Terre di frontiera / Lug-Ago 2016 - Numero 5 Anno 1

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Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare

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Lucio Anneo Seneca

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l’editoriale

FUORI DALLE PALE DI PIETRO DOMMARCO Fuori dalle Pale, la titolazione scelta per il nostro ampio approfondimento sull’eolico selvaggio nel Mezzogiorno d’Italia, è il nome di un comitato nato in Sardegna nel 2014. Fatto di cittadini contrari alla realizzazione di un impianto di mini eolico - sulle colline della Marmilla. Un comitato, tra le centinaia di associazioni - su tutto il territorio nazionale - che da anni si battono contro la speculazione che muove lo sviluppo delle energie rinnovabili. Al contrario di quanto ci ha dichiarato il presidente dell’Anev che, invece, identifica in pochissimi casi il numero di oppositori. Fuori dalle Pale - è bene sottolinearlo - non deve risultare come la nostra contrarietà a forme di produzione energetica sostenibile, per il superamento delle fonti fossili. Ma come una netta contrarietà a queste forme di eolico speculativo, che vanno ben oltre la sostenibili-

tà. Concentrato principalmente nelle regioni del Sud e con l’esigenza di equilibrare il mix energetico. Il contesto che vi raccontiamo è fatto di migliaia di pale eoliche autorizzate in piena deregolamentazione, sui crinali, in prossimità di aree protette e di elevato pregio storico, archeologico e ambientale, vicino le abitazioni ed anche all’interno dei limiti di interdizione disposti da alcune Regioni. Sullo sfondo operazioni economiche e corsa agli incentivi gestiti da piccole società a responsabilità limitata con capitali sociali irrisori, compravendite di terreni, cambi di destinazione d’uso, espropri di massa per le centrali e le opere connesse, inchieste della magistratura. Coinvolti amministratori locali ed amministratori delegati. Oggi, quasi ovunque, in zone vincolate e non, con una semplice Procedura abilitativa semplificata (Pas) è possibile

deturpare il paesaggio. Come se volessimo costruire una veranda o una staccionata nel nostro giardino. Assistiamo ad un vero e proprio caos normativo ed autorizzativo. E la fotografia del territorio che abbiamo cercato di scattare con dovizia di particolari - procedendo per casi ritenuti chiave - è sfocata dalla mancanza di dati aggiornati dei principali operatori, che escludono dal computo statistico il proliferare proprio del mini eolico. Se le condizioni sono queste il gioco non vale la candela. E le regole vanno cambiate. A perderci sono l’ambiente e le tasche dei cittadini che pagano un doppio conto energetico: da una parte gli incentivi a queste rinnovabili, dall’altra il rincaro sulle bollette di oltre il 4 percento, che - notizia di oggi (20 luglio 2016) - una sentenza del TAR Lombardia, su ricorso del Codacons, ha giudicato “sproporzionato” e, appunto, “speculativo”..


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TERRITORI

FUORI DALLE PALE

L’INTERVISTA DEL MESE

INCONTRO CON L’ANEV Intervista a Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento

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FOCUS

VALLE DEL SACCO, STATO DI SALUTE PREOCCUPANTE ORIENTAMENTI

PUZZA DI GAS. C’ERA UNA VOLTA ODORTEL MULTINAZIONALI

UN ALTRO FIGLIO DEL LIBERO SCAMBIO RIFIUTI CONNECTION

STORY. ECOCAMORRE D’ABRUZZO

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MERIDIANO

EVENTI

MERIDIANO

LIBRI

LA FOTO DEL MESE

Terre di f Direttore responsabile Pietro Dommarco / twitter @pietrodommarco Caporedattrice Emma Barbaro

mensile indipendente

numero 5 anno 1 / luglio-agosto 2016

Un progetto di Associazione Culturale Ossopensante Codice Fiscale 97870810583 Sede legale: Via Montello 30 - 00195 Roma www.ossopensante.org

Terre di frontiera Testata registrata il 23 dicembre 2015 al n.359 del registro della Stampa del Tribunale di Milano www.terredifrontiera.info

Hanno collaborato Antonio Bavusi Rosario Cauchi Enzo Cripezzi Stefano Deliperi Alessio Di Florio / twitter @diflorioalessio Domenico Lamboglia Vito L’Erario Luciana Mele Francesco Panié / twitter @francesco_panie Gianmario Pugliese / twitter @Tripolino00 Daniela Spera / twitter @Spera_Daniela


in questo numero

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DI CHI È L’ENERGIA IN ITALIA? L’EOLICO E IL PECCATO ORIGINALE L’ELDORADO PUGLIESE REPORTAGE

IRPINIA D’ORIENTE BASILICATA. SBLOCCA EOLICO LA SARDEGNA E L’EXPORT ENERGETICO

MEDIO CAMPIDANO. ASSALTO ALLA DILIGENZA I VENTI SICILIANI NUMERI E TABELLE

frontiera Foto di copertina Pala eolica in Alta Irpinia Pellegrino Tarantino Impaginazione Ossopensante Lab

Per informazioni, richieste e collaborazioni redazione@terredifrontiera.info Per inviare articoli articoli@terredifrontiera.info Twitter @terre_frontiera Facebook /ossopensante


Focus

VALLE D SALUTE Da qualche settimana il Comune di Colleferro, in provincia di Roma, ha pubblicato il nuovo Rapporto di “Sorveglianza sanitaria ed epidemiologica della popolazione residente in prossimità del fiume Sacco” (Rapporto tecnico delle attività 2013-2015). A darne notizia i comitati locali della Rete per la Tutela della Valle del Sacco. Da anni impegnati con un presidio permanente. Il rapporto in questione è stato elaborato dal Dipartimento di epidemiologia e prevenzione (Dep) della Regione Lazio.

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DEL SACCO, STATO DI PREOCCUPANTE “Ci siamo lasciati - evidenziano i comitati - con il Rapporto di sorveglianza del 2013 le cui conclusioni sull’incidenza sanitaria del Beta-HCH (beta-esaclorocicloesano, ndr) non erano molto incoraggianti.” Il beta-esaclorocicloesano - composto del lindano, un insetticida - nelle industrie chimiche della valle del Sacco, è stato smaltito sommariamente e, insieme ad altri inquinanti, a cielo aperto o interrati. Il Rapporto del 2013 osservava perturbazioni del pattern lipidico, della funzionalità renale e della steroidogenesi, così come alterazioni cognitive. “Il nuovo rapporto, invece, aggiunge ulteriori elementi di preoccupazione per chi risulta contaminato dal pesticida. Tra il 2013 e il 2015 è stata eseguita la seconda fase della sorveglianza nell’ambito della quale è avvenuto il contatto con 690 persone, 602 delle quali hanno aderito”. Per quanto riguarda il Beta-HCH la concentrazione media riscontrata nel sangue delle persone esaminate non si discosta da quanto rilevato nelle passate indagini, indicando che la contaminazione dei residenti è persistente. Effetti sull’apparato cardiovascolare Dall’aggiornamento del Rapporto di “Sorveglianza sanitaria ed epidemiologica della popolazione residente in prossimità

del fiume Sacco” emerge “un effetto specifico dell’inquinante organoclorurato su diversi sistemi, in particolare sull’apparato cardiovascolare e sulle funzioni metaboliche”, con approfondimento e possibile conferma dei risultati raggiunti attraverso lo sviluppo longitudinale della sorveglianza sanitaria ed epidemiologica attualmente in corso. A colpire sono le raccomandazioni finali Dipartimento di epidemiologia e prevenzione (Dep) della Regione Lazio che, per la prima volta, dà indicazioni che “per noi sono un macigno”. La contaminazione del fiume Sacco rimane un disastro ambientale di proporzioni notevoli, che ha comportato una contaminazione umana di sostanze organiche tossiche e persistenti, estranee a qualsiasi tipo di prevenzione e strumenti di rimozione. In sintesi “si evidenzia l’assenza di strumenti e pratiche in grado di fornire una adeguata e capillare informazione sanitaria ai cittadini ed indirettamente mette sotto accusa le politiche della Regione Lazio che ha operato tagli sulla Sanità, in un territorio che richiede una riorganizzazione ed un incremento delle risorse a disposizione del sistema sanitario. Evidenzia ciò che è noto all’opinione

pubblica, ovvero che i settori di popolazione economicamente e socialmente più deboli sono privati di una reale assistenza sanitaria di carattere preventivo e curativo. Considerazioni, queste, che valgono in particolare per tutte le aree comprese all’interno dei nuovi confini del Sito di interesse nazionale (Sin), caratterizzate da una complessità di fenomeni di inquinamento ambientale con danni correlati alla salute umana di lungo periodo.” […] “Sistema sanitario, ciclo dei rifiuti e bonifica delle aree inquinate sono tre questioni strettamente correlate nei nostri territori che Richiedono, per essere affrontate, un intervento di carattere sistemico, una pianificazione di lungo periodo, risorse adeguate e la piena partecipazione delle comunità locali, partendo da una capillare informazione e formazione, mirata alle specifiche condizioni sociali e culturali dei cittadini.”

www.retuvasa.org

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Centrale di Bisaccia, in provincia di Avellino. Campania / Foto di Pellegrino Tarantino

DI CHI Ăˆ L’ENERG IN ITALIA? 8

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GIA

DI ANTONIO BAVUSI

La crisi climatica globale sta incidendo profondamente sulle condizioni economiche e sociali di tutti i paesi. A fronte della necessità di perseguire l’obiettivo di ridurre le emissioni in atmosfera dei gas serra, a livello dei paesi industrializzati, si assiste ad una deregulation del mercato energetico e quello elettrico interno. Sempre più affidato alle logiche del “libero” mercato - pur se fortemente incentivato, o condizionato, dallo Stato - non supportate da una vera programmazione energetica nazionale su scala locale. Dal Piano alla Strategia energetica nazionale Il primo Piano energetico nazionale (Pen) Risale al lontano luglio del 1975, presentato dal ministero dell’Industria all’indomani della crisi petrolifera del 1973. Esso mirava a realizzare centrali nucleari per ridurre la dipendenza elettrica dell’Italia. L’incidente di Chernobyl del 1986 e il referendum abrogativo dei tre articoli di legge che prevedevano la costruzione di impianti nucleari in Italia spinsero a varare un nuovo Piano energetico nazionale approvato dal Consiglio dei ministri il 10 agosto 1988. Quest’ultimo riprogrammava il fabbisogno energetico per gli anni 2000. Il Piano venne approvato con le Leggi n.9 e n.10 del 1991. Per tornare ai giorni nostri, invece, l’8 marzo 2013 è stato approvato il decreto interministeriale dei ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare. La Strategia energetica nazionale (Sen) è il frutto di una delega attribuita al governo dal Parlamento italiano in base al Decreto legge n.112/2008 su “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria”. Un semplice atto di indirizzo, dunque, ma non di programmazione, che ha fissato i caratteri generali della politica energetica nazionale - cui pervenire a seguito di una Conferenza nazionale dell’energia e dell’ambiente - secondo linee di sviluppo con poteri di indirizzo spettanti in materia al ministro dello Sviluppo economico e al ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, con il Parlamento fortemente penalizzato nei poteri legislativi e con le Regioni fortemente penalizzate in materia di energia. Materia divenuta esclusiva del governo centrale. È stato fatto notare come la Sen - oltre ad essere carente per quanto attiene la fonte


normativa di rango primario - si presenta lacunosa nell’individuare chiare azioni pubbliche guidate dalla programmazione energetica, nonché incapaci di supportare lo sviluppo e la crescita economica e sociale del Paese, con scelte produttive mirate per i diversi territori. I soggetti pubblici del mercato elettrico Le logiche del mercato elettrico, della domanda e dell’offerta, hanno dunque prevalso sul ruolo che dovrebbe assumere la programmazione pubblica nazionale e regionale, per scelte energetiche efficaci, capaci cioè di indirizzare la crescita nei diversi settori economici nelle singole e diverse aree del Paese. I dati pubblicati da Terna e da Snam - le due società controllate da Cassa Depositi e Prestiti, gestori rispettivamente della rete elettrica e di quella del gas lungo tutta la penisola - segnalano la presenza di un mercato fortemente instabile, le cui tendenze appaiono decontestualizzate anche rispetto alle logiche interne di domanda ed offerta di energia. Compreso il piano tariffario e il costo del KWh, che sembrano seguire logiche avulse dai contesti produttivi e della domanda. Nel 2015 le energie rinnovabili - secondo i dati Terna aggiornati a dicembre 2014 - hanno garantito quasi il 40 percento del fabbisogno nazionale, nonostante il calo del contributo dell’eolico e, soprattutto, dell’idroelettrico (dopo il boom dei dodici mesi precedenti), imputato alle condizioni climatiche. Nel periodo compreso tra il 2011 e il 2013 si registra un calo strutturale dei consumi elettrici in Italia. Solo nel 2015 - sempre secondo i dati Terna - si registra un lieve incremento dei consumi elettrici: 315,2 miliardi di KWh. In au-

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mento dell’1,5 percento rispetto al 2014, che risente di fattori strutturali negativi dell’economia. In aumento le fonti di produzione fotovoltaica (+13,0 percento), termoelettrica (+8,3 percento) e geotermica (+4,5 percento). In calo, invece, le fonti di produzione idrica (-24,9 percento, dopo il record storico del 2014, come già evidenziato) ed eolica (-3,3 percento). Nel complesso, la produzione delle fonti rinnovabili ha raggiunto i 107,8 miliardi di KWh, pari al 39,8 percento della produzione nazionale netta.

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L’eolico in Alta Irpinia Foto di Pellegrino Tarantino


ce risposte in termini di chiarezza e di efficienza, di impatti economici ed ambientali, in una Italia che sembra viaggiare anche nel settore energetico - a doppia velocità: sia per quanto riguarda la produzione, sia per i consumi energetici. La logica sembra seguire, tra Sud e Nord, almeno andamenti fortemente differenziati. Sono prevalentemente le regioni del Sud (ad eccezione di Basilicata e Campania) a realizzare eccedenze di produzioni elettriche rispetto ai consumi interni. Nell’ordine risultano ai primi posti in Italia per surplus di energia prodotta: Puglia, Trentino Alto Adige, Sardegna e Calabria. Mentre in deficit risultano 12 regioni italiane, tra le quali significativo è quello della Lombardia, che da sola assorbe più della metà del deficit elettrico italiano nel 2014. Tale quadro, per ceri aspetti contraddittorio, emerge anche dalla lettura dei dati regionali relativi all’energia richiesta e consumi effettivi espressi in GWh.

Il quadro energetico italiano a due velocità Il quadro che emerge dalle ultime statistiche disponibili di Terna spa, relative al 2014, fotografa la situazione energetica in Italia e nelle singole regioni, così come un quadro socio-economico regionale, solo in parte recepito nei Piear (Piano di indirizzo energetico ambientale regionale). Nel 2011 il gruppo Terna ha modificato il proprio assetto societario costituendo una holding da cui dipendono due società operative interamente controllate: Terna Rete Italia e Terna Plus, ciascuna con un proprio ammi-

nistratore delegato e un proprio Consiglio di amministrazione. Terna Rete Italia gestisce la Rete di trasmissione nazionale con oltre 72mila chilometri di linee elettriche in alta tensione. È il primo operatore indipendente d’Europa per chilometri di linee. I dati Terna - sfasati di due anni rispetto all’attualità - fanno emergere numerose contraddizioni nello sviluppo energetico italiano, ma anche incongruenze sulle quali ci limiteremo a porre alcuni interrogativi, sperando che una vera Programmazione energetica nazionale (e non una Strategia energetica nazionale) dia inve-

Tra le regioni con maggiore richiesta di energia troviamo, ai primi posti, quelle del Nord e del Centro Italia Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Lazio e Toscana. Agli ultimi posti, nell’ordine: Valle d’Aosta, Molise, Basilicata, Umbria, Calabria e Liguria. Tendenze che evidentemente risentono dell’ampiezza demografica e del tessuto socio-economico regionale. Tra le regioni più energivore, invece, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Sicilia e Puglia (le prime 4 delle quali sono anche in deficit energetico). Mentre le regioni dove c’è il più basso consumo elettrico sono nell’ordine Valle d’Aosta, Molise, Basilicata, Calabria, Liguria e Trentino Alto Adige.

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Dai dati desumibili dai Piear regionali non abbiamo trovato risposte alle contraddizioni ed incongruenze che emergono dalla lettura dei dati Terna e da quelli del Gse (Gestore servizi energetici). Società partecipata al 100 percento dal ministero dell’Economia, costituita nel 1999 per effetto del cosiddetto decreto “Bersani”, che ha determinato la liberalizzazione del settore dell’energia elettrica in Italia. Con l’operazione di trasferimento di questa attività a Terna, avvenuta l’1 novembre 2005, la società ha cambiato denominazione da Grtn a Gse. L’ex Grtn (Gestore della rete di trasmissione nazionale) si occupava della gestione delle attività di trasmissione e di dispacciamento dell’energia elettrica, compresa la gestione unificata della rete di trasmissione nazionale. Gse - si legge sul sito istituzionale della società - è oggi, invece, il secondo operatore nazionale per energia intermediata: ritira e colloca sul mercato elettrico l’energia prodotta dagli impianti incentivati e certifica la provenienza da fonti rinnovabili dell’energia elettrica immessa in rete. La società, inoltre, valuta e certifica i risparmi conseguiti dai progetti di efficienza energetica nell’ambito del meccanismo dei certificati bianchi, anche noti come “Titoli di efficienza energetica” (Tee) e promuove la produzione di energia termica da fonti rinnovabili (Conto termico). In particolare il Gse compartecipa con Terna alla produzione delle statistiche sull’energia elettrica in Italia ed è responsabile di rilevazioni sugli impieghi delle fonti rinnovabili per la produzione di calore e per i trasporti (immissione in consumo di biocarburanti). In diversi casi risulta essere anche la società che ha redatto o ha stipulato intese

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per la redazione dei Piear. Da questi ultimi non emergerebbe una programmazione regionale tesa ad ottimizzare l’allocazione degli impianti industriali delle energie rinnovabili, in base ai fattori relativi alla domanda, di tipo ambientale e socio-economici. A fronte dell’importante ruolo che potrebbe assumere la programmazione energetica regionale, dalla lettura dei dati per allocazione delle diverse tipologie di fonte di produzione elettrica, emergono incongruenze sia in termini di numero di impianti installati, sia in termini di potenze nette prodotte (in GWh). Tra le cosiddette fonti rinnovabili l’eolico risulta fortemente presente nel Sud Italia

Gli incentivi pubblici hanno riguardato società private che vendono l’energia prodotta in prevalenza direttamente al gestore della rete. Non sono, infatti, noti casi di vendite dirette ad acquirenti pubblici e privati, mentre sono presenti casi di autoproduzione. Gli impianti eolici si concentrano prevalentemente in 6 regioni: Puglia, Basilicata, Campania, Sicilia, Sardegna e Calabria. Per quanto riguarda le potenze prodotte nette i dati mostrano forti incongruenze tra impianti eolici installati per regione. Non sempre, infatti, c’è correlazione tra numero di impianti installati e potenze prodotte. Emblematico è il caso della Basilicata che, pur risultando al secondo posto per impianti eolici installati (263), produce

RINNOVABILI PATRIMONIO DEL SUD? L’Italia è energeticamente dipendente dall’estero. Questo assunto, padre e madre delle scelte geopolitiche interne, corredato dal corollario secondo il quale tale dipendenza assume picchi di criticità crescente alla luce del largo consumo di petrolio e gas naturale, è stato ormai pacificamente recepito anche dagli sciovinisti energetici più convinti. Ma fino a che punto il postulato regge se il discorso si sposta sulle rinnovabili? Il dato più interessante tra quelli considerati da Srm, un ente che realizza studi, analisi e ricerche allo scopo di favorire lo sviluppo socio-economico del Mezzogiorno, riguarda le diverse velocità esistenti nella produzione di energia elettrica tra le varie regioni italiane. Non si tratta della solita biforcazione Nord-Sud. È uno squilibrio che talvolta si traduce in un surplus del rapporto tra produzione energetica e fabbisogno, come accade in Valle d’Aosta (+218,2%), Trentino Alto

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Adige (+129,7%), Puglia (+91,4%), Molise (+71,8%), Calabria (+55,8%), Sardegna (+46,4%), Liguria (+13,9%) e persino Sicilia (+7,5%), rivelandosi spia di un deficit profondo. Tra le regioni che risentono del divario tra produttività e fabbisogno troviamo infatti Marche (-68,%), Campania (-54,7%), Umbria (43%), Emilia Romagna (-48,8%), Veneto (-40,7%), Lombardia (-38,5%), Abruzzo (-31,3%), Toscana (-27,5%), Basilicata (-24,2%), Lazio (17,5%), Piemonte (-12,4%) e Friuli Venezia Giulia (-11,1%). In questo contesto, non può certo stupire la corsa italiana alla ‘Green Economy’. Nel solo trimestre 2014 il Belpaese ha effettuato 262 milioni di dollari di investimenti rinnovabili. Che si sono tradotti, a lungo andare, in un indotto economico che genera (secondo i dati Eurobserver) più di 40mila occupati per l’eolico e circa 16mila per il fotovoltaico. Srm sostiene che “nel Sud si produce circa 1/3 del totale dei GWh


solo 820 GWh di potenza netta. Un terzo della potenza prodotta da altre regioni con un numero di impianti minore. Non crediamo che possa trattarsi di fattore riconducibile alla tipologia degli impianti, ma sarebbe importante conoscere da Gse se in tale cifra possano aver influito fattori esterni legati ai venti o alla reale immissione in rete di tutta la potenza elettrica prodotta. Il quadro delle potenze nette prodotte in GWh è nell’ordine: Puglia, Sicilia, Campania, Calabria, Sardegna e la Basilicata. Per il fotovoltaico emerge una situazione per certi versi incredibile: le regioni ad avere il miglior piazzamento sono ubicate al Nord. Quelle con maggiori impianti e potenze installate risultano nell’ordine: Lombardia, Veneto, Emilia

derivanti da fonti rinnovabili, con una potenza installata del 38%. Le percentuali salgono osservando le singole fonti energetiche, con punte del 97% (sia di energia prodotta che di potenza installata) per l’eolico”. Inoltre, mentre per il fotovoltaico sembra confermato anche per il 2015 il trinomio Puglia-Emilia Romagna-Lombardia, con picchi di 9.277,3 GWh di produzione al Sud, nell’eolico la primazia del Mezzogiorno è indiscussa. Puglia, Sicilia e Campania in particolar modo, il Sud più genericamente, producono 14.429,1 GWh dei 14.897GWh complessivi di energia eolica effettivamente immessa sulla rete elettrica nazionale. Nel campo delle biomasse invece i 272 impianti del Sud risultano poco competitivi a fronte della primazia di Lombardia, Emilia Romagna e Veneto che concorrono a pieno ai 17.090 GWh di produzione bioenergetica italiana. Un cenno merita pure la cornice normativa di riferimento. La Direttiva

Romagna, Piemonte. Poi Sicilia e Puglia, dove l’irraggiamento e l’efficienza del fotovoltaico dovrebbe risultare più elevata. Per gli impianti idroelettrici e termoelettrici, pur con qualche eccezione per il termoelettrico, si confermano le “vocazioni” storiche e quelle territoriali. L’idroelettrico è presente prevalentemente nelle regioni alpine, mentre il termoelettrico si attesta nelle aree geografiche dove è presente un apparato produttivo industriale, non certamente spiegabile solo con la “strategicità” dell’allocazione di impianti di grande potenza. L’analisi per settori merceologici conferma, con alcune differenziazioni, le tendenze in atto, segnalando una crisi che investe soprattutto il settore dell’industria meccanica pesante.

2009/28/CE ha fissato, per ogni Stato membro dell’Unione, obbiettivi piuttosto stringenti in riguardo alle quote dei consumi finali lordi di energia coperta da fonti rinnovabili. L’obbiettivo italiano entro il 2020 è pari al 17% delle FER. La Direttiva incentiva lo sfruttamento del potenziale delle biomasse, suggerendo un maggiore ricorso da parte degli Stati membri alle riserve di legno esistenti e lo sviluppo di nuovi sistemi di silvicoltura, introduce meccanismi di cooperazione multilaterali tra gli Stati lasciando loro decidere in quale modo sostenere reciprocamente la produzione di energia, raccomanda misure nazionali che prevedano normative trasparenti. “Nel calcolo del contributo dell’energia idraulica ed eolica- si legge- dovrebbe essere applicata una formula di normalizzazione per attenuare gli effetti delle variazioni climatiche”. Ciò equivale a dire che ciascuno Stato dell’Unione, al momento di stimare

Una programmazione energetica potrebbe correggere, ed eventualmente indirizzare, lo sviluppo delle diverse fonti energetiche Le diverse fonti energetiche andrebbero ricollocate nell’ ambito delle cosiddette reti corte, capaci di dare più efficienza e maggiore supporto allo sviluppo locale. L’obiettivo raggiungibile, ed auspicabile, potrebbe essere quello di ricevere maggiore impulso da un piano delle tariffe elettriche in ambito locale, oggi fortemente condizionato da fattori estranei alla produzione, distribuzione e consumo elettrico, quale ad esempio il regime di tassazione e il costo delle materie prime.

quale dovrà essere il contributo di eolico ed idroelettrico, calcolerà il proprio indice di elettricità normalizzata, quella cioè generata da tutti gli impianti eolici o idroelettrici nazionali sulla base dell’anno preso in considerazione ai fini del computo. A monitorare che l’Italia rispetti il proprio obbiettivo comunitario c’è il GSE, sulla base di una metodologia approvata dal ministero dello Sviluppo economico. Le stime preliminari elaborate dal GSE, relative all’anno 2015, parlano di consumi finali lordi di energia da fonti rinnovabili pari al 21,14 percento, laddove le voci sono rappresentate dal settore elettrico (9,37% da energia idraulica normalizzata, eolica normalizzata, solare, geotermica, bioenergie), settore termico (10,59% da energia geotermica, solare termica, bioenergie ed energia rinnovabile da pompe di calore) e settore trasporti (1,18% di biocarburanti).

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DATI TERNA AL 31 DICEMBRE 2014

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IMPIANTI EOLICI


numeri

PRODUZIONE NETTA IN GWh

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DATI TERNA AL 31 DICEMBRE 2014

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ENERGIA RICHIESTA IN GWh


DEFICIT / ESUBERI IN GWh

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DATI TERNA AL 31 DICEMBRE 2014

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CONFRONTI FONTI DI ENERGIA


tabelle

IDROELETTRICO TERMOELETTRICO ECOLICO FOTOVOLTAICO

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“LA SPINTA VERSO LE RI ANNI, È STATA PIUTTOST DI EMMA BARBARO

Intervista a Simone Togni, presidente dell’Associazione nazionale energia del vento (Anev)

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L’Associazione nazionale energia del vento (Anev) nasce nel 2002 con l’obiettivo di favorire la promozione e l’utilizzazione della fonte energetica eolica in un rapporto equilibrato tra insediamenti e natura. L’idea è del padre putativo dell’eolico italiano, già leader indiscusso della Ivpc (Italian vento power corporation), Oreste Vigorito. Attualmente l’Anev rappresenta circa 5000 operatori di settore e più di 70 tra le maggiori società capofila del rinnovabile: Alerion, Vestas, Nordex, Siemens, Erg, Edison, Ivpc, per fare solo alcuni dei nominativi illustri. L’esigenza di intervistare il presidente Anev, Simone Togni, nasce dal quantitativo ingente di quesiti che affollano il mondo dell’eolico e quello che nell’immaginario collettivo rappresenta. Sviluppo? Deturpazione del paesaggio? Green New Deal? Forse. Ma il Belpaese, dilaniato dalla schizofrenia di una politica energetica nazionale che un giorno sembra virare sul fossile e l’indomani chissà. Prima o dopo sarà chiamato ad operare delle scelte. E quando si parla di eolico, è bene che quelle scelte siano particolarmente oculate. Con il presidente di Anev e Ivpc abbiamo parlato dei nuovi incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche, del grado di

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accettabilità della risorsa eolica e delle sue potenzialità nelle molteplici sfaccettature. Presidente, il decreto recentemente sottoscritto dai ministri Carlo Calenda e Gian Luca Galletti prevede nuovi incentivi alle rinnovabili non fotovoltaiche. Si parla di 9 miliardi di euro, spalmati in circa venti anni, che dovrebbero rendere le condizioni degli operatori di geotermico, idroelettrico, ed eolico maggiormente vantaggiose. È uno scatto in avanti del Governo dopo anni di immobilismo in materia? Si può effettivamente parlare di “strategia verde”? Spero di sì, ma più che altro per il futuro. Il decreto in questione è inerente al biennio 20152016. È un provvedimento che attendevamo da più di un anno e mezzo. Le ragioni di questi ritardi non ci sono state esplicitate, dato che alla conferenza stampa di presentazione di questa iniziativa governativa sono stati invitati solo due operatori del settore, in maniera quantomeno inopportuna. Fare una conferenza per presentare un decreto che coinvolge i vari soggetti del mondo rinnovabile non fotovoltaico e invitarne solo due, che certo non rappresentano la totalità degli almeno


L’intervista del mese

INNOVABILI, IN QUESTI TO INCONSISTENTE” 500 operatori interessati, mi sembra un tantino antipatico. Al di là di queste considerazioni, un anno e mezzo è già passato. Abbiamo ancora sei mesi davanti a noi. La spinta verso le rinnovabili, in questi anni, è stata piuttosto insussistente. E tutta la questione del referendum sulle trivellazioni, per restare nei temi di stretta attualità, è una spia abbastanza indicativa dell’attenzione che il Governo ha riservato alle tecnologie alternative. Certo, bisogna dare merito al neo ministro allo Sviluppo economico Carlo Calenda di aver dato il via, appena insediatosi, ad un nuovo impulso e ad una significativa accelerazione. Tuttavia sarà centrale e dirimente l’atteggiamento del Governo sul prossimo decreto, quello inerente al 2017-2020. Dovrebbe essere approvato, stando alla regola, entro la fine dell’anno. Ma se gli operatori dovessero aspettare altri due anni per l’approvazione del nuovo decreto non noterei alcuna differenza sulla prassi del disinteresse, rispetto al mondo rinnovabile, fino a questo momento perpetrata. Il cambio di passo, in sostanza, va dimostrato. Del resto, qualche intercettazione telefonica ci ha chiarito come mai il Magistero precedentemente capitanato

da Federica Guidi mostrasse scarso interesse per le fonti rinnovabili. Intanto il decreto approvato prevede 85 milioni di euro per 860 megawatt per l’eolico onshore e 10 milioni per 30 megawatt per quello offshore. Quali saranno i passaggi successivi? I meccanismi di assegnazione degli incentivi prevedono aste competitive. Quei numeri citati dal decreto rappresentano dei massimali ai quali bisogna applicare il 30 o 40 percento di ribasso. Gli 85 milioni per l’eolico onshore e i 10 per quello offshore rappresentano un valore teorico massimo su cui si applica uno sconto che si aggira attorno al 40 percento. Temo che riguardo all’eolico offshore non assisteremo a particolari sviluppi visto che questi impianti sono estremamente complessi da realizzare e presentano costi molto elevati, come si evince anche dal raffronto tra la potenza messa all’asta e il controvalore in termini di energia. Tuttavia, proprio rispetto all’offshore, è stato recentemente pubblicizzato il progetto per la nuova centrale eolica di Brindisi. Non le sembra un progetto realizzabile?

Nel caso di Brindisi parliamo di processi autorizzativi in stato avanzato, ma a fronte dei quali servirà un investitore che finanzi l’iniziativa. L’offshore è una tecnologia che forse sarà maggiormente implementata di qui a qualche anno. L’asta si svolgerà regolarmente, se qualche imprenditore dovesse decidere di investire potrebbe essere assolutamente nelle condizioni di farlo. Ma ripeto, l’offshore è ancora troppo costoso e l’incentivo non è così significativo. Difficilmente vedremo una tecnologia del genere realizzata in tempi brevi. Lo dico con una certa amarezza, perché sarebbe bello che sull’eolico offshore l’Italia iniziasse a fare dei passi in avanti visti i ritardi accumulati su quello onshore. In termini assoluti l’eolico offshore è più competitivo di biomasse e termodinamico, equivalente a geotermia e rifiuti, ma comunque lontano dal grado di efficienza dell’onshore. L’eolico su terraferma è, in assoluto, la rinnovabile più efficiente in termini di potenziale e costo per megawatt incentivato. Come ANEV avevamo richiesto di innalzare la tariffa in maniera tale da rendere l’offshore quanto meno plausibile. Ma non c’è stato concesso.

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I dati SRM (Studi e Ricerche per il Mezzogiorno), confortati dalle risultanze Terna, mostrano un trend, rispetto allo sviluppo della fonte eolica, che premia particolarmente le regioni del Sud Italia: in primis Sicilia, poi anche Puglia e Campania. Come mai gli imprenditori del vento virano verso sud? Perché sulle Alpi, che pure sono ventose, non si possono costruire impianti eolici? È vero, sulle Alpi non si possono realizzare impianti eolici per una serie di motivi. Innanzitutto è un problema di disponibilità della risorsa. Sulle Alpi chiaramente c’è vento, ma è poco utile a produrre energia elettrica perché il sito teoricamente maggiormente vocato all’implementazione dell’eolico è quello in cui il vento non è turbolento ed ha una velocità costante. L’optimum è rappresentato dalla velocità di 11 m/s, il punto di massima produzione degli impianti eolici. I siti alpini sono caratterizzati da venti che arrivano anche a superare in maniera significativa i 25 o persino i 30 m/s. I venti a raffica, peraltro, sono i meno produttivi in assoluto. Ci sarebbe poi un problema di natura orografica giacché andare a realizzare un impianto ad alta quota potrebbe comportare una serie di criticità: nella viabilità, nel trasporto e montaggio delle singole pale, nella realizzazione di cavidotti e postazioni, nell’aspetto meteorologico e infine, ma non meno importante, nella scarsità di ossigeno. La carenza di ossigeno, infatti, comporta una significativa riduzione della produzione di energia elettrica perché la spinta che il vento dà a parità di velocità è la risultante della consistenza dell’aria. Sulle Alpi il “peso” dell’aria è molto inferiore, gli impianti

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sarebbero altamente improduttivi. La scelta delle regioni su cui puntare per lo sviluppo dell’eolico, dunque, dipende dalla disponibilità della risorsa. Gli imprenditori di settore si autofinanziano con fondi privati e hanno margini di guadagno solo sull’energia elettrica effettivamente immessa in rete. Non deve stupire che la scelta dipenda dal vento. Ecco perché il trend privilegia Sicilia, Puglia, Campania ma anche Sardegna, Basilicata, Abruzzo, Toscana, Liguria. L’unico caso particolare è proprio quello della Sardegna, la regione con il potenziale maggiore, che però negli anni ha posto in essere una serie di leggi e moratorie, tutte poi dichiarate illegittime, che tuttavia hanno fatto in modo che si accumulassero ritardi su ritardi”. La Sardegna non è l’unica realtà che ha manifestato segni di insofferenza. Ultimamente anche la Campania si è resa protagonista di una moratoria dai dubbi esiti. E poi c’è un substrato di cittadini, di nuovi comitati civici, che decisamente si schiera contro l’eolico selvaggio. Come se lo spiega? La moratoria campana è già stata impugnata dal Governo, che evidentemente l’ha ritenuta illegittima. Non sono d’accordo sulla considerazione che ci sia un’opposizione locale, e mi spiego. Si tratta di pochissimi casi, di comitati composti da due o cinque persone al massimo. Il famoso Comitato Nazionale per il Paesaggio, che per tanti anni si è speso contro l’eolico e non contro tutte le brutture che hanno deturpato il paesaggio, è composto sempre dalle solite tre o quattro persone. Sicuramente ci saranno le proteste di qualcuno a cui non

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piace l’eolico, ci mancherebbe altro. Ma vorrei segnalare che negli anni sono state condotte una serie di ricerche e di rilevazioni sull’accettazione delle risorse energetiche in generale, e rinnovabili in particolare. Molti sondaggi, alcuni promossi da Greenpeace, altri da Anev e altre associazioni, hanno rilevato un’accettabilità per l’eolico che si attesta mediamente attorno all’80 percento. Tra l’altro, e questo è molto significativo, è più alta nei territori in cui l’eolico esiste già, in cui si arriva persino a punte dell’82-83 percento. Per questo mi sembra scorretto parlare di opposizioni locali. Non esiste alcuna attività umana in grado di registrare condivisioni assolute. Con tutto il rispetto per chi la pensa diversamente, parlare ostilità locale nei confronti di una tecnologia che produce l’accettabilità più alta tra le varie fonti energetiche, mi sembra una lettura distorta della realtà, una disfunzione prospettica. Dal punto di vista istituzionale tutto questo si è trasformato in una moratoria. In Campania, proprio in Irpinia, mi risulta ci sia un progetto di trivellazioni petrolifere. È curioso osservare che lì dove la minaccia di una devastazione ambientale è più forte, lì dove c’è una speculazione petrolifera, sorgano poi comitati contro l’eolico selvaggio. Vogliamo collegare tra loro queste due cose, o preferiamo aspettare la prossima intercettazione? Non saprei. L’Anev è un’associazione. Valutiamo e registriamo ciò che accade. Siamo contenti che il Governo abbia ritenuto che la moratoria in Regione Campania sia un atto illegittimo e che come tale vada impugnato. Vedremo cosa succederà.


Parco eolico a Sant’Andrea di Conza (AV) Foto di Pellegrino Tarantino

Il mini eolico può essere considerato la nuova frontiera dell’energia rinnovabile? Che vantaggi presenta rispetto all’eolico tradizionale? Partiamo dal principio che un impianto eolico di qualsiasi dimensione è sottoposto a tutti gli iter necessari a verificarne gli impatti: paesaggistici, ambientali, idrogeologici, e via dicendo. Le procedure per il mini eolico si avviano a livello di amministrazione comunale, e sicuramente è diversa la consistenza degli impianti. Si tratta di impatti ambientali molto diversi. Al mini eolico era stata applicata una tariffa incentivata che, per gli anni precedenti, definirei abbastanza generosa. Quando è stata determinata il mini eolico era ancora in fase di sviluppo e la tariffa era con-

grua a quel specifico momento. In questi ultimi due anni però c’è stata una buona riduzione dei costi, che tuttavia è stata recepita con un taglio molto significativo degli incentivi, probabilmente troppo significativo, tanto da scendere da 268 a 190 euro a mw/h. Cosa accadrà? Purtroppo temo che con queste nuove tariffe il mini eolico subirà un drastico ridimensionamento se non addirittura un blocco. Questo almeno fino a quando i produttori di tecnologie non riusciranno ad ottenere una riduzione significativa dei costi. Per cui oggi è ancora un investimento molto interessante, anche se devo ammettere che gli operatori del mini eolico hanno avuto non poche difficoltà ad interagire col GSE, che ha molto irrigidito le procedure.

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Non so se continuerà ad essere conveniente nel prossimo futuro. Spesso si è parlato di una connessione tra eolico e mafie, specie nel sistema dei subappalti. Lungi dal fare di tutta l’erba un fascio, quali sono le misure che l’Anev intende adottare per tutelare quella parte di imprenditori onesti che assurgono a bersagli privilegiati di attentati ed intimidazioni? La questione della parentela stretta tra eolico e mafie è stata gonfiata ad arte da alcuni organi di informazione. Di fatto tutti i vecchi procedimenti hanno segnalato un coinvolgimento diretto del Nicastri come soggetto interlocutore di Matteo Messina Denaro, ma non un diretto coinvolgimento degli imprenditori del settore. Che nei lavori per realizzare quegli impianti ci possa essere stata qualche ditta locale preferita all’una piuttosto che all’altra concorrente, è un fatto che potrebbe essere accaduto, ma mi auguro di no. Chi fa eolico tuttavia predilige le aziende locali perché ciò consente di ridurre i costi generando ricaduta occupazionale. In ogni caso non mi pare ci siano state fino ad oggi sentenze che abbiano di fatto giustificato la natura di questi teoremi accusatori nei confronti del mondo dell’eolico. Per quanto ci riguarda, abbiamo promosso e sottoscritto il protocollo d’intesa che Confindustria e ministero dell’Interno avevano predisposto proprio per limitare le possibilità che le associazioni mafiose potessero infiltrarsi nell’indotto rinnovabile. Ma mentre Confindustria si è limitata a sottoscrivere il protocollo in questione, l’Anev ha imposto l’adesione obbligatoria a tutti i suoi associati. In

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più, quando si sono verificati attentati o atti di intimidazione, abbiamo provveduto immediatamente ad attivare, di concerto con le Prefetture delle province interessate, i comitati per l’ordine pubblico e la sicurezza partecipando a tutti i tavoli di discussione e definendo le procedure di tutela e salvaguardia. Abbiamo inoltre presentato agli organi competenti tutte le denunce promosse dai nostri associati. Ultimamente l’Anev ha chiesto al Mise, che coordina un gruppo di lavoro specifico riguardante le strutture energetiche strategiche e la loro difesa, che gli impianti eolici oggetto di attentati fossero inseriti nell’alveo di quelli attenzionati. Al momento ci hanno dato una risposta che definirei interlocutoria, ma sarà mia premura sollecitarli in tal senso. Di fatto stiamo cercando in tutti i modi di reagire. In questo contesto gli operatori del settore rappresentano comunque la parte lesa, non quella collusa. Come si fa a dire che si è collusi con la mafia se i primi a subire attentati sono proprio i collusi? E poi bisogna accertare quando si tratta o meno di mafia. In Alta Irpinia, non più tardi di qualche mese fa, si è sparato con dei kalashnikov su alcuni centri di connessione dell’energia elettrica in rete. Sono stati collocati ordigni rudimentali accanto a una sottostazione Enel. E, come se non bastasse, alcuni mezzi adibiti al trasporto di porzioni degli impianti sono stati dati alle fiamme. Scene da far west in un contesto, quello dell’Irpinia d’Oriente, che non è certo caratterizzato da certe fenomenologie malavitose. Se questa non è malavita organizzata, lei che spiegazione si dà di questi episodi?

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Hanno sparato in pieno giorno, alle tre del pomeriggio, con un senso dell’impunità che ha del clamoroso. Questa cosa mi ha traumatizzato. Quando ho parlato con la Prefettura di Avellino, ero allarmato. Pensavo fosse una cosa talmente grave da dover disporre immediatamente dell’uso di forze armate. Pensavo ai ragazzi al lavoro mentre sparavano con i kalashnikov. Poi il Prefetto di Avellino mi ha risposto che in questa provincia sono in molti ad essere armati. Forse voleva solo tranquillizzarmi, ma questa cosa mi ha fatto capire che c’è tutto un mondo che probabilmente ignoro in cui certe questioni vengono fatte passare come cose all’ordine del giorno. Il Prefetto forse l’ha presa un po’ alla leggera. C’è chi dice che in alcuni degli impianti su cui si sono concentrate le indagini fossero stati appena revocati i contratti di guardiania. Qualcun altro ha parlato di una rappresaglia in difesa del lavoro. Ne sono sconcertato. Attualmente sembra che la situazione si sia stabilizzata. L’Anev, nel frattempo, sta stipulando dei protocolli di salvaguardia ulteriori, di cui l’ultimo con Terna. Loro sono spesso oggetto di intimidazioni. Stiamo condividendo alcune procedure di sicurezza. Tutto quello che possiamo fare, lo faremo. Per essere ancora più chiari, se un domani si dovesse dimostrare che uno dei nostri associati è a vario titolo connesso alla mafia, sarò il primo ad essere inflessibile. Certo è che l’ANEV non può espellere i suoi membri sulla base di un chiacchiericcio diffuso o di qualche titolone fatto per vendere più giornali.


L’EOLICO E IL PECCATO ORIGINALE DI ENZO CRIPEZZI, LIPU

L’eolico selvaggio nasce grazie a un peccato originale: la programmazione di incentivi spropositati prima ancora di qualsivoglia informazione, confronto, regole o pianificazione. Tutto questo è stato impedito e ostacolato, nel tempo, grazie all’auto-alimentazione della lobby eolica, che ha “reinvestito” quote degli enormi profitti derivati dagli incentivi in azioni di condizionamento delle istituzioni, trasformando quella che era una opzione di energia pulita – ma con tutti i limiti di produzione e di sostenibilità da valutare – in una colossale speculazione territoriale. La più estesa speculazione territoriale dopo quella edilizia degli anni Sessanta.

Di fronte alla mancanza di regole si è proceduto all’emanazione di norme quadro nazionali strumentalmente tardive - arrivate solo nel 2010 - e per di più con ulteriori, ampi margini di deregolamentazione del settore, tanto da consolidare l’attribuzione di “pubblica utilità” per i progetti autorizzati a dei privati, con la possibilità di contemplare procedure di esproprio tipiche, appunto, delle opere pubbliche. Paradossalmente, ciò ha comportato il condizionamento al contrario delle regole urbanistiche: ad esempio, l’’aborto’ di vincoli e pianificazione o di aree protette - i parchi veri - per fare posto ai parchi finti - quelli eolici - disseminati nel Mezzogiorno d’Italia. Piani paesaggistici Anche i Piani paesaggistici sono rimasti in ostaggio e, malgrado i danni già prodotti su vasta scala, la lobby eolica ha invocato e ottenuto altri sussidi che si tradurranno in un nuovo disastro, con altre centinaia e centinaia di macchine eoliche. Come se non bastasse, alcune associazioni ‘ambientaliste’ come la Legambiente - chiedono ancora deregolamentazioni in un settore già fortemente privo di regole. Non si esita a puntare il dito contro le Soprintendenze, accusate di “ossessione contro l’eolico”. Un processo ingovernato e

riferito, a null’altro, se non alla libera iniziativa di ‘prenditori’ che per un quindicennio hanno presentato progetti a raffica ingolfando gli uffici competenti, del tutto inadeguati e incapaci, con la perenne minaccia del ricorso al TAR in caso di rigetto. Come se non bastasse hanno poi inventato il mini eolico che in realtà tanto “mini” non è - con la possibilità di realizzare macchine eoliche, cosiddette singole, di qualche centinaio di KW e fino a 1 MW (macchine prossime ai 100 metri di altezza complessiva) con semplice Dichiarazione di inizio attività (Dia), oggi Pas (Procedura abilitativa semplificata). Questa è un’ulteriore sciagura, con lo strumentale spacchettamento di potenze sottratte alla pur blanda verifica ambientale precedente e alle convenzioni con i Comuni. In sostanza, invece di realizzare due macchine da 2,5 MW, con qualche prestanome, ne realizzi cinque da 1 MW o dieci da 0,5 MW. I procedimenti La prima vittima della frenesia eolica nelle regioni meridionali è stata la trasparenza dei procedimenti, con tutto quello che ne consegue per la valutazione di progetti lucrosissimi e privi di rischio di impresa che valgono milioni di euro all’anno. In tutto il Mezzogiorno e nelle isole sono improvvisamente

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nate come funghi centinaia di società a responsabilità limitata, spesso con sedi legali estere, per mimetizzarsi con opacità negli intrecci societari. Persino le mafie hanno avuto partita facile nel business eolico privo di regole. In contesti territoriali dove per altri lavori irrisori si applicano formule di controllo ben più rigide. Le conseguenze sono quelle che la Lipu e altre associazioni (da Amici della Terra a Italia Nostra, da Altura a Mountain Wilderness, da VAS a Enpa) - o comitati sensibili alle sorti del territorio - denunciano da anni. Ecosistemi agricoli e pastorali umiliati e trasformati in piantagioni di acciaio con la frammentazione del territorio a cui hanno contribuito anche le cosiddette opere accessorie: elettrodotti, piste, stazioni elettriche e relativo degrado territoriale. Megaelettrodotti - come il Bisaccia-Deliceto - sono stati proposti o realizzati nel tentativo di compensare una produzione elettrica imprevedibile, e quindi di scarsa qualità, allocata in aree prima ben conservate, con una magliatura elettrica quasi inesistente e per giunta distante dai centri di domanda energetica. Minaccia per biodiversità ed aree di valenza archeologica, storica e naturalistica La biodiversità è stata duramente colpita addirittura nei suoi santuari: popolazioni di nibbio reale sono state azzerate, progetti eolici proposti o realizzati a ridosso di importanti siti di nidificazione di cicogna nera, aquila reale, falco lanario e altre specie rare. Senza contare le conseguenze su vasta scala per uccelli migratori, pipistrelli e altre specie tipiche dei sistemi pastorali. Si assiste, così, alla follia tutta italica: grazie all’eolico, ad Aquilonia

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(il cui nome è già un programma) scompare un sito di svernamento di nibbi reali tra i più importanti d’Italia, che contava un centinaio di esemplari. E, invece, mentre in Irpinia come in Basilicata, si distruggono le roccaforti di questa specie, in Toscana e nelle Marche si cerca di salvarle con la reintroduzione di esemplari e con programmi di promozione turistica legati ad animali simbolo di grande bellezza. Le aree archeologiche o storiche e i piccoli centri urbani, con i loro paesaggi rurali, vengono profanati e assediati perdendo il loro contesto identitario, trasformato in una accozzaglia di macchine industriali Il celebrato paesaggio italiano, e quello del Centro-Sud in particolare - bene primario collettivo e valore inalienabile - spazzato via e ridotto a mero contenitore di speculazioni. Fiumi di denaro

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Paesaggio ed eolico. Il prima e il dopo Foto Archivio Lipu


hanno in gran parte favorito “investitori” e brevetti esteri, anche cinesi, con buona pace della vera green economy fatta di piccoli artigiani o agricoltori ormai al collasso. Sul piano sociale le vulnerabili democrazie dei piccoli centri rurali sono state condizionate dall’abbaglio di royalties che poi si sono tradotte in briciole e, con la normativa odierna, azzerate. L’impietosa analisi energetica Malgrado il tappezzare di eolico ovunque, a costi altissimi, il contributo di questa fonte arriva al 4,7 percento del fabbisogno elettrico. Ma se lo andiamo a rapportare all’intero fabbisogno energetico (comprensivo di trasporti e riscaldamento) l’eolico consegue un misero 1,4 percento. E questo pur in presenza di una situazione favorevole per la depressione della domanda energetica e, quindi, di maggiore penetrazione delle rinnovabili nel mix complessivo.

Valeva la pena una riflessione preventiva prima di devastare molte delle aree più delicate e preziose del Paese? E ancor più oggi, perché si continua silenziosamente a foraggiare questa immane speculazione e devastare quello che rimane di un bene cosi prezioso? Dopo l’era dei Certificati Verdi della durata di 15 anni, nel 2012 il Governo Monti aveva cambiato il sistema di sussidi alle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche eolico, biomasse, solare termodinamico e mini idroelettrico - introducendo le aste annuali per i tre anni successivi, onde accedere a sussidi di durata addirittura ventennale. Quindi con una base suscettibile di possibile riduzione in base alle offerte delle società partecipanti sulla scorta dei progetti candidati già autorizzati. Con il 2014, ultima annata prevista, tale processo sembrava ormai chiuso, sia per l’esaurimento delle risorse programmate - per

altro in periodo di crisi - sia per il caotico superamento degli obiettivi comunitari di contributo rinnovabile elettrico al 2020 già nel 2012, con 8 anni di anticipo. Infatti, era previsto il 17 percento di rinnovabile nel sistema energetico, con il 26 percento nel solo comparto elettrico. Non è un caso che, proprio per giustificare il superamento di tale obiettivo comunitario, l’Italia ha fatto finta di dotarsi di una cosiddetta Strategia energetica nazionale (Sen), con il semplice intento di fornire un assist giustificativo ed elevare, di propria sponte, tale soglia al 36-38 percento che, però, è stato anch’essa superata per mera inerzia nel caos energetico. Sia per la crisi che si riverbera sui consumi, sia per la fuga all’estero di produzioni energivore. Nel 2014 tutte le rinnovabili elettriche hanno contribuito per oltre il 37 percento ma, in realtà, grazie soprattutto ai grandi bacini idroelettrici, che da un secolo caratterizzano l’Italia e che da tempo non sono più sussidiati. In quell’anno il sistema idroelettrico, nonostante la trascuratezza della sua manutenzione, ha contribuito - da solo - a metà di questa produzione nazionale da Fer (Fonti di energia rinnovabile). E, silenziosamente, non è un caso che nel 2015, in presenza di bacini idroelettrici pieni, si sia tenuta la produzione da tale fonte con il “freno a mano tirato” a un -20 percento, in nome di una prontezza di intervento per compensare le erratiche produzioni eoliche ma, di fatto, mantenendo una soglia di rinnovabile più bassa a giustificazione di altro eolico. Non ci sarebbe più territorio da perdere. Intanto, malgrado le richieste contrarie e gli appelli delle associazioni più sensibili e preparate su tema, è stato ap-

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provato il Decreto ministeriale per nuovi incentivi alle rinnovabili elettriche non fotovoltaiche, da assegnare in larga parte ai grandi impianti eolici. Dall’abolizione dell’Imu al nuovo decreto di incentivazione Non bastava l’ennesimo regalo con la rimozione dell’IMU sulle macchine eoliche nel 2016, mimetizzate come cosiddette macchine imbullonate per non dare nell’occhio. Il nuovo decreto di incentivazione (Decreto ministeriale 23 giugno 2016) - in merito al quale svilupperemo ulteriori approfondimenti sui prossimi numero di Terre di frontiera - può essere considerata una vera e propria marchetta governativa a beneficio della lobby. È pronto a sovvenzionare nuovi impianti, soprattutto eolici, ma anche biomasse, mini idroelettrico, con ulteriori aste. Il nuovo Decreto ministeriale sulle rinnovabili è stato invocato dall’Anev associazione di categoria ma riconosciuta anche come associazione ambientalista dall’ex ministro all’Ambiente Altero Matteoli - e predisposto da quella politica ormai genuflessa a tali istanze, allo scopo di riaprire i cordoni della borsa per i sussidi a nuovi impianti industriali rinnovabili. Quell’Anev che tanto si è preoccupata di ‘vestirsi green’ con discutibili accordi con la Legambiente. Rimaneva, in realtà, un ultimo passaggio: l’approvazione in Conferenza Stato-Regioni dove i rappresentanti degli enti locali - in particolar modo quelli più martoriati, che rischiano di subire rinnovate aggressioni avrebbero dovuto respingerlo senza appello, se davvero avessero avuto a cuore la propria terra, magari invocando un dirottamento di quelle risorse verso opzioni non impattanti,

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ad esempio nel trasporto pubblico moribondo come invocato, ancora una volta, dall’altro fronte associativo. Invece, il 5 novembre scorso il provvedimento ha avuto il lasciapassare proprio dalle Regioni. Pertanto, con la loro complicità, la moltitudine di impianti eolici, grandi e meno grandi, già autorizzati o che, non a caso, hanno intrapreso nuovi procedimenti autorizzativi farsa - continueranno a seppellire i nostri territori, mentre le stesse Regioni continueranno a versare ‘lacrime di coccodrillo’. Manca un’’anagrafe’ degli impianti da 1 MW o meno In Italia sono disseminati oltre 9.000 MW senza una ‘anagrafe’, ma non si riescono a conteggiare le potenze installate con impianti singoli da 1 MW o meno. Questa potenza di targa è installata con un numero occulto di macchine, anche se ne sono stimabili circa 7000. Infatti, l’anagrafe degli impianti rinnovabili - in primis eolico e fotovoltaico - da sempre invocata dalla Lipu, è rimasta lettera morta. E non è un caso: nella mancanza di informazioni, e nell’occulto, si possono perpetrare meglio le peggiori nefandezze. Con una anagrafe di tali impianti si sarebbe permesso anche un controllo sociale di tali insediamenti da parte della popolazione, con l’accesso ad informazioni relative a una centrale energetica e alla coerenza tra ciò che vede realizzato e ciò che è stato autorizzato e da chi. Questo è doppiamente valido in un periodo in cui le istituzioni preposte al governo e controllo del territorio arretrano sempre di più, afflitte da tagli di risorse. Una cosa è certa: il dato, qualunque esso sia, sarà destinato a peggiorare con questo nuovo Decreto ministeriale. Sarebbe

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possibile ricostruire una banale situazione di ciò che è stato autorizzato, o di ciò che è in procinto di esserlo, andando a verificare le istanze presentate in tal senso, o le autorizzazioni rilasciate tramite il Bur (Bollettino ufficiale regionale) o, semplicemente, tramite gli archivi delle istanze regionali. Ma chi farebbe questo lavoro? E come potrebbero essere ricercati gli impianti autorizzati con semplice Dichiarazione d’inizio attività dalla miriade di Comuni? Ci vorrebbero obblighi normativi che però nessuno vuole emanare, perfino per una necessità così oggettiva. La decantata Germania. Il caso tedesco Bisogna poi essere consapevoli che le rinnovabili odierne hanno grandi limiti, in termini di capacità produttiva e di qualità (continuità e programmabilità) della stessa. Non prendere atto di questo significa sprecare preziose risorse nel tentativo di “fare qualcosa” che però si rivela scarsamente incisivo nella lotta ai gas climalteranti. Appare utile in proposito volgere uno sguardo alla decantata Germania, Paese paragonabile all’Italia per estensione e popolazione, e per di più con effetti della crisi meno evidenti, anche sulla domanda energetica, e quindi con relative conseguenze sulla penetrazione delle rinnovabili nei bilanci energetici. La ‘ventosa’ Germania dopo aver saturato il territorio al 2012 con oltre 23mila mega pale ovunque, per una capacità di oltre 31mila MW, consegue con il solo eolico un apporto rinnovabile modesto: 7,7 percento del contributo elettrico, pari all’1,8 percento sul fabbisogno energetico totale. Per il suo fabbisogno energetico complessivo (elettrico, trasporti, riscal-


damento) la nazione tedesca si basa a tutt’oggi per quasi il 90 percento su fossile e nucleare. Proprio perché oggi le rinnovabili si caratterizzano per una bassa densità produttiva, che va compensata con ampi spazi, e per immaturità tecnologica, bisogna puntare su alcuni principi sacrosanti: privilegiare solo quelle fonti che riescono ad associarsi allo sfruttamento di territori già compromessi e/o urbanizzati; puntare non solo sulla produzione ma anche e soprattutto su efficientamento in settori trascurati e dall’alto valore aggiunto per l’economia del Paese (ad esempio pompe di calore in cui la tecnologia italiana è leader) e per gli interessi sociali (trasporto pubblico,

trasporto merci via mare, eccetera); valorizzare la ricerca con un approccio multidisciplinare, che non contempli solo aspetti energetici ma anche aspetti sociali, ambientali, territoriali. Sul primo punto si noti che dall’indagine dell’urbanista Paolo Berdini - dell’Istituto nazionale di urbanistica (Inu) - emergono 750mila ettari di superfici urbanizzate con il consumo di suolo, solo dal 1995 al 2005, senza nemmeno considerare gli altri decenni di urbanizzazioni. Per contro, in Italia, con il tutto e subito invocato improvvidamente da una parte dell’ambientalismo, sono stati insediati quasi 18mila MW di fotovoltaico maggiormente su suoli agropastorali. Si tenga

conto che mediamente 1 MW di potenza da fotovoltaico occupa 2 ettari di superficie. Per avere una cognizione dei numeri in gioco, pur in via assolutamente teorica, con la resa odierna e tutti i limiti finanziari e di intermittenza, in evoluzione, per ottenere il 100 percento di apporto energetico dal fotovoltaico (solo del comparto elettrico), sarebbero necessari circa 250 mila MW pari a 500 mila ettari. Insomma, basterebbe sacrificare l’equivalente del Molise o poco più, e il gioco sarebbe fatto. Oppure, con la logica di un bambino incapace di speculare, cercare spazio in quei 750 mila ettari già compromessi senza oltraggiare i suoli agricoli.

L’ELDORADO PUGLIESE L’ultimo rapporto Terna reperibile - datato 31 dicembre 2014 - assegna alla Puglia il primo posto in Italia per numero di impianti eolici. Per la precisione, 572. Con una produzione netta di 4272 GWh.

Dalla fine del 2014 ad oggi, a causa di un ‘effetto cavallette’ - con il proliferare di nuove autorizzazioni - si è reso impossibile qualsivoglia monitoraggio e mappatura. Tenendo a riferimento alcuni frammentari dati ufficiali dei gestori elettrici - e le proiezioni relative ad impianti approvati e realizzati di recente o in fase di realizzazione, a fine 2015 la Puglia dovrebbe avere una potenza di targa di circa 2400-2500 MW, per 15001550 torri eoliche. Un conteggio che non comprende, come già specificato, il cosiddetto mini

eolico, che può sfuggire alle statistiche più facilmente rispetto all’eolico convenzionale. Seminando mini pale si realizzano, di fatto, potenze degne di centrali eoliche. Potrebbero, pertanto, esserci anche dai 50 ai 200 MW ballerini. Esposti, indagini, procedimenti penali Uno scenario sconcertante: oltre 1300 torri eoliche nella sola Capitanata. Un contesto territoriale desolante. Un vero e proprio Far West favorito da amministratori, locali e nazio-

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nali, che hanno agevolato la farsa dell’eolico quale panacea a tutti i mali energetici, attraverso il foraggiamento di un sistema basato sulla speculazione. È questa, in sintesi estrema, la fotografia eolica della Puglia. Negli anni, la Lipu ha presentato diversi esposti alle Autorità giudiziarie e agli enti territoriali ed innumerevoli osservazioni nell’ambito di procedimenti autorizzative per centrali eoliche e fotovoltaiche. Quasi tutti senza risposta. Per altri, invece, è stata accertata la violazione ambientale, causa totale mancanza di attestazione di compatibilità paesaggistica. Ma c’è un caso che sembrerebbe essere la chiave di volta. Quello che ha portato al rinvio a giudizio di amministratori e rappresentanti di alcune società del gruppo Fortore energia - tra i soci dell’Associazione nazionale energia del vento (Anev) - per impianti eolici realizzati in agro di Biccari (16 torri per 32 MW in località “Serra di Cristo-Ripe di Suonno”) e di Rocchetta Sant’Antonio (13 torri per 26 MW in località” Macchialupo-Serro di Luca”, su 30 torri assentite ex Windstrom energia eolica). Le contestazioni vanno dall’abuso d’ufficio, per aver consentito la realizzazione di impianti di produzione di energia da fonte eolica in mancanza di Autorizzazione unica - come imperativamente disposto dal Decreto Legislativo n.387/2003 -, ad ipotesi di violazioni di normative in materia edilizia, con riferimento agli aerogeneratori in agro di Biccari. I fatti contestati - risalenti al 2008 per il Comune di Rocchetta Sant’Antonio e al 2011 per il Comune di Biccari - se confermati in sentenza, proverebbero una grave lesione al buon andamento ed all’imparzialità

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della pubblica amministrazione, l’illegittimo percepimento di incentivi statali erogati dal Gse (Gestore dei servizi energetici), ed i correlati gravi danni ambientali e paesaggistici. Aree importanti, infatti, che erano caratterizzate per la presenza, anche nidificante, di specie di rapaci di elevato interesse conservazionistico come Nibbio reale, Biancone, Lanario ed altre specie faunistiche, oltre che da preziosi paesaggi rurali contemplati, tardivamente oggi, dal PPTR (Piano Paesaggistico Territoriale Regionale), in relazione ai valori territoriali ed ecologici, risultano ora in buona parte degradate. L’azione penale, intrapresa a seguito di esposti presentati dalla Lipu nel novembre 2012, e successive indagini della Guardia di finanza di Lucera, ha portato al rinvio a giudizio di tre dirigenti (responsabile del terzo settore del Comune di Rocchetta Sant’Antonio e responsabili dell’area tecnica del Comune di Biccari) e due imprenditori. Attualmente il processo è pendente dinanzi al Collegio “E” del Tribunale di Foggia, dove si è tenuta recentemente la prima udienza dibattimentale nel corso della quale i giudici del Collegio hanno ammesso la costituzione di parte civile della Lipu, rappresentata dall’avvocato Mario Aiezza. “L’ammissione della costituzione di parte civile della Lipu - afferma l’avvocato Aiezza - oltre a confermare la rilevanza dell’Associazione nella tutela dell’ambiente, gravemente lesa dalle ipotizzate condotte contestate, costituisce un’ulteriore affermazione della legittimazione da parte delle associazioni, riconosciute e non, a poter essere parte attiva nel processo penale nel caso in cui si verifichi un’offesa ad interessi persegui-

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A BRINDISI, UNA CENTRALE EOLICA OFFSHORE DA 36 PALE Il 20 agosto 2016 scadono i termini per presentare le osservazioni al progetto della TG Energie Rinnovabili srl di Mezzano, in provincia di Ravenna, finalizzato alla realizzazione di una centrale eolica offshore, nell’Adriatico meridionale.

ti dall’ente stesso e posti nello Statuto quale ragione istituzionale della propria esistenza ed azione, come ha tra l’altro sancito la Corte di Cassazione a Sezioni Unite in una recente pronuncia.” Nel procedimento si è costituita anche la Regione Puglia, il cui Ufficio energia, per altro - in occasione delle istanze societarie di Autorizzazione unica, postume alla realizzazione degli impianti - aveva prima rilasciato il titolo ma subito dopo lo aveva annullato d’ufficio in regime di autotutela, alla luce delle irregolarità riscontrate. Anche il Gse, ente governativo preposto alla erogazione degli incentivi e alla vigilanza sulla corretta percezione degli stessi, si è costituito parte


L’azienda prevede la realizzazione dell’impianto di produzione di energia da fonte eolica, costituito da 36 aerogeneratori (da 3 MW ciascuno, per una potenza complessiva di 108 MW), nel tratto di mare antistante i comuni di Brindisi, San Pietro Vernotico e Torchiarolo, con un’ampiezza di oltre 560mila metri quadrati. Quella del parco eolico offshore di Brindisi è una storia caratterizzata da autorizzazioni in stato avanzato, con diversi pareri già espressi. Nel 2012, infatti, la Provincia di Brindisi ha espresso parere negativo al progetto. Così come avvenuto quattro anni prima, nel 2008, quando gli aerogeneratori da installare erano 48. Poi, nel 2011, arrivarono le prime modifiche all’impianto con la riduzione del numero di pale, come da configurazione attuale. Le motivazioni che hanno indotto il Comitato tecnico provinciale al diniego sono da ricercare nell’incompatibilità ambientale della centrale eolica e nella sovrapposizione con un progetto simile - quello della Trevi Energy spa - rigettato dal ministero dell’Ambiente. Il parco eolico della TG Energie Rinnovabili srl rappresenterebbe una minaccia - come denunciato da alcuni comitati di cittadini - per un territorio interessato da fenomeni idrogeologici, nonché all’avanzare dell’azione erosiva del mare sulla costa che va proprio da San Pietro Vernotico a Torchiarolo. Aspetto, questo, trascurato dalle diverse relazioni prodotte dal titolare del progetto. Ma, quello dell’erosione costiera, non sembrerebbe essere il solo punto negativo. Come dichiarato a Terre di frontiera dal presidente dell’Anev, Simone Togni, che reputa l’offshore “ancora troppo costoso e l’incentivo non è così significativo. Difficilmente vedremo una tecnologia del genere realizzata in tempi brevi.” “Nel caso di Brindisi - specificano ancora dall’Associazione nazionale energia del vento - parliamo di processi autorizzativi in stato avanzato, ma a fronte dei quali servirà un investitore che finanzi l’iniziativa. L’offshore è una tecnologia che forse sarà maggiormente implementata di qui a qualche anno. L’asta si svolgerà regolarmente, se qualche imprenditore dovesse decidere di investire potrebbe essere assolutamente nelle condizioni di farlo.”

civile a tutela degli interessi economici dello Stato. Incomprensibile, invece, l’atteggiamento delle Amministrazioni comunali coinvolte: il Comune di Rocchetta Sant’Antonio, nella persona del sindaco e del presidente del Consiglio comunale, invitati per tempo e in più occasioni dalla Lipu alla costituzione a tutela degli interessi cittadini, non hanno manifestato alcun interesse; il Comune di Biccari, nonostante fosse espressamente indicato quale soggetto offeso da parte del pubblico ministero. Ad agire a tutela degli interessi del Comune di Biccari, allora, si è costituito un suo cittadino, ai sensi dell’articolo 9 del TUEL, il dottor Donato Tilli, rappresenta-

to dall’avvocato Michele Curtotti, agendo così in sostituzione dell’Amministrazione comunale lesa, ed incomprensibilmente rimasta indifferente. Al di là delle ipotesi di reato formulate e degli esiti di questo procedimento penale, il giudizio morale su questa vicenda e della estesa aggressione che questo genere di insediamenti industriali sta perpetrando in danno del territorio è stato già espresso. In nome dell’1,4 percento di contributo energetico complessivo per il Paese si devasta il Mezzogiorno, riversando miliardi di euro nelle tasche di pochi, marginalizzando il ruolo dei cittadini, umiliando gli interessi collettivi ed eludendo una vera, seria strategia di con-

tenimento dei gas serra. Basti pensare che il giro di incassi dei soli impianti oggetto del procedimento è prudenzialmente stimabile in oltre 17 milioni di euro all’anno. E per 15 anni, oltre ai successivi anni di sola vendita di energia, salvo eventuali ulteriori incentivi.

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Pale eoliche di Bisaccia, in provincia di Avellino. Campania / Foto di Pellegrino Tarantino

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DI EMMA BARBARO

Un altopiano deserto e battuto dal vento. Non un ruscello o una riva, né una foresta densa dalla vegetazione fitta. Ci sono distese di campi di grano, di stoppie o di debbio, qualche oliva masciatica, sprazzi di verde qua e là e un panorama che, quando non c’è foschia, si perde fin nei confini del Vulture, in Basilicata.


Ad un primo e fuggevole sguardo, il girovago smarrito che attraversa il Formicoso viene assalito dall’assenza. Non sa il viandante che sul Formicoso anche il vuoto è accogliente, rassicurante. Che lì il nulla è quasi un conforto. Ignora che a Bisaccia, unico luogo in Irpinia in cui sopravvivono le antiche centuriazioni romane, dorme fin dall’età del ferro una principessa. Sepolta nel Castello Ducale restaurato da Federico II di Svevia, la principessa e il suo ricco corredo attendono con una pazienza millenaria il riscatto. Non sa che il Formicoso un tempo era un bosco folto e rigoglioso, ove Federico II in persona si dilettava nella celeberrima caccia col falcone. Non conosce gli antichi casali dell’Ofanto: Sassano e Pietrapalomba ad Aquilonia, la Carbonara, Castiglione a Calitri, Pescodirago tra Calitri ed Aquilonia. Quel che il girovago avverte è il vento. Imponente, costante, sicuro. Quasi come una pensione. Il vento oggi è elettricità e business È una torre alta come un palazzo di trenta piani o forse più, alla cui sommità si trova un rotore da cui pendono pale lunghe e snelle. È un impianto composto da 10, 12 o 14 aerogeneratori che insistono su una serie di particelle catastali. È un insieme di impianti che si intersecano tra loro cui corrispondono cavidotti, sottostazioni, persino elettrodotti all’occorrenza. Li chiamano “parchi eolici”. Quasi come per suggerire che, con una certa naturalezza, il paesaggio si è piegato al nuovo senza perdere l’essenza di ciò che era prima. Ma il paesaggio dell’Alta Irpinia è reduce di un’intimità violata e di una ruralità compromessa. A Bisaccia, Vallata, Scampitella, Lacedonia,

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Monteverde, Aquilonia, Andretta, Cairano, Conza, Sant’Andrea di Conza avevano promesso energia pulita e ristoro ambientale. Hanno seminato vento ed hanno raccolto tempesta. Rotta verso Est L’Irpinia d’Oriente è più uno stato d’animo che un’entità territoriale omogenea. Nei suoi confini una decina di comuni o poco più accolgono circa 500 aerogeneratori installati tra eolico e mini eolico e producono da soli più del 6 percento dell’energia eolica nazionale. Questi numeri non tengono conto dei progetti autorizzati ma non ancora realizzati e di quelli ancora in fase di Valutazione d’impatto ambientale, Valutazione ambientale strategica e d’incidenza. Dal 2000 al 2009 il numero dei parchi eolici in Italia cresce a dismisura. L’Alta Irpinia non fa eccezione. E l’energia pulita, all’inizio, sembra quasi un valore aggiunto. Il tessuto sociale è quello dei piccoli paesi che, in alcuni casi, non raggiungono la soglia dei 3mila abitanti e la cui età media si è drasticamente impennata fin dopo il tragico terremoto del 1980. C’è chi ha i “figli studiati” che lavorano e vivono fuori o chi ha le “rendite” in termini di suolo, ma non sa che farsene perché non vuol più coltivare. C’è chi è stanco di spaccarsi la schiena nella terra e chi è logorato dai comizi alle vacche. Quelle vere. Inizia così la corsa all’eolico. Quella materiale. Fatta di lunghe file di contadini e proprietari particellari davanti al Comune per chiedere al sindaco, l’assessore, il segretario di turno di inserire il proprio pezzettino di terra tra quelli su cui sorgerà il mastodontico parco eolico. Ma gli impianti comportano la realizzazione di una serie di opere definite “connesse”.

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Anche perché la fonte di maggior guadagno da parte delle società di settore è nei quantitativi di energia effettivamente immessi in rete. E ben presto, anche i proprietari limitrofi ai concedenti - anche quelli che non sono convinti che l’eolico sia un buon affare - si trovano a fare i conti con l’indifferibilità e l’urgenza. Con la legge 387/2003 - in attuazione della Direttiva 2001/77/CE relativa alla promozione dell’energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell’elettricità - il motto diventa “Go Renewable”. All’articolo


Sant’Andrea di Conza (AV) Foto di Pellegrino Tarantino

12 comma 1 si legge che “le opere per la realizzazione degli impianti alimentati da fonti rinnovabili, nonché le opere connesse e le infrastrutture indispensabili alla costruzione e all’esercizio degli stessi impianti sono di pubblica utilità ed indifferibili ed urgenti”. Questo principio, secondo un commento alla legge di Asso Rinnovabili, non si traduce soltanto in un’accelerazione e snellimento della procedura. “Si rende necessaria - sostiene Asso Rinnovabili - un’opera di coordinamento tra la disciplina dell’art. 12 e la disciplina sulle

espropriazioni approvata con il TU (DPR 327/2001) allo scopo di individuare il momento in cui avvisare dell’avvio del procedimento i proprietari delle aree destinate alla realizzazione dell’impianto. Alla luce dell’art. 16 comma 4 del TU sembra di poter dire che gli interessati dovrebbero essere avvertiti sin dal momento della presentazione della domanda di autorizzazione unica (rilasciata dalla Regione o da altro soggetto istituzionale delegato dalla Regione). E che, pertanto, sin dalla richiesta di autorizzazione unica le imprese dovrebbero

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essere in grado di identificare estensioni, confini e dati catastali delle aree interessate allo scopo di assicurare il rispetto delle procedure di pubblicità e di partecipazione. Parimenti le Regioni dovrebbero acquisire da questo punto di vista un certo automatismo (ricevimento della domanda- avviso di avvio del procedimento ai proprietari interessati) indispensabile a contenere il già di per sé fisiologicamente consistente contenzioso tipico delle procedure espropriative”. Le comunicazioni da indirizzare singolarmente agli espropriandi possono essere sostituite con l’affissione presso gli albi comunali (con l’indicazione del numero di particella e del nome del proprietario), con delle inserzioni sui giornali e sui siti internet collegati al portale della Regione qualora il loro numero sia superiore una certa soglia (50). Di fatto la conclusione del procedimento unico comporta, come diretta conseguenza, la dichiarazione di pubblica utilità, l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, la determinazione dell’indennità provvisoria, l’occupazione d’urgenza e la determinazione dell’inizio del procedimento di esproprio. E, ben al di là della stessa previsione dell’art.12, costituisce variante agli strumenti urbanistici. Il comma 4 dell’articolo 12 aggiunge: “Il rilascio dell’autorizzazione costituisce titolo a costruire ed esercire l’impianto in conformità al progetto approvato e deve contenere, in ogni caso, l’obbligo alla rimessa in pristino dello stato dei luoghi a carico del soggetto esercente a seguito della dismissione dell’impianto”. Una dismissione, dunque, cui dovrebbe far seguito la riconversione alla verginità naturale del luogo,

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che sembrerebbe essere stata affidata alle società ed aziende di settore. Si tratta per la maggior parte di piccole società a responsabilità limitata che per autofinanziare i propri progetti non utilizzano solo gli ausili offerti dai certificati verdi - come spesso si è indotti a pensare - ma anche leasing e project financing, che rendono le banche particolarmente inclini a concedere e controllare certi investimenti. Qualche imprenditore, per spiegarsi meglio, ci ha fatto l’esempio di un Consiglio d’amministrazione in cui la Banca siede e partecipa assieme alla società a certe scelte. Scegliendo di finanziare solo spese particolarmente mirate e registrate. Questa miriade di srl, che spesso presentano un capitale sociale irrisorio rispetto agli investimenti economici cui far fronte, gravita come una schiera di satelliti attorno a sistemi ben più imponenti. Alerion Clean Power, Edison, Erg Renew, Fri-el Green Power, Ivpc Service, Nordex Italia, Siemens, Vestas Italia. Sono solo alcuni dei nomi dei “giganti del vento”. Non è raro che talvolta l’interesse dei piccoli satelliti si manifesti non tanto o non solo nella semplice realizzazione del parco eolico, quanto più nella cessione dell’autorizzazione unica o della comproprietà dell’azienda e, quindi, dell’impianto stesso. Un esempio, tra gli altri? La società Ecoenergia Campania srl, con sede legale a via Cardito n.14 a Cervinara (Avellino), si occupa di produzione di elettricità. Nel 2007 il gruppo industriale Alerion Clean Power spa, dal capitale sociale superiore ai 161 milioni di euro e quotato alla Borsa di Milano, acquisisce il 50 percento di Ecoenergia Campania. Con la società, Alerion acquista di fatto la comproprietà di tutti gli impianti eolici rea-

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lizzati. Compresa la metà di un parco eolico a Lacedonia. Uno dei tanti. Altre volte, invece, le società a responsabilità limitata sono le uniche proprietarie degli impianti. Che restano lì, indifferibili e urgenti, anche quando divengono improduttivi e i satelliti decidono di investire altrove. Quasi come una punizione per tutti quei proprietari di fondi rei di aver riscosso un affitto di 2000 o 3000 euro annui per tutto il tempo in cui la particella è stata nella disponibilità delle aziende di settore. Una condanna a pala eterna.


Parco eolico tra Lacedonia e Monteverde (AV) Foto di Pellegrino Tarantino

Girano le pale Non si può demonizzare l’energia pulita. C’è chi si oppone, così come è sempre stato. E chi invece la pala, il cavidotto o la sottostazione sul proprio terreno ce la vuole eccome. L’eolico si è trasmesso per osmosi. Sono nate negli anni una miriade di società locali legate allo sfruttamento dell’energia pulita. I gestori degli impianti eolici, i soggetti delle ditte che si occupano della manutenzione, i piccoli imprenditori, non di rado si incontrano nei bar o nelle strade di Bisaccia, Lacedonia, Vallata, persino di Calitri,

comune che al momento non ha impianti ma è interessato da tre differenti progetti di parco eolico. L’energia pulita si vede, si sente, si avverte a livello fisico. È permeata trasversalmente nei più svariati settori sociali. È una realtà. Un Leviatano che vanta d’essere l’unica realtà territoriale praticabile per un possibile sviluppo economico. Come se non ci fossero altre chances per l’Irpinia d’Oriente. Alcuni amministratori altirpini hanno ammesso, nel corso del loro mandato, di non essersi recati in Conferenza di Servizi. O di esserci passati, ma più

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per giocarsi la carta del ristoro ambientale che per svolgere un’eventuale attività d’opposizione. È il caso di Monteverde, il secondo borgo più bello d’Italia. Il 9 agosto 2010, con decreto dirigenziale n.404, la Regione Campania autorizza la Genco Energia srl alla costruzione e all’esercizio di un impianto eolico da 38 MW. L’anno successivo, sempre nel mese di agosto, la Regione voltura e proroga in favore della società Wind Farm Monteverde srl il precedente decreto autorizzativo per la realizzazione del parco eolico. Tra le particelle e i fogli interessati dall’esproprio, ne spuntano alcuni particolarmente interessanti. Innanzitutto risultano soggette ad esproprio, stando alle visure catastali, alcune particelle di proprietà del Comune di Monteverde. Per le quali dovrebbe essere verificata l’esistenza di usi civici. L’esproprio riguarderebbe poi una particella che è già di proprietà della Wind Farm Monteverde, la ditta che dovrebbe realizzare il parco eolico in questione. La società, dunque, sembrerebbe espropriare se stessa. Inoltre, dato questo che non deve insospettire, risulterebbero soggette ad esproprio alcune particelle catastali di proprietà del vicesindaco di Monteverde e di alcuni suoi familiari. Si tratta, del resto, di piccolissime comunità. Non è raro che nell’individuazione di un’area potenzialmente idonea ad ospitare un parco eolico si incappi in terreni di proprietà di alcuni amministratori locali. È accaduto anche a Lacedonia, con particelle corrispondenti ai nominativi di alcuni consiglieri ed assessori. Vallata non fa eccezione. Nel 2005 la Fri-el spa viene autorizzata dal comune di Vallata alla realizzazione, gestione e manutenzione di un

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impianto eolico. L’amministrazione, dopo delibera consiliare e stipula di una specifica convenzione, riceve come compensazione una royalty del 3,6 percento sulla cessione dell’energia prodotta annualmente dall’impianto stesso. Nell’agosto del 2007 la moglie di uno dei consiglieri comunali che nel 2005 aveva sottoscritto delibera e convenzione con la Fri-el spa, acquista un terreno sito in località Mezzana Valledonne. Più che un terreno, nello specifico, si tratta di una particella catastale, la numero 610 del foglio n.24. Un’area in larga parte interessata dalla realizzazione

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Pale eoliche di Bisaccia (AV) Foto di Pellegrino Tarantino


del parco eolico Fri-el. Solo un mese più tardi, inoltre, la donna perfeziona innanzi al notaio un’ulteriore compravendita, inerente stavolta alla particella limitrofa, la n.612. I proprietari particellari originali sono diversi, ma l’acquirente è il medesimo. La moglie di un amministratore. La Regione Campania, con decreto dirigenziale n.688 dell’11 dicembre 2009, autorizza la Fri-el spa alla costruzione di 24 aerogeneratori nel comune di Vallata. Il 24 maggio 2010 Fri-el voltura la propria autorizzazione a un’altra società, la Green Energy srl. Sarà quest’ultima, dunque, a doversi occupa-

re dell’esproprio o asservimento di tutti i terreni interessati. Nel novembre dello stesso anno, la signora stipula un contratto di locazione ultranovennale con la Green Energy srl della durata di quindici anni, al canone annuo di 8mila euro. Circa il doppio di quanto è stato offerto agli altri proprietari particellari. La società ha diritto a installare una turbina eolica formata da una torre dell’altezza di circa 80 metri e da un’elica dal diametro di circa 90 metri. Alla cessazione del contratto tutte le costruzioni e i manufatti relativi alla centrale eolica resteranno di proprietà della società ad

eccezione delle fondazioni, che resteranno invece nella piena proprietà del concedente. Viene inoltre concessa alla Green Energy una servitù per la sistemazione dei cavi elettrici e di tutte le opere inerenti alla manutenzione e al funzionamento della pala eolica in questione. Il parco eolico entra in funzione. Ma qualcosa non va. A gennaio 2012 la Regione Campania, con apposito decreto dirigenziale, sospende per 90 giorni due aerogeneratori afferenti al parco eolico Green Energy per ragioni che vengono qualificate come “gravi”. C’è infatti un errore, un’omissione, una variazione grafica delle particelle catastali allegate alla planimetria redatta per la realizzazione dell’impianto. I dirigenti del settore se ne accorgono. Urge una risoluzione. In realtà, trattandosi di una variazione delle planimetrie originarie oggetto dell’autorizzazione unica regionale, la risoluzione in questione avrebbe potuto comportare una sospensione dell’intero parco eolico. I 90 giorni passano. Gli aerogeneratori tornano in funzione. La Regione Campania non decide più. Nel dicembre del 2012 a decidere è la magistratura. Scatta il sequestro preventivo dell’impianto e dei suoi 24 aerogeneratori. In un articolo esplicativo del Corriere dell’Irpinia si apprende che l’attività investigativa, nata nel 2011, si è particolarmente concentrata sulla regolarità degli espropri effettuati, la conformità dei manufatti coi permessi e la normativa vigente e la regolarità dell’iter autorizzativo. Le stesse cose che, ad occhio e croce, avrebbero dovuto valutare i tecnici regionali a ciò preposti. Tredici, tra amministratori e funzionari di enti locali e società private, sono le persone oggetto d’indagine. Le ipotesi

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di reato sono abuso d’ufficio, falsità materiale commessa da Pubblico Ufficiale in atti pubblici, falsità ideologica commessa da Pubblico Ufficiale, falsità materiale commessa da privato, invasione di terreni o edifici, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, distruzione e deturpamento di bellezze naturali e costruzione abusiva. Dopo pochi mesi, viene disposto il dissequestro. Il parco eolico entra materialmente in funzione, ma il corto circuito è stato innescato. Né la Regione né la magistratura, ad oggi, si sono ancora espresse nel merito della questione. L’impianto, in conseguenza delle problematiche descritte, è considerato dal GSE non a norma e non riceve incentivi. Questo significa che anche il comune di Vallata non riceve il suo ristoro economico pari al 3,6 percento dell’energia eolica prodotta. E girano le pale. L’Alta Tensione a Lacedonia C’era una volta un impianto eolico dalla potenza complessiva di 40 MW, costituito da 16 aerogeneratori, da realizzare in località Macchialupo, tra Lacedonia, Aquilonia e Bisaccia. Con il decreto dirigenziale n.55 del 7 giugno 2013 la Regione Campania rilascia l’autorizzazione unica che serve alla società Alisea srl per realizzare il parco eolico e le opere connesse. Tra queste, è prevista anche la realizzazione di un elettrodotto in doppia terna a 150 Kv. Il 16 settembre 2014 la Regione Campania dà l’avvio alla procedura di esproprio redigendo un verbale di immissione in possesso e stato di consistenza. I tecnici scrivono che i terreni risultano incolti. Nella realtà si scopre che quelle terre vengono utilizzate dai fruitori locali occasionali e dagli stessi proprietari dei fondi

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per scopi che, certo, non ci si aspetta che una società intenzionata a produrre energia da immettere sulla rete elettrica nazionale possa comprendere. C’è chi vi porta i bambini per respirare, manco a dirlo, “aria buona”. Chi vi raccoglie i funghi, gli asparagi o le more, che pure crescono rigogliose, per fare delle marmellate. E poi c’è chi persino ammette che lì si può andare a raccogliere legna secca per la festa di San Giuseppe senza incorrere in denunce perché “lo sanno tutti qui a Lacedonia, quelle terre lì sono di uso collettivo”. La chiave di volta è tutta qui. L’ing. Vale-

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Parco eolico e territorio a Lacedonia (AV) Foto di Pellegrino Tarantino


riano Monaco, dietro specifico mandato di uno dei proprietari dei suoli, il consigliere comunale di Lacedonia Michele Russo, fa mettere a verbale che due particelle in particolare, le n.7 e n.19 del foglio 53, appartengono al demanio civico assegnato alla categoria A (Boschi e Pascoli permanenti). Quelli di cui, per essere chiari, il Comune è solo l’Ente esponenziale essendo i cittadini stessi proprietari del diritto collettivo di proprietà dei beni. Tali beni in punta di diritto non potrebbero essere sottratti alla propria destinazione se non nelle forme previste dalle apposite leggi che rego-

lano gli usi civici (regolamento d’attuazione n. 1766/1927, RD n. 332 del 1928, successive leggi statali e regionali in attuazione dell’art.117 della Costituzione, e nota del Commissario liquidatore per gli usi civici di Napoli n.146 del 1/3/1991). I comuni in ogni caso non potrebbero alienare né sottrarre tali terreni alla propria destinazione se non attraverso specifiche procedure amministrative. Che di fatto, ma è una questione controversa, per la Regione Campania ci sarebbero state, ma per i tecnici e i comitati locali nel frattempo costituitisi nient’affatto.

Gli anni passano, ma gli animi non si sono sedati. Il 29 febbraio 2016 i membri del comitato “No Alta Tensione” di Lacedonia Michele Russo, Antonio Damiano, Giuseppe Caggiano e Rocco Pignatiello, assistiti dall’avvocato Vito Nicola Cicchetti - che ha seguito le vicende dell’eolico a Vallata sin dal 2009 - firmano un esposto al vetriolo indirizzato al GSE, a Terna spa e al Nucleo Speciale per l’Energia e il Sistema Idrico della Guardia di finanza. Le contestazioni sono piuttosto dure. Si parte dall’assunto che l’elettrodotto a 150 Kv sia un’opera connessa al parco eolico Alisea. Pertanto, a rigor di logica, dovrebbe far parte degli elettrodotti non inseriti nella RTN (Rete di Trasmissione Nazionale). Quelli per cui l’art. 52 quater del DPR 327/2001 dispone che “sono esclusi dalla procedura di vincolo preordinato all’esproprio le aree interessate dalla realizzazione di linee elettriche per le quali il promotore dell’espropriazione non richieda la dichiarazione di inamovibilità”. Dov’è la dichiarazione di inamovibilità della società Alisea? Semplice, non c’è. La Regione Campania sostiene che il Comune di Lacedonia avrebbe provveduto a chiedere il mutamento di destinazione d’uso temporaneo delle particelle gravate da uso civico con la delibera consiliare n. 13 del 24 febbraio 2006 e con un’apposita convenzione (n.7/2006 di repertorio del 17 marzo 2006). Ma allora, il parco eolico Alisea era pura immaginazione. Il Comune si limita ad individuare un’area nel comprensorio agricolo locale potenzialmente adatta all’installazione di un parco eolico ed esclude dall’analisi il foglio n.53, quello le cui particelle sono gravate da uso civico. Per altro, la convenzione citata dalla Regione e approva-

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ta dalla giunta comunale è solo uno schema di convenzione, non la sua forma definitiva e vincolante. Nessun consigliere vota esplicitamente per un mutamento di destinazione d’uso di quelle aree. E il sindaco, del resto, può aver mandato di sottoscrivere la Convenzione, ma non quello di mutare da solo la destinazione d’uso dei terreni. Poi la Regione Campania, rassicurante, aggiunge che giacché l’elettrodotto è stato approvato con un’autorizzazione unica regionale, a seguito della dismissione dell’impianto sarà previsto il ripristino totale dello stato dei luoghi. “Il mutamento a cui sono soggette le particelle 7 e 19 del foglio 53 di Lacedonia - sostiene la Regione - è temporaneo, con ritorno integrale, senza alcun pregiudizio, delle terre all’antica destinazione d’uso quando cesserà lo scopo per cui è stata accordata l’autorizzazione”. Ma quanto è temporanea, per i tecnici regionali, questa sospensione degli usi civici? Nel decreto dirigenziale del 7 gennaio 2015 si autorizza il Comune di Lacedonia a mutare la destinazione d’uso delle particelle 7 e 19 del foglio 53 per venti anni. Il 18 gennaio 2016, invece, il mutamento è netto, repentino, persino tragico. Nel frattempo è stata trasmessa presso gli uffici regionali una nota di Terna in cui si legge che “l’elettrodotto a 150 Kv denominato Bisaccia-Lacedonia è destinato ad entrare a far parte della RTN di proprietà e nella gestione Terna costituendo opera connessa e infrastruttura indispensabile per consentire la connessione alla RTN dell’impianto eolico Alisea. L’elettrodotto in questione - aggiunge Terna - è destinato a rimanere in servizio a tempo indeterminato per le esigenze del servi-

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zio elettrico nazionale e verrà utilizzato in futuro anche dai numerosi altri produttori aventi nell’area iniziative di generazione elettrica da fonti rinnovabili”. La Regione Campania autorizza un cambio di destinazione d’uso da 20 a 99 anni. Dopo poco meno di un secolo ci sarà da chiedersi chi e quanto garantirà che quel territorio sorvolato dall’elettrodotto torni alla sua originaria vocazione. Tuttavia, ed è pure un dato che merita di essere segnalato, l’elettrodotto Alisea una volta realizzato sarà gestito da Terna spa. Perché allora l’opera è stata approvata con un’autorizzazione unica regionale? La procedura per il rilascio dell’autorizzazione unica, laddove l’elettrodotto viene inserito nella RTN, è svolta di concerto tra il Ministero della Attività Produttive e quello dell’Ambiente, previa intesa della Regione interessata. Senza contare che per l’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio, anche in questo caso, è necessaria la dichiarazione di inamovibilità. Il Comitato “No Alta Tensione” nell’esposto specificamente parla di “un progetto criminoso finalizzato al superamento dei vincoli e delle imposizioni previste dalle norme di settore e ciò non per la tutela degli interessi generali legittimi, quanto invece per la salvaguardia di interessi particolari”. Cime tempestose Sul finire del 2015 viene costituito il Coordinamento dei Comitati Civici dell’Alta Irpinia. Raccoglie l’adesione immediata di tutti i movimenti territoriali contro la proliferazione dell’eolico selvaggio territoriali. Da Bisaccia a Lacedonia, da Sant’Angelo dei Lombardi ad Aquilonia passando per Conza, Sant’Andrea di Conza, Calitri e Vallata.

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Ci sono tutti, non manca nessuno. Le criticità sembrano tante, troppo imminenti. In Regione Campania, con una cadenza quasi settimanale, vengono convocate conferenze di servizi relative all’approvazioni di ulteriori parchi eolici. La coscienza del paesaggio appare smarrita. E poi c’è il fumo denso di mezzi fatti saltare in aria, il suono secco dei colpi di kalashnikov che vengono esplosi contro la sottostazione di Bisaccia ove vi è la connessione del parco della Green Energy Srl di Vallata e contro la ex sottostazione Ivpc, oggi Erg, di Lacedonia e,


Veduta da Bisaccia (AV) Foto di Pellegrino Tarantino

sempre lì, il rimbombo di un ordigno rudimentale che esplode vicino a un centro di connessione dell’energia in rete Enel. I comitati contano 14 attentati solo tra il luglio e l’ottobre del 2015. Ma potrebbero essere di più. Considerato che da alcune indiscrezioni emergerebbe che parte dei mezzi di proprietà della società Nizzoli srl, che materialmente si occupa del trasporto dei vari componenti delle pale eoliche, sarebbero stati dati alle fiamme a Calitri, comune mai risultato tra quelli nel mirino. Il Coordinamento dei Comitati si attiva. Esige la

convocazione immediata del Comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza presso la Prefettura di Avellino. Che si riunisce il 26 ottobre 2015, ma i risultati tardano ad arrivare. E si va avanti con le intimidazioni. Persino lo Stato ‘sbarca’ in Irpinia d’Oriente. Arriva il vice presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Claudio Fava, visita i luoghi degli attentati, requisisce incartamenti, fa delle valutazioni. Parla del sistema dei sub appalti. Dice, scontrandosi con alcuni dei primi cittadini presenti, che non esistono luoghi che possano sentirsi al

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riparo dalle minacce di infiltrazioni della malavita organizzata. Le monadi sono un bluff. Il Coordinamento dei Comitati va avanti Costringe, con un’azione di pressing intrapresa anche a livello amministrativo dal primo cittadino di Calitri, Michele

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Di Maio, 22 comuni altirpini a siglare una moratoria contro l’eolico selvaggio da indirizzare alla Regione Campania. Vogliono uno stop alle autorizzazioni sull’eolico fino all’approvazione di un Piano Energetico Ambientale Regionale. Il principio ispiratore della moratoria viene recepito all’art.15 della legge

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Parco eolico tra Bisaccia e Vallata (AV) Foto di Pellegrino Tarantino


tembre 1993, n. 33 (Istituzione di parchi e riserve naturali in Campania), oasi di protezione e rifugio della fauna individuate ai sensi della normativa regionale vigente, geositi; aree di pregio agricolo e beneficiarie di contributi per la valorizzazione della produzione di eccellenza campana o di pregio paesaggistico in quanto testimonianza della tradizione agricola della Regione;aree sottoposte a vincolo paesaggistico, a vincolo archeologico, zone di rispetto delle zone umide o di nidificazione e transito d’avifauna migratoria o protetta. In attesa dell’approvazione delle deliberazioni di cui al presente articolo è sospeso il rilascio di nuove autorizzazioni per impianti eolici nel territorio regionale”. Una disposizione che ha permesso, tra i mille limiti e le più svariate storture interpretative, di congelare le conferenze di servizi relative alla costruzione di 9 nuove turbine, della potenza ciascuna di 60 KW, ad Aquilonia. La società proponente, la D’Agostino Costruzioni Generali srl, che fa capo al parlamentare neo-verdiniano (ex Scelta Civica), Angelo Antonio D’Agostino, ha visto la conferenza dei servizi rinviata fino a dopo la scadenza della moratoria, nell’ottobre 2016. Segno che forse una sospensione c’è. Ma è il caso di farla valere. Nelle more, chissà, dell’individuazione delle aree non idonee. regionale n. 6/2016 che recita: “…tenendo conto della concentrazione degli impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili esistenti, sono stabiliti i criteri e sono individuate le aree non idonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20

Kw (…) con particolare riferimento alle aree di particolare pregio ambientale individuate come Siti di Importanza Comunitaria (SIC), Zone di Protezione Speciale (ZPS), Important Bird Areas (IBA), siti Ramsar e Zone Speciali di Conservazione (ZSC), parchi regionali, riserve naturali di cui alla legge regionale 1 setTerre di frontiera / numero 5 anno 1 - lug-ago 2016 / www.terredifrontiera.info

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SBLOCCA DI CHI È L’ENERG IN ITALIA? EOLICO

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Centrale Sullo di sfondo Bisaccia, il Monte in provincia Vulture di visto Avellino. da Venosa. Campania Basilicata / Foto di/ Pellegrino Foto di VitoTarantino L’Erario


GIA

DI PIETRO DOMMARCO

La Statale 658 si snoda senza abbandonare mai la Basilicata. Da Potenza - città capoluogo - conduce a Melfi, ai piedi del Monte Vulture, fino ai confini con la Puglia e la Campania, in un territorio scavato dal fiume Ofanto. È lungo la Potenza-Melfi che pulsa il cuore lucano, e la strada ci accompagna alla scoperta di Federico II di Svevia e dell’eredità industriale della Fiat. Due marcate impronte, storico-culturale e produttiva, in forte contrapposizione.


LA BASILICATA, IL PRESS E LO SBLOCCA EOLICO Sullo sfondo, profili sinuosi colorati di verde e di grano. Altipiani a perdita d’occhio e pale eoliche. A decine. Quelle che, all’altezza di San Nicola di Pietragalla, tratteggiano il carattere di un vero e proprio “effetto selva”.

Secondo i dati Terna sono 263 gli impianti eolici autorizzati. Che pone la Basilicata al secondo posto in Italia, per numero di centrali, dopo la Puglia. Per una produzione netta di 820,6 GWh. Mancano però all’appello i progetti di mini eolico, autorizzabili dai Comuni con una semplice Dichiarazione d’inizio attività (Dia), oggi Procedura abilitativa semplificata (Pas). Così come avviene nel resto del Paese, soprattutto al Sud. Numeri destinati a crescere in un contesto normativo confusionario. Il Piear, i figli e i figliastri Il Piano di indirizzo energetico ambientale regionale - pubblicato sul Bollettino ufficiale regionale n.2 del 16 gennaio 2010 rappresenta la misura base che sta consentendo il proliferare, in Basilicata, di impianti eolici di piccola e grande “taglia”. A definirlo meglio è il “Disciplinare per l’autorizzazione alla costruzione e all’esercizio di impianti di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” approvato con Deliberazione di Giunta Regionale n.2260 del 29 dicembre 2010 - recentemente modificato con Deliberazione di Giunta Regionale n.41 del 19 gennaio 2016. Il Disciplinare in questione delinea le modalità procedimentali e i criteri tecnici da applicare alle procedure per la costruzione e l’esercizio degli impianti su terraferma di

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produzione di energia elettrica alimentati da fonti rinnovabili e loro modifiche. Comprese le infrastrutture di collegamento dell’impianto alle reti elettriche e alle centrali di dispacciamento. Stabilisce, inoltre, che sono soggetti ad autorizzazione unica regionale tutti gli impianti eolici con potenza nominale complessiva superiore a 1 MW. Per quelli con potenza nominale inferiore, invece, introduce la Procedura abilitativa semplificata (Pas). A cavallo tra la prima versione del Disciplinare di fine 2010 e la seconda degli inizi di quest’anno, la Regione Basilicata - con Delibera di Giunta Regionale n.903 del 7 luglio 2015 (Recepita con Legge Regionale n.54/2015) ha approvato le linee guida per il corretto inserimento degli impianti eolici sul territorio. Che tanto stanno facendo discutere alcune associazioni e comitati di cittadini, proprio per le more della loro applicazione. Non solo. Nel Collegato alla Legge di Stabilità 2016 è stato approvato - con l’articolo 49 - un emendamento alla legge già citata Legge Regionale n.54/2015 di “Recepimento dei criteri per il corretto inserimento nel paesaggio e sul territorio degli impianti da fonti di energia rinnovabili ai sensi del D.M. 10.09.2010”. Tale emendamento è approdato in Consiglio solo la mattina del 3 febbraio 2016, giorno stesso della discussio-


SING DELLE LOBBIES ne. Una discussione fulminea. Quasi alla chetichella. Avallata e sottoscritta dai rappresentanti in aula del Partito democratico. L’imperativo è quello di ammorbidire le regole da rispettare. Infatti, nelle modifiche approvate, si legge che “nei buffer relativi alle aree e siti non idonei è possibile installare impianti alimentati da fonti rinnovabili, fermo restando la probabilità di esito negativo delle valutazioni.” Questo significa che dalla moratoria regionale tanto invocata da più parti, la Basilicata - in linea con quanto fatto dal governo centrale in materia di fonti fossili con il Decreto legge “Sblocca Italia” - ha approvato lo “Sblocca Eolico”. È così alto il rischio di impianti in prossimità di aree dall’alta valenza paesaggistica, archeologica, di pregio e siti Unesco. Ad essere disatteso, nelle ipotesi e nei fatti, il limite dei 1000 MW “suggerito” dal Piano energetico regionale. Una sorta di liberalizzazione che non tiene conto ancora del mini eolico. Mancano, infatti, le linee guida per il corretto inserimento degli impianti alimentati da fonti rinnovabili con potenza inferiore a 1 MW, che dovevano essere approvate entro sessanta giorni dall’entrata in vigore della Legge Regionale n.54 del 31 dicembre 2015. Quindi entro il primo giorno di marzo 2016. Termine ampiamente trascorso.

E ad avvalorare la tesi speculative dello “Sblocca Eolico” - in un settore caratterizzato da un sistema di appalti, subappalti e migliaia di espropri - a fine settembre 2015, una miriade di piccole società a responsabilità limitata chiedono di deregolamentare proprio le linee guida regionali. Ed ecco servito, a distanza di soli quattro mesi l’emendamento citato. Dal Castello di Lagopesole vista pale Sulla Valle di Vitalba - antico possedimento normanno svevo e luogo di caccia dell’imperatore Federico II - lo sguardo spazia ininterrotto. Sovrastata dal Castello di Lagopesole, straordinaria testimonianza monumentale, rischia di perdere la connotazione di caleidoscopio naturale, i cui valori paesaggistici risultano miracolosamente scampati nei secoli alle speculazioni, e quasi integri. In questi luoghi, di foreste demaniali e riserve antropologiche e paleontologiche, il 6 marzo scorso, la Giunta Regionale - con Deliberazione n.254 - ha autorizzato un impianto eolico situato nel territorio di Bella, Filiano e Avigliano. La Rinnovabili Melfi srl prevede di installare 13 pale - dei 22 aerogeneratori originari del progetto - con potenza complessiva pari a 31,20 MW. L’area, che dovrebbe ospitare il “parco” eolico, è compresa nella “fa-

scia di rispetto” di mille metri fissata dalle norme regionali, andate in deroga. Un unicum paesaggistico la cui geomorfologia, oggi, è ancora leggibile in un coronamento montuoso e collinare. Che cede il passo ai ritardi dell’adozione del Piano paesaggistico regionale. Il progetto della Rinnovabili Melfi srl, prima del Giudizio favorevole di compatibilità ambientale, ha provocato una vera e propria bagarre politica. Il 19 settembre 2015, l’amministrazione comunale di Filiano ha espresso, all’unanimità, voto sfavorevole. Lo stesso ha fatto, qualche giorno più tardi, la forza di centrosinistra del comune di Avigliano. Al contrario dell’amministrazione comunale che, oltre a non aver presentato in tempo le osservazioni al progetto, continua in una silenziosa melina istituzionale che rischia di favorire i proponenti. Nonostante il continuo tallonamento del M5S. Nel frattempo, a dimostrazione che si sta giocando una partita complicata, il 18 luglio 2016 la società titolare del progetto ha presentato agli uffici regionali istanza di screening relativa ad alcune modifiche all’impianto di località Monte Caruso, riguardanti la delocalizzazione e riproposizione di alcune pale. La scadenza fissata per la presentazione delle osservazioni è l’1 settembre 2016.

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Il Castello di Monteserico tra vecchie e nuove battaglie. Anche su carta bollata L’area che ospita il Castello di Monteserico, nel comprensorio di Genzano di Lucania - nelle ultime lande lucane prima di approdare in Puglia - è uno scenario quasi incantato. Una fortificazione normanna che si staglia in un luogo dove, probabilmente sorgeva un fortilizio romano a presidio del territorio durante le guerre servili del 68 a.C. e lo scontro, a “Serra Battaglia”, tra il console Marcello ed Annibale. Oggi, all’ombra del Castello di Monteserico - per il quale vige il decreto di tutela del ministero della Pubblica Istruzione datato 14 marzo 1960 - si sta combattendo un’altra battaglia, anche legale, tra “compagini” eoliche e di comunità. La Alvania srl società di scopo il cui capitale sociale è partecipato finanziaria danese Forest Intertec - e la Eusebio Energia spa intendono realizzare due parchi eolici. Il primo progetto - come spiegato dall’Organizzazione lucana ambientalista e dall’Associazione Intercomunale Lucania - prevede l’installazione di 15 aerogeneratori (dei 23 proposti nel progetto originario) di potenza nominale di 2,4 MW ciascuno, per un totale di 52,8 MW installati, in un’area di circa 1.400 ettari compresa fra Masseria Sparacannone a ovest, Masseria Sergente e Masseria D’Errico ad est. La Alvania srl, con sede a Padova, il 24 febbraio 2016 ha ottenuto dalla Giunta Regionale parere positivo di Valutazione d’impatto ambientale, mentre, denunciano le associazioni, “non è dato sapere il parere espresso dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Paesaggistici della Basilicata, alla quale è pervenuto il progetto, anche in considerazione dell’importan-

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za del sito storico, monumentale e paesaggistico.” Situazione più complicata, invece, per il secondo progetto - quello della Eusebio Energia spa - alle prese con dinieghi e ricorsi al Tar. Ma andiamo con ordine. Perché siamo alle prese con una matassa quasi inestricabile. Il 15 gennaio 2011 la Eusebio Energia spa chiede alla Regione Basilicata il rilascio di compatibilità ambientale per la realizzazione, nel comune di Genzano di Lucania, di un impianto composto da 30 aerogeneratori di potenza complessiva di 60 MW. Il 7 settembre e il 24 ottobre del 2012 il progetto, rispettivamente, il parere negativo dell’Ufficio regionale Tutela del Paesaggio e della Soprintendenza. Il 29 aprile 2013 la Eusebio presenta alcune modifiche al progetto con la riduzione di aerogeneratori da 30 a 6, con potenza nominale di 3,4 MW e potenza complessiva di 20,4 MW. Ma non riceve alcuna risposta. La Conferenza dei Servizi del 16 febbraio 2015 viene rinviata per mancanza di giudizio di compatibilità ambientale e la società eolica, in data 18 febbraio 2015, decide di depositare ricorso al Tar Basilicata chiedendo “l’accertamento del silenzio inadempimento della Regione”. Vincendolo, con sentenza n.560 del 12 settembre 2015. Comincia, quindi, un inevitabile braccio di ferro. Il 4 novembre 2015 il Comitato tecnico regionale esprime contrarietà al progetto e il 2 febbraio 2016 la Giunta Regionale - con Deliberazione n.90 - dà giudizio negativo. Il “layout d’impianto risultano in stretta correlazione visiva con il Castello di Monteserico, bene monumentale da tutelare, ed inoltre presentano una distribuzione planimetrica tale da farli percepire ad “effetto selva” dall’abitato di Genzano di Lucania.” Per

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tutta risposta, il 23 aprile 2016 la società Eusebio Energia spa ricorre nuovamente al Tar per spuntarla sul diniego dell’autorizzazione, perché nella stessa area la Regione ha autorizzato un altro parco eolico, quello della Alvania srl. Il 12 maggio 2016 il Tar Basilicata accoglie il ricorso della Eusebio contro il massimo ente regionale e i ministeri competenti, alimentando il pressing eolico nelle aree di pregio lucane.


LA SARDEGNA E L’EXPORT ENERGETICO

DI STEFANO DELIPERI, GRUPPO D’INTERVENTO GIURIDICO

Fra le energie rinnovabili, quella eolica, è la fonte in Sardegna ha avuto maggiore successo, e maggiori impatti ambientali. Ma la panoramica da descrivere è più ampia. Secondo gli ultimi dati forniti da Terna, al 31 dicembre 2014 – così come secondo le stime che emergono dal recente Piano energetico ambientale regionale (Delibera n.5/1 del 28 gennaio 2016), e attualmente assoggettato a procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas) - sono 118 gli impianti eolici (potenza efficiente lorda 996,7 MW), 18 gli impianti idroelettrici (potenza efficiente lorda 466,7 MW / producibilità media annua 706,1 GWh), 43 gli impianti termoelettrici (potenza efficiente lorda 2.896,8 MW / potenza efficiente netta 2.634,8 MW) e 30.222 gli impianti fotovoltaici (potenza efficiente lorda 715,9 MW).

Il dato fondamentale della fotografia del sistema di produzione energetica sardo è che oltre il 46 percento dell’energia prodotta “non serve” all’isola e viene esportato. Qualsiasi nuova produzione energetica non sostitutiva di fonte già esistente (ad esempio, fonte termoelettrica) può essere solo destinata all’esportazione verso la Penisola e verso la Corsica. Nel piano energetico ambientale si evidenziano disposizioni scarsamente precettive, soprattutto per quanto concerne l’abbandono progressivo di fonti “tradizionali” di energia fossile verso fonti di energia rinnovabile, anche con l’utilizzo di transizione del metano. In dubbio, pertanto, il raggiungimento dell’obiettivo di coprire con fonti rinnovabili, entro il 2020, la quota del 17,8 percento dei consumi energetici, pena sanzioni pecuniarie (Decreto del ministero dello Sviluppo economico 15 marzo 2012), nonché l’obiettivo del dimezzamento delle emissioni di CO2 e gas alteranti il clima. Il ruolo dell’energia eolica. La fondamentale disciplina regionale I 118 impianti di produzione energetica da fonte eolica presenti sul territorio sardo coprono l’11 percento della produzione energetica regionale. Dopo un periodo iniziale (1990-

2004), molto simile al Far West, la Regione si è data una serie di normative per disciplinare la materia. La prima misura fu la Legge regionale n.8/2004, contenente vincoli temporanei per la predisposizione del Piano paesaggistico regionale (I stralcio costiero), promulgato nel settembre 2006. Con sentenza n.199/2014, la Corte costituzionale bocciò le norme regionali che indicavano criteri per l’inserimento di impianti eolici nelle fasce costiere: la Regione aveva individuato “i siti idonei alla realizzazione degli impianti […] escludendo ogni altra area non espressamente richiamata nell’ambito dei vasti ambiti di paesaggio costieri […] senza alcuna ragione giustificatrice rispetto alla specifica competenza primaria in materia paesaggistica della Regione autonoma Sardegna”, mentre avrebbe ben potuto individuare aree non idonee all’installazione di centrali eoliche attraverso motivati atti di pianificazione/regolamentazione. In seguito sono state emanate disposizioni finalizzate a garantire salvaguardia ambientale e produzione di energia rinnovabile da fonte eolica: dopo gli indirizzi applicativi sulla proceduta di Valutazione d’impatto ambientale (giugno 2013) e, unitamente all’individuazione delle aree definite “non

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UN PO’ DI NUMERI E MIX ENERGETICO Energia richiesta in Sardegna 8.804,9 GWh Energia prodotta in più rispetto alla richiesta 4.083,5 GWh (+46,4 percento) Consumi energia In Sardegna sono stati utilizzati 8.377,9 GWh al 31 dicembre 2014 (-2,63 percento rispetto al 31 dicembre 2013), con un picco massimo di potenza richiesta pari a 1.400 MW nel 2014 (era pari a 2.000 MW nel 2011) Produzione energia lorda 13.936,4 GWh Produzione energia netta per il consumo 12.888,4 GWh Energia esportata Verso la Penisola (SaPeI, capacità 1.000 MW) e verso l’Estero (SaCoI, SarCo, Corsica, capacità 300 MW+100 MW): 4.083,5 GWh Perdita complessiva della rete 600 MWh FontI di produzione 78 percento termoelettrica 11 percento eolica 5 percento bioenergie 5 percento fotovoltaico 1 percento idroelettrico Fonte termoelettrica 42 percento carbone 49 percento derivati dal petrolio 9 percento biomasse Emissioni di CO2 dipendenti da produzione di energia elettrica 9,3 milioni di tonnellate (2014) Prezzo medio di acquisto dell’energia nazionale (PUN) Nel 2014 è stato di 52,08 €/MWh con un decremento rispetto all’anno precedente del 17,3 percento, confermando il trend del 2013 e raggiungendo il minimo storico dall’avvio del mercato

idonee” per la realizzazione di centrali eoliche (agosto 2015), la Circolare assessoriale del 14 aprile 2016 relativa alla vigente regolamentazione regionale in materia di impianti eolici costituisce le fondamentali indicazioni affinché la fonte energetica rinnovabile sia valida e non mera speculazione ai danni del territorio.

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La centrale eolica nel mare dell’Asinara Il 30 aprile 2012 la società Seva srl - con sede ad Aosta - ha presentato un’istanza al Compartimento Marittimo di Porto Torres relativa ad una concessione demaniale cinquantennale per la realizzazione di una centrale eolica offshore composta da 28 torri eoliche alte 90 metri, sopra il pelo dell’acqua, con diametro del rotore di 120 metri, 100,8 MW di potenza massima (3,6

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MW per torre eolica), 3 cavi di collegamento tra gli aereogeneratori e cabina di trasformazione elettrica a terra, un cavo interrato verso il sistema di trasmissione aerea dell’energia elettrica, rete elettrica interrata di collegamento con la cabina di trasformazione primaria Terna per la rete di distribuzione nazionale. L’area individuata, di 2.845.908 metri quadrati, si sviluppava dinanzi le spiagge di Porto Torres - da riqualificare dopo anni di usi industriali - davanti al Parco Nazionale dell’Asinara e alla circostante area protetta marina. Nello stesso contesto, la spiaggia della Pelosa di Stintino, gli Stagni di Pilo e Casaraccio e Sic, Siti di importanza comunitaria (Asinara, Pilo e Casaraccio) e Zps, Zone di protezione speciale (Asinara). La realizzazione di una centrale eolica offshore incidente su un ambito marino così vasto avrebbe comportato necessariamente l’interdizione di qualsiasi pubblico uso del mare, la pesca, la navigazione da diporto per lungo tempo, difficoltà per il traffico marittimo commerciale, con pesantissimi effetti negativi per la collettività, nonché sensibili interferenze con i flussi dell’avifauna migratrice. A tal proposito, il 26 giugno 2011, le associazioni ecologiste Gruppo d’Intervento Giuridico e Amici della Terra, prima inoltrarono una puntuale richiesta di informazioni a carattere ambientale e adozione degli opportuni provvedimenti, poi - in data 1 giugno 2012 - produssero uno specifico atto di opposizione al rilascio della concessione demaniale marittima per la realizzazione della centrale eolica offshore al Direttore del Compartimento marittimo di Porto Torres, interessando, per opportuna conoscenza, il ministero dell’Ambiente, l’assessorato


regionale della Difesa dell’Ambiente, il Servizio regionale Valutazione Impatti, i Comuni di Porto Torres, Sassari e Stintino. L’azione vide anche il coinvolgimento di parlamentari, amministrazioni comunali, associazioni dei pescatori e semplici cittadini e - in sede di Conferenza di Servizi per l’esame della richiesta di concessione demaniale marittima (novembre 2012) - la società proponente, preso atto delle numerose opposizioni formalizzate, revocò l’istanza. L’ipotesi della centrale del mini eolico nelle colline della Marmilla Si aprirà a novembre 2016, dopo due rinvii (17 dicembre 2015 e 13 maggio 2016) determinati da scioperi e sostituzione dell’Organo giudicante, il dibattimento penale (R.N.R. n.4654/2014) riguardante una serie di mini aerogeneratori con potenza di poco inferiore a 60 KW (9 già realizzati + 7 in corso di realizzazione) nelle campagne di Villanovaforru, Sanluri e Sardara nella provincia del Medio Campidano. A giudizio Stefano

Argenziano (legale rappresentante della Arg Wind srl di Cagliari, società titolare degli impianti eolici), Remigio Puddu (tecnico progettista della Arg Wind srl), Teodaldo Fenu (direttore dei lavori per la Arg Wind srl), Danilo Serra (legale rappresentante della Sarcos di Sanluri, società esecutrice dei lavori), Massimo Ibba (legale rappresentante della Ibba snc, società esecutrice dei lavori), Donato Ammaturo (amministratore unico della Ludoil Re spa di Nola, in provincia di Napoli, società interessata agli impianti eolici), Anna Angela Ammaturo (amministratrice unica della Windfinder srl di Bisaccia, in provincia di Avellino, società interessata agli impianti eolici), Maria Gasparini (amministratrice unica della Mg Power srl di Avellino, società interessata agli impianti eolici). Le contestazioni riguardano l’avvenuta realizzazione di 9 aereogeneratori (potenza 59,90 KW) e tre cabine elettriche, viabilità di servizio con gli impianti a distanza inferiore ai 500 metri fra loro, tale da considerarli un parco

eolico unico, in assenza di procedura di Valutazione d’impatto ambientale (Via) in zona agricola “E”, in parte percorsa da incendi (violazione dell’art.44, lettera c, del D.P.R. n.380/2001 e s.m.i., dell’art.10 della legge n.353/2000), l’avvenuta falsa attestazione della rispondenza ai requisiti di legge degli impianti autorizzati con dichiarazione unica per la realizzazione di un intervento relativo ad attività produttive-DUUAP (artt. 81 cpv. e 481 cod.pen.). In sede di indagini, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, grazie agli accertamenti svolti dal Corpo forestale e di vigilanza ambientale, aveva ottenuto, nel maggio 2014, il sequestro preventivo dei vari aerogeneratori. L’associazione Gruppo d’Intervento Giuridico aveva inoltrato in proposito alle autorità competenti due specifiche richieste di informazioni ambientali e adozione degli opportuni provvedimenti (24 aprile 2014 e 23 ottobre 2013), segnalando il mancato espletamento della procedura di Valutazione di impatto ambientale.

Fenicotteri rosa e pale eoliche Foto Archivio Gruppo d’Intervento Giuridico

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ASSALTO ALLA DILIGENZA

DI LUCIANA MELE, COMITATI DEL MEDIO CAMPIDANO

L’installazione di pale eoliche in Sardegna si presenta come l’ennesimo assalto alla diligenza. Partiti con pochissimi impianti, nel 2012 erano 80 le centrali, per passare a 118 alla fine del 2015.

FUORI DALLE PALE Si chiama “Fuori dalle pale” ed è un comitato civico nato in Sardegna nel 2014 per denunciare le speculazioni ambientali connesse al mondo delle rinnovabili.

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Ben 15mila ettari di terreno agricolo destinato alla produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, di cui 9500 ettari per impianti eolici. Potenza efficiente lorda pari a 996,7 MW e nuove richieste per 561 MW. Inizialmente, i comitati locali hanno accolto con cauto ottimismo questi progetti, consapevoli che i vecchi modelli di sviluppo dovessero lasciare velocemente spazio a quelli più moderni, carichi di promesse e nuove opportunità. A distanza di diversi anni, però, le vicende hanno assunto sempre più l’aspetto di un Land Grabbing, simile a quello perpetrato ai danni delle popolazioni del Sud del Mondo, con l’aggravante di incidere - stravolgendo irrimediabilmente - su un territorio con una cultura millenaria, a

forte vocazione agricola, con prodotti di pregio ed enormi, e in parte inesplorate, potenzialità turistiche. Le società richiedenti, infatti, fin dall’inizio hanno dimostrato scarso rispetto per le popolazioni coinvolte, rivelando - spesso con condotte al limite della legalità - come unico obiettivo speculazione e guadagno facile. Un esempio emblematico è rappresentato dalla costruzione di alcuni impianti eolici nel Medio Campidano che hanno subìto una forte azione di contrasto da parte dei territori. I cittadini, infatti, esasperati dalle numerose richieste si sono organizzati in comitati, mettendo in campo strategie di lotta, vere e proprie spine nel fianco dei titolari dei progetti eolici.

Si oppone alla realizzazione di nuovi impianti di mini eolico nel comune di Villanovaforru, tra le colline della Marmilla. Lo scopo dichiarato, stando alle parole del portavoce del comitato Maurizio Onnis - oggi sindaco di Villanovaforru - è quello di ottenere la sospensione o l’annullamento di tutti i progetti speculativi, inquinanti e deturpanti dell’ambiente messi in piedi nel campo dell’eolico e geotermico. La campagna di sensibilizzazione svolta dal comitato, specie in occasione dei sequestri preventivi disposti dalla Procura di Cagliari nel 2014 per una serie di mini aerogeneratori realizzati o da realizzare tra le campagne di Villanovaforru, Sanluri e Sardara, è massiccia. I pm contestano le ipotesi di truffa e violazione in materia di valutazione d’impatto ambientale, urbanistica ed ambientale. Il comitato incassa persino il sostegno del Gruppo d’Intervento Giuridico. Oggi “Fuori dalle pale” ribadisce un sostegno condizionato alle rinnovabili. Perché è giusto che l’energia sia pulita. Ma non a danno di una popolazione e un territorio stanchi di pagare il prezzo del rinnovamento.

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I VENTI SICILIANI

DI ROSARIO CAUCHI

Manifestazione no pale Foto di Rosario Cauchi

Centonovantuno impianti eolici per una produzione netta di 2.898,80 GWh. Numeri da capogiro per la Sicilia. L’Isola si assicura la medaglia d’argento nel palmares delle regioni maggiormente interessate da progetti di produzione di energia dal vento, dopo ovviamente l’imbattuta Puglia.

Stando ai dati Terna di fine 2014, l’eolico in Sicilia si configura, insieme al fotovoltaico (42.148 impianti per una produzione di 1850,10 GWh), come una delle rinnovabili più redditizie in termini di produzione energetica. Anche se il primato del termoelettrico (67 impianti per una produzione di 16.500,30 GWh) resta indiscusso. In questo senso va anche il Sicily’s Solar Report 2015, un’analisi condotta dal Polo fotovoltaico della Sicilia, con l’ausilio della Legambiente, che evidenzia

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come l’impulso alle rinnovabili abbia contribuito a ridurre il prezzo dell’energia locale. In particolare, l’eolico avrebbe contribuito, da solo, a soddisfare il 12,3 percento della richiesta di energia elettrica siciliana. Un giro d’affari imponente, intaccato in troppe occasioni da indagini della magistratura e presente infiltrazioni mafiose. Scalfito anche, nella sua essenza, dall’opposizione di movimenti, associazioni e comitati civici che negli anni si sono battuti contro lo sfruttamento indiscriminato del territorio e del paesaggio. Fino ad ottenere - ultimo in ordine di tempo, tra i provvedimenti adottati dalla Regione Sicilia - una moratoria di 180 giorni, scaduta a maggio di quest’anno. “Un primo passo importante verso la tutela del patrimonio siciliano”, ha dichiarato entusiasta l’associazione Amici della Terra. Ma la Legge Regionale n.29/2015, oltre proporre uno stop alle autorizzazioni di sei mesi, ha stabilito i criteri per “l’individuazione di aree non idonee alla realizzazione di impianti di produzione di energia elettrica da fonte eolica di potenza superiore a 20 KW”. Una sorta di interdizione al proliferare indiscriminato dell’eolico selvaggio. Una moratoria sui cui effetti saranno calibrati i futuri sviluppi energetici siciliani. Il caso del No al progetto di parco eolico offshore nel Golfo di Gela “Proprio adesso non ci è consentito abbassare la guardia. Sappiamo quanta tenacia ha manifestato la Mediterranean Wind Offshore srl nel portare avanti il progetto e di quali agevolazioni, palesi e non, ha potuto godere”. Lo dicono chiaramente Maria Ferrera e Giovanni Iudice, entrambi com-

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ponenti del comitato “No Peos” di Gela. Una sigla apparentemente difficile da recepire con immediatezza, soprattutto in questo lembo di Sicilia che da decenni convive con la “matrigna” Eni. La storia, in realtà, è piuttosto semplice. I “No Peos” sono professionisti, studenti, pensionati e artisti - come nel caso di Iudice - che hanno deciso di opporsi al progetto di parco eolico offshore (Peos), già autorizzato anche a livello ministeriale. Un investimento da circa 150 milioni di euro - almeno stando ai dati a disposizione - con 38 pale da collocare nel cuore del Golfo di Gela, tra la zona di Macchitella e l’area di Falconara. Un parco, in origine, candidato ad essere ben più vasto. I tecnici della Mediterranean Wind Offshore srl - l’azienda ligure che si occuperà di tutte le fasi della realizzazione - prevedevano 113 aerogeneratori. Arrivarono, però, i pareri negativi, soprattutto dalla Capitaneria di porto di Gela. Troppo rischioso il binomio pale eoliche e piattaforme, a pochissima distanza le une dalle altre. Sì, perché nel Golfo di Gela la “mamma” è sempre Eni, con tanto di attività estrattive in mare che si apprestano ad essere ampliate. Rimane ancora sul tavolo il maxi investimento della piattaforma “Prezioso K”, “sorellina” delle già attempate “Perla” e “Prezioso”. Le pale eoliche, intanto, hanno ricevuto tutti i necessari via libera, nonostante le carte prevedano la collocazione di questi ultramoderni sistemi, mediamente estesi in altezza per circa 130 metri, ad appena due miglia marine dalla costa. L’ostacolo, anche se inatteso, era però dietro l’angolo. Associazioni ambientaliste e Comuni non ci stanno. Così, è partita la corsa all’azione giudiziaria. Allo stato

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attuale, sono i giudici romani del Tar Lazio ad avere in mano le carte del ricorso presentato da chi le pale nel Golfo di Gela proprio non le vuole. Nei scorsi giorni i magistrati amministrativi romani sembrano temporeggiare. A questo punto non è da escludere l’intervento della Corte costituzionale. Per i legali delle associazioni e dei Comuni - compresi quelli di Gela e Licata - le pale autorizzate dal ministero andrebbero a violare diverse norme sia del Piano paesistico provinciale, sia di quello energetico regionale. Del resto, lo scontro si gioca tutto sull’interpretazione di norme e codici. Il progetto della ligure Mediterranean Wind Offshore srl ricade proprio nel cuore di un’area sottoposta a diversi vincoli, con in testa quelli Sic (Siti di interesse comunitario) e Zps (Zone di protezione speciale), per non parlare del corridoio privilegiato destinato alle migrazioni dell’avifauna. Un punto più volte sollevato dai No Peos. Le pale andrebbero ad occupare un canale preferenziale per l’avifauna che dall’Africa si sposta verso l’Europa e viceversa. Il ministero dell’Ambiente, nel 2009, ha approvato la Via (Valutazione di impatto ambientale), puntualizzando che “la Commissione ha ritenuto l’impatto del progetto sull’ecosistema accettabile, in particolare per la valenza che le fonti rinnovabili di energia hanno nel ridurre le emissioni di anidride carbonica, il gas accusato di scaldare il clima, e di inquinanti dannosi per l’ambiente, come indicato dalle politiche europee e italiane”. “Il progetto è troppo invasivo - spiegano ancora Maria Ferrera e Giovanni Iudice - la sua realizzazione comporterebbe lo sventramento di quasi dieci chilometri quadrati di fondali, che sappiamo essere ricchi di


reperti archeologici. I ritrovamenti ad oggi visionabili ce ne danno ampia conferma. Ma ancor di più, il progetto potrebbe farci incorrere in una infrazione della direttiva Habitat, che comporterebbe pesanti sanzioni a nostro carico. Il parco verrebbe collocato in quello che è un corridoio utilizzato da molte specie aviarie migratorie. Ma ancor di più danneggerebbe un areale dove sappiamo essere presenti praterie di Cymodocea Nodosa, che è una specie affine alla Poseidonia Oceanica e che viene utilizzata da molte specie ittiche per depositare uova e per la successiva crescita di avannotti. Ma ancor di più contrasterebbe, non poco, con i programmi legati al turismo, ai trasporti e all’economia collegata che i comuni della fascia che da Gela passa per Butera, Licata, Palma di Montechiaro e Agrigento, si stanno affannando a portare avanti”. Ma chi sta occupando l’altra metà del campo, in questa lunga partita fatta di ricorsi e autorizzazioni? La Mediterranean Wind Offshore srl, in base ai dati disponibili, è costituita dalla Hdpa srl, Holding di partecipazione per l’ambiente di Augusta e dalla Termomeccanica Ecologia spa, che detiene il controllo del pacchetto societario. Quest’ultima fa parte del gruppo spezzino Termomeccanica spa che opera nel settore del ciclo dei rifiuti e delle energie rinnovabili. Tra gli azionisti di maggioranza della stessa Termomeccanica c’è il gruppo bancario Intesa San Paolo. Insomma, sembra quasi di assistere ad un match di boxe decisamente impari. L’arbitro, però, non ha ancora contato tutti i secondi.

Orientamenti

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PUZZA DI GAS. C’ERA UNA VOLTA ODORTEL DI DANIELA SPERA

Nel novembre 2013, in seguito alle denunce di numerosi cittadini, l’Agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente Puglia avvia a Taranto un’attività di sperimentazione riguardante l’applicazione di un sistema digitale che raccoglie le segnalazioni del disturbo olfattivo percepito dalla popolazione, con simultaneo campionamento di aria-ambiente, tramite un sistema automatico.

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Il progetto, che prende il nome di Odortel, è stato messo a punto dalla società Lenviros srl, in collaborazione con l’Università di Bari e la Labservice srl, per lo sviluppo del dispositivo di campionamento. In sintesi, si tratta di un sistema di comunicazione e ricezione telefonica della ‘molestia olfattiva’ attraverso cui viene registrata la percezione dei recettori sensibili. Una sorta di reclutamento di ‘nasi’ a prova di ‘odori’. Con una semplice telefonata ad un centralino, cittadini, gruppi organizzati e associazioni - considerati “recettori sensibili” - é possibile registrare le segnalazioni dei disagi, le loro intensità - da 1 (odore appena percettibile) a 3 (odore molto forte) - tramite il tastierino telefonico, e l’invio ad un database che gestisce la creazione di una mappa degli odori. Tutto in tempo reale. Arpa Puglia, nella sua relazione del 2015, spiega che “in corrispondenza delle diverse segnalazioni e della loro ubicazione sul territorio, è possibile una preliminare attribuzione dell’evento odorigeno alla sorgente, attraverso l’analisi delle direzioni del vento, al momento delle stesse segnalazioni. Il superamento di opportune soglie, basate sul numero delle segnalazioni per indice di intensità in un intervallo di tempo, permette l’attivazione, in tempo reale di un sistema di campionamen-

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to ubicato sul territorio che provvede a prelevare l’aria per consentirne la misura in laboratorio, applicando la metodologia dell’olfattometria dinamica in conformità con la norma tecnica UNI EN 13725/2004.” Va specificato che, per alcune aziende, la normativa prevede, a garanzia di un controllo delle dispersioni delle emissioni, il rispetto delle prescrizioni contenute nell’Autorizzazione integrata ambientale (Aia) che, tra le altre cose, fissa anche i limiti massimi di concentrazione degli inquinanti autorizzati, nelle varie matrici ambientali, da non superare. L’attività avviata dall’Arpa, però, si riferisce agli ‘odori molesti’. Anche sostanze emesse in concentrazione autorizzata dalla normativa vigente possono generare ‘molestie olfattive’. Il parametro da considerare è differente e si riferisce alla percezione olfattiva per la quale non esistono limiti di legge. Un vuoto normativo che, di recente, è stato colmato dalla Corte di Cassazione (sez. III Penale) con sentenza, n.12019, 10 febbraio-23 marzo 2015, di rigetto del ricorso dell’azienda Kaffa srl, giudicata colpevole della contravvenzione di cui all’art. 674 del Codice Penale. Una sentenza che, per la prima volta, pone dei punti fermi.


I punti fermi della Corte di Cassazione “[…] Il ricorso è infondato. […], il reato di cui all’art. 674 cod. pen. (Getto pericoloso di cose) è configurabile anche in presenza di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti, come nel caso di specie), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori […]; con conseguente individuazione del criterio della “stretta tollerabilità” quale parametro di legalità dell’emissione, attesa l’inidoneità ad approntare una protezione adeguata all’ambiente ed alla salute umana di quello della “normale tollerabilità”, previsto dall’art. 844 cod. civ. in un’ottica strettamente individualistica […].” “Né vale, in senso contrario, - continua la Corte - l’assunto difensivo per il quale, in alcune occasioni, questa Corte ha invece affermato che la configurabilità dell’art. 674 cod. pen. è esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione; osserva il Collegio, infatti, che queste pronunce si riferiscono a casi ben diversi dal presente, nei quali vi era piena corrispondenza “qualitativa” e “tipologica” tra le immissioni riscontrate

e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge, tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti.” Insomma, per la Corte di Cassazione la norma ambientale non garantisce il diritto alla salute e lo spiega chiaramente nei passaggi successivi: “situazione nella quale, invero, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimità del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica […]. Da quanto precede, dunque, deriva che, nel caso in esame, trovano applicazione i seguenti principi, enunciati dalla giurisprudenza sopra richiamata: a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità; b) qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti […].” Una sentenza impeccabile, da manuale sotto il profilo giurisprudenziale. Peccato che

la pena per l’azienda è una semplice multa di poco più di 200 euro. Certo, perché quell’azienda non può interrompere la propria attività, visto che non vìola la normativa ambientale - che per reiterate violazioni della normativa Aia, prevede la revoca dell’autorizzazione a produrre - ma quella del codice penale, la cui pena è davvero irrisoria. Di fatto, a pagarne le conseguenze sono ancora una volta i cittadini che, nonostante le sentenze da incorniciare, continuano a respirare odori micidiali. Che fare? Adoperarsi affinché vengano fissati dei limiti di legge anche per gli ‘odori’, accontentandoci di monitoraggi sporadici e spesso non risolutivi, fornendo un alibi di ferro alle aziende incriminate, oppure tenerci la legge così com’è rassegnandoci a ricevere in cambio bigliettoni da poche centinaia di euro e lasciando che il problema persista? Lo scenario è davvero inquietante. Del resto la legislazione italiana, spesso contraddittoria, prevede: Articolo 674 Codice Penale Getto pericoloso di cose “Chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non

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consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti, è punito con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino ad euro 206”; Articolo 844 Codice Civile Tollerabilità delle immissioni “Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell’applicare questa norma l’autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.” Una sentenza storica e il progetto Odortel La storica sentenza arriva quando è ancora in corso il progetto Odortel che, nel frattempo, al 31 dicembre 2015 vanta un numero di recettori volontari pari a 67, posizionati su una mappa, con un codice identificativo per la registrazione della telefonata. I dati risultanti dalle attività condotte sono stati oggetto di un importante lavoro scientifico (Automated Collection of Real-Time Alerts of Citizens as a Useful Tool to Continuously Monitor Malodorous Emissions) pubblicato sulla rivista scientifica internazionale peer reviewed “International Journal of Environmental Research in Public Health”. Senz’altro un risultato interessante dal punto di vista scientifico. Un tassello in più che va ad aggiungersi alla già vasta letteratura esistente in materia. Riconoscerlo è doveroso, tanto quanto ricordare che quelle temibili puzze, ancora

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oggi, continuano ad ammorbare la popolazione tarantina. La già citata relazione finale dell’Arpa Puglia - riferita all’attività condotta nel 2015 - attribuisce, in conclusione, la provenienza prevalente delle emissioni odorigene alla Raffineria Eni. In particolare dalla zona che si affaccia sul mar Grande, Punta Rondinella. E proprio quando mancano circa cinque mesi alla conclusione del progetto Odortel, la Gazzetta del Mezzogiorno pubblica - il 17 luglio 2015 - ben due articoli secondo i quali la Procura di Taranto ha avviato un’inchiesta che vede indagate per emissioni otto persone alle dipendenze dell’Eni e dell’Hidrochemical. Attraverso un incidente probatorio sarà un perito nominato dal giudice per le indagini preliminari a valutare le cause e l’origine delle emissioni moleste. La Procura chiede di “accertare se dallo stabilimento Eni di Taranto (raffineria), nonché dallo stabilimento Hidrochemical di Taranto si diffondano in modo illecito, gas, vapori, sostanze areiformi o altri composti contenenti sostanze pericolose per la salute dei lavoratori operanti all’interno degli impianti e per la popolazione del vicino centro abitato di Taranto ed eventualmente di altri centri vicini, con particolare riferimento alle emissioni odorigene segnalate nelle decine di denunce in atti”. La vicenda si interseca con l’inchiesta - l’Oilgate, di cui Terre di frontiera si è occupata nel numero aprile - condotta dalla procura di Potenza sulla presunta gestione illecita dei rifiuti del Centro oli Eni di Viggiano (Cova). Hidrochemical srl viene, infatti, indicata nell’ordinanza del 29 marzo 2016 come una delle ditte acquirenti che avrebbe gestito 129,14 tonnellate di rifiuti nel 2013 e 1415,64

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tonnellate nel 2014 provenienti proprio da Cova. Rifiuti contenenti anche derivati dello zolfo. Hidrochemical service srl, azienda di inertizzazione, ha sede a Punta Rondinella. Eppure, nel 2008, come riportato nella Determinazione dirigenziale della Provincia di Taranto - la n.81 del 13 giugno 2008 - fu proprio l’Arpa a dare parere favorevole al rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio dell’impianto mobile di inertizzazione che tratta, tra le altre cose, rifiuti della raffinazione del petrolio, della purificazione del gas naturale e rifiuti contenenti zolfo prodotti da desolforazione del petrolio. Eni ha bisogno di Hidrochemical, proprio a due passi dalla raffineria e a due passi dal parco serbatoi. Oggi l’attività di Odortel è stata inspiegabilmente sospesa. In una nota sibillina, inviata alla stampa e alle associazioni, il 20 giugno 2016, il Direttore scientifico facente funzione di Direttore generale Arpa Puglia, Massimo Blonda, subentrato nel frattempo al posto di Giorgio Assennato “informa che, a seguito di specifica richiesta dei competenti Assessorato regionale e Dipartimento regionale, ha avviato una verifica tecnico contabile interna sulle attività relative al Centro Salute Ambiente e Progetto Ionico-Salentino, avvalendosi di una qualificata figura terza esterna all’agenzia. La verifica riguarderà anche le connessioni progettuali con il progetto Odortel di Taranto. In merito a quest’ultima attività Arpa Puglia comunica che sono disponibili sul sito per l’agenzia i report tecnico scientifici relativi all’annualità 2014 e 2015.”


C’era una volta Odortel Arpa sul suo sito rassicura che “l’attività progettuale, così come condotta finora, si è ora conclusa, ma le attività di approfondimento, nonché di verifica e controllo, relative agli eventi odorigeni, sono tuttora in corso e continueranno ad essere attuate, in particolare con l’obiettivo di rimuovere e o minimizzare le sorgenti di tali sostanze. A questo scopo, si invitano i cittadini di Taranto ad inviare, d’ora innanzi, eventuali segnalazioni di molestia olfattiva, con indicazione di luogo, data e ora di percezione e del livello di intensità di odore percepito all’indirizzo: info@arpa. puglia.it’’. E allora caccia al colpevole. A questo punto non ci resta che augurarci che - come spesso avviene - gli attivisti locali, a Taranto, continuino a vigilare, anche contro il progetto Tempa Rossa che, porterebbe con sé ulteriori ‘puzze’ di inenarrabile intensità.

Autorizzazione integrata ambientale e limiti di legge Autorizzazione di cui necessitano aziende che per la natura della loro attività, impattante dal punto di vista ambientale, devono rispettare i principi di Integrated pollution prevention and control (Ippc), fissati dall’Unione Europea a partire dal 1996. Nel documento autorizzativo sono contenute le prescrizioni da soddisfare nel corso dell’attività. Vale a dire pratiche da seguire per limitare il carico inquinante nelle varie matrici ambientali (aria, acqua, terra), e limiti di legge da rispettare per gli scarichi di sostanze inquinanti in quantità autorizzate. Le concentrazioni autorizzate, rappresentano un compromesso tra esigenze economiche e politiche e non sono una garanzia per la tutela della salute. I limiti di legge - come spiegato da Ferdinando Laghi, vicepresidente Isde nazionale, in uno studio dal titolo “Inquinamento atmosferico e salute in età evolutiva” - vengono di norma calcolati per soggetti adulti e non tengono conto della popolazione più vulnerabile come bambini, anziani, donne in gravidanza, e in fase prenatale, c’è una maggiore suscettibilità verso sostanze tossiche. Inoltre, per le polveri fini che veicolano un gran numero di sostanze nocive non esiste una soglia di concentrazione al di sotto della quale si possano escludere effetti sulla salute. i limiti di legge per singole sostanze non sono calibrati sulla base dell’azione combinata ed esponenziale che può svolgere la concomitante presenza di più fonti di inquinamento. Esempio emblematico è Taranto dove Ilva, Raffineria Eni, discariche e aziende di smaltimento scarti di attività petrolifera creano un mix nocivo di veleni.

Derivati dello zolfo e idrogeno solforato Gli esperti li chiamano ‘eventi odorigeni’ oppure ‘molestie olfattive’ ma, di fatto, rendono l’aria irrespirabile. Sono gli odori sgradevoli generati dalle emissioni di derivati dello zolfo, per lo più solfuri e mercaptani (o tioli). Per la loro caratteristica chimico-fisica vengono percepiti con straordinaria intensità e persistenza, anche a concentrazione in aria del tutto trascurabile, tanto da essere utilizzati come ‘traccianti’ del gas metano per uso domestico, allo scopo di allertare in caso di fughe accidentali. Il metano è inodore. I nostri nasi non si accorgono della sua presenza, se disperso in aria, mentre miscelato con tioli, ci avverte della sua pericolosa diffusione. Il più semplice idrocarburo esistente in natura (CH4) é, infatti, un gas altamente infiammabile. I derivati dello zolfo li ritroviamo anche nel petrolio con gli idrocarburi alifatici, a catena lineare, ramificata e ciclici e gli idrocarburi aromatici, mono e policiclici. Il tenore di zolfo nel petrolio è una discriminante sui costi di lavorazione e anche sulla qualità del prodotto da esportare o da raffinare. Maggiore è la presenza di zolfo, più spinta è la lavorazione, con incremento dei costi di esercizio degli impianti di raffinazione. Lo zolfo va allontanato dagli idrocarburi, per motivi ambientali -bruciando origina SO2 (anidride solforosa) - e per tutelare gli impianti di raffinazione. Il processo è definito ‘desolforazione’ ed attraverso di esso lo zolfo, chimicamente legato agli idrocarburi, viene trasformato in acido solfidrico (H2S). Il gas naturale viene subito separato da questo acido, presente in miscela e non legato ad esso chimicamente,

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subito dopo l’estrazione, per evitare fenomeni di corrosione dell’oleodotto. Anche il greggio é in parte desolforato in loco, prima di essere trasportato nelle raffinerie dove viene stoccato in attesa di essere lavorato o caricato sulle petroliere, ma contiene ancora zolfo residuo le cui frazioni più volatili sprigionano in aria caratteristici odori nauseabondi. Il petrolio greggio in raffineria viene sottoposto ad ulteriore desolforazione. L’acido solfidrico risultante dalla reazione con corrente di idrogeno viene trasformato in zolfo solido, giallo e inodore. Allora perché nei pressi dei pozzi di estrazione in Basilicata e delle raffinerie gli odori di ‘uova e verdure marce’, tipici dei derivati dello zolfo è così intenso e persistente? La risposta risiede nei processi di trasformazione: non sono mai completi e l’idrogeno solforato, prodotto da reazione di ossidazione, si disperde molto rapidamente. In particolare, l’acido solfidrico - detto anche idrogeno solforato o solfuro di idrogeno - è un gas tossico particolarmente fastidioso anche a bassissima concentrazione per il suo tipico odore. La soglia umana di identificazione dell’odore di questo gas è talmente bassa che l’idrogeno solforato viene facilmente identificato anche senza l’utilizzo di strumenti appositi. Pur non essendo pericoloso a questi livelli, la sua presenza provoca un peggioramento della qualità della vita e l’esasperazione della popolazione residente nelle zone dove si diffonde. Gli effetti sulla salute variano in relazione alla concentrazione e al grado di esposizione: a 10-20 ppm (14-28 mg/mc) provoca un’irritazione agli occhi; a 50-100 ppm provoca gravi danni a livello oculare; a 150-250 ppm vi è la perdita del senso dell’odorato;

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a 320-530 ppm causa un edema polmonare che può condurre alla morte; a 1000-2000 ppm (1,4-2,8 g/mc) causa la morte immediata. Le numerose emissioni naturali di questo gas non possono essere logicamente regolamentate per legge. Sono state comunque fissate delle limitazioni per le emissioni di natura antropica. L’articolo 8 del DPR n.322 del 15 aprile 1971, che regola i provvedimenti contro l’inquinamento atmosferico limitatamente al settore dell’industria, per l’acido solfidrico, in qualunque punto esterno ai perimetri industriali, riporta che le emissioni dovute ai contributi complessivi degli stabilimenti industriali non devono superare il valore di punta di 0,07 ppm, e la concentrazione media nelle 24 ore non può superare il valore di 0,03 ppm. Non vi sono limitazioni inerenti la concentrazione ambientale dell’H2S nelle aree abitate. Al fine di prevenire il fastidio causato dalla puzza di questo gas, l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) consiglia di porre come limite di tutela della popolazione il valore di 0,005 ppm (7 microgrammi/mc), sempre tenendo conto delle eventuali emissioni naturali nelle aree considerate. Nell’ambito dell’igiene del lavoro il valore di TLV-TWA è di 10 ppm, mentre il TLV-Stel è 15 ppm. A lungo termine comporta affaticamento, perdita dell’appetito, cefalee, disturbi cognitivi e della memoria. L’inquinamento delle acque con idrogeno solforato provoca la moria di pesci; l’effetto sulle piante é cronico per la sottrazione di microelementi essenziali per il funzionamento dei sistemi enzimatici. Nei confronti dei materiali mostra una certa aggressività per i metalli, provocandone la corrosione.

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Multinazionali

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UN ALTRO FIGLIO DEL LIBERO SCAMBIO DI FRANCESCO PANIÉ

Nel nostro Paese, ormai, l’acronimo TTIP comincia ad entrare nel lessico dell’opinione pubblica. Da quando i leaks di Greenpeace e la manifestazione nazionale del 7 maggio a Roma hanno fatto saltare il chiavistello di grandi giornali e televisioni, i contenuti dell’accordo USA-UE sono più familiari ai cittadini italiani. Non è così per il CETA, il Comprehensive Economic Trade Agreement, un altro figlio di quella famiglia dei nuovi accordi di libero scambio al centro della strategia commerciale dell’Unione Europea.

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Il partner in questo trattato gemello del TTIP è il Canada, e la strada per l’approvazione è già spianata. Il testo consolidato è stato chiuso nel 2014, smussato dagli esperti dei due blocchi nella primavera del 2016 e il 27 ottobre è prevista la cerimonia di firma, con il pre-sidente canadese Justin Trudeau e un esponente della Commissione europea. La trafila prevede poi un voto a novembre dell’Europarlamento e, infine, la ratifica di tutti i Parla-menti nazionali dell’Unione. Quest’ultimo passaggio non è banale, poiché basta un “no” per far saltare il banco. Visto l’alto rischio di insuccesso, la ratifica parlamentare fino a un paio di settimane fa era stata esclusa da Bruxelles, che voleva gestire la partita del CETA tutta in casa propria: la Commissione era intenzionata a decretare la competenza esclusiva dell’Unione, aggirando l’espressione democratica (e il diritto di veto) delle assemblee legi-slative nazionali. Le pressioni pubbliche e l’ultimatum di alcuni governi chiave – Francia e Germania su tutti – hanno costretto a più miti consigli la Commissaria al Commercio, Ce-cilia Malmström, che ha optato per l’accordo “misto”. Tuttavia, la Commissione si tiene un asso nella manica. Una scappatoia tecnica le consenti-rà di implementare gran


parte del CETA prima che i Parlamenti abbiano completato la ra-tifica. Basta l’ok del Consiglio Europeo a maggioranza semplice. In tal modo, grazie alla clausola della provisional application, le disposizioni contenute nei capitoli dell’accordo, che investono aree di competenza esclusiva dell’Unione, entreranno in vigore subito dopo il voto dell’Europarlamento. Qualora mancasse il supporto degli Stati membri, esse restereb-bero in vigore per tre anni prima di tornare alle condizioni iniziali. Ma cosa contiene la grande scatola del CETA? Perché angustia la società civile di tutta Europa e non piace nemmeno ai movimenti canadesi che difendono l’ambiente e l’interesse pubblico? Innanzitutto, proprio come nel caso del TTIP, preoccupa lo straripare della liberalizzazione oltre l’argine delle tariffe e delle quote di importazione. Con questi accordi di nuova gene-razione, infatti, l’apertura riguarda anche i servizi, gli standard alimentari e tutte le politi-che pubbliche, dall’energia al lavoro, dal trasporto all’ambiente. Si tratta di un cambio di paradigma sostanziale, che sancisce la preminenza del “diritto al commercio” nei confronti dell’obbligo costituzionale dello Stato di tutelare l’interesse generale. Con CETA e TTIP, que-

sto capovolgimento di priorità assume concretezza tramite la creazione di specifici meccanismi: la cooperazione regolatoria e la clausola di protezione degli investimenti. Nel primo caso, il trattato darà vita ad un gruppo consultivo di tecnici canadesi ed europei, aperto alle imprese, che avrà il potere di esaminare e chiedere modifiche alle proposte di legge della Commissione UE o del governo di Ottawa prima che queste passino al vaglio del Parlamento Europeo o delle assemblee elettive delle province canadesi. In tal modo, vi è un serio pericolo che regolarizzando l’attività di pressione delle lobby a monte del processo normativo, legislazioni volte a contenere l’impatto del commercio sul sistema sociale, il mercato del lavoro o il riscaldamento globale sarebbero rallentate e indebolite, quando non soffocate nella culla. Qualora arrivassero a vedere la luce, gli investitori esteri avrebbero una seconda arma per ridurne l’efficacia: il ricorso a un tribunale speciale, creato apposta per dirimere le cause che le aziende intentano agli Stati diversi dal Paese d’origine. Questa corte internazionale per gli investimenti, davanti alla quale lo Stato può comparire solo nei panni dell’imputato, andrà ad erodere la giurisdizione dei tribunali nazionali e della Corte Europea di Giustizia,

in una ridefinizione radicale degli equilibri stabiliti dai trattati fondativi dell’Unione. I giudici, estratti a sorte da una lista di esperti di diritto commerciale internazionale, deci-deranno se lo Stato ha violato le “legittime aspettative” dell’investitore, negandogli quel “trattamento giusto ed equo” previsto dall’accordo di libero scambio. Queste formulazioni, volutamente vaghe, lasciano ampio spazio alla discrezionalità del giudice. Come ingranag-gio di un sistema che si regge sui ricorsi delle imprese, negli anni questi ha spesso dato ra-gione ai privati, garantendo loro compensazioni multimilionarie – talvolta miliardarie – a carico dei contribuenti, indipendentemente dal fatto che il governo querelato avesse agito nell’interesse generale, ripubblicizzando un servizio o implementando politiche ambienta-li. Un ulteriore rischio è che, se il TTIP dovesse arenarsi definitivamente, le 47 mila imprese statunitensi che possiedono una sussidiaria sul territorio canadese potrebbero comunque fare causa all’Unione Europea e agli Stati membri, utilizzando il Cavallo di Troia del CETA.

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Rifiuti connection

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STORY. ECOCAMORRE D’ABRUZZO DI ALESSIO DI FLORIO

Continua il nostro viaggio nell’Abruzzo dei rifiuti, tra emergenza, non autosufficienza ed il rischio - innescato dal decreto legge Sblocca Italia - di un nuovo inceneritore.

Quando si parla di rifiuti l’associazione con mafie, camorre, Terre dei fuochi è pressoché automatica. Almeno nell’ultimo trentennio il business dei rifiuti è terreno di caccia delle organizzazioni criminali. Anche in terra abruzzese. Documenti, prove, inchieste sulle immense praterie coltivate dalle mafie, affari, intrecci criminali, riportano alla luce e scattano una fotografia dell’Abruzzo non proprio felix. Già nel 1997, l’allora procuratore generale della Corte d’Appello dell’Aquila, Bruno Tarquini, sosteneva che “la cosiddetta fase di rischio è ormai superata e si può parlare di una vera e propria emergenza criminalità, determinata dall’ingresso di clan campani e pugliesi anche nel tessuto economico.” E il business delle ecocamorre è una delle punte di diamante di questa “emergenza criminalità”. Negli stessi anni, la Commissione di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati - in un rapporto approvato il 4 marzo 1999 – evidenziava, su inchieste e intrecci mafiosi, che “l’Abruzzo presenta, all’attualità, una particolare appetibilità economica ed è oggetto di attenzione da parte dell’imprenditoria deviata e della criminalità organizzata, che in questo territorio ricercano nuove frontiere per

investire il denaro proveniente dalle attività illecite”. Secondo la stessa Commissione, negli anni Novanta, hanno trovato sbocco in Abruzzo rifiuti che “non si potevano più scaricare in Campania in seguito a vivaci e sanguinosi contrasti fra famiglie camorriste.” I tentacoli sulla terra di Silone e Flaiano. Storie di bombe ecologiche L’1 aprile 1994 i Noe, Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, sequestrarono a Scurcola Marsicana, in provincia dell’Aquila, una megadiscarica da 90mila tonnellate di rifiuti definita “il primo caso di smaltimento illegale di rifiuti tossici e pericolosi fatti passare come attività lecita e produttiva”. Il terreno era di proprietà della Biolite che aveva avuto dalla Regione Abruzzo tutte le autorizzazioni necessarie per la produzione di compost dai liquami derivanti dallo svuotamento delle fosse civili. Dopo oltre un anno di indagini il Corpo forestale dello Stato - diretto da Guido Conti (lo stesso della discarica di Bussi, ndr) - accertò che nell’area avveniva tutt’altro. I rifiuti rinvenuti provenivano da aziende chimiche, farmaceutiche, tessili e conciarie del Trentino e della Campania, dalla provincia di Trento alla provincia di Salerno. In quel periodo, addirittura, i

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casellanti autostradali scioperarono per protestare contro il cattivo odore nella zona dei rifiuti tossici, e per il continuo passaggio dei camion diretti alla discarica. Quasi duecento aziende produttrici di rifiuti coinvolte ed un centinaio di persone. Una ricerca scientifica condotta dalla studiosa Mariagrazia La Monica concluse che il terreno ha “ricevuto forti mutamenti dai materiali tossici che sono stati stoccati. Ma anche la vegetazione è stata influenzata dalla composizione chimico-fisiche del materiale presente nei cumuli di rifiuti”. Escluso il patteggiamento di 6 mesi e 3 milioni di vecchie lire di ammenda, per l’allora amministratore e legale rappresentante della Biolite, Livio Berardocco, tutto è finito nel porto delle nebbie della prescrizione. L’ultimo capitolo della vicenda è cronaca recente Il Comune di Scurcola Marsicana chiede alla Biolite, e ad altre società, un risarcimento danni dei beni patrimoniali, non patrimoniali ed ambientali, contestando la compromissione dell’integrità ambientale dei terreni e del fiume Imele. In conseguenza di questo, la stessa amministrazione comunale aveva intimato di eseguire la messa in sicurezza, la bonifica ed il ripristino ambientale delle aree inquinate. Nel luglio 2015 una sentenza del Tribunale di Avezzano ha respinto le richieste del Comune. Secondo il giudice non ci sarebbe alcuna prova di lesioni concrete dei beni ambientali, sottolineando che le perizie documentarono “solo l’avvenuta violazione delle disposizioni relative al trattamento alla conservazione e allo smaltimento delle sostanze nonché la presenza nelle stesse di agenti e concen-

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trazione di sostanze potenzialmente dannose per la salute e l’ambiente” e in una perizia testualmente venne scritto che l’assenza di “sistemi di drenaggio di raccolta del percolato o di ruscellamento rendono le aree circostanti all’insediamento della Biolite solo a rischio inquinamento”. In più, aggiunge il giudice, non c’è pericolo per la salute umana, perché i terreni non sarebbero adibiti ad alcuna attività di coltivazione, pastorizia, pascolo o altro uso correlato alla produzione alimentare. Il giudice ha accolto anche la contestazione delle parti citate sulla reale appartenenza delle aree al Comune, di cui nella sentenza si afferma che “non è stata fornita alcuna prova”. In conclusione, quindi, il Tribunale di Avezzano ha condannato l’amministrazione di Scurcola Marsicana a risarcire la Biolite e le altre società per un totale di 1,1 milione. Questa volta in euro.

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Meridiano/Eventi segnalati dai nostri lettori

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BASILICATA

CALABRIA

CAMPANIA

POLLINO MUSIC FESTIVAL dal 5 al 7 agosto San Severino Lucano (Potenza) www.pollinomusifestival.it fb / pollinomusicfestival

RIACE IN FESTIVAL dal 24 al 31 luglio Itinerante www.riaceinfestival.it fb / Riace-InFestval

INTERCETTAZIONI 31 luglio Contursi Terme (Salerno) bandierabiancafactory.jimdo.com fb / Intercettazioni

SILA MUSIC FEST 7 agosto Longobucco (Cosenza) www.silamusicfest.it fb / silamusicfest

ARIANO FOLK FESTIVAL dal 18 al 22 agosto Ariano Irpino (Avellino) www.arianofolkfestival.it tw / afolkfestival fb /arianofolkfestival

Terre di f CAMPANA MUSIC FESTIVAL dal 11 al 13 agosto Campana (Cosenza) fb / campanamusicfestival

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SPONZ FEST dal 22 al 28 agosto 2016 Itinerante www.sponzfest.it tw / sponzfest fb / sponzfest


luglio-agosto 2016 PUGLIA

SARDEGNA

SICILIA

FESTAMBIENTE SUD dal 21 al 31 luglio Monte Sant’Angelo (Foggia) www.festambientesud.it tw / FestambienteSud

FESTIVAL DEI TACCHI dal 1 al 10 agosto Jerzu e Ulassai (Nuoro) www.cadadieteatro.com fb / festivaldeitacchi

YPSIGROCK FESTIVAL dal 4 al 7 agosto Castelbuono (Palermo) www.ypsigrock.com tw / ypsigrock fb / Ypsigrock

TIME IN JAZZ dal 8 al 16 agosto Itinerante www.timeinjazz.it fb / timeinjazz

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libri P IL PAESE DEI COPPOLONI

LO STATO PARALLELO

VINICIO CAPOSSELA

ANDREA GRECO GIUSEPPE ODDO

Feltrinelli, 18.00 €

Chiarelettere, 17.50 €

La propria terra è come l’anima. Chi ci vive la tiene unita al proprio corpo. Chi ne è distante la sente pulsare nei suoi ricordi e la evoca di notte sognando. È un rinascimentale quadro sempre appeso nel cuore ed un desiderio latente di ricongiungersi ad essa. Vinicio Capossela - cantautore e scrittore - nelle descrizioni iniziali de Il paese dei coppoloni sembra narrare di una terra immaginaria. Parla di un viaggio, non di un viaggio qualsiasi: è il viaggio che conduce al punto di partenza ovvero la propria origine. Un viaggio che parla dell’Irpinia - la terra natìa del padre dell’autore, originario di Calitri, nel corso del quale, a tratti, il surrealismo poetico si mischia alla nostalgia. Surrealismo perché Capossela parla di una terra ricca e povera al tempo stesso. Parla di persone che vivendo la vita a modo loro fanno riflettere molto. “Instabile è il terreno e instabili gli abitanti, che bruciano le loro stesse terre. E le coltivano”, scrive. Nostalgia perché il nostro mondo è sempre più uniformato, e spesso l’uniformità tende a far sbiadire le varie identità. I personaggi di Vinicio sono così autentici che sembrano vivere sulle pagine. Sono atavici ed anche la loro lingua lo è. Recitano a soggetto la propria vita. “In ogni situazione, calda o fredda

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che sia, portano in testa le grosse coppole di panno e non si curano di niente. Sono immaginari. Lo sono diventati credendo alle storie e se le inventano.” Cuore e anima di questo libro è il capitolo dedicato al cantore errante. Capossela, da cantautore, dà alla propria terra la voce che è quella dei canti che uniscono i cuori della gente e segnano il tempo e i suoi eventi. “I canti si sono levati, a ogni tempo. Alcuni restano, molti si perdono. C’è chi ne ha fatti suonando col corpo, battendo i pungi su una valigia di cartone o su una sedia percossa, rullata a tamburo come per rivoltare in vita uno strumento di emigrazione o di morte. Del banditore. Del condannato. Del Re.” Il tempo è degli uomini che lo sentono scorrere. Come, a scorrere, tra le righe de Il paese dei coppoloni è la eco di un tempo andato. Di una vita faticosa e lenta. Di esistenze vissute in luoghi incantati. Senza tempo. RECENSIONE

DOMENICO LAMBOGLIA

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I più grandi scandali e casi di corruzione sono nati qui, dall’Ente che più volte con le sue strategie spericolate, prima filoarabe poi filorusse, ha messo in crisi i nostri rapporti con gli alleati occidentali. Il suo fondatore, Enrico Mattei, è morto in circostanze ancora oggi misteriose, un suo ex presidente, Gabriele Cagliari, coinvolto in Tangentopoli, si è suicidato in carcere, gli ultimi due amministratori delegati sono indagati per corruzione internazionale. [...] In gioco c’è la nostra indipendenza energetica e la diversificazione degli approvvigionamenti che potrebbe sconvolgere gli assetti del Mediterraneo. Nessuno, dopo aver letto questo libro, potrà negare che l’Eni è davvero uno stato nello stato.


foto Foto

Libri CATTIVE ACQUE

CE L’HANNO DATA A BERE

SADHU

CARLO RUGGIERO

ALESSANDRO BIANCARDI ALESSANDRA LOTTI

INDIA 2013

Round Robin, 12.00 €

Lulu, 12.50 €

Siamo sul fiume Sacco, uno dei corsi d’acqua pi˘ inquinati d’Italia. Al centro di una valle che da Colleferro si spinge verso sud per circa ottanta chilometri, ben dentro la provincia di Frosinone. Un tempo nel fiume si faceva il bagno, e dalle decine di ruscelli che graffiano la valle si poteva bere acqua fresca con le mani. Ora no. Ora ci sono le fabbriche, e quei grossi tubi neri che riversano liquami acidi e schiumosi. Il paesaggio adesso Ë segnato da lunghe colate di cemento, distese di capannoni e discariche di rifiuti interrati. E la gente, da queste parti, si ammala troppo spesso. E muore. Il libro racconta la storia di una terra violentata e abbandonata, dopo esser stata adescata con un sogno effimero di ricchezza. È la storia di chi ci Ë nato, ci Ë cresciuto e ora ci sta morendo. Ma anche di chi, nonostante tutto, combatte ogni giorno per trovare una via di uscita.

Lo scandalo dell’acqua avvelenata in Abruzzo. Il libro-inchiesta del quotidiano on line PrimaDaNoi. it ricostruisce con documenti e testimonianze tutto quello che è accaduto nell’”isola felice”, un posto che oggi appare sempre più come una terra stuprata dalla mano incivile dell’uomo. Uno degli scandali più controversi d’Abruzzo, il racconto di un anno intenso: dalla scoperta della discarica più grande d’Europa in Val Pescara, all’arrivo di 33 avvisi di garanzia per disastro doloso, commercio di sostanze contraffatte ed adulterate, delitti colposi contro la salute pubblica, avvelenamento delle acque, turbata libertà degli incanti e truffa.

Per anni sono stato ossessionato dagli uomini sadhu e nel 2013 ho deciso, finalmente, di intraprendere un viaggio per fotografarli e incontrarli faccia a faccia. I sadhu sono uomini che hanno lasciato dietro le loro spalle famiglia e beni materiali, compresi vestiti e cibo, per ricercare la ricchezza nella spiritualità e nell’umanità. In tutta l’India questi eremiti sono tra i quattro e i cinque milioni, vestono di solito con tuniche color zafferano che simboleggiano la loro rinuncia, e sono autorizzati a fumare hashish o marijuana per comunicare meglio col dio Shiva. QUARTA DI COPERTINA

GIANMARIO PUGLIESE

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DI GIANMARIO PUGLIESE


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