne più deboli e meno motivate, miss Ivanovic ha continuato a mettere al primo posto il suo mestiere, quello di tennista. Senza dimenticare che il tennis rosa è l’universo della donna, e che per una donna è importante salvare una palla break ma lo è anche non sbagliare l’abbinamento scarpa-gonnellino. Col tempo ha risolto, almeno in parte, la croce del lancio di palla: non la butta più a caso, quando è tesa, ma prova a ripetere lo stesso movimento in scioltezza. Senza dubbio ha dissolto nel nulla la paura dell’obiettivo del fotografo: nei primi scatti, da Lolita, sembrava nascondersi. Ora si mostra, gioca con la lente, ammicca a chi è già in attesa, con le monete in tasca, di ammirarla dalle pagine di una rivista che parla di tennis. Sì, di tennis, perché per lei, per Masha la bionda e per le altre reginette della racchetta anche un tacco è tennis, uno strascico, lo chiffon e la parure di Tiffany. La WTA non è il regno dei guardoni: c’è un galateo anche nell’ammirazione di quanto spunta sotto il gonnellino, e noi italiani lo abbiamo imparato tempo fa grazie a Lea Pericoli e i suoi pizzi che battevano 6-0 6-0 le vittorie nel circuito. Fascino, classe e seduzione, tre carte che mancheranno sempre ai gladiatori del tennis. E che rispondono in un colpo solo a chi si chiede come mai una Ana Ivanovic, che non gioca una finale in un Major da 15 Slam, sia ancora una numero uno del mondo.

HA RUBATO GLI OCCHI E LA CHIOMA A SOFIA LOREN, LA SILHOUETTE A UNA MODELLA CHE GUCCI AVREBBE RESO DIVA. OH, IVANOVIC... 56



IL RACCONTO

LOLITA BY VLADIMIR NABOKOV, 1955 ANA IVANOVIC NON È CERTO LA PRIMA FANCIULLA A FAR PERDERE LA TESTA SU UN CAMPO DA TENNIS. PRIMA CI SONO STATE, TRA LE ALTRE, ANNA KOURNIKOVA E MARIA SHARAPOVA. MA SOPRATTUTTO UNA TENNISTA ROMANZATA CHE NON HA MAI VINTO UNO SLAM. TUTTAVIA... Era più che mai una ninfetta, nonostante l’età avanzata, con quelle membra color albicocca e la tenuta da tennista adolescente! Alati signori! Nessun aldilà è accettabile se non me la renderà com’era allora, in quella località di villeggiatura tra Snow ed Elphinstone, nel Colorado, con ogni cosa a posto: i bianchi, larghi calzoncini da ragazzo, la vita sottile, sopra la vita la pelle nuda color albicocca, il corpino bianco coi lembi che salivano a circondare il collo dove formavano un nodo penzolante, lasciando nude le adorabili sc apole albicocca, giovani da mozzare il fiato, con quella pubescenza e quelle ossa tenere e incantevoli, e la schiena liscia che si andava affusolando verso il basso. Il berretto con la visiera bianca. La racchetta mi era costata una piccola fortuna. Idiota, triplo idiota! Avrei potuto filmarla! Adesso l’avrei qui con me, davanti agli occhi, nella sala di proiezione del mio disperato sconforto! Prima di lanciarsi nel servizio aspettava, rilassandosi per una o due battute di tempo rigato di bianco, e spesso faceva rimbalzare un paio di volte la palla, o raspava un po’ il terreno, sempre a suo agio, sempre piuttosto vaga sul punteggio, sempre allegra come lo era così di rado nella tetra esistenza che conduceva a casa. Il suo tennis era il punto più alto al quale, per quanto io riesca a immaginare, una giovane creatura possa portare l’arte della finzione, anche se per lei, probabilmente, esso era soltanto la geometria della più semplice realtà. Il nitore squisito di ogni suo movimento trovava il suo pendant uditivo nel puro suono vibrante di ogni colpo. La palla, quando entrava nel radioso alone del suo controllo, diventava chissà come più bianca,

la sua elasticità più preziosa, e lo strumento di precisione che lei le opponeva sembrava, al momento dell’adesivo contatto, esageratamente prensile e volitivo. Dirò di più: il suo stile era un’imitazione assolutamente perfetta del tennis di più alto livello ma senza alcun esito utilitaristico. Come mi disse una volta la sorella di Edusa, Electra Gold, maestra giovane e meravigliosa: “Dolly ha una calamita in mezzo alle corde della racchetta, ma perché diavolo è così gentile?”. Ah, Electra, che importanza aveva, di fronte a tanta grazia! Ricordo che nell’assistere alla sua primissima partita mi infradiciò uno spasmo quasi doloroso di assimilazione estetica. La mia Lolita aveva un modo impareggiabile di alzare il ginocchio sinistro flesso nell’ampio, scattante inizio del ciclo del servizio, allorché veniva a crearsi, e restava un istante sospeso nel sole, un vitale ordito d’equilibrio tra il piede sulla punta, l’ascella ancora imberbe, il braccio brunito e la racchetta gettata ben all’indietro, mentre lei sorrideva con denti scintillanti al piccolo globo sospeso così in alto, allo zenith del cosmo possente e armonioso da lei appositamente creato per piombargli addosso con il netto schiocco sonoro della sua frusta dorata. Aveva, quel servizio, leggiadria, schiettezza, gioventù, una classica purezza di traiettoria, ed era, nonostante la sua forza notevole, piuttosto facile da ribattere, perché il volo lungo ed elegante non aveva effetto né mordente. Oggi il pensiero che avrei potuto immortalare in segmenti di celluloide tutti i suoi colpi, tutti i suoi incantesimi, mi provoca dei gemiti di frustrazione. Lolita di Nabokov è stato pubblicato in Italia da Adelphi

LA SCHIENA LISCIA CHE SI ANDAVA AFFUSOLANDO VERSO IL BASSO. IL BERRETTO CON LA VISIERA BIANCA. LA RACCHETTA MI ERA COSTATA UNA PICCOLA FORTUNA. IDIOTA, TRIPLO IDIOTA!

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PASSATO PRESENTE FUTURO



UNA STORIA ITALIANA Anni 70. Tutti i grandi campioni italiani hanno giocato Maxima, il più importante marchio di racchette made in Italiy della storia, creato nel 1936 da Pier Giovanni Pietra. Negli anni 70 si diceva «un italiano su due gioca Maxima». Nel periodo del boom, in Italia si vendevano 200.000 Maxima, di cui 90.000 Maxima Torneo

1969

1973. C'è l'esordio in Coppa Davis della più famosa coppia di doppio azzurra: Panatta e Bertolucci. Oltre a vincere la Davis nel 1976, hanno raggiunto tre volte i quarti a Parigi e la semifinale a Roma 1970. Adriano Panatta vince a Bologna i Campionati italiani superando a sorpresa in cinque set Nicola Pietrangeli. È una sorta di passaggio di consegne

1970

1972

1973

1972. Adriano si conferma Campione Italiano (al tempo era un torneo di grande importanza) e per la prima volta chiude la stagione come numero uno italiano nel ranking mondiale. Resterà il nostro number one fino al 1977, e poi ancora nel 1979 e 1982

1969. Prima edizione professionistica degli Internazionali d'Italia al Foro Italico. Vince John Newcombe su Tony Roche 6-3 4-6 6-2 5-7 6-3

1971. Adriano Panatta vince il primo torneo professionistico a Senigallia sconfiggendo in finale Martin Mulligan (australiano che giocò per la squadra azzurra) col punteggio di 6-3 7-5 6-1

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1971


Dal 1968 in poi, l'Italia tennistica ha conquistato grandi successi Dal mitico tris di Adriano Panatta nel 1976, al successo a Roland Garros di Francesca Schiavone nel 2010. Ecco i momenti top del tennis azzurro nell'Era Open

1976. A 25 anni, Adriano Panatta vince gli Internazionali d'Italia a Roma sconfiggendo John Newcombe in semifinale e Guillermo Vilas e in finale (2–6 7–6 6–2 7–6), dopo aver salvato 11 match point (!) contro l'australiano Kim Warwick al primo turno

1974. Corrado Barazzutti batte Ilie Nastase al torneo di Monaco. È la prima vittoria di un giocatore italiano contro un numero uno del mondo

1974

1977. Corrado Barazzutti arriva in semifinale allo US Open, unico italiano a riuscirci. Perde contro Jimmy Connors col quale ha spesso vissuto episodi spiacevoli, come quando sulla terra di Forest Hills Jimbo attraversò il campo per cancellare un segno, senza essere punito dall'arbitro. Su YouTube, il video è cliccatissimo

1977. L'ItalDavis sfiora il bis ma perde la finale in Australia. Panatta e Bertolucci vincono contro Alexander-Dent, ma Adriano cede 11-9 al quinto contro lo stesso Alexander

1975

1976

1977

1976. Dopo Roma, Adriano Panatta trionfa anche a Roland Garros battendo in finale l'americano Harold Solomon (6–1 6–4 4–6,7–6) dopo aver salvato un match point nell'incontro di primo turno contro il cecoslovacco Pavel Hutka con una straordinaria volée in tuffo. Era proprio l'anno magico di Panatta che nei quarti di finale aveva liquidato Bjorn Borg, il quale, in otto partecipazioni a Parigi, ha vinto in sei occasioni e perso solo due volte, sempre contro Panatta (oltre che nel 1976, anche nel 1973

1977. Non solo Panatta e Barazzutti. Tonino Zugarelli raggiunge la finale a Roma perdendo persa contro Vitas Gerulaitis per 6-2 7-6 4-6 7-6 e Paolo Bertolucci si aggiudica l'importante torneo di Amburgo

1978

1979

1979. Il più grande rammmarico della carriera di Panatta. Nei quarti di Wimbledon sottovaluta e perde contro il modesto Pat Dupre.

1976. L'Italia conquista la sua unica Coppa Davis a Santiago contro il Cile. Partita semplice ma trasferta complicata per le manifestazioni contro Pinochet

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5

Le vittorie Slam azzurre: Panatta e Schiavone in singolare

a Parigi, Reggi in doppio misto allo US Open, Pennetta e

Santangelo in doppio rispettivamente a Melbourne e Parigi

1980. I giocatori italiani non hanno mai amato granché l'erba di Wimbledon. Nicola Pietrangeli ha raggiunto una semifinale prima dell'Era Open, poi non siamo mai andati oltre i quarti di finale. Però, nella mitica finale del 1980 c'era una forte presenza del made in Italy. Perché Bjorn Borg vestiva Fila e John McEnroe Sergio Tacchini.

1980

1980. Adriano Panatta vince il suo ultimo torneo professionistico sulla terra battuta del torneo di Firenze battendo in finale Raul Ramirez, 6-2 2-6 6-4

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1983. Gli Internazionali d'Italia sono in crisi, disertati dai top players e con scarso pubblico. La finale che vede trionfare un giovane Jimmy Arias contro il pedalatore José Higueras è uno dei punti più bassi 1982. L'Italia organizza ben otto tornei atp, nostro record assoluto (Genova, Milano, Firenze, Roma, Venezia, Palermo, Napoli e Ancona. Ora è rimasto solo il torneo di Roma

1981

Inizia l'avventura di Coppa Davis con la formula del World Group a 16 squadre. E non comincia bene per l'Italia che a Brighton perde 3 a 2 contro la Gran Bretagna

1982

1983

1984

1984. Il tennis è accettato alle Olimpiadi di Los Angeles è solo come sport dimostrativo. Comunque sia, Raffaella Reggi vince la medaglia di bronzo.

1982. Sabina Simmonds, italiana di origine sudafricana, regala all'Italia il primo titolo WTA della storia vincendo il torneo di Bakersfield, battendo in finale la non irresistibile Lea Antonoplis


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Gli anni consecutivi in cui Sandra Cecchini ha vinto almeno un titolo del circuito professionistico, dal 1983 al 1992, per un totale di tredici successi complessivi

1990. Una giornata mitica. Paolo Canè, talentuoso quanto irrequieto, batte a Cagliari in Davis il n.1 Mats Wilander e regala la vittoria all'Italia

1986. Sempre Raffaella Reggi, nostra number one degli anni 80. Vince perfino un torneo del Grand Slam, anche se solo nel doppio misto, allo US Open, in coppia con lo spagnolo Sergio Casal, ottimo doppista e... bel ragazzo!

1989. Laura Golarsa gioca un meraviglioso tennis serve& volley sull'erba di Wimbledon e nei quarti di finale arirva sette volte a due punti dal match contro Chris Evert. Peccato resti a due punti dal match...

1985. Raffaella Reggi vince gli Internazionali d'Italia (in finale sulla Nelson) che però in campo femminile avevano scarso appeal, tanto che si giocò

1985

1986

1987

1988

1987 Diego Nargiso vince il torneo juniores di Wimbledon sconfiggendo in finale l'australiano Jason Stoltenberg col punteggio di 7-6 6-4. Primo e unico italiano a riuscire nell'impresa, per il napoletano si preannuncia una grande carriera. Purtroppo non sarà pari alle attese. Come peraltro quella di tanti altri campioni junior di Wimbledon di quel periodo: Mark Kratzman,, Leonardo Lavalle, Eduardo Perez, Nicolas Pereira...

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1988. Raffaella Reggi si ripete con un'altra grande prestazione alle Olimpiadi di Seul. Perde nei quarti da Manuela Maleeva ma sconfigge nientemeno che Chris Evert. E raggiunge il suo best ranking al n.13 WTA

1989

1990

1990. US Open: resta una delle più grandi sorprese del torneo, con la nostra Linda Ferrando che batte al tie-break decisivo Monica Seles

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La miglior classifica mai raggiunta da Adriano Panatta, nel

1976, e Francesca Schiavone, nel 2011. Quattro sono anche i top 10 (oltre a loro, Flavia Pennetta e Corrado Barazzutti)

1991. Cristiano Caratti arriva fin nei quarti di finale all'Australian Open, il torneo dello Slam più avaro di soddisfazioni per i colori azzurri. Resta infatti il nostro miglior italiano. Caratti è aiutato da un buon tabellone: non deve battere nessun top 100 e perde da Patrick McEnroe, anche lui classificato fuori dai primi cento ATP

1991

1991. Uno strsordinario Omar Camporese vince il torneo di Rotterdam battendo in finale Ivan Lendl per 7-6 al terzo. Una delle prestazioni tecnicamente migliori degli ultimi 20 anni

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1995. Andrea Gaudenzi raggiunge le semifinali a Monte Carlo battendo campioni come Petr Korda, Yevgeny Kafelnikov e Sergi Bruguera. Perde una discussa partita contro il suo compagno di allenamento Thomas Muster 6-3 7-6

1992. Omar Camporese raggiunge il suo best ranking al numero 18 ATP. Mai nessun italiano da quel momento ha dato così tanto l'impressione di potersela giocare anche con i top players

1992

1993

1992 Omar Camporese si ripete, dimostrandosi tra i top al mondo nei tornei indoor. Questa volta vince il torneo di Milano battendo in finale, in una gara di ace, il croato Goran Ivanisevic

1994

Stefano Pescosolido, per due set gioca un tennis che pochi italiani nella storia hanno mai mostrato. In Davis a Madrid, cherza il più forte terraiolo dell'epoca, Sergi Bruguera. Poi finisce la benzina...

1995

1995. Corrado Borroni, semi sconosciuto giocatore italiano, sconfigge a Roma Yevgeny Kafelnikov, top 10 ATP (e quasi ci riesce anche l'anno dopo...)


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I tornei del circuito maggiore vinti dagli italiani nell'Era Open.

Ha cominciato Nicola Pietrangeli a Monte Carlo nel 1968, l'ultimo è stato Andreas Seppi a Eastbourne 2012

1998. Ok, non c'erano i loro top players, ma quindici anni fa, andare a vincer euna semifinale di Coppa Davis negli Stati Uniti era un'impresa pazzesca, anche se c'era Todd Martin e non Pete Sampras. A Milwaukee, Gaudenzi & Co. conquistano la finale. 1996. L'ItalDavis, avanti 2 a 0 a Nantes contro la Francia in semifinale, viene clamorosamente rimontata. E Panatta si scaglia contro i giudici

1996

1999. La classifica ATP è impietosa: a fine 1999, non c'è nessun tennista azzurro classificato nei primi 50 giocatori del mondo. Il number one, si fa per dire, è Andrea Gaudenzi, numero 82 2000. Gianluca Pozzi, tra i più longevi campioni italiani, raggiunge gli ottavi di finale a Wimbledon. Oh, a 35 anni!

1997

1996. Il 15 aprile, Renzo Furlan raggiunge il suo best ranking al numero 19 del mondo. Da allora, stiamo ancora aspettando un altro top 20

1997. Adriano Panatta, capitano di Davis, ha dato ordini precisi nella notte: «'Sto campo deve diventà de ghiaccio!». Detto e fatto e su quel Play-It si sarebbe potuto tranquillamente pattinare. E così, Omar Camporese (n.167) batte Carlos Moya (n.8) e l'Italdavis sconfigge la Spagna a

1998

1999

1998. Al Forum di Milano, Gaudenzi ci lascia una spalla contro Norman e l'Italia vede sfumare la sua seconda Coppa Davis contro la Svezia

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2000

2001

2000. Scrive Repubblica: «Vergogna, umiliazione, ovvia conclusione di scelte sbagliate. Sia come sia, l'Italia del tennis è in serie B per la prima volta nella sua storia, battuta dal Belgio»

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54 2002. Al Palalido, Davide Sanguinetti vince il torneo ATP di Milano con gli spalti finalmente gremiti. In finale batte una giovane promessa svizzera di cui si parla un gran bene. Per qualcuno diventerĂ addirittura il numero uno del mondo. Un certo Roger Federer...

2002

2002. Anno di crisi per il tennis azzurro maschile: un solo giocatore (Davide Sanguinetti, numero 46) compare tra i top 100 della classifica ATP di fine anno

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Le vittorie ottenute dalle giocatrici italiane nei tornei WTA.

Da notare come le azzurre vincano almeno un torneo del circuito maggiore dall'anno 2000 a oggi

2006. Comincia l'epopea della squadra azzurra di Fed Cup che in Belgio, pur contro una Henin menomata, vince il suo primo Titolo Mondiale. Seguiranno i successi del 2009 e del 2010

2003. L'ItalDavis finisce in Serie C perdendo contro lo Zimbabwe. Un disastro annunciato, dopo le incredibili sconfitte della prima giornata di Volandri e Sanguinetti. In doppio perdono Massimo Bertolini e Giorgio Galimberti

2003

2004

2003. Silvia Farina vince per il terzo anno consecutivo il torneo WTA di Strasburgo, raggiunge i quarti di finale a Wimbledon ma non migliora l'undicesima posizione mondiale raggiunta l'anno prima. Per avere una top 10 dovremo aspettare...

2005

2004. Tathiana Garbin batte Justine Henin sul campo centrale di Roland Garros. Ăˆ la prima volta in assoluto che una giocatrice italiana sconfigge la numero uno del mondo

2006

2006. Una giornata da raccontare ai nipoti: Andrea Stoppini batte Andre Agassi al torneo di Washington. Un successo che vale una carriera


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I Campionati del Mondo vinti dall'Italia, se così vogliamo considerare Coppa Davis e Fed Cup. Tre volte ci sono riuscite le donne, una volta gli uomini

2008. Simone Bolelli è sulla rampa di lancio e molti lo pronosticano top 10 mondiale, ribattezzandolo il Federer di Budrio. Decide di disertare un match di Davis contro la Lettonia dove la sua presenza non pare indispensbaile. La FIT lo squalifica:«Mai più Bolelli in Davis» dice il Presidente Binaghi (salvo poi ripensarci)

2010. Francesca Schiavone riesce in un'impresa di cui nessuno la riteneva capace: vincere un torneo dello Slam. A Roland Garros trionfa battendo Caroline Wozniacki, Elena Dementieva e in finale Samantha Stosur

2007. Mara Santangelo vince il titolo di doppio a Roland Garros in coppia con l'australiana Alicia Molik

2007

2008

2007. Imbattibile, un appellativo che merita solo Roger Federer, a metà degli anni 2000. A Roma però, va sotto in due rapidi set contro Filippo Volandri che cederà in semifinale a Fernando Gonzalez

2008. Il primo di novembre, sul canale 224 di Sky, debutta SuperTennis, il canale televisivo gestito dalla Federazione Italiana Tennis. Una gran notizia per gli appassionati di tennis. Il canale cresce, acquisisce diritti importanti (ATP 500, Coppa Davis, etc), ma fanno discutere i circa tre milioni annui di perdita

2009

2011. Andreas Seppi e Roberta Vinci vincono rispettivamente a Eastbourne e 's-Hertogenbosch i primi titoli sull'erba nella storia

2010

2009. Il 17 agosto, Flavia Pennetta diventa la prima giocatrice italiana della storia a entrare nella top 10 della classifica mondiale 2011. La Schiavone batte la Kuznetsova 16-14 al terzo in 4 ore e 44 minuti all'Australian Open e diventa n.4 del mondo eguagliando il record di Panatta. Arriverà anche in finale a Parigi perdendo dalla Na Li. La Pennetta vince il doppio a Melbourne con la Dulko e diventa n.1 di specialità.

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2011

2012

2012. Sara Errani e Roberta Vinci vanno in finale all'Australian Open di doppio, prima coppia tutta italiana a riuscirci in un torneo dello Slam

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I racconti di Cino Marchese

Adriano Panatta FUORICLASSE, ITALIA, 1950

Ho visto per la prima volta Adriano in una finale di Coppa Croce ad Alessandria, in quello che è stato anche per diversi anni il mio Circolo. Credo fosse il 1967 e Adriano ricevette un premio per il miglior giovane di quel concentramento finale vinto dal T.C. Parioli, il club per cui giocava questo giovane interessante e dotato di una classe pura e genuina. Fisicamente non era un granché, aveva i fianchi larghi, le gambe storte, ma si muoveva benissimo ed era elegante e armonioso. Toccava la palla come pochi e aveva una sensibilità incredibile. Era anche potente, con un’apertura alare rimarchevole e si vedeva che, messo insieme un po’ di muscoli, avrebbe servito benissimo. Poi era un bel ragazzo con quel sorriso naturale e ironico e un viso bellissimo. In poche parole, aveva tutto per diventare un campione e un personaggio. Dopo un paio d’anni mi sono trasferito a Roma e Adriano non aveva tradito le attese: nel 1970 si era aggiudicato il titolo italiano in una finale storica a Bologna contro Nicola Pietrangeli, successo che ripeté l’anno dopo a Firenze. Ormai era una star dello sport italiano. In più, quella sua aria scanzonata lo aveva consacrato come un beniamino del pubblico. A Roma impazzava ancora la Dolce Vita e Adriano aveva molto successo con le donne: i suoi flirt con Mita Medici e Loredana Bertè erano una delle materie preferite dei settimanali pettegoli. Tutto ciò era anche il cruccio di Mario Belardinelli, suo grande profeta e maestro di vita. Mario non si dava pace per il rendimento di Adriano, fortemente altalenante, capace di exploit fantastici ma anche di cocenti disfatte. Dopo alcuni mesi di ambientamento nella mia nuova residenza romana, mi sono iscritto al C.T. Fleming, un circolo in quegli anni particolarmente di moda e frequentato da personaggi dello spettacolo, dai calciatori della Lazio di Maestrelli, Chinaglia in testa, e da quella gioventù dorata sempre in vista nei locali notturni e nei luoghi di vacanza più esclusivi. Ovviamente Adriano, con il fido Bertolucci, aveva preso casa nei paraggi e quando era a Roma era sempre lì. Per me fu l’occasione di conoscerlo bene, di diventare suo amico e di frequentarlo assiduamente. Di Adriano ammiravo l’intelligenza, la capacità di capire al volo le cose e il carattere scanzonato ed estroverso, tipico dei romani, di cui era un chiaro esponente. La sua grande personalità faceva sì che lo amavi o lo detestavi: anche al Foro Italico, la maggioranza lo amava, ma tanti altri venivano sperando che perdesse. La capacità di suscitare questi contrasti è tipica dei personaggi speciali, quelli con grande carisma. Nelle frequentazioni Adriano si è sempre circondato di personaggi discutibili che

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io non ho mai particolarmente condiviso; ma lui era fatto così e gli si perdonava tutto. Sono diventato intimo dei suoi genitori e spesso andavo a cena da loro. Il padre Ascenzio era il suo ritratto nel modo di fare e di comportarsi. Era ironico, spiritoso e gli piaceva scherzare su tutto e su tutti. La madre Liliana era una donna fantastica, dolce e apprensiva che si preoccupava sempre dei suoi figli e dei loro problemi. Romana come nessun’altra, era il vero fulcro di tutta la famiglia. Entrambi avevano un amore smisurato per Adriano e ne hanno condiviso sempre i momenti esaltanti e quelli tremendi. Appena messosi in luce, la IMG, il potente gruppo di management creato da Mark Mc Cormack, lo aveva messo sotto contratto e il suo agente era Ian Todd che poi divenne il mio capo. Ian è un tipo molto dinamico e aveva da poco iniziato la divisione europea del Gruppo. Molto ambizioso, era anche lui innamorato di Adriano e del suo modo di essere, della sua maniera di vestirsi e di come sapeva muoversi nelle più disparate situazioni. Ian si definiva un grande ammiratore del nostro Paese e Adriano pretendeva che perdesse quella sua aria inglese e fosse più “italiano”. Ian veniva spesso ad incontrare Adriano e quando un giorno, salendo su un volo Alitalia a Londra, le hostess gli si rivolsero in Italiano, rimase fiero e soddisfatto, convinto di avercela fatta. Arrivato a Roma, raccontò l’episodio ad Adriano, anche lui fiero di essere riuscito a trasmettergli i concetti base che deve seguire un uomo elegante e dinamico. Lo guardò attentamente e approvò la giacca blu ben tagliata, i pantaloni di flanella grigi, la camicia azzurra e la cravatta, la scarpe con i fiocchetti; poi gli sollevò i pantaloni per controllare i calzini che erano drammaticamente corti, come portavano i middle class inglesi quale lui era. Adriano sobbalzò e bocciò inesorabilmente il tentativo di Ian di sembrare italiano. E’ una storia che ancora oggi Ian racconta e che offre un ritratto di chi fosse Adriano in quel momento e dell’immagine che voleva trasmettere. Un›altra storia che spiega la sua cura impeccabile dell’immagine è capitata il giorno della finale del Roland Garros del 1976. Faceva caldo, lo stadio era pieno e alcuni minuti prima dell’Ingresso in campo dei giocatori negli spogliatoi deserti Adriano cercava di trovare il massimo della concentrazione con un gruppo ristretto di amici venuti apposta da Roma. Dall’altra parte dello stanzone, Harold Solomon con suo padre cercava di fare lo stesso. All’improvviso Adriano strillando chiamò Solly e lo invitò ad andare di fronte al grande specchio accanto alle scale che


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I racconti di Cino Marchese portano al campo. Harold con riluttanza e chiedendosi cosa mai volesse il suo avversario, andò verso lo specchio e qui Adriano, bello, aitante, alto e in piena forma, si trovò di fianco il piccolo Solly con quella sua faccia da topo un po’ curva e poco attraente. Adriano lo guardò e gli disse: «Ehi, chi pensi vincerà questa partita?». Al quel punto, il piccolo Solomon lo mandò a quel paese e tornò al suo cantuccio mentre Adriano era soddisfatto per quell’ulteriore pressione psicologica che aveva creato ad arte. Questo era Adriano: scanzonato, ironico, irriverente, ma molto umano e forse spinto a queste guasconate da una paura che non voleva trasparisse. La vita di Adriano è costellata di situazioni abnormi che gli hanno molto condizionato la sua carriera, che avrebbe dovuto essere ben più colma di risultati importanti. In quegli anni, Bjorn Borg ha dominato in lungo e in largo e, specialmente sulla terra battuta, non perdeva quasi mai. A Roland Garros, Borg ha partecipato 8 volte e ha vinto 6. Le due volte che ha perso è stato sempre contro Adriano. Questo la dice lunga e se Adriano non fosse stato travolto dagli eventi e invece di scappare da Mc Cormack per mettersi in proprio, fosse rimasto, probabilmente ora vanterebbe un ben altro palmares. Adriano però la sua vita l’ha voluta vivere a suo modo e ha sempre preferito seguire il suo istinto, anche se spesso lo ha portato fuori strada, costringendolo a dei recuperi drammatici e a volte disperati. Anche la sua vita privata è stata movimentata, ma ha sempre avuto come riferimento la bellissima moglie Rosaria che gli ha dato tre figli meravigliosi. La prima volta che vidi Rosaria fu a Viareggio e mi ricordo che rimasi letteralmente incantato dalla sua bellezza, ma anche dall’acuta intelligenza e dal savoir faire. Adriano l’aveva conquistata strappandola ad uno dei rampolli di uno dei più ricchi uomini di quei tempi. Lo fece alla sua maniera, in modo spregiudicato e con grande coraggio, confrontandosi con il rivale nel suo campo che era quello delle corse veloci sull’acqua. Ora finalmente Adriano e Rosaria sono nonni perché la figlia Rubina ha dato alla luce un bel bimbo a cui è stato messo il nome di Adriano sperando che ripeta, con qualche ritocco, le gesta di un grande campione che certamente ha lasciato qualcosa di non espresso.

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IL COMPAGNO PAOLO Panatta e Bertolucci giocavano il doppio a occhi chiusi, perché Paolo riusciva a sopportare Adriano, una vera impresa dal momento che non smetteva mai di rompergli le scatole. A tal proposito vi racconto una storia che accadde a Roland Garros nel 1977. Adriano era il vero re di Parigi e dopo la sua vittoria l’anno prima si era consacrato come una vera superstar. Dopo un primo turno agevole, Adriano e Paolo dovevano giocare il doppio contro due “pischelli”, uno americano e l’altro ecuadoregno, Ricardo Ycaza, campione del mondo junior. Era abbastanza tardi e la partita venne messa sul campo n.2 , quello con i gradoni di fianco alla club house. Per la sera, avevamo prenotato alle 21.00 da Chez Fernand, a St. Germain de Pres, locale molto di moda in quegli anni e con il proprietario amico di Ilie Nastase. Andando in campo, Adriano disse agli amici con cui dovevamo andare a cena che avrebbe sbrigato la pratica contro i due ragazzini e che sarebbe stato puntuale. I loro avversari erano già in campo e Adriano, mostrando una certa fretta, vinto il sorteggio decise di rispondere. A quel punto, l’americano che nessuno conosceva disse al suo compagno: «Ma lo sa Panatta che servo molto bene?». Adriano lo sentì e rivolto a Bertolucci disse: «Ma lo hai sentito quel brufoloso capellone cosa ha detto?». E Paolo: «Sì, ha detto che serve molto bene…». «Ma come si permette questo qui? E come si chiama?» chiese Panatta. «John McEnroe» rispose Bertolucci. Il nostro gruppo aveva seguito la scenetta e non vedevamo l’ora che la partita iniziasse. Ovviamente servì McEnroe e Paolo a destra era il primo a rispondere.Adriano era una furia e voleva fargliela vedere a quel brufoloso ragazzotto, il quale però fece partire un servizio imprendibile. Adriano cominciò a insultare Paolo per essersi fatto buggerare in quella maniera, ma Paolo gli rispose: «Guarda che ha servito veramente bene!». Adriano era sempre più furioso, ma John lo infilzò come un tordo. E Paolo tutto contento: «Allora, come ha servito il brufoloso?». Cominciò una lotta incredibile che durò tre set.Alle 21.30, i nostri riuscirono a vincere. Ovviamente la cena saltò, però avevamo scoperto un campione.


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words: Marco Bucciantini words photos: Marco De Ponti location: Monte Carlo subject: Simone Bolelli Per alcuni è il miglior talento del tennis italiano degli ultimi 10 anni. Per altri, il più grande spreco. Qual è la verità? Per scoprirla, siamo andati a trovarlo nella sua casa di Monte Carlo dove si rifugia tra un torneo e l'altro. Perché il tennis italiano ha disperatamente bisogno di trovare un top player 74


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imone Bolelli porta appresso la fatica del talento. C’è chi sa esaltarsi, dentro questa fortuna: il fuoriclasse sa impiegare tutta la sua bravura, imporla agli altri quasi con leggerezza e con essa nascondere i difetti. Altri devono combatterci. Sono appesi al talento come pezzi di stoffa su un filo teso al vento. Dipende da loro, e dal vento, che ha strappato via qualcosa a tanti, anche a Simone. Un polso rotto, quando stava crescendo, intorno ai vent’anni. Ma se adesso, mentre parliamo, Bolelli è il numero 105 del mondo e guarda in televisione (“studia”, dice lui) le semifinali di Montecarlo, dove sudano due tennisti che lui ha sconfitto più volte (e con agio) tempo fa (Simon, Berdych), è anche perché non ha saputo resistere, a quel vento. Numero 36 del mondo a 23 anni, dopo un avvicinamento ai migliori fatto bene, un passo alla volta, come chi vuole salire una montagna, saggiamente. «Ma lui vale i primi dieci». Lo disse – e lo ripete ancora – il suo coach di allora, Claudio Pistolesi. E siccome quel pronostico gli è rimasto sulla pelle come una ferita, aggiunge: «Me lo disse anche Tony Roche: questo ragazzo arriva nei primi 10 del mondo». Si può discutere il patriottismo di Pistolesi, non l’occhio di Roche: non è un oracolo qualunque ma uno che nella sua lunga vita sul campo da tennis ha giocato sei finali di Slam e allenato tre numeri uno: Lendl, Rafter, Federer. IO, FEDERER E DINO MARCAN… Un giorno più cupo di altri Cesare Pavese scrisse una frase che spogliata dal tenore drammatico è cinicamente vera: «Tutta la ricchezza degli uomini è la morte, che li costringe a industriarsi, a ricordare e prevedere». Riempire ciò che precede la scadenza. Per uno sportivo questo traguardo arriva due volte, perché prima c’è da spremere il massimo da quel tempo fatato che è il professionismo. Così colpisce, in questo bravo ragazzo, la sua voglia di promettere qualcosa. Di rabboccare quel tempo che è rimasto più vuoto di quanto doveva. «Io torno lassù, lo sento. Sto bene, sto vincendo partite e ritrovando fiducia». A tradimento, Bolelli ci lascia sperare. Perché per stile e soluzioni il suo tennis è il migliore espresso da un italiano dai tempi di due concittadini del bolognese – Paolo Canè e Omar Camporese: due carriere inferiori al talento. Ma in questo spreco Bolelli supera tutti. Nella sua timida risalita che vuol diventare vera, Bolelli gioca anche contro il senso di colpa di aver invertito i fatti: gli anni centrali della carriera sono scivolati via insieme alla sua classifica. «In campo mi sento pronto, più di sempre: ho lavorato sui miei punti deboli, sugli spostamenti dentro il campo». Poi vuole sottolineare la discontinuità: «Dopo due anni così era giusto cambiare qualcosa, nelle persone e anche nei metodi. Quest’inverno l’ho fatto». Lo segue Simone Ercoli, lo allena Eduardo Infantino: biglietti da visita notevoli. È stato a Tandil, al «campo di lavoro» del preparatore atletico argentino: «Là c’è grande scrupolo e cura di tutto quello che viene fatto. Così ti abituano alla fatica mentale e fisica, alla dedizione continua verso il mestiere. In questo, sento di aver fatto un salto di qualità che voglio ritrovare poi in partita». Una volta di lui dissero: «Somiglia a Federer». È un paragone facile e vigliacco. Facile perché la semplicità, l'eleganza, la fluidità dei colpi da fondo campo è evidente, e vigliacco perché sì, Federer è un'espressione pratica del manuale del tennis e chiunque esprima naturalezza nei colpi può ricordarlo, ma è un esempio, e lì deve restare: non può essere un raffronto sul quale misurarsi. «Entrambi giochiamo il rovescio con una sola mano, ma la somiglianza finisce lì. Federer è il tennis, io solo un tennista». Sembra Federer ma è fuori dai primi cento del mondo e l'anno scorso a Umago perse nelle qualificazioni contro Dino Marcan, «un ragazzo croato di quelle parti, numero 500 del mondo. Certo che me lo ricordo, fu il punto più basso. Ero sfiduciato, e perdevo. Ho avuto paura di

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SIMONE BOLELLI Nato a: Bologna Il: 8 ottobre 1985 Altezza: 1.83 metri Peso: 79 kg Sposato: con Ximena Fleitas (2009) Best ranking: 36 (23 febbraio 2003)

Non mi rassegno, Il tennis è la best ranking,


posso scrivere un'altra storia. mia vita: 26 anni è un'età da non da viale del tramonto 77


non ritrovarmi più, vedevo la classifica peggiorare, settimana dopo settimana, e in campo finivo per perdere match che credevo di vincere. Però non ho mai pensato di mollare, ho sempre creduto di avere ancora molti anni davanti, mi sono sentito sempre un tennista. E so che ho la qualità per tornare a vincere». LA GIOSTRA DEI MIGLIORI Siccome sa di avere l’onere della prova e sa che deve ancorare i suoi sogni a qualcosa di pratico, racconta con fierezza la sua giornata di fatica, quando non ci sono di traverso le partite: «Mi sveglio presto, alle sette, e vado subito a correre per circa mezz’ora, prima di colazione». Sicuramente non soffre di pressione bassa. «Mi aiuta a tenere il fiato e ho metabolizzato questa abitudine». Dopo colazione, «palestra e tennis. E dopo pranzo, l’inverso: tennis e palestra. Verso sera, ancora un po’ di lavoro anaerobico, più tecnico: corsa dentro il campo, ripetute». . Per essere più agile in campo, si allena con tute imbottite di peso. «Ho ancora cinque o sei anni di carriera e posso scrivere un’altra storia. Non mi rassegno, il tennis è la mia vita, so che posso tornare anche più forte. Ho 26 anni: è un’età da best ranking, non da viale del tramonto. Lo so, mi ero creato un’occasione, e l’ho lasciata lì. Adesso cerco di ritrovarla. Il gioco sta tornando. Copro meglio il campo, queste sensazioni mi mancavano. Ci tornerò nella giostra dei migliori, e non scenderò». LE CONVINZIONI DI PISTOLESI Cominciò a giocare da solo, non per vocazione familiare («Mio padre giocava a calcio, mamma non faceva sport»): c’erano i campi da tennis vicino casa e Simone s’incuriosì. Non avendo palleggiatori in famiglia, il primo avversario fu il muro. Poi ha cominciato il maestro Andrea Saetti a rimandare di là la pallina, al Country Club di Villanova di Castenaso. Il passo avanti fu la recisione del cordone ombelicale e il viaggio a Cividino, nel bergamasco, da Renato Vavassori e Luca Ronzoni. I tennisti lasciano la casa da ragazzini, non sono bamboccioni, nemmeno quelli italiani. «Adoravo Edberg e poi Rafter. Giocatori d’attacco, che chiudevano il punto al volo. Curioso, io a rete non ci andavo mai, nemmeno da juniores». Peccato, perché un colpo al volo anche schematico sarebbe perfetto per chiudere il punto dopo il cannoneggiamento da fondo. Ne era convinto Pistolesi: «Dovevamo cucire la volée al suo gioco, poi era pronto per giocarsela con tutti». Già, perché dopo lo svezzamento, arrivò il coach e sembrava una cosa bella, tutta prodotta qui: il talento bolognese e l’allenatore core de Roma, ma nient’affatto provinciale. La classifica assecondava: da 280 a 36 del mondo in tre anni. «Per Simone ho rifiutato tutto il resto. Non c’era proposta che mi allettasse di più. Ci credevo, e lo rifarei». Pistolesi ha ricordi impastati con qualche rimpianto: «Simone ha un’accelerazione di braccio straordinaria. È una qualità naturale, è il talento. Ha un servizio che frutta punti sicuri. La crescita era costante, insieme stavamo bene e arrivavano vittorie prestigiose contro Simon, Del Potro, Berdych, Gonzalez, Soderling. Doveva migliorare nel gioco di volo, per faticare meno in certe partite. Ci stavamo lavorando, per questo rinunciammo alla convocazione in Coppa Davis». IL TESTACODA DELLA DAVIS Ed ecco il testacoda della storia. Bolelli che non va a Montecatini a sfidare i lettoni di Gulbis sulla terra battuta, preferendo giocare sul veloce, e coltivare la classifica. Diventa una guerra: la federazione squalifica a vita il giocatore, «Mai più in Nazionale», e carica di toni allucinanti: «Bolelli non è un uomo», ai quali segue l’ostracismo totale e ottuso. Lui restituisce la tessera Fit in una memorabile conferenza stampa, lucida e spietata. La pace verrà

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siglata un anno dopo e sul piatto finisce la testa di Pistolesi, che la Federtennis di Binaghi considera un nemico con il quale è vietato patteggiare. Bolelli torna in Davis, lasciando il testimone di reietto a Seppi. È una vicenda che abbiamo riassunto a spanne, con un finale che potrebbe anche andare bene, se non fosse che Simone si perde e va giù, fino a quella sconfitta con il ragazzotto croato. Di quelle tribolazioni, Bolelli tiene un punto: «Questo è l’unico Paese al mondo dove se chiedi di rinunciare a un turno di Davis finisci in punizione». Ma è una constatazione dentro un linguaggio diverso, fatto di ringraziamenti a Binaghi: «Angelo è il primo ad aiutarmi, sono contento di aver ritrovato un bel rapporto con la Federazione, ci tenevo. Pistolesi? Lo incontro, parliamo, scherziamo, è una storia passata». Qualcosa però è rimasto: «Sto lavorando sulla volée, sarà la chiave per battere quelli più forti. Quando incontri Murray, Nadal o Djokovic, se non vai avanti a chiudere e resti dietro, finisce che fai quello che vogliono loro. Nel tennis di alto livello serve qualcosa in più per fare punto, non basta il gioco di pressione da fondo, a meno di non avere l’intensità e la costanza dei fenomeni». Che Bolelli inquadri certi avversari, e s’industri per cercare tattiche contrarie alla loro forza, è un altro segnale incoraggiante, prima ancora che megalomane. Al miglior Bolelli mancavano alcune cose, non tutte fondamentali: si muoveva male lateralmente, era poco reattivo sulla risposta (faceva un sacco di ace e ne buscava altrettanti), a volte il rovescio zoppicava, difettava di varietà di schemi, nonostante una buonissima mano. E forse latitava di spirito combattivo, anche se Pistolesi nega: «Andatevi a vedere quante partite ha vinto 7-5 al terzo set». Al Bolelli di oggi non manca certo il frasario, che potrebbe denotare un’inclinazione finalmente ardimentosa, ma attendiamo conferme (in campo). IL TENNIS? IL MASSIMO Non gli piaceva studiare, e prima o poi vorrebbe fare quell’ultimo anno di Ragioneria che ancora manca per il diploma. «Ma i genitori non mi hanno mai assillato, comprendendo le mie scelte. Non credo sia stato facile per loro vedere un figlio andar via a 15 anni: i laureati ci stanno di più, a casa con mamma e papà. Sono rinunce e ogni tanto ti assale il rimorso di aver perso qualcosa, ma le soddisfazioni di questa vita e di questo sport non saprei trovarle altrove.Vincere un match è il massimo perché sei solo, in campo, e ti carichi di tutte le responsabilità. Dai la vita al tennis, ogni ora, ogni cena sorvegliata, senza sgarrare. E il tennis ti ripaga, come ogni sport individuale: ti mette a nudo davanti a te stesso, è uno specchio che non mente. Il lavoro e i sacrifici tornano indietro, deve essere così. Io ho sempre avuto naturalezza nel diritto e il servizio usciva potente. Il rovescio invece l’ho costruito, piano piano, giorno dopo giorno, palla dopo palla. Sto facendo così anche per l’elasticità muscolare, per muovermi meglio». UN DOPPIO (MISTO) VINCENTE Simone è un bel ragazzo, e ha maritato all’altezza, con la modella uruguaiana Ximena Fleitas. «Il matrimonio mi ha fatto crescere, mi andava di sposarmi, lei adesso è un mio punto di riferimento. Anche in questi mesi difficili, lei c’era». Capita di trovare foto mica male di entrambi sulla rete. Lei per mestiere mostra il meglio che ha, ma anche Simone s’incontra a petto nudo, proteso nell’allenamento. «Vabbè, quando è caldo mi alleno così, e risparmio cinque magliette che infradicerei di sudore. Poi, se dicono che sono bello mi va bene, ma non m’impegno certo per apparire un modello». Due calibri del genere si sono conosciuti alla maniera dei cuori solitari e sfigati: «Su Facebook, dove avevamo amici in comune. Poi ci siamo incontrati a Roma, quando ancora mi allenavo con Claudio. Lei faceva la spola e adesso viviamo a Montecarlo. Quando siamo insieme ci piace andare al cinema, a vedere film d’azione o comici. Quelli sentimentali no, mi annoiano, serve un po’ di


Simone Bolelli ha raggiunto una ďŹ nale del tour ATP a Monaco di Baviera nel 2008 e raggiunto il suo miglior ranking nel febbraio 2009 al n.36

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carica... Il Gladiatore è il mio preferito, inarrivabile». Anche quella è la storia di un ritorno per un virtuoso generale sprofondato in schiavitù che poi, piano piano, cerca di tornare a un passato per lui impossibile e perduto, combattendo una partita alla volta. È una suggestione, niente di più. «Quando sono solo, durante i tornei, la sera in albergo mi metto a navigare, mi aggiorno sulla tecnologia e sono appassionato di orologi: li cerco, li valuto. Nell’iPod c’è musica pop, i Queen, Lady Gaga, Beyoncé. Ma se c’è il tennis in televisione, guardo quello e cerco nei colleghi i loro segreti, la loro bravura, come sanno coprire il campo. Se per esempio giocano Federer e Djokovic mi fermo a guardarli, li ammiro. Il serbo è il numero uno perché riesce a giocare ad un’intensità pazzesca, per molte ore, sbagliando pochissimo. È una macina che non lascia scampo». IL SOGNO DEL BOLE Un giorno non troppo lontano del tempo passato, Bolelli dominò Del Potro a Roland Garros. Chi ha visto quel match, quell’esibizione di purezza tennistica, conosce perfettamente l’orizzonte di questo bolognese educato, pacato, quasi sempre sorridente. «Per adesso è stato il migliore della carriera, ma ne ho sconfitti molti che adesso stanno nei primi venti del mondo, gente che non si lascerebbe mai battere. Questo mi infonde la certezza che tornerò. E voglio un punto bellissimo, un diritto vincente con cui chiudere il match, al quinto set di una sfida decisiva in Coppa Davis e chiudere la carriera senza rimpianti, sereno, e invecchiare accanto a una famiglia robusta. E con la coscienza a posto».

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QUINZI

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di LORENZO CAZZANIGA

MA IL FUTURO DELL’ITALIA TENNISTICA È DAVVERO TUTTO NELLE MANI DI UN 16ENNE DI PORTO SAN GIORGIO? PARE PROPRIO SIA COSÌ... 83


ORMAI DEVE AVERCI FATTO L’ABITUDINE. DA QUANDO ADRIANO PANATTA LO SCOVÒ IN UNA DI QUELLE GIORNATE IN PIAZZA ORGANIZZATE PER PROMUOVERE IL TENNIS, GIANLUIGI QUINZI VIVE, GIOCA E SI ALLENA CON LA SCOMODA ETICHETTA DI NUOVO MESSIA DEL TENNIS ITALIANO. Perché se è vero che di giovani di belle speranze, l’Italia ha sempre abbondato, in questo caso non si parla di un possibile buon giocatore, ma di potenziale fenomeno. Claudio Pistolesi e Andrea Gaudenzi sono stati al vertice del ranking juniores mondiale e, più recentemente, Matteo Trevisan ha chiuso il 2007 al numero 3 del ranking ITF. Ma GQ, come è già stato ribattezzato alla maniera di Greta Garbo, che era solita firmarsi con le sole iniziali, pare avere qualcosa in più. In sostanza, le stimmate del fuoriclasse. Squilli di tromba accompagnano ogni suo successo, che sia nelle qualificazioni di un disperso (e disperato) torneo Futures sudamericano o di un torneo giovanile di qualsivoglia livello. Sui forum si scatenano dibattiti su ipotetici scenari futuri, come se il tennis azzurro avesse trovato il suo Alberto Tomba, il suo Valentino Rossi. Un entusiasmo collettivo perfino sorprendente, considerando che GQ ha solo 16 anni e non ha realizzato mezzo Slam juniores o sconfitto un top 300 del mondo. Alla sua età, tanto per capirci, Donald Young aveva già vinto l’Australian Open juniores e veniva presentato come il maggior talento del tennis yankee dai tempi di John McEnroe. Ora ci si chiede come un tipo simile sia arrivato fino al numero 38 ATP, visto che in giornata tipo farebbe fatica a rivincerlo un torneo juniores, pur avendo già compiuto i 22 anni. Tuttavia, l’attesa di un top 10 è talmente datata (una trentina d’anni...) che le aspettative superano la ragione d’essere. Oh, sia chiaro, il talento è indiscutibile: vince da quando era un infante e la crescita tecnico-fisica appare confortante. Tuttavia, quel che spaventa l’italico appassionato, è dover riporre (quasi) tutte le speranze di ritrovare un top 10 nelle mani di un solo ragazzo. Guardando alle spalle dei nostri attuali top players (che per adesso navigano lontano dall’èlite mondiale), il panorama è alquanto deprimente. Alessandro Giannessi è cresciuto molto ma deve ancora dimostrare di poter competere a certi livelli. Federico Gaio aveva illuso con la finale al Bonfiglio raccolta a 17 anni e per adesso fatica a vincere due partite di fila nei Futures da 10.000$. Accanto a Quinzi sta crescendo Stefano Napolitano e si parla un gran bene di Edoardo Eremin, ma è ancora poco per sganciare i fuochi d’artificio. E comunque, tra il duo di testa Seppi-Fognini e l’attesa

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per GQ, ci resta giusto un Giannessi. Francamente pochino, anche per chi si sforza di essere ottimista. Ma il guaio è che, per una volta, non ci sono nemmeno le ragazze a equilibrare la situazione. Anzi, sotto certi punti di vista, la situazione appare ancora più grigia, nonostante i tecnico siano concordi nel pensare che sfondare nel circuito WTA sia più facile e, di conseguenza, più probabile. Anche qui però, la materia prima non abbonda. Francesca Schiavone ha 31 anni, Flavia Pennetta 30, Roberta Vinci 29. Giusto Sara Errani è nel mezzo del cammin della sua carriera (25 anni). Quest’anno le nostre top players stentano e la Errani, che ha raggiunto un quarto di finale Slam, ha vinto un paio di tornei (che onestamente possiamo definire minori) e ha fatto il suo ingresso nella top 30 WTA, pare aver già compiuto un mezzo miracolo. Ma se in campo maschile abbiamo qualche prospetto interessante e un potenziale fenomeno, tra le ragazze pare che il ricambio sia terminato. Siamo abituati bene perché vuoti generazionali non li abbiamo vissuti negli ultimi 20 anni: dopo Raffaella Reggi e Sandra Cecchini è arrivata Silvia Farina; e dopo di lei, Schiavone e Pennetta. Ora non ci resta che Sarita Errani perché le giovani stentano notevolmente. L’unica sulla quale non finiremo mai di stupire è Camila Giorgi, 21 anni, italiana di passaporto ma chiare origini argentine. Tira fortissimo e la palla le esce come a poche sue colleghe, tutte piazzate nei piani alti del ranking. Però, dopo qualche anno di professionismo, è rimasto ancora un tabù il muro delle top 100. Figuriamoci cosa vuol dire dover togliere uno zero a quella classifica. Però, a noi italiani che spesso ammiriamo più il potenziale dei risultati, Camila piace molto. In molti indicano nella presenza di un padre piuttosto oppressivo, il motivo che le ha fino adesso impedito di fare il salto. La sensazione è che, se questa è la ragione, ci sia poco da fare, perché difficilmente mammà e papà le lasceranno spiccare il volo con accanto un’altra figura professionale. Però, almeno c’è il potenziale che si traduce in speranza, che sappiamo essere l’ultima a morire. Speranze sempre più flebili sono invece riposte in un completo recupero di Karin Knapp che continua a essere falcidiata dagli infortuni, mentre Nastassja


Camila Giorgi, 21 anni, è la miglior speranza italiana (di origine argentina) di trovare una spalla a Sara Errani, considerando che Schiavone e Pennetta hanno superato i 30 anni e fanno fatica a mantenersi sui loro standard abituali

Burnett colpisce gli spettatori più per l’indiscutibile avvenenza che per il suo tennis. Che non è malvagio ma non sufficiente a garantire una continuità di rendimento. Tanto più che Schiavone and company ci hanno abituato piuttosto bene. Per offrire però un panorama più concreto, ci siamo affidati ai numeri, costruendo una sorta di teen-ranking, cioè di classifica mondiale under 20 (che tiene dunque conto di tutti i giocatori e giocatrici nati dal 1993 in poi). Ebbene, nessuno italiano (o italiana) è presente nella top 10. Eppure in campo femminile tre sono già nella top 100 (quindi ben davanti alla nostra Camila Giorgi). Christina McHale, per esempio, è già numero 36 WTA. E in campo maschile, dove affermarsi giovanissimi è sempre più difficile data la forte componente fisica del gioco, i veri fenomeni sono già ben piazzati a quell’età. Come nel caso di Bernard Tomic e Ryan Harrison, per citare i due esempi più clamorosi. Per l’amor del cielo, non aver sfondato prima dei 20 anni non preclude le strade verso il Gotha del tennis mondiale. La storia è ricca di giocatori esplosi tardi, ma le premesse sono tutt’altro che incoraggianti. Incrociata casualmente Tathiana Garbin (che ora supervisiona per la FIT alcune delle migliori under 18 italiane), è convinta che vi siano

alcune buone giocatrici all’orizzonte. Il problema è che quest’orizzonte appare piuttosto lontano. Ma quel che maggiormente preoccupa, è che le istituzioni non sembrano preoccuparsi della faccenda. Speriamo che le dichiarazioni di giubilo siano frutto solo di una logica politica che vieta le riflessioni pubbliche negative, perché in caso contrario la situazione si aggraverebbe. Non c’è peggior paziente di chi non ammette di essere malato, e qualche febbriciattola il tennis azzurro la sta soffrendo. Il tanto sospirato centro tecnico femminile non è mai decollato; quello maschile di Tirrenia zoppica e gli ex giocatori (ma soprattutto giocatrici) impegnati nel settore tecnico, spesso svolgono la professione part-time, con contratti che prevedono un numero di settimane prefissato e generalmente non troppo elevato (inoltre pare che le retribuzioni non siano faraoniche, fatto che farebbe desistere i top coach dal chiedere un incarico federale). La speranza è che un’annata di black out possa davvero far riflettere i vertici sull’opportunità di trovare una strategia per scovare e far crescere nuovi talenti e garantire un futuro roseo al tennis italiano. Che non può (e non deve) riassumersi in due lettere.

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In questa pagina, la squadra di Fed Cup che ci ha regalato tante soddisfazioni. Qui sopra, Camila Giorgi, italiana di origini argentine, è una delle nostre migliori speranze. Quindi Francesca Schiavone con il trofeo conquistato a Roland Garros nel 2010 e inďŹ ne Roberta Vinci, entrata nella top 20 mondiale e punto fermo della squadra nazionale essendo anche la nostra miglior doppista. Nella pagina a ďŹ anco, Raffaella Reggi e Laura Golarsa, ex top players e ora top coach italiane (in compagnia di Alberto Castellani e Claudio Pistolesi).

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Quote rosa L’ITALTENNIS HA OTTENUTO RISULTATI PAZZESCHI TRA LE DONNE NELLE ULTIME STAGIONI. MA QUAL È LA REALE SITUAZIONE DEL TENNIS FEMMINILE IN ITALIA? QUALI SONO LE DIFFICOLTÀ CHE DEVONO AFFRONTARE GIOCATRICI, MAESTRE, DIRIGENTI, GIORNALISTE? E QUANTO DAVVERO “TIRA” IL TENNIS IN GONNELLA NEL NOSTRO PAESE?

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di Riccardo Bisti 87


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rano le cinque della sera del 4 giugno 2010. Un rovescio steccato da Samantha Stosur consegnava a Francesca Schiavone uno storico e leggendario Roland Garros. Quel trionfo ha inciso su pietra la realtà: il tennis italiano è donna. Tra gli uomini non abbiamo un top 10 da trent’anni e un top 20 da quindici, e allora le ragazze si sono impossessate del libro dei ricordi. La Schiavone si è arrampicata al numero 4 WTA (proprio come Panatta), la Pennetta è stata top 10 in singolare e numero 1 in doppio, mentre i successi di Roberta Vinci e Sara Errani (sia in singolare sia in doppio) sono talmente di routine da non fare quasi notizia. Una realtà talmente consolidata che i giornalisti non sanno più che titoli inventarsi, soprattutto durante i tornei del Grand Slam. “Ci salvano le donne”, “Le donne ci tengono a galla”, con varie declinazioni sul colore rosa e i gonnellini. Quante volte li abbiamo letti? E quante volte li leggeremo ancora? Ma se andiamo più in basso e scrostiamo la vernice patinata della Fed Cup, troviamo una realtà analoga? Qual è lo stato di salute del movimento tennistico femminile in Italia? Per una Schiavone che luccica ci sono altrettante maestre, dirigenti o semplici giocatrici che emergono? E il maschilismo insito nella cultura italiana si è spinto fino al mondo del tennis? L’Italia non arriva al “machismo” sudamericano, ma se siamo arrivati a sdoganare il concetto di “quote rosa” significa che è un fenomeno comunque vivo e presente. «Io sono favorevole alle quote rosa – racconta Elena Pero, una delle pochissime telecroniste donne nel panorama della TV italiana – perché lo squilibrio a favore degli uomini non è ammissibile. In un modo o nell’altro, l’argomento deve essere affrontato. E le quote rosa possono essere un metodo efficace». Non è dello stesso parere Loretta Andreatta, presidentessa della

Società Tennis Bassano, uno dei club più in vista dello stivale. «Lo dico subito: non mi piace il concetto di quote rosa, perché le qualità devono essere premiate a prescindere dal sesso». SE LA SCHIAVONE SI FOSSE CHIAMATA FRANCESCO... Insomma, nel piccolo mondo del tennis italiano c’è maschilismo? «Penso di si – attacca Barbara Rossi, ex n. 76 WTA e attuale top coach nonché telecronista di Eurosport –: gli uomini governano una larga parte del settore e l’insegnante femminile fa fatica ad emergere. Il tennis è uno sport dove gli uomini hanno avuto più successo: le cose sono cambiate solo di recente». Laura Golarsa è uno dei rarissimi casi di donne che allenano tennisti uomini: quartofinalista a Wimbledon nel 1989, lavorava con il padre di Emanuele Molina e da lì si è creato un gruppo che oggi comprende anche Alessandro Bega, Davide Della Tommasina e Riccardo Sinicropi. Partendo da una semplice scuola tennis, la Golarsa ha portato 6 giocatori nel ranking ATP. «Io faccio parte di una categoria di donne che sono state fortunate e – perché no – brave, riuscendo ad andare avanti. Personalmente non ho avuto nessun problema, ma è vero che a parità di parametri per l’uomo è più facile. In 14 anni di carriera ho giocato 40 Slam in tabellone: se fossi stata un uomo sarei stata trattata con un occhio di riguardo…». Ciò che manca, insomma, sono i riconoscimenti. Nell’attività di tutti giorni sembra che non ci siano problemi. Se chiedi un episodio, un aneddoto, un ricordo in cui l’essere donna è stato uno svantaggio, gli sforzi mnemonici sono inutili. Vale anche per Cristina Gnocchini, uno dei personaggi più dinamici dell’ambiente. Con la sua società di eventi e comunicazione si è lanciata nel mondo del tennis nel 1997, organizzando alcuni tornei ITF fino a spopolare in buona parte dei challenger italiani. «Io non ho mai avuto difficoltà come donna. Ho incontrato ostacoli normali, relativi alla difficoltà di ritagliarsi

In alto da sinistra, Sara Errani, che quest'anno sta raccogliendo risultati straordinari, si presenta come l'erede delle nostre top players. Barbara Rossi, ex tennista professionista, stimata telecronista, è una delle migliori coach italiane. Flavia Pennetta è stata la prima top 10 azzurra e la giocatrice di maggior appeal per media e sponsor, mentre Elena Pero è una delle poche donne ad aver intrapreso la carriera di telecronista full time.

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uno spazio. Non è facile lanciare un’attività di piccola imprenditoria quando i circoli non hanno grosse disponibilità economiche. Anzi, essere donna mi ha aiutato. Ho iniziato con i tornei femminili, poi sono stati i tornei maschili a cercarmi. Essere donna addolcisce l’impatto, rende più gestibili le trattative.Vale lo stesso nei rapporti con i tennisti: io cerco sempre di essere cordiale e questo aiuta con i tennisti più indisciplinati. Nei tornei challenger, il ragazzotto tende e non rispettare certe dinamiche, è criticone e petulante, ma di fronte a una ragazza tende a essere più tranquillo. E poi io so farmi rispettare». Episodi antipatici pare non essercene stati. «Ma no! Al massimo può capitare che qualche tennista si infili nel mio ufficio, mi veda e dica:‘Dov’è il direttore del torneo?’ e io gli risponda:‘Ce l’hai davanti’. Tutto qui». Secondo la Gnocchini, tuttavia, c’è molto maschilismo nell’ambiente. «Il mio caso non fa testo. Statisticamente, chi ha potere decisionale è quasi sempre un uomo». Il caso di Loretta Andreatta è doppiamente interessante perché è quasi unico. Quando le si chiede se conosce qualche altra donna presidentessa di club, risponde con certezza. «Non ne conosco. Ci sono casi di consiglieri donne, ma è tutta un’altra cosa. Il presidente ci mette la faccia e ha importanti responsabilità». La Società Tennis Bassano ha organizzato una Fed Cup, ospita un torneo Future e ha un’ottima squadra di Serie A1. Insomma, non è un circoletto di provincia. E gestirlo non è facile. «Essere donna mi ha creato dei problemi – dice la Andreatta – ci sono tanti pregiudizi, difficili da abbattere. Nel tennis c’è tanto maschilismo come in qualsiasi altro settore. La dirigenza di un circolo sportivo è sempre stata gestita dagli uomini, non si sa perché. La donna è ancora vista come mamma e ‘angelo della casa’. È una questione culturale e logistica: l’uomo ha più tempo libero e lo può dedicare ad attività come questa». La pensa così anche Laura Golarsa, doppiamente fiera dei suoi risultati anche in virtù del suo ruolo di moglie e mamma. «Per un coach uomo è certamente più facile andare in giro per il mondo anche dopo la paternità». C’è un uomo che conosce come pochi la realtà del tennis femminile: è Francesco Elia, marito e coach di Silvia Farina, ex numero 11 WTA. Secondo Elia, il maschilismo nel tennis è specchio della cultura. «I successi delle nostre ragazze hanno dato maggiore interesse al tennis femminile, ma non quanto avrebbero

meritato. Sinceramente non ho visto un grande cambiamento. La Federazione cerca di promuovere il tennis femminile, ma è soprattutto una questione culturale. L’Italia è un paese dove c’è molto più interesse per le vicende maschili, nonostante atlete come Schiavone,Vezzali e Pellegrini. La nostra cultura è proiettata verso il maschio; probabilmente è un retaggio del calcio. Se l’impresa della Schiavone fosse stata compiuta da un uomo, saremmo ancora qui a fregarci le mani». La (scarsa) considerazione per il trionfo parigino della Schiavone non va giù alle donne del nostro tennis. Dopo il trionfo a Parigi, la “Schiavo” ha visto moltiplicare le richieste di interviste, si è presa qualche prima pagina ed è finita a “Porta a Porta” da Bruno Vespa. Ma l’eco si è spenta piuttosto rapidamente. «Se un tennista azzurro avesse vinto il Roland Garros maschile sarebbe stato trattato come il Papa – dice la Golarsa –. Credo che la grande differenza tra tennis maschile e femminile stia soprattutto nell’interesse della gente». Anche Elena Pero la vede così: «Ah, se la Schiavone si fosse chiamata Francesco l’interesse sarebbe stato dieci volte superiore. Non trovo che sia giusto, anche perché ci sono tante discipline dove lo sport femminile sa offrire lo stesso spettacolo, se non migliore, di quello maschile». La stessa Pero ha saputo inserirsi in un settore iper-maschile come quello dei telecronisti. Ammette però che non è stato facile: «Il vero grande ostacolo è il calcio. Non oso immaginare cosa direbbero i fanatici del pallone a una telecronista donna. Negli altri sport c’è più tolleranza, e nel tennis è stato ancora più facile perché prima di me c’è stata un’apripista come Lea Pericoli”. LA FORZA DELLE DONNE Le donne vincono, le donne sono brave, le donne sono un esempio. Lo scriviamo spesso, ma la gente lo percepisce? Rita Grande è convinta di sì. Insieme a Silvia Farina, la napoletana ha dato il via alla generazione che ci ha portato in cima al mondo. Numero 24 WTA, vincitrice di tre titoli del circuito pro, ha raggiunto gli ottavi in tutte le prove del Grand Slam. Oggi è responsabile delle nostre Under 14, è telecronista a

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tempo perso e conosce bene l’attività di base in virtù del ruolo di organizzatrice del circuito Trofeo Tennis Kinder: «Il tennis femminile è visto in modo diverso rispetto a qualche anno fa. Le vittorie individuali e in Fed Cup hanno garantito una visibilità senza precedenti. In Italia c’era grande differenza tra uomini e donne, ma le vittorie hanno ribaltato le cose. D’altra parte, per richiamare l’attenzione bisogna vincere. Sapete una cosa? Se vai nei circoli, tutti sanno chi sono Pennetta o Schiavone mentre balbettano se chiedi chi è il numero uno italiano». Se c’è un luogo dove il maschilismo non è avvertito sono proprio i circoli. Basti pensare che il calendario ITF propone ben 12 eventi femminili fino a luglio, senza contare il torneo WTA di Palermo, unico evento del circuito maggiore a giocarsi in Italia, oltre agli Internazionali di Roma. Ma a livello organizzativo, la scelta di puntare sulle donne avviene anche per motivi sorprendenti: «I tornei ITF non prevedono l’ospitalità – dice Bagnera, Presidente della Canottieri Casale, circolo che ha un'ottima attività femminile – però potevamo garantirla gratuitamente presso alcune famiglie. Le donne sono più educate, tranquille, amichevoli». Punta forte sulle donne anche il Tennis Club Mestre: non solo un team di A1 femminile, ma anche un torneo da 50.000 dollari che a settembre vivrà la sua decima edizione.“Durante il torneo le ragazze sono meno distaccate degli uomini.Vivono il club, parlano con i nostri giovani, sono più disponibili» dice Pasquale Marotta, deus ex machina dell’evento. La presenza femminile è importantissima anche a livello didattico, sia a Casale sia a Mestre. In entrambi i casi la “quota rosa” si attesta sul 50%. «Abbiamo due maestre su un totale di quattro – dice Bagnera –: sono preferibili soprattutto nei rapporti con i bambini perché hanno modi gentili e una sensibilità spiccata».

«La presenza femminile a Mestre – continua Marotta – è del 50% su 250-300 soci, mentre nelle gare a squadre abbiamo addirittura più squadre femminili, 6 contro 5.A livello dirigenziale abbiamo sei consiglieri, tra cui due donne. Ma solo perché non c’erano altre candidate». LA GIUSTA MENTALITÀ Fra le tante, c’è però una domanda ricorrente: come mai vinciamo solo tra le donne? La differenza di rendimento tra ragazzi e ragazze è troppo marcata per essere spiegata con la casualità. Secondo Barbara Rossi «gli uomini hanno il problema di una maggiore selezione. Il calcio fagocita i maggiori talenti, quindi non sempre i migliori finiscono col giocare a tennis. Per le donne è diverso, c’è meno concorrenza di altre discipline. E poi credo che la donna si ponga degli obiettivi più importanti. Prendi la Schiavone: aveva un obiettivo altissimo, che sembrava folle…e invece alla fine l’ha raggiunto. La stessa Pennetta ha saputo reagire a un momento difficile. Insomma, hanno più testa». Molto lucida la disamina di Elena Pero: «Bisogna ammettere che la concorrenza è un filo più bassa, ma credo che la differenza sia a livello di mentalità. Le nostre ragazze si sono date da fare, si sono ingegnate per raggiungere gli obiettivi e sono più disposte a fare sacrifici. Le tenniste italiane sono l’esempio che il discorso della “fame” vale fino a un certo punto. Tanti top players in campo maschile provengono da famiglie borghesi. La voglia di arrivare, dunque, ti viene da dentro. Le nostre ragazze sono così: si stimolano, si fanno concorrenza e non si accontentano. Invece mi sembra che i maschi non abbiano la stessa ambizione. Rispecchiano l’italiano medio». Francesco Elia tiene a scalfire il luogo comune secondo il quale sarebbe più facile emergere per le donne. «Ok, la qualità dei Fab Four non è paragonabile a quella delle prime quattro WTA, ma ognuno affronta le difficoltà che in-

Nelle foto sopra, alcune delle giocatrici meglio pagate al mondo, a partire da Serena Williams per continuare con la nuova n.1 del mondo,Victoria Azarenka e la vera regina tennis in gonnella, Maria Sharapova che, grazie anche alla sua avvenenza, è ricoperta d'oro dagli sponsor. Infine, Caroline Wozniacki, anche lei molto ricercata come testimonial per marchi prestigiosi pur non avendo mai vinto un titolo dello Slam in carriera.

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IL PESO DELLE DONNE Un ottimo indicatore per valutare il “peso” del tennis femminile sono le vendite nei negozi.Abbiamo chiesto il parere di Fabrizio Valle e Paolo Moro che gestiscono negozi top nel settore, a Milano e Rivarolo Canavese. «Il prodotto donna ha un appeal altalenante - dice Valle, proprietario di quattro punti vendita -: nel negozio più grande vendiamo molto materiale femminile, ma semplicemente perché è difficile trovarlo. Le aziende non ne producono molto e il materiale “bambina” è quasi impossibile da scovare. Ma il prodotto femminile non supera il 20% delle nostre vendite”. Appena diverse le sensazioni di Paolo Moro: «I successi delle nostre tenniste hanno riavvicinato al tennis le donne dai 35 ai 55 anni, “scippate” alla palestra. Il peso vendita del prodotto femminile oscila intorno al 30%». Ma quanto conta la testimonial donna? «Mica tanto - dice Valle -: l’unica che chiedono è la Sharapova. Piacevano i completi della Pennetta quando vestiva Tacchini, mentre ora “tira” meno, forse perchè gli abiti Adidas sono meno leziosi». «La testimonial donna ha due problemi - aggiunge Moro -: il primo è che non vende sugli uomini. Prendi Yonex: fabbrica ottimi telai e investe molto sulle donne, ma questo non si è tradotto in vendite. E poi i brand principali fanno modelli poco vestibili. Ci sono molti ragazzi vestiti come Federer e Nadal, ma è difficile che una donna vesta come Sharapova o Azarenka”.

contra. Le ragazze italiane si sono messe in gioco e hanno cercato di raggiungere i loro limiti. Ci sono riuscite, e questo le ha stimolate reciprocamente. Non voglio dire che gli uomini non lo facciano, ma la competitività è altissima anche tra le donne. Se non sei al top, capita tranquillamente che una top 10 perda dalla numero 100». Secondo Laura Golarsa, le ragioni sono le eccessive aspettative. L’Italia aspetta da anni il cavallo vincente, scaricando troppa pressione sui giovani: «Diamo troppa importanza alla vittoria del maschio giovane pensando che sia il salvatore della patria. Quanti ci sono passati? Natali,Virgili, Della Tommasina, Trevisan e altri ancora. Per la donna non è così, ed è un vantaggio enorme. Burnett e Giorgi non hanno avuto questa pressione e possono giocare più tranquille. Per emergere, la donna è costretta a fare risultati». Secondo la Golarsa, oggi Gianluigi Quinzi è più importante di Fabio Fognini. «E questo non va bene. Anzi, trovo che Fognini sia sottostimato. Era nell’occhio del ciclone sin da ragazzino, ma è riuscito ugualmente ad arrivare. Oggi basta vincere tre partite e hai già il tuo sito Internet personale. Le donne hanno meno pressione, e questo diventa un enorme vantaggio». MA IL FUTURO NON È COSÌ ROSA Adesso è un momento d’oro, ma il tennis italiano femminile a cosa va incontro? Francesco Elia, che insieme a Silvia Farina segue Martina Caregaro (classe 1992, intorno al n. 400 WTA), non nasconde una certa preoccupazione. «Bisognerà rimboccarsi le maniche. Le giovani ci sono, ma le generazioni che verranno dovranno confrontarsi con campionesse di alto livello. Non è solo una questione di exploit, ma anche di longevità ad alti livelli. Giocatrici come Schiavone e Pennetta sono forti da oltre dieci anni. Spero di sbagliarmi, ma la generazione che sta per arrivare non credo sia così competitiva. Spero possano andare meglio le ragazze nate dal 1995-1996 in poi: Rosatello, Marchetti e Pairone hanno vinto gli Europei Under 16». Rita Grande conosce bene le nostre giovani, essendo responsabile delle Under 14. È ottimista, ma lancia un allarme: «Abbiamo delle under 14 che giocano molto bene, ma l’attività è troppo dura. Ci sono ragazzine che giocano 12-13 tornei all’anno, di cui 7-8 all’este-

ro. Questo è professionismo precoce: gli enti che gestiscono il tennis a livello internazionale dovrebbero rivedere l’attività. Non esiste che delle ragazzine studino da privatista già in prima o seconda superiore. Oggi chiunque può fare attività internazionale, mentre fino a qualche tempo fa erano le federazioni e selezionare i giocatori. Credo che a 14-16 anni una ragazza debba stare a casa, andare a scuola e allenarsi con il proprio maestro. Se sarà brava, ci sarà tempo per viaggiare e dedicarsi al tennis». Attualmente il tennis femminile italiano non ha un centro tecnico dedicato. Qualche anno fa, Angelo Binaghi promise l’inaugurazione di un Centro Tecnico Femminile a Formia. Il progetto si arenò rapidamente.Tirrenia ha ospitato le ragazze fino al 2007, poi il Centro è diventato solo maschile. Lo scorso autunno un paio di tenniste (Silvia Albano e Jasmine Paolini) hanno rimesso piede a Tirrenia, ma non esiste una progettualità dedicata. «Funziona diversamente rispetto ai miei tempi – continua Rita Grande –. Prima c’era il Centro Femminile a Latina dove i tecnici selezionavano le nove migliori giocatrici e ci si radunava lì. Erano scelte più “aggressive”, in cui si faceva una forte selezione alla base. Oggi si cerca di aiutare più ragazze con l’attività dei PIA e dei centri periferici. Sinceramente non so se sia un bene o un male». COSTI IMPORTANTI. MA ANCHE I GUADAGNI... Di certo le attuali top players azzurre non sono il frutto del lavoro federale: Pennetta ed Errani hanno dovuto emigrare in Spagna, la Schiavone è diventata una giocatrice “vera” con Daniel Panajotti (anche se l’aiuto dei tecnici federali Furlan e Barazzutti è stato cruciale per farle compiere il definitivo salto di qualità). Attualmente la FIT prevede dei contributi sia per i ragazzi sia per le ragazze in base a parametri di semplice meritocrazia. «Di certo quello che arriva dalla Federazione non è sufficiente – dice Francesco Elia – perché l’attività è molto costosa, e investire su un giovane comporta dei rischi importanti. La FIT non si sobbarca tutto questo per intero. Non è una critica, ma una presa di coscienza: dopotutto, se dessero

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INCHIESTA 30-40.000 euro l’anno a ciascuna giocatrice ne potrebbero sovvenzionare tre o quattro. Comunque adesso le giocatrici sono più seguite: spesso in giro per il mondo ci sono anche il medico e il fisioterapista». Il tennis è dunque un’attività costosa ma che può diventare molto remunerativa. Se osserviamo la top 10 delle sportive più pagate al mondo, troviamo ben sei tenniste. Eppure, le donne si battono da anni per la parificazione dei prize money. In diversi tornei ci sono riuscite, ma il dibattito se sia giusto o meno è ancora molto acceso. Secondo Elena Pero non dovrebbe nemmeno esistere: «Se l’interesse e la spettacolarità che generano sono uguali, è giusto che il montepremi sia lo stesso degli uomini. L’impegno che richiede la carriera nel circuito WTA è esattamente lo stesso, quindi non vedo perché debbano esserci distinzioni. Ed è anche una questione di principio: se si deroga dal principio, allora non vale più niente». La pensa così anche Barbara Rossi: «Vale il discorso dello spettacolo: se le donne creano interesse, è giusto che guadagnino bene. E sinceramente mi sembra che ce ne sia molto visto che anche in TV si vede parecchio tennis femminile. Credo che la parità sia giusta». Più “globale” il ragionamento di Rita Grande: «Credo che la parità dovrebbe essere raggiunta nel mondo del lavoro in generale, mentre attualmente, per lo stesso lavoro, l’uomo viene pagato di più. Spero che lo sport possa essere l’apripista per una corretta evoluzione della società» Il ruolo di organizzatrice fa vedere a Cristina Gnocchini le cose da una doppia prospettiva: «A livello sportivo le donne meritano un riconoscimento identico. Un giocatore percorre la stessa strada e sostiene le stesse spese di una giocatrice. Sul piano organizzativo invece, bisogna fare i conti con l’atteggiamento di sponsor e pubblico. Il tennis femminile non si vende e non entusiasma come quello maschile. A San Benedetto del Tronto c’è un bel torneo challenger: se portassi un femminile spenderei la metà, ma avrei un terzo dell’interesse. Il marketing va in questa direzione e bisogna prenderne atto». Laura Golarsa ha un’idea affascinante, ma di difficile applicazione: i compensi dovrebbero essere stabiliti in base al periodo storico. Secondo lei ci sono stati momenti in cui il tennis femminile valeva più del maschile, e in quel caso avrebbe meritato riconoscimenti ancora migliori. «Se lo sport tira, a prescindere dal sesso, è giusto retribuirlo. Sono gli organizzatori che devono capire e stabilire se le donne ‘tirano’ quanto gli uomini. Oggi è un momento particolare, in cui il numero 100 ATP vale più della 100 WTA, ma c’è stato un periodo in cui il numero 4 ATP era Jonas Bjorkman e la numero 20 WTA una certa Zina Garrison. Ognuno tira acqua al suo mulino, ma lo sport è anche marketing e business». QUANTO VALE LA TESTIMONIAL? Che gli uomini siano più importanti a livello di testimonial lo confermano gli investimenti delle aziende. Parola di Giovanni Calori, direttore commerciale di Babolat Italia, azienda che nel 2010 ha sponsorizzato i due numeri uno del circuito: Rafael Nadal e Caroline Wozniacki. «Se paragoniamo Nadal

con Wozniacki – attacca Calori – il rapporto era 2 a 1 a favore di Rafa. E se vincendo Roland Garros, la Schiavone ha generato un grosso interesse nei confronti del marchio, a parità di risultati il testimonial maschile ha una maggior penetrazione nel mercato. Di certo in Italia le donne hanno un grosso valore per Babolat. Basti pensare alla Errani che, migliorando i suoi risultati appena ha cominciato a utilizzare le nostre racchette, ci ha portato dei grossi benefici sul piano dell’immagine, ancor prima di avere un accordo siglato». Dal punto di vista del marketing, tuttavia, il tennis sta vivendo un momento particolare. Possiamo domandarci se a livello commerciale valga di più la numero 10 WTA o il numero 30 ATP, ma si tratta di testimonial secondari. «Non c’è dubbio – continua Calori -.Attualmente Djokovic, Nadal, Federer e Murray veicolano il 95% del mercato. Per questo possiamo dire che la Schiavone ha creato interesse per Babolat, ma è difficile capire se abbia generato delle vendite. In un certo senso è stata sfortunata perché usa lo stesso attrezzo di Nadal, personaggio in grado di offuscare chiunque. Basti pensare che a livello mondiale la Babolat AeroPro Drive rappresenta il 15% del mercato. È la racchetta di Nadal e Schiavone, ma secondo voi chi ha generato queste cifre?». Il viaggio nel mondo del tennis femminile ci ha dunque insegnato che il fenomeno del maschilismo non è scomparso completamente ma non rappresenta un ostacolo per una ragazza che ha voglia di emergere. Il problema sta nel riconoscimento dei loro risultati. Per costruirsi uno spazio, le ragazze italiane hanno dovuto superare i loro limiti, altrimenti sarebbero rimaste nell’anonimato. È giusto l’augurio di Rita Grande: lo sport potrebbe essere l’apripista per creare una società più giusta, dove la meritocrazia possa scavalcare le discriminazioni. La cultura e i pregiudizi sono difficili da abbattere, ma nel tennis siamo messi meglio che in altri settori: perché non sfruttare l’inerzia positiva?

Nelle foto sopra, Francesca Schiavone ha notevolmente contribuito alla popolarità del tennis femminile in Italia grazie soprattutto al successo coqnuistato a Roland Garros nel 2010.Tuttavia tecnici, dirigenti e commercianti sono tutti concordi nell'affermare che il ritorno non è assolutamente paragonabile a quello che si potrebbe ottenere se l'Italia vincesse un torneo del Grand Slam in campo maschile

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donne contro uomini DONNE UOMINI 1 VITTORIE GRAND SLAM 1 3 VITTORIE FED CUP / DAVIS 1 54 VITTORIE TORNEI WTA / ATP 42 5 TOP 100 ATTUALI 7 68 PRESENZE TOTALI NEL RANKING WTA / ATP 104 2 TORNEI WTA / ATP IN ITALIA 1 13 TORNEI CHALLENGER / ITF 2011 ** 2 10 TORNEI FUTURES 2011 ** 31 2 TOP 10 PLAYERS ERA OPEN 2 6 TOP 20 PLAYERS ERA OPEN 6 22 TOP 50 PLAYERS ERA OPEN 21 35 TOP 100 PLAYERS ERA OPEN 30 29,6 ETÀ MEDIA TOP 100 ATTUALI ETÀ 28,1

* Aggiornati al 23 aprile 2012 ** Dati relativi all’Era Open (dal 1968) *** Non essendoci in campo femminile la distinzione ufficiale tra challenger e futures, abbiamo considerato “challenger” i tornei da 25.000$ di montepremi in su, mentre i vari 10.000$ sono stati considerati “futures”.

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IN CARRIERA, DAVID NALBANDIAN HA SCHERZATO ROGER FEDERER E RAFAEL NADAL. MA NON HA MAI VINTO UNO SLAM. «PERCHÉ IL TENNIS NON È TUTTO NELLA VITA». MA, PRIMA DI FAR SCORRERE I TITOLI DI CODA, C’È ANCORA UN OBIETTIVO DA CENTRARE da Buenos Aires, MAXIMILIANO BOSO 95


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re anni fa, un infortunio all’anca ha obbligato David Nalbandian a sottoporsi a un’operazione chirurgica che lo ha tenuto lontano dai campi per nove mesi.Tuttavia, nonostante l’incertezza che un problema come questo genera in qualsiasi sportivo, è stata l’occasione per vivere un’opportunità che non immaginava, lontana dai suoi progetti immediati: avere un’anteprima di quello che sarà il suo futuro quando smetterà di giocare a tennis. Questo futuro ha un luogo: Unquillo, piccolo paese nella provincia di Cordoba, nel cuore dell’Argentina, con circa 15.000 abitanti. È uno di quei luoghi in cui tutti si conoscono, dove non ci sono segreti, dove vige il divieto d’accesso per i ritmi febbrili della grande città.Ad Unquillo, Nalbandian è semplicemente David. Alla peggio, El Gringo. Questo è il suo vero “io”. L’altro Nalbandian è il Rey David, personaggio creato sui campi da tennis più importanti con grandi vittorie contro i tennisti più forti del mondo. Un personaggio da film: unico argentino finalista a Wimbledon (quando aveva soltanto 20 anni), è stato capace di ridurre in cenere titani come Roger Federer, Rafael Nadal e Novak Djokovic, come accaduto a fine 2007, quando Nalbandian ha intascato i due grandi tornei di fine stagione dominando i Masters 1000 di Madrid e Parigi, battendo due volte Roger Federer, altrettante Rafael Nadal e una Nole Djokovic.A chi altro è mai riuscita una simile impresa? Easy, a nessuno.

UN POTENZIALE DA NUMERO UNO

Ma per comprendere meglio la dimensione del tennis di Nalbandian, una domanda può servire come guida: quante partite si ricordano in cui un giocatore ha lasciato la miseria di tre, quattro giochi a Rafael Nadal? Molti punteranno su Federer, Djokovic o Andy Murray. Forse qualcuno potrebbe pensare che, per un risultato del genere bisogna risalire alle prime partite giocate da Nadal nel circuito ATP. Sbagliato: c’è riuscito David Nalbandian da Unquillo in quel fenomenale autunno 2007 quando era allenato a Martin Jaite, attuale capitano della Davis argentina. In quelle due occasioni, il miglior Nalbandian distrusse il n.2 del mondo: 6-1 6-2 a Madrid, 6-4 6-0 a Bercy. E non era un Nadal zoppo, tutt’altro. È solo che Nalbandian è capace di simili imprese, come quella di rappresentare un annoso problema per Roger Federer, il più grande tennista di sempre. Da professionisti, lo ha battuto nei primi cinque scontri diretti fino a quando Federer è riuscito a decifrare questo enigma.Tuttavia, nel 2005 è giunta una delle imprese del Rey David. Anche allora era fine stagione. Nalbandian non si era qualificato per il Masters, ma venne richiamato dall’ATP dopo il forfait di Andy Roddick. Era in vacanza a pescare – un’altra delle sue passioni – insieme al fratello Dario. Si spostò direttamente dal sud dell’Argentina fino a Shanghai. Perse la prima partita contro Federer, poi vinse contro Guillermo Coria, Ivan Ljubicic e Nikolay Davydenko. E in finale si misurò un’altra volta contro Federer. Dopo aver perso i primi due set al tie-break, ha azzeccato una delle più memorabili rimonte che si ricordino per battere lo svizzero e mettere fine a una striscia di 24 finali vinte consecutivamente dal Federer Express. C’è riuscito Nalbandian, mica qualcun altro. I sei mesi successivi lo hanno messo, da n.3 del mondo, nella posizione di attaccare la vetta Tuttavia, contrariamente a Shanghai, nella semifinale dell’Australian Open gli è sfuggita un’occasione unica contro Marcos Baghdatis. L’ultima occasione è poi scappata via nella semifinale di Roland Garros, sempre contro Federer. Nalbandian si ritirò per un infortunio agli addominali. Un anno e mezzo dopo, l’epopea di fine 2007 che lo ha riportato al top della considerazione mondiale. Ma non sarebbe più tornato a lottare per i primi posti del ranking mondiale. Fatto che causa il sorgere spontaneo di una domanda: perché David Nalbandian non è diventato numero uno del mondo se era capace di battere chiunque?

UNQUILLO, IL SUO SPAZIO NEL MONDO

Si può rispondere in vari modi. Da un lato, che semplicemente altri giocatori sono stati migliori. Oppure che lui non è stato sufficientemente bravo per salire l’ultimo gradino della scala. «La gente crede sia facile essere come Federer, Nadal o Djokovic, ma loro hanno una regolarità ai massimi livelli che è molto difficile da raggiungere. Uno può giocare bene una partita, un torneo, ma loro giocano bene sempre» sintetizza David. Una volta, il cordobese ha raccontato che chiedeva ai suoi allenatori: «Mi assicuri che se faccio quello che dici tu, divento il numero uno del mondo?». Ovviamente nessuno rispondeva di sì. «Sono abbastanza difficile per carattere, personalità e temperamento» ha ammesso. Ed è interes-

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«AI MIEI COACH CHIEDEVO: MI ASSICURI CHE SE FACCIO QUELLO CHE DICI TU DIVENTO N.1 DEL MONDO? DI CARATTERE SONO UN TIPO ABBASTANZA DIFFICILE...»


David Nalbandian, 30 anni, in carriera ha vinto 11 titoli ATP e perso altrettante ďŹ nali. Arrivato in ďŹ nale a Wimbledon nel 2002, ha raggiunto la sua miglior classiďŹ ca nel 2006 al terzo posto

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sante il modo in cui spiega la sua filosofia di vita, trasferita anche nella sua carriera sportiva: «Stare quattro o cinque anni tra i top 10, vincere un Masters e andare in finale a Wimbledon sono risultati che non ti regala nessuno. Non lo fai stando a casa guardando un film o mangiando un asado a Unquillo. La verità è che, per rendere al meglio, io ho bisogno di questo. Tornare al mio paese, godere di quello che faccio. Molti non lo capiscono». Unquillo è il luogo dove il Gringo Nalbandian ha iniziato a giocare a tennis su due campi in cemento che si trovano in fondo a una strada sterrata. Campi costruiti dalla sua famiglia, in particolare da papà Norberto. Su quei campi giocava con i fratelli maggiori Javier e Dario. Quando suo padre è morto a fine 2004, Nalbandian ha perso un enorme punto di riferimento. «Mio padre segnava il limite. Mi ha educato bene, con principi e valori sani. Lo ringrazierò sempre per questo perché è stato molto importante da ragazzino, quando un papà ti deve dire cosa è giusto e cosa è sbagliato. E anche se a volte nemmeno lui riusciva a fermarmi a causa della mia personalità, era la persona che ascoltavo e rispettavo più di tutti».

UNA FINESTRA SUL FUTURO

L’infortunio all’anca nel 2009 ha permesso a Nalbandian di vivere un’anteprima del suo futuro. In quei mesi si è goduto la vita insieme agli affetti e ha velocizzato la costruzione di una enorme dimora che sarà il rifugio che condividerà con Victoria Bosch, sua fidanzata da oltre dieci anni. Troveranno spazio un campo da calcio, uno da polo, la piscina e una casa in mezzo alle tre montagne che formano il quadro di questo luogo magico. Nel frattempo, vive ancora con mamma Alda che gli fa da mangiare, gli sistema il letto e lo chiama al telefono per sapere se tornerà a casa per cena. Come con un ragazzino qualunque.Ad Unquillo ci sono anche gli amici di sempre, quelli che ha conosciuto tramite i fratelli maggiori. Con loro gioca a calcio o si ritrova per mangiare un asado. In queste occasioni ognuno paga per sé, come succede in qualsiasi gruppo di amici, senza dare alcuna importanza al conto in banca.

LA PIZZERIA NALBANDIAN

Lo stesso Nalbandian guerriero sul campo da tennis, che agita il pugno in segno di sfida, è quello che ha creato una pizzeria a 50 metri da casa affinché uno dei suoi migliori amici potesse lavorarci. Ed è lo stesso che attraverso la sua fondazione benefica prova ad aiutare in maniera ordinata tutti quelli che hanno bisogno. Perché il tennis non è mai stato tutto nella

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vita di Nalbandian. Lui stesso si autodefinisce un «culo inquieto». Ha sempre praticato tutti gli sport che ha potuto e ritiene che questa varietà gli abbia regalato la coordinazione che lo contraddistingue sul campo da tennis. Nalbandian ha le passioni più disparate. Pratica sport estremi e soprattutto le gare di rally, tanto d’aver creato un team tutto suo. Qualche anno fa, spinto dall’amicizia con Adolfo Cambiaso, il miglior giocatore di polo al mondo, si è interessato anche al mondo dei cavalli e si è comprato una puledra allevata dallo stesso Cambiaso per 800.000 dollari. In macchina, nel telefonino e nel suo iPod non manca mai la musica di Bon Jovi, passione ereditata dal fratello maggiore Dario. E ha la fortuna che ogni fan gli invidierebbe: ogni volta che va a Miami per il Sony Ericsson Open, va a cena con Tico Torres, batterista della band di origini portoricane, suo buon amico. Altri personaggi famosi che si trovano nella rubrica del cellulare di Nalbandian, sono Diego Maradona, il golfista Angel Cabrera e Rafael Nadal.

IL SOGNO DELLA COPPA DAVIS

Tutto questo è Nalbandian, un personaggio che può essere un uomo qualsiasi a Unquillo o travestirsi da supereroe in Coppa Davis. Perché sa già che puntare a un Grand Slam, una delle sue ambizioni, può essere un obiettivo eccessivo a 30 anni compiuti e con qualche acciacco a tormentarlo. Però la Coppa Davis lo ispira in modo speciale. È la sua grande ossessione. Sa che conquistare un titolo che nemmeno Guillermo Vilas, il più grande tennista argentino di tutti i tempi, è riuscito a vin-


2002 2003 2004 2005 2006 2007

cere, lo metterebbe a pieno titolo nella storia dello sport del suo Paese. Le vittorie epiche in Davis sono una cascata di ricordi indimenticabili. Al suo debutto, insieme a Lucas Arnold Ker, ha vinto il doppio più lungo nella storia della manifestazione. E lo ha fatto in trasferta, contro Kafelnikov-Olhovsky. In trasferta ha battuto Lleyton Hewitt, Marat Safin, Nikolay Davydenko, Marin Cilic, Mikhail Youzhny e Dominik Hrbaty. In casa ha superato Robin Soderling, Mark Philippoussis, Thomas Johansson e David Ferrer, tra gli altri. Ha vinto doppi insieme ad Arnold-Ker, Mariano Puerta, Guillermo Canas, Josè Acasuso, Agustin Calleri, Horacio Zeballos e, ultimamente, Eduardo Schwank. Ma in questa competizione ha accumulato anche grandi delusioni perché è l’unico argentino che ha giocato tre finali di Coppa Davis, a Mosca (2006), Mar del Plata (2008) e Siviglia (2011) senza mai vincerne una e vivendo anche contrasti significativi, come quello con Juan Martin Del Potro nel 2008. Ancora oggi, con JMDP, Nalbandian mantiene una relazione cordiale ma solo professionale, in nome di un obiettivo comune. «Giocare per il mio Paese è sempre speciale. Mi piace difendere i colori dell’Argentina, giocare con il tifo del pubblico e per questo ho sempre fatto ogni sacrificio per esserci. Forse in questo torneo rendo un po’ di più. Senza dubbio è il grande obiettivo per il 2012». L’Argentina affronterà la Repubblica Ceca a settembre, in casa, e se dovesse andare in finale giocherebbe nuovamente in casa. E, se finalmente alzerà il trofeo, entrerà nella storia. Forse, allora, sarà il momento per questo personaggio da film di far scorrere i titoli di coda. The End.


I LOVE ROGER SI

NO

Mister Federer continua a far discutere: genio assoluto o frigido tiranno? Ne hanno (animatamente) discusso MARCO IMARISIO e ANDREA SCANZI



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da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 12 aprile 2012, ore 12.44 a: andrea scanzi@...

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Caro Andrea, finalmente ci siamo. Un mesetto fa, Indesit, come lo chiami tu, ha perso in Florida contro Roddick. Immagino i sospiri di sollievo. Sai, c’era il rischio del ripristino dell’odiosa dittatura, di questa repressione tennistica che impedisce all’arte di esprimersi, al bello di compiersi. E invece no, per fortuna. In quel di Key Biscayne il partigiano Roddick, con i suoi tocchi raffinati, con il suo tennis arioso, ha sventato il complotto che durava da ben tre tornei. Gaudeamus igitur! Si comincia la terra rossa, e verranno altre umiliazioni per Federer e per i federasti, fino a quando il dittatore svizzero deciderà finalmente di ritirarsi. Ah, quel giorno verrà, e torneremo a cantare, ad abbracciarci guardando il wrestling di Nadal e Djokovic, l’ordine naturale delle cose sarà ripristinato, evviva i muscoli e il tennis estremo, una volta liberati dal giogo sarà tre volte Natale e festa tutto l’anno. Avremo un nuovo Rinascimento, e dal tennis il trionfo del nuovo e dell’estetica si trasferirà al mondo intero: Gasparri tornerà in televisione, Moccia vincerà il Nobel della letteratura... e tu potrai dire con orgoglio: «Io c’ero». da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 13 aprile 2012, ore 19.35 a: marcoimarisio@...

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Che mi combini, Marco? Ti avevo lasciato adepto del boscaiolo psicotico e, adesso che il tuo Soderling è perso, provi a riciclarti come federasta. Reiterandone i cliché: dopo di lui il Diluvio, Lode al Redentor, que viva Federer. Manca solo una bella citazione di David Foster Wallace, così, per impreziosire il brodino lesso. Tifare Frigidaire non è obbligo regio. E tra un Nadal-Djokovic e una memorabile Indesit-Gonzalez prendo i primi. La dittatura buonista è stata efferata. Un lungo esercizio di stile senza avversari. Una perdurante masturbazione a cielo aperto, e se proprio devo vedere uno che si fa le pippe mi scarico un porno (anche se avrei altre perversioni). Ah: potrei gioire per una vittoria di Roddick solo se batte Seppi. Per il resto: è brutto, indossa cappellini unti, suda troppo e rimarrà sempre quello della volée agricola. Emblema del vassallismo di cui Rrrrrroger ha beneficiato per troppi anni. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 14 aprile 2012, ore 21.11 a: andrea scanzi@...

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Ops. Ti sei arrabbiato. Io non ce l’avevo con te, ci mancherebbe altro. Volevo soltanto sottolineare un atteggiamento forzatamente da bastian contrario, comune a molti. Ha vinto molto, quindi non può e non deve essere il più bravo. È mainstream, orrore. Come i REM dopo Losing my Religion, insomma. Nel tuo caso c’è qualcosa che non torna. Uno che ha appena scritto un racconto, a mio parere molto bello, su Bruce Springsteen e la malinconia di Nebraska (e-book Feltrinelli, piccolo-spazio-pubblicità, ma ne vale la pena), che ha dedicato una elegia a Stefan Edberg e un libro intero a Marco Van Basten, figura molto assimilabile e assimilata a Federer, non può fare un’inversione ideologica come questa, a 180 gradi, quasi come passare da Springsteen a Bon Jovi. No, vabbè, non esageriamo, questo non è possibile in natura. Però io non capisco. Forse è per via della mia testa dura, in effetti tifavo il boscaiolo Soderling, uno che non emanava esprit de finesse… Ma la questione Federer prescinde dal tifo, dalla simpatia o dall’antipatia nei suoi confronti. Ormai rappresenta un ideale di tennis classico, estetico, è una specie di Panda nella giungla dei muscolosi. PS: non voglio redimerti, per carità, anche perché forse ci vorrebbe un esorcismo. Mi limito a non credere che tu possa trarre piacere dalla visione di Djokovic-Nadal, e questo devi ritenerlo un attestato di stima.

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Allegati da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 15 aprile 2012, ore 13.20 a: marcoimarisio@...

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Macché arrabbiato. Anzi, mi diverto. E ti ringrazio – molto – per le belle parole sui miei libri. Stima ricambiata (ma ora basta che non siamo Harvey Keitel dentro Pulp Fiction). Frasi come «(Federer è) una specie di Panda nella giungla dei muscolosi» mi fanno l’effetto di un esercito di Birkenstock indossate dai piedi orrendamente cicciuti di Mirka Vavrinec. Purtroppo la tua mail è viziata da un abusato artificio retorico: ritenere l’opinione sgradita non come punto di vista sincero, bensì come espressione di un “bastiancontrarismo” spinto fino alla caricatura. No, Marco: “Nessuna inversione a 180 gradi”, che ha invece fatto il tuo Roger. Cazzeggiamo? Cazzeggiamo. Ti aspettavo al varco sulla citazione di Van Basten e Stefan, come espressioni di una mia contraddizione. Che invece è vostra. Il Cigno, oltre a praticare uno sport collettivo (che cambia tutta la prospettiva, agonistica e letteraria), era il semidio condannato a chiudere anzitempo, l’eroe omerico che sa di svanire. Non dittatore, bensì martire della bellezza. Quanto a Stefan: aveva un gioco enormemente più bello (altri tempi), lottava contro avversari veri e non è mai stato un despota. Fragile, fallibile, perdente. Federer è freddo e pure algido. Un assolo di Yngwie J. Malmsteen, un film troppo lungo di Antonioni, un album dei Genesis senza Gabriel. Soprattutto: un uomo che ha barattato la natura di ribelle per tramutarsi in collezionista di record. Poteva essere un Gilles Villeneuve (beninteso, senza quell’epilogo), è divenuto uno Schumacher cannibale. Ha venduto la sua anima non al Diavolo, che sarebbe stato pure figo, ma alla contabilità di se stesso. Ciò lo rende imperdonabile. E noioso. Vuoi poi che dica che è un fenomeno, vincentissimo e più bello di Nadal? Ok, certo che è così. Ma il tennis è uno sport che si gioca in due. Federer ha giocato da solo per anni. Poi, non appena è spuntato Nadal, ha cominciato a perdere. E tanti, pur non amando il Mutanda, hanno avvertito un senso di liberazione. Ah: se non vi è piaciuta l’epica finale Nadal-Djokovic di Melbourne, curatevi. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 15 aprile 2012, ore 22.35 a: andrea scanzi@...

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Io non ho mai visto i piedi di Mirka, e adesso mi fai venire il dubbio. Potrebbe anche calzare le orrende infradito, ma questo, seppur a fatica, non toglierebbe nulla al tennis del marito. Guarda che il cazzeggio è importante, come le parole (cit). Rivendico il diritto al cazzeggio e alla sua serietà, altrimenti non troverei spiegazioni per le notti passate a guardare Ramirez Hidalgo-Junqueira, e mi consegnerei a un destino da ospedale psichiatrico. Con Federer poi, mi limito a prendere atto. Non c’è più nessuno (quasi più nessuno, via) che giochi in quel modo. Lo vedi con quella velocità di gambe - ormai ha perso un passo - applicata a gesti antichi; facci caso, persino il back di rovescio è desueto, diverso da quello artigianale giocato dagli altri, influenzati dalla presa bimane. Non è certo del suo essere “vincentissimo” che intendevo parlare. E in fondo Federer, secondo me, è molto più fragile di quanto possa sembrare, lo era anche nei suoi presunti anni dittatoriali, e questo non me lo rende antipatico. La teoria del vassallaggio? Abbiamo avuto anche Juan Carlos Ferrero numero uno del mondo, pensa che concorrenza doveva esserci in giro, per arrivare a tanto. Molto belle le tue parole su Van Basten, mio idolo calcistico assoluto. Più che della sua bellezza, è stato martire della bruttezza, ovvero di Jurgen Kohler e di Pasquale Bruno. Il mio ricordo personale di Van Basten, e c’è molto di personale nella tua posizione su Federer, è quello di un uomo titolare degli stessi difetti che tu impeti al Despota. Non era un grande dispensatore di emozioni, e neppure un monumento all’espressività. Mettici anche un attaccamento ai soldi quasi ossessivo. Ma quando giocava, ti dimenticavi tutto. PS: i primi due album dei Genesis senza Peter Gabriel non erano male. Adesso corro a rivedermi Undertaker contro Triple H. L’ultima volta hanno combattuto a Melbourne, usavano le racchette come armi improprie. Epici, davvero. We’ve got to get in to get out…

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da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 16 aprile 2012, ore 10.44 a: marcoimarisio@...

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Confesso: ho già usato molte metafore federaste, ad esempio quella dei Genesis senza Gabriel. Se però parli di una stalagmite, non puoi non essere ripetitivo. Lo sono tutti: federasti e antifederasti. Non c’è nulla da aggiornare a Frigidaire: ei fu, siccome immobile. Carismaticamente immobile. Mi piace molto la tua immagine di Van Basten “martire della bruttezza”. E quando leggo il cognome Bruno, ripenso al Cigno di Utrecht che gli danza sopra, irridendolo e mostrandosi umano. Cosa che Federer mai ha fatto (al massimo ha frignato, come una Laura Chiatti lasciata da Vaporidis: me-ravi-glio-so). Hai deliberatamente glissato sul nocciolo (il tradimento di Roger: da iconoclasta ribelle a banchiere schumacheriano), ma faccio finta di non notarlo. Piuttosto, tre dati fermi: 1) Federer ha un solo globulo rosso come Fassino, quando ha un’erezione sviene (quindi mi sa che sviene poco); 2) Federer è un robot e per questo litiga asimovianamente con i suoi simili (vedi l’Occhio di Falco); 3) I federasti tristi mi fanno molto ridere. Un’ultima cosa, meramente tecnica. Federer non è il più bello da vedere. Piace pensarlo a voi, ma non lo è. Negli ultimi cinque anni, mi sono divertito molto di più a vedere Dolgopolov e Gasquet, Tsonga e Kohlschreiber (le loro versioni migliori, va da sé), Melzer e Youzhny, Llodra e financo Mahut. Pesci piccoli? Orteghiani? Sì. Vero. Ma l’obbligo della vittoria è un concetto di voi federasti - della prima e ultima ora. Il mio, no. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 16 aprile 2012, ore 16.08 a: andrea scanzi@...

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Per favore, togli “financo” al povero Nicolas, uno dei miei idoli minori. Kohlschreiber? Insomma, il diritto fa abbastanza schifo. Su Tsonga ho qualche dubbio: troppa spalla nei suoi gesti. Sugli altri, d’accordo. Però nel tuo elenco c’è un’assenza, e bella vistosa. Non era un iconoclasta prima, non è diventato un bancario dopo. Solo uno che gioca molto bene a tennis. E con le sue fragilità, con qualche accenno di isterismo, dimostra anche di essere umano, qualità che ogni tanto non si nota in quelli che ora lo battono regolarmente, così forti, muscolosi, sovrumani, che mi sembrano Transformers. Proprio in quell’elenco c’è una buona ragione per non disprezzare tanto il povero Rogerio, assassino reo confesso delle favole di Cappuccetto Roddick e Pollicino Hewitt, due noti virtuosi. PS: manca Dimitrov, suppongo per troppa somiglianza con Federer. Se ti capita dai un’occhiata anche a Tomic, antipatico ma portatore di un tennis non banale. Sono appena andato su twitter. Ho letto la tua ode in 140 battute al Barcellona. Il Barcellona è bellissimo e simpaticissimo. Ma Federer no, anzi, è l’emblema del declino della civiltà occidentale. Maddai… da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 17 aprile 2012, ore 11.12 a: marcoimarisio@...

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Macché. Federer non è «il declino della civiltà occidentale»: è la quintessenza dello sbadiglio. Vi commuovete perché sta per smettere, ma un tiranno resta tale anche dopo Salò e Piazzale Loreto. Ed io ben ricordo la ferocia con cui infieriva sugli Henman e gli Srichaphan. Il tennis è sopravvissuto all’addio di John McEnroe, figurati se soffrirà per l’abbandono del Tiranno Frigido. Dimitrov? Un Federino: carino, come soprammobile. Tomic è futuribilissimo ma inguardabile. Trovi inguardabili Nadal e Djokovic e ti esalti per questa brutta copia di Murray? Se io sono incoerente, tu sei dissociato. Nessuna ode al Barcellona, non faccio (più) odi al calcio. Casomai, se proprio devo, a Messi: genio puro, e divertente, e fantasioso, e spettacolare, e imprevedibile. Su Federer mi fermo al «genio puro». Questo è il fulcro (che inspiegabilmente neghi): è nato Gilles Villeneuve e si è tramutato in uno Schumi. Vincentissimo, ma imperdonabile. Anche nelle favole uccise (Baghdatis, non Hewitt). Che il diritto “a padella” di Kohli sia con te.

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Allegati da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 17 aprile 2012, ore 11.42 a: andrea scanzi@...

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Mah. Comincio da Tomic: non so se sono dissociato, ma è possibile, di certezze ne ho poche. Mi piace molto, però. Ha qualcosa che mi intriga: un gioco molle, quasi indolente, fatto di tagli e direzioni non banali, non gioca una palla uguale all’altra. Vedremo. Non disprezzo Murray, tra i presunti Favolosi Quattro credo sia quello che ha dentro più tennis, a parte Federer. Mi piace come varia il servizio, mi piacciono molte cose del suo tennis, che lui non sempre riesce a mettere insieme. Io credo che guardare Federer rientri tra le piccole cose belle della vita, come gli assist di Steve Nash, i dribbling di Messi, persino il lusso di tifare per Nadal e per la sua sofferenza durante la finale Melbourne, palpitante (oh, mi è uscito così), estrema, e brutta allo stesso tempo. Ci sarebbe molto altro da mettere in lista. Mi diverto anche a guardarlo invecchiare perché mi sembra che la sua classe, ora che le gambe cominciano a tradirlo, emerga ancora di più, sia la principale zattera alla quale si aggrappa. Tutto qui. Come sai, mi piace frugare anche tra i challenger, quindi figurati se piango per il prossimo addio di Federer. Non ne faccio una questione assoluta. Non sono un malato di Federer, non credo che il tennis si estinguerà dopo di lui. Solo, sarà più brutto, fino quando non troveremo un altro che gli somigli, o che non somigli a nessun altro.

da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 17 aprile 2012, ore 14.03 a: marcoimarisio@...

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«Io credo che guardare Federer rientri tra le piccole cose belle della vita». Ecco, Marco: io no. Sbaglio? Merito la gogna? Può essere. Per me Federer è Schumacher 2.0. Mi perdo sicuramente qualcosa, ma non Federer: sono dieci anni che mi sorbisco il suo cannibalismo (e un giornalismo piegato a 90 gradi come neanche la Pravda con Breznev). Per voi, ora che sta per smettere, è diventato ancora più tenero. Per me resta il cannibale che era. Troppo vincente, troppo asettico, troppo masturbatorio. Un Supertuscan che piace agli americani. E io amo i vini naturali. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 11.20 a: andrea scanzi@...

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Sui vini naturali e molto altro ancora discuto ogni tanto con Jonathan Nossiter, che tu ben conosci, con il quale condivido la scuola dei figli e la passione per il basket (come vedi non sono monomaniaco, purtroppo): si arrabbia molto quando gli dico che certe bottiglie naturali fanno veramente cagare. Lui mi risponde citando Pasolini. Io continuo a dire che preferisco anch’io i vini naturali ma certe volte capita la bottiglia sbagliata, e bisogna avere l’onestà di ammetterlo. Tranquillo, non sto cercando la sottile metafora, per quanto... È solo che mi stupisco: considero il rispetto (non l’amore, ho già cercato di spiegartelo) per Federer come una naturale prosecuzione di una certa visione del mondo. Tu, a mio avviso, operi una ellissi bizzarra, più caratteriale che logica. E certi paragoni continuano a sembrarmi un po’ così. Il tuo amato Matteo Salvini (scherzo eh), noto statista della Lega, alla seduta di autocoscienza leghista di Bergamo andava dicendo che loro sono come Schumacher, brutti a vedersi ma regolari e coerenti nella guida. Ecco, premesso che la F1 a me suscita la stessa impressione delle bottiglie naturali sbagliate, nell’ascoltare queste parole non ho pensato ai destini padani ma alle nostre e-mail rusticane. Perché il tuo paragone con Schumacher non regge. Neanche quello di Salvini, ma quello è un altro discorso, più penoso. Piaccia o no, oggi Federer gioca in modo diverso dagli altri, così come Senna o Villeneuve erano diversi dai loro contemporanei. Non è il più bravo e regolare tra tanti simili come Schumacher. Quello è Djokovic. Lui è un›altra cosa. Desueta, ahimè, destinata a sparire, da qui l’accenno al Panda che ti piaciuto così tanto… Può anche non emozionare, ma negarlo è complicato. Però adesso ti saluto, che sono a Torino e ho un appuntamento con Cota. Roba forte. Magari gli chiedo cosa ne pensa di Tomic.


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da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 14.10 a: marcoimarisio@...

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A Jonathan dico le stesse cose sui vini naturali (e lui infatti si arrabbia). Sanno essere ottimi o terribili. Come nel tennis: Frederico Gil è naturale, ma resta irricevibile. Federer mi ricorda l’ultimo Baricco. Pasolini proprio no. Il tuo assioma è: «Visto che siamo simili in tante cose, anzitutto nel gusto estetico, dobbiamo esserlo anche su Federer». Se piace a te, DEVE piacere anche a me. Ma ti ho già risposto. Per te è associabile agli Edberg, per me agli Schumacher. Schumacher Non eletto, bensì di essi nemesi. Supertuscan, dittatore frigido, despota contabile. Hai presente i Beatles? Nessun fan lo avrebbe mai ucciso. Per il semplice fatto che si è ammazzato da solo anni fa. Come McCartney. Obladì obladà. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 20.35 a: andrea scanzi@...

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Ossignùr, ancora l’accusa di volerti convertire. Sembriamo due vecchi che ripetono lo stesso concetto. Amen. Continuo a trovare illogico il tuo pensiero su Federer, tu invece lo trovi perfettamente logico. Così va la vita (cit). Stai sereno, che adesso arriva il Roland Garros e ci si diverte un sacco, come a Melbourne, forse anche di più... da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 20.55 a: marcoimarisio@...

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Caro Marco, un consiglio da amico: disintossicati, esci dal tunnel federasta e “divertiti” in altri modi. Ah: la finale del Rolando più orrenda fu proprio quella con i tuoi idoli in campo, Fagiolo e Psicosi. Brindo a te, ma con una gazzosa (si abbina bene a Roger). Ti abbraccio. da: marcoimarisio@... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 21.08 a: andrea scanzi@...

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In alto i calici. Ma con una Redbull, in onore del tipo di tennis che a tua insaputa difendi con tanto ardore. Un abbraccio a te. da: andreascanzi@...... oggetto: I love Roger data: 18 aprile 2012, ore 21.19 a: marcoimarisio@...

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A mia insaputa non ho neanche case, a differenza di Scajola. Figurati idee. Non difendo gli automi Redbull, al massimo gli riconosco la bellezza quando la mostrano. Anche tu, a tua insaputa, sembri – con il tuo «O Federer o muerte» – i Bersani e i Casini su Monti. Propongo un vagamente democristiano punto d’incontro: il Beaujolais, con quelle bollicine labili e fugaci. Come le vittorie dei Mahut. Buona Mirka.


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UNA CORONA PER DUE I match che hanno scritto la storia di Roland Garros riletti attraverso il punto di vista di chi li ha vissuti molto da vicino: i giocatori in campo. E di FEDERICO FERRERO e ANTONIO INCORVAIA che per l’occasione hanno dato vita a un inedito doppio da Grand Slam...

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FINALE 1988 MATS WILANDER

97%.Vuol dire che, in tutti e tre i set della partita, ha sbagliato la prima di battuta per due volte. Due errori su 72 servizi. Questo era Mats Wilander, nel 1988. Detestava farsi chiamare Borg numero due ma cos’era, se non una versione riveduta e corretta dell’Orso in salsa modernista? Wilander era perfetto per quel tennis di fine Anni 80: agile, peso medio, tanta testa, capacità di tenere uno scambio profondo senza sbagliare per una, due, cento, diecimila volte. Punti veramente deboli: non pervenuti. Su quella terra rossa, così lenta, fare il punto era difficilissimo di per sé. Per Mats, però, questo non rappresentava un problema: lo scambio si doveva vincere, non chiudere con un colpo vincente. La finale di Roland Garros di quell’anno, del resto, si era già decisa… in semifinale. La battaglia di cinque set contro Andre Agassi, quando il Kid era ancora schiavo delle sue paure nei big match e avrebbe dovuto aspettare altri quattro anni per conquistare il primo Slam Parigi era ancora un affare di polmoni, perlopiù.Anche di fortuna, va da sé: in quindici giorni può capitare la giornata storta, quella in cui il tuo nemico va a tutta e tu, invece, giochi da sei meno in pagella: è stato il caso del terzo turno dello svedese, emulo di Ice Borg, contro Slobodan Zivojinovic, detto Bobo, il bomber slavo specialista delle imprese lasciate a tre quarti. La finale del simple messieurs di quel Roland Garros 1988 fu invece una sorta di operazione chirurgica. Elenco delle priorità: primo, non servire seconde palle, perché Riton Leconte le avrebbe attaccate regolarmente. Fatto. Secondo: rispondere sempre profondo, altrimenti l’altro ‘spara’ la sua accelerazione o scende a rete.Terzo: scambiare profondo, con leggera preferenza per il rovescio di Henri, magari costringendolo a giocare lo slice difensivo. In difesa, disinnescato, Leconte era quasi un giocatore qualunque. Ecco, se esiste un piano ben riuscito questo è quanto si vide in quella domenica uggiosa a Parigi, con le palle gonfie di umidità e Leconte, sospinto dalla sua gente, che andò a servire per il primo set sul 5-4 prima di smarrire la via di casa.Wilander era pronto ad altre sei ore di tennis, i nervi del francese erano già al capolinea. Perso il set e la poca pazienza, il pubblico più complicato ed esigente del mondo si rivoltò contro il suo idolo: non gli perdonava quella sconfitta in fieri, e soprattutto un atteggiamento di sfottò che culminò nel discorso del dopopartita, una dichiarazione di guerra tra Henri e i francesi che fu sanata solo con la conquista della Davis nel 1991. A Wilander, per contro, non interessavano le vicende umane: solo vincere. Come aveva fatto in Australia, come avrebbe fatto – sempre il quel 1988 – allo US Open, al cospetto di Ivan Lendl (qui fatto fuori, per grazia ricevuta, da Jonas Svensson). Ci pensò l’erba di Wimbledon, quando ancora premiava gli attaccanti, a far giustizia di quell’impresa che non riesce a nessuno dal 1969: Mats Wilander era grande, sì, ma quel Grand Slam non s’aveva proprio da fare.

HENRI LECONTE

«Sentite un po’, branco di infedeli incompetenti: credete che sia facile giocare con uno che sbaglia due - e dico due-di-numero - prime palle in tutta una partita? Credete che sia divertente perdere la finale di un torneo del Grand Slam facendosi infilzare come un branzino per quasi due ore davanti al proprio pubblico? O forse, semplicemente, sono stato un ingenuo io a illudermi che voi foste il mio pubblico e che mi avreste sostenuto come avete sostenuto Noah nel 1983? Siete davvero senza ritegno: con che insolenza avete potuto darmi per spacciato già sul 5 pari del primo set solo perché mi sono fatto breakkare quando ho servito sul 5-4? Vi siete dimenticati che tre anni fa, su questo stesso campo, ho quasi portato Wilander al quinto dopo essere stato sotto di due set? È chiaro che ve lo siete dimenticato, come vi siete dimenticati tutto il sangue che ho versato per battere Simon Youl al primo turno, Bruno Oresar al secondo e Boris Becker negli ottavi, non è così? Non lo sapete quanto è difficile esprimersi sempre al meglio delle possibilità, per uno come me? Vi sfugge forse la differenza tra un fabbro e uno scultore, o pensate semplicemente che tutto vi sia dovuto perché avete pagato un biglietto? Sentiamo: dove eravate quando, pur con un piede nella fossa, ho continuato a onorarvi dei miei lampi di genio sperando in un incitamento, un applauso, anche solo uno sguardo di conforto che mi facesse rientrare in partita? Avete idea di quanto sia umiliante sentirsi addirittura spernacchiare sul 7-5 6-2 5-0 perché si è messo a segno un punto straordinario che non serve più a niente? Avete idea di quanto sia grottesco sentirvi chiamare «il miglior pubblico del mondo» da un geometra svedese a cui avete dato ciò che a me avete negato? E questo sarebbe il proverbiale sciovinismo dei francesi? La verità è che non conoscete niente di me e non capite niente di Tennis, o mi sbaglio? Avreste preferito che fossi uno di quei terraioli arrotini stracciamaroni che pedalano tre metri dietro la linea di fondo per cinque ore, magari? Avreste preferito che sapessi giocare a malapena il servizio e lo smash per appassionarvi ai miei colpi? Oppure vi sta bene come gioco ma non vi sta bene che faccia degli errori? Per caso vi è chiaro che sbagliare è umano, sì? O credete di trovarvi in un romanzo di Jules Verne anziché sugli spalti di una finale di Roland Garros? Ma volete sapere qual è la cosa più assurda, nonostante tutto? Che io, al contrario di voi, sono contento di essere qui adesso, e volete sapere perché? Perché so di essermelo meritato: vi ricordate che appena tre mesi fa pareva che non fossi nemmeno in condizione di partecipare? Voi, invece? Cosa avete fatto per meritarvi di essere qui adesso? E cosa ho fatto io per meritarmi che voi foste qui? Quali peccati mortali ho commesso da dover pagare così, e come ancora dovrò pagare quello di aver perso oggi il servizio sul 5 a 4? Ah, a questo proposito, un ultimo inciso prima che ve ne andiate tutti a casa - ma vi manderei più volentieri da qualche altra parte: scommettiamo che fra tre anni vi costringerò a rimangiarvelo con gli interessi, questo vostro odioso ostracismo del cazzo?»

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FINALE 1988 STEFFI GRAF

«In Australia ho vinto facile. Non ho neanche perso un set, solo Chris Evert mi ha dato noia in finale: la signora mi ha fatto giocare l’unico tie-break del torneo.A San Antonio ho portato via il titolo con una mano in tasca (solo Lori McNeil, accidenti a lei e al suo serve&volley, mi ha dato qualche pensiero). Per cedere il primo match di singolare, a Boca Raton c’è voluta una giornata di luna storta e Gaby Sabatini che, una volta tanto, mi ha affrontato pensando di poter vincere. Ma dico io, chi può seriamente pensare di battermi? Miami: sette partite, zero set persi.A Berlino, primo torneo sul rosso dell’anno, ho rifilato una caterva di 6-1 e di 6-0. A tutte. E Parigi, la mia amata Parigi? Nelle prime quattro partite ho lasciato per strada dieci game. Ditelo, a chi sa tener di conto. Se poi mi date Bettina Fulco nei quarti, beh, non è colpa mia. O la Sabatini, ancora lei, in semifinale: il bello è che pensava di poter fare come ad Amelia Island. Sbagliato: la finalista sono io, la n.1 del mondo sono io, la migliore del pianeta sono io. Qui ho già vinto l’anno scorso. Natalia Zvereva, poi, è una novellina: non sa niente, di tornei importanti. Io, invece, so di lei che sa fare più o meno tutto abbastanza bene. Non che mi interessi saperlo ma non capisco come possa essere arrivata in finale: mi aspettavo, almeno, di dovermi togliere la tuta giocando contro Martina. E vabbè, conta vincere: nessuno mi verrà a chiedere il perché e il percome, quando conteranno i titoli dello Slam. Ma è tutto troppo facile, rischio di addormentarmi. Lei se la sta facendo sotto dalla paura, ha il viso della bambina che si è persa al Luna Park e teme di non poter mai più fare ritorno a casa. Boccheggia, serve ai due all’ora.Attacca quando non deve. Ha il braccio di legno. Pazienza: mal che vada prenoterò un campo, in serata, con papà per colpire qualche palla, ché questo pomeriggio non pare adatto a un match di tennis. Sono passati venti minuti e sono già avanti 6-0 3-0. Ogni tanto mi fermo a guardarla, Zvereva, con la coda dell’occhio. Mi sembra quasi di leggere i suoi pensieri: oddio, verrò ricordata come la finalista Slam più scarsa della storia. Io, quelle paure lì, le ho perse a dodici anni, quando babbo Peter mi insegnò che la vittoria è la miglior amica che una donna possa avere, a parte i diamanti. Io so cosa vuol dire tremare. Choking, lo chiamano gli americani. La tensione la sento, però ho imparato a farmela alleata: quando sono tesa corro di più, cerco di non Choking pensare ad altro che al respiro e a colpire. Guai a fermarsi a pensare troppo, quando senti i brividi. Devi fare le tue solite cose, quelle che impegnano me per otto ore al giorno dal 1982, il giorno in cui decisi di diventare la n.1 del tennis, e cui Natasha, secondo me, dedica sì e no una mezza giornata ogni tanto.Vincere, non giocare bene. Mi sto distraendo troppo. Mi regala anche questo smash? Tiè, passante in cross di diritto. È fatta! 6-0 6-0 in mezz’oretta. Ma non è quello che mi interessa.Tra poco inizia Wimbledon. Quest’anno ci sono anche le Olimpiadi, a Seoul, sul cemento. Non posso perderle. E così lo US Open.Voglio vincere sempre, voglio vincere tutto.»

NATALIA ZVEREVA (DETTA NATASHA)

Sogni di diventare famoso ma non hai molto tempo da dedicare a questa onerosa attività? Nessun problema: con la nuovissima guida “I 101 modi per passare alla Storia in poco più di mezz’ora” scoprirai che la gloria planetaria è davvero a tanto così da te! Non ci credi? Eccotene un esaustivo estratto in anteprima esclusiva... 88. PERDERE LA FINALE DI ROLAND GARROS Forse non lo sai, ma nelle finali dei tornei del Grand Slam non passano alla Storia soltanto i vincitori. Talvolta, infatti, può capitare che il nome dello sconfitto rimanga impresso nella memoria popolare tanto quanto quello di chi ha alzato il trofeo. È il caso, giusto per fare un esempio, di Natalia Zvereva (detta Natasha), campioncina bielorussa classe 1971, che nel 1988 - dunque a 17 anni appena compiuti - si ritrova catapultata su un palcoscenico decisamente più grande di lei. Dall’altra parte della rete c’è Steffi Graf, a sua volta poco meno che diciannovenne ma già capace, grazie ad un arsenale di colpi esplosivi e ad una condizione atletica straordinaria, di aggiudicarsi Open di Francia ‘87, Open d’Australia ‘88 e la bellezza di altri 21 tornei WTA. Che la tedesca sia, dunque, più che favorita - per usare un eufemismo - è fuori discussione. Ma Natalia (detta Natasha) ha pur sempre lasciato tutti con il fiato sospeso rifilando prima due set a zero a Martina Navratilova negli ottavi, e poi riemergendo da una semifinale quasi compromessa contro Nicole Provis (detta Bradtke), a cui ha annullato un match point. Insomma: un quarto d’ora accademico di fiducia bisogna ragionevolmente concederglielo. Se non fosse che, in quel quarto d’ora, Natalia (detta Natasha) riesce addirittura a ritrovarsi già bell’e sotto di un set: 6-0 Steffi senza sforzo alcuno. Una mattanza come raramente se ne sono viste in un incontro ufficiale. La sconcertata bielorussa non riesce nemmeno a rimandarla di là, tale è la velocità dei meteoriti che le piovono addosso da ogni parte del campo. Non è in grado di imbastire uno straccio di scambio, figurarsi di difesa. «Magari il quarto d’ora giusto è il prossimo», si augura qualche esuberante ottimista che, per dirla alla maniera dei vati, fa il tifo per il match. Macché. Il rituale è lo stesso: Steffi spara cannonate, Natalia (detta Natasha) cola a picco. Manca solo che interrompano la finale per manifesta inferiorità, come nel pugilato. Manca solo che le diano l’estrema unzione. Se non altro - magra consolazione - dopo 32 minuti è tutto finito. Lo score della bielorussa segna un numero che, per irridente coincidenza, evoca tragiche simbologie: 13 punti. Nemmeno i trailer dei film horror scodellano carneficine simili in così poco tempo. Per Steffi è il terzo Slam, per Natalia (detta Natasha) è la consegna ufficiale ai posteri.Alla faccia di chi, in poco più di mezz’ora, non è capace neppure di alzarsi dal letto. Come dire: «Nessun sacrificio è invano». E per dimostrarti quanto questo metodo sia infallibile per assicurarti la celebrità, ti basti sapere che, dopo aver perso la finale più corta in assoluto della storia del tennis, Natalia (detta Natasha) si è riscattata vincendo 4 titoli in singolare e ben 80 in doppio, tra cui 18 del Grand Slam. Ebbene: credi che esista una sola persona che se la ricorda per questo?

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O T TAV I D I F I N A L E 1 9 8 9 MICHAEL CHANG

Chang non era nessuno.Aveva 17 anni, due gambe che frullavano come le ali di un bombo ma niente curriculum, niente colpi vincenti, niente tocco. Cervello, quello, fin troppo per un’occupazione limitante come il dover colpire palline a ripetizione con una specie di battipanni. Aveva vinto tanto da ragazzino: qualche illuminato lo immaginava destinato a conquiste superiori a quelle di Sampras. Nel suo caso il battipanni era una Prince dal piatto enorme, la Graphite, quella col ponticello orizzontale. Fu la sua compagna d’avventura in una giornata da maestro zen: sul centrale di Roland Garros, anno 1989, ottavi di finale, contro il n.1 del mondo e tre volte re di Parigi, Ivan Lendl. Il re ceco non rideva mai, al lavoro: valigetta borsonata, come strumento del mestiere una racchetta che avrebbe potuto essere un teodolite per misurare angoli azimutali. Sensazione diffusa era che fosse tennista perché amava primeggiare e per la considerazione che, tra un geometra e un campione sportivo, gli incassi fossero favorevoli al secondo. Lendl-Chang, dopo pranzo, come un digestivo. Gli ottavi sono un turno strano, negli Slam. Sedici giocatori ancora in corsa, certo, una scrematura severa sui 128 in partenza. Insufficiente a trattenere qualche elemento difettoso o impazzito, però: un tennista medio che ha imbroccato tre buone giornate, o che magari ha avuto un gran bel didietro. Uno come Chang, forse.Testa di serie numero 15, pallettaro grintoso coi polpacci atomici. Sotto di due set, e pure di un break all’inizio del terzo, la gente scorreva il programma in cerca della prossima partita: adesso che abbiamo visto Lendl che facciamo, restiamo qui o gitarella sugli altri campi? Calma: Chang non aveva che iniziato la sua opera di demolizione. Finite le biglie da tirare contro il cannone, fu preso dai crampi: incredibile a dirsi, furono la sua salvezza. Invece di rinunciare, prese a pensare: cosa posso inventare per non ritirarmi? Acqua a litri e banane a ogni cambio campo, una moda mai del tutto tramontata da quel giorno di 23 anni fa. E una tattica schizofrenica: un colpo tirato a tutta per abbreviare lo scambio, un pallonetto lunare per darsi il tempo di allungare i muscoli dolenti. Nel software binario di Lendl tutto questo non era previsto. La sua macchina iniziò a dare messaggi di errore. Quel nano pestifero, poi, se Ivan sbagliava la prima palla si metteva a rispondere coi piedi quasi sulla linea del servizio. Ma non si può fare! Certo, che si può fare. Michael recuperò quel break e vinse il terzo set. Pure il quarto. Ma non ce la faceva più: a metà del quinto, al servizio sul 4-3 15-30, colto dall’ennesima scossa di spossatezza, fu illuminato: servì da sotto, a cucchiaio. E fece il punto. Lendl esplose in mille pezzettini. Poco più tardi, sul match point, altra prima sbagliata, altra camminata di Michelino verso la rete. Chang si poté godere la scena: il re nudo che berciava contro il giudice di sedia, poi alzava la palla ma era già scritto: il maramaldo di Hoboken non avrebbe più dovuto colpire, in quel giorno di rivoluzione cinese. Doppio fallo. Più che un match, uno sberleffo.

IVAN LENDL

L’avete sentita l’ultima? Allora: ci sono un ceco - che vuol far l’americano - e un americano - che in realtà è cinese - che stanno giocando un match di ottavi di finale del Roland Garros. Il ceco è avanti due set a zero, e fin qui niente di strano. Per lui è ordinaria amministrazione, per il suo avversario è onorevole difesa, per il pubblico è salottiero intrattenimento (a tratti perfino più spumeggiante del previsto). Il ceco ha 29 anni, è n.1 del mondo e nei tornei del Grand Slam ha già raggiunto 16 volte la finale vincendo 7 titoli. L’americano ha 17 anni, è n.15 del mondo e nei tornei del Grand Slam, per ovvi motivi anagrafici, vanta al massimo un quarto turno allo US Open. Se non fosse che sulla terra, un po’ come sul letto, «le dimensioni non contano». E dall’inizio del terzo set l’americano inizia a farsi sempre più grande, a dispetto del suo metro e 75, della differenza di classifica e della situazione di punteggio. Così pure il ceco, a dispetto del suo metro e 88, della differenza di classifica e della situazione di punteggio, inizia a farsi sempre più piccolo. Pare (da qualche accenno di nervosismo neanche troppo velato) non tollerare l’idea stessa che quel bambinetto possa metterlo in difficoltà. Ben più del vedere l’americano riequilibrare le sorti del match, non a caso, a lasciare realmente impietriti è vedere il ceco soffriggere nella sua stessa rabbia senza trovare vie di fuga. Non una scintilla di intraprendenza né una fiammata di orgoglio: solo sdegno e collera verso il rifiuto di qualsiasi timore reverenziale da parte dell’avversario. Che, a partire dal quarto set, a tutti gli iniziali handicap, somma anche un plateale principio di crampi. Eppure, è lui a farsi ancora e sempre più grande, e l’altro a farsi ancora e sempre più piccolo.Allo scoccare della quarta ora di gioco, con lo score sul 6-4 6-4 3-6 3-6, è chiaro a tutti che per il ceco non si tratta più di vincere o perdere. Si tratta di dimostrare che certe bravate giovanili, certi sciagurati affronti alle gerarchie, in un campo dove c’è lui, non sono concessi né ora né mai. Per farlo, però, bisognerebbe rimanere lucidi, anziché continuare a indispettirsi ad ogni singolo punto ceduto.Tanto più che sull’americano, semiparalizzato dalle contrazioni e tenuto in piedi solo da litri d’acqua e caschi di banane, la tigna del ceco sembra sortire l’effetto di un’autoricarica. Quello alza lob a campanile, attacca controtempo, trova angoli strettissimi (e il tutto praticamente da fermo); questo si limita a palleggiare come se fosse un riscaldamento, scodella insipidi straccetti a metà campo e spesso finisce fuori giri per primo. Crede che il match gli sia dovuto solo perché altrimenti «ci vediamo fuori». Fosse per lui, poserebbe la racchetta e passerebbe direttamente al manganello. Potrebbe andare peggio? Certo: al danno potrebbe aggiungersi la beffa. E così accade. Sul 4 a 3 in suo favore, 15-30, l’americano si inventa - con astuzia pari solo all’incoscienza - un servizio dal basso. L’effetto è quello di un dropshot: il ceco è costretto a scendere a rete, e sul successivo passante spedisce la volèe in piccionaia. Apriti cielo. La gente sugli spalti esplode in una risata così fragorosa da trasfigurare l’impertinenza del gesto in genialità. Il Re è nudo. Finisce 46 46 63 63 63, e il ceco esce dal campo umiliato e inferocito. Magra consolazione, la stessa sorte toccherà anche a Stefan Edberg in finale. E adesso volete sentirne un’altra? Allora: ci sono un ceco - che vuol far l’americano - e un americano - che in realtà è cinese - che stanno giocando un match di semifinale della Grand Slam Cup. Il ceco è avanti due set a zero, e fin qui niente di strano...

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FINALE 1999 STEFFI GRAF

Cara Steffi, te lo dico senza troppi giri di parole: mi sei sempre stata sulle palle. Sarà che ero innamorato di Gabriela, sarà che il tuo tennis così integralista non riusciva proprio a entusiasmarmi, sarà che eri troppo vincente per i miei gusti (ma questo, lo riconosco, è un problema mio), non lo so: non mi hai mai stimolato il minimo accenno di simpatia. Mai. Nemmeno quando le tue glaciali sicurezze hanno iniziato a sciogliersi, rendendoti (appena un po’) più umana. Mi vergogno molto a confessarlo, ma - per quella sciocca e puerile metà oscura di ogni tifoso che è il “tifoso contro” - non desideravo altro che vederti uscire sconfitta da ogni finale del Grand Slam che giocavi, anche a costo di dover tifare Monica o Arantxa. Peggio: anche a costo di dover tifare Martina. La Martina sbagliata, però. Quella che per molti non era altro che una bimbetta viziata con uno stile vecchio di vent’anni. Ma per quanto sbagliata fosse, i colpi che zampillavano dalla racchetta di Martina quel pomeriggio del 24 maggio 1999 sembravano magie degne della Martina giusta. Mentre i tuoi vincenti erano la solita prosa bellica carica di esplosivo, i suoi erano liriche celestiali intrise di purezza. La partita, un’autentica sinfonia. Il punteggio, musica per le mie orecchie: Martina avanti un set e un break. Ormai era fatta. Poi, il punto di non ritorno. Quello giocato all’inizio del tuo game di servizio sul 6-4 2-0 per Martina, che risponde sulla riga: giudice di linea e giudice di sedia chiamano la palla fuori, e lei per tutta reazione decide di arbitrarsi da sola venendo a guardare di persona il segno nel tuo campo. Ecco, in quel preciso istante ho visto 12 anni di tifo (sciocco e puerile) contro di te - o meglio: a favore di chiunque altra - scorrermi davanti agli occhi, suggerendomi che fosse arrivato il momento di espiare le mie colpe e saldare i miei debiti. Da quel preciso istante non saresti più stata l’odiosa Steffi Graf con i suoi diritti dinamitardi belli senz’anima, saresti stata un’eroina dei fumetti che lotta per difendere il Bene. Facendosi beffa del Male, che sul 6-4 5-4 serve per il match e crede di avere già vinto, salvo perdere 9 dei successivi 11 giochi e, con essi, l’ultimo treno utile per Parigi. Durante quegli 11 giochi, ho salutato ogni tuo punto come l’epifania della Giustizia divina che si abbatteva su quella irritante bimbetta viziata. Mi sembrava quasi di manovrarti con un joypad, tanto rispondevi ai miei comandi. E te lo si leggeva negli occhi che ci stavi prendendo gusto, che avevi una missione che andava al di là dell’alzare o meno un (ennesimo, ultimo) trofeo. Una missione educativa, diciamo così. Una lezione di freddezza e sportività a una ragazzina isterica prigioniera del suo ego. Se lo meritava. Come meritava di vincere fino a quel 6-4 2-0. E come meritava, a fine partita, il tuo pietismo di circostanza velato di sottile malaugurio: «Non preoccuparti, avrai tante altre chance per rifarti». Ma non a Roland Garros (due semifinali e un quarto di finale), né in nessun’altra prova dello Slam (tre finali perse consecutivamente in Australia, poi il buio). Né, col senno di poi, nella vita.

MARTINA HINGIS

Gli avvocati dicono che più una tesi è complicata da difendere, più ci si appassionerà. Provarci con l’imputato Martina Hingis è una sfida. I fatti: Martina vince tutto, nel 1999. Ha il talento delle immortali e il tempo è due volte dalla sua: la vecchia generazione, infatti, sta morendo mentre quella nuova (le giovanissime Williams, Mauresmo, Pierce, Davenport e altre amazzoni) è talora in divenire, talaltra in ritardo di formazione. Per quel tennis a cavallo tra i Novanta e il nuovo millennio, insomma, Martina Hingis da Trubbach e i consigli della mamma Melanie Molitor bastano per fare incetta di tornei.Vinto, in quell’ultimo anno del vecchio secolo, l’Open d'Australia,Tokyo, Hilton Head e Berlino, la svizzerotta pane e cioccolato è la favorita di Roland Garros. Se ne accorgono Hopmans, Mauresmo, Peschke, Dragomir, Schwartz e Arancita Sanchez. Comparse prese per il naso da un piccolo fenomeno che l’irripetibile Majoli nella finale del 1997 e gli ultimi gridolini di Seles nella semi dell’edizione ’98, avevano tenuto lontano dal Major a lei più sfuggente. Il 1999 è la volta buona. Sotterrata fino ai polpacci la SanchezVicario e la sua grinta sorretta da pochissimo talento, tocca a Steffi Graf, presto signora Agassi: nessuno lo sapeva ma la sua retta e quella del Kid di LasVegas stavano per incrociarsi in quel Roland Garros, magico come non lo era più stato dall’edizione 1989. Diciannove anni Martina, a poco più di una settimana dai suoi trenta Steffi. Che già aveva assaggiato il tennis da fattucchiera Hingis a Roma, in una delle sue rarissime apparizioni al Foro, nel 1996. Martina può, anzi, deve vincere a Parigi perché è una giocatrice completa e merita lo Slam. Steffi, nella sua grandezza, no: di rovescio sa affettare la palla, giocare quello slice che sull’erba le è valso sette titoli di Wimbledon. Ma ormai, contro la nouvelle vague del tennis, non basta più. Martina è la secchiona, l’insopportabile che alza sempre la mano per prima. Petulante, vezzosa, riesce a rendere simpatica Steffi e non è cosa da tutte. Hingis stacca Steffi, un set e un break. L’impressione di tutti è che quella splendida macchina da corsa tedesca, che non raggiungeva da tre anni una finale Slam, sia giunta alla fine della sua carriera: troppi chilometri nelle ruote, il turbo che non funziona più, i cavalli cattivi non competono con la nuova tecnologia. Eppure il giocattolo si frantuma, per un’inezia. Martina contesta una chiamata sul primo punto del terzo gioco, 6-4 2-0: ha ragione, la sua risposta è buona. Ma chissenefrega, no? Invece sì. Il giudice di sedia pasticcia, Hingis la sfida: passa la metà campo e va a segnare la sua palla. Parigi non gliela perdona: giù una salva di fischi, mentre si inneggia a Steffi e Martina chiama giudice arbitro e supervisor. Penalty point contro la numero uno. Cosa avreste fatto, al posto suo? La partita è già persa, nonostante Hingis vada a servire per il match sul 5-4 e sia molto, ma molto più forte di quella Graf. Nel terzo set, per due volte la povera Martina serve da sotto: il pubblico del Centrale si scatena, ma non sono le urla di entusiasmo per il servizio-scherzo di Chang dell’89. Compiuta la tragedia, Hingis si fa consolare tra le braccia della madre. Graf, insieme al sesto titolo, ha l’inatteso regalo dell’amore dei francesi che mai, in tanti anni, le avevano dichiarato i loro sentimenti. Mai, Martina, avrebbe vinto il Roland Garros. Dite voi se non la merita, la piena assoluzione.

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FINALE 2004 GASTON GAUDIO

«Non si arriva in finale in un torneo del Grand Slam per caso». Quante volte capita di sentire una chiosa simile ascoltando una telecronaca, tendendo l’orecchio ai brusii del pubblico o semplicemente leggendo sui media i discorsi da Bar Sport che si moltiplicano prima, durante e dopo qualsiasi match di tennis? In realtà, in finale in un torneo del Grand Slam ci si arriva - eccome - anche per caso.Anzi: capita perfino che, sempre per caso, un torneo del Grande Slam lo si possa pure vincere. Ciò che serve è un sorteggio favorevole, un minimo sindacale di convinzione e un avversario che si immoli alla causa. Il resto sono dettagli di contorno per agiografi e statistici. Ne sa qualcosa Gaston Gaudio, che nel 2004 si presenta all’ultimo atto di Roland Garros da numero 44 del ranking e con le (legittime) credenziali di 'quello che al suo posto doveva esserci qualcun altro'. Non certo Guillermo Canas, a onor del vero, né Jiri Novak,Thomas Enqvist, Igor Andreev o Lleyton Hewitt, superati in sequenza prima di approdare in semifinale contro David Nalbandian. E magari lui sì, finalista agli Internazionali d’Italia qualche settimana prima e autore di performance più che convincenti sia contro Marat Safin negli ottavi che contro Gustavo Kuerten nei quarti. Ma benché il crollo del campione argentino in un’occasione importante possa non essere esattamente un caso (citofonare US Open 2003), tutto ci si sarebbe aspettati tranne di vedere Gaston Gaudio arrivare a giocarsi la Coppa dei Moschettieri in un roster di tabellone presieduto dal n.1 del mondo Roger Federer e dal defending champion Juan Carlos Ferrero. «È l’avversario ideale per far vincere finalmente qualcosa di importante a Guillermo Coria», pensano i più. Il che, a sua volta, potrebbe non essere esattamente un caso, soprattutto quando El Mago si ritrova in vantaggio 6-0 6-3 4 pari e 40-15. «A questo punto succede qualcosa» (cit.). El Gato strappa coi denti un 15 già perso almeno due volte, e dà la sensazione - commovente, quasi surreale - di crederci ancora. Tanto che Coria non regge allo shock e, messo temporaneamente k.o. da un blackout fisico e mentale, si ritrova al quinto set nel giro di un amen. Gaudio pare visibilmente più lucido e reattivo, eppure è il suo avversario a portarsi avanti di un break, e a servire per il torneo sul 5 a 4. Da qui in poi, il match diventa maionese impazzita e tutto inizia realmente a succedere per caso, come se lo score venisse sorteggiato dal bussolotto del Bingo. Controbreak di Gaudio a 0. «È finita, vince lui». No, nuovo break di Coria: 6 a 5 e servizio, match point. «È finita, vince lui». No, altro controbreak di Gaudio. E ancora gioco Gaudio, e gioco-partita-incontro Gaudio. El Gato vince 8 degli ultimi 10 punti e, con questi, una delle finali di Parigi più incerte e drammatiche degli ultimi 30 anni. Che sia stato un caso, lo dimostrerà il fatto che non andrà mai più nemmeno vicino a vincerne un'altra. Che invece possa non essere stato esattamente un caso la sconfitta di Coria, lo dimostrerà il fatto che... non andrà mai più nemmeno vicino ad una finale Slam.

GUILLERMO CORIA

Coria, quel disgraziato, perse la più sciocca finale di Roland Garros di sempre tre anni prima di giocarla. Nell’aprile del 2001 un suo campione risultò positivo al test del nandrolone, uno steroide, e il piccolo argentino magico fu squalificato per due anni. Sennonché la famiglia pagò dei test in un laboratorio privato e scoprì l’incredibile: ad avvelenare Guillermo era stata la stessa associazione giocatori, l’ATP, che ai tempi forniva ai suoi atleti (inconsapevolmente) dei multivitaminici corrotti di una ditta del New Jersey che lavorava sporco e, sulla stessa linea usata per prodotti puliti, lavorava sostanze dopanti.Tre giorni di processo e la Universal Nutrition pagò fior di quattrini per evitare una sentenza di condanna. Da allora Coria bevve solo acqua, per il terrore di contaminarsi a sua insaputa, ma quando si trovò avanti due set a zero, in finale a Parigi nel 2004, l’emozione e la fatica di un ruolo che non gli apparteneva fino in fondo gli paralizzarono quei muscoli delle gambe nutriti a ossigeno e idrogeno e, per due pastiglie di integratori mai prese, perse tutto ciò per cui aveva sudato nel corso di una vita. Al Tenniseum di Roland Garros, nella sala principale, hanno appeso uno proiettore Lcd. Unica trasmissione, in eterno looping, quel ridicolo, quell’infingardo match per il titolo di Parigi 2004.Tornare a guardarlo è uno strazio.Vorresti poterti buttare nello stadio trapassando lo schermo, trascendere il tempo e piegare la storia all’unico finale all’italiana, quello lieto, buono e giusto. Guillermo Coria da Venado Tuerto, Santa Fe, con antenati in provincia di Cuneo, il miglior giocatore da terra battuta di quell’anno, chiude il conto con la sfiga e si fa consegnare da Guillermo Vilas la Coppa dei Moschettieri dopo aver distrutto Gaston Gaudio, un bel pedalatore dal rovescio a schiocco, 6-0, 6-3, 6-4. Perché è così, che doveva finire. Invece quel filmato horror racconta di uno scempio: Coria, avanti 40-0 sul 4 pari del terzo, si fece sorprendere dal pubblico del Philippe Chatrier. Facevano la ola come i messicani, volevano più partita.Tifavano apertamente per l’altro, il più debole. Gaudio se la rideva, perso per perso, e tirò tre pallate in campo. Sufficienti a far scattare qualcosa nel cervello del maestro della viborita, con la palla pestifera che si muove in aria come una vipera. Il quarto set fu uno strazio. Cristallizzato dai crampi di terrore, Coria serviva come un bambino con la febbre a quaranta. Non correva più. Pensava al mostro che stava producendo: perdere una partita vinta, macché una partita, La Partita. Nel quinto set riuscì comunque a fare gara di testa, per quattro volte avanti di un break. Ebbe anche due match point sul 6-5: sul secondo, un vincente di diritto lungolinea mancò il campo di un nulla, con Gaudio ormai arreso. Perse quella maledetta partita, Guillermo Coria, e smarrì il senso di una vita: si ammalò di doppi falli, cadde in depressione. Nel giro di due anni non era più nessuno. Nel 2009 l’annuncio: smetto per sempre. Oggi ha trent’anni, ha abbracciato la religione: che possa placargli nell’animo la sete di giustizia, anche se per i senzadio è un po’ come cedere agli aiuti del doping.

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SEMIFINALE 2011 ROGER FEDERER

La sensazione, maturata sin dai tempi - non sospetti - della finale di Montreal 2007, è che Roger Federer rosichi molto di più quando perde contro Novak Djokovic che quando perde contro Rafa Nadal (o contro chiunque altro). Perché Nole non lo batte, lo irride (semifinale dell’Australian Open 2008). Lo spernacchia (finale di Basilea 2009). Lo manda fuori giri fisicamente (semifinale di Roma 2009) e mentalmente (semifinale di Miami 2009). Come se, oltre al risultato, fosse in gioco anche qualcos’altro da giustificare una dose supplementare di adrenalina, di orgoglio e di voglia di riscatto. Per questo, ogni loro sfida ha un retrogusto più pungente della logorroica “rivalità del secolo” tra lo svizzero e lo spagnolo, i cui scontri realmente memorabili - su 28 match - si contano sulle dita di una mano.Al contrario, su 24 match, quelli realmente memorabili tra Roger e Nole sono una decina abbondante. E la semifinale di Parigi 2011 è uno di questi.A proposito di irridere e spernacchiare, il serbo ha vinto gli ultimi tre precedenti lasciando per strada appena un set. Di più: ha vinto gli ultimi sette tornei lasciandone per strada appena nove. Non siamo nemmeno a metà stagione e già si parla di Grand Slam, che sulla ruota maschile non esce dal 1969. Ma se c’è una persona alla quale non si deve stuzzicare il nervo dell’imbattibilità, quella è proprio Roger Federer. Entrato in campo con un bagliore negli occhi che raramente aveva illuminato le sue partite in terra di Parigi, il leone fa subito capire al clown che non sarà l’ennesimo circo. È vero che Nole sul 5 a 4 si procura due set point, ma è lo svizzero ad aggiudicarsi il primo set al tie-break e, sullo slancio emotivo, anche il secondo per 6-3.Al serbo passa la voglia di scherzare, e si mette a picchiare su ogni palla come se dovesse scoprire il fuoco. Roger incassa in silenzio e in poco più di mezz’ora si ritrova al quarto. I successivi 67 minuti sono da antologia, sia per la spettacolarità dei colpi che per l’intensità delle emozioni. Nole si arrampica 5 a 4 e servizio, e con la testa - forse, molto probabilmente - pregusta già l’ennesimo scacco, scoprendo il fianco al cinismo di Roger che non gli perdona il minimo calo di ritmo: 5 pari, due palle break Djokovic, 6 a 5 Federer, 6 pari.Tie-break. Che a questo punto ci sia in gioco anche qualcos’altro, oltre al risultato, è evidente. Adrenalina, orgoglio, voglia di riscatto: Roger chiede al suo tennis il 100% e confeziona, di testa prima ancora che di braccio, sette punti straordinari. La finale è sua. L’onore anche. Non c’è imbattibilità che tenga: l’uomo dei record (dei record) è sempre lui. Perché, ammettiamolo: l’unica cosa che interessava al mondo della striscia vincente di Nole era il nome di chi l’avrebbe interrotta. Poco importa se, in finale contro Rafa, scenderà in campo lo stesso Federer della semifinale del 2005 e delle finali del 2006, 2007 e 2008. La sensazione, maturata sin dai tempi - non sospetti - del terzo turno di Miami del 2004, è che Roger Federer rosichi molto di meno quando perde contro Nadal (o chiunque altro) che quando perde contro Djokovic.

NOVAK DJOKOVIC

«Oh che bellezza, Roger. Vincente con il diritto che sfida la fisica. Facciamogli un applauso: sta giocando da maestro, proprio così. Quest’anno sarà il suo ultimo, qui a Parigi? E chi lo sa. Certo che una mano gliel’hanno data: sul centrale, ormai, c’è una spolverata di terra su un fondo duro come il cemento. Sembra di giocare allo US Open appena appena insabbiati. E le palline? Vogliamo parlare delle palline scelte da quest’anno a Roland Garros? Sono dei missili, sono. Ecco come mai Federer può fare serve&volley. Pazienza, faccia quello che vuole; non è una gara estetica, è uno Slam.Tre set su cinque, mi spiace, quest’anno non mi tiene nessuno. Non mi stanco mai: ricordate quando superavo le due ore e mezzo di corse e iniziavo ad ansimare, ad annaspare, magari mi ritiravo pure come in questo torneo anni fa? Beh, come avrete capito le cose sono leggermente cambiate. Ho due set point. Me li annulla.Tie-break. 5-6, metto il diritto in rete. Ho perso il set! Ma tu pensa: in Australia, a Dubai, a Indian Wells credevo di avergli fatto capire che il sorpasso non fosse un fatto temporaneo, ma per sempre. Basta applausi: questo qui tira solo cannonate e non sembra neanche stanco. Oh, Nole, riprendi in mano la situazione: 4-1 nel secondo con palla del 5-1? Vuoi mica finir sotto di due set! Mannaggia: risponde come un treno. Recupero, ci provo col contro break ma serve e scambia come un metronomo: tutte le palle a due dita dalla riga. Corre come Rafa. Un’ora e 56, sono sotto di due set. Ma la mia arma è la durata. Per me il match può anche iniziare qui e nemmeno lui, nemmeno Roger può pensare di giocare così tutta la partita: siamo mica su Marte. Uno, due, tre a zero. Così si ragiona. Scendi a rete? Eccoti recapitato un Tgv in cross di rovescio. E comincia a rassegnarti, Rogi: la vittoria è lontana, per prenderla occorre scalare a mani nude la torre disegnata da quel pazzoide di Gustave Eiffel più in fretta di me. Fretta, io, non ne ho: possiamo andare avanti fino alle dieci di sera, e continuare anche domani. 4-2 e il toro è ancora lì che soffia però: la maglietta rossa gli sta insufflando energia? Sembra il Federer del 2005. Quanto me lo devo sudare, il turno di servizio. Comunque è fatta, dai: 5-3, ace sul 40-0 e mezzo svantaggio è recuperato. Ho smesso da mo’ di fare il battimani: adesso, quando fa un gran punto, preferisco girarmi e dare un’occhiata a Marian Vajda: voglio che mi dica perché sono ancora qui a lottare, come mai l’altro non molla un punto, e soprattutto perché gli riesce tutto. Fortunatamente mi sono dimenticato dallo scorso anno come si fa a perdere: ho vinto 42 partite di fila, questa farà 43 e la finale 44. Due pari, tre pari. No, che punto mi ha fatto Roger? Mai visto un passante in corsa così! Ma ci siamo, lo sento: palla break sul quattro pari e… fa un fuoricampo col dritto steccato. Si serve per il set, forza! Lo uccido, se chiudo. No. Non credo a quello che vedo. Gioca ancora meglio di prima, il maledetto! Mi fa punto col rovescio, mi lascia a due metri dalla palla! E la gente è tutta con lui. Oh, Dio, non può essere. Ci riprovo: cinque pari, due palle break. Niente, serve come Karlovic. Altro tie-break. Non può finire così. Non può finire così.. Match point? Tira la botta al centro? Devo arrivarci. Ci arriverò.Vincerò. Non può finire così».

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WELC

TO THE Lo gridò un solitamente compassato Arthur Ashe a Adriano Panatta negli spogliatoi di Wimbledon nel 1976. Era il suo personale riconoscimento pe la vittoria ottenuta dal fuoriclasse italiano a Roland Garros. Ovviamente, il Club di cui parlava Ashe era quello dei giocatori capaci di vincere un torneo del Grand Slam.


COME

E CLUB! Un club di cui fanno parte campioni, fuoriclasse e perfino qualche bidone, arrivato chissà come a vincere un Major. E grandi giocatori che però hanno ballato (quasi) esclusivamente sulla terra rossa di Roland Garros. Ladies and Gentlemen, ecco a voi…


THE BEST OF...

I SIGNORI DEL ROSSO Hanno vinto (quasi) solo a Roland Garros, ma tanto è bastato per farli passare alla storia. Da Guga Kuerten a Sergi Bruguera, da Juan Carlos Ferrero ad Albert Costa, sono i veri (non sempre troppo amati) terraioli doc di RICCARDO BISTI 118

GUSTAVO KUERTEN Roland Garros 1997-2000-2001

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In realtà, bisogna sforzarsi un po’ per farlo entrare in questa categoria, perché Guga è stato un campione a tutto tondo. Ed è uno dei pochissimi ad avere uno Slam come primo titolo in carriera. Tuttavia, è vero che lontano da Parigi, negli altri Slam ha combinato pochino. Era il 1997 e si presentò a Roland Garros da numero 66 ATP, con il suo completo Diadora con i colori del Brasile. Vinse tre partite consecutive al quinto set (contro Muster, Medvedev e Kafelnikov), poi battè l’intruso Dewulf in semifinale prima di massacrare Bruguera in finale. Nacque una storia d’amore con il pubblico parigino, sublimata con i successi del 2000 e del 2001 (memorabile, quell’anno, la vittoria contro Michael Russell negli ottavi di finale, quando annullò un matchpoint e, scampato il pericolo, disegnò un cuore sulla terra del campo centrale). A conferma della sua straordinaria attitudine, dopo il primo trionfo parigino onorò l’impegno con il Cierrebi Club e giocò il torneo ATP di Bologna (dove giunse in finale). Il rovescio era poesia, il diritto meno elegante ma (quasi) altrettanto efficace. La disciplina di coach Larri Passos gli ha permesso di diventare forte su tutte le superfici: si ricorda la vittoria al Masters di Lisbona (vittorie su Sampras e Agassi), ma lui sostiene che il successo più difficile sia giunto al Masters 1000 di Cincinnati, quando la media-ranking degli avversari battuti fu uno stratosferico 13,16. La sua carriera è stata poi pesantemente condizionata dagli infortuni, in particolare dai guai all’anca. Devastato dalle operazioni, ha vinto l’ultimo torneo nel 2004; poi si è trascinato per qualche anno prima di dire addio in un pomeriggio parigino, con la stessa divisa di 11 anni prima, dopo una sconfitta con Paul Henri Mathieu. Oggi insegna tennis, si diletta col surf e studia recitazione, senza dimenticare gli impegni umanitari che lo hanno sempre contraddistinto dopo la morte del padre (quando aveva 8 anni) e del fratello malato, scomparso nel 2007.



I SIGNORI DEL ROSSO THOMAS MUSTER Roland Garros 1995

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SERGI BRUGUERA Roland Garros 1993-1994

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I tifosi di Federer lo amano dal 2006, quando nel corso di un’intervista con la BBC ha detto che lo svizzero è «dieci volte meglio di Pete Sampras». Chissà da dove arriva questa convinzione, forse dagli scontri diretti che lo vedono avanti 3-2 sull’americano. Figlio del barbuto Luis, che lo ha forgiato sin da bambino, è stato il più credibile antesignano di Rafa Nadal. Era brutto da vedere, ma il talento non gli mancava.Tutti ricordano le due vittorie a Roland Garros, ma la sua miglior partita la giocò a Wimbledon, quando nel 1994 battè in cinque set Pat Rafter in un estremo confronto di stili. La sua Yonex RD7 caricava di topspin il diritto e faceva viaggiare un bel rovescio a due mani. Dopo un paio di vittorie a Monte Carlo, nel 1993 sigillò Parigi per la prima volta. Battè Sampras e in finale superò Jim Courier, reduce da due vittorie consecutive a Roland Garros. L’anno dopo anche i più fervidi detrattori furono contenti della sua vittoria, perché impedì ad Alberto Berasategui di “sporcare” l’albo d’oro con il suo tennis contrario alle leggi della fisica (tirava diritto e rovescio con la stessa faccia della racchetta). Bruguera piaceva a chi ama vincere soffrendo, a chi deve costruirsi un successo mattone dopo mattone. Ma il suo stile era troppo dispendioso: nel 1997 tornò inaspettatamente tra i primi 10 (giunse in finale a parigi perdendo da Guga Kuerten), ma la sua carriera è stata relativamente breve. Appassionato di calcio e di basket, ha vinto l’ultimo titolo nel 1995 e ha trascorso gli ultimi anni della carriera a raccattare qualche dollaro nei piccoli tornei sul rosso. L’ultima finale l’ha colta a San Marino, poi si è reso conto che il suo tennis non andava più bene. O forse che le gambe non giravano più. Oggi si diverte a giocare nel Senior Tour e la sua Accademia a Barcellona è una delle più rinomate d’Europa. 120

Lo chiamavano animale, bestia, orco. Poi un giorno qualcuno scrisse che era una macchina e lui ci scherzò su: «Bene, siamo passati alla meccanica». È strano che Thomas Muster abbia vinto a Parigi soltanto una volta. Molto per colpa di quel pazzo ubriaco che nel 1989 lo investì e gli frantumò il ginocchio prima della finale a Miami. Due mesi dopo si presentò a Roma in stampelle, mentre si allenava anche quando era bloccato sulla sedia a rotelle, e disse: «L’anno prossimo tornerò qui e vincerò il torneo». Detto, fatto.Vinceva dappertutto, ma a Parigi non ce la faceva. Nel 1990 si era arenato su Andres Gomez, poi solo mediocri piazzamenti. Nel 1995 trovò invece l’annata perfetta: Città del Messico, Estoril, Barcellona, Monte Carlo, Roma…e finalmente Parigi, in una finale bruttina contro Michael Chang. Quell’anno perse solo da Albert Costa nella finale di Kitzbuhel. Era indemoniato, a 28 anni aveva trovato la forma psicofisica ideale. Riuscì a diventare numero uno del mondo, rispondendo stizzito a chi ipotizzava che non ne fosse degno: «I punti ATP non si comprano al supermercato». Riuscì invero, a diventare competitivo su tutte le superfici tranne l’erba. Insieme a due semifinali in Australia e tre quarti allo US Open, restano nella memoria le quattro partecipazioni a Wimbledon in cui non vinse neanche una partita. «L’erba è la mia superficie preferita. Batto, scendo a rete…e mi passano tutti!». Muster però, non era un pallettaro: amava comandare con il diritto mancino, e piano piano aveva imparato a giocare in tutte le zone del campo. Dove non arrivava il braccio, si spingevano cuore e polmoni. Quando si è stufato, si è trasferito in Australia senza neanche annunciare il ritiro. Poi gli è venuta voglia di riprovarci, undici anni dopo. Ha giocato una ventina di tornei challenger, soprattutto in Italia. Ma era meglio rimanere in Australia.

Lo chiamavano animale, bestia, orco. Ma nel 1995 trovò l'annata perfetta


CARLOS MOYA Roland Garros 1998

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ALBERT COSTA Roland Garros 2002

Prima di lui, gli spagnoli dominavano solo sulla terra. Poi Carlos Moya ha fatto capire a tutti i latinos che si può vincere anche sulle altre superfici. Il suo primo grande risultato fu la finale all’Australian Open 1997: perse contro Pete Sampras, ma conquistò gli spagnoli con quel saluto (“Hasta Luego Lucas”) che potevano capire solo loro. Era l’imitazione di un comico che spopolava in quegli anni e terminava ogni sketch con questo slogan. Un anno e mezzo dopo, il picco di una splendida carriera.Vinse Roland Garros da dominatore, battendo in finale l’amico Alex Corretja. Servizio piatto e diritto devastante furono sufficienti per renderlo uno dei migliori terraioli a cavallo degli anni 2000. Ha vinto tutto quello che sognava: Monte Carlo, Roma, la Coppa Davis, è stato numero uno del mondo e ha tenuto duro fino al 2007, quando ha vinto l’ultimo torneo sulla terra amica di Umago. Gli hanno affibiato la nomea del latin lover, ma in fondo ha avuto solo tre storie importanti: Raluca Sandu, la nostra Flavia Pennetta e l’attuale compagna Carolina Cerezuela. Di certo i tennisti-playboy di qualche anno fa si disperavano quando metteva piede in discoteca. Arrivava lui e non c’era più trippa per gatti. Ma è stato un grande professionista per15 anni: «Tutti dicono che ho aiutato Nadal, ma io credo che sia stato lui ad aiutare me, perché mi ha insegnato quanto conti il lavoro duro e mi ha allungato la mia carriera». Che però non lo ha più visto protagonista nei tornei del Grand Salm, sua unica pecca.

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Nato a Lerida nel 1975, ha mostrato di avere le stimmate del grande terraiolo nel 1995, quando inflisse a Thomas Muster l’unica sconfitta “rossa” di quell’anno.Vinse il Masters 1000 di Amburgo e fece finale sia a Monte Carlo sia a Roma, ma a Parigi non combinava mai granchè. Prima di Roland Garros 2002 il suo successo più importante era stata la Davis del 2000. Aveva 27 anni, non era tra i favoriti, ma ebbe la fortuna di trovarsi al posto giusto nel momento giusto. Battè Guga Kuerten negli ottavi, approfittò del crollo di Canas nei quarti (l’argentino era avanti due set a uno e 4-2 al quarto), superò Corretja in semifinale e nel match clou trovò un Ferrero che aveva giocato tutto il torneo con una caviglia in disordine. Il merito di Albert, capelli ricci ed elegante rovescio a una mano, fu quello di togliergli fiducia sin dal primo punto. L’anno dopo fu ancora più bravo: vinse quattro maratone di cinque set, restando in campo più di 21 ore. Questa volta perse contro Ferrero, ma era contento così. Ha vinto tutti i suoi 12 tornei sul rosso e ha continuato fin quando fisico e motivazioni non si sono esaurite, giocando l’ultima partita al torneo di casa a Barcellona. Divenuto capitano di Davis, ha il merito di aver ottenere (quasi) sempre la disponibilità di Nadal e Ferrer, vincendo l’Insalatiera nel 2009 e nel 2011. 121


I SIGNORI DEL ROSSO MICHAEL CHANG Roland Garros 1989

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ANDRES GOMEZ Roland Garros 1990

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«Grazie alla mia vittoria a Roland Garros, la gente non parla dell'Ecuador solo per le disgrazie!» Andres Gomez, mancino, era dotato di un diritto col quale trovava angoli molto acuti e l’avevano soprannominato “La piovra delle Galapagos”. Ha vinto un paio di edizioni degli Internazionali d’Italia, ma quando il torneo era in crisi. Per intenderci, nel 1982 battè in finale Eliot Teltscher e nel 1984 Aaron Krickstein, non esattamente due fenomeni. La sua è stata un’onesta carriera da terraiolo, non certo da leggenda. Stava per salutare la compagnia quando, a 30 anni, si è presentato a Roland Garros. Era il 1990 e furono due settimane perfette, in cui ebbe la fortuna di non affrontare neanche un top 50 fino alle semifinali, ma poi sigillò il suo capolavoro dando tre set a zero a Muster. Ad attenderlo in semifinale da strafavorito, Andre Agassi.Vent'anni dopo avremmo appreso che il problema di Agassi, in quella domenica di giugno, non era l’improvvisato serve and volley di Gomez, quanto le mollette che rischiavano di fargli saltare la parrucca. Andre aveva paura di fare una figuraccia in mondovisione e si muoveva come se il campo fosse pieno di mine antiuomo. Andres, con la sua magliettà demodè griffata Isostar, riuscì a gestire l’emozione e a vincere in quattro set. Nel 1991 avrebbe vinto il suo ultimo torneo e si sarebbe ritirato nel 1995, senza altri squilli di tromba.

Vent'anni dopo abbiamo scoperto che in finale, Agassi era preoccupato della parrucca... 122

Tra Bud Collins e Gianni Clerici ha avuto ragione il nostro scriba, che rimase folgorato da Pete Sampras e non da Michelino Chang. Il computo degli Slam dirà 14 a 1 per Pistol Pete, ma il Roland Garros 1989 vale per dieci. Il piccolo Chang,17 anni, non aveva ancora iniziato ad attribuire a Dio i meriti di ogni sua vittoria, ma con una solidità granitica, accompagnata da grappoli di banane, battè Stefan Edberg in una finale durata cinque set. Ma il capolavoro lo fece negli ottavi, contro Ivan Lendl. Devastato dai crampi, sotto di due set e un break, il cinesino le inventò tutte per restare a galla. Tutti ricordano il servizio dal basso che mandò al manicomio il cecoslovacco. «Facevo ogni cosa possibile per togliergli la concentrazione» ha poi ammesso Chang. Finì 4-6 4-6 6-3 6-3 6-3 e il destino del torneo fu scritto in quel 5 giugno 1989. Il giorno prima c’era stato il massacro di Piazza Tienanmen. «Credo che Dio abbia voluto farmi vincere quel torneo perché ho regalato un sorriso al popolo cinese in un momento in cui non c’era nulla da ridere». La volontà che gli permise di vincere a Parigi lo ha reso uno dei giocatori più importanti degli anni 90, anche se oscurato da mostri sacri come Sampras,Agassi e Becker Eppure è stato numero 2 del mondo, ha collezionato altre tre finali Slam e i mostri sacri li ha battuti tutti, anche se mai nelle occasioni importanti.

GASTON GAUDIO Roland Garros 2004

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«Que mal che la estoy pasandoooo!». Pazzo, completamente pazzo. Gaston Gaudio aveva un rovescio meraviglioso e due gambe da rugbista, ma una psiche incredibilmente labile. Una follia che esplodeva nei suoi monologhi tra un punto e l’altro. Solo coach Franco Davin è riuscito a contenerlo. Nel 2004 si presentò a Parigi da numero 44 del mondo, senza particolare fiducia. Battè Hewitt nei quarti, Nalbandian in semifinale e pescò l’acerrimo nemico Guillermo Coria in finale. Perse nettamente i primi due set, poi una ola del pubblico lo esaltò.Vinse il terzo, quindi Coria venne assalito dai crampi. Il match diventò uno psicodramma, ma un maestoso rovescio incrociato gli regalò il più clamoroso (e inatteso) dei successi. Giocò molto bene anche l’anno dopo, quando vinse cinque tornei e si qualificò per il Masters (dove giunse in semifinale).A Parigi, dove difendeva il titolo, perse negli ottavi contro Ferrer. Avanti 4-0 nel quinto set, si rivolse a Javier Piles, coach dello spagnolo: «Stai tranquillo, questa partita non la vinco». Nel 2008 disse che giocava solo perché così «avrebbe fatto più sesso». Poi ammise di essersi sottoposto a un trattamento psichiatrico anti-depressione.


JUAN CARLOS FERRERO Roland Garros 2003

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Quando si è affacciato nel circuito, sembrava dovesse spaccare tutto. Se il tuo colpo non superava la metà campo, avevi perso il punto. Matematico. Con quel nome lì, poi, è stato facile paragonarlo a un Re. Lo è stato davvero: per qualche settimana del 2003. Juan Carlos Ferrero è arrivato in cima al ranking mondiale appena in tempo, un attimo prima dell'avvento di Roger Federer. Top 10 fisso fino al 2003, quell'anno ha vinto Roland Garros battendo in finale la meteora olandese Martin Verkerk. Ha trionfato a Monte Carlo e Roma e vanta una finale ad Amburgo. Fuori dalla terra ha ottenuto il miglior risultato ancora nel 2003, raggiungendo la finale allo US Open. Poi l’inevitabile logorio, unito ad una lunga serie di acciacchi, lo hanno trascinato ai margini del grande tennis. Ha vinto qualche altro torneo (l’ultimo la scorsa estate a Stoccarda), ma non ha saputo creare una versione 2.0 del suo tennis di pressione da fondo. Lo chiamavano “Mosquito” per la sua rapidità, ma gli anni passano e il fisico si consuma. Ha comunque deciso di tenere duro ed è ancora in pista, anche se è uscito dai top 100. Volendo fargli un appunto, non ha saputo migliorarsi tecnicamente come ci si aspettava da un numero uno, però è diventato un abile businessman, proprietario di hotel, accademia di tennis e (in parte) del torneo ATP di Valencia.

ANDRES GIMENO Roland Garros 1972

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Il suo nome è tornato alla ribalta qualche mese fa, quando ha rivelato al mondo i problemi economici che hanno spinto i migliori tennisti spagnoli a giocare un’esibizione per raccogliere fondi in suo aiuto. «La crisi mi ha colpito. Eppure non andavo spesso a cena fuori con mia moglie, e quando compravo una macchina mi durava almeno 10 anni». E pensare che Andres Gimeno è stato un grande giocatore, penalizzato dalla distinzione tra dilettanti e professionisti. Classe 1937 e spinto al tennis dai genitori, è diventato Pro nel 1961. Così, quando il tennis si è aperto ai professionisti aveva 31 anni e temeva che la casellina delle vittorie Slam rimanesse intonsa. Invece, a Roland Garros 1972, il miracolo. Va detto che approfittò della squalifica che colpì tutti quelli che partecipavano ai tornei WCT. Ma fu bravo a cogliere l’attimo. Aveva 34 anni e 10 mesi: diciassette anni prima aveva vinto il torneo junior; battè Stan Smith nei quarti, Alex Metreveli in semifinale e Patrick Proisy in finale. Bingo. Nel 2009 è stato indotto nella Tennis Hall of Fame.

Juan Carlos Ferrero non ha saputo creare una versione 2.0 del suo tennis di pressione da fondo. Ma è diventato un abile businessman... 123


PSICOTeNNIS

psicopatologia del

torneo sociale NELLO SCORSO MESE DI MARZO, AL TENNIS CLUB DEI PIOPPI SI È DISPUTATO UNO DEI PIÙ INCREDIBILI MATCH DELLA STORIA. AD AFFRONTARSI, IL DOTTOR ATTILIO NOVARI DE SCOLA E PAOLO STRESSI, DETTO STRESS…

by Corrado Erba

il ustrazioni by Der Prinz Avvertenza: le vicende narrate non sono assolutamente casuali né immaginifiche, trattasi semplicemente di una

summa di episodi visti con questi occhi, durante un ventennio di tornei sociali. Un accrocchio meraviglioso e terribile di terra rosso sangue, periferie urbane, turbe psicotiche, traiettorie sghembe disegnate da menti tennistiche inconsapevolmente futuriste. Il giocatore medio di tennis, le vicende di un Ennio Minore meravigliosamente affrescate da un lontano Gianni Clerici, potrebbero essere oggetto di un tomo di psiconeurologia alto un metro. Quasi che tutti questi anni, spesi ad osservare una palla che faticosamente sorvola la rete, spinta più da speranzose pretese che da tecnica sopraffina, porti la gens tennisticus alla follia più pura.

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THE SOCIAL TENNIS


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orse molti di voi lo ignorano, ma la più grande partita di tutti i tempi non si è giocata al Moody Coliseum di Dallas il 14 maggio del 1972 tra Rod “Rocket” Laver e Ken Rosewall, ma durante un’anonima serata nel mese di marzo 2012, sul campo numero 3 del Tennis Club dei Pioppi: semifinale del torneo sociale tra il dottor Attilio Novari De Scola, eminente cardiologo e primario di Chirurgia Toracica presso l’Ospedale Pio Santissimo Sacramento, e Paolo Stressi, detto “Stress”, venditore di fuoristrada usate presso la concessionaria dei fratelli Stangalini a Cesano Boscone. L’epilogo è conosciuto, sebbene entrambe le parti non manchino di proclamarsi vincitrici, tra una pausa e l’altra delle cause intentate, sia in sede civile che penale. Permane tuttavia interessante, per chi non c’era, narrare le prodromiche situazioni che hanno portato a tale degenerazione, quasi che i due protagonisti, esperti in vittorie acrobaticamente ottenute mediante trucchi degni di Houdini, avessero cercato invano di superarsi per arrivare a compiere il delitto perfetto. Già all’uscita del tabellone, dopo un sorteggio compiuto dalla mano innocente del figlio sessenne del maestro Peppiniello, era apparso a tutti che lo scontro di titani fosse imminente. Questo perché Novari e Stressi, pur dividendo lo stesso spogliatoio dai tempi di Noè, si sono sempre stati cordialmente sulle balle. Solo le auree regole del caos e della cabala, hanno evitato che, per quasi 25 anni di tornei sociali, i due non si ritrovassero nello stesso lato del draw. I nostri, non potevano essere più identici nella loro diversità. Novari, un dinoccolato stempiato di nobile famiglia napoletana, ineffabile nella palla corta e nell’annettersi qualsivoglia palla caduta nei pressi delle righe emettendo flautati e beffardi: «Out, che peccato!». Stressi, di operaia progenie, ammesso all’esclusivo club per motivi misteriosi, impossibile pallettaro, profeta del pallonetto a campanile (e questo dice tutto), abilissimo sgraffignatore di quindici, preferibilmente decisivi, implacabile nell’identificare il proprio segno IN e l’altrui OUT, disegnando con la punta della sua Fischer cerchi sgraziati sulla terra rossa. L’antipatia reciproca e immediata ha portato i due a differenziarsi in ogni cosa, dalla collocazione nello spogliatoio (Novari Scola nella zona riservata ai possessori di armadietto, il cui canone di noleggio annuale equivale più o meno a quello di una Panda; Stressi nella zona più sfigata, vicino ai bagni, dove gli inservienti sono soliti ammonticchiare gli asciugamani bagnati), alla scelta delle compagne (Novari Scola pluridivorziato, arricchisce una tribù di allegre prostitute siberiane, Stressi è legato in maniera morbosa alla moglie, una moretta senza lode, campionessa mondiale di abbronzatura artificiale). Giocano anche insieme i due, ma solo rigorosamente gli amichevoli doppi del sabato pomeriggio. Novari Scola con l’amico Gigetto “er portiere”, al secolo Luigi Unno, che tutti conoscete come vecchia gloria di Cagliari, Atalanta e Brescia. Stressi con il compare Amato

Pecchia, detto “carte false” per la propensione al gioco del poker e altre pratiche poco diligenti. Passano le settimane (anche perché i sociali, tra assenze, ritiri, partite sospese a metà, durano mesi) ma i nostri, vinti agilmente i rispettivi turni preliminari, avanzano implacabili, percorrendo lo stesso lato del tabellone con la medesima traiettoria, dritta e ineluttabile, dello Stockholm e dell’Andrea Doria, prima del fatale rendez vous nel mezzo dell’Atlantico. Una volta che i due nomi, scritti con la calligrafica tremolante di Peppiniello, sono finalmente affiancati sul tabellone, iniziano le schermaglie. Novari chiede di non giocare durante il week end, che passa rigorosamente a Gstaad, né in coincidenza delle partite del Milan. Stressi, di rimando, informa di non potere giocare né il lunedì, né quando giocano l’Inter e il Trabzonspor, squadre di cui si dichiara tifosissimo. Rimangono il giovedì e il venerdì. Peppiniello fissa il match per venerdì alle 20 ma, dopo un frenetico giro di telefonate, Stressi sbotta: il venerdì non ne vuole sapere, è il giorno del riposo islamico, dice. E lui ha un amico barista egiziano: “Volete fargli un torto che poi gli islamici se la prendono?” chiosa beffardo. Solo le origine napoletane e dunque fataliste di Peppiniello gli impediscono un crollo nervoso. Guardando nella solitudine del suo ufficio le foto dei suoi idoli di gioventù, Totò e Massimo Cierro, Peppiniello scrive in bacheca sospirando: Semifinale Torneo Sociale, Giovedì ore 20, Stressi vs Novari De Scola, campo 3 (terra battuta). Passano pochi minuti ed arriva l’ennesima telefonata di Stressi. Lui che mai ci ha messo piede, vuole giocare sul campo in cemento. Novari, appena informato, di rimando, chiede a Peppiniello di preparare un campo in erba naturale, sul piazzale di fronte al parcheggio, a Milano, in febbraio! A fronte di un rifiuto categorico, la questione rimane aperta. La settimana precedente il match trascorre senza che sia passato un solo giorno nel quale i contendenti non abbiano minacciato il ritiro, lamentando malanni vari. Il bar del club diventa un allegro caravanserraglio. Una sera viene avvistato Novari che vaga con un gesso addosso, mentre Stressi replica il giorno dopo, arrivando al club su una sedia a rotelle, spinta da una badante polacca. Ma ecco la cronologia del pre-incontro del giovedì: Ore 19.20: entra la moglie di Stressi, si guarda in giro e annuncia fintamente distaccata : «Forse non viene, che ha da fare». Ore 19.42: entra Novari, si guarda in giro, finge un crampo alla coscia destra, mentre solleva un bicchiere di succo di frutta. Ore 19.59: Stressi non si vede, Novari sta per invocare lo scretch. Ore 20.01: Stressi entra fischiettando e sussurra soave: «Non era per le 21?» Ore 20.09: Novari, già cambiato, attende Stressi sulle scale

STRESSI, AMMESSO ALL’ESCLUSIVO CLUB PER MOTIVI MISTERIOSI, PROFETA DEL PALLONETTO A CAMPANILE, ABILISSIMO SGRAFFIGNATORE DI QUINDICI E IMPLACABILE NELL’IDENTIFICARE IL PROPRIO SEGNO «IN» E L’ALTRUI «OUT»... 126


GRAZIE A UNA LAUTA MANCIA DATA ALL’UOMO DEI CAMPI, STRESSI HA FATTO ALLAGARE IL CAMPO, CHE SI PRESENTA NELLE STESSE CONDIZIONI DEL TENNIS CLUB DI CIVIDALE DEL FRIULI DOPO L’ALLUVIONE DEL VAJONT... del bar. Un folto gruppo di soci fischietta, facendo finta di niente. Nei dintorni, “carte false” quota il ritiro di Stressi a 2. Ore 20.12: Stressi esce dallo spogliatoio, guarda Novari che lo aspetta impaziente sul vialetto di ingresso ai campi e dice: «Vado a fare un po di cyclette per scaldarmi», e si dirige in palestra. Finalmente, alle 20.41, i due percorrono il vialetto di ingresso ai campi. Novari gira a destra , verso i due campi in cemento, di puro riflesso, Stressi dirige a sinistra , verso i campi in terra. Si guardano in cagnesco e tirano dritti. Ore 20.46: i soci osservano incuriositi i due contendenti seduti sulla panchina del proprio campo di destinazione, ma nessuno dei due si sogna di alzarsi. Ore 20.52: Stressi chiama Novari al cellulare, minacciandolo pesantemente. Novari fa finta di non conoscerlo e urla: «Ma lei chi è? Si qualifichi». Ore 21.01: dietro mediazione del maestro Peppiniello e minaccia di squalifica, si decide di sorteggiare il campo. “Carte false” offre una moneta da cento lire per il sorteggio e dopo attenta disamina si scopre che la moneta ha due teste. Si procede alla sostituzione del prezioso tallero. Testa, si va sulla terra. Per dispetto, grazie a una lauta mancia data all’uomo dei campi, Stressi ha fatto allagare il campo, che si presenta nelle stesse condizioni del Tennis Club di Cividale del Friuli dopo l’alluvione del Vajont. «Non pensa sia un po’ molle?» chiede Novari dando del lei a Stressi. «Ma se è una lastra di cemento, Dottore», replica Stressi. Novari scrolla le spalle, quindi stappa un tubo di Tretorn Blu con lo stesso indice di durezza del diamante fede. Stressi replica estraendo tre Pirelli bianche del 1982. Litigio. Nuovo lancio di moneta. Vada per le Tretorn. Il palleggio dura 45 minuti. Stressi sporca apposta tutte le traiettorie, gioca a due all’ora e poi, quando Novari si affaccia a rete, gli spara addosso tre pallate terrificanti. «Serva pure lei» sogghigna Novari, «No, vai tu, caro», risponde Stressi, abbandonando il lei. Nuovo sorteggio. Dopo l’ennesima schermaglia («Avevi detto sopra, ma sopra del tuo fondello è il mio sotto»), si comincia. Novari smette i panni della tuta con fare teatrale: indossa un completo candido con foglie d’oro, cucito appositamente da Caraceni, scarpe da tennis fatte a mano con le iniziali sulla suola, racchette personalizzate dallo stesso tecnico di Roger Federer, incordate con budello di toro spagnolo. Stressi invece sfoggia una t-shirt con la scritta «Chi ama brucia», calzoncini da pallavolo con finta ginocchiera,

pantaloni del pigiama come tuta e un polsino delle Fila, che dice avergli regalato Bjorn Borg alla Ramazzotti Cup del 1978. Le racchette Fischer, modello Stan Smith, sono custodite in un sacchetto dell’Esselunga. Stressi fa per servire ma, quando la palla è già alta sulla sua testa, squilla il cellulare di Novari. «Scusa, caro» dice lui. Quindi si mette a dettare la diagnosi di una paroscopia, per una cinquantenne di Novi Ligure. Dopo 31 minuti finalmente si rialza. Ore 22.03: first serve!

ePILOGO Inutile narrare le vicende del match che sono di pubblico dominio. Le poche immagini sgranate riprese da un telefonino che immortalano Stressi intento a spaccare il fusto della sua Fischer a pochi centimetri dalla faccia di Novari, il quale, inginocchiato sulla terra umida, urla disperato: «Chiamate la Polizia che mi GIUSTIZIA», sono state per settimane le piu cliccate su You Tube. Novari De Scola ha querelato in sede penale Stressi per aggressione, turpiloquio e lesioni di primo grado; Stressi a sua volta ha controquerelato Novari in sede civile per truffa (!), malversazione e danneggiamento (gli ha chiesto anche i danni per la rottura della racchetta). Solo i tempi bibilici della giustiza hanno impedito si adivenisse a qualsivoglia grado di giudizio. Il club si è diviso in due partiti: una mano ignota ha appeso in bacheca una foto di Novari De Scola con la scritta «boia», mentre Peppiniello ha ricevuto svariate telefonate mute sul telefono di casa. Dopo turbolenta riunione, il consiglio del club ha espulso Stressi e squalificato Novari De Scola da ogni torneo. «Questa è la giustizia dei ricchi» ha tuonato Stressi, picchettando l’ingresso del club con alcuni amici di Democrazia Proletaria. Il fatuo momento di (dubbia) popolarità, ha portato Stressi a lasciare il lavoro di rappresentante d’auto per apparire all’Isola dei Famosi (dove è stato subito eliminato, per aver cercato di truccare il gioco dell’ Immunità). Novari De Scola invece ha pascolato per vari salottini tv di tarda serata, quindi si è inventato opinionista calcistico in TV, facendo da spalla all’amico Gigetto. Il maestro Peppiniello ha cancellato a tempo indeterminato ogni torneo sociale.

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GIOCATORI

NEWS

TEST ATTREZZATURA

TECNICA

TennisBest.com FITNESS

ALIMENTAZIONE

TURISMO


TEST

VOGLIA DI PARIGI

GLI APPASSIONATI DI TENNIS SONO UN PO’ FETICISTI. Già, perché se andate in uno qualsiasi dei tornei dello Slam, qual è il prodotto di merchandising più venduto? La t-shirt ufficiale del torneo? Il capppellino o l’ombrello, che a Londra e Parigi non si sa mai? Sbagliato. Ovunque è sempre l’asciugamano (se intriso di sudore di Nadal, viene quotato a prezzi folli). Consci di tutto ciò, gli organizzatori si comportano di conseguenza. Quest’anno, per esempio, quello di Parigi è particolarmente bello. I più fortunati potranno acquistarlo in loco; per gli altri, la comodità del web, cliccando sullo store ufficiale di Tennis Warehouse Europe. www.tenniswarehouse-europe.com

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QUALI SONO I PRODOTTI TOP DEL MERCATO? QUALI LE RACCHETTE, SCARPE, PALLE, CORDE E MARCHI DI ABBIGLIAMENTO CHE RISCUOTONO IL MAGGIOR SUCCESSO? LO ABBIAMO CHIESTO A 40 TOP NEGOZIANTI ITALIANI CHE TASTANO QUOTIDIANAMENTE IL POLSO DEL MERCATO E DI QUELLE CHE SONO LE RICHIESTE E LE SCELTE DEGLI APPASSIONATI. TANTE LE CONFERME RISPETTO ALLE ASPETTATIVE MA NON MANCANO ALCUNE SORPRESE E SPUNTI DI RIFLESSIONE. ECCO, CATEGORIA PER CATEGORIA, TUTTI I RISULTATI

LA NOSTRA GIURIA Convinti che la qualità di una votazione dipenda dalla qualità della giuria, ci siamo rivolti (come già l'anno scorso) a chi i prodotti non solo li conosce ma ogni giorno li vende e ha quindi un polso del mercato quantomai preciso. Fra i negozianti italiani specializzati, ne abbiamo scelti 40 che rappresentano una base solida per poter trarre delle conclusioni precise e attendibili. Ecco chi sono stati i nostri compgni di viaggio. Decathlon, Tennis Warehouse Euope, Ca' Sport Rivarolo Canavese, Doctor Tennis Milano, Tennisway Arese, Nake Sport Milano, Punto Sport Bologna,Tennis Mania Nova Milanese, Sport In Como, La Griffe Milano,TennisCorner Forte dei Marmi, Go4Tennis Torino, Il Podio Sport Cuneo, Match Point Cesena, Mauro Sport Bergamo,A-Tennis Lissone,Albero dello Sport Lucreazia, Alfano Palermo, Angelo Sport Piacenza, Banny Sport Moncalieri, Tennis Service Torino, Bartoni Roma, Tennis House Roma, Tennis World Napoli, Tennis World Roma, Favaron Sport Volpiano, Crevani Sport Tortona, Barchiesi Sport Matelica, Boreggio Sport Rovigo, Merighi Sport Verona, Vidussi Sport Trieste, BT Sporting Shop Caserta, Danieli Sport Foggia, Doctor Tennis Montecatini, Omnisport Messina, Paradisi Sport Termoli, Pietri Sport Modena, Tennis Point Verona, Tierre Sport Sarzana,Vidussi Sport Cividale del Friuli e Tennis Lab Firenze


2012

BABOLAT

Come l'anno scorso, e come da pronostico, stravince la Babolat Pure Drive GT, la racchetta simbolo del nuovo millennio, quest'anno uscita in versione 2012, un modello che ha migliorato la fase di controllo, considerando che la potenza non ha mai fatto difetto. E i top negozianti italiani hanno premiato la continua evoluzione, tanto che in oltre il 50% dei casi, l'hanno piazzata al primo posto delle loro preferenze. Il distacco finale è perfino imbarazzante, visto che doppia (e di gran lunga) il punteggio ottenuto dalla seconda classificata. Ecco, e qui cominciano le novità, perché l'altra bestseller di casa Babolat, l'AeroPro Drive GT di Rafael Nadal (e Francesca Schiavone) è scesa di un gradino, superata dalla nuova Wilson BLX Pro Staff 6.1 da 95 pollici quadrati. In sostanza, la versione un filo più umana della "Federer". Restiamo convinti che si tratti comunque di una racchetta piuttosto complicata da gestire e quindi con un target limitato ad una certa fascia di giocatori agonisti. Tuttavia, se la diffusione è questa, testimoniata dai negozianti italiani, vuol dire che il fascino di Roger Federer trascende perfino i discorsi tecnici. A chiudere la top 5, due modelli Head, la Radical Pro e la Speed 300 grammi. La prima è un modello rinnovato nel 2012, la seconda fa parte della linea "Djokovic". In generale, Head ha portato a punti ben nove modelli differenti, contro gli otto di Wilson e i sei di Babolat ma, anche volendo sommare tutti i punti conquistati dal singolo marchio, Babolat resterebbe in testa (193 punti) davanti a Wilson (114) e Head (99). Impressionante il distacco inflitto agli altri marchi, tra i quali spicca, al quarto posto, Pro Kennex, grazie soprattutto alla Ki15 da 300 grammi. Deludono invece Prince e soprattutto Dunlop, sostanzialmente ignorata.

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BABOLAT PURE DRIVE GT 136 PUNTI

WILSON BLX PRO STAFF 6.1 95 59 PUNTI

BABOLAT AEROPRO DRIVE GT 54 PUNTI

HEAD YOUTEK IG RADICAL PRO 34 PUNTI

HEAD YOUTEK IG SPEED 300 27 PUNTI

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PURE DRIVE GT


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ASICS

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GEL RESOLUTION 4

Come nel caso della Babolat Pure Drive GT, anche per la Asics Gel Resolution si tratta di una conferma scontata. Considerata di gran lunga la miglior scarpa dal tennis sul mercato (e perfino migliorata nei piccoli difetti che aveva mostrato nella versione precedente), il marchio giapponese ha semplicemente cambiato la sorella minore che l'accompagna. L'introduzione della scarpa superleggera, la Gel Solution, ha infatti scansato la Gel Challenger 8. Tuttavia, i primi due posti sono rimasti in casa Asics, con la Babolat Propulse 3 a chiudere il podio (ma siamo convinti che in casa Babolat siano più che soddisfatti del risultato raggiunto, visto che i oprimi modelli di qualche anno fa erano tutt'altro che soddisfacenti). Nella top 5 trova spazio anche il modello Lunar Vapor della Nike, giunto alla sua nona versione, studiata questa volta nientemeno che da Tinker Hatfield, il creatore di tante Air Jordan, con la consulenza di Roger Federer. Non male come tester! Comunque sorprende come un colosso come Nike non riesca ad avvicinare (almeno in Italia) i top modelli Asics nelle preferenze dei negozianti e degli appassionati. Infine, al quinto posto, un modello ormai classico come la Lotto Speed Ultra III nella versione da terra battuta (nelle pagine seguenti potete trovare anche il nostro test in campo). La Speed ha battuto per mezza lunghezza la AirCourt Ballistec 4,3 della Nike, la scarpa utilizzata da Rafael Nadal. Considerato l'importanza di trovare la scarpa ideale per il proprio piede, nemmeno l'appeal di Roger e Rafa possono compiere miracoli. Delude Adidas, rimasta fuori dalla top 5 con entrambi i modelli di punta, la barricade 7.0 e la Feather, mentre comincia a farsi sentire il marchio K-Swiss, appena rientrato sul mercato italiano e pronto a farsi largo piuttosto rapidamente.

ASICS GEL RESOLUTION 4 107 PUNTI

ASICS GEL SOLUTION 61 PUNTI

BABOLAT PROPULSE 3 55 PUNTI

NIKE LUNAR VAPOR 9 TOUR 51 PUNTI

LOTTO RAPTOR ULTRA III CLAY 35 PUNTI

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2012

DUNLOP

Difficile che in questa categoria ci siano degli stravolgimenti perché da qualche stagione non ci sono grandi novità. Essendo forse il settore dove è più difficile penetrare per un nuovo marchio (e anche il meno redditizio perché è quello con i margini di guadagno più bassi), i modelli di punta restano da anni sempre gli stessi. Tra questi, si conferma leader assoluto Dunlop con la versione All Court che, come suggerisce il nome, è quella col miglior compromesso rispetto alla superficie di gioco.Alla fine ha totalizzato un 25% di voti in più rispetto alla seconda classificata, la Babolat nel modello Team e (sostanzialmente a pari merito) la Head ATP che nel corso delle varie stagioni ha sempre migliorato le sue prestazioni. Dietro migliora il suo rendimento la Babolat Roland Garros, palla studiata appositamente per il torneo parigino e che, per volere degli organizzatori, ha caratteristiche ben precise; un modello che vince (e non di poco) il duello a distanza con l'altra palla specifica per terra battuta, la Dunlop Fort Clay Court che invece si utilizza negli altri appuntamenti clou della stagione professionistica sul rosso, a partire dai nostri Campionati Internazionali al Foro Italico di Roma. Nel nostro ranking ha totalizzato un 20% di voti in meno rispetto alla Roland Garros. Tiene bene invece la Wilson US Open, certamente un'ottima palla che paga... il nome. In Italia si gioca ancora prevalentemente sulla terra battuta ed è chiaro che il nome US Open riporta alla mente i campi in cemento americano. Va sottolineato che hanno ricevuto almeno un voto 15 modelli e nove marchi differenti, il numero più basso tra le varie categorie.

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DUNLOP FORT ALL COURT 100 PUNTI

BABOLAT TEAM 74 PUNTI

HEAD ATP 70 PUNTI

BABOLAT ROLAND GARROS 56 PUNTI

WILSON US OPEN 54 PUNTI

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FORT ALL COURT


2012

BABOLAT

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Non ci sorprende ma un po' ci dispiace. Perché si conferma lo strapotere delle corde monofilamento e, di conseguenza, di scelte non sempre appropriate da parte dell'utenza finale (probabilmente non sempre consigliata al meglio). Oh, niente contro le corde monofilamento, tanto più che ora ve ne sono di tantissimi modelli differenti, alcuni decisamente più morbidi rispetto alle prime versioni. Tuttavia, considerando che sono pur sempre corde adatte a giocatori agonisti, si conferma che spesso l'appassionato italiano medio sceglie prodotti troppo difficili per il suo tipo di gioco e che soprattutto, il giocatore di club non cambia il motore della racchetta (la corda appunto) abbastanza di frequente, lasciando che siano appunto i giocatore agonisti "a fare il mercato". Un mercato che offre una gamma di scelta quantomai ampia (sono stati ben 13 i marchi votati per un totale di 30 (!) modelli differenti, e dove si conferma lo strapotere di Rafael Nadal che ha portato ancora una volta al successo la sua Babolat RPM Blast. Un'ottima corda, senza alcun dubbio, ma che a nostro avviso non presenta delle particolarità straordinarie o comunque tali da determinare un simile risultato. Vien dunque facile pensare che la forza del testimonial sia decisiva. La RPM Blast ha difatti raccolto circa il 20% di voti in più rispetto alla Luxilon Alu Power. Insieme, bastano a fare la metà del mercato... Alle loro spalle, Tecnifibre si conferma un marchio di prestigio in questo specifico settore. Sempre ri-

BABOLAT RPM BLAST 102 PUNTI

LUXILON ALU POWER 82 PUNTI

TECNIFIBRE X-ONE BIPHASE 41 PUNTI

TECNIFIBRE BLACK CODE 32 PUNTI

BABOLAT VS TOUCH 30 PUNTI

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RPM BLAST

conosciuta per la qualità dei suoi multifilamento, si piazza sul podio con il suo X-One Biphase, che comunque ha conquistato esattamente la metà dei punti dell'Alu Power. Sempre di casa Tecnifibre la quarta corda classificata (il Black Code). In generale i prodotti Tecnifibre sono tutt'altro che malvagi (comprese racchette e palle), ma nelle corde vanta una tradizione che le consente una maggior penetrazione nel mercato. A chiudere la top 5, la corda per eccellenza, il budello Babolat nella versione VS Touch. Chiunque abbia avuto la possibilità di visitare il laboratorio di Ploermel, dove vengono prodotte le corde in budello, si sarà reso conto della qualità della lavorazione; soprattutto se poi si visita un laboratorio dove vengono prodotti i monofili, tipologia di corda che ha sfondato grazie alle nuove racchette superpotenti e superperformanti che hanno bisogno di corde più rigide per controllare tanta potenza. Un tempo, senza dover tornare al legno, giocare con un monofilo sarebbe stato impensabile. Ma, fortunatamente, l'evoluzione non si è fermata, nemmeno nel mondo delle corde da tennis.Dietro, spinge la Head Sonic Pro, insieme a tantissimi marchi e modelli, spesso di nicchia (Starburn, Solinco, MSV) ma che stanno conquistando la loro fetta di mercato, qualche volta anche grazie a vendita diretta e on-line. Deludono invece le incordature ibride, quasi ignorate dalla nostra giuria. A dispetto di quanto avviene a livello professionistico.

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2012

NIKE

Nonostante sia indubbio che la qualità del prodotto non sia eccelsa (avete notato quante volte lo Swoosh si stacca dalle maglie, anche quelle di Federer da 80 e passa euro cadauna?), il marchio Nike resta semplicemente inarrivabile. L'appeal è sempre straordinario, i testimonial il top che può offrire il mondo del tennis (nonostante siano state smentite le voci di una possibile acquisizione di Novak Djokovic). Il "baffo americano" ha nuovamente staccato tutti, con Adidas che riesce in qualche modo a conservare la seconda posizione, traguardo minimo. Certo, se in campo femminile non mancano le testimonial di grido, in campo maschile Andy Murray e Jo-Wilfried Tsonga non bastano contro la corazzata Nike. Comunque sia, resta ben staccata la terza classificata, Babolat. Il marchio francese si conferma il più prolifico tra quelli essenzialmente tennistici, visto che domina tra le racchette, eccelle nelle corde e si difende alla grande anche nell'abbigliamento e nelle scarpe, nonostante una concorrenza spietata. Chapeau. Al quarto posto, Lacoste, un marchio che meriterebbe ben altro posizionamento. Tuttavia, in Italia paga il fatto che il suo distributore non è molto impegnato nel mondo del tennis. Se a questo aggiungete che un completo costicchia non poco, ed ecco che la diffusione (grazie a nuove strategie commerciali) aumenta ma non può ancora raggiungere i livelli di Nike e Adidas, nonostante un prodotto eccellente, per qualità e stile. Chiude la top 5 Sergio Tacchini che sta cercando una difficile risalita e che ha conquistato questa posizione grazie essenzialmente alla sponsorizzazione del nuovo numero uno del mondo, Novak Djokovic.

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NIKE 125 PUNTI

ADIDAS 90 PUNTI

BABOLAT 63 PUNTI

LACOSTE 41 PUNTI

SERGIO TACCHINI 36 PUNTI

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E TU, DI CHE PLANTARE SEI? I PIEDI SONO LA PRINCIPALE CAUSA INFORTUNISTICA NEL TENNIS. EPPURE, LA LORO CURA È SPESSO TRASCURATA. IL DOTT. LUCA AVAGNINA CI SPIEGA I RISCHI DEL CASO DI GIOVANNI PAOLETTI 138


L'input ce lo ha dato Fabio Fognini: «Volete conoscere come prevenire i problemi ai piedi? Andate da Luca, è il massimo esperto del settore. Garantisco io». Luca Avagnina ama definirsi un podoiatra («Quando dici podologo, la gente pensa che facciamo pedicure e togliamo i calli») e ha risolto i (tanti) problemi ai piedi di sportivi famosi. Tra i quali tanti tennisti: oltre a Fognini, anche Davide Sanguinetti e Mara Santangelo, per citarne un paio. «Il tennis è uno sport che sollecita molto gli arti inferiori - attacca il dott.Avagnina -, ma troppo spesso i pericoli vengono trascurati e senza un'adeguata opera di prevenzione, si rischia di intervenire tardi. Ricordo che l'ex coach di Fognini, Leonardo Caperchi, me lo portava fin da ragazzino,

non perché avesse male, ma perché gli infortuni voleva prevenirli». Ok, capito, ma lasciando perdere i professionisti, di cosa si devono preoccupare i giocatori di club? "Un atleta, anche se non professionista, è differente dalla persona comune, per i carichi che impone al suo fisico. Un esempio automobilistico per chiarire: se giriamo a 50 km/h con una Panda in città, anche se non abbiamo tutti i parametri a posto, comunque non corriamo grossi rischi. Se già cominciamo a guidare una macchina di cilindrata maggiore in autostrada la faccenda diventa più complicata; se poi pensiamo ad una Formula Uno senza un assetto perfettamente in ordine, siamo sicuri di andare a sbattere.

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Giocare senza plantare, vuol dire cercare di farsi male

Ecco, lo stesso accade con i nostri piedi. Chiaro che le esigenze di un atleta professionista sono diverse, ma anche quelle del giocatore di club sono differenti dal capoufficio che non svolge nessuna attività sportiva». Quindi curare i piedi è un aspetto fondamentale per la salute dell'atleta, e in particolare del tennista: «Verissimo - continua Avagnina - perché ci sono sport più semplici del tennis per i nostri piedi, in quanto il tennis obbliga a spostamenti non simmetrici e non ripetitivi. Non a caso piede e caviglia sono i traumi più frequenti, ma tanti altri infortuni sono determinati dai piedi, da un eccesso di pronazione o di supinazione. Si parla spesso di fascite plantare, termine molto generico, ma le patologie possibili sono tantissime. E poi, che pensate, magari avete male alla schiena ma il problema da risolvere sta nel piede. Ormai è stato appurato che sostanzialmente tutti questi tipi di patologie sono determinate dall'assetto che si crea quando si appoggia il piede per terra. E dopotutto, il piede è l'unico arto che tocca il terreno, giusto?». Indubbiamente. Ma all'atleta medio, più che la cause di un fastidio o di un infortunio, interessano i rimedi. «Premesso che ogni caso va valutato singolarmente, credo che un atleta, anche di medio livello, che svolge attività sportiva in maniera continuativa e non si avvale di un plantare specifico nella scarpa, sta solo cercando di farsi male». Senza nemmeno troppo aspettare, compare la parola magica: plantare. Difficile trovare ancora un singolo atleta professionista che non ne utilizzi uno, quando addirittura la scarpa non è studiata appositamente per le esigenze di un top player (avete presente le ultime Nike Vapor Tour per le quali la Nike ha seguito pedissequamente le richieste di un certo Roger Federer?). «Mi sorprenderebbe il contrario - dice ancora Avagnina -. Però anche in questo caso, serve un'adeguata preparazione perché il plantare giusto può risolvere problemi annosi, ma uno

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sbagliato aumenta i danni. E io, mi creda, nel corso della mia carriera ne ho visti di plantari fatti male!». Ed eccolo snocciolare una casistica importante: «Nel tennis ho lavorato con tanti giocatori ma mi piace ricordare un paio di episodi: con Mara Santangelo ho lavorato tanti anni: aveva dei piedi disastrosi ma siamo riusciti a tenerla in pista a lungo. Poi ha deciso di fare da sé, e dopo essere stata costretta ad un tour de force sull'erba di Wimbledon, si è spaccata definitivamente. E poi la Serra Zanetti: le ho preparato un plantare specifico e ricordo che mi ha chiamato in lacrime: 'Dottore, ma io non ho più dolore e potrei tornare a giocare anche domani'.Talvolta ci sono casi che lasciano sorpreso anche me!». Quel che appare chiaro però, è che bisogna trovare la soluzione (e quindi il plantare) più appropriato. Il dottor Avagnina ci conduce verso i laboratori dove appositi strumenti verificano il tipo di appoggio, di corsa, di pronazione eccetera eccetera, prima che l'esperienza medica dia la diagnosi definitiva. A quel punto, ogni singolo plantare viene lavorato in maniera personalizzata a seconda delle esigenze dell'atleta. «Beh, mica puoi fare lo stesso plantare per una Church o una Nike!». Già, perché oltre al piede, bisogna fare attenzione anche alla scarpa che si sceglie: «Io consiglio sempre una scarpa neutra. Evitate i modelli consigliati solo per pronatori o solo per supinatori. Certi movimenti possono essere corretti solo da un plantare studiato apposta». È d'accordo anche un suo collega, il dott. Mattia Luca Castellani: «Nel tennis, le gambe devono affrontare movimenti rapidi in ogni direzione. La complessità e la completezza dei movimenti consente di potenziare il tono muscolare generale e, armonicamente, di sviluppare agilità e scioltezza. Però è indispensabile possedere un ottimo stato di salute generale e, in particolare, una buona condizione delle articolazioni e dei muscoli. Si stima ap-


SOLETTE NOENE

MODELLO

BY ANDREAS SEPPI Ho cominciato ad aver problemi ai piedi dopo un infortunio che ho patito l'anno scorso durante un torneo negli Stati Uniti e me lo sono trascinato dietro per un certo periodo. In più, va considerata l'usura dopo 20 anni di gioco di cui gli ultimi 10 direi ad un livello piuttosto intenso. Inoltre, si gioca sempre più spesso su superfici dure e questo non aiuta certamente a prevenire i dolori ai piedi. Inoltre, medici e podologi mi hanno spiegato che anche altri generi di fastidi alla schiena, alle ginocchia, eccetera eccetera, possono dipendere da un problema ai piedi. Per questo mi sono deciso a intervenire in maniera importante. Da diversi anni utilizzavo dei plantari specifici, studiati e prodotti in base alle mie esigenze, alla forma del piede, al modo in cui lo appoggio al terreno. Però non mi bastava più e allora ho provato anche le solette Noene. Me ne ave-

prossimativamente che un individuo camminando, pesi tre volte tanto il suo reale peso corporeo. Pensate cosa succede quando si corre o si salta. L’impatto del piede col terreno si trasforma così in energia negativa che attraversa tutto il corpo, traumatizzando la struttura scheletrica, muscolare e tendinea. Sono tanti piccoli microtraumi che nel tempo, se trascurati, si trasformano in traumi veri e propri». Per questo il dott. Castellani consiglia le solette Noene perché il materiale anti-vibrazioni riduce questi shock da impatto. Conferma anche il dott. Avagnina con una precisazione: «Tutto vero con un'eccezione: se il piede soffre di eccessivo lassismo, una ulteriore dose di ammortizzazione non aiuta». Casi rari perché i tennisti, soprattutto se chiamati a giocare sul sintetico, hanno solitamente il problema di appoggi troppo duri e rigidi. Inoltre, la situazione va valutata non solo con test statici, ma soprattutto in dinamica. E qui nascono i problemi, perché il movi-

vano parlato bene ma sinceramente non credevo potessero funzionare in maniera così evidente. Giocando su terreni duri, soffrivo gli impatti molto rigidi del piede e avevo bisogno di una maggiore (e migliore) ammortizzazione. Ecco, è per questo che ora infilo sempre una soletta Noene nelle mie scarpe perché il loro materiale aiuta ad ammortizzare meglio gli impatti. E non solo quando gioco a tennis. Ormai le uso (magari di tipologia differente) anche nelle scarpe casual e, ultima trovata, mi hanno appena fornito una coppia di solette adatte ai viaggi aerei perché un altro materiale inserito (Nexus n.d.r.) aiuta la circolazione del sangue, impedendo al piede di gonfiarsi nelle trasferte più lunghe. Unico problema di queste solette: pesto molto sul terreno quando mi sposto e... ne faccio fuori tante. Però me ne hanno lasciate parecchie...

mento del piede è talmente complicato, che diventa sostanzialmente impossibile verificare ogni singolo movimento, nonostante plantari "intelligenti" che rilevano determinati gesti in dinamica e ancor di più nel tenni, sport completo ma così particolare, dove gli spostamenti possono essere di qualsiasi tipo. «Tuttavia - ci conforta Avagnina - una volta stabilito che il piede è stato rimesso in assetto corretto nei movimenti più semplici, è stimato che dovrebbe trovare i corretti adattamenti anche quando è chiamato a movimenti più complessi». Abbiamo dunque appurato che il mal di schiena, il mal di gambe, i dolori alle ginocchia, possono tutti dipendere dal piede. Che va coccolato, seguito e curato a dovere. Sapendo che nella maggior parte dei casi è sufficiente un plantare. Per questo, sul prossimo numero troverete un servizio completo su come si realizza un plantare ad hoc.

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Test

RAPTOR ULTRA III SPEED

LOTTO Quando una linea riscuote i favori del pubblico, è ben difficile che venga stravolta. Semplicemente, si evolve, un poco per volta. Accade con tanti modelli, se è vero che siamo alla settima versione delle Barricade, alla nona delle Vapor, alla quarta delle Resolution. E così è per la nuova versione della Raptor, top di gamma in casa Lotto. Partiamo: quel che conta, anzi, ciò che è decisivo nella scelta, è la prima calzata che risulta subito confortevole. Forse un filo stretta per chi ha la pianta larga. Rispetto alle versioni precedenti pare più morbida, meno

“carro armato”, pur avendo mantenuto tutte le tecnologie del caso e avendo nella protezione del piede, nella stabilità degli spostamenti e nella restituzione dell’energia dopo la rullata le sue principali caratteristiche. Insomma, non è una scarpa da running prestata al tennis (leggi Vapor Federer) ma trova i giusti equilibri tra leggerezza, comfort e sostegno. Da non sottovalutare la questione look, talvolta decisiva quanto la prima calzata: anche qui, un giusto mix tra linea classica impreziosita da inserti techno., per non scontentare nessuno.


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Comoda, non troppo rigida benché si avverta immediatamente un ottimo supporto del piede che risulta ben fasciato. Molto stabile nei cambi di direzione, gli impatti col terreno non risultano traumatici. Ideale per la terra rossa, la calzata risulta un filino stretta.

LORENZO, 40 ANNI CLASSIFICA 3.5

Il sistema Syn-Pulse sfrutta unità ellittiche poste nell'intersuola che forniscono un ammortizzazione graduale all'impatto col terreno, ma soprattutto un ritorno di energia al momento dello scatto.

on court

Premessa: per me la scarpa deve rendere sicuri gli spostamenti. Poi va bene che sia morbida, stilosa, ammortizzante; ma soprattutto deve essere stabile. E questa Raptor è davvero stabile, in ogni tipo di spostamento e con buon grip nella scivolata.

PAOLO, 54 ANNI CLASSIFICA 4.1

Ottimi compromessi Il sistema Trusstic tra una tomaia offre un ottimo morbida e un supporto mediale, peso mentre complessivo la gomma Ahar è garanzia non esagerato, di durata. Ildi e la capacità battistrada a spina ammortizzare gli di pesce modifi cato impatti, avere si adatta alleuna varie superfi ci di gioco. buona trazione sul terreno e propulsione negli scatti. Ecco, ci si muove sicuri anche quando si "pesta" molto sul campo.

Ma, le trovo ancora troppo old style. Tecnicamente, niente da eccepire perché sono comode, sicure negli spostamenti, stabili nei cambi di direzione. Però vuoi mettere infilarti le scarpe di Roger o Rafael? Lotto dovrebbe fare come nel calcio dove si sono inventati la scarpa senza lacci; così, per stupire un po'.

VALERIO, 25 ANNI CLASSIFICA 4.1

Tomaia in microfibra, sul tallone è posto un rinforzo in materiale termoplastico per fornire maggior sostegno, mentre il sistema Side Stability Support è integrato nella tomaia per controllare meglio i movimenti laterali.

ROBERTO, 36 ANNI CLASSIFICA 3.4

Il disegno a spina di pesce è ideale per la terra battuta. Da notare il Puntoflex che permette al piede di flettere correttamente e, di conseguenza, fornisce un ottimo ritorno elastico.


Andreas Seppi è l'attuale testimonial principale dell'azienda di Taiwan. Utilizza da oltre sei anni una racchetta Pro Kennex e ha certamente aiutato il marchio a (ri)affermarsi in Italia


IN ITALIA RAPPRESENTA IL QUARTO POTERE, DIETRO LE SUPERPOTENZE BABOLAT, HEAD E WILSON. UNA STORIA BELLISSIMA, COMINCIATA DA UNA FALEGNAMERIA DI TAIWAN E UN NEGOZIO DI CACCIA E PESCA A BRESCIA


DI LORENZO CAZZANIGA

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auro Monesi è un tipo bizzarro, come chiunque decida di partire da Brescia e arrivare fino in India, beninteso, non con un comodo A380, ma con una Aermacchi AlaVerde, una moto 250. Due mesi di viaggio, e poco meno gli sono serviti per spingersi fino in Kuwait e in Iraq, questa volta a borda di una R4, non a caccia di petrolio ma di avventura. La stessa che lo ha spinto nella seconda metà degli anni 70 in una falegnameria di Taiwan. Lavorava per la Tonnolini Sport, un negozio che distribuiva marchi di caccia e pesca. Per sbarcare a Taiwan, si servì di una raccomandazione del Vaticano, e lì gli consigliarono di andare a visitare la fabbrica di questo Kunnan Lo. Fu la sua fortuna. Avvistato il business, chiese se potevano fare delle belle copie di un paio di racchette da tennis: la Maxima Torneo e la Pancho Gonzalez, che andavano tanto di moda. Presto accontentato, cominciò a sfruttare la possibilità: «Nel 1978 avevamo cominciato a fornire la grande distribuzione. In Italia era arrivata la Metro e nei supermercati trovavi ancora racchette e palline - dice Monesi -. Ricordo che, da soli, vendemmo 12.000 Maxima Meteor». Ma soprattutto si evolveva il rapporto con la Kunnan che, per darsi un appeal molto americano, trasformò il marchio in Kennedy. Almeno fin quando gli scandali che coinvolsero Ted (il fratello di John Fitzgerald) non crearono un'immagine alquanto negativa su quel nome, al punto che si preferì cambiarlo in Kennex. La falegnameria di Taiwan nel frattempo, era cresciuta. Kunnan, che in realtà era di origine giapponese,vantava amicizie importanti, in particolare all'interno della famiglia Dupont che spesso gli consentiva di studiare nuovi materiali e relative applicazioni. Fu proprio il team Kunnan-Dupont a scoprire che con la grafite si potevano produrre racchette meravigliose: «Le racchette di legno si producevano con legno di frassino o acero, talvolta con un'aggiunta di fibra di vetro. Ma con la grafite cambiava totalmente la storia: nel 1979 abbiamo tirato fuori la prima racchetta a cuore aperto e in 100% grafite: la Black Ace». Monesi e il suo socio, Walter Tonnolini, non si fecero scappare l'occasione e presero la distribuzione in Italia e in Europa. I primi risultati furono decisamente incoraggianti e soprattutto altri marchi cominciarono a chiedere di produrre all'interno della fabbrica Kennex a Taiwan: «Head a parte, ci sono passate un po' tutte. Ti ricordi della Prince Woody? Beh, facevamo noi anche quella». Anche in Italia le cose cominciano a girare per il verso giusto: tra il 1979 e il 1981, alcuni dei migliori junior azzurri (Paolo Canè, Simone Colombo, Alberto Paris, Simone Ercoli) giocano con le racchette di un marchio che fino a 122

qualche anno prima nemmeno esisteva. Un marchio destinato a cambiare nuovamente nome, visto che il buon Kunnan non si era preoccupato di registrarlo in tutti i Paesi, e soprattutto negli Stati Uniti e in Giappone. Da qui è nata l'attuale Pro Kennex: «Che tempi - ricorda Monesi -. Eravamo agli inizi ma, riguardando gli archivi, nel 1982 vendevamo 28.000 Pro Kennex in Italia. Dieci anni dopo, fatturavamo 8 miliardi e mezzo di vecchie lire». Chiaro che un simile business non poteva essere più gestito tramite un negozio. Nel 1983 è dunque stata creata la Pro Kennex Italy. I soci erano sempre quelli, Walter Tonnolini (poi scomparso nel 2006) e Mauro Monesi, il quale dal 1994 è diventato socio di maggioranza, prima di dividere le quote col fratello Giovanni. «Erano anni eroici - continua Monesi -. In Italia eravamo diventati il terzo marchio dopo Head e Wilson, perché Prince e Maxima erano crollate, e Babolat doveva ancora arrivare. Figurarsi che con Carlo Della Vida sponsorizzavamo le varie Cuore Cup di Milano e perfino le esibizioni degli Harlem Globetrotters: loro giocavano a basket, Enrico Albertosi si metteva a parare i rigori davanti a porte di calcio improvvisate e noi facevamo giocare a tennis i ragazzini. Che serate!». Già, che serate. Ma la mazzata era dietro l'angolo. Se la CIFA (una sorte di AssoSport ante-litteram) aveva stimato un sell-in nei negozi di un milione di racchette nel solo 1991, qualche anno dopo il crollo fu totale. «Da un milione di racchette, il mercato precipitò in un amen a 190.000». Il guaio è che non erano problemi solo italiani. La crisi aveva colpito tutti i paesi e Pro Kennex, che produceva per tantissimi marchi, finì in ginocchio. «Una sera gli uffici di Taiwan ricevettero una telefonata dagli Stati uniti - ricorda Monesi -: erano i dirigenti Prince che annullavano un ordine di un milione di racchette!». Nel 1994 il fallimento della Pro Kennex fu inevitabile. Kunnan Lo, che possedeva porto, aeroporto e svariati hotel e che faceva parte del Kuomintang, in sostanza il governo taiwanese, cercò di evitare il default. Ma non quello della Pro Kennex, ma dell'intero Paese. Finì col perdere una cifra stimata tra i 120 e i 130 miliardi di dollari. Una sovvenzione statale gli consentì di riaprire nel 1996. Malauguratamente, si innamorò dei computer. Fondò la Arche e come simbolo scelse il doppio ponte di McDonald's, pagando le relative royalties. «Anch'io fui costretto a distribuire il marchio in Italia: ovviamente persi tutti i soldi che investii». A Kunnan andò anche peggio. Solo le buone conoscenze e i meriti precedenti gli hanno permettono di vivere in un convento, lontano dal business ma anche dai guai. Nel frattempo, il marchio Pro Kennex finì nelle mani del governo che lo affidò a Peter Liu, un imprenditore taiwanese che si era arricchito producendo rollerblade. «Ma in realtà, voleva solo speculare. Perché nel frattempo la fabbrica era andata avanti e soprattutto, grazie all'inter-


Mauro Monesi sbarcò a Taiwan con una raccomandazione del Vaticano e gli consigliarono di andare a visitare una falegnameria. Il proprietario era un certo Kunnan Lo... vento dell'ingegner Roland Sommer, Pro Kennex aveva brevettato il sistema Kinetic, ancora adesso considerato il miglior rimedio antivibrazioni inserito in una racchetta». Una manna per i concorrenti che volevano comprarlo a tutti i costi. In particolare, in cima alla lista c'era Wilson, il cui sistema HyperCarbon non era stato esattamente un successone. Già, peccato che i brevetti non erano di proprietà di Peter Liu, ma del governo di Taiwan. Wilson si rivolse al Tribunale dell'Aia, inutilmente. «Già, peccato che però, prima della sentenza definitiva, passarono un paio d'anni - ricorda Monesi -. E in quel periodo di tempo, Pro Kennex non poteva produrre e sparì dal mercato. Tranne, se Dio vuole, in Italia, dove eravamo proprietari di marchio e relativi brevetti: riuscimmo a farci consegnare da Jeff Yao, nominato Presidente (e tutt'ora in carica n.d.r.), 4.000 Kinetic e a sopravvivere». Ora la situazione è migliorata ancora. Nel sondaggio che abbiamo creato per votare i TENNISBEST Magazine Awards, i top negozianti italiani hanno confermato che dietro i Big Three (Babolat, Head e Wilson), ormai c'è Pro Kennex. Non solo per vendite («Siamo sulle diecimila racchette e l'unico rimpianto è che il 90% è rappresentato da telai Kinetic, quando abbiamo una Destiny da 100 euro al pubblico che dovrebbe sfondare il mercato») ma soprattutto per la qualità del prodotto, al quale si è affidato anche il numero uno italiano, Andreas Seppi: «Bisogna ammettere che un testimonial come Seppi è servito tantissimo perché gli appassionati si sono convinti che non siamo solo la racchetta-medica, adatta a chi ha male al gomito. Ma che abbiamo una gamma agonistica di primissimo livello. Ora, grazie anche alla partnership con la FIT, in ogni categoria giovanile abbiamo un top player a livello nazionale. In più, da quest'anno è entrato in azienda mio figlio Marco e ha ridato entusiasmo e svecchiato l'immagine. Sai, siamo un'azienda familiare: non è un caso che mia moglie l'abbia conosciuta nel 1978, quando entrambi lavoravamo da Tonnolini». Con queste premesse, il futuro si prospetta promettente, «perché il movimento del tennis è in forte crescita e noi vogliamo continuare a essere al servizio degli appassionati creando modelli sempre più innovativi». E tira fuori, coupe de theatre, un black frame, una racchetta dipinta di nera dalle forme molto particolari e che solo la promessa di una viva discrezione ci impedisce di descrivervi. «Ma non sarà l'unica novità in casa Pro Kennex. Prima ancora, nel mese di settembre, usciremo con la Q5, racchetta agonistica in due pesi differenti, 295 e 315 grammi. Vedrete, sarà una bomba». Poi Mauro Monesi ci saluta. Già, perché sarà pure il 25 aprile ma lui deve correre a Gonzaga. C'è un mercato dell'antiquariato e lui espone pezzi pregiati: mobili, quadri. «Ma come, non te l'ho mai detto? Con Tonnolini giravamo per aste per comprare armi antiche...». Beh, questa è davvero un'altra storia...

Il fondatore della Pro Kennex, Kunnan Lo e il maggior testimonial attuale, Andreas Seppi

Un'immagine storica del fondatore della Pro Kennex, Kunnan Lo

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La rivoluzione dell'Olefine

Stanno sbarcando sul mercato corde che promettono faville. Ecco vantaggi e adattamenti

Una ventina di top 100 ne fanno già uso. Ma la stima è destinata ad aumentare molto rapidamente. Le nuove corde in alfa-olefine promettono di rivoluzionare (ancora una volta) il mercato delle corde, migliorando le performance. Ne abbiamo parlato col nostro esperto di fiducia, Mario Parisio. Si fa un gran parlare di queste corde in alfa-olefine: ma di cosa si tratta esattamente? «Se ne parla tanto perché ormai è pronto lo sbarco sul mercato visto che le top aziende hanno imparato a sfruttare al meglio questa nuova opportunità. In sostanza, sono corde che utilizzano legami lineari tra molecole di carbonio e di idrogeno in un rapporto che dovrebbe essere di uno a due. Però, studiando la composizione meccanica della corda, si è capito che si poteva sostituire una delle due molecole di idrogeno con un’altra molecola composita, in modo da ottenere prestazioni meccaniche diverse». Tradotto? «Una parte delle molecole assorbe l’impatto della palla, l’altra le permette di ripartire velocemente. Certo, il tempo di rilascio della palla varia da 25 a 60 millesimi di secondi, quindi parliamo di valori infinitesimali ma decisivi al fine del risultato». Ma quali sono i vantaggi? «Siccome si conosce esattamente la loro deformazione meccanica, si può programmare che tipo di corda si desidera prima della fase di produzione, esaltando una caratteristica piuttosto che un'altra. Per esempio, si vuole una corda da super top spin? Basta mettere al centro le fibre di poliestere, creare un primo rivestimento in polibutilente e quello esterno in alfa-olefine. In più, secondo il numero di molecole di carbonio che si utiliz148

zano, si può variare la rigidità. Ma è una lavorazione che costa parecchio perché è come fare tre corde per ottenerne una». Ma rispetto ai monofilamento tanto utilizzati? «I monofilamenti utilizzano singole molecole lineari, con una risposta più o meno rigida, ma abbastanza uniforme. Qui parliamo di una catena multidimensionale: alcune molecole immagazzinano energia, altre la rilasciano. Praticamente è come mettere il turbo alla corda. Quando la Sygnum ha tirato fuori la sua nuova corda in alfa-olefine, professionisti come Youzhny o Istomin le hanno subito montate. La stessa Luxilon all’Australian Open ha consegnato corde con la scritta 4G: sono le loro nuove corde addizionate con alfa-olefine. La base infatti resta il poliestere, ma con queste addizioni molecolari. I risultati sono sorprendenti». Ma sono corde che si adattano anche ai giocatori di club? «Certo. L’ideale, per come sono strutturate, è restare su calibri inferiori e tensioni più basse del solito. Hanno una resistenza meccanica e dinamica molto alta e infatti si arriva a giocare anche con corde di calibro 1.15. Il limite è il prezzo, che può arrivare ad un incremento fino al 20% rispetto alle top corde monofilamento attuali». Ci sono problemi o vantaggi per l’incordatore? «Nessun problema: con quelle lisce è come incordare il nylon, quelle sagomate non comportano fastidi particolari». Sarà una rivoluzione come quando sono sbarcate sul mercato i monofili Luxilon? «Sono pronto a scommetterci».


New STRING on the Block Mai il mercato ato delle corde è stato così ricco di opportunità, con tanti marchi (anche di nicchia) pronti a prendersi la loto fetta di mercato. I monofilamenti, un tempo considerate corde "ignoranti", si stanno evolvendo e adattando alle varie tipologie di giocatori. La Germania è la patria di tanti nuovi brand, ma anche l'Italia si difende alla grande, grazie soprattutto alla Double AR di Biella. Noi abbiamo scovato quattro monofilamenti tra nylon e poliestere con i nuovi trattamenti in olefine alfa che possono essere una manna, soprattutto (ma non solo) per i giocatori agonisti. E magari anche a prezzi convenienti. Tra chi esalta la potenza (e in questo senso la Double AR 44 è perfino sorprendente) e chi soprattutto controllo e rotazioni, la speranza è che sempre più appassionati capiscano che la corda è il vero motore della racchetta.

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STARBURN PENTATWISTED / 1.27mm Corda pentagonale adatta sia ai giocatori agonisti sia a quelli di club, il profilo è sagomato con un cuore centrale in copoliestere a struttura molecolare modificata per ottenere comfort e reattività. Si "sente" bene la palla ed è ideale per il giocatore completo che sfrutta sia le rotazioni sia i colpi piatti. Tiene benissimo la tensione e anche un buon agonista può arrivare a giocare 15 ore senza problemi.

DOUBLE AR 44 / 1.25mm Monofilamento in nylon made in Italy, offre perfetti equilibri tra controllo e potenza, anche se è proprio quest'ultima caratteristica che si lascia preferire, soprattutto se paragonata alla media dei monofilamenti in poliestere. Calibro sottile ma resistente, tiene ottimamente la tensione, ma soprattutto la palla esce rapida. Ma tanto rapida, trovando un ottimo compromesso con la fase di controllo.

SOLINCO TOUR BITE In America spopolano tra i giocatori universitari e tra i pro la usa Donald Young, tra gli altri. Monofilamento trattato con additivi in olefine-alfa, prende piuttosto bene le rotazioni e si controlla con grande precisione. Ideale per il giocatore agonista che cerca soprattutto controllo, questo trattamento consente (e consiglia) di ridurre la tensione di 2-3 kg, ottenendo maggior potenza e sensibilità, senza perdere in controllo.

MSV HEPTA TWIST / 1.25mm Lo ammettiamo: fino a un mesetto fa erano corde di cui ignoravamo l'esistenza. Ora, se Dio vuole, le abbiamo scoperte. Perché si tratta di una bella scoperta. Corda in copoliestere dal profilo ettagonale, la sagomatura permette di imprimere grandi effetti, sia in top spin sia in back spin, mostrando una buona sensibilità per essere un monofilo. Ideale per picchiatori moderni da fondo che esasperano le rotazioni.

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TECNICA CONTRO SMORZATA

LA PALLA CORTA È UN’ARMA FONDAMENTALE anche solo per mettere l’avversario fuori posizione. Ma se siete voi a subirla? Imparate a gestire il momento. Ovviamente, meglio arrivate sulla palla e più il colpo sarà facile. Se ci arrivate con agio, spingete con un colpo piatto o in top spin. Se invece arrivate in scivolata, avete varie opzioni: la controsmorzata (se l’avversario non ha seguito a rete), il classico lungolinea ma anche l’incrociato a sorpresa. L’importante, se ne subìte parecchie, è variare la contromossa. E soprattutto, come dovrebbe fare il rigorista nel calcio, mentre correte verso la palla dovete già decidere che colpo eseguire. (Filippo Montanari)

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A C I N EC

LA FORMAZIONE AGONISTICA

STRATEGIA E TATTICA

NONOSTANTE SIA CHIARO CHE GLI ASPETTI STRATEGICI E TATTICI SIANO FONDAMENTALI NELLA CRESCITA TENNISTICA DI UN GIOVANE ALLIEVO, IN ITALIA (SBAGLIANDO) CONTINUIAMO A CURARE SOPRATTUTTO GLI ASPETTI TECNICI ED ESECUTIVI DI LUCA BOTTAZZI

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n questo articolo desidero soffermarmi su un aspetto di rilevanza centrale quando si parla di giochi sportivi. La questione non è semplice e la complessità nasce in parte dalla volontà di trattare il tema con un profilo diverso. L’argomento in oggetto riguarda “la strategia e la tattica” , come questi elementi si combinano tra loro e come vengono utilizzati nel metodo R.I.T.A. per la scuola tennis. Di conseguenza ho ritenuto opportuno riportare buona parte di quanto a suo tempo ho scritto come autore, insieme a Carlo Rossi e Michele Pisaturo, nel libro “Dal bambino al campione di se stesso”. ASPETTI TRASCURATI Il tennis è classificato tra le discipline a elevato contenuto tattico. Tuttavia, mentre nella didattica degli sport di squadra la strategia e la tattica, indispensabili dallo schieramento in campo all’azione coordinata dei giocatori, sono tradizionalmente allenate e trattate in maniera approfondita, nel tennis, pur se unanimemente considerate fondamentali per la capacità di prestazione, spesso vengono trascurate a vantaggio della cura degli aspetti più prettamente tecnico-esecutivi. Le scuole tennis in Italia sono ancora troppo incentrate sui colpi piuttosto che sul gioco. Infatti, considerando obiettivo principale dell’insegnamento e dell’allenamento l’acquisizione di un modello stilistico ritenuto “corretto” dai movimenti a vuoto (in voga negli Anni 70), si è passati a una revisione del modello calibrato sull’osservazione dei campioni o elaborato sulla base di considerazioni biomeccaniche del gesto. Il tutto tenendo sempre in scarsa considerazione le caratteristiche individuali del soggetto cui è destinato l’insegnamento e i fini strategici e tattici del gioco. Nel proporre invece un modello centrato sulla strategia e sulla tattica, abbiamo spesso riscontrato che queste abilità vengono confuse se non considerate addirittura sinonimi. È quindi necessario chiarire il loro significato generale, gli aspetti insiti nel tennis e i requisiti alla base della formazione e della loro espressione , per poter descrivere con esattezza quella che è la metodologia di insegnamento che andiamo costruendo nelle scuole che adottando il metodo R.I.T.A. LA STRATEGIA Il termine strategia indica un piano di azione predeterminato, generalizzato, ritenuto adatto al conseguimento di uno scopo specifico e perciò elaborato per eseguire compiti nelle condizioni ritenute ideali. Questo è un progetto di azione a lungo termine che, tenendo conto delle regole e delle condizioni di gara previste, individua i comportamenti considerati, in linea teorica, adeguati ad ottimizzare le probabilità di successo. La strategia può anche essere riferita a degli aspetti immodificabili cioè indipendenti dal valore e dalle qualità dei contendenti, di carattere logico, geometrico e fisico (traiettorie, copertura di spazi, possibili velocità e angolazioni della palla in relazione alla sua altezza, velocità, distanza dalla rete, ecc.) che definiamo fondamenti strategici. Per esempio una traiettoria lungolinea farà arrivare la palla nel campo avversario prima rispetto a un colpo incrociato; una palla colpita dall’interno del campo, sopra il livello della rete, potrà avere traiettorie discendenti e velocità superiori a una colpita bassa, eccetera eccetera. La posizione nel campo e l’altezza da cui il giocatore colpisce la palla determinano scelte precise di gioco. La conoscenza dei fondamenti strategici è la base di partenza della formazione dell’abilità strategica. Inoltre la strategia può attenere alla preparazione del piano di gioco prima di un incontro con delle caratteristiche ben precise e specifiche di quella particolare situazione. In tal caso è necessario considerare oltre agli aspetti immodificabili anche elementi variabili come i propri punti di forza e le proprie carenze, i possibili e probabili modi di comportarsi degli avversari, le condizioni ambientali, eccetera eccetera. La necessità e l’abilità di elaborare piani di gara più complessi ed evoluti subentra in maniera direttamente proporzionale al livello dei contendenti. I fondamenti strategici consentono a giocatori e tecnici di orientarsi in un ambito complesso, variabile e ad elevata richiesta di rapidità di azione e reazione, tipico del tennis. In fase didattica sono il punto di riferimento per riconoscere e capire le modalità di comportamento più efficaci nelle varie situazioni di gioco, mentre in fase competitiva dirigono verso una 152


razionale e pertinente lettura tattica e alla scelta delle azioni motorie adeguate. La conoscenza di tali fondamenti è il presupposto necessario a selezionare in maniera automatizzata programmi motori idonei, nelle abituali condizioni di pressione temporale e variabilità. Inoltre definiscono le modalità di conduzione dell’azione in fase di attacco, di manovra e di difesa. Le diverse situazioni di gioco sono determinate dall’opportunità di poter giocare traiettorie e velocità in relazione all’altezza e distanza della palla rispetto alla rete e al centro del campo. Fin dalle prime fasi di apprendimento è opportuno imparare a riconoscere e correlare questi aspetti per assimilare che: - nella direzione della diagonale, la palla percorre più spazio rispetto al lungolinea - più si è dentro al campo più si restituisce la palla in minor tempo - più si è dentro al campo maggiore è l’ampiezza delle angolazioni disponibili - più ci si trova lontani dalla rete, più la traiettoria della palla deve essere alta; al contrario, più si è vicini alla rete e più la traiettoria della palla deve essere bassa - più si è lontani dal centro, più è possibile giocare la palla ottenendo un angolo accentuato,; diversamente dal centro del campo gli angoli divengono più chiusi - se la palla viene colpita sopra il livello della rete, è possibile imprimerle velocità elevate; al contrario, se si colpisce al di sotto, questa opportunità è preclusa. Sulla base di questi fondamenti strategici è possibile comprendere se la propria azione potrà essere offensiva e finalizzata alla rapida conquista del punto, se è necessaria una fase interlocutoria per poter assumere un vantaggio o ancora se si sarà costretti in difesa. Con i bambini le forme di allenamento e competitive con modalità semplificate e l’adozione di campi di dimensioni ridotte (mini, midi, midder tennis), hanno tra gli obiettivi principali proprio quello di favorire già nei piccoli giocatori la comprensione e l’applicazione di fondamenti strategici e la possibilità di applicarli, sia in fase di attacco sia di difesa, anche a un livello più evoluto rispetto a quello tecnico già in loro possesso. Ecco perché il tennis con le abilità pre-tecniche (inizialmente mani o doppia racchetta) sono le forme competitive, con finalità didattiche di carattere strategico e tattico, adatte a bambini non ancora in grado di realizzare una prestazione in cui il bilancio di errori gratuiti e di vincenti e provocati possa essere equilibrato e rispondente al tennis di vertice.

LA TATTICA La tattica è un sottoprogramma della strategia, che ha la funzione di attuarla per mezzo di processi cognitivi e della tecnica. Se un piano strategico è utile in tutte le discipline sportive, la tattica interviene con maggior incidenza sul risultato principalmente in quelle open skills, specie se è prevista la contrapposizione diretta dell’avversario, come appunto il tennis. La strategia tiene conto delle possibili azioni dell’avversario senza esserne direttamente condizionata, mentre la tattica scaturisce e si esplica proprio in relazione al comportamento avversario. Nel nostro sport, i compiti di quest'ultima riguardano il tentativo di far realizzare con la maggior frequenza possibile le azioni di gioco ritenute strategicamente più favorevoli, il comprendere tempestivamente l’imminente azione avversaria (lettura tattica) e la dissimulazione delle proprie intenzioni (finta). Nel tennis moderno la maggior intensità del gioco sollecita maggiormente la lettura tattica. Questa è una abilità riconducibile a processi percettivi, decisionali e interpretativi, basati sulla conoscenza dei fondamenti strategici. Essa avviene, secondo Theois, attraverso cinque stadi, partendo da uno di natura sensoriale durante il quale i recettori assumono informazioni relative alla situazione (movimenti preparatori dell’avversario, traiettoria della palla, sensazioni cinestesiche relative all’esecuzione del proprio colpo, ecc.), per proseguire con altri di natura cognitiva, quali il riconoscimento delle informazioni e il confronto con quelle presenti in memoria, sulla cui base viene selezionata la risposta ritenuta più adeguata e viene trasmesso il programma motorio ai muscoli. Circa l’aspetto relativo alla capacità di prevedere e stimare le velocità, le traiettorie, profondità, spin e i rimbalzi della palla, un contributo importante lo ha fornito la rivista Nature in una pubblicazione del 2004 a conferma di quanto sopra menzionato circa la dinamica del processo cognitivo. La sollecitazione e l’affinamento di aspetti percettivi, attentivi e cognitivi determina l’insorgenza di quella abilità definita da Ivoilov “pensiero tattico”, ovvero la capacità di formulare un numero finito di schemi di risposta, gerarchizzati per probabilità di accadimento. La capacità di lettura tattica e la conseguente anticipazione motoria sono tanto più determinanti quanto più elevato è il livello di gioco. Il miglioramento della capacità di lettura tattica nel tennista si fonda su: - conoscenza dei fondamenti strategici, che permette di stabilire cosa è più probabile possa avvenire secondo modalità, tempi e spazi prevedibili - abilità sensopercettiva - abilità attentiva, nel selezionare e orientare il focus su informazioni rilevanti e spostarlo tra informazioni differenti (flessibilità dell’attenzione). La didattica non può trascurare in nessuna fase dello sviluppo i requisiti della lettura tattica. Quindi l’abilità sensopercettiva, nelle fasce di età più basse, sarà sollecitata principalmente attraverso l’educazione all’osservazione, alle percezioni corporee, tattili e spazio-temporali, per evolvere successivamente nella richiesta di individuare le informazioni utili alla lettura tattica di azioni motorie altrui, arricchendosi di elementi relativi all’abilità attentiva nella loro ricerca e successivamente sulla flessibilità del focus. L’acquisizione dei fondamenti strategici andrà dalla conoscenza delle regole a principi elementari utili a vincere. Inizialmente si proporranno formule esecutivamente più facili proprio per consentire una maggior opportunità di soluzioni e, nello stesso tempo, riservare maggiori risorse attentive a compiti di lettura tattica. In tal modo i bambini possono cominciare a compiere azioni di dissimulazione delle proprie intenzioni per ingannare la lettura tattica dell’avversario. CONCLUSIONE In sintesi l’argomento trattato evidenzia in particolare come il tennis sia uno sport basato sul fattore cognitivo. Questo fattore è fondamentale non solo nel tennis, ma nelle diverse attività umane in cui il pensiero è presente. Il processo dell’azione è subordinato a quello del pensiero. Questi due elementi combinati tra loro costituiscono, nella corretta sequenza, il processo “pensiero-azione”.Tanto più questo processo è rapido e in assenza di errori (riesce a rimuoverli imparando dagli stessi), tanto più ci si avvicina all’eccellenza. Emerge di fatto e con evidenza, come gli aspetti strategici e tattici risultino di primaria importanza. Un metodo d’insegnamento che pone al centro della propria metodologia e didattica il fattore cognitivo, non solo facilita l’apprendimento, ma soprattutto concorre in modo sensibile allo sviluppo dell’intelligenza di ciascun individuo. LUCA BOTTAZZI, ex giocatore professionista e docente di Scienze Motorie all'Università, commentatore SKY e socio fondatore di R.I.T.A. Per approfondire le tematiche trattate, potete scrivere a info@tennisbest.com 153


GIOCATORI

LO SPECIALISTA

CON LA PRIMAVERA IL TENNIS, SIA QUELLO PROFESSIONISTICO SIA QUELLO AMATORIALE, SI È SPOSTATO SUI CAMPI IN TERRA BATTUTA. ABBIAMO ANALIZZATO LE CHIAVI DEL GIOCO SU QUESTA SUPERFICIE PER POTERLA SFRUTTARE AL MEGLIO di EMILIO SANCHEZ A differenza di quanto accadeva anche solo 15 anni fa, il tennis attuale non presenta dei veri specialisti della terra battuta ad altissimo livello. Il tennis è diventato più uniforme e non si notano grandi differenze tra come si interpreta il tennis sul rosso piuttosto che sul cemento o addirittura sull’erba. In realtà, ora si impara a giocare sulle superfici veloci e poi ci si adatta alla terra rossa. Tra i top players, quello che sfrutta meglio le

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caratteristiche della terra battuta è Rafael Nadal, che gioca con parabole molto alte sopra la rete, grande regolarità e pressione da fondo e con la forte rotazione che riesce a imprimere ai suoi colpi, porta spesso l’avversario fuori dalla loro zona di comfort. In più, ha una resistenza fisica e mentale che lo aiuta a dominare i match. Ma ecco come prepararsi al meglio per le battaglie sui campi in terra.

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1. IL TRASFERIMENTO Una delle caratteristiche di base del gioco su terra battuta è il tempo che trascorre tra il momento in cui la palla rimbalza e l’impatto con la racchetta. Una palla che parte a 100 km/ h su un campo veloce indoor, viene colpita ad una velocità di 80 km/h; su un campo in cemento, tale velocità all’impatto si riduce a 60 km/h. Sulla terra si scende a 40-50 km/h. Un lasso di tempo supplementare di cui si può approfittare per posizionarsi meglio ed effettuare un colpo migliore. Sulla terra si ha dunque quasi sempre la possibilità per eseguire il TRASFERIMENTO del peso del corpo da dietro in avanti quando si va a colpire, chance che sulle superfici rapide è spesso negata dalla velocità di arrivo del colpo avversario. Colpire trasferendo bene il peso del corpo dal piede dietro a quello davanti è il modo ideale per eseguire un colpo più aggressivo. Altrimenti bisogna avere un braccio alla Nadal per trovare comunque profondità nei colpi.

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2. SCIVOLARE IN EQUILIBRIO La terra permette dunque di avere più tempo per eseguire il colpo ma esige anche un miglior equilibrio. Prendete per esempio gli americani o gli australiani che crescono quasi esclusivamente sui campi rapidi e vi accorgerete che fanno fatica a muoversi adeguatamente. Chi invece cresce sui campi rossi, sarà in grado perfino di colpire scivolando, senza perdere troppo equilibrio ed efficacia. Ma soprattutto è fondamentale saper scivolare correttamente perché ciò permette di coprire meglio il campo e aumentare i tempi di recupero. Kim Clijsters è il miglior esempio di come sfruttare la scivolata (e grazie alle nuove suole delle scarpe e alla sua elasticità muscolare, riesce a scivolare anche sul… cemento!). Un colpo che andrebbe colpito in chiaro ritardo, grazie alla scivolata diventa se non semplice, quantomeno possibile. Ma la scivolata non serve solo in fase di recupero estremo: può servire anche per compiere l’ultimo metro prima di colpire la palla. In questo caso, bisogna tenere il corpo diritto e aiutarsi con la mano non dominante (la sinistra per un destrorso) per mantenere un miglior equilibrio. Da notare come il piede che scivola, poi si mette di traverso per bloccare la scivolata e ripartire in direzione opposta. Guardate Gilles Simon in questa foto: è l’esempio ideale perché riesce a scivolare e mantenere un ottimo equilibrio nonostante la corsa in avanti e l’impugnatura bimane. Sul rosso è un aspetto fondamentale da imparare.

3. ANGOLI E TEMPI La lentezza della superficie permette di andare a cercare meglio la palla. In sostanza, si può anche non aspettarla ma andarsela a cercare per colpirla prima e ad un’altezza maggiore: il tutto si concretizzerà in un colpo più aggressivo e violento. In questa foto, David Ferrer, che di campi in terra rossa ne ha visti tanti, ci mostra come “saltare sopra la palla” permetta di essere aggressivi. Non a caso sentirete spesso i coach chiedere ai propri allievi di muoversi rapidamente con i piedi per cercare la posizione ideale. In Spagna per esempio, i movimenti dei piedi sono molto, molto curati. Ma sul rosso non si ha solo maggior tempo per eseguire il colpo: si possono infatti trovare anche maggior angoli stretti per spostare l’avversario dal centro del campo e aprirsi degli spazi per tirare un colpo vincente.


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4. SERVIZIO SCADENTE Uno dei primi aspetti che si nota nel gioco su terra battuta è la perdita di incisività del servizio. Sulle superfici rapide, un gran battitore rischia di vincere quasi col solo servizio o comunque questo colpo rappresenta un’arma di grandissima efficacia. Sulla terra battuta la situazione cambia radicalmente. Il ribattitore ha più tempo per prepararsi e leggere la traiettoria della palla. Quando si dice che la terra battuta è la superficie più esigente, ci si riferisce proprio al fatto che bisogna sudarsi ogni singolo punto e non si può far affidamento solo sulla botta di servizio.

5. OCCHIO ALLA COMFORT ZONE Sulla terra rossa uno dei fattori chiave è la varietà dei colpi, l’altezza alla quale si colpisce e le rotazioni che si imprimono. Per questo motivo, succede spesso che un giocatore cominci molto bene la partita, impattando perfettamente e controllando gli scambi. Ma osservando bene, noterete che spesso un giocatore riesce a controllare lo scambio perché gli è data la possibilità di piazzarsi nella zona di campo che preferisce. A quel punto, se l’avversario è in grado di notare questa caratteristica tecnico-tattica, deve anche essere in grado di spostarlo da quella zona di comfort. Per contrastare questa posizione di privilegio è necessario avere una buona resistenza fisica che permetta di correre tanto, piazzarsi bene dietro la palla e colpire forte per togliere l’iniziativa all’avversario.


IL TERRAIOLO PURO LA TERRA BATTUTA RESTA UNA SUPERFICIE DOVE BISOGNA ESSERE REGOLARI, SOLIDI E ORDINATI. PER RIUSCIRCI SERVE PAZIENZA, UNA BUONA STRATEGIA E SCHEMI BEN DIVERSI DA QUELLI CHE SI UTILIZZANO SUI TERRENI RAPIDI (O ANCHE SOLO SULLA TERRA INDOOR). IN PARTICOLARE È NECESSARIA UNA GRANDE CONTINUIITÀ NELLO SCAMBIO MA ANCHE CAPACITÀ DI APRIRE IL CAMPO. ECCO TRE SCHEMI E RELATIVI ESERCIZI DI ALLENAMENTO, PER ARRIVARE PREPARATI ALLE BATTAGLIE SUL ROSSO

di Massimo Sartori* * coach di Andreas Seppi

SUPER SOLIDI

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COMFORT ZONE

La parola solidità torna di gran moda quando si deve giocare sui lenti campi in terra battuta. Non potendosi affidare solo a soluzioni vincenti, bisogna sbagliare poco e soprattutto costringere l’avversario all’errore giocando sempre profondo, con buona sicurezza (sia per l’altezza sopra la quale la palla deve passare la rete, sia perché non bisogna cercare le righe) ma con altrettanta continuità. In sostanza, non si tratta di tirare una, due grandi botte e provare a portare a casa il winner; bisogna prendere l’avversario per sfinimento, giocando sempre a tre quarti di velocità, a tre quarti di profondità, con buona rotazione e sbagliando pochissimo. Poi, è chiaramente necessario essere in buona condizione atletica per poter attuare questo schema a lungo. Ma così facendo, darete l’impressione all’avversario di dover fare dei miracoli per farvi il punto. COME ALLENARSI

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Giocate degli scambi cercando di indirizzare la palla nella comfort zone il più a lungo possibile. Potete anche fare dei punti con l’obbligo prima di variare il gioco, di tirare 4-5 colpi verso la comfort zone. Più a lungo giocate lì, più solido sarà il vostro gioco.


APRIRE IL CAMPO

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Se si vuole uscire da un palleggio asfissiante o comunque provare a muovere il gioco (in gergo sentirete spesso dire dai coach, muovere la palla), bisogna trovare degli angoli. Ebbene, dopo aver giocato profondo, e magari spinto l’avversario ben dietro la riga di fondo, si può cercare lo “strettino”, cioè l’angolo stretto per costringere l’avversario ad una corsa diagonale e soprattutto a uscire dal campo. Da quella posizione, sostanzialmente sulla linea più esterna del corridoio, l’avversario sarà costretto a prendere un rischio per non lasciare scoperto il campo. E il primo obiettivo è raggiunto. Se invece la palla tornai indietro corta, potete sempre spingere dal lato opposto. L’importante è mandare l’avversario fuori posizione, lontano dal centro del campo. COME ALLENARSI Unite questo esercizio a quello precedente: dopo aver giocato 4-5 palle anche centrali ma profonde e cariche di rotazione, apritevi il campo tirando un cross stretto per spostare l’avversario verso un angolo e quindi crearvi l’opportunità di chiudere lo scambio col colpo successivo (o costringere l’avversario all’errore).

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KICK SERVE Sulla terra rossa è un colpo molto, molto importante. Alcuni giocatori (vedi il nostro Potito Starace) lo usa addirittura come prima palla di servizio (spingendolo molto), anche se abitualmente è utile soprattutto come seconda palla. Si tratta di un servizio con una forte rotazione in top spin, che salta alto dopo il rimbalzo. Questo mette in grave difficoltà l’avversario che risponde perché se aspetta che la palla scenda, finisce ben dietro la riga di fondo, lasciando scoperto il resto del campo; se anticipa, deve trovare un ottimo timing, altrimenti rischia di sbagliare o comunque di giocare corto e cominciare a inseguire nello scambio. Contro i giocatori bimani, che possono colpire meglio sopra la spalla, funziona meno. Assicuratevi però che la palla rimbalzi molto alta, almeno a livello della spalla dell’avversario.

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COME ALLENARSI Non è particolarmente divertente, ma ogni tanto è d’obbligo prendere un cesto di palle e allenare il servizio. Anche solo 20 minuti possono essere sufficienti. È un colpo che può essere meccanizzato; l’ideale è mettere un bersaglio a circa 170 centimetri e vedere se, dopo il rimbalzo, la palla gli passa sopra. In quel caso, l’avversario sarà costretto a colpire sopra la spalla.

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SQUASH

GLASS ARENA

L’IMPATTO SCENOGRAFICO È DA URLO. E quest’immagine dell’evento disputato a Torino ne è solo la conferma. Parliamo della Glass Arena, campo utilizzato in diversi Campionati del Mondo e in assoluto il più spettacolare e tecnologicamente all’avanguardia del panorama dello squash mondiale. Unica nel suo genere, si tratta di una struttura polifunzionale completamente in vetro, le cui lastre sono infrangibili e possono essere montate e smontate molto rapidamente. Per questo motivo (e per la sua indubbia spettacolarità) viene utilizzato negli eventi più importanti, in particolare se si disputano in piazze, centri commerciali o palazzetti dello sport.

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IL PERSONAGGIO

Adrian Grant Gran Bretagna, 31 anni

testo di LORENZO CAZZANIGA photo by MARCO DE PONTI

Adrian Grant è una sorta di mito per gli appassionati di squash. Non solo per le sue vittorie, ma per il personaggio che rappresenta. Se da un lato è il giocatore britannico che attualmente vanta il maggior numero di tornei vinti (e considerate che in Inghilterra lo squash è una mezza religione), dall'altra è talmente impegnato nell'aspetto sociale da far passare i suoi successi agonistici in secondo piano. Perché quando torna in Inghilterra, non passa le giornate al pub a festeggiare l'ennesimo successo; preferisce insegnare squash (gratis) in un'accademia creata per ragazzi che non hanno grandi possibilità economiche. Per scovare nuovi talenti ma soprattutto per offrire quell'opportunità che lui ha saputo sfruttare, fino a diventare un top 10 mondiale. Grazie ai sacrifici di suo padre.  In Italia la sua fama la precede e gode di grandissimo rispetto: ma come si riesce a diventare un Adrian Grant? Con tanto sacrificio e impegno. E il supporto della famiglia. Credo che ancora adesso, anche se da diversi anni sono al top della classifica mondiale, non riuscirei a ripagare quanto ha dovuto investire mio padre per farmi diventare un giocatore di squash professionista. E non che lui navigasse nell'oro. La voglia di lottare l'ho imparata fin da ragazzino.  È in Italia per giocare i Campionati a Squadre: come giudica lo squash nel nostro paese? In grande crescita. Ormai vengo da diverse stagioni e mi sembra ci sia sempre più entusiasmo e che il livello migliori continuamente Ora mi sono legato anche ad un'azienda italiana per le corde, la Double Ar, e avverto un interesse sempre maggiore. I giocatori di talento li avete sempre avuti; ora bisogna creare delle buone scuole per insegnare ai giovani.  Quest'anno ci sono le Olimpiadi ma, ahimé, lo squash non è stato ammesso: considerando che si disputano nella sua Londra, che sensazioni prova? Ogni giorno passo vicino alla zona dove sorgerà il Villaggio Olimpico: è qualcosa di straordinario e l'idea di non potervi partecipare è una delusione enorme. Anche perché hanno accettato pure il golf e il rugby a 7! Lo squash aveva tutti i presupposti per l'ammissione ma evidentemente qualcosa non ha funzionato. Certo, avessimo alle spalle gli sponsor del golf...  Rimanendo tra gli sport con racchetta, vedere il suo corrispettivo di classifica nel tennis guadagnare qualche centinaio di migliaia di euro all'anno, le fa un brutto effetto? Mah, non che mi dispiacerebbe guadagnare quel genere di montepremi, ma ho fatto la mia scelta tanti anni fa e non tornerei indietro perché ho trovato la mia strada. Giro il mondo, ho conosciuto tante realtà che mi hanno permesso di crescere come uomo oltre che come atleta. E tutto sommato, non me la cavo male. Insomma, vivere con la propria passione è uno dei regali più belli che la vita ti può dare.  Ha vinto tanto, ma qual è il ricordo più bello vissuto sul campo? La vittoria ai Commonwealth Games del 2010 che per noi professionisti dello squash inglesi sono come le Olimpiadi. Ho giocato dei match straordinari e mi sono sentito davvero fiero del lavoro che ho svolto. In più, esserci riuscito al fianco di un mito come Nick Matthew è stato un onore. E poi vado fiero anche del record di titoli del circuito pro per un giocatore inglese. Anche se, prima o poi, qualcuno lo supererà.  Superati 30 anni, solitamente si comincia a pensare al dopo carriera... Vero. Mi piacerebbe occuparmi di sport business, un settore che mi affascina. E ovviamente rimanere nello squash, un mondo che mi ha dato tanto e al quale voglio restituire altrettanto.  E che in Italia sta vivendo un nuovo boom: ci dia un buon motivo per cominciare a giocare. È un gioco rapido, stimolante, che tiene in ottima forma fisica, ma che obbliga anche a elaborare strategie in tempi ristretti. Inoltre, con l'avversario sempre a contatto, insegna ad avere rispetto. Insomma, è uno sport molto completo. E poi, se quasi tutti quelli che cominciano poi ne diventano fanatici, un motivo ci sarà, giusto?

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R VALE O I Z I AUR

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Vado Ligure si aggiudica i Nazionali a Squadre GOLD A.S.S.I. – CSAIn sconfiggendo in finale Monza. Milano chiude il podio di una manifestazione che ha riscosso un successo straordinario

Vado al Massimo

Il punto decisivo l’ha portato Massimo Bertola ma è stata una vittoria di squadra quella ottenuta da Vado Ligure ai Nazionali a Squadre GOLD A.S.S.I. – CSAIn. Si è partiti nella bellissima cornice dello Sporting Milano 3 con un tabellone completo da 16 squadre provenienti da diverse regioni d’Italia: un vero è proprio record con più di 64 giocatori coinvolti per un totale di game giocati superiore ai 250, a testimonianza non solo del grande successo ottenuto dalla manifestazione ma a conferma di come tutto il movimento sia in costante crescita. Ma non si tratta di sola quantità. La crescita è testimoniata anche dalla qualità degli incontri che si sono susseguiti tra colpi spettacolari, smorzate, volèe, tiri al volo e gesti atletici sempre accompagnati dal sostegno degli spettatori che hanno affollato le tribune dei quattro campi di gioco. Perché, non ce ne vogliano i protagonisti in campo, ma i veri vincitori sono stati i tantissimi appassionati che hanno seguito da vicino tutte le fasi di questo evento, dai primi turni alla finale. Tuttavia, è la legge dello sport, per tanti che partono, uno solo arriva al comando. Ma per Vado è stata tutt’altro che una passeggiata, anche perché sostanzialmente in semifinale sono arrivate le quattro squadre che i tecnici avevano pronosticato, senza nessuna sorpresa di rilievo. Nella parte alta del tabellone si sono affrontate le squadre di Vado e lo Squashman Milano, in quella bassa il team di Cadrezzate (Varese) e Monza. Nel primo incontro, altamente spettacolare e dall’esito incerto fino all’ultima partita, a trascinare Vado al successo è stato Massimiliano Bertola, uno dei mattatori di questa manifestazione. Nella seconda semifinale invece, non sono mancate le sorprese. Dopo i primi due turni,Varese si è trovata in vantaggio con un clamoroso +28! Un vantaggio che sembrava tenere la squadra al riparo da qualsiasi ipotesi

di rimonta. Ma nello squash non funziona così: non esiste catenaccio, non esistono calcoli, e anche le previsioni più facili vengono spesso smentite dai fatti. E così è stato anche in questa occasione, grazie soprattutto all’impresa di Fabrizio Palumbo che, dopo aver sofferto nel primo game con Davide Fadi, ha assestato un perentorio 11-1 e 11-6 rimettendo in corsa la squadra monzese. E nell’ultimo parziale, Stefano Verbena ha completato la rimonta ai danni di Filippo Cazzola portando la propria squadra alla meritata finale. In finale però, i miracoli non si sono ripetuti. Stefano Ferroni per Monza e Simone Delfino per Vado hanno aperto le ostilità seguiti rispettivamente da Michele Redaelli e Alessandro Valerani. Al termine dei primi due match,Vado era già al comando, seppur di pochi punti. Nel terzo incontro, Andrea Cannizzaro ha resistito agli assalti di Fabrizio Palumbo mantenendo il margine acquisito. Arrivati all’ultima partita, Stefano Verbena di Monza è stato costretto a tentare il tutto per tutto contro Massimiliano Bertola; quest’ultimo però ha imposto sin dai primi scambi un ritmo incredibile, non solo contenendo le velleità di rimonta di Monza, ma perfino aumentando il vantaggio già dal primo game. Nei due game successivi, a Bertola è bastato controllare l’incontro per portare la sua squadra alla vittoria finale. Come è tradizione nello squash, si è giocata anche la finale per il terzo e quarto posto che ha visto il successo dello Squashman Milano su Cadrezzate Varese. Va dunque in archivio una sontuosa edizione dei Nazionali a Squadre GOLD A.S.S.I. – CSAIn, manifestazione che promette di crescere ancora, sia in termini qualitativi sia di interesse nei confronti degli appassionati che già quest’anno hanno dimostrato di apprezzare notevolmente quanto ammirato sui campi. Info: www.squash.it

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Nella pagina a fianco, la squadra vincitrice dei Nazionali a Squadre GOLD A.S.S.I. - CSAIn: Vado Ligure. In questa pagina invece, in alto da sinistra, le tre squadre che hanno conteso (inutilmente) il titolo a Vado Ligure: lo Squashman di Milano (1), Monza (2) che si è arresa solo in finale e Cadrezzate (Varese, 3), che ha chiuso al quarto posto dopo essere stata sconfitta nella "finalina". Qui sopra da sinistra, lo staff direttivo della A.S.S.I. (4), l'associazione che ha organizzato i Nazionali allo Sporting 3 Milano, torneo che ha riscosso un successo di pubblico (5) perfino superiore alle attese durante tutte le varie fasi dell'evento, a dimostrazione di come il movimento dello squash sia in netta crescita nel nostro Paese. A chiudere, Massimo Bertola (6), mattatore sia in semifinale sia in finale per il Vado Ligure. Sotto, tre protagonisti della squadra di Milano, Brenno Zuccarello (7), Paco Carlotto (8) e Simone Lusini (9).

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BISTI

La Casa dello Squash Lo Sporting Club Milano 3 è un'oasi per gli appassionati. E ospita i maggiori eventi ASSI La riapertura dello Sporting Club di Milano 3 è stata una buona notizia per tutti gli appassionati, di squash ma anche di tennis. Tanti lo ricordano per aver ospitato gli Assoluti e alcune edizioni di un torneo ATP challenger, poi se ne erano perse le tracce. Ma qualche anno fa è rinato grazie alla spinta di una nuova gestione, dinamica e propositiva. Si tratta di un impianto meraviglioso, a due passi da Milano: 50.000 metri quadri di qualità e benessere, dove gli sport della racchetta sono una delle tante attrazioni. I 16 campi da tennis rappresentano una piccola parte di un impianto dove c'è di tutto: due piscine (una all'aperto, lunga 50 metri con lettini, ombrelloni e bar), club house, sala fitness, ristorante, centro benessere, sala biliardo, bagno turco e molto altro ancora. Uno dei fiori all'occhiello dello Sporting sono però i 4 campi da squash, disciplina che sta vivendo un vero e proprio boom (e non solo a Milano 3). Lo Sporting è anche la sede dell'ASSI (Associazione Sportiva Squash Italia) ed è diventato il cuore pulsante di una disciplina in grande crescita. Nato in Gran Bretagna (addirittura in carcere: nella “Fleet Prison” di Londra dove i detenuti, per tenersi in forma, lanciavano la pallina contro il muro utilizzando rudimentali racchette), lo squash sta vivendo una crescita vertiginosa, tanto che in diversi paesi europei è il secondo o terzo sport nazionale. E anche in Italia le cose stanno migliorando. La collaborazione tra ASSI e Sporting Milano 3 nasce nel 2008, contestualmente alla riapertura del club. «È una partnership solida e soddisfacente - racconta Marco Vercesi, presidente ASSI -. Quando il club è stato riaperto, mi hanno contattato e abbiamo subito iniziato a lavorare insieme. Allo Sporting ci sono alcuni tra i campi più belli in Italia ed è stato naturale realizzarci la nostra sede». Presso lo Sporting vengono organizzate diverse gare, incontri e lezioni che hanno incuriosito i tantissimi frequentatori del club, che in pochi anni ha rag166

giunto le 1.200 unità. Lo squash è uno sport sano, divertente, e soprattutto ha una viva complementarità con il tennis. Può essere un valido strumento di allenamento, e non è un caso che molti tennisti lo pratichino. Per quale motivo il tennista dovrebbe avvicinarsi allo squash? Quali benefici si possono ottenere? «Pur essendo più piccolo del campo da tennis, quello di squash consente di fare un certo tipo di allenamento senza modificare l'impostazione tecnica del tennista – racconta Vercesi -. Lo squash può essere utilizzato come strumento per migliorare la performance, in particolare per velocizzare il movimento e l'approccio sulla palla. Essendo più veloce rispetto al tennis, abitua il giocatore a ritmi più elevati con tutti i benefici che ne conseguono. E può servire anche come allenamento cardiaco». Proprio per questa ragione, richiede una certa preparazione atletica ma offre grandi soddisfazioni. Inoltre si può giocare 12 mesi l’anno, praticandosi in locali chiusi e confortevoli (come allo Sporting). La vicinanza con il tennis si percepisce anche nell’attrezzatura: l’equipaggiamento è praticamente uguale, anche se la racchetta ha un piatto corde più piccolo e un manico più sottile. Però, ciò che maggiormente stupisce i soci dello Sporting che hanno riscoperto lo squash, è la velocità alla quale si gioca e l’assenza di troppe pause tra un punto e l’altro, situazioni che lo rendono uno sport particolarmente avvincente e più “ritmato” rispetto al tennis. Certo, un'oretta di squash consente di bruciare calorie ma anche di finire piuttosto stanchi. Per questo Lo Sporting Club Milano 3 si è dotato di ampie aree relax dove potersi rilassare nei momenti post-match, confermando lo slogan che lo definisce «un luogo dove si entra ottimisti e si esce felici». Info: www.sportingclubmi3.it


DOUBLE AR Challenge Al primo impatto, l’impressione è quella di un prodotto completamente diverso da quello che si trova sul mercato squashistico mondiale. Cosa c’è di nuovo? Prima di tutto il colore. O meglio, i colori. Già, perché, la Challenge si presenta al pubblico in un’alternanza di giallo fluo e viola che crea un originalissimo effetto sul piatto corde. Merito della Bi-Color Technology grazie alla quale si può applicare ad un unico monofilamento colori alternati. Grande spinta e precisione sono le principali caratteristiche di questo monofilo da 1.18 di calibro che sfrutta un materiale di nuova concezione chiamato Thermonyl, un nylon italiano che subisce una serie di trattamenti chimici e termici per aumentarne la caratteristiche di base – elasticità e potenza – rafforzandone allo stesso tempo la resistenza. Risultato? Una corda estremamente performante ma allo stesso tempo facile e immediata.

ADRIAN GRAY TOP 20 MONDIALE

DYLAN BENNET TOP 100 MONDIALE

MARCO VERCESI PRESIDENTE ASSI

HAMDI FERITIM ISTRUTTORE

«Avevo un grosso problema: rompevo molto spesso le corde durante i match e rimanevo infastidito dal dover cambiare la racchetta nel bel mezzo della partita. Con la Challenge ho trovato il rimedio perfetto in quanto ha una durata decisamente migliore di tante sue concorrenti. E poi ho trovato il giusto equilibrio tra potenza e controllo che mi permette di giocare a tutto campo e di trovarmi bene in tutte le varie situazioni che si creano durante un match»

«Per me, le corde sono una questione di feeling, di come si sente la palla all'impatto, di come la si avverte uscir fuori quando si colpisce. Migliore è il feeling e più alta è la fiducia che trovi durante lo scambio. Fatto che ti permette di osare anche dei colpi che, con altre corde, sarebbero inopportuni. Con la Challenge ho trovato subito il feeling ideale e riesco a giocare sia di potenza sia di tocco, con estrema semplicità»

«Diciamo semplicemente che è una corda unica nel suo genere. E francamente te ne accorgi non appena tiri i primi colpi. Ha una morbidezza e una elasticità fuori dal comune che ti aiutano non poco nelle varie fasi di gioco. Non c'è bisogno di un periodo di adattamento; anzi, si notano subito i benefici. In più, si adatta sia ai giocatori professionisti sia a quelli amatoriali perché è estremamente confortevole»

«La sensazione è quella di avere... un'incordatura ibrida perché si picchia e si controlla, si tocca di fino e si gioca slice, tutto con la medesima efficacia. Quasi che la corda si adatti a quelle che sono le intenzioni del giocatore. Poi, per quanto sia una questione meno tecnica, sono anche molto fashion! E gli appassionati italiani apprezzano anche queste cose»

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HA VINTO IL SUO PRIMO MATCH DA PROFESSIONISTA NEL 1996. ORA FRANCESCA SCHIAVONE PARE AVER IMBOCCATO IL VIALE DEL TRAMONTO. E CON LEI, FATICA ANCHE FLAVIA PENNETTA. INSIEME CI HANNO REGALATO UNA VITTORIA SLAM E TRE FED CUP. PASSERANNO ALLA STORIA, COME ADRIANO PANATTA E CORRADO BARAZZUTTI. IL PROBLEMA SARÀ TROVARE DEGNE EREDI. PER ADESSO CI AFFIDIAMO A SARA ERRANI, MA IL FUTURO APPARE DECISAMENTE MENO ROSEO DEL PASSATO.

1996 - 2011 122



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