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a cura di Stefania Grando e Salvatore Ceccarelli

4. Gli alimenti del futuro: cibi intelligenti. Buoni per noi, buoni per l’ambiente e buoni per l’agricoltore

a cura di Stefania Grando e Salvatore Ceccarelli, genetisti/plant breeder, consulenti

Oggi si parla spesso di “Smart Food” (cibo intelligente) o diete “Smart”, soprattutto in ambito nutrizionale, con riferimento a una alimentazione che riduca il rischio di malattie croniche e aumenti l’aspettativa di vita, in un approccio che include medici e nutrizionisti per identificare e promuovere cibi che proteggono la salute. La nutrizione è molto spesso considerata dal punto di vista della salute, il che è giusto, ma dovrebbe tener conto anche dell’origine del cibo, di come questo viene prodotto e delle conseguenze sull’ambiente. Per un approccio efficace c’è bisogno di combinare diversi settori: medicina, nutrizione, ma anche agricoltura, istruzione, comunicazione e politica.

Per questo motivo è necessario introdurre un concetto diverso di cibo intelligente (prodotto da colture intelligenti) che definiamo come un cibo che sia sano per chi lo consuma, che sia allo stesso tempo prodotto e distribuito in maniera sostenibile per l’ambiente e che sia conveniente per chi lo produce; in altre parole buono per noi, buono per l’ambiente e buono per l’agricoltore.

Per capire come siamo arrivati a questa definizione di cibo intelligente, dobbiamo esaminare come gli obiettivi dei programmi di ricerca e sviluppo agricolo siano cambiati e come il concetto di sicurezza alimentare si sia evoluto negli anni1 .

Verso la metà del secolo scorso la sicurezza alimentare veniva intesa come disponibilità di sufficienti quantità di cibo, senza considerare la qualità nutrizionale del cibo prodotto.

Di conseguenza i programmi di miglioramento genetico delle piante agrarie avevano come obiettivo principale quello di aumentare la produttività delle diverse colture per produrre, possibilmente a basso costo, abbastanza cibo per un sufficiente apporto energetico; poca attenzione veniva data alla qualità, in senso lato. Con il tempo si è capito che un buon apporto energetico non era sufficiente, e si è riconosciuta l’importanza della qualità del cibo per assicurare un apporto bilanciato di carboidrati, proteine, fibre, e micronutrienti. I programmi di miglioramento genetico delle piante hanno aggiunto obiettivi legati alla qualità nutrizionale del prodotto.

Alla sicurezza alimentare è stato dato un significato più ampio tanto è vero che essa può dirsi raggiunta “quando tutte le persone, in qualsiasi momento, hanno accesso fisico ed economico a un cibo in quantità sufficiente, sicuro e nutriente che soddisfi i loro bisogni dietetici e le loro preferenze alimentari per una vita attiva e sana”2 .

Più recentemente è diventata sempre più evidente la necessità di passare a diete e a sistemi alimen-

tari più sostenibili anche se si tratta di un obiettivo non semplice da raggiungere.

Secondo quanto indicato dalla FAO, “le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono accettabili culturalmente, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane”3 .

Oggi la grande sfida è quella di avere del cibo intelligente sulle nostre tavole, ovvero cibo che sia buono per chi lo consuma, prodotto e distribuito a basso impatto ambientale e redditizio per chi lo produce per affrontare simultaneamente alcune delle maggiori problematiche globali quali malnutrizione, sostenibilità per l’ambiente e povertà.

Perché il cibo intelligente non è sulle nostre tavole?

L’ostacolo più grande al fatto che il cibo intelligente sia una componente quotidiana nelle nostre diete è nel divario tra sistemi alimentari, dovuto in larga parte al fatto che gli investimenti per migliorare la produttività e quindi la disponibilità di materie prime di origine agricola, sono stati concentrati per decenni su un numero ristretto di colture, nel caso dei cereali principalmente su riso, frumento e gran-

turco. Questi tre cereali, oggi rappresentano circa il 60% delle calorie di origine vegetale consumate a livello globale. Per esempio, circa il 45% degli investimenti nella ricerca agricola del settore privato riguarda il granturco4 .

Agli investimenti nella ricerca hanno fatto seguito investimenti nelle politiche di supporto e nello sviluppo delle filiere, lasciando le filiere di altre colture poco o affatto sviluppate.

Oggi colture come riso, frumento e granturco hanno assunto una importanza strategica per la sicurezza alimentare in parecchi paesi, anche in quelli dove in passato, questi tre cereali non rappresentavano la fonte principale di energia.

Ciò ha portato alla sostituzione di colture tradizionali e più nutrienti con colture meno nutrienti e non ben adattate alle condizioni agro climatiche degli ambienti in cui vengono coltivate.

A tale proposito, il caso del granturco in Kenya orientale è emblematico. In questa area del Kenya, gli agricoltori coltivavano tradizionalmente miglio e sorgo, ben adattati alle condizioni aride del paese. Durante periodi di siccità e di carestia, il governo ha cominciato a distribuire granturco come aiuto alimentare gratuito. La popolazione si è così abituata a mangiare il granturco e ha cominciato a coltivarlo.

Ma il granturco non è adatto al clima del Kenya orientale e sopravvive 1 anno su 4.

Quindi i contadini di queste zone raccolgono solo 1 anno su 4, ma continuano a coltivare il granturco! Perché, ci dicono, è più facile – un addetto arriva

in azienda e vende ai contadini il seme, e i fertilizzanti e i fitofarmaci necessari; a maturità qualcun altro poi arriva in azienda e compra il raccolto. I contadini sanno che possono vendere il raccolto e nel tempo si sono anche abituati a mangiarlo. A questo punto la filiera è ben consolidata5 .

Questo e altri processi, ripetuti globalmente in periodi diversi e per colture diverse, hanno portato a una drastica riduzione sia del numero di specie vegetali e animali che contribuisce all’approvvigionamento alimentare mondiale, che della diversità all’interno delle singole specie. Questa perdita di diversità non solo è considerata una potenziale minaccia alla sicurezza alimentare e alla nostra salute ma diminuisce le possibilità di contrastare gli effetti del cambiamento climatico.

Un rapporto pubblicato dalla FAO nel 20196, ha messo in evidenza che le basi dei nostri sistemi alimentari sono in grave pericolo. Di circa 6.000 specie di piante coltivate per uso alimentare, meno di 200 contribuiscono in modo importante alla produzione alimentare globale e solo nove rappresentano il 66% della produzione agricola totale (canna da zucchero, riso, granturco, frumento, patata, soia, palma da olio, barbabietola da zucchero, e manioca). Circa trenta colture forniscono il 95% della domanda globale di alimenti7. Inoltre, il numero di varietà delle specie che ci forniscono la maggior parte delle calorie è molto ridotto rispetto al passato. Infine, le varietà moderne sono costituite da piante tutte pressoché identiche geneticamente.

Questo ha portato a una riduzione della diversità delle diete, fenomeno che è stato più volte associato con l’aumento di malattie a base infiammatoria8 .

Esempi di cibi intelligenti

Esempi di colture che soddisfano i criteri dei cibi intelligenti, sono i migli, il sorgo e l’orzo e, come vedremo più avanti, le popolazioni evolutive.

Migli e sorgo

I migli e il sorgo (Fig. 1 e 2) sono colture tradizionali in molti paesi dell’Africa e dell’Asia, dove sono usate come la maggior fonte di calorie, ma in passato molto comuni anche in Italia. I migli includono una ampia gamma di cereali simili per dimensioni del seme e utilizzo della granella. Sono colture particolarmente resistenti alla siccità e con un ciclo colturale breve, che possono essere coltivate anche in terreni molto poveri.

In Italia le specie di miglio più conosciuti sono il Panicum miliaceum (miglio) e la Setaria italica (panico). Entrambi originari della Cina, dove furono domesticati oltre 7.000 anni fa, sono considerati tra le colture più antiche. Utilizzati già in epoca greca e romana rivestirono, soprattutto durante il Medioevo, un posto primario nell’alimentazione umana.

I migli e il sorgo contribuiscono a una dieta diversa e salutare, hanno un basso indice glicemico, sono ricchi in antiossidanti, proteine e molti micronutrienti quali ferro, zinco e calcio, sono altamente digeribili, e naturalmente privi di glutine. Quindi sono buoni per il consumatore.

Fig. 1 – Alcuni tipi di miglio. Miglio

Panico

Miglio africano (Finger millet)

Miglio perla (Pearl millet)

Fig. 2 – Diversità nel sorgo.

I migli e il sorgo hanno bisogno di meno acqua di altri cereali, sono spesso le ultime colture a essere coltivate prima del deserto, per cui aiutano a fermare la desertificazione, e richiedono meno fertilizzanti e pesticidi, quindi aiutano a ridurre le emissioni di gas serra. Infatti mentre da una parte l’agricoltura è influenzata negativamente dai cambiamenti climatici, dall’altra ne è essa stessa la causa contribuendo al cambiamento climatico.

Il contributo dell’agricoltura alle emissioni di gas serra è sia diretto che indiretto e include: • il suolo agricolo e il bestiame che emettono direttamente grandi quantità di potenti gas serra; • le emissioni indirette dell’agricoltura come l’uso di combustibili fossili nelle operazioni agricole, la produzione di prodotti chimici per l’agricoltura e la conversione di ampie superfici da foreste ad aree agricole.

Escludendo i cambiamenti nell’uso del suolo come la deforestazione, le emissioni di gas serra prodotte dall’agricoltura ogni anno equivalgono a 5,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica, ovvero l’11% delle emissioni totali da attività umane9. L’uso di fertilizzanti sintetici è una delle fonti di emissione più importante e in più rapida crescita in agricoltura. Il consumo di energia e fertilizzanti è particolarmente elevato nei sistemi intensivi cerealicoli. Per esempio, gli input di fertilizzanti e di energia chimica (pesticidi, erbicidi ecc.) comprendono circa il 45% dell’energia totale usata per la produzione di

riso, frumento e granturco, circa il 60% dei quali è dovuto al concime azotato10. I migli e il sorgo sono quindi buoni per l’ambiente, perché i loro effetti sull’ambiente sono inferiori a quelli di altre colture avendo: • minore emissioni di gas serra rispetto ad altre colture, quindi mitigano le cause dei cambiamenti climatici; • minore impatto sulla riduzione delle risorse naturali come acqua e suolo; • un effetto positivo sulla riduzione del degrado ambientale, poiché sono spesso le ultime colture a essere coltivate prima del deserto, per cui aiutano a fermare la desertificazione.

Infine i migli e il sorgo sono buoni per l’agricoltore: sono colture tradizionali per circa 600 milioni di agricoltori delle zone aride, contribuiscono ad aumentare la biodiversità in azienda e la resilienza a condizioni climatiche estreme, e offrono molteplici usi, alcuni dei quali sono ancora tutti da esplorare. I migli e il sorgo forniscono agli agricoltori una strategia per la gestione dei rischi legati al cambiamento climatico, per combattere l’insicurezza alimentare e la povertà.

Orzo

L’orzo, domesticato circa 10.000 anni fa in Medio Oriente, è una coltura molto importante per gli agricoltori delle aree aride e marginali a clima mediterraneo.

Oggi è utilizzato principalmente come alimento per animali, per la produzione della birra, e solo in piccola percentuale per l’alimentazione umana. Dalla sua domesticazione era stato un alimento importante, considerato cibo energetico delle masse con una reputazione di fornire forza. I gladiatori dell’Impero Romano erano chiamati hordeari, da hordeum, nome latino dell’orzo, perché questa coltura era il componente principale della loro dieta di allenamento. L’orzo è ancora un alimento base fondamentale in alcune aree del Nord Africa e del Vicino Oriente, negli altopiani dell’Asia centrale, nel Corno d’Africa, e nelle Ande.

L’orzo ha un basso indice glicemico, è ricco di beta-glucani, fibre, fosforo, potassio, magnesio, ferro, zinco, silicio, calcio, vitamine del gruppo B e vitamina E. Come nel caso dei migli, contribuisce ad avere una dieta diversa e salutare, quindi è buono per il consumatore.

L’orzo è più resistente alla siccità e ha bisogno di meno fertilizzante del frumento, ed è spesso una delle poche opzioni nelle zone aride e nei sistemi agricoli dove le alternative sono limitate, come negli altopiani e sulle montagne. Quindi è buono per l’ambiente.

L’orzo è anche buono per l’agricoltore, perché, come nel caso dei migli, aiuta ad aumentare la biodiversità, diversificando la produzione aziendale e fornendo agli agricoltori una strategia per la gestione dei rischi legati al cambiamento climatico.

Un altro esempio di colture intelligenti: le popolazioni evolutive

Le popolazioni evolutive sono una mescolanza di tantissimi tipi diversi della stessa specie.

Quindi un campo dove si coltiva una popolazione evolutiva, per esempio di frumento tenero, è molto diverso da un campo dove si coltiva una varietà moderna (Fig. 3).

L’idea delle popolazioni evolutive non è nuova; infatti le prime ricerche risalgono agli anni tra il 1920 e il 1930 all’Università di Davis in California11, 12 men-

Fig. 3 – Una popolazione evolutiva di frumento tenero.

tre il termine miglioramento genetico evolutivo ha cominciato a essere usato più tardi13 .

Bisogna fare una distinzione tra popolazione e miscuglio, un termine che si usa spesso come sinonimo di popolazione anche se sinonimo non è (Fig. 4).

Infatti mentre un miscuglio si ottiene semplicemente mescolando i semi di un certo numero di varietà, una popolazione si ottiene facendo quanti più incroci è possibile, preferibilmente tutti gli incroci possibili, tra un certo numero di varietà.

Uno degli attributi più interessanti di una popolazione (e in misura minore di un miscuglio) è la sua capacità di evolversi, ed è per questo che si chiamano popolazioni evolutive.

Questo perché, essendo costituita da parecchie migliaia di piante tutte diverse tra di loro, a causa degli incroci che avvengono naturalmente e della selezione naturale, non tutte le piante producono in modo uguale. Quindi il seme che si raccoglie non è geneticamente lo stesso di quello che è stato seminato, cioè la popolazione si evolve e se si semina sempre nella stessa azienda, si adatta gradualmente alle condizioni di ogni agricoltore prendendo forme diverse da un anno all’altro nello stesso luogo e, passando da un agricoltore all’altro, da un luogo all’altro.

Quindi, quando i semi di una popolazione evolutiva vengono distribuiti a un certo numero di agricoltori, e ogni agricoltore continua a seminare la popolazione utilizzando il proprio seme, si creano tante popolazioni evolutive diverse che aumentano la agro biodiversità nel tempo e nello spazio.

Fig. 4 – La differenza tra Miscugli e Popolazioni.

Le popolazioni evolutive rappresentano delle colture intelligenti perché: • Fanno bene all’ambiente. Infatti, proprio grazie alla diversità che racchiudono, controllano malattie, insetti e infestanti molto meglio delle varietà uniformi rendendo superfluo l’uso di pesticidi, quindi riducono le emissioni contribuendo così a mitigare gli effetti del cambiamento climatico.

Evolvendosi, rappresentano contemporaneamente una strategia di adattamento alla complessità del cambiamento climatico che comporta modifiche che riguardano non solo piovosità e temperatura ma anche malattie, insetti e infestanti, cambiamenti in larga misura imprevedibili e diversi da luogo a luogo.

• Fanno bene a chi le coltiva. Infatti, controllando malattie, insetti e infestanti molto meglio delle varietà uniformi riducono i costi di produzione.

Inoltre, come vedremo in dettaglio più avanti nel caso dell’Italia, i prodotti ottenuti dalle popolazioni di frumento tenero e frumento duro sono molto apprezzati dai consumatori e quindi consentono di fare reddito. • Fanno bene al consumatore. Fin dalle prime esperienze in Iran con una popolazione evolutiva di frumento tenero, si scoprì che il pane prodotto con la farina della popolazione era molto apprezzato dai consumatori per la sua digeribilità, per la sua durata nel tempo e per il sapore e profumo.

Lo stesso si è verificato in Italia non solo per la popolazione di frumento tenero ma anche per quella di frumento duro che fornisce una pasta molto apprezzata.

Mentre la coltivazione delle popolazioni evolutive aumenta sempre più e i vari prodotti che da esse si ottengono si diffondono (Fig.5), la scienza delle popolazioni continua a essere argomento di ricerca scientifica sia in Italia14 che all’estero15 . Le pubblicazioni sull’argomento dimostrano come le popolazioni si evolvono diventando più produttive, più resistenti alle malattie, con epoca di maturazione in sintonia con l’ambiente in cui si evolvono e con maggiore stabilità della resa da un anno all’altro.

Fig. 5 – Alcuni prodotti di Popolazioni Evolutive.

Conclusioni

È necessario intervenire per ridurre il divario dei sistemi alimentari e sviluppare le filiere di altre colture che possano aumentare la diversità delle nostre diete con effetti positivi sulla nostra salute, sulla sostenibilità ambientale e sulla resilienza del sostentamento degli agricoltori. Poiché il cibo intelligente è buono per chi lo consuma, buono per il Pianeta e buono per chi lo produce, la sua diffusione può aiutare ad affrontare alcuni dei più grandi problemi globali quali la malnutrizione, la povertà e il degrado ambientale.

Affinché questo accada c’è bisogno di usare un approccio diverso che sia partecipativo lungo tutta la filiera, dal contadino al consumatore, che crei interesse e richiesta da parte dei consumatori, che sviluppi la filiera nella sua interezza, e che guardi alle differenti necessità delle popolazioni rurali e urbane. Infatti per sviluppare un modello di business positivo è importante guidare la domanda, ad esempio riportando alcuni cibi intelligenti tradizionali come alimenti base sulle nostre tavole.

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