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a cura di Fabio Taffetani

1. Agroecosistemi e sistemi naturali. Il futuro del Pianeta dipende dalle nostre scelte alimentari

a cura di Fabio Taffetani, professore ordinario di Botanica, Università Politecnica delle Marche, Ancona

Il problema della gestione delle risorse presenti nel territorio (acqua, aria, suolo, risorse naturali, risorse fossili, risorse culturali, paesaggio ecc, di cui ci accorgiamo solitamente quando cominciano a scarseggiare) ha ormai raggiunto e superato un preoccupante stato di allerta ed è sempre più certo che, a causa dei livelli critici raggiunti dalle risorse stesse, la loro disponibilità e la loro qualità acquisterà sempre più nei prossimi anni un ruolo discriminante e un alto grado di attenzione sia da parte delle società occidentali più opulente e sprecone, sia da parte di quelle più povere, che se ne sentono depredate e che rivendicano anche il loro diritto ad abusarne.

Significativo il fatto che uno dei paesi asiatici più popolosi ed emergenti, la Cina, oggi un grande sistema economico impegnato nella rincorsa ai mercati e ai livelli produttivi mondiali, abbia mantenuto gli impegni previsti dalla Conferenza di Parigi, COP 2015 (a differenza degli USA, primo produttore mondiale di CO2, che ha ritirato la sua adesione), dimostrando di aver preso coscienza dell’enorme

costo ambientale e dei rischi che questo processo di sviluppo incontrollato comporta.

In Italia, che vanta nel mondo una delle più antiche tradizioni rurali e una eccezionale biodiversità (sia ambientale che di origine antropica, in fatto di varietà coltivate e razze allevate), gli aspetti problematici più gravi che ostacolano una corretta gestione e una reale valorizzazione delle risorse territoriali possono essere ricondotti, semplificando, ad alcuni punti critici: • perdita della tradizione e della cultura nella gestione del territorio; • incomprensibile subordinazione dell’agricoltura e delle iniziative turistiche rispetto a qualsiasi attività di approccio industriale, indipendentemente da ogni ricaduta negativa che queste ultime possono avere sulle potenzialità ambientali (vedi attività estrattive, attività con elevata emissione di inquinanti; localizzazione delle aree industriali, artigianali, commerciali e urbane ecc.), comprese gran parte delle stesse attività agricole, zootecniche, di trasformazione alimentare e turistiche a incontrollato e insostenibile impatto ambientale e sanitario; • investimenti pressoché nulli nella ricerca ambientale e nella sperimentazione; per fare alcuni esempi, solo poche regioni hanno sviluppato una conoscenza approfondita della flora ed una cartografia floristica regionale, né tantomeno uno studio accurato della vegetazione (se non a grande scala o di dettaglio, ma su poche aree), mancano censi-

menti faunistici stabili e solo alcune regioni settentrionali posseggono un accurato censimento forestale, una cartografia geo-pedologica di dettaglio, solo alcune sono dotate di accurati e capillari sistemi di controllo della qualità delle acque superficiali e profonde (a titolo esemplificativo in Lombardia la presenza di glifosato e del suo metabolita AMPA nelle acque viene monitorata, a partire dal 2008, dove da soli costituiscono gli inquinanti largamente più abbondanti nelle falde idriche superficiali, eppure ancora oggi gran parte delle regioni italiane non ha ancora adottato strumenti di misura per rilevarne la presenza). Abbandono delle capillari forme di manutenzione del territorio

In questo contesto culturale accade che le scelte riguardanti il territorio vengano intraprese senza una adeguata conoscenza, in assenza di dati che permettano di valutare i cambiamenti nel tempo e spesso sulla base di preconcetti e di luoghi comuni.

Lo studio del dinamismo della vegetazione riveste un ruolo di grande importanza nella gestione delle risorse ambientali, fornendo informazioni sulle caratteristiche potenziali del territorio, sul suo stato di naturalità e sulla dinamica della vegetazione e permettendo, quindi, una scelta più consapevole delle politiche del territorio e delle modalità di intervento 1,2,3,4,5 .

Quanto si sia trasformato il paesaggio in seguito a questi processi di sfruttamento da una parte e di

abbandono dall’altra si può facilmente osservare attraverso una ricostruzione del paesaggio mezzadrile delle alberate (che ha caratterizzato per diversi secoli ampie zone collinari dell’Italia centrale) a confronto con la situazione attuale (Fig. 1).

Fig. 1 – Ricostruzione del paesaggio collinare dell’alberata (nel disegno in alto) che ha caratterizzato buona parte dell’area rurale dell’Italia centrale (Toscana, Marche, Umbria, Emilia-Romagna, e Lazio) per oltre 3 secoli (dalla metà del ’600 alla metà del ’900), mentre nel disegno in basso viene illustrata la ricostruzione della situazione attuale dello stesso paesaggio.

Tuttavia lo stesso paesaggio agrario collinare, che presenta un territorio intensamente utilizzato, comprende al suo interno una grande varietà di situazioni assai diverse che ci inducono ad approfondire l’attenzione sulle situazioni più rappresentative e a cercare di capire i processi ambientali in atto e le loro conseguenze sia quelle più evidenti e dirette che quelle indirette.

La biodiversità degli agroecosistemi

L’agroecosistema è una forma semplificata dell’ecosistema, in quanto l’ambiente agricolo viene il più possibile adattato alle esigenze produttive, favorendo le specie coltivate a discapito di quelle spontanee. Nel passato, il paesaggio agrario era caratterizzato da un maggior numero di elementi naturali, quali siepi, filari, boschetti e prati. Negli ultimi decenni, invece, il progressivo sviluppo della tecnologia (meccanizzazione, prodotti di sintesi) ha portato a una continua e inesorabile semplificazione del sistema, con la scomparsa delle aree marginali e il sorgere di vari problemi di carattere ambientale (Fig. 2).

Fig. 2 – Aspetti diversi della perdita di biodiversità e di elementi funzionali del territorio nel paesaggio dell’agricoltura industriale: in basso, collina denudata di ogni elemento di vita sia in superficie che nel terreno; in alto, collettore che dovrebbe svolgere la funzione di raccolta e scorrimento dell’acqua piovana, che viene inizialmente lavorato e cancellato, poi, quando l’erosione non lo permette più, viene lavorato fino al bordo e fatto oggetto di trattamento con diserbo; al centro, la condizione dei versanti dove non esiste più un sistema di raccolta delle acque che, durante gli eventi piovosi, trasportano a valle una media di 30 tonnellate di suolo per ettaro all’anno.

Mentre quanto sopra accennato avveniva nelle zone collinari, vallive e costiere, in quasi tutta la fascia altocollinare e montana si realizzava un rapido e altrettanto rovinoso abbandono delle attività produttive agricole, zootecniche e forestali. Paradossalmente i danni derivanti dall’eccessivo sfruttamento in collina e dall’abbandono del territorio in montagna hanno sortito effetti analoghi: perdita o erosione della biodiversità.

Mentre è più facile intuire quanto accaduto nelle zone collinari e vallive (anche se mancano dati che permettano di misurare il grado di semplificazione raggiunto), risulta spesso incompreso il fenomeno di impoverimento della biodiversità avvenuto nelle aree montane e altocollinari. Qui infatti si è assistito al processo opposto di abbandono delle attività produttive e di lento ma inesorabile esodo abitativo, con la conseguenza che sono aumentate le superfici forestali (un grado più elevato di maturazione dell’ecosistema) ma ciò è avvenuto a scapito della semplificazione degli ambienti (perdita del mosaico dei campi e dei pascoli) e quindi con perdita di complessità e di biodiversità (Fig. 3).

Fig. 3 – L’abbandono della montagna è un fenomeno iniziato già ai primi del ’900, esodo che è proseguito senza interruzioni sino a oggi. Gli effetti si misurano con l’aumento annuale di superficie considerata forestale che qualcuno, senza troppa riflessione, valuta come un aumento della qualità del patrimonio ambientale. In realtà si tratta di una banalizzazione del paesaggio montano dovuta alla trasformazione in arbusteti (foto al centro e in basso) degli ambienti di prateria secondaria, utilizzati tradizionalmente per l’allevamento del bestiame (foto in alto), la cui ricchezza in biodiversità è tra le più elevate in assoluto e la cui alternanza con boschi stabili, costituisce la vera eredità delle generazioni che ci hanno preceduto.

Il ruolo della biodiversità per la funzionalità dell’agroecosistema

L’inquinamento delle risorse idriche rappresenta uno dei problemi legati all’attività agricola. Infatti, le principali sostanze inquinanti (nitrati, fosfati, residui di pesticidi) sono rilasciate in seguito alle continue e capillari applicazioni di fertilizzanti e impieghi non ottimali rispetto ai cicli delle piante, oltre che in seguito a lavorazioni del terreno e pesanti trattamenti con diserbanti, spesso utilizzati anche per evitare la manutenzione delle fasce marginali non utilizzate per la produzione (fossi, scarpate, terrapieni, siepi, filari alberati, strade di terra, aie), con la conseguenza di rendere inabitabili e inabitate intere zone agricole (Fig. 4).

Tra i segnali di questa desertificazione delle campagne è sufficiente ricordare il gravissimo problema esploso negli ultimi anni con il fenomeno della morìa delle api, fenomeno che ha diverse cause scatenanti, ma un fattore comune: la mancanza di polline e di nettare per l’alimentazione delle api (e di tutti gli insetti impollinatori) per gran parte dell’anno. Prova ne è la sempre più ampia richiesta agli apicoltori di portare arnie all’interno di frutteti industriali per garantire loro un adeguato livello di impollinazione e quindi di fruttificazione.

La mancanza di studi e di monitoraggi sullo stato di salute e di biodiversità degli agroecosistemi (che rappresentano una percentuale importante del territorio) rende particolarmente indispensabi-

Fig. 4 – Paesaggio collinare (foto in alto) in fase di avanzato stato di perdita degli elementi strutturali a seguito all’eliminazione di siepi, scarpate, strade di terra, siepi, filari alberati, nuclei boscati, ecc. Questa cancellazione avviene per azione fisica di eradicazione delle specie legnose e lavorazione completa del terreno. In aggiunta a questo vengono effettuati trattamenti con diserbo chimico su tutta la superficie (foto al centro) e spesso anche nelle aree di margine. Nella foto in basso un dettaglio dell’area priva di vegetazione per i due caprioli nella sfortunata ricerca di alimentazione e di rifugio.

le approfondire la linea di ricerca che il mio gruppo ha da tempo avviata per sperimentare metodi di indagine essenziali e speditivi 6,7,8,9,10,11 che permettano di descrivere unità funzionali del paesaggio e che possano costituire una adeguata base di lavoro per ulteriori studi di tipo naturalistico o di carattere applicativo per la gestione e la conservazione del territorio. Tutto ciò ben sapendo che tanto più è elevato il livello di biodiversità degli ecosistemi, tanto più questi ultimi sono stabili e capaci di auto-mantenersi, capacità conosciuta col nome di resilienza. La complessità del sistema è infatti funzione della quantità e della qualità delle interazioni che intercorrono tra le diverse forme di vita.

La vegetazione come indicatore della qualità ambientale

Tradizionalmente la qualità del paesaggio degli ambienti rurali viene identificata con la presenza di boschi, elementi arborei e arbustivi, elementi che tuttavia presentano una risposta solo a significative e prolungate alterazioni del suolo o delle acque superficiali. Assai più sensibili, anche a piccole modificazioni ambientali e con risposte misurabili nell’arco di pochi mesi, sono invece le forme di vegetazione erbacea che risultano presenti capillarmente in ogni piccolo spazio, anche delle aree agricole desertificate, dove il paesaggio appare povero o pressoché privo di vegetazione semi-naturale (Fig. 5).

Questa particolare capacità di lettura del paesaggio rurale è stata ottenuta grazie all’applicazione di

Fig. 5 – Schema delle diverse tipologie di vegetazione erbacea (annuale e perenne) che caratterizzano il paesaggio rurale a partire dal campo coltivato (sulla destra) per arrivare, attraverso vari stadi, al bosco (sulla sinistra), laddove si sono mantenute aree forestali. Le comunità che si trovano sulla destra sono quelle che hanno un ciclo brevissimo (nell’arco di un anno), mentre quelle che si trovano a sinistra (possono avere un ciclo plurisecolare), quindi il passaggio da sinistra a destra avviene per effetto dell’azione di disturbo antropico (eradicazione, incendio ecc.), mentre il cambiamento da destra a sinistra può avvenire per effetto della maturazione spontanea (naturalizzazione) di una cenosi non più utilizzata per la coltivazione. L’uso del bosco a ceduo mantiene la copertura forestale, lo sfalcio o il pascolo mantiene la prateria, mentre la lavorazione del terreno mantiene la comunità delle commensali legate alla coltivazione annuale.

un innovativo metodo di valutazione della funzionalità dei contesti rurali applicato a varie realtà territoriali regionali. Il sistema adottato si basa sull’analisi vegetazionale (adottata dalla Comunità Europea come mezzo ufficiale per l’identificazione e la descrizione degli habitat meritevoli di protezione ai sensi della Direttiva 92/43/CEE) e sull’applicazione di indicatori di maturità appositamente elaborati. Permette di effettuare precise misurazioni ed è integrabile con altri bioindicatori di tipo gestionale, previsionale e decisionale, anche su base geologica e faunistica.

È stato applicato a scale differenti, che vanno dal bacino idrografico alla singola azienda agricola fino a piccole porzioni di territorio12,13, 25 (Fig. 6).

L’indicatore di maturità si basa sulla correlazione, osservata in campo attraverso la vegetazione, che caratterizza i singoli stadi dinamici che sono stati osservati in aree omogenee dal punto di vista dei fattori ambientali di tipo fisico e biologico (substrato, morfologia, altitudine, microclima, interazioni faunistiche, uso del suolo). La maturità così misurata mostra contemporaneamente anche una stretta correlazione con l’aumento della biodiversità26 e an-

Fig. 6 – Schema di attribuzione dei valori del coefficiente di maturità (da 1 a 9), sette dei quali sono costituiti da cenosi erbacee (da 1 a 7), dai valori di maturità più bassi delle cenosi erbacee annuali dei campi coltivati alle comunità erbacee perenni che formano gli ecotoni degli orli forestali. Solo gli ultimi due, con il valore di maturità più alto (8 e 9), sono rappresentati da cenosi legnose (arbusteti e mantelli forestali i primi e boschi i secondi). I colori verdi caratterizzano le fasi più mature, quelli aranciati le fasi più lontane dalla maturità.

Fig. 7 – Commensali dei campi coltivati (foto in alto). Le specie che ne fanno parte hanno una fioritura piuttosto precoce; le caratteristiche sono lo specchio di venere (Legousia hybrida), l’adonide (Adonis annua ssp. cupaniana), il papavero (Papaver hybridum), il coriandolo selvatico (Bifora testiculata), la valerianella (Valerianella eriocarpa) e il gladiolo (Gladiolus italicus), quest’ultimo nella foto in basso.

che con la capacità di resilienza degli habitat27. Inoltre, maturità, biodiversità e resilienza sono i fattori più importanti, anche se ancora poco utilizzati, per misurare il valore economico della qualità ambientale valutabile attraverso i servizi ecosistemici28 che possono garantire.

Qui di seguito vengono descritti i più significativi stadi dinamici degli agroecosistemi ordinati nel senso della maturità (il cui valore massimo viene considerato corrispondente alla struttura forestale in equilibrio dinamico con le condizioni ambientali e le interazioni biotiche del luogo), partendo dallo stadio più lontano (quello della vegetazione che, in ambito rurale, accompagna le piante coltivate e che viene rinnovata ogni anno).

UNO - La vegetazione pioniera annuale delle commensali (infestanti) dei terreni coltivati (classe di vegetazione: Stellarietea). Una formazione vegetale (molto diffusa prima dell’adozione delle tecniche di diserbo chimico nei campi) rappresentativa delle cenosi di commensali dei seminativi autunni-vernini del settore collinare (Fig. 7).

DUE - La vegetazione annuale di strade di terra, sentieri e aree calpestate, diffusa in tutto il mondo (classe di vegetazione: Polygono-Poetea). Questo tipo di cenosi raggiunge il pieno sviluppo tra fine aprile e inizio maggio e si rileva più comunemente in corrispondenza delle stradine di terra e nelle aie delle case coloniche (Fig. 8).

Fig. 8 - Un esempio di vegetazione dei terreni soggetti a transito; questa cenosi si insedia nelle situazioni sottoposte a compattamento più intenso come su una strada bianca (foto in basso), presenta solitamente un indice di ricoprimento molto basso (50-60%) ed è dominata da una flora specializzata, come la fienarola indurita (Sclerochloa dura), nella foto in alto.

TRE - Le praterie pioniere perenni dei campi a riposo, tipici esempi sono rappresentati dalle comunità vegetali dei campi abbandonati, dei calanchi, del margine di campi e strade, delle zone ruderali prossime alle abitazioni e anche degli ambienti urbani o delle periferie delle città (classe di vegetazione: Artemisietea). Si tratta di cenosi molto diffuse nelle aree agricole in via di abbandono poiché caratterizzano in prevalenza gli appezzamenti non più utilizzati da almeno 3-4 anni o le zone calanchive, con concentrazione più o meno elevata di sali nel suolo, che sono state soggette a forti modifiche morfologiche di tipo erosivo (Fig. 9).

QUATTRO - Le praterie perenni a cui vengono riferiti i prati regolarmente sfalciati e in alcuni casi pascolati (classe di vegetazione: Molinio-Arrhenatheretea) che si sviluppano su suoli neutro-subacidi profondi, umidi e ben dotati di nutrienti, in territori a morfologia prevalentemente pianeggiante o scarsamente acclive (Fig. 10).

CINQUE - Le praterie perenni dei pascoli e dei prati-pascoli di origine antropica che in genere vengono utilizzate ai fini del pascolo del bestiame. Le comunità comprese in questo gruppo (classe di vegetazione: Festuco-Brometea) sono composte prevalentemente da specie emicriptofite caratterizzate da buon valore foraggero. Si tratta di formazioni generalmente estese nelle fasce preappenniniche (alto collinari e montane), men-

Fig. 9 - La comunità di megaforbie (piante erbacee perenni di grassa taglia) costituisce le fasce non coltivate di contatto con i campi e solitamente sono dominate dalla composita enula appiccicosa (Dittrichia viscosa), nelle foto in alto e in basso a sinistra. Le specie più significative sono il senecione serpeggiante (Senecio erucifolium), il cardo italico (Cirsium italicum) e il giacinto romano (Bellevalia romana), nella foto in basso a destra.

Fig. 10 – La comunità delle praterie erbacee perenni sottoposte a sfalcio. Nell’esempio si tratta di cenosi a dominanza di ranuncoli (Ranunculus bulbosus e R. velutinus), foto in basso (nella foto in alto R. bilbosus), che trovano il loro optimum ecologico in corrispondenza di praterie su suolo fresco stabilmente sfalciate, che si possono rinvenire nelle aie delle case coloniche, nei prati delle ville e nelle aree verdi urbane mantenute regolarmente sfalciate per molti anni.

tre nella zona collinare si sviluppano spesso come stadio maturo post-coltura (Fig. 11).

SEI - Comunità di alte erbe che si sviluppano in corrispondenza dei margini nitrofili posti a contatto con formazioni forestali e pre-forestali e in alcuni casi anche in prossimità di ambienti umidi (classe di vegetazione: Galio-Urticetea). È presente inoltre in

Fig. 11 – I pascoli delle aree montane e i pochi residui rimasti nelle aree collinari (foto in alto). Nell’esempio, praterie perenni dei pascoli e dei prati-pascoli particolarmente abbondanti nei versanti altocollinari e montani dell’Appennino calcareo, dominate dalla presenza del forasacco (Bromus erectus), insieme al fiordaliso bratteato (Centaurea bracteata) nella foto in basso.

dense cenosi lungo i margini stradali ed è molto ben rappresentata negli agroecosistemi che hanno mantenuto una buona complessità ambientale (Fig. 12).

Fig. 12 – La particolare fascia di erbe perenni nitro-igrofile spesso di tipo stolonifero che si trovano ai margini delle strutture forestali e/o di ambienti umidi (foto in alto). Nell’esempio, vegetazione erbacea di orlo nitrofilo ad agliaria (Alliaria petiolata), in basso a destra, e cerfoglio dei boschi (Chaerophyllum temulum), in basso a sinistra.

SETTE - La vegetazione erbacea perenne degli orli forestali, si tratta di comunità vegetali di margine delle formazioni forestali o preforestali (classe di vegetazione: Trifolio-Geranietea), che si rilevano sui piani bioclimatici collinare e montano, sia al bordo dei boschi termofili a querce e carpini che al

Fig. 13 – Vegetazione erbacea perenne ecotonale di orlo forestale (in alto). Nell’esempio si tratta di un orlo forestale a dominanza di erba perla (Buglossoides purpureo-coerulea), in basso a destra, ed edera terrestre (Glechoma hirsuta),in basso a sinistra, che si trova a contatto con un bosco misto caducifoglio della fascia collinare.

margine delle più mesofile faggete. Si può osservare al margine dei rari boschi residui del territorio rurale, in zone ecotonali non eccessivamente disturbate e in situazioni con suolo profondo e ricco di lettiera (Fig. 13).

OTTO - Vegetazione arbustiva degli arbusteti e dei mantelli forestali (classe di vegetazione: Rhamno-Prunetea). Raccoglie tutte le cenosi dominate da arbusti che costituiscono le formazioni di mantello forestale e gli arbusteti. Nel paesaggio rurale la vegetazione arbustiva era un tempo abbastanza ben rappresentata, sia al margine di boschi o delle formazioni arboree ripariali, che all’interno dei filari alberati o in corrispondenza delle onnipresenti siepi. Gli arbusteti colonizzano campi abbandonati e pascoli e rappresentano la tappa seriale antecedente il ritorno del bosco (Fig. 14).

NOVE - La vegetazione degli ambienti forestali (classe di vegetazione: Querco-Fagetea). È la vegetazione dei boschi mesofili diffusi nei piani collinare e montano delle aree a clima temperato, con penetrazioni in zone a influenza mediterranea. Costituiscono generalmente la massima espressione evolutiva riscontrabile in un contesto di paesaggio. Negli agroecosistemi i boschi sono ormai divenuti elementi rari, ma molto preziosi, per la loro ricchezza in forme di vita, per la loro complessità e per la possibilità di ottenere germoplasma autoctono di specie nemorali arboree, arbustive ed erbacee (Fig. 15).

Fig. 14 – Vegetazione legnosa degli arbusteti e dei mantelli forestali (foto in alto). Nell’esempio una formazione preforestale mesofila a sambuco nero (Sambucus nigra) della fascia collinare, dove predilige terreni profondi e freschi e costituisce lo stadio pre-forestale dei boschetti a olmo, sia su substrato argilloso che su alluvioni. Si differenzia da analoghe formazioni a sambuco dell’Appennino settentrionale e delle Alpi orientali per la presenza di alcune specie mediterranee e sud-europee, come il gigaro (Arum italicum), la consolida minore (Symphytum bulbosum), il rovo comune (Rubus ulmifolius). Foto in dettaglio del sambuco nero (Sambucus nigra), in basso a destra, e del gigaro (Arum italicum), in basso a sinistra.

Fig. 15 – Cenosi forestali (foto in alto). Nell’esempio si tratta di boschi a roverella (Quercus pubescens) e quercia castagnola (Quercus virgiliana) presenti come residui nella fascia collinare subcostiera della regione adriatica centrale, caratterizzati da una abbondante presenza di specie mediterranee come rosa di San Giovanni (Rosa sempervirens), alloro (Laurus nobilis), stracciabraghe (Smilax aspera), foto in basso a destra, e robbia selvatica (Rubia peregrina), in basso a sinistra.

Gestire per conservare

I processi di rinaturazione costituiscono una fenomenale occasione di studio e di conoscenza dei meccanismi di funzionamento degli ecosistemi naturali e della loro reazione alle influenze antropiche. Nella gestione del territorio occorre tuttavia superare la tradizionale separazione settoriale che riguarda gli organi e i programmi di governo del territorio e che determina un profondo scollamento tra le politiche di gestione del patrimonio forestale e quelle che interessano l’ambiente (comprese le aree verdi urbane e periurbane) e le produzioni agricole, oltre che le stesse attività zootecniche.

In definitiva, gli interventi di gestione e di salvaguardia della vegetazione, dell’ambiente e del paesaggio possono essere sinteticamente ricondotti ai seguenti principi generali. 1. Le forme tradizionali di gestione del territorio hanno garantito per secoli il mantenimento della risorsa ambientale, consentendo peraltro un grado di biodiversità specifica e biocenotica assai elevato. Se si vuole mantenere tale biodiversità occorre innanzi tutto assicurare il sostentamento, seppure in forma commisurata alla risorsa, di tali attività (come l’utilizzazione della risorsa legnosa, anche per uso diretto, o l’attività zootecnica nei pascoli), laddove queste si sono mantenute, oppure prevedere forme di incentivazione per il loro ripristino, nei casi di abbandono delle forme tradizionali di attività agro-silvo-pastorali (ciò vale in particolare per le aree ad alto valore naturalistico

e/o per quelle dove si vogliono sviluppare attività turistiche o agroturistiche). 2. La conservazione del patrimonio naturale deve essere effettuata attraverso norme di limitazione d’uso e/o di trasformazione della risorsa, sempre affiancate però da forme di incentivazione e di coinvolgimento economico e gestionale delle popolazioni interessate, stimolate attraverso iniziative di divulgazione scientifica e naturalistica. 3. L’obiettivo di ricostruzione della vegetazione, come quella dei margini dei campi e della rete idrica minore, è particolarmente importante; tuttavia questa va realizzata sulla base di conoscenze floristiche, vegetazionali e nel rispetto del dinamismo vegetazionale, scegliendo, attraverso questo criterio, delle forme di intervento più coerenti che garantiscano l’obiettivo (se si vuole proteggere un versante dall’erosione, non è necessario piantare alberi, ma è sufficiente favorire il ripristino di una copertura erbacea continua o di una formazione arbustiva, che impediscano i ruscellamenti superficiali e permettano una evoluzione spontanea, anche se più lenta, verso forme boscate più naturali). 4. Qualsiasi forma di intervento di ricostituzione, anche la più attenta, meticolosa e realizzata con ampia disponibilità di mezzi scientifici, tecnici ed economici (condizioni assai lontane dalla situazione attuale), ha ben poche possibilità di portare a risultati confrontabili, con le analoghe formazioni spontanee che si vogliono ricreare. Laddove possi-

bile, è quindi auspicabile concentrare tutti gli sforzi verso la conservazione, anche di piccoli nuclei di vegetazione spontanea, è questo il caso dei boschi residui del paesaggio rurale14,15,16,17,18,19, 20, 21 e le rare praterie polifitiche ancora utilizzate per l’allevamento brado in collina e in pianura22, 23, 24, e investire negli interventi di ricostruzione ambientale, utilizzando i nuclei di vegetazione residua come esempio e fonte di germoplasma (Fig. 16).

Conclusioni

Il sempre più frequente uso di diserbanti al di fuori delle aree coltivate, per il controllo delle fasce erbose spontanee (le fasce tampone) a contatto con i campi, in sostituzione dello sfalcio, costituisce una pratica particolarmente negativa, non solo per gli effetti sull’ambiente e sulla fauna utile, ma soprattutto per la perdita del grado di evoluzione delle cenosi (per raggiungere lo stadio di prato stabile occorrono almeno una quindicina di anni), che vengono riportate alla fase pioniera iniziale, con scarsi vantaggi per l’agricoltore che, invece di limitare l’aggressione delle infestanti sulle colture, ne aumenta notevolmente la potenzialità sostituendo cenosi stabili, costituite da specie non invasive, con comunità di piante annuali e dotate di alta capacità di infestazione.

L’agricoltura svolge un importante ruolo, non solo produttivo, ma anche di gestione del territorio, che, nonostante sia da tutti riconosciuto, tuttavia non trova adeguate forme di traduzione in ter-

Fig. 16 – Due esempi del patrimonio dei boschi residui presenti nella Regione Marche, a cui è stata dedicata una lunga e accurata ricerca per evidenziare: presenza, consistenza, composizione floristica, le diverse cenosi forestali e lo stato di conservazione della biodiversità21. In alto la Selva di Montoro, un dei pochi nuclei che ha mantenuto un elevato livello di complessità, posto in Comune di Filottrano (AN) e affacciato sulla Valle del Fiume Musone, con l’abitato di Osimo sullo sfondo. In basso il suggestivo Bosco dei Monaci Bianchi, in comune di Cupramontana (AN), alle spalle del’omonimo Eremo17 .

mini concreti, condivisi e riconosciuti nella politica di settore.

Anche se il problema non può essere esaurito in questa sede, va comunque affrontato da un punto di vista organico e occorre riflettere su alcuni obiettivi generali e condivisi, ma che vengono completamente disattesi nella prassi.

Un esempio: i contributi comunitari destinati all’agricoltura vengono ancora concessi solo sulla base del tipo e della superficie di coltur a, finanziando in questo modo indiscriminatamente coloro che (i cosiddetti “coltivatori del contributo”) ritagliano margini di guadagno a scapito dell’ambiente (scaricandone i costi sulla collettività), insieme a chi invece svolge la propria attività produttiva in forme meno aggressive per la funzionalità e l’integrità del proprio agroecosistema, assicurando in questo modo a se stessi e all’intera comunità, la possibilità di produrre anche in futuro, garantendo cioè la sostenibilità della produzione agricola.

Regole per la biodiversità ambientale (oltre che colturale e culturale)

• Conoscere per gestire (più professioni e lavoro per tecnici preparati). • Gestire per mantenere il funzionamento ambientale (riconoscendo il valore dei servizi ecosistemici). • Manutenere l’ambiente per la nostra qualità di vita (e quella delle future generazioni). • L’agricoltura industriale (che rappresenta ancora oltre l’80% delle aziende), mantenendo prezzi

più bassi, nasconde di fatto i costi economici della produzione che però vengono comunque sopportati dalla collettività in termini di danni ambientali, sociali, sanitari ed economici. La produzione sostenibile invece (agricoltura biologica, biodinamica, organico rigenerativa, permacultura ecc.) investe nella cura dell'ambiente e nella qualità del cibo e quindi i costi ambientali e sociali di questo tipo di agricoltura fanno parte integrante ed esplicita di ciò che paga il consumatore, meglio definito proprio per questo “co-produttore”.

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